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Diritto al cibo - Exponi le tue idee!

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Diritto al cibo - Exponi le tue idee!
Diritto
al cibo
Dalla
sicurezza
alimentare
alla Sovranità
Alimentare
DIRITTO AL CIBO
INDICE
del
1L’evoluzione
diritto al cibo
1.1 Il cibo: da bisogno a
diritto umano pag.4
1.2 Malnutrizione nel
mondo pag.10
1.3 Dalla sicurezza
alimentare alla
Sovranità Alimentare
pag.14
2
Le principali cause della
fame nel mondo
3
Risorse naturali
e cambiamento
climatico
3.1 Energia, acqua, terra,
biodiversità pag.36
3.2 Il modello industriale di
produzione degli alimenti:
causa ed effetto del
surriscaldamento terrestre
2.1 Dal colonialismo alle crisi
mondiali: la disuguaglianza
nell’accesso al cibo pag.18
2.2 Il “libero” mercato internazionale
e il neoprotezionismo pag.24
2.3 Il modello industriale di
produzione, la Rivoluzione Verde e
gli OGM pag.28
2.4 L’accaparramento delle terre: la
nuova frontiera del colonialismo
pag.32
pag.42
4
Alternative e buone pratiche
nel rapporto tra uomo,
ambiente e nutrizione
4.1 Agricoltura sostenibile pag.46
4.2 I custodi delle sementi e la tutela della
biodiversità in pratica pag.50
4.3 La permacultura pag.54
4.4 Il Commercio Equo pag.58
4.5 La filiera corta pag.60
4.6 Consumo critico e responsabile pag.64
Bibliografia pag.68
Sitografia pag.71
Filmografia pag.73
DIRITTO AL CIBO
4
1
L’evoluzione del
diritto al cibo
Il cibo è un bisogno necessario per la sopravvivenza. Un’alimentazione quantitativamente e qualitativamente
adeguata, che consenta a tutti di condurre una vita sana e attiva è un diritto umano. Procedere all’analisi specifica
del diritto al cibo, del sistema di produzione alimentare, delle politiche agricole ci fa comprendere come il cibo, che
in modo quasi scontato troviamo ogni giorno sulle nostre tavole, in realtà ha una multidimensionalità intrinseca.
Quando si parla di cibo si parla sì di agricoltura, allevamento e pesca, ma anche di politica energetica, di cambiamenti
climatici, di sviluppo, di commercio internazionale, di diritti dei popoli.
1.1 Il Cibo: da bisogno a diritto umano
Il cibo è un bisogno essenziale per
la sopravvivenza di tutte le specie
viventi. Anche l’organismo umano ha
bisogno di un adeguato nutrimento
per vivere, svilupparsi e crescere. Il
cibo è indispensabile alla salute fisica
e mentale, è l’energia che permette
a tutti di pensare e di fare le più
semplici azioni quotidiane. In assenza
di nutrimento il corpo e il cervello
si debilitano, essendovi uno stretto
rapporto tra l’alimentazione e la salute
neurologica e psichica. La mancata
assunzione di elementi nutritivi,
vitamine e minerali necessari per la
sopravvivenza o la carenza alimentare
protratta hanno degli effetti ancora
più deleteri sui bambini, causando
molto spesso un minore sviluppo fisico
e mentale (e a volte danni cerebrali
irreversibili). Numerosi studi hanno
dimostrato che esiste uno stretto
legame tra malnutrizione, rendimento
scolastico e futura capacità di lavorare
e generare reddito degli adulti di
domani. Proprio in quest’ottica assume
estrema importanza la Convenzione sui
diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza
(adottata dall’Assemblea Generale ONU
nel 1989 e ratificata da 191 Stati, tra cui
l’Italia nel 1991) che riconosce, all’art.27,
“il diritto di ogni fanciullo ad un livello
di vita sufficiente per consentire il suo
sviluppo […]”, con l’impegno – vincolante
per gli Stati firmatari – di attuare
politiche di sostegno alla famiglia,
in particolare per quanto concerne
l’alimentazione.
sse
enziale e
Il cibo, proprio perché essenziale
ssa,, deve essere
funzionale alla vita stessa,
utti, un
u diritto
un diritto garantito a tutti,
ssaggio dalla
umano universale. Ma il pas
passaggio
concezione di bisogno vitale a quella
o umano
più ampia e articolata di diritto
ors
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si è avuto soltanto nel secolo sco
scorso.
nto formale di
Un primo riconoscimento
un
n diritto umano al cibo sii è av
avut
avuto
uto
o
el 1948 quando
nel
quando, nella Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani (DUDU),
venne sancito nell’articolo 25 il diritto
di ogni individuo «ad un tenore di vita
sufficiente a garantire la salute e il
proprio benessere [...] con particolare
riguardo all’alimentazione [...]».
DIRITTO AL CIBO
Se il diritto al cibo è un diritto umano,
gode di tutte le caratteristiche che
sono proprie di questi diritti e cioè:
è fondamentale perché corrisponde
alle esigenze vitali della persona;
è universale perché appartiene
indistintamente a ogni essere
umano; è inviolabile perché nessun
essere umano può esserne privato;
è indisponibile perché nessuno può
rinunciarvi neanche volontariamente;
è indivisibile dagli altri diritti umani,
che devono essere tutti parimenti
difesi, promossi e riconosciuti; infine
è interdipendente perché per la sua
piena realizzazione è necessaria la
contemporanea realizzazione di tutti gli
altri diritti. Pertanto, per eliminare fame
e povertà è necessario garantire altri
diritti umani, come il diritto alla salute
(l’igiene, l’acqua potabile, l’accesso
a cure e farmaci), il diritto ad avere
un’istruzione adeguata ecc.
Tuttavia, una dichiarazione di principi
come la DUDU dà una definizione di
diritto al cibo ancora troppo ampia e
strettamente collegata al concetto di
sussistenza. Soltanto 20 anni più tardi,
il Patto Internazionale
5
6
DIRITTO AL CIBO
sui Diritti Economici, Sociali e Culturali del 1966 riafferma
tale diritto in maniera più precisa, introducendo anche il
concetto di «libertà dalla fame» (Art. 11). Si tratta di un
riconoscimento importante dal punto di vista giuridico
perché il Patto Internazionale è vincolante per gli Stati
firmatari (circa 145) a differenza della DUDU, impone cioè
il preciso obbligo di garantire tale diritto attraverso misure
specifiche. Questa precisazione va fatta perché, insieme
ai vantaggi di garanzia e di tutela, tutti i diritti implicano
degli obblighi spettanti agli Stati. Tuttavia questi obblighi
vengono diversamente interpretati a seconda del tipo di
diritto da garantire. Gli studiosi, infatti, suddividono i diritti
umani in 4 generazioni(1) a seconda del contesto storico in
cui si sono sviluppati e conseguentemente della tipologia.
Il diritto all’alimentazione rientra nella categoria dei
cosiddetti “diritti di seconda generazione” (diritti economici,
sociali e culturali) per i quali prevale un obbligo positivo
ovvero un impegno ad attivarsi per garantire i diritti e non
semplicemente un obbligo di astenersi dall’adottare condotte
lesive di questi (i cosiddetti obblighi negativi, propri dei diritti
di prima generazione). Ciò significa che i meccanismi di tutela
internazionale del diritto all’alimentazione, come di tutti gli
altri diritti di seconda generazione, dipendono dalle risorse
finanziarie a disposizione e dalla possibilità o volontà politica
dei governi di garantirli. Questo implica forti disparità fra Stati
e difficoltà nel garantire il diritto al cibo a tutti, nonostante il
proliferare dei suoi riconoscimenti internazionali.
Ci vorranno altri 30 anni perché si passi alla definizione ancora
più ampia di “sicurezza alimentare”: bisognerà aspettare il
Vertice Mondiale sulla Fame della FAO, l’Organizzazione delle
Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, tenutosi nel
1996. Secondo questa nuova definizione tutte le persone, in
ogni momento della loro vita, devono avere accesso fisico,
sociale ed economico a una alimentazione quantitativamente
e qualitativamente adeguata, che consenta a tutti di condurre
una vita sana e attiva.
(1)
Le generazioni dei diritti:
1ª generazione: i diritti civili e politici;
2ª generazione: i diritti economici, sociali e culturali;
3ª generazione: i diritti di solidarietà (il diritto alla pace, al godimento delle risorse della terra e dello spazio ecc.);
4ª generazione: i nuovi diritti legati ad esempio alla bioetica.
DIRITTO AL CIBO
Benché i diritti collegati all’alimentazione siano
riconosciuti a diversi livelli nella maggior parte dei Paesi
e in alcune Costituzioni, non sono di fatto promossi e
difesi nella maggior parte dei Paesi in Via di Sviluppo.
Ogni persona, infatti, dovrebbe avere accesso al cibo
lungo tutto l’arco della propria vita e questo dovrebbe
essere nutriente e sano, adeguato e in quantità
sufficiente. Poi, è compito dello Stato garantire, anche
attraverso la legislazione, che ciascuno possa provvedere
al proprio nutrimento o attraverso la produzione diretta
oppure attraverso l’acquisto di beni mediante il salario.
Qualora il singolo non riuscisse a provvedere al proprio
sostentamento (per cause gravi, malattie o vecchiaia), lo
Stato dovrebbe intervenire direttamente in suo aiuto.
Questa concezione del diritto al cibo, spesso disattesa,
pone però in maniera ancora più efficace l’attenzione su
un obbligo specifico di garanzia da parte di ogni Stato,
che può essere legittimamente rivendicato dai cittadini.
Il diritto al cibo, infatti, non può essere visto come un
semplice obiettivo politico discrezionale e dipendente
dalle risorse finanziarie a disposizione. Ciascun individuo
deve poter vivere in un ambiente in grado di offrire
nutrimento o, altrimenti, avere assistenza da parte della
comunità politica, nel pieno rispetto della sua dignità.
A tale fine, nel 2004, 191 Paesi membri del Consiglio
della FAO hanno adottato all’unanimità le cosiddette
«Direttive volontarie per la progressiva concretizzazione
del diritto a una alimentazione adeguata nel quadro
Sono soltanto 22 le
Costituzioni che sanciscono
espressamente il diritto alla
sicurezza alimentare.
della sicurezza alimentare nazionale» ovvero
delle linee guida sul diritto all’alimentazione
che, anche se non giuridicamente vincolanti,
delineano azioni specifiche e concrete
che gli Stati devono intraprendere per la
realizzazione del diritto al cibo. Questo
documento, come afferma la stessa FAO,
ha permesso alla Comunità internazionale
di accordarsi per la prima volta sul pieno
significato di sicurezza alimentare, segnando
una delle tappe più importanti nella storia del
diritto all’alimentazione.
Benché la promozione della sicurezza
alimentare sia un compito spettante ai
singoli Stati, sono soltanto 22 le Costituzioni
nazionali che sanciscono espressamente
questo diritto. La Costituzione italiana, ad
esempio, non contempla una specifica norma
sul diritto al cibo e la sua tutela e garanzia
viene generalmente ricondotta al più ampio
diritto alla salute, sancito all’articolo 32,
mettendo ancora una volta in luce lo stretto
legame tra la salute umana e l’accesso a
un’adeguata alimentazione. Inoltre, per
tutti quei diritti umani non espressamente
presenti nelle nostre norme costituzionali si
fa riferimento anche al più generico articolo 2,
il quale dichiara che «La Repubblica riconosce
e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo [...] e
richiede l’adempimento dei doveri inderogabili
di solidarietà politica, economica e sociale».
7
DIRITTO AL CIBO
9
La tutela internazionale della sicurezza alimentare
ARTICOLO 25 - DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI (1948)
1. Ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio
e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure
mediche e ai servizi sociali necessari, ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia,
invalidità vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze
indipendenti dalla sua volontà.
2. La maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio
o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale.
ARTICOLO 11 - PATTO INTERNAZIONALE SUI DIRITTI ECONOMICI,
SOCIALI E CULTURALI (1966)
1. Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato
per sé e per la loro famiglia, che includa un’alimentazione, un vestiario, ed un alloggio adeguati, nonché
al miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita. Gli Stati parti prenderanno misure idonee
ad assicurare l’attuazione di questo diritto, e riconoscono a tal fine l’importanza essenziale della
cooperazione internazionale, basata sul libero consenso.
2. Gli Stati parti del presente Patto, riconoscendo il diritto fondamentale di ogni individuo alla libertà dalla
fame, adotteranno, individualmente e attraverso la cooperazione internazionale, tutte le misure, e fra
queste anche programmi concreti, che siano necessarie:
a. per migliorare i metodi di produzione, di conservazione e di distribuzione delle derrate alimentari
mediante la piena applicazione delle conoscenze tecniche e scientifiche, la diffusione di nozioni relative ai
principi della nutrizione, e lo sviluppo o la riforma dei regimi agrari, in modo da conseguire l’accrescimento
e l’utilizzazione più efficaci delle risorse naturali;
b. per assicurare un’equa distribuzione delle risorse alimentari mondiali in relazione ai bisogni, tenendo
conto dei problemi tanto dei paesi importatori quanto dei paesi esportatori di derrate alimentari.
