Comments
Description
Transcript
Krates bei Plautus? Persa, 118-28
Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 76/99 DONATELLA IZZO Krates bei Plautus? Persa, 118-28 1. Diogenes bei Plautus L’intreccio del Persa si costruisce intorno all’amore dello schiavo Tossilo per la cortigiana Lemniselenide, in potere del ruffiano Dordalo. Per riscattare la ragazza, Tossilo riesce a procurarsi del denaro tramite il suo amico Sagaristione, ma architetta immediatamente un tranello per recuperare, con gli interessi, i soldi del riscatto, e per impartire allo stesso tempo una severa lezione all’avido lenone. Chiede così in prestito all’amico e parassita Panciapiena la sua bella figlia: la ragazza, opportunamente travestita, si fingerà una schiava catturata dal padrone di Tossilo, costretto – come egli stesso informerebbe in una lettera del tutto fittizia – a restare ancora per qualche periodo in Arabia a causa del trambusto sollevato dalle conquiste persiane. Sagaristione, travestito da Persiano (da cui il titolo della commedia), accompagna la ragazza dal lenone e Dordalo, conquistato dall'abile retorica di Sagaristione e dai modi raffinati della virgo, capitola, acquistando la ragazza ad un prezzo di molto superiore rispetto a quello precedentemente richiesto ed ottenuto per Lemniselenide. A questo punto entra in scena Panciapiena, che si rivela quale padre della ragazza e minaccia di trascinare Dordalo in tribunale con l’accusa di commercio di donne libere. Dordalo ha perso, in conclusione, cortigiana e denaro. Nei vv. 118-26, a parlare è il parassita Panciapiena: Memimi et scio Et te me orare et mihi non esse quod darem. Nihili parasitus est cui argentum domi est. Lubido extemplo coeperest convivium, tuburcinari de suo, si quid domist. Cynicum esse egentem oportet parasitum probe: ampullam, strigilem, scaphium, soccos, pallium, marsuppium habeat, inibi paullum praesidi, qui familiarem suam vitam oblectet modo1. Ricordo. So che tu me li hai chiesti e che io non ho da darteli. Un parassita della schiatta dei Prestasoldinidi non vale nulla. Se ha qualche denaro in casa, lo prende subito la voglia di far * La mia più sincera gratitudine va alla mia maestra, la Prof.ssa Anna Maria Belardinelli, che mi ha seguito costantemente durante la stesura di questo contributo – così come in ogni tappa della mia formazione accademica –, e alla quale devo molti e preziosi consigli. Uno speciale ringraziamento va al Prof. Emidio Spinelli per i numerosi spunti di riflessione che mi ha fornito, in particolare sulle questioni di natura filosofica. L’idea sviluppata in questo articolo è nata durante un semestre di studio che ho trascorso presso la Albert-Ludwigs-Universität Freiburg sotto la guida del Prof. Bernhard Zimmermann, che ringrazio non solo per la squisita ospitalità, ma anche per aver discusso con me le prime bozze di questo lavoro. Ringrazio inoltre il Prof. Eckard Lefèvre per avermi comunicato, con generosa disponibilità e sollecitudine, le sue opinioni su alcuni nodi cruciali di questo contributo. Di ogni errore, lacuna e imprecisione resto naturalmente l’unica responsabile. 1 Seguo l’edizione di WOYTEK (1982). Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 77/99 D. Izzo festa, d’ingozzarsi. Il buon parassita dev’essere nello stato di miseria di un cinico: avere la fiaschetta dell’olio, il raschietto per il dopobagno, una scodella, un paio di sandali e una mantellina; la borsa, poi, poco fornita, il puro necessario per sostentare la famiglia2. In un articolo che ha avuto ampia e duratura fortuna, Leo (1906) aveva sostenuto che, nei versi succitati, si dovesse leggere una descrizione non di un cinico qualunque, ma del per eccellenza, ossia di Diogene di Sinope3. Il Leo trasse questa conclusione partendo dalla tesi di Wilamowitz (19412, 260-74), secondo il quale il Persa aveva come modello greco una commedia di mezzo4. La prova su cui si basa la tesi di Wilamowitz è offerta dall’espressione Chrisopolim Persae cepere urbem in Arabia (v. 506), che è presente nel contenuto della lettera fittizia scritta per beffare il lenone; dal momento che in questo passo i Persiani vengono visti ancora come conquistatori, la datazione dell’originale dovrebbe perciò essere anteriore alla conquista da parte di Alessandro Magno. Secondo Leo (1906, 441), dunque, giusta la teoria di Wilamowitz, l’identificazione tra il cinico di questi versi e Diogene scaturisce necessariamente, quasi come un corollario: «Er [Wilamowitz] hat nur noch nicht unzweideutig ausgesprochen was sich unmittelbar ergibt: im Original war nicht im allgemeinen von Kynikern, sondern von Diogenes die Rede, vom ». La tesi di Wilamowitz e la conseguente deduzione di Leo hanno ottenuto ampio credito tanto tra gli studiosi di teatro quanto tra gli storici della filosofia. Sul fronte degli studi teatrali «l’elenco [dei vv. 124-6] continua a interessare chi pone l’accento sul complesso rapporto tra la commedia plautina e la tradizione greca»5. In ambito filosofico, d’altro canto, tali acquisizioni hanno ispirato importanti speculazioni e riflessioni nella prospettiva della storia del Cinismo antico. Infatti, nell’immagine di maniera del cinico restituitaci dalla letteratura e dall’iconografia, da un certo punto in poi sono sempre presenti sia gli elementi della bisaccia e del bastone sia il tratto dell’ . Sulla base dell’identificazione proposta da Leo cinico = Diogene, dal momento che nei versi del Persa in esame sono assenti bastone e bisaccia e sono presenti, invece, le scarpe, si è dedotto che Plauto, nel ricalcare il suo modello, abbia involontariamente fornito la descrizione del corredo cinico così come doveva effettivamente essere in origine, scevro dalle esasperazioni in senso ascetico tipiche delle rappresentazioni di età successiva. Tali riflessioni hanno trovato supporto anche in altre fonti, e, in particolare, in alcuni versi di Leonida di Taranto, il quale verosimilmente conobbe personalmente gli immediati seguaci di Diogene: così, per esempio, in AP 2 Trad. di CARENA (1975). Mi allineo con quanti negano ad Antistene la fondazione del movimento cinico, che prese avvio invece dalla figura di Diogene di Sinope: cf. SCHWARTZ (19112, 10); DUDLEY (1937, 1-16); SAYRE (1938, 59-61 e 1948); DONZELLI (1959); CAIZZI (1964); GIANNANTONI (1990, 513-27 e 1993); BILLOT (1993). Su posizioni diverse si pongono gli studi elencati da GIANNATONI (1990, 513-5 nn. 3-6). Per gli studi più antichi, rimando alla ricca bibliografia citata in G IANNANTONI (1990, 513 n. 2). Si limita a sottolineare la complessità della questione il più recente lavoro di DESMOND (2008, 18). 4 Sul problema del modello plautino, cf. infra par. 4. 5 PASETTI (2011, 2). 3 Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 78/99 D. Izzo VI 293 troviamo un cinico con le scarpe6 e in AP VII 67 = SSR V B 114 Diogene senza bastone. Bastone e bisaccia, pertanto, apparterrebbero all’abbigliamento del girovago in generale, e non di questi filosofi in particolare. Poiché il girovagare doveva essere atteggiamento tipico dell’apolide/cosmopolita Diogene di Sinope7, anche questi accessori avrebbero preso parte, poi, della suddetta immagine di maniera8. La caratterizzazione di Diogene come mendicante, di conseguenza, risulterebbe, ad un attento riesame delle fonti, una costruzione posteriore, tanto che alcuni studiosi sono giunti a mettere in dubbio l’estrema povertà dei Cinici, riconoscendo, d’altra parte, dei tratti eudemonici che risalirebbero già al primo , cioè allo stesso Diogene, e non ad una fantomatica ‘seconda fase’ del Cinismo9. Tali risultati sono stati pienamente accolti anche nelle Socratis et Socraticorum reliquiae di Gabriele Giannantoni, uno dei contributi fondamentali per lo studio di questo orientamento filosofico: nella sezione dedicata alle testimonianze sulla figura di Diogene di Sinope, Giannantoni inserisce, tra le molte altre, anche i vv. 120-6 del Persa10, che si configurerebbero così come la «[...] più antica testimonianza contemporanea a Diogene»11. Inoltre – ed è ciò che più importa rilevare – nella lunga nota relativa all’abbigliamento di Diogene, Giannantoni conduce un’analisi puntuale dei Realien elencati da Plauto ampiamente ispirata all’articolo di Leo12. 