Comments
Transcript
Il gergo storico e l`uso del nome proprio
1 MARIA TERESA VIGOLO – PAOLA BARBIERATO Abstract Uno degli scopi principali delle creazioni gergali, siano essi gerghi di mestieri o della malavita o dei giovani, è quello che è stato definito “vis occultandi” in quanto permette una sorta di comunicazione criptica riservata ad un ristretto gruppo di persone, con esclusione degli “altri”. Anche l’uso dei nomi propri è condizionato da questa primaria finalità della segretezza. Nomi personali di uso frequente (Pietro, Antonio, Giovanni, Bertoldo, ecc.) sono utilizzati per lo più in forme derivate e ipocoristiche, in funzione di sostantivi comuni, il cui significato è condiviso dai soli membri di un gruppo. Ma il processo di evoluzione dal nome proprio al nome comune conosce in alcuni gerghi anche una fase ulteriore, diventando elemento di formazione del pronome personale o del pronome-aggettivo possessivo. Prendendo ad es. il tarón, gergo degli emigranti di Val Rendena (Trento), si è osservato che ipocoristici di nomi propri come Berto e Giani passano ad indicare ‘uomo’, ‘individuo’ (da cui anche il pl. bèrc’ ‘gente’), finendo per acquisire la funzione di rafforzativi-occultativi del pronome personale:’l mé gian ‘io’, ‘l tó gian ‘tu’, ‘l só gian ‘egli’ ecc. e quindi, in aggiunta al partitivo, formano il pron.-agg. possessivo. La casistica è ricca e varia, dato che questi elementi che sono individuabili come nomi propri, coesistono con altri che potevano essere originariamente dei veri e propri pronomi personali, provenienti da altri sistemi linguistici (es. zingarico) ma non più riconoscibili. One of the main purposes of jargon expressions—whether they belong to job , crime associations, or youth jargons—has been defined as ‘vis occultandi’. As a matter of fact, the jargon expression allows a sort of cryptic/coded communication among a restricted group of people to the exclusion of ‘the others’. The use of proper names as jargon expressions falls under this idea of vis occultandi since it is itself conditioned by the primary objective of secrecy. Frequently used proper names (Pietro, Antonio, Giovanni, Bertoldo, etc.) are usually found in derivative and hypochoristic forms with the function of common nouns whose meaning is shared only by the members of a group. However, in some jargons, the evolution from proper name to common name entails a further step: the common name becomes a base for the formation of a personal pronoun or a possessive adjective-pronoun. For example, in ‘tarón’--jargon of the emigrants from Val Rendena (Trento)-the hypochoristics of proper names like Berto and Giani stand for ‘man’ and ‘person’ (pl. bèrc’ ‘people’) respectively. As a further development, these proper names assume the function of cryptic-intensifier of the personal pronoun (’l mé gian ‘I’, ‘l tó gian ‘you’, ‘l só gian ‘he’ etc.) or, together with the partitive, they assume the function of the possessive adjective-pronoun. These elements—which are proper names—coexist with other elements originally identified as true personal pronouns derived from other linguistic systems (ex. Romany), which have now become opaque. 2 Il gergo storico e l’uso del nome proprio I. Le creazioni gergali Una delle caratteristiche principali delle creazioni gergali, sia che appartengano a gerghi di mestieri ambulanti (ombrellai, arrotini, calderai, spazzacamini, ecc.), della malavita o dei giovani, è quella che è stata definita come vis occultandi in quanto permette una sorta di comunicazione criptica riservata ad un ristretto gruppo di persone, con esclusione degli “altri”, ossia tutti coloro che sono visti come potenziali nemici, rivali o concorrenti. Per raggiungere questa funzione criptolalica si possono mettere in atto una serie