ARTICOLO 27 - DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’INFANZIA
E DELL’ADOLESCENZA (1989)
1. Gli Stati parti riconoscono il diritto di ogni fanciullo a un livello di vita sufficiente per consentire il suo
sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale.
2. Spetta ai genitori o ad altre persone che hanno l’affidamento del fanciullo la responsabilità fondamentale
di assicurare, entro i limiti delle loro possibilità e dei loro mezzi finanziari, le condizioni di vita necessarie
allo sviluppo del fanciullo.
3. Gli Stati parti adottano adeguati provvedimenti, in considerazione delle condizioni nazionali e
compatibilmente con i loro mezzi, per aiutare i genitori e altre persone aventi la custodia del fanciullo
ad attuare questo diritto e offrono, se del caso, un’assistenza materiale e programmi di sostegno, in
particolare per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario e l’alloggio.
4. Gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento al fine di garantire il mantenimento del fanciullo
da parte dei suoi genitori o altre persone aventi una responsabilità finanziaria nei suoi confronti, sul loro
territorio o all’estero. In particolare, per tener conto dei casi in cui la persona che ha una responsabilità
finanziaria nei confronti del fanciullo vive in uno Stato diverso da quello del fanciullo, gli Stati parti
favoriscono l’adesione ad accordi internazionali oppure la conclusione di tali accordi, nonché l’adozione di
ogni altra intesa appropriata.
10
DIRITTO AL CIBO
1.2 Malnutrizione nel
ne
el mondo
Secondo dati FAO, la condizione alimentare mondiale dell’ultimo decennio, non ha conosciuto
ciutto
842 milioni
particolari progressi, passando da circa 907 milioni di sottonutriti nel biennio 2005-2007 a 842
nel 2011-2013.
ata, si ha
La condizione di fame, secondo una definizione quantitativa ormai comunemente accettata,
ontto del
quando non viene raggiunta la soglia minima di contributo calorico giornaliero (tenendo conto
e, a
sesso, delle fasce di età e del peso corporeo medio), che oscilla tra le 1700 e le 2000 calorie,
all di sotto
sto
o motivo,
della quale si manifestano malattie anche gravi, che possono portare alla morte. Per questo
ion
ne (si veda
grandi rischi per la salute possono derivare non soltanto dalla , ma anche dalla malnutrizione
Figura 2).
Con malnutrizione si intende uno squilibrio - una carenza o un eccesso - nell’assunzione di
om
me
nutrienti e altri fattori necessari per una vita sana. La malnutrizione si può manifestare come
nerali)
denutrizione, carenza di nutrienti essenziali (carenza proteica, energetica e di vitamine e min
minerali)
età
o sovralimentazione. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS o WHO) stima che la me
metà
degli esseri umani, circa 3 miliardi di
persone, soffra di un qualche genere di
malnutrizione. Una persona su cinque nei
Paesi in Via di Sviluppo soffre della più
grave tra le varianti della malnutrizione la fame.
L’Indice Globale della Fame (2) (GHI –
Global Hunger Index) classifica i Paesi
di tutto il mondo secondo il livello di
insicurezza alimentare della popolazione
nazionale, assegnando dei valori in
una scala da 0 a 100. I valori più bassi
(tra 0 e 5) indicano situazioni in cui
la popolazione non patisce la fame,
valori più alti, invece, (a partire da 10)
ti Angola,
primi dieci Paesi sono stat
stati
indicano situazioni di grave disagio;
iopia, Ghana,
Bangladesh, Cambogia,, Eti
Etiopia,
valori superiori al 30 indicano situazioni
ailandia
Malawi, Niger, Ruanda, Tha
Thailandia
drammatiche di malnutrizione e quindi
ame rimane
e Vietnam. Il livello di fame
di forte emergenza.
estre
emamente
ancora “allarmante” o “estremamente
Secondo i dati raccolti per l’elaborazione
allarmante”.
dell’Indice Globale della Fame 2013,
uazione
e di fame
Se poi si analizza la situazione
siamo ben lontani dal raggiungere
lare
r alle
del mondo guardando in particola
particolare
progressi importanti nella riduzione
a complessità
àe
donne e alle bambine, la
della fame. Rispetto al 1990, 23 Paesi
nterdipendenza del di
ritt
itto
o di a
cces
cc
esso
so
hanno compiuto progressi significativi,
l’interdipendenza
diritto
accesso
riducendo i rispettivi punteggi GHI del
al cibo rispetto alla tutela di altri diritti
50% o più. 27 Paesi sono usciti dalle
umani appare ancora più evidente.
categorie “estremamente allarmante”
Il diritto di accesso al cibo, infatti,
e “allarmante”. In termini di progresso
implica anche il rispetto dei diritti della
assoluto rispetto al GHI 1990, i
donna e, in particolare, l’eliminazione
(2)
Il GHI combina 3 indicatori con uguale ponderazione:
1. La percentuale di sottonutriti sul totale della popolazione (che riflette la quota di popolazione con insufficienti assunzioni di energia
alimentare).
2. La prevalenza dell’insufficienza di peso nei bambini sotto i cinque anni (che indica la percentuale di bambini che soffrono di perdita di peso
e/o riduzione della crescita).
3. Il tasso di mortalità tra i bambini al di sotto dei cinque anni (che riflette parzialmente la fatale sinergia tra inadeguate assunzioni alimentari e
ambienti insalubri). [cfr. Melgari V. – Peziali S. (a cura di) La sfida della Fame 2009 – Indice Globale, Link 2007 cooperazione in rete, 2009].
DIRITTO AL CIBO
della disuguaglianza di genere e
dell’esclusione sociale. Come rilevato dal
Rapporto sull’Indice Globale della Fame
del 2009, unendo i dati di quest’ultimo
all’Indice che rileva la disparità di
genere è subito evidente che garantire
alle bambine e alle donne l’accesso ai
servizi sanitari di base e all’istruzione
contribuisce a garantire anche il
diritto al cibo. Di fronte al dilagante
fenomeno della “femminilizzazione
della povertà”, l’eliminazione
della disuguaglianza di genere e
dell’esclusione sociale delle donne
nel mondo diventa un imperativo.
L’istruzione, in particolare, è uno dei
più importanti indicatori dello sviluppo
umano e
e, in Paesi in cui l’insicurezza
alimentare impedisce qualsiasi forma
di sviluppo (economico, sociale, umano),
eliminare le discriminazioni di genere(3)
soprattutto nell’accesso all’istruzione
(3)
L’Indice della Disparità di Genere si calcola sulla base di 4 sottoindici: partecipazione economica, istruzione, emancipazione
politica e salute e sopravvivenza.
11
DIRITTO AL CIBO
degli ostacoli che bloccano le donne potrebbe
essere la chiave per raggiungere l’obiettivo
mondiale sull’alimentazione; ma per questo sono
indispensabili politiche ispirate da una maggiore
conoscenza delle difficoltà e aspirazioni femminili,
e anche dalla partecipazione delle donne
contadine.
permette anche di garantire il diritto al cibo
a tutti indistintamente. Ancora una volta
la multidimensionalità del diritto al cibo si
mostra in tutta la sua evidenza.
Le donne, infatti, si occupano della cura
della famiglia, dei mariti e dei bambini, e di
conseguenza provvedono al sostentamento
di tutti i suoi membri. Se le donne avessero
un’istruzione e accesso ad adeguate cure
sanitarie, sarebbero maggiormente in grado di
garantire la sopravvivenza dei propri neonati,
innescando processi virtuosi di sviluppo per
l’intera comunità.
Nelle aree rurali dove vive la maggior parte
delle persone che soffrono la fame, le donne
producono la maggioranza degli alimenti
consumati sul posto. Il loro contributo
potrebbe essere maggiore se avessero un
adeguato accesso alle risorse e ai servizi
essenziali, come la terra, la disponibilità
di credito e la formazione. L’eliminazione
Sviluppo mentale
compromesso
Tasso di mortalità
più elevato
Ridotta capacità
di prendersi
cura dei bambini
Anziano
Malnutrizione
Maggior rischio per
gli adulti di malattie
croniche
Svezzamento prematuro/
inadeguato
Neonato
Nascita sottopeso
Infezioni frequenti
Inadeguato
sviluppo
della crescita
Inadeguata
nutrizione
fetale
Cibo,
salute
e cure
inadeguate
Cibo, salute e cure
inadeguate
Bambino
Arresto della
crescita
Donna
Malnutrizione
Gravidanza
Basso aumento
di peso
Mortalità
per parto
più elevata
Cibo, salute e cure
inadeguate
Adolescente
Arresto della
crescita
Cibo, salute
e cure
inadeguate
Ridotta capacità
mentale
Figura 1 - Effetti della fame nel ciclo vitale. (Fonte: United Nations – Standing Committee on Nutrition)
Ridotta
capacità
mentale
13
14
DIRITTO AL CIBO
1.3 Dalla sicurezza alimentare alla Sovranità Alimentare
Alim
mentare
Secondo una definizione fornita dalla FAO in occasione del Vertice Mondiale sulla Fame del
el 1
1996,
996,
sicurezza alimentare significa “accesso fisico, sociale ed economico di tutte le persone ad alimenti
urre
e una vita
sufficienti, sicuri e nutrienti che garantiscano necessità e preferenze alimentari per condurre
sana e attiva”.
Questa definizione pone l’accento su 4 dimensioni della sicurezza alimentare che sono:
1. La disponibilità: la presenza di cibo in una determinata area.
2. L’accesso: la capacità di un nucleo familiare di ottenere questo cibo.
oa
3. L’utilizzo: l’abilità di una persona di selezionare, assumere e assorbire i nutrienti nel cibo
disposizione.
4. La vulnerabilità nell’approvvigionamento: i rischi fisici, ambientali, economici, sociali e sulla salute
che intaccano la disponibilità, l’accesso e l’utilizzo.
one
Se da un lato il concetto di sicurezza alimentare così inteso è già ampiamente articolato e po
pone
l’asspetto
l’accento sulla multidimensionalità del problema della fame, dall’altro non tiene conto dell’aspetto
politico-sociale in cui il diritto di
accesso al cibo deve essere garantito e
quindi delle politiche locali, nazionali e
internazionali che dovrebbero tutelarlo e
favorirlo. Inoltre, il concetto di sicurezza
alimentare non tiene conto delle modalità
di produzione del cibo e della sua
provenienza. Questi aspetti riguardano
la politica economica nazionale, ma
prendono in considerazione anche il
sistema commerciale internazionale il
quale, attraverso strumenti di difesa
volti a influenzare gli scambi tra Paesi a
vantaggio dei più ricchi, ha delle forti
implicazioni sull’accesso al cibo di
mentare e
Quella tra sicurezza alimentare
numerose popolazioni.
Sovranità Alimentare non è una sottile
La definizione di sicurezza alimentare,
differenza semantica, ma è una visione
inoltre, non tiene conto del modello
sa, più
i ampia
strategicamente diversa,
di sviluppo della “produzione agricola
blema
atica che
e articolata di una problematica
industriale” e quindi delle monocolture
ca
arattere
sempre più dimostra il suo carattere
e degli allevamenti intensivi, dell’uso
esta nuova
nuov
o a
multidimensionale. Questa
di pesticidi, agenti chimici e ormoni
’ac
accesso
visione di garanzia del diritto all’
all’accesso
della crescita, dell’introduzione di OGM
ontribuire nel
al cibo si propone di contribuire
(organismi geneticamente modificati)
ontempo a salvaguardare
salvaguarda
d re
e ll’ambiente,
’a
amb
mbie
ient
nte
e,
e dei loro effetti sulla salute globale e
contempo
a biodiversità e la sostenibilità della
sull’ambiente.
la
Il concetto di sicurezza alimentare può
produzione agricola, tenendo conto
essere quindi superato se si prende in
dei bisogni della popolazione e di una
considerazione l’aspetto più politico
corretta e sana alimentazione.
dell’intero sistema alimentare globale.
Il concetto di Sovranità Alimentare
In questo caso si parlerà di Sovranità
viene introdotto per la prima volta
Alimentare ovvero del diritto di ogni
nel 1996 da La Vía Campesina,
popolo di decidere, in modo diretto e
partecipato, le proprie politiche in materia
di alimentazione e di stabilire i sistemi
più idonei per salvaguardare e regolare il
mercato interno e l’autosufficienza.