2. Kyniker bei Plautus Già Prescott (1916, 135 n. 2), tuttavia, aveva espresso i suoi dubbi, anche di natura squisitamente metodologica, riguardo la tesi di Wilamowitz. Secondo lo studioso, il v. 506 – sul quale Wilamowitz fonda la sua tesi – non contiene puntuali riferimenti alla storia contemporanea, ma soltanto delle invenzioni fantasiose, create a bella posta in vista della riuscita dell’inganno. Lo scetticismo di Prescott è stato poi condiviso, e con una certa veemenza, da Fraenkel (1960, 83 n. 5 e La presenza delle scarpe in questo epigramma, infatti, ha creato qualche imbarazzo tra gli studiosi: cf., e.g., GOW – PAGE (1965, ad. l.), i quali, nel commento a questo epigramma, citano anche il v. 123 del Persa, aggiungendo che «the slippers are probably thought of as essential to the parasite, not to the Cynic». 7 Cf., e.g., D. Chr. IV 13 = SSR V B 582; Epict. III 22, 45-8 = SSR V B 263 G.; Epict. III 24, 64-6 = SSR V B 290 G; Plut. Mor. 332 B-C = SSR V B 31 G; D.L. VI 38 = SSR V B 263; Luc. Vit. Auct. 8 = SSR V B 80 G.; Jul. Or. VI 201 C = SSR V B 264 G; Jul. Or. VII 238 B-C = SSR V B 332 G.; Max. Tyr. XXXVI 5 = SSR V B 299 G. Per i passi che testimoniano il cosmopolitismo dei Cinici in generale, cf. MOLES (1993, 261 n. 4). Amplissima la bibliografia sull’argomento, tra cui FISCH (1937, 144); HÖISTAD (1948, 138-52); BUORA (1973-1974, 247); GIANNATTASIO ANDRIA (1980, 148); GOULET-CAZÉ (1982, 229-31); GIANNANTONI (1990, 537-47); SCHOFIELD (1991, 144-5); PAQUET (1992, 11-4); MOLES (1993); NAVIA (1996, 136-8); DESMOND (2008, 199-207). 8 In nota CARENA (1975, 686) sottolinea, appunto, che «tutta l’attrezzatura è quella dell’uomo in viaggio […], quali erano i cinici peregrinanti». 9 Su queste complesse argomentazioni, cf. GIANNANTONI (1990, 502-5 e 529-35), che ripercorre la storia di tali interpretazioni. Più in generale, sulla ricca bibliografia sull’abbigliamento cinico cf. almeno KINDSTRAND (1976, 161-3 e 219s.); GIANNANTONI (1990, 499-505); ZANKER (1997, 167 n. 43) e la bibliografia citata dagli autori. 10 Pl. Per. 120-6 = SSR V B 162. 11 GIANNANTONI (1990, 501. Cf. anche ibid. 415). 12 GIANNANTONI (1990, 452). Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 79/99 D. Izzo 405s.): «Io non sono mai riuscito a comprendere come si siano potute costruire delle combinazioni storiche proprio sulla base di questo nome favoloso contenuto in un racconto di fatti inventati di sana pianta». Inoltre, nei confronti di chi, come Della Corte, aveva pensato di dare ulteriore supporto alla tesi di Wilamowitz tramite un’analisi di natura giuridica13, lo stesso Fraenkel (1960, 405) osserva che, mentre possediamo il corpus Demosthenicum, non abbiamo nulla per quanto riguarda i decenni seguenti, per i quali, tuttavia, «non è probabile che da una generazione all’altra il diritto privato attico abbia subito mutamenti sostanziali». La tesi di Wilamowitz, dunque, ha prestato il fianco a numerose critiche; tale aspetto credo meriti grande rilievo nell’ambito dell’analisi in corso, dal momento che viene meno, conseguentemente, lo stesso punto di partenza dell’identificazione tra il cinico e Diogene proposta da Leo14. Non siamo costretti, infatti, a considerare la sola fase del Cinismo anteriore alla datazione proposta dal Wilamowitz. Ad ogni modo, pur volendo accogliere la datazione di Wilamowitz, non si vede innanzitutto perché dovremmo avere qui la descrizione di Diogene di Sinope, come suggerito da Leo, e non un’allusione all’habitus cinico in generale. Se possiamo ormai tenere per certo che il Cinismo non fu mai una vera e propria scuola, una in senso forte, le fonti ci attestano tuttavia come, sin da subito, il carisma di Diogene di Sinope attirò a sé dei proseliti15. È senz’altro vero che Diogene di Sinope rappresentò la figura più emblematica del Cinismo, ma essa è in gran parte frutto della tradizione dossografica successiva, la quale ne esasperò alcuni tratti a tal punto che qualcuno è giunto a negare l’esistenza storica dell’uomo Diogene16. Già Prescott osservava come – in assenza della tesi di Wilamowitz – le riflessioni di Leo sull’abbigliamento cinico, largamente basate sui versi di Leonida di Taranto, proverebbero solo il fatto che gli elementi elencati nei versi plautini descrivono l’abbigliamento che era stato proprio di Diogene e che era proprio di altri Cinici dell’epoca di Leonida17. D’altronde, è lo stesso Leo a considerare che ampullam, strigilem, 13 DELLA CORTE (19672, 165) osserva: «Che tutto l’intreccio si fondi sulla legge attica è evidente; e Plauto non poteva far altro che mantenere la finzione della città di Atene, altrimenti tutto sarebbe crollato nel suo fondamento giuridico». Ma a questo proposito si vedano già DARESTE (1898, 107); PARTSCH (1910, 595); BURGERSDIJK (1949). 14 È questo il punto di forza anche del ragionamento di GIANNANTONI (1990, 501), il quale registra che Leo «[...] ha dimostrato che l’originale della commedia risale all’età di Demostene, il che significa che in essa non si parlava dei Cinici in generale ma di Diogene il ». 15 Sull’attività pedagogica e l’insegnamento di Diogene cf. GIANNANTONI (1990, 485-9). Nonostante la problematicità delle tradizioni che riguardano i rapporti con i suoi uditori e ammiratori, GIANNANTONI (1990, 487) conclude che «[...] questa attività di Diogene non può essere considerata un’invenzione pura e semplice [...], anche se da questo non è lecito dedurre l’esistenza di una vera e propria scuola». 16 Cf. in particolare NIEHUES-PROEBSTING (1979, 15-31). Contro tale approccio ipercritico, cf. VON FRITZ (1981); GIANNANTONI (1990, 496s.) e GERHARD (1991). 17 «On the other hand, it should be clear that if Wilamowitz has not proved his case, Leo’s evidence, which is largely from Leonidas of Tarentum, probably a younger contemporary of Menander, would only establish the fact that at the time of the New comedy the equipment ascribed to the Cynic in vss.123 ff. was attributed to Diogenes and other Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 80/99 D. Izzo scaphium, soccos, pallium, marsuppium non sono altro che gli elementi dell’equipaggiamento dell’egens probe, il quale porta con sé tutto ciò che ha. Ed egentes sono, per l’appunto, tanto i parassiti quanto i Cinici. L’elenco, pertanto, non ha in sé nulla di caratteristico 18. A maggior ragione, dunque, non c’è alcun nesso logico stringente che costringa a riconoscere in questa descrizione una personalità ben precisa. A queste riflessioni, affiancherei anche la problematicità dell’espressione vita familiaris di v. 126 in associazione alla figura di Diogene. Discuterò questo punto nel paragrafo seguente. Non è questa la sede per affrontare questioni prettamente inerenti alla storia della filosofia; tuttavia, così come per l’aneddotica, la letteratura paremiografica e apoftegmatica e la tradizione delle 19 , anche per l’analisi dei passi comici bisognerebbe evitare, in assenza di ulteriori elementi probanti, di incorrere nell’errore metodologico per cui dantur opes nullis nunc nisi divitibus, soprattutto considerando la scarsità e la dubbia attendibilità delle fonti e delle testimonianze sul Cinismo antico in nostro possesso. Ad ogni modo, altre osservazioni indeboliscono ulteriormente la tesi Wilamowitz-Leo. Woytek, per esempio, pone efficacemente l’accento sulla prospettiva di colui che pronuncia questi versi, cui era certamente estraneo l’intento di descrivere dettagliatamente una personalità filosofica ben determinata20. Recentemente, infine, Pasetti (2011) ha ipotizzato che l’elenco dei vv. 124s. del Persa abbia, in fin dei conti, ben poco a che fare con il corredo dei Cinici, ma rechi piuttosto un valore metateatrale: «in realtà, più che alla tradizione filosofica, gli oggetti menzionati appartengono alla scena comica»21. In particolare, la studiosa ritiene la presenza dei socci in contrasto col tratto cinico della e aggiunge che: «Al posto del marsuppium, la borsa in genere destinata a contenere il denaro, si aspetterebbe la pera, la “bisaccia” in cui un filosofo itinerante ripone le poche cose indispensabili alla sopravvivenza»22. Credo, tuttavia, avesse ragione Giannantoni (1990, members of the school» (PRESCOTT 1916, 135 n. 2). Anche MÜLLER (1957) – nel suo studio sul modello originale del Persa – WOYTEK (1982, 13, 78, 204s.) – l’ultimo commentatore della commedia – e PASETTI (2011, 2) – che ha dedicato un’analisi specifica ai versi in questione – ritengono che tale identificazione poggi su basi molto deboli. 