di espedienti comunicativi che si traducono sul piano linguistico in strategie di diversa natura, già messe in luce da molti studi tra i quali resta fondamentale il saggio di F. Ageno1, che rileva come ai gerghi siano applicate le operazioni della retorica classica (metafore e metonimie, inserzione di sillabe e vocali, metatesi, creazione di suffissi, istituzione di rapporti semantici di ambito molto ristretto e condivisibili soltanto da chi appartiene al gruppo, ecc.). Per l'aspetto linguistico, il gergo è stato perciò definito da M. Cohen2 una “formazione parassitaria” in quanto si serve del sistema fonetico e morfosintattico della lingua o del dialetto ospite che gli stessi gerganti utilizzano al di fuori del gruppo. Dalla struttura della lingua (o dialetto) madre il gergo attinge infatti numerose voci modificandole e camuffandole a livello formale e/o semantico. I gergalismi vengono perciò connotandosi come “doppioni” delle parole in uso nella parlata corrente, da cui si differenziano però a livello lessicale e fraseologico3. Questa consapevolezza di un linguaggio “altro” o “doppio” per esprimersi all’interno di un gruppo su un piano diverso da quello della normale comunicazione, è propria anche di alcuni gerganti, cfr. il gergo dei commercianti di Olmo (in Valchiavenna) che è definito dagli stessi parlanti dubiún, ossia ‘doppione’ (Bracchi 19834). Tra le strategie che possono concorrere, anche combinandosi variamente tra loro, alla formazione dei gerghi, possiamo in sintesi ricordare, sulla scorta del già citato contributo di F. Ageno 1957: 1) i procedimenti consistenti nella sistematica modificazione di parole per lo più già esistenti nel sistema linguistico di riferimento che vengono alterate attraverso vari tipi di differenziazioni formali, come metatesi, inversioni, sostituzioni di sillabe finali, aggiunta di affissi, prefissi, ecc.; 2) i procedimenti che interessano il significato e che sono in genere caratteristici del linguaggio figurato: metafore, sineddochi, metonimie, personificazioni, onomatopee, sostituzioni sinonimiche, qui comprese anche le associazioni o attrazioni paretimologiche che portano alla creazione, continua e intenzionale, di parole “doppie”, diverse da quelle della propria varietà dialettale, o, in alcuni casi mutuate da altri gerghi. 1 Franca Ageno, Per una semantica del gergo, “Studi di Filologia Italiana”, XV, 1957, pp. 401-437. Si cita da Ageno 1957: 401. 3 Ageno 1957: 403. 4 Remo Bracchi, Il ‘dubiùn’. Etimologie ad una raccolta di voci di Olmo in Valchiavenna con particolare riferimento al gergo, RALinc 358 (1983), pp. 75-157; cfr. anche comasco dobión ‘cosa duplicata o ripetuta per isbaglio’ (Monti 1845: 388). 2 3 II. Dal nome proprio al nome comune Tra i procedimenti di occultamento messi in atto dai vari gerghi rientra anche il passaggio di molte forme onomastiche dalla categoria del nome proprio a quella del nome comune in base al quale antroponimi di uso frequente (Giovanni, Pietro, Antonio, Bertoldo, ecc.) sono utilizzati, talora anche attraverso derivati e ipocoristici, in funzione di sostantivi comuni, il cui significato è condiviso dai soli membri di un gruppo. Già l’Ascoli 1861: 394 osservava: “se i gerghi fingono qualche nome proprio, non di rado riducono all’incontro i nomi propri a nomi comuni od a radici di nomi comuni”. Così nel furbesco martino indica il ‘pugnale’ o ‘coltello’ (Prati 1940: 106; Boerio 1856: 400), ma la denominazione, al di là del possibile ricordo di san Martino che tagliò in due il proprio mantello5 si spiega più propriamente, come osserva Ascoli 1861: 396, con l’animus occultandi proprio dei gerghi per cui martino vale “coso, N.N., quel che non si può e non si vuole nominare”. Ciò spiega anche perché nel furbesco veronese e nel gergo