DIRITTO AL CIBO
Movimento internazionale di contadini,
agricoltori e indigeni di tutto il
mondo che si è costituito nel 1992
raggruppando agricoltori dei Paesi
ricchi e organizzazioni contadine dei
cosiddetti Paesi in Via di Sviluppo,
tutti con un unico obiettivo: battersi
per i diritti di agricoltori, allevatori e
pescatori a produrre il cibo, ad accedere
alla terra, all’acqua e alle sementi, nella
consapevolezza che la produzione
deve principalmente garantire
l’autosufficienza delle comunità locali
e può essere un modo per uscire
dalla condizione di povertà. Prendere
coscienza e partecipare attivamente alla
decisione politica con un processo che
parta “dal basso” è un punto chiave del
concetto di Sovranità Alimentare
Alimentare, anche
perché permette di identificare meglio
i problemi e dà l’opportunità a chi è
coinvolto direttamente di risolverli in
autonomia, scegliendo modalità attente
ai diritti.
Il movimento La Vía Campesina si
sviluppa nel preciso periodo storico in
cui, con la costituzione del World Trade
Organization (WTO - Organizzazione
Mondiale del Commercio), la politica
commerciale degli Stati, fino ad
15
16
DIRITTO AL CIBO
allora gestita in autonomia entro i confini nazionali (tra
organizzazioni di agricoltori e istituzioni), diventa sempre più
globalizzata. Un organismo internazionale che si sostituisce,
nella maggior parte dei casi, agli Stati stessi, portando
avanti politiche che non tengono conto delle specificità di
ogni territorio, ma che promuovono la visione del cibo come
merce (sulla quale fare il massimo dei profitti possibile),
l’industrializzazione del sistema agricolo e gli interessi delle
multinazionali. Il WTO, nato nel 1994 dall’Uruguay Round del
GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), viene istituito
con lo scopo di recepire, regolare e coordinare gli accordi
internazionali sul commercio tra i 23 paesi firmatari. Con
la costituzione del WTO, quindi, si va oltre la sottoscrizione
di un trattato tra Stati e si decide di affidare le principali
decisioni in materia commerciale a una organizzazione
internazionale vera e propria, il cui obiettivo è quello di
ridurre, fino alla definitiva abolizione, le barriere tariffarie al
commercio internazionale e tutti gli strumenti del cosiddetto
“protezionismo” che gli Stati di volta in volta introducono
per tutelare i produttori nazionali dalla concorrenza esterna.
Di fatto, negli anni, questo obiettivo è stato assolutamente
disatteso e oggi esistono numerosi strumenti commerciali
che favoriscono gli Stati più ricchi
danneggiando gli altri; si parla, infatti di
neoprotezionismo. Non è un caso che il
ciclo di negoziati noti come Doha Round
(una trattativa avviata nel 2001, in sede
WTO, con l’obiettivo di ridurre le barriere
del commercio mondiale) siano stati,
per ormai quasi 9 anni, dei continui
fallimenti. Troppi interessi da parte di
grandi potenze economiche, come gli
USA, e di potenze emergenti, come Cina
e India, soprattutto sulle barriere alle
importazioni agricole volte a difendere
il settore più delicato dell’economia,
hanno creato un vero e proprio stallo
nelle negoziazioni, riavviate nel 2009 e
concluse solamente nel Dicembre 2013.
Per le sue radici storiche e politiche, il
concetto di Sovranità Alimentare è in
netta contrapposizione con l’attuale
sistema economico e commerciale, di
cui il WTO costituisce l’incarnazione.
DIRITTO AL CIBO
La liberalizzazione del commercio internazionale e
l’abbattimento della barriere doganali, la prevalenza del
privato sul pubblico e il perseguimento del massimo
profitto hanno creato e creano tuttora un’erosione del
sistema agricolo fondato sulla produzione familiare volta
innanzitutto a garantire il fabbisogno delle comunità
di appartenenza. In questo modo sono state messe
a repentaglio le economie di quei Paesi che si basano
principalmente sul settore agricolo devastando gli
ecosistemi locali e globali. «Il GATT danneggia tanto
gli agricoltori dei paesi poveri quanto gli agricoltori
impoveriti dei paesi ricchi a beneficio dei monopoli e
delle imprese multinazionali» (Dichiarazione di Managua
1992, La Vía Campesina).
Rivendicare la Sovranità Alimentare significa avere
voce nel processo decisionale delle politiche agricole
e sviluppare un approccio diverso e alternativo alle
risorse: terra, acqua, energia, biodiversità. Tutela della
biodiversità significa anche valorizzare la diversità
culturale e le tradizioni di un determinato territorio,
contro il rischio di degrado ambientale e sociale cui sono
sottoposte le fasce più deboli della popolazione.
Il concetto di Sovranità Alimentare intende dunque
restituire alle famiglie contadine di tutto il mondo, e in
generale ai popoli della terra, la libertà di produrre cibo
prima di tutto per soddisfare il proprio fabbisogno e le
proprie preferenze alimentari, che fondano le radici nella
cultura, nella tradizione e nella biodiversità di ogni luogo.
Rivendicare la Sovranità
Alimentare significa avere voce
nel processo decisionale delle
politiche agricole.
Ad oggi, le Costituzioni che garantiscono il
diritto alla Sovranità Alimentare sono quelle di
Ecuador, Bolivia, Venezuela e Mali.
Nel corso dell’ultimo decennio si sono
formati numerosi coordinamenti a livello
internazionale e nazionale volti alla
promozione della Sovranità Alimentare, con
l’intento di orientare la definizione delle
politiche economiche, agricole e ambientali
e di informare e tutelare i consumatori e gli
stessi produttori. Tra queste, il CISA (Comitato
Italiano per la Sovranità Alimentare), che
riunisce più di 270 organizzazioni (tra cui
la stessa Fondazione We World Onlus),
associazioni, movimenti e sindacati e
che realizza azioni di pressione sulle
istituzioni, progetti educativi e iniziative
culturali nazionali e internazionali. Il CISA
opera all’interno del più ampio Comitato
Internazionale per la Sovranità Alimentare,
ma intende incidere, in particolar modo, sulla
politica estera agroalimentare/commerciale
italiana ed europea. Soprattutto quest’ultima
ha un grosso impatto sul sistema alimentare
internazionale e necessita dunque di adeguati
strumenti di regolamentazione capaci di
tutelare i produttori, i lavoratori, i consumatori
e i mercati.
Trattandosi di politiche che hanno una forte
incidenza sulla tutela dei diritti umani, il CISA
si propone come “foro della società civile sulle
questioni connesse alla Sovranità Alimentare”.
17
DIRITTO AL CIBO
18
2
Le principali cause
della fame nel mondo
La quantità di cibo prodotta nel mondo è in grado di soddisfare i bisogni dell’intera popolazione globale. Il
problema reale riguarda l’accesso al cibo e quindi l’impossibilità per le fasce più povere della popolazione di
produrlo o di acquistarlo. La condizione di fame nel mondo in cui versano milioni di persone ha delle cause
molto complesse e spesso correlate tra loro. Affondano le radici nella storia, a partire dal colonialismo classico
e sono il frutto di un modello di sviluppo internazionale che già oggi sta dimostrando la sua insostenibilità anche
attraverso le numerose crisi del XXI secolo. Di fronte al fenomeno della fame nel mondo, che da più parti è stato
definito un “genocidio silenzioso”, le azioni internazionali appaiono sempre più insufficienti e inefficaci.
2.1 Dal colonialismo alle crisi mondiali: la disuguaglianza nell’accesso al cibo
Per comprendere le motivazioni della
condizione di insicurezza alimentare
nel mondo e il perché quest’ultima
sia concentrata in alcune zone del
pianeta, bisogna risalire quantomeno
al colonialismo europeo – il cosiddetto
colonialismo classico – che si è
sviluppato tra il XVI e il XX secolo. La
conquista indiscriminata di territori e di
nuovi spazi umani, infatti, ha avuto un
forte impatto sulla società, sul sistema
di relazioni e sulla cultura di interi
continenti. Il colonialismo, la conquista
e l’invasione europea hanno scardinato i
capisaldi culturali delle popolazioni locali
e ne hanno distorto il sistema sociale,
economico e produttivo. La capacità di
generare forme di sussistenza familiare
e comunitaria che, in Africa come in
America Latina, permetteva di condurre
una vita degna e in armonia con
l’ambiente circostante, è stata sradicata
con lo sviluppo intensivo di colture
destinate alla crescita industriale ed
economica dei Paesi colonizzatori, per
non parlare della tratta degli schiavi.
Nel lontano 1830, un funzionario
francese della colonia dell’Alto Volta,
l’attuale Burkina Faso, descriveva in
una lettera indirizzata alla moglie,
come prima dell’arrivo dei francesi la
popolazione locale coltivasse tutto ciò
che era necessario alla sopravvivenza,
riuscendo a immagazzinare le scorte
per i periodi di carestia e di cattivo
raccolto; soltanto venti anni dopo
olazione
l’arrivo dei francesi, la popo
popolazione
me, perché
locale iniziò a patire la fam
fame,
ri a coltivare
costretta dai dominatori
ri di caucciù
quasi esclusivamente alber
alberi
ssa
s rio a
per produrre il lattice, neces
necessario
utomo
obilistica
sviluppare l’industria automobilistica
doto rias
assume
francese. Questo aneddoto
riassume
to
perfettamente quanto è avvenut
avvenuto
minazione
nel corso di secoli di dominazione
coloniale
oloniale e quanto la cond
condizione
ndiz
izio
ione
ne d
dii
ame nel mondo sia una nostra precisa
fame
responsabilità.
Le logiche del colonialismo e
dell’imperialismo che apparentemente
si sarebbero concluse negli anni
‘60 con il definitivo riconoscimento
dell’indipendenza politica delle
DIRITTO AL CIBO
ex col
colonie,
olon
onie
ie, di ffatto
atto
at
to ssii ri
ripr
ripresentano
pres
esen
enta
tano
no
oggi sotto forme diverse. Si parla
ormai di neocolonialismo e di
colo
co
loni
nial
alis
ismo
mo e
cono
co
nomi
mico
co e cculturale.
ultu
ul
tura
rale
le.
colonialismo
economico
Se quello “classico” veniva esercitato
direttamente dai Paesi europei sulle
ex colonie, il secondo attiene invece
più all’era della globalizzazione e alla
conquista dei mercati di sbocco, in
cui i Paesi ricchi possono riversare le
eccedenze della loro produzione, in cui
è possibile sfruttare le materie prime
e la forza lavoro a basso costo e in
cui si esporta un modello economico
e sociale capace di generare gli stessi
bisogni in ogni parte del mondo,
indipendentemente dalla storia e
dalllla
da
a cultura
cult
cu
ltur
ura
a di cciascun
iasc
ia
scun
un P
aese
ae
se, in
dalla
Paese,
una relazione sempre più globale di
interdipendenza economica, politica,
sociale e ambientale. Tuttavia, le
relazioni di interdipendenza vanno
generalmente a vantaggio di chi ha più
potere. Antonio Papisca (docente di
Tutela internazionale dei diritti umani
e di Organizzazione internazionale
dei diritti umani e della pace, Facoltà
di Scienze politiche - Università di
Padova) afferma che «l’interdipendenza
19
20
DIRITTO AL CIBO
in quanto tale [diventa] nient’altro che lo stesso sistema
internazionale messo a nudo, [dove quest’ultimo è] l’insieme
interrelato di influenze ineguali o più esattamente di nuovi
rapporti di potere in cerca di legittimazione». Tuttavia,
il sistema di potere che ha generato l’attuale modello di
sviluppo internazionale sta dimostrando nel tempo la sua
insostenibilità e sta comportando dei costi che non sono
distribuiti in modo equo. Lo dimostrano le numerose crisi
del XXI secolo ancora in corso: le crisi economica, alimentare,
energetica, ambientale e sociale, che stanno determinando la
diffusione dell’insicurezza alimentare e della povertà.
La crisi economica e finanziaria che dal 2008 ha colpito tutti
gli Stati del mondo (anche se con un impatto ed effetti diversi,
ma con un ruolo sicuramente importante nella diffusione
della condizione di povertà) è una reale dimostrazione del
sistema speculativo globale. Come dichiarato dalla FAO chi
sta pagando le maggiori conseguenze della crisi è proprio
la popolazione più povera del mondo. In condizioni di crisi
con un forte impatto sull’economia globale, la ricerca di fonti
alternative di reddito, in particolare per le fasce più deboli
e vulnerabili, può facilmente alterare gli equilibri esistenti,
minare la coesione sociale e generare ulteriori gravi spirali di
povertà. Tuttavia, la FAO ha anche posto
l’accento sul fatto che la condizione
di malnutrizione nel mondo continua
a diffondersi in maniera costante da
ben prima della recessione economica
mondiale, indicativamente dal 1995 in
poi, ovvero da quando si è registrato
un calo sostanziale degli aiuti pubblici
allo sviluppo destinati all’agricoltura. I
dati sono particolarmente allarmanti
se confrontati con quelli degli anni ‘80
- primi anni ’90, in cui molti progressi
erano stati fatti nella lotta alla fame.
