Comments
Description
Transcript
nuova secondaria ricerca - Edu.lascuola
NUOVA SECONDARIA RICERCA Alternanza e istruzione e formazione professionale: doppia occasione persa di Emmanuele Massagli L’articolo 6 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76 conteneva «Disposizioni in materia di istruzione e formazione» stralciate durante i lavori di conversione del decreto in legge 99 del 9 agosto 2013. La storia dell’abrogato articolo è significativa della difficoltà del Legislatore a intervenire in materia di istruzione e formazione professionale. Il costante rinvio a futuro decreto della risoluzione dei più gravi difetti normativi che affliggono la IeFP determina il perdurare di situazioni normativamente, culturalmente e scientificamente discutibili come l’estrema diffusione della c.d. sussidiarietà integrativa ex punto 2.2 delle «Linee Guida di cui all’articolo 13, comma 1-quinquies del decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito dalla legge 2 aprile 2007, n. 40» approvate in Conferenza Unificata il 16 dicembre 2010, ovvero lo strumento con il quale la maggior parte delle Regioni italiane sostituisce l’obbligo costituzionale di costruzione di un’offerta triennale o quadriennale di istruzione e formazione professionale con i tradizionali percorsi scolastici. Questa scelta è in netta controtendenza con quanto da anni è dimostrato dall’Unione Europea, che ha prodotto numerose indagini per documentare l’efficacia della vocational education and training (VET) come strumento di contrasto alla dequalificazione e alla disoccupazione giovanile grazie all’integrazione scuola lavoro. Purtroppo anche il recente decreto legge 76 non è riuscito a modernizzare la legislazione italiana in materia. Article 6 of Legislative Decree No. 76/2013 laid down “Provisions on education and training” which were disregarded at the time of converting the decree into Act No. 99 of 9 August 2013. The repeal of the foregoing article points to the difficulty on the part of the Legislator to make provisions concerning education and vocational training in Italy. Postponing the attempt to solve the serious shortcomings which characterize national education and vocation training questions the validity of the provisions in place in legal, cultural and academic terms. An example in this connection is the widespread recourse to sussidiarietà integrativa pursuant to ex comma 2.2., Guidelines contained in Article 13, 1quinquies of Law-Decree 31 January 2007, no. 7, converted by Law No. 40 of 2 April 2007, which was passed during an agreement concluded between the parties involved (the State, the Regions and the social actors) on 16 December 2010. This is deemed to be an useful tool through which the majority of Italian Regions replaces the requirement laid down in the Constitution to set up traditional vocational and educational programmes lasting three to four years. This trend somehow runs counter what argued by the European institutions, which carried out a number of surveys in support of vocational education and training as an instrument to tackle overqualification and youth unemployment, by means of effective alternation between school and work. Regretfully, the foregoing decree has proven likewise unsuccessful in modernizing relevant Italian legislation. Sommario: 1. L’articolo 6 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76 – 1.2. Il raccordo tra Istruzione Professionale e Istruzione e Formazione Professionale – 1.2.1. La sussidiarietà integrativa – 1.2.2. La sussidiarietà complementare – 1.3. Le differenze tra sussidiarietà integrativa e complementare – 2. La norma stralciata – 2.1. Il dibattito parlamentare – 3. Ciò che rimane della formazione professionale: i commi contenuti negli articoli 2 e 9 – 3.1. Il tirocinio extra-curriculare – 3.2. L’alternanza scuola lavoro – 3.2.1. La riforma mancata – 4. La riforma mancata bis: il c.d. DL Scuola – 5. Conclusioni – 6. Nota bibliografica 1. L’articolo 6 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76 L’articolo 4 della bozza del decreto-legge 28 giugno 2013 n. 76, circolato in rete fino al giorno della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, recava «Disposizioni in materia di istruzione, formazione e Enti di ricerca» e conteneva sei commi volti ad ampliare gli spazi di flessibilità per la sussidiarietà integrativa, ad aumentare la dotazione economica del fondo per gli istituti tecnici superiori (ITS), ad assumere personale © NS Ricerca n. 3, novembre 2013 con compiti ispettivi e di monitoraggio nelle scuole, a permettere agli enti pubblici di ricerca la deroga alle procedure sulle assunzioni. Notizia positiva era contenuta al comma 1, quello dedicato agli ITS; neutrali in termini di miglioramento dell’istruzione e formazione i commi 4 e 6, riguardanti la valorizzazione e sviluppo professionale dei docenti, l’assunzione di ispettori e la deroga sul personale per gli enti pubblici di ricerca. La “nota stonata” era da subito parso il comma 3, dedicato al 1 NUOVA SECONDARIA RICERCA potenziamento delle ore di flessibilità negli istituti professionali, ovvero l’unico passato indenne alla discussione in Consiglio dei Ministri e quindi pubblicato in Gazzetta Ufficiale, diventando comma singolo dell’articolo 6 consegnato alla discussione emendativa del Senato per la conversione in Legge («Disposizioni in materia di istruzione e formazione»). 