veneziano martin si applichi al ‘deretano’ (Boerio 1856: 400) mentre nel gergo milanese al ‘fiasco di vino’. Sempre nel furbesco piero è il ‘mantello’, nome che ritorna nello spagnolo popolare pedro ‘habit de voleur’, nello slang peter vale ‘porte-manteau’ (Ascoli 1861: 396), nel gergo dei girovaghi pierina è la ‘giacca, giubba’, pierino ‘panciotto’, ecc. (Prati 1940: 116)6. Ma anche altri nomi, non necessariamente legati al ricordo dei santi, finiscono con l’acquisire nel gergo il valore di termini comuni, che non di rado passano poi anche nei rispettivi dialetti: così, nel linguaggio degli arrotini di Val Rendena giulio è il ‘vaso da notte’ (Tomasini 1941: 109), mentre per i seggiolai di Gosaldo (BL) nina ‘acquavite’ (Rossi 1992: 715), bèrna da Bernarda ‘notte’ (Pellis 1929: 572), ecc. Tra i nomi molto usati vi è poi Bartolomeo / Bertolomeo, specialmente nella forma ipocoristica Bortolo, cfr. nel gergo dei seggiolai bórtola ‘diarrea’, bortolìn pl. ‘occhi’ (Rossi 1992: 164; Pellis 1929: 562 e 573), bortoli ‘fagioli’ in gerghi e dialetti italiani (Prati 1940: 30), mentre nel tarón della Val Rendena bórtol è usato per ‘culo’ e bortolàne per ‘orecchie’ (Franchini 1984: 93, 94). Dal nome di origine germanica Bertoldo si denominano invece i bertoldi o ‘fagioli’ nel gergo degli spazzacamini della Val di Non e dei calderai della Val di Sole. Dallo stesso personale ridotto a termine comune, fra i seggiolai di Gosaldo è noto un numerale, cfr. bertòldo o en bertòldo (ma anche tèo) ‘otto’, bertòldo e ònu ‘nove’ (Rossi 1992, 136). Analogamente il nome Simón è diventato equivalente di ‘chilogrammo’ o anche ‘burro’ (Rossi 1992, 998). III. Dal nome proprio al pronome Questo processo di evoluzione dal nome proprio al nome comune, già studiato da Migliorini (1927 e 1968), conosce in alcuni gerghi ulteriori passaggi, fino a che, l’antroponimo, perso ormai il valore proprio, viene posposto al pron. pers. acquisendo la funzione di rafforzativo-occultativo del pron. stesso. Il nome proprio Gianni, ipocoristico di Giovanni, attraverso la forma dialettale Ian passa, com’è risaputo, al termine comune iàn (o ğàn, pl. i iàn) che nel gergo dei merciai ambulanti della Valle di Tasino indicava i ‘vecchi gendarmi dell’Austria’: i iàn fralòki o i grìmi iàn, mentre il semplice iàn 5 Vd. Marcato 1983: 134. Probabilmente dall’episodio evangelico in cui l’angelo venuto a liberare S. Pietro dalla prigione gli dice “Bùttati addosso il tuo mantello e seguimi”. 6 4 vale ‘carabiniere’ (Tomasini 1941: 68), cfr. anche sardo ğánni ‘carabiniere’, nel gergo italiano gian ‘carabiniere’, ‘soldato’ (Wagner 1990: 17)7. Quest’uso, spesso con significato spregiativo, del nome Johannes, come osserva Migliorini 1927: 225, trova riscontro già molto anticamente in francese, anche nei derivati Jeannot, Janin, ecc., nel significato di ‘uomo volgare, sciocco, cornuto’, ma anche ‘servo tonto’, da cui probabilmente anche Zanni8, nome tipico del servo bergamasco alla base della nota maschera documentata sulle scene popolari veneziane a partire dalla prima metà del ‘500. Ma il francese Jean è usato spesso anche in composizione, con valore di prefisso personificante, come nota Migliorini 1927: 225-6, da cui si citano i segg. esempi: Jean-bête ‘scioccone’, Jean-dela-Suie ‘spazzacamino’, Jean-femme ‘ermafrodito’, Jean-foutre (> piem. gianfutre) ‘buono a nulla’, Jean-guêtré ‘contadino’, Jean-Jean ‘sciocco’(da cui nel gergo militare ‘sciocco; recluta’), Jean-quine-peut ‘impotente’, ecc. Il nome, in funzione di prefissoide, ha invece probabilmente valore scherzoso in una serie di soprannomi di professione come Jean-raisin ‘vignaiolo’, Jean-le-gouin ‘marinaio’ o in soprannomi etnici, come Jean-Gippon ‘scozzese’, Jean-Grenouille ‘francese’, Jean-Louis ‘valdese’, mentre