Dal 2007 l’aumento esponenziale
dei prezzi di beni di prima necessità,
che tuttora non tende a diminuire,
ha determinato una vera e propria
crisi alimentare. Secondo alcune
tesi, l’aumento dei prezzi di alcuni
alimenti basilari come il grano o il riso
sarebbe dovuto in primo luogo alle
economie emergenti, cioè all’aumento
DIRITTO AL CIBO
delle classi medie indiane e cinesi che, diventate
più ricche, richiedono sempre più cibo; in secondo
luogo alla diffusione e sempre maggiore richiesta di
biocombustibili (di cui si parlerà in seguito) derivanti dal
grano e dal mais. Entrambe le tesi non sono sufficienti
a spiegare aumenti così repentini dei prezzi (il prezzo
del riso è aumentato del 75% in due mesi e quello del
riso bianco thailandese è triplicato dall’inizio del 2007,
aumentando del 10% solamente in una settimana).
Appare più realistica la tesi di alcuni analisti della
finanza internazionale che addebita l’aumento repentino
dei prezzi di alimenti basilari alle speculazioni sul
cibo, che nel mercato finanziario viene considerato
come commodity, ovvero come il petrolio o l’oro. Gli
investitori finanziari che stanno scappando dal mercato
immobiliare, si stanno orientando sulle commodities,
in particolare quelle agricole. Il flusso di capitale
generalmente speculativo si sposta in cerca di alti
rendimenti e, quindi, per puro guadagno. La conseguenza
è che aumenta il denaro investito in cibo e questo fa
aumentare i prezzi.
La Banca Mondiale nel 2008 individuava 33 nazioni a
rischio di arresto sociale dovuto all’aumento dei prezzi
delle derrate alimentari. Dal Messico al Pakistan, il
prezzo di alcuni alimenti è raddoppiato in tre anni e ha
provocato disordini in numerosi Paesi.
I tre principali cibi al mondo – riso, mais e grano –
diventano sempre meno accessibili. Il prezzo del pane
è quasi raddoppiato e chi vive in condizioni di povertà
Il cibo per il mercato finanziario
è una commodity, come il
petrolio o l’oro.
estrema (cioè con meno di 1 dollaro al giorno)
non ha la possibilità di acquistare questi beni
di prima necessità. Le reazioni a catena che
provengono dai governi che maggiormente
esportano questi cibi stanno generando un
circolo vizioso, che si è innescato in seguito
alla forte interdipendenza dei mercati e
al sistema economico internazionale. Per
esempio: il Vietnam, terzo esportatore
mondiale di riso, riduce le esportazioni a
causa dell’inflazione; la Cina, il maggiore
produttore di cereali al mondo, inizia a
diminuire la vendita all’estero di grano, mais
e riso; l’Egitto proibisce le esportazioni di riso;
il Kazakistan, sesto maggiore esportatore
di grano al mondo, ha annunciato un piano
restrittivo delle esportazioni. Le restrizioni alle
esportazioni generano aumenti vertiginosi dei
prezzi dei cibi di prima necessità in quanto,
a parità della domanda mondiale, vi è una
disponibilità inferiore. Con una situazione
come quella attuale, il sistema economico e
politico internazionale potrebbe anche, nel
breve periodo, stravolgersi. Basti pensare
che i maggiori esportatori mondiali di cibo
potrebbero a breve diventare le nuove
potenze economiche, e tra questi ci sono il
Canada, il Brasile, il Kazakistan, la Russia e
alcuni Stati dell’Africa.
Per far fronte a situazioni di grave crisi,
come spesso accade, le famiglie modificano
le abitudini alimentari e il più delle volte
il cambiamento viene indirizzato verso
cibi di scarsa qualità, che determinano
malnutrizione; inoltre, le spese in cure
mediche e istruzione vengono ridotte per
destinare quanto risparmiato all’acquisto di
cibo. Calcolando la percentuale del budget
21
22
DIRITTO AL CIBO
familiare destinata all’acquisto di cibo, si può vedere
come questa aumenti nei Paesi più poveri in modo
sostanziale. Non è un caso che negli USA all’acquisto di
cibo venga destinato solo il 16% del reddito familiare, in
Nigeria il 73%, in Cina il 28%, in India il 33% e in Vietnam il
65%.
La Comunità internazionale nel 2000, in occasione della
Conferenza del Millennio, ha adottato una Dichiarazione
in cui tutti gli Stati si sono impegnati a definire 8
Obiettivi da raggiungere entro il 2015, per intervenire
sulle principali cause di povertà e di mortalità nel mondo.
L’ultimo Rapporto ONU sugli Obiettivi di Sviluppo del
Millennio (2014) mostra come le azioni combinate di
governi, società civile e settore privato abbiano prodotto
notevoli progressi nel soddisfare molti degli obiettivi, tra
cui: il dimezzamento del numero di persone che vivono
in condizione di estrema povertà, l’accesso all’acqua
potabile per due miliardi di persone, la riduzione della
mortalità da malaria, tubercolosi e infezioni da HIV.
Rispetto all’Obiettivo 1: “dimezzare la povertà estrema
e la fame” si evince che, nonostante la percentuale di
persone denutrite nei Paesi in Via di Sviluppo sia passata
dal 24% nel biennio 1990 – 1992 al 14% nel biennio
2011 – 2013, c’è ancora molto da fare per garantire il
raggiungimento di questo obiettivo, soprattutto nei
Paesi che hanno registrato pochi progressi.
Secondo le ricerche dell’Istituto Internazionale di
Indagine sulle Politiche Alimentari, l’aumento dell’uso di
agro-combustibili aggraverà ulteriormente la situazione,
con aumenti spropositati dei prezzi del mais e di altri
beni primari. L’aumento repentino dei prezzi impedisce
l’accesso al nutrimento da parte delle fasce più deboli,
ma le coltivazioni intensive di agro-combustibili hanno
conseguenze ancora più gravi. Questo tipo di colture
provoca innanzitutto un’erosione del suolo e una
sostanziale perdita della biodiversità esistente. Ma
soprattutto non è destinato all’uso alimentare, serve
per la produzione di energia “alternativa” necessaria
per poter continuare a sostenere l’attuale modello di
sviluppo economico e i nostri ritmi di crescita. Gli effetti
sulle popolazioni locali sono devastanti: viene negato
loro l’accesso al cibo e ai prodotti della terra nel breve e
nel lungo termine, per favorire l’acquisto di prodotti di
importazione; si incrementa il processo di inaridimento
del suolo e la distruzione delle varietà locali; viene
minacciata la disponibilità di accesso all’acqua perché
l’agricoltura industriale e la produzione di agro-
combustibili necessitano di quantità notevoli
di risorse idriche; vengono immesse nel suolo,
nell’aria e nelle acque sostanze inquinanti,
dannose per la salute umana, soprattutto per
quella dei bambini.
Il fallimento della lotta alla fame nel mondo potrebbe generare
una crisi alimentare di lungo periodo.
24
DIRITTO AL CIBO
2.2 Il “libero” mercato internazionale e il neoprotezionismo
tezzionismo
Il mancato accesso al cibo, la fame e la malnutrizione nel mondo sono in buona parte il frutto
uttto
ato
o
del nostro sistema di sviluppo e le cause vanno ricercate soprattutto nelle leggi del mercato
internazionale, che favoriscono gli interessi dei Paesi ricchi, e nelle politiche agricole deglii ultimi
decenni.
Queste ultime hanno stimolato sempre più una produzione di tipo industriale e orientata
a ricetta
all’esportazione, piuttosto che alla salvaguardia della produzione e della biodiversità locali.i. L
La
nca
imposta da grandi istituzioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la Ban
Banca
peciializza
Mondiale, è stata quella di un’apertura dei sistemi agricoli al mercato: ciascun Paese si specializza
rcatto
nella produzione più conveniente e vantaggiosa e, attraverso i ricavi della vendita sul mercato
nferriore a
internazionale, acquista tutti gli altri beni che in altri Paesi vengono prodotti a un costo inferiore
bale di un
quello necessario per la loro produzione interna. Inoltre, per rispondere alla domanda globale
icola,
determinato prodotto si è pensato che fosse opportuno “industrializzare” la produzione agri
agricola,
forzare i cicli biologici e naturali e intervenire per una sempre maggiore resa del terreno, delle
piantagioni, dell’allevamento e della
pesca.
Sebbene la logica che sta alla base di
questa nuova idea di mercato possa
sembrare efficiente e ineccepibile, le
conseguenze che ha avuto sui Paesi
poveri sono state disastrose. Il problema
di fondo è che il cibo non è soltanto una
merce di scambio, ma ha innanzitutto
un valore nutrizionale che la produzione
agricola industriale ha alterato, creando
gravi situazioni di malnutrizione; ha
inoltre un valore culturale legato alla
storia, al territorio, alle tradizioni locali
e ai rapporti sociali all’interno delle
mie nazionali
L’apertura delle economie
comunità. I sistemi locali garantivano
ale ha anche
al mercato internazionale
perlopiù condizioni di autosufficienza
e co
ommerciali
favorito alcune pratiche
commerciali
alimentare, ma una volta sostituiti
detto
to
che rientrano nel cosiddetto
dalla produzione industriale intensiva
e di ffatto
atto hanno
neoprotezionismo e che
hanno provocato l’espropriazione delle
sioni ne
nella
creato profonde distorsioni
terre dei contadini e la conseguente
o, ovviam
mente a
concorrenza di mercato,
ovviamente
insicurezza alimentare degli stessi,
d
scapito delle economie più debol
debolili de
deii
nonché uno spostamento dalle
gli ingenti sussidi
suss
ssid
idi
Paesi poveri. Si pensi agli
campagne alle città o l’emigrazione
lla produzione e all’esport
rtaz
azio
ione
ne
verso altri Paesi, minando così la
alla
all’esportazione
he l’Unione Europea e gli Stati Uniti
coesione sociale delle comunità di
che
appartenenza e degli stessi nuclei
mettono in atto, favorendo fra l’altro
familiari.
quella pratica commerciale che
Le condizioni di fame e di mancato
permette di vendere i propri prodotti
accesso al cibo sono dovute anche
alimentari nel mercato internazionale
all’imposizione di prezzi troppo alti per
a un prezzo più basso del costo di
tutti quegli alimenti che, con l’apertura
produzione, nota come dumping.
ai mercati internazionali, non vengono
più prodotti internamente e sono
ora troppo costosi per permetterne
l’accesso a quella parte di popolazione
che vive con meno di 1 dollaro al giorno.
DIRITTO AL CIBO
L’Unione Europea, in particolar modo,
ha messo a sistema questa pratica
di sostegno all’agricoltura mediante
sussidi attraverso la PAC - Politica
Agricola Comunitaria (una delle
politiche comunitarie più importanti),
principalmente per due ragioni:
primo, perché la metà del territorio
europeo è destinato a all’agricoltura;
secondo, perché l’Europa è il maggiore
esportatore mondiale di prodotti
agroalimentari (e contemporaneamente
il maggior importatore di cibo). Le
esportazioni di cibo contribuiscono a
mantenere livelli occupazionali per la
nostra economia fondamentali, ma allo
stesso modo il quantitativo di prodotti
importati ha un impatto considerevole
sui livelli di occupazione e di reddito
di alcuni Paesi in Via di Sviluppo.
Dunque, non è un caso che alla PAC
venga destinato circa il 34% del bilancio
dell’UE, che infatti detiene anche il
primato mondiale nella concessione di
sussidi all’esportazione. Per converso,
nei Paesi poveri il problema del
sottoinvestimento in agricoltura ha
limitato e limita tuttora fortemente lo
sviluppo di un sistema agricolo capace
di garantire la sicurezza alimentare, in
25
26
DIRITTO AL CIBO
particolar modo, durante i periodi di crisi economica come
quella recente. In Arabia Saudita, per esempio, il trend di
diminuzione della produzione agricola è stato proiettato al
2016 e lo scenario che si è prospettato è quello di un Paese
di 28 milioni di abitanti dipendente al 100% dalle importazioni
di cibo.
Quando il pubblico e il privato subiscono una tale contrazione,
gli investimenti (e in particolare quelli in agricoltura) tendono
a ridursi notevolmente, come dimostrato anche nelle
precedenti grandi crisi economiche degli anni ‘70 e ‘80. Se
al sottoinvestimento si aggiungono pratiche commerciali
internazionali che inibiscono l’autonomia e la crescita dei
Paesi poveri a causa delle barriere doganali o dei sussidi alla
produzione, non è possibile innescare dei processi di sviluppo
capaci di aiutare le popolazioni rurali, che rappresentano tre
quarti degli affamati nel mondo, a nutrirsi in modo autonomo
e a sfuggire alla povertà.
Considerato che oggi il 65% delle
persone povere vive nelle zone rurali, è
necessario più che mai un intervento
e investimenti in agricoltura. La FAO
ha stimato che, a oggi, per risolvere
il problema della fame nel mondo
basterebbe un investimento di 44
miliardi di dollari ovvero soltanto l’8%
dei comuni investimenti dei Paesi ricchi
e industrializzati, che molto spesso
vengono destinati ad altri settori o
investiti male.