18 «‘Der Parasit soll nicht mehr besitzen als der : ampullam, strigilem, scaphium, soccos, pallium, marsuppium habeat’. Das ist keine specifische Tracht, sondern der Besitz des egens probe, dessen der alles was er besitzt bei sich trägt; und nichts anderes bedeutet in Wahrheit die Ausrüstung des Diogenes» (LEO 1906, 444). D’altronde, il tipo di abbigliamento in questione era fatto proprio anche dai Pitagorici ascetici che conosciamo dal Telauge di Eschine (cf. DITTMAR 1912, 417 e GIANNANTONI 1990, 501), i quali potrebbero aver influenzato i Cinici: cf. DUDLEY (1937, 6) e BURKERT (1962, 196); contra KINDSTRAND (1976, 163). 19 Cf. KINDSTRAND (1986), GIANNANTONI (1990, 466-74) KRUEGER (1996, in particolare 223s. e la ricchissima bibliografia ivi citata). 20 «Figuren herzustellen und damit eine bis ins Detail korrekte Personenbeschreibung eines dadurch gleichsam identifizierbaren kynischen Philosophen zu liefern war sicherlich nicht seine Absicht» (WOYTEK 1982, 207). Ma per le critiche alla teoria Wilamowitz-Leo cf. anche p. 205. 21 PASETTI (2011, 11). 22 PASETTI ibid. Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 81/99 D. Izzo 502s.) quando osservava che «le scarpe possono sorprendere solo chi dalla letteratura posteriore si è fatta un’idea della dei Cinici e di Diogene. In Leonida (AP VI 293) le scarpe si trovano. Infine con marsuppium non si deve intendere la bisaccia ma il borsellino»23. Nonostante le forti critiche alla tesi Wilamowitz-Leo, sia gli studiosi di teatro sia coloro che muovono da una prospettiva specificatamente filosofica hanno perseverato nel leggere in queste righe la descrizione di Diogene. Oltre al già citato Giannantoni, già la Garbarino (1973, 550s.), che aveva dedicato due volumi allo studio della diffusione della filosofia greca a Roma, sembrava concordare con Leo sul fatto che, nell’originale, l’allusione dovesse essere riferita a Diogene, chiarendo, poi, che gli spettatori romani non potevano essere in grado di cogliere un riferimento tanto preciso. 3. Figlie in prestito: Krates bei Plautus Ogniqualvolta la critica si è soffermata sull’allusione ai Cinici presente in questo passo, sono stati presi in considerazione soltanto i vv. 118-26. A mio parere, meritano attenzione, invece, anche i versi successivi, in cui continua lo scambio di battute tra Tossilo e Panciapiena: TOX. Iam nolo argentum: filiam utendam tuam Mihi da. SAT. Numquam edepol cuiquam etiam utendam dedi24. TOSSILO Non voglio soldi. Prestami solo tua figlia. PANCIAPIENA Ma io giuro che non l’ho mai prestata a nessuno! La comicità di questi versi è lampante, e poggia sul senso erotico con cui Panciapiena interpreta maliziosamente il verbo utor, equivoco che Tossilo si affretta a dirimere25: la ragazza dovrà limitarsi a fingersi una prigioniera per recitare il suo ruolo nella beffa architettata contro l’avido lenone. A mio parere, tuttavia, i due versi plautini contengono un’ulteriore pointe comica, ossia un’allusione all’aneddoto secondo il quale Cratete di Tebe, discepolo di Diogene di Sinope e filosofo di indubbio rilievo nel panorama del Cinismo antico, avrebbe “dato sua figlia in prova”. Testimone di questo episodio è Diogene Laerzio, che, nella sezione dedicata a Cratete di Tebe, cita i seguenti versi delle Gemelle di Menandro: 23 Cf. anche LOMIENTO (1993, 178). Vv. 127s. 25 Tossilo ha bisogno che la figlia del parassita reciti una parte nella messa in scena da lui architettata ai danni del lenone. 24 Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 82/99 D. Izzo !!! " #$ 26 % Passeggerai con me vestita col mantello, come una volta col cinico Cratete sua moglie. Come egli stesso diceva, diede in matrimonio sua figlia, in prova, per trenta giorni27. Ritengo molto plausibile che, nel breve scambio di battute dei vv. 127s. del Persa, si strizzi l’occhio all’aneddoto cui Menandro allude nel secondo distico, aneddoto che doveva evidentemente aver suscitato un certo scalpore. Gioca a favore della plausibilità della presenza di questa allusione il fatto che la fonte del bizzarro comportamento di Cratete sia proprio una commedia greca28. Panciapiena, dunque, che in un primo momento si è opportunisticamente appellato alla povertà dei Cinici per aggirare la richiesta di quattrini dell’amico, sfrutterebbe ora un’altra allusione al Cinismo – e questa volta l’allusione sarebbe invece ad personam – per eludere anche la seconda richiesta di Tossilo, prendendo le distanze dal comportamento paterno di uno dei più celebri rappresentanti del movimento cinico, che veniva naturalmente percepito dall’opinione pubblica come scandaloso e degenere. L’atteggiamento di Cratete in questo aneddoto – la cui veridicità storica è discutibile, nonostante Menandro fosse contemporaneo dello stesso Cratete29 – fu certamente considerato alquanto scabroso, e i comici ebbero certo buon gioco nel presentarlo come l’ennesima manifestazione dell’impudenza e dell’eccentricità dei Cinici. Per altro, potremmo dire che Cratete fosse un eccentrico tra gli eccentrici. Uno dei tratti distintivi del 26 era, infatti, l’atteggiamento decisamente anticonformista nei confronti Fr. 114 K.-A. = D.L. VI 93 = 114 K.-A. = SSR V H 26. Gli studiosi, quasi unanimemente, attribuiscono tutti e quattro i versi a Menandro. Data la scarsa congruenza del secondo distico con il primo, già il KOCK (1880-1888, ad l.) indicava una lacuna dopo il secondo verso. Piuttosto isolata la posizione di Körte (in KÖRTE – THIERFELDER 1953, ad. l.), il quale non crede che «Menandrum sic Cratetem citasse», e riporta solo il primo distico, seguito da GIGANTE (20057, 529 n. 177). OLSON (2007, 249s.) non esclude nessuna ipotesi: il secondo distico potrebbe derivare dalle Gemelle di Menandro, da un'altra commedia menandrea o dalla commedia di un altro commediografo. Oppure, lo stesso Diogene Laerzio potrebbe aver terminato la citazione menandrea con questa notizia, riportata in metrica: «But it might also be that 3-4 (accepting Diogenes’ implication that the anonymous subject of the verb is still Crates), although easily put in metrical form, are simply Diogenes’ final comment on Crates’ behaviour (thus Körte)» (OLSON 2007, 249s.). Non si vede, tuttavia, perché Diogene Laerzio avrebbe dovuto accostare due versi scritti di suo pugno alla citazione menandrea, per poi concludere il di Cratete in prosa. 27 La traduzione è di GIGANTE (20057). CANTARELLA (20103, 91) allude a questo episodio a proposito della libertà sessuale delle donne nel movimento cinico. Se questa interpretazione può essere condivisibile (cf., ad esempio, GIANNATTASIO ANDRIA 1980, 145s.), discutibile è la notizia che Cratete diede la figlia per un mese «a ciascuno dei suoi discepoli, perché fosse poi libera e capace di scegliersi un buon compagno». Questa lettura del passo si basa certo sulla lezione , attestata nei codici, in luogo di – GROTIUS (1626, 717: cf. Menagius in HUEBNER 1833, 86s.) propose , COBET (1858, 42) . In proposito Huebner (ad. l.) intese per i discepoli di Cratete. Così intende anche LUCK (1997, ad l.). La lettura , tuttavia, è preferita dagli editori moderni tanto di Menandro quanto di Diogene Laerzio. L’ipotesi qui presentata resta valida in ogni caso. 28 Si tratta, per altro, della prima certa applicazione del termine “cinico” ad un seguace di Diogene.: cf. DUDLEY (1937, 6). 29 , il prestava particolarmente il fianco a facili Proprio per il suo tratto caratteristico della esasperazioni, di cui erano spesso oggetto gli intellettuali in generale, e soprattutto gli intellettuali nelle commedie. Per quanto riguarda la figura di Cratete di Tebe, basti citare l’episodio della , su cui ci si soffermerà a breve. Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 83/99 D. Izzo della famiglia. Se il sapiente dovesse o meno prendere moglie e metter su famiglia fu un tema molto dibattuto in età ellenistica in seno a tutte le scuole filosofiche del tempo30, ma i Cinici furono particolarmente risoluti nel negare che la felicità, la libertà e l’indipendenza fossero conciliabili con le incombenze e lo stress comportati dalla gestione dell’ 31 & . Tornando perciò per un momento all’ipotesi del Leo, risulta a questo punto piuttosto difficile pensare ad un’allusione a Diogene di Sinope in associazione all’espressione familiarem vitam suam di v. 126, come accennavo in precedenza. Questo elemento è stato trascurato dagli interpreti, con l’eccezione di Woytek (1982, 206), il quale ha inteso familiaris nel senso di proprius, dimostrando che, anche in altri casi, Plauto avrebbe usato l’aggettivo con questo significato. Difficile, tuttavia, sostenere tale interpretazione in questo caso specifico, dal momento che, proprio al verso successivo, viene citata la figlia di Panciapiena. Molto più immediato è, invece, pensare che qui si stia parlando del sostentamento non solo di sé stessi, ma anche della propria famiglia. Cratete, per l’appunto, ebbe una famiglia, sebbene del tutto sui generis: l’eccezionalità del fatto che un cinico prendesse moglie e l’eccezionalità dei modi in cui esso fu celebrato, nonché la fama che ne derivò32, sono testimoniate dal fatto che tale unione passò alla storia con la denominazione di 33 . Potrebbe essere pertinente osservare che, così come la scelta di Cratete di avere una famiglia (sebbene molto anticonvenzionale) risulta eccentrica nel panorama del movimento cinico, allo stesso modo ha sempre destato una certa perplessità tra gli studiosi il fatto che Panciapiena costituisca l’unico esempio di parassita con figli di tutta la commedia classica34. Una coincidenza forse non del tutto casuale nella prospettiva della proposta qui presentata. 