maître Jean e sim. è personificazione del diavolo e corrisponde al friul. (Monaio) Giàni (s.m.) ‘diavolo o altro spirito maligno’ (Pirona 1992: 380). Numerosi sono gli esempi che Migliorini (cit.) riporta anche per le lingue ibero-romanze: spagn. Jean Lanas ‘sciocco’, Juan Palomo ‘egoista’, Juan del poblo ‘uomo del popolo’, Juan Soldado ‘soldato’; port. jan-mijao ‘piscialletto’, jan-ninguem ‘omarino’, jan-vaz, joã-fernandes id.; cat. JanFarina ‘buon uomo’, en Joán doneta ‘uomo a cui piace di star tra le donne’, ecc. Anche nel veneziano del XVI sec. Zan9 per ‘Giovanni’ entra in una serie di composizioni, per lo più in senso ironico, cfr. ad es. Zambufalo, Zammaria10, Zan Bililon ‘oste’, Zan fastidio, Zan spezier, Zan Cimaor ‘buffone’, Zane Polo, nome del più celebre ‘buffone’ di Venezia nella prima metà del ‘500, specializzato nell’imitazione dello schiavone, ecc. (Cortelazzo 2007: 1507). Nomi composti con Zan, per lo più dominati dal significato di zanni, sono comuni anche a molte maschere: Zan Falopa, Zan Fritata, Zan Gradella, Zan Piatello, Zan Taier, Zan Salcizza, piem. Gianduia, napol. Janne Antuone e Giancola, pugl. Gianluise, ecc. (Migliorini 1927: 226-7). Su questo tipo sembrano creati anche altri composti, vd. Migliorini 1927: 227 che cita le forme mant. gianblan ‘zanni’, ‘buffone’, piem. gian-bragari, gian-bragheta ‘fanciullo coi calzoni’, gianfarina ‘mugnaio’, ‘allocco’, ven. giampicón ‘spilungone’ (Boerio 1856: 305), tosc. gianfrullo, gianfrullone ‘persona stupida’, giambracóne11 ‘persona comoda’ (DEI III, 1804 e 1803). In tutti questi esempi zan, gian ha ormai perduto il valore antroponimico per alludere semplicemente a ‘individuo’, ma assai frequenti sono anche i riferimenti ad animali cfr., con ogni probabilità, il venez. giangiùrgolo12 ‘piccione maggiore’, detto anche di ‘figura notabilmente 7 Cfr. ioàna (da Giovanna) che nel gergo dei merciai ambulanti della Valle di Tasino indica la ‘forza, i carabinieri’, secondo Tomasini 1941: 68, di formazione più recente e diffuso tra i giovani; gioàna ‘carabinieri’ anche a Mortaso (Franchini 1984: 109). 8 Ne deriva l’it. zanni “personaggio ridicolo della commedia bergamasca” (DEI V, 4107) e gianni “sciocco, credulone” (DEI III, 1804), cfr. anche ven. nane ‘stupido’, ‘babbeo’ e il poles. ğani (s.m.) nell’espress. (ormai dis.) èsare tuto on ğani kón uno ‘essere culo e camicia con qualcuno’ (Beggio 1995: 154). 9 Da Zane ‘buffone’ derivano anche il venez. zanàda “commediaccia, rappresentazione teatrale che riesca cattiva” e di qui, in senso estensivo, “azione da scimunito” (Boerio 1856: 805), cfr. anche calabr. zannu ‘burla, scherzo’, zannella ‘uomo sciocco’, zannetta, zannettu ‘piccola beffa’, zanniare, -ri ‘burlare, scherzare’ (Rohlfs 1977: 802). 10 Cfr. anche le espressioni venez. sior Zamaria bon stomego, detto di “chi soffre cose vituperevoli e tace perché mangia o ne cava il comodo”, sior Zamaria fa cogioni, detto “di uomo scaltro, astuto ma che s’infinge semplice” (Boerio 1856: 805). 11 Cfr., per il tipo di formazione, anche colabracone, da (;i)cola bracone, detto sempre di ‘persona comoda’, tosc. giamméngola ‘bagatella’ dai personali femminili Gi(ov)anna e Menga ‘Domenica’ (DEI III, 1803). 12 Il nome si spiega probabilmente come creazione scherzosa per gian-giùrgolo, cfr. anche il calabr. Giangùrgolo “maschera della commedia dell’arte nell’Italia merid.; è il nome del Capitano calabrese, fanfarone, vanitoso, donnaiolo, sempre affamato (il nome equivale a ‘Giovanni golapiena’)” (LUI IX, 8). Non è però escluso che nel venez. 