L’attuale sistema alimentare mondiale
è assolutamente disuguale e inefficace
e il rapido incremento del numero di
persone che soffrono la fame impone
un intervento immediato da parte
dell’intera Comunità internazionale.
DIRITTO AL CIBO
Come dichiarato anche dalla FAO,
sono necessari interventi strutturali
che abbiano una forte incidenza sulle
cause della fame e della povertà. Oltre
alle politiche macroeconomiche volte a
minimizzare l’impatto immediato della
crisi, i governi dovrebbero incoraggiare
gli investimenti in agricoltura
migliorando anche la governance e
i programmi di tipo sociale. Sarebbe
anche importante prevedere delle
attività che generino reddito per le fasce
più povere della popolazione che vive
nelle zone urbane o periurbane.
Per risolvere il problema della
fame nel mondo basterebbe
un investimento di 44 miliardi
di dollari, solo l’8% degli
investimenti dei Paesi ricchi.
27
28
DIRITTO AL CIBO
2.3 Il modello industriale di produzione, la Rivoluzione Verdee e gli OGM
Il modello industriale di produzione di alimenti si è sviluppato a seguito della continua crescita
esccita dei
tiva
azione e
fabbisogni alimentari mondiali (anche indotti) e dell’esigenza di ridurre gli spazi per la coltivazione
mpre più
l’allevamento per sviluppare un sistema mondiale di produzione degli alimenti che fosse sem
sempre
el ssettore
ettore
aperto ai mercati internazionali. Ciò ha comportato quel processo di industrializzazione del
a ca
apace
attraverso l’introduzione di meccanizzazione, fitofarmaci, fertilizzanti, ingegneria genetica
capace
rico
oltura e
di sfruttare al massimo il rendimento e di favorire processi più rapidi. Si parla infatti di agricoltura
re rresa
esa nel
allevamento intensivi (contrapposti al modello estensivo), tutti volti ad ottenere la migliore
minor tempo possibile.
ricola
La Rivoluzione Verde è quel processo che ha consentito un incremento della produzione agr
agricola
si d
grazie all’uso di determinate varietà vegetali geneticamente selezionate e a sufficienti dosi
dii
ere
e un
fertilizzanti e altri prodotti agrochimici. Rivoluzione Verde è un termine usato per descrivere
90.. Durante
vertiginoso boom della produttività agricola nel mondo in via di sviluppo tra il 1960 e il 1990.
acccolto
questi decenni, in molte regioni del mondo, e specialmente in Asia e in America latina, il raccolto
dei cereali più importanti (riso, grano
e mais) è più che raddoppiato. Anche
altre coltivazioni hanno avuto aumenti
significativi.
La spinta per un aumento della
produzione agricola - laddove questa
originariamente costituiva un vantaggio
competitivo - e dei profitti, ha orientato
la scelta su un numero limitato di varietà
di piante e di razze animali ad alto
rendimento. L’idea innovativa del Premio
Nobel per la pace Norman Borlaug fu
quella di introdurre nelle piantagioni
del Messico (nel 1944) delle varietà
ad “alta resa” (HYV - High Yielding
nsibilmente il
migliorate”, riducendo sen
sensibilmente
Variety) – soprattutto frumento e riso
mentti esistente in
ricco patrimonio di sementi
geneticamente modificati – da piantare
natura.
nelle aree a forte rischio di carestia.
ia ge
enetica
Le pratiche di ingegneria
genetica
Tuttavia, quella che è stata definita
agrico
oltura e alla
moderna applicata all’agricoltura
la Rivoluzione Verde implicava l’uso
no spe
ess
s o nella
produzione di cibo vanno
spesso
indiscriminato di concimi, pesticidi e
uova front
n iera
stessa direzione. La nuova
frontiera
diserbanti chimici, per aumentare nel
a è quella
dell’ingegneria genetica
breve periodo la resa della terra e il
e
degli OGM (organismi geneticamente
profitto di coloro che ne detengono
modificati). Un OGM è un e
sser
ss
ere
e vi
vive
vent
nte
e
la proprietà. Questo processo,
essere
vivente
batteri piante o animali) al quale è
inizialmente salutato con favore perché
(batteri,
in grado di aumentare la produttività
stata modificata o eliminata, grazie a
e la resa ha, con il tempo, rivelato
procedimenti di ingegneria genetica,
tutti i suoi effetti devastanti. Oltre
una porzione di patrimonio genetico allo
all’inquinamento della falde acquifere,
scopo di ottenere nuove caratteristiche,
del suolo e dell’aria e, di conseguenza,
che non si sarebbero mai potute
alle serie minacce per la salute, ha
sviluppare spontaneamente in quella
causato una perdita senza precedenti
tipologia di organismo.
della biodiversità. Sono scomparsi interi
sistemi agricoli tradizionali e indigeni,
con le loro varietà di specie, per fare
spazio alle monocolture di “varietà
DIRITTO AL CIBO
Gli OGM sono oggi utilizzati principalmente
nell’ambito dell’alimentazione, dell’agricoltura,
della medicina, della ricerca, e dell’industria.
Gli scopi sono molteplici, ma nel settore
dell’agricoltura e dell’allevamento sono
principalmente volti all’aumento della
produttività attraverso l’ottenimento di
varietà resistenti ai parassiti o agli erbicidi
o, nel caso degli animali, attraverso specie
con caratteristiche produttive e riproduttive
migliorate o di resistenza alle malattie.
Attorno agli OGM, oggi, c’è un forte dibattito
tra posizioni favorevoli e contrarie di scienziati,
Stati, società civile ecc. Nel caso specifico
dell’agricoltura vi sono ancora molti
dubbi in relazione agli effetti delle
coltivazioni OGM sulla salute e
sull’ambiente nel medio-lungo periodo.
Il rischio, inoltre, è che coltivazioni
convenzionali o biologiche vengano
contaminate da adiacenti coltivazioni di
OGM attraverso la diffusione di semi o
polline, a danno dei produttori biologici
che subirebbero perdite economiche per
un prodotto non più “non-OGM”(4) . Ma
ulteriori dubbi derivano dalla perdita di
biodiversità e dagli effetti sull’economia
a causa degli alti costi complessivi
(4)
Secondo la normativa europea infatti, un prodotto può essere considerato non-OGM solo se presenta un contenuto di
materiale geneticamente modificato al di sotto dello 0.9% cioè poco meno di 1 seme su 100.
29
30
DIRITTO AL CIBO
(sociali, ambientali ecc.).
Gli Stati europei sono ancora restii alla diffusione di OGM
in agricoltura e produzione di cibo e dopo periodi di fervore
ed entusiasmo, stanno tornando al vecchio modello di
agricoltura intensiva, ma senza ricorso agli OGM. I Paesi
poveri, invece, soprattutto in Africa, coltivano molti prodotti
geneticamente modificati. Il Sud Africa è stato il primo e
l’industria alimentare del Paese sembra ormai satura di
OGM. Il caso del Sud Africa è emblematico: questo Paese
ha stretto accordi commerciali con grandi multinazionali
che promuovono il sovvenzionamento di sementi OGM
brevettate, in particolare con la Monsanto. Al fine di
controllare la produzione agricola mondiale la Monsanto
promuove un sistema di incentivi a sostegno delle
monocolture, volte soprattutto all’esportazione, coinvolgendo
i piccoli coltivatori che vengono così integrati nel sistema
di produzione industriale. I semi OGM della Monsanto
(come di altre multinazionali) non si riproducono o, meglio,
vengono preparati geneticamente in modo da impedirne
la riproduzione, così i contadini sono costretti a ricomprarli
ogni anno. Inoltre, trattandosi di semi “brevettati” – e quindi
protetti dalla legislazione in materia di “Diritti di proprietà
intellettuale” – il loro utilizzo al di
fuori di qualsiasi contratto di acquisto
costituisce un reato. Ciò significa che,
come spesso accade, quando i semi
vengono trasportati dal vento o dagli
uccelli e, in maniera naturale avviene
l’impollinazione in altri campi, quei
semi e il relativo raccolto diventano
automaticamente di proprietà della
multinazionale che li ha prodotti e il
contadino costretto a pagare multe
salate per non averli acquistati.
L’imposizione di brevetti per le sementi
geneticamente modificate crea, di
fatto, dei monopoli nella produzione di
cibo e quindi un controllo sul sistema
alimentare internazionale che ancora
una volta va a vantaggio dei più ricchi.
Il sostegno alle monocolture con semi
OGM ha dei risvolti drammatici sui
singoli produttori e sulle comunità.
Da un lato, la produzione con sementi
DIRITTO AL CIBO
OGM, nella maggior parte di casi, diminuisce
rispetto a quella biologica e il terreno difficilmente
sarà convertibile alle sementi naturali e non
riuscirà a sostenere altro che semi geneticamente
modificati. Dall’altro lato, se i piccoli coltivatori
non riescono a permettersi i semi OGM vengono
inevitabilmente assoggettati, perdono prima il
controllo dei semi, poi della produzione e infine
della terra. Le multinazionali agro-industriali
riescono così ad avere il completo controllo
del mercato, della terra e dei prodotti e, quindi,
dell’accesso al cibo di intere comunità.
L’imposizione di brevetti
per le sementi OGM crea
dei monopoli nel sistema
alimentare internazionale, a
vantaggio dei più ricchi
31
32
DIRITTO AL CIBO
2.4 L’accaparramento delle terre: la nuova frontiera del colonialismo
oniialismo
Si chiama “land grabbing” (accaparramento delle terre) ed è la nuova veste del colonialismo.. Sii basa
te q
uelli
sull’acquisto o affitto di ampi appezzamenti di terreno coltivabile di altri Paesi, generalmente
quelli
più poveri.
Ad accaparrarsi le terre sono fondi d’investimento privati e banche con obiettivi speculativi. Ma ci
grabbing
abbingg si
sono anche investitori pubblici e Stati che agiscono in seguito alla stipula di accordi. Il land gra
lle materie
configura anche come un modello di sfruttamento innovativo che non punta più soltanto alle
prime agricole, ma direttamente al territorio con tutte le sue risorse.
difficoltà
fficoltà
La prima forma di land grabbing venne messa in atto dall’Arabia Saudita, che di fronte alla dif
avo
orevoli,
di destinare i propri terreni all’agricoltura, per le condizioni climatiche e del territorio poco favorevoli,
decise di investire l’ingente quantità di proventi del petrolio nell’acquisto di migliaia di ettarii dii terreno
azio
one
in Etiopia, i quali sarebbero poi serviti alla coltivazione di riso e cereali per sfamare la popolazione
n ffurono
urono
saudita. Il tentativo di acquisto dei terreni venne fatto anche con altri Stati che, tuttavia, non
ne (è il
disposti a cedere i propri terreni in via definitiva, ma in via provvisoria attraverso la locazione
caso dello Zambia e della Tanzania). Da
lì a poco il sovrano saudita venne ben
presto emulato inizialmente dalla Cina e
subito dopo dall’India, che rappresentano
oggi i principali Stati coinvolti in questo
pratica. Le motivazioni che hanno spinto,
in particolare ma non solo, queste due
potenze all’accaparramento dei terreni
risiedono nella problematica comune di
una popolazione in continuo aumento e
di una produzione di cibo non sufficiente
ai bisogni reali.
La stima più completa della scala degli
investimenti in accaparramento di
terreni è stata pubblicata a settembre
grabbing dell’Uganda, del
el Mozambico
2010 dalla Banca Mondiale: lo studio
rope
ee così
e dell’Etiopia. Banche europee
mostra che, nel solo periodo da
esto
ono in
come imprese statali investono
ottobre 2008 ad agosto 2009, sono
to per
er garantire
terreni agricoli soprattutto
state dichiarate acquisizioni di terreni
arburanti
l’approvvigionamento di agroca
agrocarburanti
agricoli per un’estensione di 46 milioni
oduzion
ne di
per l’Europa. Oltre alla produzione
di ettari, due terzi dei quali ubicati
sto serve an
anche
agro combustibili, l’acquisto
nell’Africa subsahariana. Inoltre, delle
cqua o possib
bililii
ad accaparrarsi fonti d’acqua
possibili
464 acquisizioni esaminate dalla
me.
giacimenti di materie prime.