30 Atteggiamenti agli antipodi nei confronti del matrimonio sono già riscontrabili fin dagli albori della riflessione greca: Omero – ed in particolare l’Odissea (VI 183) – costituì un modello di vita coniugale affettuosa e felice, mentre ad Esiodo rimonta la tradizione delle miserie della vita matrimoniale, alla quale si rifanno la Commedia antica e di mezzo. Su questi temi cf. BARIGAZZI (1965, 35); ARTHUR (1973, in particolare a 14-6, 22-5 e 46s.); TRAILL (2008, 248). È noto lo scandalo suscitato dalle proposte della Repubblica di Platone; pure, come in tanti altri ambiti, anche in questo i Sofisti furono dei precursori (sebbene le loro motivazioni fossero ben diverse da quelle di Platone): già Antifonte lamentava lo stress e i rischi connessi alla vita matrimoniale, che egli paragonava addirittura ai giochi olimpici (cf. Stob. IV 22, 66 = DK 87 B 49). La problematica ducendane uxor fu poi al centro di vivi dibattiti in età ellenistica in seno a tutte le scuole filosofiche del tempo. Per l’atteggiamento dell’antichità in generale rispetto al matrimonio cf. la ricca bibliografia presente in KINDSTRAND (1976, 273). 31 Mi limito dunque a citare alcuni dei passi in cui è esplicita la condanna del matrimonio: Phld. Sto. coll. VIII-IX; D.L. VI 29 = SSR V B 297, 54 = V B 200 e F61 Kindstrand (il detto è attribuito anche ad altri filosofi, per cui cf. KINDSTRAND (1976, 272); GIANNANTONI (1990, 250s.). Per ulteriori approfondimenti, rimando a GIANNATTASIO ANDRIA (1980, 143-6); GIANNANTONI (1990, 464-6); KINDSTRAND (1976, 272); DORANDI (1993); GOULET-CAZÉ (2003; 2005); CAMBRON-GOULET (2007). 32 I due fattori sono in effetti strettamente legati: la vita matrimoniale di un cinico non poteva non essere del marito. Anche per quanto riguarda anticonvenzionale, per cui Ipparchia condivise in tutto e per tutto il l’educazione dei figli, si narrano aneddoti interessanti: cf. – oltre all’episodio cui si fa riferimento in queste pagine e che vede protagonista la figlia – D.L. VI 88 = SSR V H 19, che chiama in causa invece il figlio Pasicle. Sulla bibliografia relativa a questo matrimonio, cf. quella citata in BARONCELLI – LAPINI (2001, 635, n.2). 33 Epitteto in Epict. Dissert. III 22, 76 = SSR V H 20 è esplicito nel presentare tale unione come del tutto anomala nel panorama del Cinismo. 34 Su questa stranezza cf. WOJTEK (1982, 47-56); CHIARINI (19832, 96-8); LOWE (1989); STÄRK (1991, 147-9); LEFÈVRE (2001, 22s. e 32-4); SHAW HARDY (2005); PASETTI (2011, in particolare 16s.). «Die Vorstellung eines pater Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 84/99 D. Izzo È ipotesi suggestiva, dunque, che, se nei versi riportati vi è un qualche riferimento ad una ben precisa personalità filosofica, non nei termini di una descrizione o identificazione, ma in quella di allusione maliziosa – di battuta facile, se vogliamo – questa potrebbe essere quella di Cratete di Tebe, ben conosciuta nella letteratura comica e in quella che ad essa si ispira: basti pensare al ruolo giocato da Cratete nell’opera lucianea. 4. Plauto, il suo modello e il suo pubblico Quanto si sta illustrando tocca molto da vicino la vexata quaestio del rapporto di Plauto con i modelli greci. Come per ogni commedia di Plauto, i tentativi di individuare il testo greco di riferimento sono stati numerosissimi, e, riguardo questa commedia in particolare, si è discusso «[...] naturalmente con un accanimento tanto maggiore quanto minore era la possibilità di rintracciare indizi sicuri o almeno probabili»35. Sono state dunque vagliate tutte le ipotesi possibili: commedia di mezzo36, commedia nuova37, commedia post-menandrea38, senza tralasciare Aristofane39 ed Euripide40. Guilbert (1962, 17) interpreta il Persa come la parodia di una commedia classica, familias, der sich um seine familia kümmert [...] ist von einem Parasiten fernzuhalten», commenta appunto WOYTEK (1982, 206) a proposito dell’espressione vita familiaris. La stessa osservazione viene spontanea in associazione con Diogene o qualunque altro cinico, eccezion fatta, per l’appunto, per Cratete. 35 PARATORE (1976, 8). 36 Si tratta, appunto, dell’ipotesi formulata da Wilamowitz discussa in queste pagine. Tra coloro che accolgono tale ipotesi si annoverano, oltre al LEO (1906), HÜFFNER (1894, 70s.); PARTSCH (1910, 596); WIEAND (1920, 168); DELLA CORTE (19672, 164ss.); DOVER (1968); WEBSTER (1953, 78); LESKY (19713, 750 e 799 n. 420): «Le maggiori probabilità di una derivazione dalla Commedia di mezzo spettano al Persa […]»; SANDBACH (1979, 61); BLUME (1981, 374s.). Nella fattispecie, Della Corte pensa, più in particolare, ad Alessi, sostenendo la sua attribuzione con indizi evidentemente abbastanza deboli. Tra le altre argomentazioni messe in campo, Della Corte nota come la cronologia di Diogene ben si accorda con quella di Alessi. È evidente che siamo, da un punto di vista metodologico, di fronte ad argomentazioni che si costruiscono su un circolo vizioso, dal momento che l’identificazione stessa di Diogene si basa su una presunta base cronologica. Per DOVER (1968, 145), invece, il modello del Persa risale alla non per motivi di ordine cronologico, «[...]but on negative grounds, the difficulty of dividing it into five “acts” and the difference of its theme and treatment from what we regard as characteristic of New Comedy». 37 Alla Commedia nuova pensano invece MEYER (1907, 181); SONNENBURG (1928, 110); ERNOUT (1938, 96s.); DUCKWORTH (1952, 53s.); MÜLLER (1957, 92); MARTI (1959, 393); PARATORE (1976, 8); HOFMANN (1989, 399); LOWE (1989, 398); SCAFURO (1993, 58s.), sulla base, questa volta, principalmente di raffronti con le commedie menandree. Grazie alle più recenti scoperte papiracee, ad esempio, abbiamo potuto appurare che neppure il gusto garbato di Menandro disdegnava di concludere le sue pièces con delle orgette di servi (PARATORE 1976, 7). Cf. su questo aspetto D’ANNA (1959). 38 Numerosi consensi ha raccolto anche la proposta del Fraenkel, il quale ritiene di poter produrre un «indizio inequivocabile» per la datazione dell’originale del Persa: egli interpreta la scelta di rendere protagonisti degli intrighi amorosi degli schiavi – da cui il disappunto dello spettatore antico e del lettore moderno, di cui il commediografo era più che consapevole (cf. v. 25: iam servi hic amant?) – come l’intelligente trovata di un autore operante in epoca piuttosto tarda, quando i consueti schemi della Commedia Nuova avevano già acquisito fin troppa ripetitività e rischiavano di annoiare il pubblico (Cf. FRAENKEL 1960, 406). Concorda con questa analisi, ad esempio, PASQUALI (1951, 31 n. 11). 39 DUMONT (1977, 260), partendo da alcuni punti di contatto tematici e strutturali tra il Persa e le commedie aristofanee, ha postulato «un autre Aristophanes […] modèle d’intrigue repris ensuite par tous les auteurs attiques». Tale tesi ha avuto tuttavia scarso seguito tra gli studiosi. Cf., da ultimo, le osservazioni di LEFÈVRE (2001, 17). 