5 piccola’ (Boerio 1856: 305) e si noti la fortuna del nome Giovanni in forme derivate e composte, per nomi di insetti (zanin, zanen, nanin, soanin, gianellu, pizoni de san Giuanni), di uccelli (gianna piccola, janni, gianet, gianetta, nani, gianfarina, aceddu san Giovanni13), di anfibi (rana de san Zuan), ecc., vd. Garbini 1920: 48-5714 e cfr. anche tosc. giannino (pis. gianni), voce lucchese, ma anche d’area emiliana e lombarda, che designa il ‘verme della frutta e specialmente delle ciliegie’ (DEI III, 1804); nel gergo degli emigranti della Val Rendena gioanìn (pl.) ‘vermi’ (Franchini 1984: 109). Interessanti sono però soprattutto gli esempi in cui il nome Gi(ov)anni, generalmente in composizione, diventa sinonimo di ‘individuo’, ‘persona’, con la stessa funzione del lat. homo (> franc. on) o ted. man e in cui soltanto il secondo membro del composto conferisce un valore distintivo o caratterizzante, cfr. ad es. grig. jòn dür ‘testardo’ dove è l’agg. dür a connotare jòn ‘individuo’. Anche l’Ascoli 1861: 395-6 rilevava che nel rothwälsch l’hans ipocoristico di Giovanni entra in una serie di composti dove finisce col significare scherzosamente ‘uomo’, ‘individuo’, ‘quel tale’ e quindi a far quasi da semplice suffisso in creazioni del tipo blauhannse = ‘Giovan-l’-azzurro’.per indicare scherzosamente la ‘prugna’, Hans von Geller = ‘Gian-di-Geller’ per alludere al ‘pan bigio’. Il passo successivo per cui gian finisce con l’acquisire il valore di un elemento desemantizzato in funzione di rafforzativo-occultativo del pron. personale è documentato nel gergo degli emigranti di Val Rendena (TN)15, oltre che dei ramai della Val di Sole e degli spazzacamini della Val di Non16, dove si ricorre al mascheramento del pron. personale (solo nella forma maschile) mediante una locuzione formata dall’articolo determinativo maschile + il corrispondente agg. possessivo + gian:‘l mé gian ‘io’, ‘l tó gian ‘tu’,‘l só gian ‘egli’, i nós gian ‘noi’, i vós gian ‘voi’,i só gian ‘essi’. Così ‘io dormo’ diventa ‘l mé gian ‘l cübia, ‘a voi piace la polenta’ ai vós gian ai plas la rèba, ‘al mio bambino’ al gnarél dal mé gian, ecc. e il gioco del mascheramento fa sì che il gergante parli di sè in terza persona. È inoltre da notare che nell’espressione‘l mé gian = ‘la mia persona’, l’elemento portatore di significato è l’agg. possessivo che in unione con gian vale come pron. soggetto ‘io’ ed è a sua volta ripreso dal pron. atono di 3ª sing. ‘l, come ai vós gian ‘a voi’ è ripreso da ai, conformemente all’uso del dialetto, in cui il gergo si inserisce senza però snaturarne la morfologia e la sintassi. La stessa seriazione ritroviamo nelle forme dell’agg. possessivo che si originano a partire dalle medesime locuzioni: così del mé gian vale ‘della mia persona’, cioè ‘mio’, del tó gian ‘della tua persona’, cioè ‘tuo’, del só gian ‘suo’, dei nós gian ‘nostro’, dei vós gian ‘vostro’, dei só gian ‘loro’. Anche altre forme antroponimiche sono usate a livello gergale per ‘uomo’, ‘individuo’ (al pl. ‘gente’): sempre nel gergo degli emigranti di Val Rendena bèrt, dall’ipocoristico di origine germ. Berto, serve per formare il pron. di 3ª persona, sia sing. che pl. (nella forma bèrc’, anche col valore di ‘gente’): al bèrt al stanzia na brìtola per podàr ‘egli chiede una roncola per potare’, al bèrt l’é sufìstic ‘l’uomo è sospettoso, malfidente’, fa ciadòc ca no imbaìsa i bèrc’! ‘fa’ silenzio ché non ci capiscano gli estranei!’ (Franchini 1984: 92). Analogamente bèrta (pl. bèrte e bèrti) è la ‘donna’ o ‘moglie’, berlòfio ‘uomo’, mentre bert (pl. bèrc’) dal nòs slònz vale ‘compaesano’. La stessa funzione di occultamento del pron. personale nel gergo degli spazzacamini di Intragna (Svizzera italiana) è ricoperta dal personale Pietro per cui u mé piér vale ‘io’, u tö piér ‘tu’17, u sö giangiùrgolo ‘piccione maggiore’ possa riflettersi nella seconda parte anche una forma onomatopeica, cfr. anche calabr. gurguléu ‘grido del barbagianni’ e gurgulju ‘barbagianni’ (Rohlfs 1977: 320). 