1.2. Il raccordo tra Istruzione Professionale e Istruzione e Formazione Professionale La norma superstite permetteva agli istituti professionali statali di utilizzare anche nel primo anno del secondo biennio spazi di flessibilità entro il 25% dell’orario annuale delle lezioni per «favorire organici raccordi tra i percorsi di istruzione e formazione professionale regionale e quelli degli istituti professionali statali»1, svolgendo i primi in regime di «sussidiarietà integrativa». Per farlo era permesso agli istituti di Stato derogare quanto previsto nell’articolo 5, comma 3, lettera c) del D.P.R. 15 marzo 2010 n. 87, che limita tale facoltà al solo primo biennio2. Poche righe, apparentemente marginali, leggibili come dovuto atto amministrativo per sanare una situazione di vuoto normativo nell’ambito dell’utilizzo della «sussidiarietà integrativa». 1.2.1. La sussidiarietà integrativa Il termine «sussidiarietà integrativa» deve la sua formalizzazione al punto 2.2 delle «Linee Guida di cui all’articolo 13, comma 1-quinquies del decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito dalla legge 2 aprile 2007, n. 40» approvate in Conferenza Unificata il 16 dicembre 2010. Le Linee Guida, in seguito recepite da un decreto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca3, hanno inteso indirizzare le modalità di raccordo tra i percorsi degli istituti professionali e i percorsi di istruzione e formazione professionale, in coerenza con le «Linee Guida per il passaggio al nuovo ordinamento degli istituti professionali, primo biennio», di cui alla Direttiva MIUR n. 65 del 28 luglio 2010 n. 65. Al Capo II, le Linee Guida del 16 dicembre 2010 recano «Offerta sussidiaria degli Istituti Professionali». Chi ha maggiore confidenza col termine “sussidiarietà” in ambito politico e amministrativo, non può non notare la diversa sfumatura di significato assunta dal termine in questo caso. Se infatti nel campo dei poteri pubblici e dei soggetti privati è previsto che «le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, 2 sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza»4 (sussidiarietà verticale) e che tutti questi attori pubblici «favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà»5 (sussidiarietà orizzontale), in questo caso la definizione è ribaltata: si regola il ruolo sostitutivo dello Stato rispetto all’autonomia delle Regioni (le quali hanno competenza esclusiva sull’istruzione e formazione professionale, IeFP) e delle Agenzie, prevalentemente private, che operano nelle stesse Regioni mediante i diversi sistemi di accreditamento. Di conseguenza è sancito nelle Linee Guida che «gli Istituti Professionali possono svolgere, in regime di sussidiarietà (…) nel rispetto delle competenze esclusive delle Regioni, un ruolo integrativo e complementare nei confronti dell’offerta delle istituzioni formative del sistema di IeFP». La ratio della previsione è quella di «assicurare il diritto degli studenti in possesso del titolo conclusivo del primo ciclo di accedere ai percorsi del secondo ciclo sia nell’istruzione secondaria superiore, sia in quelli del sistema di IeFP». Effettivamente tale opzione è un diritto di ogni giovane italiano dal 2005, grazie all’articolo 2 comma 1 lettera g) della legge 28 marzo 2003 n. 53 (c.d. Legge Moratti) e dai successivi Decreto Legislativo 17 ottobre 2005 n. 226 e legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 64, c. 4 bis6. La completa fruibilità di questo diritto prevedrebbe la necessaria strutturazione di un’offerta di IeFP reale, distinta dai tradizionali percorsi di istruzione professionale ed erogata tramite le strutture formative accreditate dalle Regioni. I dati ISFOL7 dimostrano, però, che a quasi dieci anni dalla 1. L’Istruzione Professionale (IP), erogata tramite gli Istituti Professionali, è di esclusiva competenza statale e dipende dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. L’offerta formativa è organizzata su cinque anni di scuola. Diversamente, l’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) è erogata tramite i Centri di Formazione Professionale (CFP) accreditati dalle Regioni, le quali hanno competenza esclusiva su questa offerta, previo il rispetto dei Livelli Essenziali di Prestazione (LEP) definiti dal D. Lgs. 17 ottobre 2005 n. 226. I percorsi formativi di IeFP prevedono 22 qualifiche triennali e 21 diplomi quadriennali. Sia l’IP che la IeFP si rivolgono prevalentemente ai giovani a partire dai 14 anni e consentono di assolvere l’obbligo di istruzione e il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione. 2. Al secondo biennio è dedicata la lettera b) dello stesso comma, in coerenza con quanto concordato nelle «Linee Guida di cui all’articolo 13, comma 1-quinquies del decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito dalla legge 2 aprile 2007, n. 40» approvate in Conferenza Unificata il 16 dicembre 2010 (punto 2.2). 3. Decreto MIUR 18 gennaio 2011 n. 4. 4. Articolo 118, comma 1, Costituzione italiana. 5. Articolo 118, comma 4, Costituzione italiana. 6. Per una più completa ricostruzione normativa della materia si veda il Quadro riepilogativo della normativa e dei documenti di riferimento sul II ciclo e i percorsi di IFP dal 2003 al 2012 in ISFOL, Percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno della sussidiarietà a.f. 2011-12. Rapporto di monitoraggio delle azioni formative realizzate nell’ambito del diritto-dovere, Roma, dicembre 2012, pag. 11. 