Banca Mondiale, solo 203 riportavano
Il land
and grabbingg non ha nessun beneficio
l’estensione dei terreni acquisiti: ciò
per la popolazione locale: oltre al grave
implicherebbe una drastica sottostima
danno alla loro sicurezza e Sovranità
della reale estensione coperta da tali
Alimentare, non si hanno neanche
acquisizioni, che potrebbe essere il
benefici in termini occupazionali.
doppio dei 46 milioni di ettari stimati
Molto spesso sono gli stessi cinesi
dalla World Bank.Tra gli accaparratori
e indiani a lavorare la terra (la Cina
anche Giappone, Corea del Sud, Qatar,
tende a utilizzare spesso i propri
Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Libia.
carcerati) e i prodotti raccolti finiscono
L’Italia è ai primi posti tra i Paesi
direttamente nel loro mercato interno.
europei di provenienza dei capitali
In altri casi, l’azione speculativa volta
investiti nell’acquisto di terreno,
a lucrare sulla differenza di prezzo tra
soprattutto in Africa, e l’Europa,
acquisto e vendita non tiene conto
in generale, è coinvolta nel land
DIRITTO AL CIBO
della destinazione di quei terreni e,
di conseguenza, della popolazione
che li coltiva. Nessuna attenzione,
infine
infine, viene rivolta a quei coltivatori
locali che non vogliono diventare
soltanto braccianti con salari bassi
e non sufficienti a comprare cibo
quantitativamente e qualitativamente
adeguato e che vorrebbero vedersi
garantiti non solo il proprio diritto al
cibo, ma anche la propria Sovranità
Alimentare.
Tentativi di contrasto a una simile
pratica si stanno già mettendo in atto,
soprattutto nei Paesi che subiscono
il fenomeno e che si vedono sottrarre
terreni, diritti e futuro.
Ma i risultati sono ancora molto scarsi.
Governi corrotti cedono facilmente
immense distese di terreno a
fronte di un guadagno immediato e
apparentemente notevole, senza tener
conto della perdita definitiva di una
risorsa determinante per lo sviluppo del
proprio Paese.
33
La quantità di cibo
prodotta nel mondo
può soddisfare i bisogni
dell’intera popolazione. Il
problema reale riguarda
l’accesso al cibo.
36
DIRITTO AL CIBO
3
Risorse naturali e
cambiamento climatico
La filiera produttiva alimentare, risultato dell’attuale modello economico internazionale, sta erodendo le risorse
naturali a disposizione. E il cambiamento climatico in corso è contemporaneamente causa ed effetto della
riduzione nella disponibilità di fonti energetiche, idriche, del terreno e di ricchezza di specie che la natura
ci offre. Tutti questi fattori, strettamente correlati tra loro mettono a rischio il diritto di accesso al cibo per tutti.
Cercare delle alternative diventa un dovere, ma non basta.
3.1 Energia, acqua, terra, biodiversità
Lo sfruttamento delle risorse naturali
è principalmente causato dal nostro
modello economico di produzione
alimentare e da tutte le conseguenze
che questo ha generato, provocando una
vera e propria crisi ecologico-ambientale
strettamente correlata alle altre crisi del
XXI secolo.
Se il cibo è diventato ormai troppo
costoso e una sempre maggiore fetta
di popolazione mondiale non ne ha
accesso, ciò è dovuto in gran parte all’uso
sempre più diffuso di biocombustibili,
sui quali le grosse potenze mondiali, in
particolare USA e UE, stanno investendo
enormemente per ridurre la dipendenza
dal greggio.
In effetti, l’uso di combustibili fossili
è ormai necessario anche per la
produzione di cibo; serve, infatti, oltre
che a fare muovere i macchinari, anche a
produrre fertilizzanti, pesticidi ed erbicidi
fondamentali per l’agricoltura intensiva e
ad alta resa.
Pertanto, investire in biocombustibili
garantirebbe il mantenimento dell’attuale
sistema di produzione alimentare, ma
a quale prezzo? Gli investimenti nella
produzione di etanolo derivante dal
mais, per esempio, stanno innescando
dei processi per cui la domanda di
questo cereale continua ad aumentare.
Il Fondo Monetario Internazionale
ha stimato che la metà dell’aumento
nella domanda mondiale di mais è
stata determinata soltanto dagli USA.
a di mais, gli
Se aumenta la domanda
onve
ertendo i
agricoltori rispondono convertendo
a di produzione
terreni a questa tipologia
pi ven
ngono
e il risultato è che i campi
vengono
vamen
nte a questa
dedicati solo ed esclusivamente
ono più
iù destinati
monocoltura, cioè non sono
e. Per rie
emp
m ire
a un suo uso alimentare.
riempire
na
di etanolo un serbatoio di 50 litri di u
una
no necessari 232
32
comune automobile sono
Kg
g di mais, ovvero quant
quanto
to ba
bast
basterebbe
ster
ereb
ebbe
be p
per
er
utrire un bambino per un anno intero
nutrire
intero.
La dipendenza dal greggio ha anche
altri effetti indiretti sul diritto di accesso
al cibo: quando aumenta il prezzo
del petrolio, aumenta il prezzo dei
fertilizzanti (molto diffusi soprattutto
nella produzione degli alimenti più poveri),
il costo del trasporto dai campi al mercato
locale e internazionale e, di conseguenza,
i prezzi finali dei prodotti alimentari.
Basta soffermarsi sull’intero processo di
produzione di cibo tipico di un’agricoltura
industriale, dal coltivatore al consumatore,
DIRITTO AL CIBO
per rendersi immediatamente conto
di quanto il petrolio sia una risorsa
fondamentale, già dalla prima fase
del processo produttivo, quello della
coltivazione
coltivazione. L’utilizzo di macchinari
macchinari,
l’irrigazione e l’estrazione dell’acqua, il
ricorso a fertilizzanti e pesticidi sono tutti
passaggi che richiedono l’uso di energia
legata al petrolio.
Alcuni studiosi dell’Earth Policy Institute
di Washington, l’Istituto di ricerca di
economia ambientale, dichiarano in uno
studio del 2005, fatto sulla produzione di
cibo degli USA, che una grossa porzione
dell’energia utilizzata per l’intero sistema
alimentare viene consumata proprio
nella fase della coltivazione, circa un
quinto (circa 10 quadrilioni di Btu –
British Thermal Unit, l’unità di misura
dell’energia adottata negli USA). Quasi
il 28% dell’energia usata in agricoltura
va nella produzione di fertilizzanti, il
7% viene speso per l’irrigazione, e il
34% viene consumato per alimentare i
macchinari agricoli usati nelle piantagioni
per l’aratura e il raccolto. Tutto il resto,
ovvero circa il 31%, va nella produzione
di pesticidi. Queste percentuali, sebbene
relative al caso degli Stati Uniti, danno
la dimensione di quanto l’uso dei
fertilizzanti e dei pesticidi sia diventato
essenziale per il tipo di sistema agricolo
37
38
DIRITTO AL CIBO
ed economico che abbiamo sviluppato negli ultimi quarant’anni
e di quanto l’agricoltura abbia creato un bisogno di energia
prodotta soprattutto da combustibili fossili.
Ma l’utilizzo di energia e, in particolare, di petrolio non è limitato
alla sola fase della produzione agricola. Quest’ultima richiede il
21% dell’energia necessaria all’intera filiera produttiva. Nelle fasi
successive alla produzione agricola si consuma un quantitativo
di energia ancora più alto e, nel corso degli anni, sempre in
aumento: il 14% viene utilizzato per il trasporto, il 16% per la
lavorazione, il 7% per il confezionamento, il 4% per la vendita al
dettaglio, il 7% viene consumato dai ristoranti e fornitori e infine
il 32% per la refrigerazione domestica. Queste percentuali sono
destinate ad aumentare, soprattutto quella relativa al trasporto,
poiché i prodotti alimentari percorrono sempre più chilometri,
attraversano continenti e ci permettono di eludere il ciclo
stagionale di produzione e di avere quindi frutta e verdura in
qualsiasi periodo dell’anno, così come pesce e carne provenienti
da tutto il mondo.
A fronte di una domanda che continua ad aumentare, i
prodotti che subiscono un forte aumento di prezzo sono anche
tutti quelli che diventano sempre più difficili da coltivare e
produrre, per esempio a causa della scarsità di risorse idriche
a disposizione. L’acqua, infatti, è un’altra
risorsa la cui disponibilità è sempre più
minacciata, soprattutto dalla produzione
agricola. Secondo dati FAO, all’agricoltura
è imputabile circa il 69% del prelievo di
risorse idriche a livello mondiale. Ciò
avviene a causa di specifiche tipologie
di prodotti coltivati o di determinate
modalità di produzione. Innanzitutto,
la coltura di cereali generalmente più
idroesigenti (ad esempio il mais, il riso)
molto spesso non destinata all’uso
alimentare diretto ma alla produzione
di energia o all’allevamento, richiede un
uso di acqua notevole. Il cambiamento
nelle abitudini alimentari, che ha portato
a consumare sempre più proteine,
determina un grande utilizzo di mais
(ne servono 8 kg per produrre 1 kg di
manzo) e di conseguenza dell’acqua,
che serve a produrlo. Inoltre, il modello
di produzione alimentare industriale
DIRITTO AL CIBO
richiede un grande consumo d’acqua necessaria a garantire
lo sviluppo di piante e animali ad alto rendimento. Infine,
fertilizzanti, pesticidi ed erbicidi, fondamentali per questo
tipo di produzione, costituiscono anche la principale fonte di
contaminazione delle acque.
L’uso intensivo di agenti chimici ha anche portato, nel lungo
periodo, a inaridire il terreno e a renderlo non più coltivabile,
provocando un progressivo aumento della desertificazione.
In particolare nell’agricoltura intensiva, a differenza di
quanto è accaduto per millenni, la concimazione chimica
non fertilizza il terreno, bensì la pianta. Questo processo
rende la terra sempre più povera di sostanza organica
e quindi sempre più sterile; le piante hanno bisogno di
un continuo ricorso ad agenti chimici che la facciano
sopravvivere in un terreno che non è più capace di produrre.
La parte organica e viva del terreno, inoltre, trattiene il
carbonio prodotto dalla fotosintesi delle piante; se sparisce,
il carbonio viene liberato nell’ambiente.
Alla fine degli anni ‘90 è stato creato un metodo di
misurazione in grado di valutare la sostenibilità dei nostri
consumi chiamato impronta ecologica. Con questo metodo
è possibile calcolare il consumo umano delle risorse naturali
e la velocità di assorbimento dei rifiuti, confrontandolo con
la cosiddetta biocapacità, ovvero la capacita della natura
di rigenerare le risorse consumate. Viene, cioè, calcolata
l’area di terra e mare produttiva che serve a rigenerare le
risorse consumate e ad assorbire i rifiuti. Se l’impronta
ecologica è più alta della capacità della natura di rigenerarsi,
allora quel tipo di consumo è insostenibile. La mappa
Un italiano consuma 3 volte di
più delle risorse che il nostro
territorio può rigenerare.
dell’impronta ecologica definisce perfettamente
lo stato attuale delle cose e dà un’idea chiara di
quanto stiamo chiedendo alla natura per poter
mettere in atto il nostro modello di sviluppo
economico. Per esempio, l’impronta ecologica
di uno statunitense è cinque volte superiore a
quella di un cinese e ben quindici volte superiore
a quella di un indiano. Ma gli effetti sulle fasce
più deboli della popolazione, dagli Stati Uniti
all’India, generano spirali di povertà sempre più
gravi. Secondo l’Indice del pianeta vivente 2008,
uno studio internazionale realizzato da esperti
dell’economia della sostenibilità del WWF, un
italiano consuma 3 volte di più delle risorse che il
nostro territorio può rigenerare.
L’azione umana è dunque la causa principale
della distruzione e della perdita di biodiversità
nel mondo. Gli interventi dell’uomo sull’ambiente
che lo circonda stanno determinando dei
cambiamenti troppo repentini, minando
l’ecosistema, l’habitat naturale e la capacità di
adattamento delle specie viventi, che per questo
motivo si stanno estinguendo. L’importanza di
preservare la biodiversità deriva dal fatto che da
essa dipende la vita sul nostro pianeta e, quindi,
anche l’esistenza dell’uomo.
La biodiversità esistente in natura è costituita
dall’insieme di tutti gli esseri viventi vegetali
e animali del nostro pianeta. Si tratta del
patrimonio biologico che nei millenni ha seguito
il suo percorso di evoluzione, generando un
continuo adattamento alle specificità territoriali.
Esistono diversi tipi di biodiversità: la
biodiversità genetica, cioè le diverse varietà di
una stessa specie; la biodiversità di specie, come
la varietà di fiori o di insetti esistenti in natura(5) ;
39
DIRITTO AL CIBO
40
infine, la biodiversità di ecosistema, che riguarda la varietà
di ambienti naturali esistenti nel mondo (le foreste, il
deserto, i fondali marini ecc.). Esiste anche una biodiversità
culturale ovvero l’insieme di linguaggi, di tradizioni,
di religioni, di espressioni artistiche e di usi, anch’essi
rappresentazioni dell’evoluzione e dell’adattamento
dell’uomo all’ambiente che lo circonda.