13 Cfr. anche la v. tosc. (pis.) gianna, denominazione popolare dell’airone minore’, dal pers. Gi(ov)anna, cfr. calabr. jànnulu ‘gabbiano’ (DEI III, 1804). 14 Per altri nomi di animali formati con antroponimi vd. Alinei 1984. 15 Vd. Franchini 1984: 45. 16 Vd. Bezzi 1973: 12-41. 17 Cfr. anche nel calmùn dei magnani di Lanzada (Sondrio): el mè pédru ‘io’, el to pédru ‘tu’, vd. Bracchi 2002: 205. 6 piér ‘egli’, ‘essa’ (Belfàdel 1909: 376), mentre nel tarùsc, ossia nella parlata degli ombrellai novaresi è ‘Antonio’, nella forma ipocoristica Tona = Tonio, che è alla base della consueta locuzione pronominale: el me tona18 ‘io’, el teu tona ‘tu’, el seu tona ‘egli’, ‘ella’, el neust tona ‘noi’, el veust tona ‘voi’, el seu tona ‘loro’. Allo stesso modo per l’agg. possessivo ‘mio’ si dirà del me tona, per ‘tuo’ del teu tona e così via (Manni da Massino 1973: 13). tarón degli arrotini (Val Rendena) tarón dei ramai (Val tarón degli di Sole) spazzacamini (Val di Non) (e)l mé gian ‘io’ (e)l tó gian ‘tu’ (e)l só gian ‘egli’ (e)i nós(i) gian(i) ‘noi’ (e)i vós(i) gian(i) ‘voi’ (e)i só gian(i) ‘essi’ el me giàn ‘io’ el tó gian ‘tu’ el giàn ‘egli’19 i nossi giàni ‘noi’ el voss giàn ‘voi’ i giàni ‘essi’ giàn ‘io’ giàn ‘tu’ giàn ‘egli’ giàn ‘noi’20 tarón degli arrotini spazzacamini tarùsc degli ombrellai (Val Rendena) di Intragna (Svizzera (Novara) italiana) ‘l (el) bèrt ‘egli’ u mé piér ‘io’ u tö piér ‘tu’ u sö piér ‘egli’ i bèrc’ ‘essi’ el me tona ‘io’ el teu tona ‘tu’ el seu tona ‘egli’ el neust tona ‘noi’ el veust tona ‘voi’ el seu tona ‘loro’ Questa tipologia di formazione che porta al mascheramento del pron. personale trova un parallelismo in analoghe creazioni gergali in cui come rafforzativo-occultativo del pronome ritroviamo non tanto nomi propri quanto altri elementi lessicali di non facile interpretazione: tesino (Tomasini 1941: tarón (Franchini 59) 1984: 45, 88) sardo (Wagner 1990: 28) i me avíśi ‘io’ míe víśu ‘io’ 18 ai (i) mé avíśi ‘io’ Anche el me brigàl ‘io’, el teu brigàl ‘tu’, ecc. (Manni da Massino 1973: 13). In questo caso, come alla 3ª pl., si nota la scomparsa dell’agg. possessivo per cui el giàn / i giàni una volta perso il valore di nome proprio per passare a quello di nome comune, finisce con l’acquisire la funzione di pron. di 3ª pers. senza bisogno di ulteriori determinazioni. 20 Vd. Bezzi 1973: 25, 40, 29 dove però non vi è alcuna indicazione della presenza – che pure deve presupporsi per una necessaria differenziazione delle varie forme - dell’agg. possessivo. 19 7 i tó avíśi ‘tu’ i so avíśi ‘egli’ i nóši avíśi ‘noi’ i vóši avíśi ‘voi’ i so avíśi ‘loro’ i tó avíśi ‘tu’ i só avíśi ‘egli’ i nös avíśi ‘noi’ i vos avíśi ‘voi’ i só avíśi ‘essi’ antico gergo italiano (Wagner 1990: 28) gergo piemontese (Wagner 1990: 28) me-vísi ‘me’ vóstre víśu ‘tu, voi’ súe víśu ‘egli’ vóstre víśu ‘tu, voi’ i tó víśi ‘tu’ (Cento) nostri visi ‘noi’ vostriso, vostrisi ‘voi’ In questi esempi la flessione del pron. personale appare costruita a partire dal termine avisi, corrispondente all’italiano ant. a viso mio ‘secondo la mia opinione’, com’io avviso ‘come credo’ (Dante), cfr. anche ant. francese a vis in ço m’est a vis ‘questo è il mio parere’, continuazione del lat. volg. (mihi) vīsum (est) per il classico mihi videtur (DEI I, 383; GDLI I, 906), come appare chiaramente dalle forme più conservative del sardo míe víśu, vóstre víśu, ecc. (vd. anche Wagner 1960: 41), mentre sono indubbiamente intervenuti rimodellamenti e adattamenti vari in me-vísi, i tó víśi, ai (i) me avíśi, vostriso, vostrisi, ecc. In altri casi il significato di questi elementi aggiunti non ci è del tutto chiaro ma è significativo che alcuni di essi ricorrano in gerghi lontani fra loro e sembrino avere una origine comune anche se finiscono poi per