7. ISFOL, Percorsi, cit. © NS Ricerca n. 3, novembre 2013 NUOVA SECONDARIA RICERCA parificazione di IeFP e IP (Istruzione Professionale) sono solo sette le Regioni che hanno assicurato un’offerta strutturale di istruzione e formazione professionale recependo i livelli essenziali di prestazione (LEP) nella propria legislazione e iscrivendo il finanziamento della IeFP nel bilancio regionale. La maggioranza delle Regioni, quindi, eroga la IeFP non mediante strutture formative accreditate, ma ricorrendo alle ore di flessibilità concesse agli Istituti Professionali. Scaricando, quindi, il finanziamento della formazione sul bilancio statale, poiché strutture, organici e docenti sono pagati dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Solo la modalità più “pura” grava sul bilancio regionale, spesata con risorse proprie, con fondi europei e con trasferimenti dall’unico stanziamento nazionale previsto a questo scopo (nonostante la natura di LEP), ovvero un fondo destinato del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di importo pari a poco più di 180 milioni di euro nel 20128, dei quali l’80% destinati sulla base degli iscritti ai centri di formazione professionale CFP e per il 20% sulla base degli iscritti a scuola9. Se si considera che gli studenti del canale formativo professionale sono quasi centuplicati rispetto al primo anno sperimentale di IeFP (da 23.562 nel 2003/2004 a 241.620 nel 2011/2012)10, pur diminuendo le risorse ad essi destinate al momento della messa a regime dei percorsi di IeFP11, si comprende la prima e sostanziale “difesa” delle Regioni inadempienti all’obbligo di strutturazione di una vera offerta di istruzione e formazione professionale: scarse risorse in bilancio. Invero dietro a questa ragione, pur fondata, si nascondono ancor più insormontabili motivi ideologico/politici, che hanno convinto Regioni relativamente ricche come Toscana, Marche, Umbria ed Emilia Romagna12 ad assolvere al proprio compito solo mediante la «sussidiarietà integrativa» di cui alle citate Linee Guida. 1.2.2. La sussidiarietà complementare Modello ben diverso è quello scelto negli anni da Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia e le Province di Trento e Bolzano in primis, ma anche da Lazio e Liguria, seppur con numeri più piccoli. In queste Regioni si è costruito un vero canale di formazione professionale triennale e quadriennale alternativo all’istruzione professionale quinquennale, erogato da Agenzie accreditate e scelto da un numero crescente di studenti. Questa significativa e costante moltiplicazione dei frequentanti ha però completamente assor© NS Ricerca n. 3, novembre 2013 bito la capacità dei centri di formazione professionale di rispondere alla domanda, obbligando le Regioni a ricorrere alla «sussidiarietà complementare» degli istituti pofessionali così come regolata dal punto 2.2, Tipologia B, delle Linee Guida del 2010: «Gli studenti possono conseguire i titoli di Qualifica e Diploma Professionale presso gli Istituti Professionali. A tal fine, gli Istituti Professionali attivano classi che assumono gli standard formativi e la regolamentazione dell’ordinamento dei percorsi di IeFP, determinati da ciascuna Regione nel rispetto dei livelli essenziali di cui al Capo III del decreto legislativo n. 226/2005, ferma restando l’invarianza della spesa rispetto ai percorsi ordinari degli istituti professionali secondo quanto previsto al punto 4». 1.3. Le differenze tra sussidiarietà integrativa e complementare Negli anni è andato quindi formandosi un sistema quadripolare, normativamente e politicamente complesso. Le Province di Trento e Bolzano, sfruttando i maggiori margini di autonomia giuridica ed economica garantitigli dallo Statuto Speciale e la solida cultura di formazione professionale ereditata dai confinanti Paesi di lingua tedesca, sono riuscite a strutturare un’offerta di istruzione e formazione professionale interamente gestita dalle Province, senza ricorrere al supporto “sussidiario” dello Stato13. Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Piemonte, Lazio e Liguria (pressappoco in ordine di rapporto tra diffusione della IeFP e della IP) hanno costruito un sistema misto, caratterizzato dall’offerta regionale, incapace però di esaurire la domanda e quindi necessariamente bisognosa dell’aiuto della Istruzione Professionale, alla quale si ricorre mediante la sussidiarietà complementare, quindi senza commistioni 8. Per comprendere le dimensioni del trasferimento, si consideri che la sola Lombardia impegna ogni anno per il diritto-dovere 210.354.015 euro. A seguire il Veneto (82.557.337) e il Lazio (48.500.000). Per i dati completi si veda: ISFOL, Percorsi, cit., pag. 39. 9. Si veda l’ultimo Decreto del Direttore Generale per le Politiche per l’Orientamento e la Formazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 871 del 5 novembre 2012 per le ripartizioni di dettaglio. 10. Fase terminata con l’emanazione dei regolamenti di riordino della secondaria di II grado, come previsto dall’Accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni del 27 luglio 2011 recepito con Decreto Interministeriale MIUR/MLPS dell’11 novembre 2011. 11. Nei primi anni di sperimentazione il fondo del Ministero del lavoro era affiancato da altri stanziamenti disposti dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. 