40 A partire dall’analisi del carattere della virgo, che sembrerebbe presentare alcuni tratti dell’eroina tragica, qualcuno ha tentato di rintracciare una matrice euripidea per questo personaggio (LEJAY – PICHARD 1925, 49s.; MÜLLER 1957, 12s.; DUMONT 1977, 251). La tendenza attuale è tuttavia quella di non prendere sul serio le riflessioni moralizzanti della Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 85/99 D. Izzo mentre Woytek (1982, 77) pensa piuttosto ad un originale scritto da un autore contemporaneo dello stesso Plauto. Negli ultimi decenni, infine, a seguito della presa di distanza dall’approccio metodologico che si basa sul «mito dell’Ur»41 e con cui si cerca di ricostruire attraverso Plauto quanto più possibile della commedia greca, in gran parte perduta42, e degli sforzi di riportare l’attenzione sulla poetica e sull’originalità del commediografo latino, sono stati sottolineati, con sempre maggiore enfasi, gli apporti della farsa italica e dei Saturnalia da parte di Lefèvre e della scuola di Freiburg. Lefèvre (2001), con numerose e dettagliate argomentazioni relative ai temi, agli aspetti giuridici, alla caratterizzazione dei personaggi, allo stile e alla struttura della trama, si mostra quanto mai scettico rispetto all’esistenza di un originale greco43. A seguito della sua analisi, lo studioso riflette su come – pur volendo ipotizzare l’esistenza di un canovaccio greco - la questione finisca con l’assumere i connotati di una disputa meramente terminologica: Plauto avrebbe apportato tante e tali modifiche all’ipotetico testo di partenza, che parlare di un originale avrebbe poco senso. Allo stesso modo, nessuno ha l’abitudine di dire che gli Epitrepontes di Menandro rappresentano l’originale dell’Hecyra di Apollodoro44. Propende per l’originalità dell’intreccio del Persa anche Danese (2011, 67): «Si può pensare [...] che anche questi meccanismi più specifici facciano parte di uno ‘strumentario’ drammaturgico che Plauto ha mutuato dai suoi modelli (non importa quali), servendosene liberamente, combinandoli fra loro in modo creativo e sviluppando, ora più ora meno, alcune loro caratteristiche, sì da ottenere intrecci originali come quelli del Persa [...]». I versi che stiamo esaminando hanno avuto un ruolo non secondario in tali questioni. L’allusione al Cinismo, infatti, è stata da sempre sfruttata dalla critica come una spia della pedissequa dipendenza delle commedie plautine rispetto a quelle greche. Della Corte (19672, 165), ad esempio, afferma con certezza che «l’accenno al cinismo [...] non è certamente plautino, ma dell’originale». Senza voler prendere posizione circa l’esistenza o meno di un ‘originale’ greco – problema, questo, che richiederebbe un’analisi di ben più ampio respiro – si vuole però puntare l’attenzione su un aspetto essenziale. La commedia latina «non offriva una rappresentazione della società del suo tempo, ma funzionava da elemento regolatore, mostrando un mondo di fantasia e di ragazza, e di intendere il suo personaggio piuttosto come una parodia di un certo prototipo femminile: cf. Rossi in SCANDOLA (2003, 79-83). 41 GUASTELLA (2002, 166). 42 Per quanto riguarda la vexata quaestio circa il rapporto di Plauto con i suoi modelli cf. almeno HÜFFNER (1894, 67); LEO (1912); THIELE (1913); JACHMANN (1931, 3-104); MIDDELMANN (1938); FRIEDRICH (1953, 171-232); PERNA (1955, 255ss.); MÜLLER (1957); JÓZEFOWICZ (1959-1960); FRAENKEL (1960); DELLA CORTE (19672). L’elenco potrebbe naturalmente essere ben più lungo. 43 «Es ist nicht auszuschliessen, dass Plautus den Ausgangspunkt für seine nach griechischen Massstäben hybride Komödie einem ' -Original verdankt. Dass er nicht mehr als lose Anregungen aufnehmen kann, lehrt die völlig ungriechische Struktur des Persa, die wie in seinen anderen Stücken von starker Diskontinuität geprägt ist» (LEFÈVRE 2001, 12). 44 LEFÈVRE (2001, 34). Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 86/99 D. Izzo sogno […]»45. Questo spiega la presenza di numerosi elementi estranei alla società romana, quali sono, tra gli altri, anche i filosofi Cinici. Certamente, infatti, Plauto non era solito incontrare dei Cinici per strada, ma conosceva questi bizzarri personaggi attraverso il filtro della letteratura greca46. Cosa ben diversa è però dedurre ‘necessariamente’ dalla presenza di questi accenni l’esistenza di un canovaccio greco. Questo significherebbe tacciare Plauto di un buon grado di ottusità. Due sono, infatti, le alternative riguardo al passaggio logico implicito in una tale deduzione: o si sottintende che Plauto non fosse in grado di rielaborare autonomamente ciò che leggeva, o – nel peggiore dei casi – si ritiene che egli abbia mantenuto, nella sua passiva imitazione dell’originale, un elemento del tutto incomprensibile per sé e per il suo pubblico. Si tratta – è evidente – di ipotesi insostenibili sia da un punto di vista prettamente metodologico sia da un punto di vista storico-letterario. In primo luogo, questo è proprio un caso esemplare dell’approccio al teatro plautino descritto e giustamente criticato, tra gli altri, da Danese (2002, 136): «in pratica si cerca di spiegare Plauto con elementi apparentemente esterni, ma in realtà ricavati, per di più artificiosamente, da Plauto stesso: un vero e proprio circolo vizioso». Nel caso del Persa, nella fattispecie, numerosi sono stati i tentativi di ricostruire la trama così come doveva presentarsi nell’originale, che hanno restituito gli esiti più vari e fantasiosi. La critica recente, nel benemerito tentativo di restituire a Plauto la sua dignità di autore, il quale riadattava liberamente il materiale greco con l’ausilio della propria personale creatività e per un pubblico ben diverso da quello greco47, ha giustamente osservato come, invece, la commedia richieda processi di adattamento ancora più profondi rispetto all’idealizzazione della tragedia: «proprio un genere che si nutre di arguzia e comicità sarebbe il più fortemente compromesso nel caso di un’imitazione anacronistica»48. Da un punto di vista squisitamente metodologico è, cioè, del tutto impensabile che Plauto abbia ‘tradotto’ dal suo modello tanto passivamente da lasciare nel suo testo l’allusione ad 45 LEFÈVRE (1992, 131s.). Non ci si addentrerà nella questione riguardante la funzione della commedia latina rispetto all’ingresso della filosofia a Roma, questione complicata dalla linea ambigua che, nella letteratura critica, spesso separa ciò che è proprio del senso comune e della saggezza popolare da ciò che costituisce l’oggetto di riflessione della filosofia etica tout court. Partendo dal presupposto che «It was precisly in […] the middle of the second century BC, that Greek school philosophy really began to establish its hold on educated Romans» (GRIFFIN – BARNES 1989, 3), sembrerebbe comunque eccessivo ritenere i comici latini il primo strumento di diffusione della filosofia a Roma, una sorta di cavallo di Troia del pensiero greco (DUMONT 1992, 50): cf. MUSSO (1968, 198); GRIMAL (1969, 1986a, 1986b, 1986c, 1992a, 1992b); PETRONE (1992); più attenuata la posizione di GARBARINO (1973, 544): «attraverso il teatro diventavano a poco a poco familiari a un gran numero di Romani alcuni importanti aspetti della speculazione filosofica greca; il pubblico veniva introdotto, quasi inconsapevolmente, in sfere concettuali in parte nuove per lui». Contra, GRILLI (1996, 89). Per il complesso rapporto della Roma repubblicana e imperiale con questi filosofi cf. DUDLEY (1937), particolarmente la seconda sezione del volume, BILLERBECK (1979, 1991b e 1993); ROCA FERRER (1974, 29); KINDSTRAND (1980, 83-9); MOLES (1983); GRIFFIN (1993). 47 Sulle differenze tra il teatro in Grecia e a Roma cf. almeno SANDBACH (1979); CHIARINI (1987). 48 LEFÈVRE (1992, 130). 46 Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 87/99 D. Izzo un elemento culturale che lui o il suo pubblico non avevano gli strumenti per decodificare49, e che, di conseguenza, non avrebbe fatto ridere nessuno. Il procedimento deduttivo dovrebbe quindi svilupparsi esattamente nella direzione opposta: proprio la presenza di un’allusione al Cinismo nel teatro plautino – e si noti, in proposito, che Plauto allude esplicitamente ai Cinici anche nello Stichus al v. 703 – costituisce prova inconfutabile del fatto che tanto Plauto quanto il suo pubblico avessero un certo grado di familiarità, seppur minimo, con questi filosofi50. Con ciò non si intende insinuare – ripeto – che all’epoca di Plauto il Cinismo, o la filosofia greca in generale, fossero di casa a Roma51: per intendere riferimenti quali quelli in esame, d’altronde, era sufficiente una conoscenza molto superficiale del movimento, limitata perfino alla pura esteriorità. Un tale grado zero di conoscenza si spiega agevolmente in grazia della familiarità dei Romani con le commedie greche, in cui erano numerose le allusioni ironiche ai bizzarri costumi di questi filosofi52; i Cinici appartenevano, perciò, se non all’orizzonte sociale, quantomeno all’orizzonte culturale degli spettatori romani. Calandoci nella prospettiva di Plauto e dei suoi spettatori, dunque, se è da ritenere certo che potessero ridere spontaneamente del paragone tra il