equivalere a particelle lessicali inerti che si seriano accanto al pron. stesso e che possono presentare o meno i caratteri della flessione: tesino (Tomasini 1941: tarón 72) 107) i me manghi21‘io’ i to manghi‘ ‘tu’ i so manghi ‘egli’ i nóši manghi ‘noi’ i vóši manghi ‘voi’ 21 (Franchini 1984: tarón (Franchini 1984: 120) el (al) mé gabìn22 ‘io’ el tó gabìn ‘tu’ el só gabìn ‘egli’ éi (ài) nòs(i) gabìn(i) ‘noi’ éi (ài) vòs(i) gabìn(i) ‘voi’ äl me ódän23 ‘io’ äl to ódän ‘tu’ äl so ódän ‘egli’ éi (ài) nòs ódän ‘noi’ éi (ài) vòs ódän ‘noi’ Vd. inoltre Biasetto 1996: 252: manghi ‘stesso, medesimo’, i me, i to, i so manghi, io, tu, egli; i nòssi, i vòssi, i so manghi ‘noi, voi, loro’. Alcune di queste formazioni sono presenti anche nel gergo veronese, cfr. Solinas 1950: 22-3: mangali, i nostri mangali ‘noi’, el me màngali, el me mangalà ‘io’, el to màngali ‘tu’, vd. anche Rigobello 1998: 267: màngali pron. ‘noi’, màngala ‘compagno’. L’origine di queste forme pron. potrebbe ravvisarsi nel gergo zingaresco di area ungherese dove mange (= manghe) corrisponde al pron. di 1ª pers. al dativo (= ‘a me’, cfr. anche, per l’uso del dat. avisi < (mihi) visum est), vd. József Föherczeg, Czigány nyelvtan. Románo csibákero sziklaribe, Budapest 1888, pp. 7981. Altri interpretano il veron. mangala in relazione all’espress. nare a manghèl ‘andare a rubare, specialmente nei campi’, che nella variante gergale della città di Verona significa ‘andare a mendicare’, dalla radice zingarica mang‘mendicare’ (Cortelazzo 1994: 76). 22 Nel tarón della Val Rendena gabìn ha il significato di ‘uomo’, ‘padrone’, ‘italiano’ e il femm. gabìna vale ‘donna’. ‘padrona’, ‘italiana’, ‘furba’ (Franchini 1984: 107). 23 Anche ólan (Bezzi 1973: 25). Quanto all’origine della voce vd. Wagner 1990: 112 che cita il rothwälsch-ceco voda ‘Leute, Menschenmenge’, accanto al tarón della val di Sole oden, anche se conclude che l’etimo non è convincente. Vd. anche meòden(a) in Cortelazzo 1979, 323-5. 8 i šo manghi ‘essi’ éi (ài) só gabìn(i) ‘essi’ éi (ài) so ódän ‘essi’ Come si può osservare anche da questi esempi, sia pur limitati, il processo di travisamento del pron. personale attraverso perifrasi di varia formazione sembra costituire una costante di molte parlate gergali, dal momento che appare ovviamente prioritario mascherare di fronte agli ‘altri’ la propria identità. Così ad es. nel furbesco ‘il gobbo’, ‘monarca’, ‘montagna’, mia madre’, sono tutti mascheramenti aggiuntivi per indicare ‘io’, sua madre vale ‘egli’, ‘ella’, nostra madre ‘noi’, luiso ‘egli’, vd. Ascoli 1861: 387 e 420 e cfr. nel gergo della malavita veron. el me igi , el me fusto ‘io’ (Solinas 1950: 23), vd. anche Dauzat 1917: 42-3 e in particolare, per l’ampia casistica analizzata Cortelazzo 1979: 323-5. 9 BIBLIOGRAFIA Ageno 1957 - Franca Ageno, Per una semantica del gergo, “Studi di Filologia Italiana”, XV, 1957, pp. 401-437. Alinei 1984 – Mario Alinei, Dal totemismo al cristianesimo popolare, Alessandria, Dell’Orso, 1984. Ascoli 1861 - Isaia Graziadio Ascoli, Studi critici, “Studj orientali e linguistici”, III, 1861, pp. 281420. Beggio 1995 – Giovanni Beggio, Vocabolario polesano, rivisto da Paola Barbierato, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1995. Belfàdel 1909 - Arturo Aly Belfàdel, Gergo degli spazzacamini d’Intragna, “Archivio di Psichiatria”, XXX, 1909, pp. 369-378. Bezzi 1973 – Quintino Bezzi, Dizionarietto comparato delle voci gergali “tarone” (Valli di Sole, ;on e Rendena), estratto da “Studi Trentini di Scienze Storiche”, LV, fasc. 2°, 1976. Biasetto 1996 – Attilio Biasetto, Dizionario tesino, Mori (TN), Osiride, 1996. Boerio 1856 – Giuseppe Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Venezia, Tip. G. Cecchini, 1856. Bracchi 2002 – Remo Bracchi, Calmunàda da