12. Quest’ultimo è un caso particolarmente significativo, poiché la Regione è normativamente ferma a prima del 2003 e prevede la formazione professionale biennale solo successivamente al periodo scolastico. 13. Non solo hanno declinato l’intervento “sussidiario” statale, ma addirittura non hanno attivato i quinquenni dell’Istruzione Professionale. Un ragazzo di quattordici anni può quindi scegliere o l’Istruzione Tecnica “tradizionale” o l’Istruzione e Formazione Professionale di competenza provinciale. 3 NUOVA SECONDARIA RICERCA tra i due canali formativi, ma chiedendo alla scuola di comporre classi interamente dedicate alla Istruzione e Formazione Professionale. Toscana, Emilia Romagna, Marche, Umbria e Valle D’Aosta hanno politicamente deciso di non costruire un’offerta regionale di IeFP, scaricando sulla scuola la responsabilità di questo canale costituzionalmente garantito mediante la sussidiarietà integrativa, quindi permettendo agli studenti delle classi quinquennali di conseguire anche (o solo) il titolo triennale usufruendo degli spazi di flessibilità del primo biennio. Da ultimo, è doveroso segnalare anche la situazione delle restanti Regioni (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna), tuttora di difficile interpretazione a cause di normative assenti14, numeri dichiarati non corrispondenti o addirittura nulli15, situazioni di grave inadempimento16. Tralasciando i due estremi, è evidente la differenza tra la sussidiarietà complementare e quella integrativa: la prima, nella prassi, è lo strumento nelle mani delle Regioni “virtuose” (per quanto concerne l’adempimento dei compiti assegnatigli in materia di formazione professionale) per soddisfare la domanda di formazione non accoglibile nelle strutture accreditate. Con la sussidiarietà complementare, infatti, si chiede alle scuole di comporre delle classi dedicate alla Istruzione e Formazione Professionale. Che certamente, così erogata, risente della diversa preparazione della classe docente e della diversa filosofia dell’istituzione, ma evita commistione tra i due percorsi, quello triennale e quello quinquennale. Al contrario, la sussidiarietà integrativa è divenuta negli anni l’occasione per le Regioni inadempienti di aggirare i compiti assegnati dalla Riforma del Titolo V della Costituzione (1997-2001) e dalla Legge Moratti (2003). È concessa ai ragazzi la possibilità di conseguire una qualifica triennale solo attraverso l’obbligatoria frequentazione dei corsi statali quinquennali, terminabili dopo tre anni a patto di lavorare più dei compagni di classe per recuperare le competenze professionali nei momenti di flessibilità oraria. Più semplicemente: il canale di IeFP, pensato per fornire ai giovani competenze subito spendibili nel mondo del lavoro grazie a un rapporto più diretto con le imprese e a un periodo di formazione ridotto, diventa, nelle Regioni citate, un “lusso” formativo che impegna maggiormente il giovane obbligandolo a rimanere ancor più tempo in aula. Si realizza il contrario di quella che dovrebbe essere la formazione professionale come immaginata nella legge 53 del 2003: un percorso pen- 4 sato per essere più breve, esperienziale ed economico per le casse pubbliche, diventa più difficoltoso teoricamente e come impegno di tempo, nonché maggiormente dispendioso per lo Stato. 2. La norma stralciata Tale percorso è talmente complesso da organizzare nel solo biennio (poiché a norma del DPR 10 marzo 2010 n. 87 la quota di flessibilità di queste sole annualità è quella utilizzabile)17 che diventa impossibile per le Regioni adempiere all’impegno preso con i ragazzi ai quali si è promesso il conseguimento della qualifica dopo tre anni. È per risolvere questo problema, certamente non secondario, che i tecnici del competente Ministero hanno redatto lo stralciato articolo 6 del Decreto Legge. Le poche righe della disposizione normativa permettevano di rendere più agibile l’«offerta sussidiaria integrativa» come definita dalle Linee Guida del 2010, superando il vincolo di flessibilità al primo biennio. Si risolveva così quanto segnalato dalla prassi: l’assoluta impossibilità pratica di sfruttare la previsione normativa entro «i limiti degli assetti ordinamentali e delle consistenze di organico» previsti dallo stesso D.P.R. 15 marzo 2010 n. 87. Per quanto guidata da un intento corretto, quantomeno come attenzione verso gli incolpevoli fruitori finali, ovvero gli studenti, la disposizione non nascondeva troppo la sua origine “statalista”. L’articolo 6, infatti, era rilevante per i soli istituti professionali di Stato, resi più competitivi dalla possibilità di poter effettivamente garantire anche la qualifica triennale. Così facendo il Legislatore, ancora una volta, dimenticava che in Italia il vero canale di formazione professionale è quello regionale, non scolastico e non statale, attivato a seguito della Riforma del 2003 e da essa parificato agli altri ordini scolastici. Forme ibride e “grigie” di assolvimento di questo compito costituzionalmente assegnato restano (o dovrebbero restare) eccezioni, per quanto numericamente affermatesi come normalità. L’anomalia della norma abrogata durante i lavori di approvazione della Legge 9 agosto 2013, 14. È il caso della Campania. 15. È il caso della Sardegna, che ha dichiarato zero studenti per l’anno 2011/2012. 