parassita e il cinico, sarebbero stati eventualmente in grado di cogliere l’allusione a Cratete di Tebe, di cui suggerisco la presenza? Una tale ipotesi non si può escludere, dal momento che Cratete fu uno dei Cinici più celebri: la sola testimonianza di Menandro è comunque sufficiente per non escludere che il pubblico romano conoscesse l’aneddoto in questione. Vediamo, a questo punto, le conseguenze di quanto detto finora: a) se si vuole ipotizzare l’esistenza di un canovaccio greco, che Plauto avrebbe più o meno liberamente adattato per il pubblico romano, giusta la mia ipotesi, l’allusione all’aneddoto riguardante Cratete e sua figlia imporrebbe un terminus post quem per la datazione di tale modello greco53. Sappiamo, infatti, che anche Metrocle, fratello di Ipparchia, dopo essere stato allievo di 49 Questo fu, sostanzialmente, l’approccio di Kiessling e della sua scuola (cf., e.g., KIESSLING, 1881-1882, 9). «No faltan las referencias a los cínicos en la comedia latina: aunque probablemente se remontan ya al original griego, hay que pensar que Plauto las hubiera suprimido de su adaptación de haber creido que no iban a ser entendidas por su público» (ROCA FERRER 1974, 29). È perciò valido anche per il teatro romano, mutatis mutandis, quanto afferma il WEBSTER (1953, 50) a proposito dell’analisi dei riferimenti filosofici nella Commedia, la quale può aiutarci a comprendere «[...] in what way and to what extent the philosophers were known to the ordinary man». Proprio a proposito di Plauto e della filosofia popolare diatribica, OLTRAMARE (1926, 68-80) osserva che il teatro romano subì solo molto tardi l’influenza diretta e consapevole delle filosofie popolari e che «le grand comique ne nous apporte guère de témoignage que sur les écriveins qu’il transpose, mais ce témoignage est de première importance» (p. 72). 51 Cf. supra n. 46. 52 Cf. IMPERIO (1998, in particolare alle pp. 120-9). Eccezion fatta per i nomi “facili” di Talete e Socrate, l’unica scuola menzionata da Plauto è proprio il Cinismo, forse proprio in ragione delle stravaganze di questi filosofi. 53 In tal caso non si può escludere del tutto il ricorso all’espediente della contaminatio; lo scambio di battute preso in esame, tuttavia, sembra essere inestricabilmente legato al tessuto della trama, e cioè alla presenza inconsueta di un parassita con una figlia. Su questo elemento di novità rispetto agli schemi comici consueti, su cui la critica si è particolarmente concentrata, si veda, da ultimo, DANESE (2011, 50 n. 21), che osserva: «A Tossilo, per portare a compimento l’inganno, serve dunque la complicità di una donna libera, che nessuno potrà procurargli, se non l’unico uomo libero che può mettersi in toto a disposizione di un servo che ha le chiavi della dispensa: il parassita. Inoltre è 50 Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 88/99 D. Izzo Teofrasto, divenne discepolo di Cratete, e verosimilmente nello stesso periodo avvenne l’incontro tra i due futuri sposi. Poiché Teofrasto prese le redini dell’Accademia nel 323 a.C., il matrimonio tra Cratete e Ipparchia deve essere avvenuto dopo tale data. Data la natura dell’aneddoto in questione, dobbiamo a questo punto considerare all’incirca una quindicina di anni, tempo necessario perché la figlia dei due filosofi Cinici raggiungesse la pubertà. L’allusione non è dunque pensabile se non dopo il 310 a.C. almeno. È appena da accennare come, in tal caso, il pubblico greco avrebbe particolarmente gustato il gioco presente nei versi del Persa: i Cinici giocavano molto sulla dialettica libertà/schiavitù metaforicamente intese e sferzavano particolarmente il vizio dell’ingordigia, inneggiando alla frugalità. Nel Persa, paradossalmente, il riferimento al Cinismo è sulla bocca di un personaggio libero che si assoggetta ad uno schiavo ed è disposto perfino a vendersi la figlia pur di riempirsi la pancia54. b) Se si pensa invece al Persa come ad un intreccio del tutto originale, l’allusione sarebbe invece genuinamente plautina. Secondo Lefèvre (2001, 23 e 38), il personaggio della virgo è squisitamente plautino55, così come il linguaggio equivoco che Tossilo usa ai vv. 127s. è tipico dello Stegreifspiel. Non è difficile immaginare che, nel costruire un intrigo in cui ad un parassita che invoca per sé la patente di cinico viene chiesta in prestito la figlia, a Plauto sia venuto in mente l’aneddoto riguardante uno dei Cinici più celebri e sua figlia. Con questa allusione Plauto, la cui abilità con i giochi di parole è tratto stilistico peculiare, avrebbe combinato il gioco di doppi sensi con il verbo dare. Inoltre, i versi che stiamo analizzando sono stati sfruttati anche in un’altra direzione. Proprio i vv. 116-26 del Persa, infatti, sono ritenuti da Coppola (1990, 82s.) l’esempio più significativo del disprezzo di Plauto per i filosofi greci: «Il paragone che il parassita Saturione fa di se stesso con un Cinico […] evidenzia fino a che punto il Sarsinate disprezzasse questa categoria di intellettuali». Non è certo questa la sede per riprendere la questione dell’atteggiamento di Plauto verso la filosofia greca, sia esso di pregiudizio o di smaccato disprezzo, di riverente consapevolezza d’inferiorità intellettuale o di orgogliosa rivendicazione di ingegno latino. Ritengo, tuttavia, che il peso che Coppola dà a questo passo come prova del misoellenismo plautino sia eccessivo: il paragone tra filosofo e parassita era pur sempre presente e frequente nella commedia greca56. Lo stesso Coppola (1990, 83 n. 112), d’altronde, dopo aver citato i vv. 260ss. dell’Eunuchus di Terenzio, passo in cui necessario il legame di parentela fra la virgo e il parassita, perché ella possa essere legalmente reclamata dal padre dopo che è stata venduta a Dordalo. Ecco perché la dinamica dell’intreccio richiede che Saturione abbia una figlia». 54 Sulle affinità tra l’intellettuale e il parassita nell’ambito della parodia filosofica in commedia, fondamentale è NESSELRATH (1985, 39-46, 450-3). Tra gli studi più aggiornati, cf. IMPERIO (1998, 111 e n. 128); PASETTI (2011, 1-7), con ampia bibliografia. Nello specifico, per il parassita in questione, cf. WOYTEK (1982, 206). 55 «Die Virgo ist eine höchst originelle und sicher originale plautinische Schöpfung. Gerade ihre ‘speaking rôle’, ihr aktiver Part bewirkt saturnalische Aktionen». 56 Cf. supra n. 54. Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 89/99 D. Izzo ritroviamo l’analogia tra filosofo e parassita, commenta che, nonostante tale analogia, Terenzio non solo non mostra nei confronti della filosofia greca, e dei Greci in generale, l’ostilità mostrata da Plauto, ma palesa, al contrario, «una particolare predilezione nei confronti dei nuovi influssi culturali». L’interpretazione in un senso o nell’altro di questo tipo di allusioni scaturisce pertanto da presupposti a monte rispetto alle singole immagini, presupposti sui quali la critica è ancora discorde. Al di là dell’eventuale messaggio che Plauto intendeva veicolare attraverso i riferimenti ai filosofi greci, può essere più utile, ai fini del nostro discorso – che mira piuttosto al significato del singolo brano in esame –, evidenziare i modi in cui Plauto si serviva di questi riferimenti, e gli scopi interni al testo. La critica ha fatto ben emergere come Plauto adattasse i riferimenti filosofici che trovava nei suoi modelli greci mediante i due stratagemmi della semplificazione e della funzionalità allo scherzo. Lo stesso termine philosophari allude sempre alle astuzie del ragionamento, efficaci per confondere l’avversario e per favorire il proprio successo in un confronto dialettico e nella riuscita di un inganno. I richiami alla filosofia e ai filosofi sono funzionali, cioè, al «sistema comico dell’inganno intelligente»57. Così abbiamo visto che, nel nostro caso, siamo di fronte alla convergenza della maschera del parassita con quella del filosofo (vv. 118-26), che si combina con lo stratagemma dell’allusione parodica ad elementi filosofici con funzionalità allo scherzo e con i doppi sensi linguistici, tipici della lingua di Plauto (127s.). Nel confronto tra le due maschere, infatti, si è osservato come il parassita sfrutti spesso la filosofia per trarsi d’impaccio con una battuta filosofica: nel Persa, Panciapiena addirittura promette in dote alla figlia dei libri di battute58. Per altro, nel caso specifico dei versi in questione, assistiamo ad una divertente variatio di tale stratagemma, dal momento che non si tratta di una battuta filosofica, ma di un riferimento ad un aneddoto verosimilmente avvertito come scandaloso riguardante il noto filosofo Cratete di Tebe. Donatella Izzo Via S. Pasquale s.n.c. Cassino (FR) [email protected] 57 PETRONE (1992, 54). Sull’atteggiamento di Plauto nei confronti della cultura greca e sui modi con cui si serviva di riferimenti ad essa cf. PERNA (1955, 225ss.); CÈBE (1960); ALFONSI (1964); DELLA CORTE (19672, 81s.); STAWECKA (1967-1968); ZEHNACKER (1974); DUMONT (1992); LEFÈVRE (1992, 139-42); PETRONE (1992); COPPOLA (1990, 71-3 e 80ss.); PASETTI (2011, 7-10 e relative note). 