ténc’ “quisquilie gergali di magnano”, “Bollettino della Società Storica Valtellinese”, 54, 2001, Sondrio, Bettini, 2002. Cortelazzo 1979 - Manlio Cortelazzo, Una parola veneta antica e rara: ‘meòden(a)’ in “Medioevo e rinascimento veneto con altri studi in onore di L. Lazzarini”, II, Padova, Antenore, pp. 323-5. Cortelazzo 1994 - Manlio Cortelazzo, Parole venete, Vicenza, Neri Pozza, 1994. Cortelazzo 2007 - Manlio Cortelazzo, Dizionario veneziano della lingua e della cultura popolare nel 16. Secolo, Limena (PD), La linea, 2007. Dauzat 1976 – Albert Dauzat, Les argots de métiers franco-provençaux, Genève-Paris, Slatkine reprints, Honoré Champion, 1976. DEI – Carlo Battisti, Giovanni Alessio, Dizionario etimologico della lingua italiana, 5 voll., Firenze, Giunti Marzocco, 1975 (ristampa). Franchini 1984 - Angelo Franchini, Tarón, S. Michele all'Adige (Trento), Museo degli usi e costumi della gente trentina, 1984. Garbini 1920 – Adriano Garbini, Antroponimie ed omonimie nel campo della zoologia popolare, Verona, Tip. Veronese, 1920. GDLI - Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, Torino, Utet, 1961- 2002 (voll. 1- XXI) e Supplemento 2004. 10 LUI - Lessico Universale Italiano, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1968 e sgg. Lurati 2004, Ottavio Lurati, Il gergo come invenzione di codice in I dialetti e la montagna, a cura di Gianna Marcato, Atti del convegno Sappada/Plodn (Belluno), 2-6 luglio 2003, Padova, Unipress, 2004. Manni da Massino 1973 – P. E. Manni da Massino, Il tarùsc. La parlata degli ombrellai, Varallo Sesia (VC), Arti Grafiche Valsesiane, 1973. Marcato 1983, Carla Marcato, I gerghi veneti in Manlio Cortelazzo, Guida ai dialetti veneti, V, Padova, Cleup, 1983, pp. 123-152. Marcato 1988, Carla Marcato, Linguaggi gergali in Lexikon der romanistischen Linguistik (LRL), a cura di Holtus, Günter, Metzeltin, Michael, Schmitt, Christian, vol. IV, Tübingen, M. Niemeyer, 1988, pp. 255-268. Migliorini 1927 – Bruno Migliorini, Dal nome proprio al nome comune, Genève, Olschki, 1927 e Supplemento 1968. Monti 1845 - Pietro Monti, Vocabolario dei dialetti della città e diocesi di Como, Milano, Società tip. de’ Classici Italiani, 1845. Pellis 1929 - Ugo Pellis, Il gergo dei seggiolai di Gosaldo in Silloge Linguistica dedicata alla memoria di Graziadio Isaia Ascoli nel I centenario della nascita, Torino, Chiantore, 1929, pp. 542586. Pirona 1992 – Giulio Andrea Pirona, Ercole Carletti, Giovanni Battista Corgnali, Il nuovo Pirona, vocabolario friulano, Udine, Società Filologica Friulana, 1992. Prati 1940 – Angelico Prati, Voci di gerganti, vagabondi e malviventi studiate nell’origine e nella storia, Pisa, Giardini, 1940. Rigobello 1998 - Giorgio Rigobello, Lessico dei dialetti del territorio veronese, Verona, Accademia di agricoltura, scienze e lettere di Verona, 1998. Rohlfs 1977 - Gerhard Rohlfs, ;uovo Dizionario dialettale della Calabria, Ravenna, Longo, 1977. Rossi 1992 - Giovan Battista Rossi, Vocabolario dei dialetti ladini e ladino-veneti dell’Agordino, Belluno, Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali, 1992. Sanga 1993 - Glauco Sanga, Gerghi, in Alberto Sobrero, Introduzione all’italiano contemporaneo. La variazione e gli usi, Bari, Laterza, 1993, pp. 151-189. Solinas 1950 – Giovanni Solinas, Glossario del gergo della malavita veronese, “Quaderni di vita veronese”, n. 27-30, Verona, 1950, pp. 22-3: Tomasini 1941 – Giulio Tomasini, Il gergo dei merciai ambulanti della Valle di Tasino, “Aevum”, XV, 1941, pp. 49-90. 11 Wagner 1960 - Max Leopold Wagner, Dizionario etimologico sardo, Heidelberg, C. Winter, 19601964, 3 voll. Wagner 1990 - Max Leopold Wagner, Sondersprachen der Romania II. Sardinien, Italien, Portugal, Rumänien und Türkei, Stuttgart, Franz Steiner, 1990.