16. Si ricordano alcune denunce pubbliche relative alla Sicilia, che segnalano frequenti ritardi nell’attivazione delle classi. È nota la difficoltà della Regione nel controllo di tutta la Formazione Professionale, obbligatoria e non obbligatoria. 17. Il 35% di flessibilità nel secondo biennio e il 40% nell’ultimo anno è destinato ad altro fine: «corrispondere alle esigenze del territorio e ai fabbisogni formativi espressi dal mondo del lavoro e delle professioni». © NS Ricerca n. 3, novembre 2013 NUOVA SECONDARIA RICERCA n. 99, dunque, non risiedeva tanto nella possibilità di deroga all’utilizzo della flessibilità oraria negli istituti professionali, quanto nella strutturalità di una concessione non finalizzata a salvare una situazione già in svolgimento, con carattere di temporaneità, allo scopo di tutelare gli studenti in corso nella IP, bensì mirante esplicitamente a perfezionare il meccanismo della sussidiarietà integrativa dimostratosi difettoso nella originale formulazione delle Linee Guida del 2010 poiché ostacolato dalle previsioni del precedente D.P.R. 87/2010. 2.1. Il dibattito parlamentare Attorno a questo articolo, apparentemente insignificante per i non addetti ai lavori, si sono confrontate, approfittando del dibattito parlamentare, le tradizionali correnti di pensiero dottrinale e amministrativo sulla Istruzione e Formazione Professionale italiana. A favore della norma si sono espresse le Regioni del CentroNord che da sempre utilizzano la sussidiarietà integrativa e il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che ha tuttora “in casa” il problema che si tentava di risolvere (il terzo anno dei giovani “sussidiariati”). Sposavano questa direzione culturale anche due emendamenti di riscrittura dell’articolo 6 presentati da alcuni esponenti della maggioranza18. Bifronte lo schieramento dei contrari. Da una parte, alcune grandi centrali della formazione professionale, diffuse su tutto il territorio nazionale, hanno visto nella legge in conversione un ottimo veicolo per affermare la purezza del percorso regionale, presentando un emendamento mirante ad abrogare le sussidiarietà integrativa e complementare a partire dall’anno scolastico 2017/201819. Posizione assolutamente ragionevole, ma contraddittoria internamente. L’affermazione di un principio fondato (anche a parere di chi scrive), ovvero la necessità di un vero canale alternativo all’istruzione professionale su tutto il territorio nazionale, era declinata impedendo tanto la forma di sussidiarietà (al contrario) realmente utilizzata in funzione sostitutiva, quella integrativa, quanto quella complementare, ovvero il veicolo attraverso il quale le Regioni che hanno normativamente e culturalmente sposato la IeFP erogano la formazione che non riescono a soddisfare nelle strutture accreditate (funzione realmente complementare e non sostitutiva). A questo secondo gruppo di Regioni era così negata questa possibilità senza nessun impegno dello Stato a maggiori trasferimenti economici per accogliere le richieste respinte dalle Amministrazioni per meri, ma concretissimi, © NS Ricerca n. 3, novembre 2013 motivi di bilancio. Probabilmente l’apposizione della curiosa scadenza temporale riferita a settembre 2017 aveva proprio lo scopo di dare tempo allo Stato e alla Ragioneria di trovare le risorse chieste a gran voce da Lombardia e Veneto soprattutto. Una garanzia fumosa: il rischio concreto era la diminuzione degli iscritti alla IeFP a partire dal 2017, poiché sia i giovani impegnati in sussidiarietà integrativa che, soprattutto, quelli impegnati nella complementare, realisticamente sarebbero stati dirottati sulla IP. Un emendamento di questo genere ha, quindi, allarmato le Regioni che maggiormente utilizzano la seconda forma di sussidiarietà e ha compattato un fronte alternativo di operatori avversi all’articolo 6, che ha provato ad emendare il Decreto Legge 20 rendendo l’articolo 6 norma temporanea, abolendo la sussidiarietà integrativa a partire dal successivo anno scolastico e obbligando la sussidiarietà complementare entro percentuali massime di iscrizioni ai percorsi triennali. Culturalmente la direzione di questo correttivo era la stessa della proposta precedente, ma la soluzione legislativa certamente più pragmatica: si salvavano così i percorsi in svolgimento, si superava la sussidiarietà “grigia”, quella sostituiva, garantendo comunque un margine di sicurezza per la sussidiarietà complementare assolutamente necessario in caso di immutata quota di trasferimenti Stato-Regioni. Gli emendamenti di entrambi questi fronti hanno ricevuto parere contrario sia del Ministero competente che del Governo, nonostante il sostegno di parte della stessa maggioranza. È stato probabilmente questo favore manifestato da autorevoli esponenti del Popolo delle Libertà, di Scelta Civica, ma anche del Movimento 5 Stelle, che ha convinto l’aula del Senato a votare una soluzione “oratoriana” (più che mai su queste materie): nessuno degli emendamenti presentati è stato recepito, ma è stata accolta la comune esigenza dei contrari di abolire l’articolo 6, recependo un emendamento in tal senso dei relatori e dei senatori del Movimento 5 Stelle21. 18. Il riferimento è agli emendamenti 6.200 a firma di Santini e Lepri (Partito Democratico), poi ritirato, e 6.201 a firma Olivero (Scelta Civica) poi ritenuto precluso (ovvero incompatibile col testo o con altri emendamenti approvati). 19. Il riferimento è all’emendamento 6.202 a firma sen. Catalfo (Movimento 5 Stelle), ritenuto precluso. 