Con l’attenzione al cambiamento climatico e agli effetti
del modello di sviluppo dei Paesi economicamente ricchi,
183 Stati si sono riuniti nel 1992 a Rio de Janeiro per
parlare per la prima volta del cambiamento ambientale e
della sua influenza sullo sviluppo. In occasione di questa
Prima Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente
e lo Sviluppo è stato introdotto il nuovo concetto di
“sviluppo sostenibile” ovvero quel processo di crescita
sia economica sia sociale che consentirebbe di uscire
dalla povertà, preservando l’ambiente e le sue specificità.
Particolare attenzione è stata data al tema della tutela
della biodiversità, a cui è stata dedicata una specifica
Convenzione sulla Diversità Biologica. In questo
documento, gli Stati si sono impegnati a mettere in atto
tutte le politiche necessarie per tutelare la biodiversità
esistente entro i rispettivi confini territoriali e per garantire
a tutti un accesso equo sia alle risorse che alle tecnologie
produttive. Inoltre, gli Stati firmatari si sono impegnati
a far sì che lo sfruttamento delle risorse alimentari a
disposizione non sia indiscriminato e, soprattutto, non
pregiudichi l’ambiente degli altri Stati.
Nel 2012, dal 20 al 22 Giugno, si è tenuta la Conferenza
Rio+20, a 20 anni esatti di distanza dal Vertice della Terra
di Rio de Janeiro del 1992. La Conferenza si è posta come
obiettivo generale di rinnovare l’impegno politico per lo
sviluppo sostenibile verificando lo stato di attuazione degli
impegni internazionali assunti negli ultimi due decenni ed
ha rappresentato una sfida importante per raggiungere
obiettivi comuni e tutelare gli equilibri del pianeta, verso
un nuovo assetto per lo sviluppo sostenibile globale e per
l’umanità, il tutto attraverso uno sforzo congiunto da parte
dei governi e della intera società civile.
Il documento finale dal titolo “The future we want” (Il
futuro che vogliamo) riafferma gli accordi sottoscritti
nel 1992 su clima e biodiversità, introducendo novità
nell’ambito del “sociale”, come la lotta alla miseria come
priorità mondiale, e si impegna a lanciare quelli che sono
definiti gli “obiettivi di sviluppo sostenibile”. Tuttavia, il testo
non stabilisce lo stanziamento di nuovi fondi per l’economia
verde (come avevano chiesto i Paesi in via di sviluppo), né
sono stabilite decisioni sulle divisioni di responsabilità tra i
Paesi che più inquinano.
Preservare la biodiversità esistente significa
anche garantire il diritto alla sicurezza
alimentare e alla Sovranità Alimentare. La
coltivazione di diverse varietà di cibo riduce
sia i rischi connessi all’agricoltura (si pensi
all’invasione di parassiti o alla siccità di vaste
aree alle quali alcune specie agricole saranno più
immuni di altre) sia la malnutrizione. Le varietà
di cibo prodotte con metodi tradizionali e senza
far ricorso a pesticidi oppure a OGM possono
garantire alle popolazioni un più facile accesso
al cibo di qualità e una maggiore sicurezza per la
salute umana.
L’intera catena alimentare risente positivamente
di un approccio all’agricoltura attento alla
biodiversità e le coltivazioni, in armonia con
l’ambiente circostante, garantiscono una
maggiore diversificazione e un arricchimento
dell’habitat naturale. Ma la tutela del patrimonio
genetico esistente permette di garantire, oltre
che la qualità nell’alimentazione, anche una
maggiore sostenibilità ambientale, economica e
sociale.
Lo sviluppo sostenibile è quel processo di crescita sia
economica sia sociale che consentirebbe di uscire dalla povertà,
preservando l’ambiente e le sue specificità.
(5)
Da alcuni studi è possibile desumere che la varietà di specie sul nostro pianeta si attesti tra i 10 e i 15 milioni,
ma l’uomo è riuscito a classificarne soltanto 1 milione.
DIRITTO AL CIBO
Biodiversità e cambiamento climatico in forte correlazione
tra loro dovrebbero essere una priorità per la Comunità
internazionale. Preservare – e in molti casi recuperare
– le conoscenze tradizionali, i saperi e le competenze e
le tecniche specifiche di coltivazione soprattutto nelle
zone rurali del mondo garantirebbe l’empowerment
sociale ed economico delle comunità. L’agricoltura può
diventare un veicolo di promozione della cultura locale,
può rafforzare l’autostima degli agricoltori, accrescere il
reddito delle famiglie attraverso il commercio locale dei
prodotti agricoli e migliorare la qualità dell’alimentazione
perché adeguata all’ambiente circostante e ricca del giusto
apporto nutrizionale. Diventa necessario, tuttavia, avere il
controllo delle varietà delle sementi e provvedere alla loro
conservazione e a un uso sostenibile per le generazioni
future.
Tutelare la biodiversità locale potrebbe realmente ridurre
la condizione di fame nel mondo soprattutto perché la
maggior parte degli affamati è concentrata nel sud dell’Asia
e nell’Africa sub-sahariana, aree per converso molto ricche
di biodiversità.
Nonostante questa consapevolezza il sistema agricolo
mondiale non è affatto cambiato e, come affermato da più
parti a livello internazionale, sono pochi gli sforzi in questa
direzione, tanto che il 2010, Anno internazionale della
Biodiversità e anno entro cui gli Stati avrebbero dovuto
raggiungere una diminuzione reale del tasso di perdita della
diversità biologica esistente, è stato un fallimento.
L’accesso alle risorse naturali a disposizione e, di
conseguenza, anche al cibo diventa quindi fondamentale
per gli Stati, tanto da generare conflitti per il loro
accaparramento. In effetti, è ormai opinione condivisa che i
conflitti moderni degli ultimi anni riguardano sempre meno
le ideologie (anche se spesso vengono ricondotti a queste)
e sempre più il controllo di aree ricche di risorse, siano esse
petrolifere, idriche, minerarie o altro.
Questi conflitti
colpiscono
direttamente le
popolazioni più
povere del mondo,
ma la loro causa
principale è la
costante domanda
di risorse e di prodotti di consumo dei Paesi
ricchi e industrializzati, che finisce per
incentivare modelli di sfruttamento spinti
dall’aumento degli scambi commerciali.
Secondo la nota attivista politica e
ambientalista indiana Vandana Shiva, il
fenomeno di interdipendenza globale del
sistema economico (di produzione e di
commercio) internazionale sta generando un
bisogno di accesso alle risorse che va oltre
qualsiasi concetto di giustizia e sostenibilità:
«Guerre per il petrolio, guerre per l’acqua, guerre
per la terra, guerre per l’atmosfera: è questo il
vero volto della globalizzazione economica».
I conflitti per il controllo delle risorse non
si hanno solo fra Stati ma anche fra popoli
o gruppi locali di un singolo Paese. Lo
dimostrano numerosi scontri e guerriglie nel
Sud Est Asiatico per il controllo del legname,
in Angola e Sierra Leone per i diamanti, nella
Repubblica Democratica del Congo per il
legname, il rame, i diamanti e il coltan. Negli
ultimi decenni, i conflitti civili e territoriali
per il controllo dell’acqua, si sono moltiplicati
in molti Paesi (in Thailandia sul fiume Chao
Prhaja e in India nel Punigo per i pozzi e per
le acque dell’Indo). Una lettura, sostenuta
da più parti, dell’annosa questione israelopalestinese vede alla base del conflitto la
contesa del fiume Giordano e quindi l’accesso
alle risorse idriche. Se il nostro sistema
di sviluppo continuerà a essere basato
esclusivamente sulla crescita economica, cioè
sulla crescita del Pil (Prodotto interno lordo)
dell’“economia classica”, non ci potrà essere
sostenibilità futura perché non è possibile
promuovere una crescita infinita a ritmi elevati
con risorse che tuttavia sono limitate.
L’accesso alle risorse
naturali diventa
fondamentale per gli Stati,
tanto da generare conflitti
per il loro accaparramento.
41
42
DIRITTO AL CIBO
3.2 Il modello industriale di produzione degli alimenti:
causa ed effetto del surriscaldamento terrestre
L’accesso al cibo è determinato anche dallo stato di salute della Terra, messo in condizione di
grave insostenibilità a causa dei cambiamenti climatici, che già oggi hanno un impatto devastante
sull’agricoltura. Studi fatti dall’UNDP (United Nations Development Programme) e dall’IPCC
(Intergovernmental Panel on Climate Change), pubblicati nel Rapporto sullo Sviluppo Umano del 20072008 dedicato proprio al tema dei cambiamenti climatici e al loro impatto sullo sviluppo, delineano
uno scenario futuro preoccupante. L’attuale divario esistente tra Paesi ricchi e Paesi poveri sarà
ancora più grave se non si intraprendono immediatamente azioni efficaci per invertire la rotta verso
un sistema mondiale che sia più giusto ed equo.
I cambiamenti climatici influiscono in particolare sulla riduzione della produttività. Il paradosso messo
in luce dal Rapporto è che gli effetti del cambiamento climatico sono causati in particolar modo dal
modello di sviluppo dei Paesi ricchi, ma sono i Paesi poveri a pagarne le conseguenze peggiori. La
possibilità, nel breve periodo, di reagire al cambiamento in corso, è soltanto una prerogativa dei Paesi
ricchi, che in questo modo, nel lungo periodo, deterranno l’intera produzione di cibo mondiale. Si tratta
di uno scenario già in atto, che impone
un intervento serio e deciso da parte
dell’intera Comunità internazionale.
Tutta la produzione diretta e indiretta
di cibo (l’agricoltura, l’allevamento e la
pesca) è influenzata dal cambiamento
climatico, ma allo stesso tempo è
causa determinante dello stesso.
Infatti, il degrado ambientale in corso
è dovuto all’alta concentrazione di gas
serra nell’atmosfera, che contribuisce
all’innalzamento delle temperature e
quindi al riscaldamento globale, con
effetti devastanti sull’ecosistema del
pianeta. Per avere un’idea di quanto
secondo caso, l’impatto sull’ambiente
il nostro cibo abbia contribuito al
deriva dalle emissioni di metano (CH4)
cambiamento climatico basti pensare
prodotte dal bestiame nella fase di
che nell’UE, per esempio, il 9% delle
digestione e indirettamente dalle
emissioni di gas serra è dovuto proprio
loro deiezioni depositate sul suolo.
all’agricoltura e all’allevamento, per due
Considerato che il metano è un gas
motivi principali: per l’uso indiscriminato
serra 30 volte più nocivo dell’anidride
di concimi chimici azotati e per le
carbonica, queste emissioni hanno un
emissioni di metano del bestiame. Nel
alto valore inquinante.
primo caso, l’utilizzo consistente di
concimi chimici o dei mangimi necessari
Nonostante la consapevolezza ormai
a mantenere il processo agricolo e
diffusa che il nostro sistema produttivo,
all’allevamento ha un doppio impatto
sebbene abbia portato ad un aumento
ambientale, che deriva sia dal processo
nella produzione di alimenti, in realtà
di produzione degli stessi - e quindi
ha degli impatti devastanti sul clima,
dalle emissioni dirette dell’industria
sulla biodiversità, sull’intero ecosistema
chimica - sia dal loro utilizzo, che
e sulla sua sostenibilità futura, gli Stati
inquina i terreni, i corsi d’acqua, le
sono ancora restii ad adottare politiche
falde acquifere e i mari. Inoltre, se
vengono utilizzati in quantità massicce,
rilasciano notevoli quantità di ossido
di azoto (N2O), un gas serra 300 volte
più potente dell’anidride carbonica. Nel
DIRITTO AL CIBO
forti, a intraprendere accordi vincolanti
che diano un segnale positivo e di chiaro
impegno nella lotta al cambiamento
climatico. Oltretutto, una maggiore
sostenibilità non implica una minore
produzione di cibo.
Le Conferenze internazionali periodiche
sul cambiamento climatico vedono
ancora troppe questioni lasciate
in sospeso. La Conferenza ONU di
Copenaghen tenutasi nel dicembre
2009, molto attesa soprattutto per
il raggiungimento di un accordo
vincolante per gli Stati sulla riduzione
dei gas serra, è stata un fallimento. Gli
Stati continuano a rinviare decisioni
importanti e urgenti, che diano dei
segnali chiari e che specifichino non
solo responsabilità ma impegni comuni
per salvare il pianeta.
Il surriscaldamento globale, sul quale
studiosi ed esperti continuano a
confrontarsi tra posizioni discordanti,
dovrebbe attestarsi nel corso di un
secolo sui 5°C in più rispetto all’attuale
temperatura globale, ovvero lo stesso
aumento avuto dall’ultima era glaciale.
Bastano soltanto 2°C in più rispetto alle
temperature attuali e il cambiamento
diventerà pericoloso e con ogni
43
44
DIRITTO AL CIBO
probabilità anche irreversibile o comunque molto difficile da
governare.