58 Cf. PASETTI (2011, 13ss.). Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 90/99 D. Izzo Riferimenti bibliografici ALFONSI 1964 L. Alfonsi, Note plautine, «Dioniso» XXXVIII 8-11. AMMENDOLA 1922 G. Ammendola (a cura di), Plauto. Il Persa, Lanciano. ARTHUR 1973 M.B. Arthur, Early Greece: the origins of western attitude toward women, «Arethusa» VI/1 7-58. BARIGAZZI 1965 A. Barigazzi, La formazione spirituale di Menandro, Torino. BARONCELLI – LAPINI 2001 F. Baroncelli – W. Lapini, Ipparchia di Maronea, sorella di Metrocle cinico, sposa di Cratete tebano, e il perfido Teodoro, «Maia» LIII/3 635-42. BETTINI 1991 M. Bettini, Verso un’antropologia dell’intreccio e altri studi su Plauto, Urbino. BILLERBECK 1979 M. Billerbeck, Der Kyniker Demetrius. Ein Beitrag zur Geschichte der frühkaiserzeitlichen Popularphilosophie, Leiden. BILLERBECK 1991a M. Billerbeck (Hrsg.), Die Kyniker in der modernen Forschung: Aufsätze mit Einführung und Bibliographie, Amsterdam. BILLERBECK 1991b M. Billerbeck, Greek Cynicism in imperial Rome, in Id. (Hrsg.), Die Kyniker in der modernen Forschung: Aufsätze mit Einführung und Bibliographie, Amsterdam, 147-66. BILLERBECK 1993 M. Billerbeck, Le cynisme idéalisé d’Épictète à Julien, in M.-O. Goulet-Cazé – R. Goulet (éds.), Le cynisme ancien et ses prolengements, Atti di un Incontro di studi (Parigi, 22-25 luglio 1991), Paris, 319-38. BILLOT 1993 M.F. Billot, Antisthène et le Cynosarge dans l’Athènes des Ve et IVe siècles, in M.-O. Goulet-Cazé – R. Goulet (éds.), Le cynisme ancien et ses prolengements, Atti di un Incontro di studi (Parigi, 2225 luglio 1991), Paris, 69-116. BLUME 1981 H.D. Blume, Das römische Drama, in E. Wischer (Hrsg.), Propyläen-Geschichte der Literatur: Literatur und Gesellschaft der westlichen Welt, I: Die Welt der Antike: 1200 v. Chr.-600 n. Chr., Berlin, 369-88. BRANHAM – GOULET-CAZÉ 1996 R.B. Branham – M.-O. Goulet-Cazé (eds.), The Cynics: the cynic movement in antiquity and its legacy, Berkeley. Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 91/99 D. Izzo BUORA 1973-1974 M. Buora, L’incontro tra Alessandro e Diogene. Tradizione e significato, «AIV» CXXXII 243-64. BURGERSDIJK 1949 L.A.J. Burgersdijk jr., De overwinningsfuif in Plautus’ Persa, «Hermeneus» XXI 3 53-7. BURKERT 1962 W. Burkert, Weisheit und Wissenschaft: Studien zu Pythagoras, Philolaos und Platon, Nürnberg. CAIZZI 1964 F. Caizzi, Antistene, «StudUrb» XXXVIII 48-99. CAMBRON-GOULET 2007 M. Cambron-Goulet, Les Cyniques, penseurs dans la norme et citoyens de la marge, «C 109-36. » XLIV CANTARELLA 20103 E. Cantarella, L’ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nell’antichità greca e romana (1981), Milano. CARENA 1975 C. Carena (a cura di), Plauto. Le commedie, Torino. CEBE 1960 J.P. Cèbe, Le niveau culturel du public plautinien, «REL» XXXVIII 101-106. CHIARINI 19832 G. Chiarini, La recita. Plauto: la recita, la farsa, la festa (1979), Bologna. CHIARINI 1987 G. Chiarini, Le strutture della commedia greca a Roma, «Dioniso» LVII 323-41. COBET 1858 C.G. Cobet, Novae lectiones, quibus continentur observationes criticae in scriptores Graecos, Lugduni Batavorum. COPPOLA 1990 G. Coppola, Cultura e potere. Il lavoro intellettuale nel mondo romano, Messina. D’ANNA 1959 G. D’Anna, Il finale del ( ) e il teatro Plautino, «RCCM» I/3 298-306. DANESE 2002 R.M. Danese, Modelli letterari e modelli culturali del teatro plautino, in C. Questa – R. Raffaelli (a cura di), Due seminari plautini, Urbino, 133-53. DANESE 2011 R.M. Danese, La drammaturgia del Persa fra standards e originalità, in R. Raffaelli – A. Tontini (a cura di), Lecturae plautinae sarsinates, XIV, Persa, Urbino, 39-68. Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 92/99 D. Izzo DARESTE 1898 R. Dareste, Le Persan de Plaute, in Mélanges Henri Weil, Paris, 107-10. DELLA CORTE 19672 F. Della Corte, Da Sarsina a Roma: ricerche plautine (1952), Firenze. DESMOND 2008 W. Desmond, Cynics, Berkeley. DITTMAR 1912 H. Dittmar: Aischines von Sphettos. Untersuchungen und Fragmente, Berlin. DONZELLI 1959 G. Donzelli, Il * Studien di Ippoboto e il zur Literaturgeschichte der Sokratiker. , «RFIC» LXXXVII 24-39. DORANDI 1993 T. Dorandi, La Politeia de Diogène de Sinope et quelques remarques sur sa pensée politique, in M.O. Goulet-Cazé – R. Goulet (éds.), Le cynisme ancien et ses prolengements, Atti di un Incontro di studi (Parigi, 22-25 luglio 1991), Paris, 57-68. DORANDI 2013 T. Dorandi (ed.), Lives of Eminent Philosophers, Cambridge. DOVER 1968 K.J. Dover, Greek Comedy, in M. Platnauer (ed.), Fifty (and twelve) years of classical Scolarship, Oxford, 96-130. DUCKWORTH 1952 G.E. Duckworth, The Nature of Roman Comedy. A Study in Popular Entertainment, Princeton. DUDLEY 1937 D.R. Dudley, A history of cynicism from Diogenes to the 6th century A. D., London. DUMONT 1977 J.Chr. Dumont, Le Persa, d'Aristophane à Plaute?, «RPh» LI/2 249-60. DUMONT 1992 J.Chr. Dumont, Contenu et expressions philosophiques dans la comédie latine, in La langue latine, langue de la philosophie, Atti di un Incontro di studi (Roma, 17-19 maggio 1990), Rome, 39-50. ERNOUT 1938 A. Ernout, Comédies, V: Mostellaria, Persa, Poenulus, Paris. FISCH 1937 M.H. Fisch, Alexander and the Stoics, «AJPh» LVIII 59-82 e 129-51. FRAENKEL 1960 E. Fraenkel, Elementi plautini in Plauto (1922), trad. it. Firenze. Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 93/99 D. Izzo FRIEDRICH 1953 W.H. Friedrich, Euripides und Diphilos, München. VON FRITZ 1981 K. von Fritz, Heinrich Niehues-Pröbsting: "Der Kynismus des Diogenes und der Begriff des Zynismus", «Arcadia» XVI 182-7. GARBARINO 1973 G. Garbarino, Roma e la filosofia greca dalle origini alla fine del II sec. a.C., Torino. GERHARD 1991 G.A. Gerhard, Zur Legende vom Kyniker Diogenes, in M. Billerbeck (Hrsg.), Die Kyniker in der modernen Forschung: Aufsätze mit Einführung und Bibliographie, Amsterdam, 89-106 (= «Archiv für religionswissenschaft» 1912 XV 388-408). GIANNANTONI 1990 G. Giannantoni, Socratis et Socraticorum reliquiae, vol. IV, Napoli. GIANNANTONI 1993 G. Giannantoni, Antistene fondatore della scuola cinica?, in M.-O. Goulet-Cazé – R. Goulet (éds.), Le cynisme ancien et ses prolengements, Atti di un Incontro di studi (Parigi, 22-25 luglio 1991), Paris, 15-34. GIANNATTASIO ANDRIA 1980 R. Giannattasio Andria, Diogene Cinico nei papiri ercolanesi, «BCPE» X 129-51. GIGANTE 20057 M. Gigante (a cura di), Diogene Laerzio. Vite dei filosofi (1962), Roma-Bari. GOULET-CAZE 1982 M.-O. Goulet-Cazé, Un syllogisme stoïcien sur la loi dans la doxographie de Diogène le cynique. À propos de Diogène Laërce VI 72, «RhM» CCXV 214-40. GOULET-CAZÉ 2003 M.-O. Goulet-Cazé, Les Kynika du stoïcism, Stuttgart (= «Hermes Einzelschriften» LXXXIX). GOULET-CAZÉ 2005 M.-O. Goulet-Cazé, Le cynisme ancien et la sexualité, in S. Chaperon – A. Fine (a cura di), Utopies sexuelles, Toulouse, 17-35 (= «Clio: histoire, femmes et société» XXII). GOULET-CAZÉ – GOULET 1993 M.-O. Goulet-Cazé – R. Goulet (éds.), Le cynisme ancien et ses prolengements, Atti di un Incontro di studi (Parigi, 22-25 luglio 1991), Paris. GRIFFIN 1993 M.T. Griffin, Le mouvement cynique et les Romains: attraction et répulsion, in M.-O. Goulet-Cazé – R. Goulet (éds.), Le cynisme ancien et ses prolengements, Atti di un Incontro di studi (Parigi, 2225 luglio 1991), Paris, 241-58. GRIFFIN – BARNES 1989 M.T. Griffin – J. Barnes, Philosophia togata: essays on philosophy and Roman society, Oxford. Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 94/99 D. Izzo GOW – PAGE 1965 A.S.F. Gow – D.L. Page, The Greek anthology, Cambridge. GRILLI 1996 A. Grilli, Divagazioni sulla commedia latina, in C. Consonni (a cura di), Menandro fra tradizione e innovazione, Atti di un Incontro di studi (Monza, 6-7 maggio 1995), Milano, 71-89. GRIMAL 1969 P. Grimal, Analisi del Trinummus e gli albori della filosofia in Roma, «Dioniso» XLIII 363-75. GRIMAL 1986a P. Grimal, Rome. La littérature et l’histoire, Paris. GRIMAL 1986b P. Grimal, Le modèle et la date des Captivi de Plaute, in Id., Rome. La littérature et l’histoire, Paris, 295-314. GRIMAL 1986c P. Grimal, Existe-t-il une ‘morale’ de Plaute?, in Id., Rome. La littérature et l’histoire, Paris, 35771. GRIMAL 1992a P. Grimal, Philosophie et langage, in La langue latine, langue de la philosophie, Atti di un Incontro di studi (Roma, 17-19 maggio 1990), Rome, 1-5. GRIMAL 1992b P. Grimal, La langue latine, langue de la philosophie, in La langue latine, langue de la philosophie, Atti di un Incontro di studi (Roma, 17-19 maggio 1990), Rome, 335-46. GROTIUS 1626 H. Grotius, Excerpta ex tragoediis et comoediis Graecis, Parisiis. GUASTELLA 2002 G. Guastella, I monologhi di ingresso dei parassiti. Plauto e i modelli, in C. Questa – R. Raffaelli (a cura di), Due seminari plautini, Urbino, 155-98. GUILBERT 1962 D. Guilbert, La Persa de Plaute. Une parodie de comédie bourgeoise, «Publications de l’Université de l’état a Elisabethville» III 3-17. HOFMANN 1989 W. Hofmann, Plautinisches in Plautus’ Persa, «Klio» LXXI 399-407. HÖISTAD 1948 R. Höistad, Cynic hero and cynic king, Uppsala. HUEBNER 1833 H.G. Huebner, Commentarii in Diogenem Laertium: Isaaci Casauboni notae atque Aegidii Menagii observationes et emendationes in Diogenem Laertium. Addita est historia mulierum philosopharum ab eodem Menagio scripta. Editionem ad exemplar Westenianum expressam atque indicibus instructam curavit H.G.H., vol. II, Lipsiae. Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 95/99 D. Izzo HÜFFNER 1894 F. Hüffner, De Plauti comoediarum exemplis Atticis quaestiones maxime chronologicae, Göttingen. IMPERIO 1998 O. Imperio, La figura dell’intellettuale nella commedia greca, in A.M. Belardinelli et al. (a cura di), Tessere. Frammenti della commedia greca: studi e commenti, Bari, 43-130. JACHMANN 1931 G. Jachmann, Plautinisches und Attisches, Berlin. JÓZEFOWICZ 1959-1960 B. Józefowicz, Ein Beitrag zur plautinischen Arbeitsweise, «Eos» L 99-108. KASSEL – AUSTIN 1998 R. Kassel – C. Austin, Menander: testimonia et Fragmenta apud scriptores servata, Berolini et Novi Eboraci. KIESSLING 1881-1882 A. Kiessling, Analecta Plautina, vol. II, Gryphiswald. KINDSTRAND 1976 J.F. Kindstrand, Bion of Borysthenes: a collection of the fragments, Uppsala. KINDSTRAND 1980 J.F. Kindstrand, Demetrius the cynic, «Philologus» CXXIV 83-9. KINDSTRAND 1986 J.F. Kindstrand, Diogenes Laertius and the chreia tradition, «Elenchos» VII 217-43. KOCK 1880-1888 T. Kock, Comicorum Atticorum fragmenta, Lipsiae. KÖRTE – THIERFELDER 1953 A. Körte – A. Thierfelder (Hrsg.), Menandri quae supersunt: Reliquiae apud veteres scriptores servatae; opus postumum retractavit, addenda ad utramque partem adiecit A. Thierfelder, Leipzig. KRUEGER 1996 D. Krueger, The Bawdy and Society. The Schamelessness of Diogenes in Roman Imperial Culture, in R.B. Branham – M.-O. Goulet-Cazé (eds.), The Cynics: the cynic movement in antiquity and its legacy, Berkeley, 222-39. LEFÈVRE 1992 E. Lefèvre, Dalla Nea alla palliata: Plauto e Filemone, trad. it. di M.R. Petaccia, «Aevum(ant)» V 129-42. LEFÈVRE 2001 E. Lefèvre, Plautus’ Persa zwischen Persa, Tübingen, 11-94. LEJAY – PICHARD 1925 P. Lejay – L. Pichard, Plaute, Paris. und Stegreifspiel, in S. Faller (Hrsg.), Studien zu Plautus’ Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 96/99 D. Izzo LEO 1906 F. Leo, Diogenes bei Plautus, «Hermes» XLI 441-6. LEO 1912 F. Leo, Plautinische Forschungen, Berlin. LESKY 19713 A. Lesky, Storia della letteratura greca (1957-1958), trad. it. Milano. LOMIENTO 1993 L. Lomiento, Cercidas. Testimonia et fragmenta, Roma. LOWE 1989 J.C.B. Lowe, The virgo callida of Plautus, Persa, «CQ» XXXIX 390-9. LUCK 1997 G. Luck, Die Weisheit der Hunde. Texte der antiken Kyniker, Stuttgart. MARTI 1959 H. Marti, Untersuchungen zur dramatischen Technik bei Plautus und Terenz, Doctoral dissertation, Winterthur. MEYER 1907 M. Meyer, De Plauti Persa, Doctoral dissertation, Lipsiae. MIDDELMANN 1938 F. Middelmann, Griechische Welt und Sprache in Plautus’Komödien, Bochum. MOLES 1983 J.L. Moles, Honestius quam Ambitiosius? An exploration of the Cynic’s Attitude to moral corruption in his fellow men, «JHS» CIII 103-23. MOLES 1993 J.L. Moles, Le cosmopolitisme cynique, in M.-O. Goulet-Cazé – R. Goulet (éds.), Le cynisme ancien et ses prolengements, Atti di un Incontro di studi (Parigi, 22-25 luglio 1991), Paris, 259-80. MÜLLER 1957 G.L. Müller, Das Original des plautinischen Persa, Frankfurt. MUSSO 1968 O. Musso, Filemone, Plauto e una parodia filosofica, «PP» XXIII 187-98. NAVIA 1996 L.E. Navia, Classical cynicism: a critical study, London. NESSELRATH 1985 H.-G. Nesselrath, Lukians Parasitendialog. Untersuchung und Kommentar, Berlin-New York. NIEHUES-PROBSTING 1979 H. Niehues-Proebsting, Der Kynismus des Diogenes und der Begriff des Zynismus, München. Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 97/99 D. Izzo OLSON 2007 S.D. Olson, Broken Laughter: select fragments of Greek comedy, Oxford. OLTRAMARE 1926 A. Oltramare, Les origines de la diatribe romaine, Lausanne. PAQUET 1992 L. Paquet (a cura di), Les cyniques grecs, Fragments et témoignages, prefazione di M.-O. GouletCazé, Paris. PARATORE 1976 E. Paratore (a cura di), Plauto. Tutte le Commedie. Persa, Poenulus, Pseudolus, Firenze. PARTSCH 1910 J. Partsch, Römisches und griechisches Recht in Plautus Persa, «Hermes» XLV 595-614. PASETTI 2011 L. Pasetti, Intellettuali nel Persa? Il parassita, sua figlia e la “filosofia da commedia”, in R. Raffaelli – A. Tontini (a cura di), Lecturae plautinae sarsinates, XIV, Persa, Urbino, 1-23. PASQUALI 1951 G. Pasquali, Stravaganze quarte e supreme, Venezia. PERNA 1955 R. Perna, L’originalità di Plauto, Bari. PETRONE 1992 G. Petrone, Plauto e il vocabolario della filosofia, in La langue latine, langue de la philosophie, Atti di un Incontro di studi (Roma, 17-19 maggio 1990), Rome, 51-7. PRESCOTT 1916 H.W. Prescott, The interpretation of Roman Comedy, «CPh» XI 125-47. QUESTA – RAFFAELLI 2002 C. Questa – R. Raffaelli (a cura di), Due seminari plautini, Urbino. RAFFAELLI – TONTINI 2011 R. Raffaelli – A. Tontini (a cura di), Lecturae plautinae sarsinates, XIV, Persa, Urbino. ROCA FERRER 1974 J. Roca Ferrer, Kynikòs Trópos: cinismo y subversión literaria en la antigüedad, Barcelona. SANDBACH 1979 F.H. Sandbach, Il teatro comico in Grecia e a Roma (1977), Bari. SAYRE 1938 F. Sayre, Diogenes of Sinope: A Study of Greek Cynicism, Baltimore. SAYRE 1948 F. Sayre, Antisthenes the Socratic, «CJ» XVIII 237-44. Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 98/99 D. Izzo SCAFURO 1993 A.C. Scafuro, Staging entrapment: on the boundaries of the law in Plautus’ Persa, «Drama» II 5577. SCANDOLA 2003 M. Scandola, Plauto. Il Persiano, pref. di C. Questa, introd. di E. Rossi, trad. di M. Scandola, Milano. SCHOFIELD 1991 M. Schofield, The Stoic idea of the city, Cambridge. SCHWARTZ 19112 E. Schwartz, Charakterköpfe (1906), vol. II, Leipzig. SHAW HARDY 2005 C. Shaw Hardy, The Parasite's Daughter: Metatheatrical Costuming in Plautus' Persa, «Classical World» IC/1 25-33. SLATER 1985 N.W. Slater, Plautus in performance. The theatre of the mind, Princeton. SONNENBURG 1928 P.E. Sonnenburg, in RE XIV 1 95-126, s.v. T. Maccius Plautus. SSR 1990 G. Giannantoni, Socratis et Socraticorum reliquiae, voll. I-III, Napoli. STÄRK 1991 E. Stärk, Persa oder Ex oriente fraus, in E. Lefèvre – E. Stärk – G. Vogt-Spira (Hrsg.), Plautus barbarus. Sechs Kapitel zur Originalität des Plautus, Tübingen, 141-62. STAWECKA 1967-1968 K. Stawecka, Spuren der philosophischen Virtus in den Komödien von Plautus, «Eos» LVII 211-8. THIELE 1913 G. Thiele, Plautusstudien, «Hermes» XLVIII 522-41. TRAILL 2008 A.E. Traill, Women and the Comic Plot in Menander, Cambridge. WEBSTER 1953 T.B.L. Webster, Studies in later Greek comedy, Manchester. WIEAND 1920 H.E. Wieand, Deception in Plautus. A study in the technique of Roman Comedy, Boston. WILAMOWITZ 19412 U. von Wilamowitz, De tribus carminibus latinis commentatio (1893), in Id., Kleine Schriften, II Berlin, 249-74. Annali Online di Ferrara - Lettere AOFL IX 1 (2014) 99/99 D. Izzo WOYTEK 1982 E. Woytek (Hrsg.), T. Maccius Plautus Persa. Einleitung, Text, Kommentar, Wien. ZANKER 1997 P. Zanker, La maschera di Socrate. L’immagine dell’intellettuale nell’arte antica (1995), Torino. ZEHNACKER 1974 H. Zehnacker, Plaute et la philosophie grecque: a propos du Mercator, in Miscellanea in on. Di P. Boyance, Rome, 769-85.