20. Emendamento 6.205 a firma Sacconi, Mussolini, Pagano, Piccinelli, Serafini (Popolo delle libertà) ritirato nel corso dei lavori. 21. È stato quindi accolto l’emendamento 6.700 presentato dai relatori Salvatore Sciascia e Maria Grazia Gatti. Di stesso contenuto era anche l’emendamento 6.1 a firma Catalfo, Bulgarelli, Blundo. 5 NUOVA SECONDARIA RICERCA 3. Ciò che rimane della formazione professionale: i commi contenuti negli articoli 2 e 9 Nella legge 99/2013 non è quindi dedicato nessun articolo alla formazione professionale. Eppure di interventi (non solo e non tanto in materia di sussidiarietà integrativa e complementare) il settore ha certamente bisogno e non bastano le poche e confuse righe dedicate all’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale contenute all’articolo 9 o l’impegno amministrativo sui tirocini extracurriculari di cui all’articolo 2. Gli operatori della formazione hanno perso un’occasione preziosa di intervento e probabilmente, qualora vi fosse stato un accordo tra questi e le Regioni nelle quali la IeFP è forte e diffusa di modo che non fossero presentati due emendamenti diversi, un articolo pensato per rinforzare l’offerta formativa dell’istruzione professionale poteva diventare lo strumento col quale sanare definitivamente la cronica situazione elusiva della IeFP sancita dalle Linee Guida del 2010. A discolpa degli operatori va comunque evidenziato che sempre di più la formazione professionale sta diventando materia normativamente complessa, appesantita da centinaia di disposizioni stratificatesi nel tempo, sovrapposte tra Stato e Regioni, scritte con un linguaggio esoterico e incomprensibile a un neofita. Ulteriore riprova della direzione sbagliata intrapresa dal Legislatore negli ultimi dieci anni, poiché la materia inevitabilmente dovrebbe prediligere la semplicità per essere comprensibile a famiglie e ragazzi di 14 anni. 3.1. Il tirocinio extra-curriculare Sintomatico in questo senso è in particolar modo il comma 14 dell’articolo 2 del Decreto Legge 76 convertito in Legge 99, nel quale si demanda a futuro decreto del Ministro dell’Istruzione, dell’Università della Ricerca, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, l’individuazione dei criteri e delle modalità «per definire piani di intervento, di durata triennale, per la realizzazione di tirocini formativi in orario extracurricolare presso imprese, altre strutture produttive di beni e servizi o enti pubblici, destinati agli studenti della quarta classe delle scuole secondarie di secondo grado, con priorità per quelli degli istituti tecnici e degli istituti professionali, sulla base di criteri che ne premino l’impegno e il merito». Anche in questo caso l’obiettivo è certamente meritorio, ma parziale lo strumento usato per conseguirlo. La norma vuole 6 incentivare l’alternanza scuola lavoro per il tramite del tirocinio formativo in orario extracurriculare. È certamente interessante l’accento sulla extrascolasticità dello stage, poiché è dimostrato che più le esperienze lavorative sono reali, più sono formative per il giovane. Solitamente i momenti di lavoro vissuti fuori dall’aula non hanno la natura di esperienza simulata o laboratoriale e per questo risultano particolarmente importanti (e, spesso, educativi) nel percorso di crescita dei ragazzi. Non ci si può non chiedere però, visto che si tratta di una norma “a costo zero”, perché mai il Legislatore si sia concentrato solo sulle classi quarte e sugli studenti meritevoli in termini scolastici. È come se con una mano si fosse aperta una finestra su un mondo di integrazione scuola lavoro finora sconosciuto, mentre con l’altra, immediatamente, ancor prima che qualche spiffero d’aria nuova contaminasse l’ambiente, si fossero serrate le persiane, ribadendo che più tardi i ragazzi incontrano il lavoro “vero” meglio è (non prima della quarta) e che comunque è innanzi tutto necessario andare bene a scuola (gli studenti meritevoli). 3.2. L’alternanza scuola lavoro L’individuazione del “confine” tra simulazione e realtà nella classe quarta risente della prassi in tema di alternanza scuola lavoro. Nel nostro ordinamento si definisce alternanza scuola lavoro la «modalità di realizzazione del percorso formativo progettata, attuata e valutata dall’istituzione scolastica e formativa in collaborazione con le imprese, con le rispettive associazioni di rappresentanza e con le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, che assicuri ai giovani, oltre alla conoscenza di base, l’acquisizione di competenze spendibili nel mercato del lavoro»22. Si tratta, evidentemente, di qualcosa di molto più complesso e strutturale del semplice tirocinio, che è uno degli strumenti a disposizione del metodo pedagogico dell’alternanza. A legislazione vigente sarebbe già possibile, senza alcuna modifica, svolgere il percorso scolastico e formativo tra i 15 e i 18 o 19 anni in alternanza, ovvero intervallando periodi di studio a periodo di lavoro, similmente a quanto avviene nel modello duale tedesco. Nella pratica, però, gli obblighi formativi imposti dalle regole nazionali, le competenze della classe docente e le modalità di svolgimento delle prove di maturità rendono impossibile la costruzione di un percorso completo di alter- 22. Articolo 4 comma 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53. © NS Ricerca n. 3, novembre 2013 NUOVA SECONDARIA RICERCA nanza nel sistema scolastico e difficile anche nel canale dell’istruzione e formazione professionale. Alle difficoltà burocratiche si sommano quelle culturali, tanto degli insegnanti quanto delle famiglie, che vedono nell’alternanza uno strumento di orientamento e “diversificazione” utile solo a permettere ai ragazzi meritevoli del quarto e quinto anno di svolgere (mediamente) quindici giorni in coda all’anno scolastico presso alcune imprese del territorio, solitamente autocandidatesi per motivi di responsabilità sociale. È evidente l’assoluto sottoutilizzo del metodo dell’alternanza, diventata negli anni un “di più” che interessa certamente i ragazzi (agili nel comprenderne le potenzialità una volta che è data loro la possibilità di misurarsi “sul campo”), ma non conta nulla nel percorso e nella valutazione del giovane e non riesce a creare una rete di imprese interessate all’ospitalità non solo per mecenatismo, ma anche come possibilità di formazione, selezione di possibili nuovi collaboratori nonché arricchimento aziendale. La norma dell’articolo 2 si inserisce (anzi, consolida) in questo orizzonte culturale ribassato. zione giovanile, molto più efficace di tanti incentivi e correttivi ben più fortunati politicamente e mediaticamente, oltre che costosi. 4. La riforma mancata bis: il c.d. DL Scuola A un mese esatto24 dalle legge 99 del 9 agosto 2013, il Consiglio dei Ministri ha varato un Decreto Legge in materia di istruzione ancora non integralmente pubblicato mentre si scrive25, del quale sono comunque conosciuti i contenuti grazie a una dettagliata sintesi curata dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, diffusa sui media nazionali26. Per stessa ammissione del titolare delle deleghe, ancora una volta nulla è contenuto nel decreto in materia di alternanza, apprendistato, istruzione e formazione professionale. Argomenti rimandati a futura intesa interministeriale col Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Si tratta dell’ennesima occasione persa in pochi mesi. Sintomo di una filosofia di intervento normativo tutta spostata sulla classe docente e l’edilizia, ma poco attenta agli studenti e alla qualità reale dei loro percorsi. Sarà ora da monitorare il percorso di conversione in legge del Decreto, che si an3.2.1. La riforma mancata nuncia certamente complesso alla luce delle critiche biparIl dibattito parlamentare è stato movimentato anche da un tisan raccolte dal testo proprio in ragione delle poche misure ulteriore emendamento in tema di alternanza, tanto semcontenute per l’innalzamento della qualità dei percorsi scoplice quanto rivoluzionario23. Tra i correttivi bocciati dal Golastici e formativi. verno, infatti, ve ne era uno mirante a permettere l’alternanza scuola lavoro ex articolo 4 della Legge 28 marzo 5. Conclusioni 2003 n.53 non a partire dai quindici anni, bensì dal primo Nel nostro Paese continuano ad essere sottovalutati27 i rianno del ciclo secondario superiore, ovvero da quattordici sultati che, nonostante tutto, la formazione professionale è anni. Intervento giustificato dai dati: l’assoluta maggioranza riuscita a fare in questi anni: i qualificati presso le Istituzioni degli abbandoni scolastici avviene nel primo biennio. La formative sono stati l’80% degli iscritti al terzo anno; alcausa è certamente l’insoddisfazione del giovane rispetto al meno il 45,3% dei giovani iscritti al primo anno nel 2011 percorso scelto. Talvolta per la distanza tra quanto ci si aspetpresso le Istituzioni Formative ha scelto la IFP vocazionaltava e quanto si incontra. Talaltra per l’indole poco speculamente e non come seconda opportunità; la partecipazione tiva dello studente, a disagio con gli insegnamenti teorici. Per queste giovani vittime di drop out l’alternanza (come l’apprendistato di primo livello) può essere una portentosa alternativa al tradizionale percorso scolastico, che permette 23. Si tratta del precluso emendamento 6.10 a firma Sacconi, Mussolini, Pagano, Picloro di conseguire almeno una qualifica o un diploma pro- cinelli, Serafini: «Dopo il comma 1, aggiungere i seguenti: «1-bis. All’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77, sono abrofessionale. Perché allora prevederla solo a partire dal se- gate le parole: “dai 15 ai 18 anni”. condo anno, ribadendo ancora una volta che l’incontro col 1-ter. All’articolo 4, comma 1, della legge 28 marzo 2003, n. 53 sono abrogate le parole: “che hanno compiuto il quindicesimo anno di età”. mondo (reale) del lavoro deve essere preparato dalla teoria 1-quater. All’articolo 4, comma 1, lettera a), della legge 28 marzo 2003, n. 53 sono abrogate le parole: “dai 15 ai 18 anni”» sui banchi? Questo equivoco perdura dal 2003. L’emenda- 24. Consiglio dei Ministri n. 23, 9 settembre 2013, Roma. mento intendeva scardinarlo, rendendo utilizzabile il me- 25. Per questo non è possibile riportare la numerazione esatta del Decreto Legge. 26. Si vedano la sintesi e la presentazione significativamente intitolate L’istruzione ritodo dell’alternanza durante tutto il triennio o quadriennio parte sul sito del Ministero competente. o quinquennio secondario. Si è persa un’occasione per met- 27. La risposta ai successi della IeFP di una cultura costruita sulla superiorità scientifica, educativa e morale dell’istruzione teorico/liceale non potrebbe essere che l’intere a segno un punto fondamentale contro la disoccupa- differenza. © NS Ricerca n. 3, novembre 2013 7 NUOVA SECONDARIA RICERCA dell’utenza di nazionalità straniera è stata pari al 16,5% nei primi tre anni; il costo annuale per allievo presso le Istituzioni formative non scolastiche è inferiore a quello della scuola (mediamente -22%)28; il 56% degli studenti trova lavoro entro 6 mesi dal diploma; i soli CFP raccolgono il 40% di precedenti abbandoni scolastici29. Mentre l’Unione Europea produce decine di documenti per dimostrare l’efficacia della vocational education and training (VET) come strumento di contrasto alla dequalificazione e alla disoccupazione giovanile grazie all’integrazione scuola lavoro30, in Italia non è ancora tempo per superare il paradigma statalista e scolastico-centrico in materia di formazione professionale e alternanza scuola lavoro. La maggior parte delle Regioni non ha mai attivato il percorso di istruzione e formazione professionale presente nel nostro ordinamento dal 2003. L’alternanza scuola lavoro è un metodo pedagogico rimasto sulla carta, incapace di essere la via italiana alla formazione duale tedesca. Le esperienze di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale si contano sulle dita di una mano, nonostante i diversi interventi normativi succedutisi negli anni, da ultimo il Testo Unico del 201131. Le potenzialità della formazione professionale che operatori e politici non riescono a comprendere, sono state invece ben individuate dai “consumatori finali”, ovvero dai ragazzi. La centuplicazione delle iscrizioni in meno di dieci anni è un dato che parla da sé. È anche richiamo al necessario impegno che il Legislatore deve assumersi verso questi giovani perché possano incontrare nella formazione professionale un vero canale alternativo ai percorsi tradizionali, incentrato sulle competenze e l’occupabilità e non imitazione semplificata della scuola per i giovani “che non ce la fanno”. Perché questo percorso si compia sono diversi gli interventi di cui necessita l’apparato regolatorio della formazione professionale. La legge 99 del 2013 e il recentissimo “DL Scuola” sono stati, in questo senso, ulteriori occasioni perse. 6. Nota bibliografica Per una fotografia aggiornata della formazione professionale in Italia si vedano ISFOL, Percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno della sussidiarietà a.f. 2011-12. Rapporto di monitoraggio delle azioni formative realizzate nell’ambito del diritto-dovere, Roma dicembre 2012 e Fondazione per la Sussidiarietà (a cura di), Sussidiarietà e… Istruzione e Formazione Professionale. Rapporto sulla sussidiarietà 2010, Mondadori Education, Milano 2011. Per una 8 più completa, culturalmente e normativamente, ricostruzione della materia sono però consigliabili i volumi curati da Giuseppe Bertagna, Dietro una riforma. Quadri e problemi pedagogici dalla riforma Moratti (2001-2006) al «cacciavite» di Fioroni, Rubbettino, Soveria Mannelli 2008 e Lavoro e formazione dei giovani, Editrice La Scuola, Brescia 2011. Per meglio indagare le finalità e la diffusione degli strumenti per un migliore rapporto tra formazione e lavoro (apprendistato e alternanza scuola lavoro) si vedano: Michele Tiraboschi (a cura di), Il Testo Unico dell’apprendistato e le nuove regole sui tirocini, Giuffrè, Milano 2011 (e in particolare i contributi dedicati all’articolo 3 Impianto e significato di Giuseppe Bertagna e Quadro regolatorio di Umberto Buratti) e Giuseppe Bertagna (a cura di) Alternanza scuola lavoro. Ipotesi, modelli, strumenti dopo la Riforma Moratti, Franco Angeli, Milano 2003. Sull’importanza della formazione professionale nel contrasto alla disoccupazione giovanile si suggerisce invece la lettura del Rapporto dell’OECD, Education at glance 2012 e del Rapporto sul mercato del lavoro 2011/2012 curato dal CNEL (in particolare il capitolo 8 dedicato ai giovani). Più discorsivo l’approccio del capitolo 3 di Comitato per il progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana (a cura di), Per il lavoro. Rapporto-proposta sulla situazione italiana, Laterza, Bari 2013 e di Emmanuele Massagli, La sfida per le politiche del lavoro è l’occupazione giovanile, Nuova Secondaria n. 9 (2012), La Scuola, Brescia maggio 2012. Da ultimo, maggiori riflessioni sui contenuti relativi alla alternanza e alla formazione professionale presenti nelle prime bozze di Pacchetto lavoro sono contenute in Emmanuele Massagli, Università: lo strano caso dell’alternanza studio lavoro e Alternanza scuola lavoro: un errore di mira in Michele Tiraboschi (a cura di), Interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile e della coesione sociale. Primo commento al decreto legge 28 giugno 2013, n. 76, ADAPT Labour Studies, e-Book series n. 10, ADAPT University Press, luglio 2013. Emmanuele Massagli Università di Modena e Reggio 28. Si vedano ancora i dati contenuti nel Rapporto ISFOL citato. 29. Gli ultimi due dati sono contenuti in Fondazione per la Sussidiarietà (a cura di), Sussidiarietà e… Istruzione e Formazione Professionale. Rapporto sulla sussidiarietà 2010, Mondadori Education, Milano 2011. 30. Si veda, tra gli altri, l’ultimo rapporto del CEDEFOP, Benefits of vocational education and training in Europe for people, organisations and countries, Publications Office of the European Union, Luxembourg 2013. 31. Ovvero il Decreto Legislativo 14 settembre 2011, n. 167. © NS Ricerca n. 3, novembre 2013