La condizione di insicurezza alimentare in cui versano
milioni di persone è fortemente legata al surriscaldamento
globale, proprio perché causa dell’aumento delle zone
desertiche e del frequente rischio di inondazioni. Negli
ultimi anni, la circolazione atmosferica che va dall’Equatore
ai Tropici (la cosiddetta cella di Hadley) che determina le
piogge tropicali o gli alisei, si sta spostando sempre più a
Nord a causa del riscaldamento della superficie terrestre
che è la forza da cui muove questa circolazione di aria. Il
risultato di questo spostamento è un aumento notevole delle
temperature a Nord verso i poli () e una maggiore frequenza
di alluvioni, piogge torrenziali e catastrofi naturali. Inoltre il
surriscaldamento globale, anche delle acque, provoca una
consistente riduzione del fitoplancton marino che costituisce
l’alimento base della catena alimentare marina (e produce
il 40% dell’ossigeno sulla Terra) causando entro pochissimi
decenni l’estinzione di molti pesci.
Sebbene l’impatto del cambiamento climatico sul terreno,
sulle acque e sull’aria sia anche piuttosto evidente, ciò
che spesso viene sottovalutato è l’effetto sul prodotto
finale e quindi sul cibo che viene poi
consumato. Infatti, le strategie fino
a ora messe in atto per far fronte ai
cambiamenti climatici e alla minore
produttività del suolo non tengono
conto della sempre maggiore
diffusione di agenti di contaminazione
dell’ambiente e di residui chimici propri
della catena alimentare, che vengono
inevitabilmente trasferiti anche al
prodotto agricolo che arriva sulle nostre
tavole soprattutto a causa dell’uso
indiscriminato di pesticidi e diserbanti.,
Secondo alcuni studi di Legambiente,
la presenza di pesticidi nella frutta e
verdura in commercio è aumentata e
con molta più frequenza si ritrovano
residui multipli, ovvero cocktail di più
pesticidi che costituiscono un grave
pericolo per la salute, soprattutto dei
bambini.
DIRITTO AL CIBO
I cambiamenti climatici, dunque, riflettono la stretta
interdipendenza tra politiche dei Paesi di tutto il mondo:
legano inscindibilmente le azioni di oggi a ciò che sarà
domani, intaccano la vita delle generazioni future verso
le quali abbiamo un «debito ecologico insostenibile»
(UNDP, Human Development Report 2007-2008).
L’UE sta promuovendo una politica più attenta alla
sostenibilità ambientale della produzione agricola ed
energetica, attraverso azioni che possano limitare il
cambiamento climatico. Sull’efficacia reale di questi
interventi vi sono ancora molti dubbi. Sicuramente c’è
l’intenzione dell’UE di porsi come leader della politica
mondiale in materia, ma per motivi che vanno oltre la
consapevolezza dell’urgenza di un intervento e della
profonda gravità del fenomeno. Un impegno forte in tal
senso permetterebbe all’UE di garantirsi una leadership
che è sia politica sia economica: innanzitutto perché gli
USA, a oggi, non hanno intrapreso azioni forti ed efficaci
perché non percepiscono ancora la preoccupazione
dell’esaurimento delle risorse energetiche, prima fra
tutte il petrolio; in secondo luogo, i Paesi cosiddetti
emergenti, come la Cina, l’India o il Brasile non hanno
l’interesse a introdurre elementi che possano in qualche
modo limitare o cambiare la forte crescita che stanno
sperimentando. Questa situazione permetterebbe
all’Europa con molta facilità di estendere poi, a livello
mondiale, degli standard univoci che garantirebbero
una sua ulteriore crescita economica e il ruolo di guida
politica nel lungo periodo.
I cambiamenti climatici
riflettono la stretta
interdipendenza tra politiche
dei Paesi di tutto il mondo.
45
46
DIRITTO AL CIBO
4
Alternative e buone
pratiche nel rapporto tra
uomo, ambiente e nutrizione
La FAO prevede che la produzione alimentare globale debba aumentare del 70% entro il 2050, per nutrire una
popolazione mondiale che dovrebbe raggiungere i 9,1 miliardi di persone. Ma mantenere l’attuale modello
di produzione, sviluppare un’agricoltura fortemente basata su prodotti chimici, sull’irrigazione intensiva e
sulla deforestazione per fare spazio all’allevamento di bestiame, non può essere sostenibile. Diventano quindi
necessari l’introduzione di una tecnologia produttiva che rispetti le specificità di ogni territorio e popolazione,
un aiuto concreto ai piccoli agricoltori capace di garantire l’autosufficienza alimentare e una corretta ed equa
redistribuzione delle risorse. Si stanno già sperimentando diverse alternative che vanno nella suddetta direzione,
ma si tratta ancora di esperienze di nicchia nei Paesi ricchi e poco diffuse nei Paesi poveri. Anche come
consumatori abbiamo delle responsabilità, ma bisogna essere consapevoli che un cambiamento è possibile
anche attraverso i nostri semplici gesti quotidiani.
4.1 Agricoltura sostenibile
A fronte di un’agricoltura intensiva, dipendente dal petrolio,
che contribuisce in maniera massiccia alle emissioni di gas
serra – il 30% delle emissioni è dovuto alla produzione di
cibo – c’è una sempre maggiore attenzione a un altro tipo di
agricoltura, quella che viene definita
agricoltura sostenibile.
Questo tipo di agricoltura utilizza
tecniche agricole in grado di rispettare
la biodiversità esistente, l’ambiente e il
naturale processo di assorbimento dei
rifiuti. Per questo motivo è fortemente
basata su processi naturali e allo stesso
tempo produttivi che fanno ricorso a
fertilizzanti organici, tratto distintivo
questo dell’agricoltura più propriamente
definita biologica. Un’altra sua
caratteristica fondamentale è l’utilizzo
di fonti energetiche rinnovabili, capaci
di garantire un’adeguata sostenibilità
ambientale nel breve periodo e di
non compromettere il patrimonio
lasciato in eredità alle generazioni
future. La produzione agricola avviene
prestando attenzione alle specificità
naturali del territorio senza far ricorso
ad agenti chimici oppure a organismi
geneticamente modificati, ricorrendo
a metodi naturali per sconfiggere gli
attacchi parassitari e alla rotazione
delle colture, per mantenere
ene
ere e
el su
uolo.
migliorare la fertilità del
suolo.
e è sstrettamente
trettamente
L’agricoltura sostenibile
imen
ntare perché
legata alla sicurezza alimentare
mbusttibili fossili
è indipendente dai combustibili
roduzio
ione
e si basa su mezzi di produzione
nendo
disponibili localmente. Interven
Intervenendo
ncrementa
a
con processi naturali incrementa
glii
l’efficacia dei costi e la resistenza degl
degli
ecosistemi
cosistemi agricoli nei conf
confronti
nfro
ront
ntii di
ondizioni climatiche difficili
condizioni
difficili.
L’agricoltura sostenibile, inoltre, rompe
il circolo vizioso dell’indebitamento a
cui sono costretti i piccoli agricoltori
per acquistare i mezzi di produzione
agricoli.
DIRITTO AL CIBO
Quando coltivazioni commerciali
certificate sono collegate con migliorie
agro-ecologiche e maggiori redditi per
i contadini poveri, c’è una maggiore
autosufficienza alimentare e una
generale rivitalizzazione dell’agricoltura
su piccola scala.
L’agricoltura biologica, aumenta la resa
dei raccolti attraverso le pratiche che
favoriscono l’ottimizzazione dei processi
biologici e delle risorse locali più di
costosi metodi chimici tossici. Data la
sua economicità e sussistenza da fonti
autoctone e rinnovabili, l’agricoltura
biologica è facilmente adottabile da 400
milioni di piccoli coltivatori e aziende
agricole relativamente poveri. È questa
la soluzione per mettere in sicurezza
il problema alimentare
alimentare, anche perché
queste piccole realtà rurali possono
trasformarsi a favore di una maggiore
produttività, aumentando la fertilità dei
terreni, ottimizzando l’uso delle risorse
idriche e offrendo uno strumento
efficace alla lotta al cambiamento
climatico.
Unita alla sostenibilità agricola e
nell’ottica di un rafforzamento degli
agricoltori locali, da più parti si ritiene
indispensabile la promozione
47
DIRITTO AL CIBO
al tempo stesso efficacia ed efficienza nel
sostentamento della popolazione.
Per questo motivo, da più parti a livello
internazionale, le organizzazioni di contadini,
gli organismi internazionali e la società civile
richiedono agli Stati che le politiche agricole
promuovano un potenziamento del sistema
agricolo familiare, fornendo degli aiuti, garantendo
l’accesso al credito o trasferendo una tecnologia
adeguata.
di politiche a sostegno della piccola agricoltura a
gestione familiare. L’IFAD (Fondo Internazionale
per lo Sviluppo Agricolo) ha dichiarato che
l’agricoltura familiare è fondamentale per ridurre
l’insicurezza alimentare e promuovere lo sviluppo
nelle aree rurali. I piccoli agricoltori costituiscono,
infatti, la vera forza di molti Paesi poveri.
Promuovendo e recuperando la conoscenza e i
valori del territorio, l’agricoltura familiare innesca
un’inversione di tendenza, cioè il passaggio dalla
produzione agricola estensiva e industriale,
esclusiva delle grandi aziende, allo sviluppo di
un tessuto di piccoli agricoltori che permettono
di diversificare l’alimentazione e di garantirne
la qualità, preservando l’ambiente. Si tratta di
un modello produttivo che si sta diffondendo in
modo capillare dall’Europa all’Africa e all’America
Latina. In Africa garantisce il 90% della produzione
agricola e vede occupato il 60% della popolazione.
Le aziende agricole familiari destinano i prodotti
al consumo interno e al mercato locale. Per
questo motivo, l’azienda agricola familiare non si
limita alla produzione di alimenti, ma ne segue
la trasformazione, il commercio e permette
lo sviluppo di attività sociali. All’interno delle
aziende agricole familiari, dunque, si sviluppa
una rete socio-culturale che favorisce l’assoluta
adattabilità all’ambiente circostante e il legame
con la comunità di appartenenza, garantendo
L’agricoltura familiare è fondamentale per ridurre l’insicurezza
alimentare e promuovere lo sviluppo nelle aree rurali.
49
50
DIRITTO AL CIBO
4.2 I custodi delle sementi e la tutela della biodiversitàà inn pratica
I semi sono un dono della natura, delle generazioni passate e delle diverse culture. È dunque
que
e nostro
si sono il
intrinseco dovere e responsabilità proteggerli per tramandarli alle generazioni future. Essi
ettacolo
primo anello della catena alimentare, incarnano la diversità biologica e culturale e sono il rice
ricettacolo
della futura evoluzione della vita.
0 an
nni, al
Coltivatori e comunità umane operano fin dalla rivoluzione neolitica, ossia da circa 10.000
anni,
ulatto sugli
fine di migliorare la resa, il gusto, i valori nutritivi e altre qualità dei semi. Il sapere accumulato
assi di
effetti sulla salute e sulle proprietà curative delle piante, come anche su certe particolari pra
prassi
pliato
coltivazione e interazioni con il mondo animale e vegetale, con il suolo e con l’acqua, si è amp
ampliato
so lla
a
ed è stato tramandato nei millenni. Alcuni interventi di ibridazione iniziali hanno promosso
o, il frumento
coltivazione su più larga scala di alcune specie nei loro centri di origine (come, ad esempio,
a allora
in Mesopotamia, il riso in Indocina e in India, il mais e la patata in Centro-America), che da
ato alla
sono state poi diffuse in tutto il mondo. Il libero scambio di semi tra coltivatori è sempre sta
stato
o sc
cambio
base della conservazione della biodiversità e della sicurezza alimentare: si trattava di uno
scambio
basato sulla cooperazione e sulla
reciprocità, nel quale i contadini in genere
si scambiavano pari quantità di semi.
Questa libertà è qualcosa che va oltre il
semplice scambio dei semi: essa riguarda
anche la condivisione e lo scambio di idee
e conoscenze, di cultura e patrimonio. È
una somma di tradizione e di conoscenze
sulle modalità di trattamento dei semi
che i coltivatori acquisiscono vedendo
realmente i semi crescere nei propri
campi. L’importanza culturale e religiosa
della pianta, il suo valore dal punto
di vista gastronomico, la resistenza
a siccità e malattie, ai parassiti, la
corporativi.
conservazione e altri aspetti vanno a
rdita di
Di fronte alla continua perd
perdita
costituire, tutti insieme, quel sapere che
a dif
ffusione
biodiversità locale e alla
diffusione
una comunità va complessivamente a
mplifficano il
di monocolture che semplificano
dare al seme e alla pianta che produce.
ne ag
gricola
sistema della produzione
agricola
Oggi la diversità e il futuro dei semi
aneta
a e per
con gravi danni per il pianeta
sono in pericolo. Delle 80.000 piante
el mondo
do e in
l’uomo, in varie parti del
commestibili usate a scopo alimentare
o, gruppi di
modo sempre più vasto,
se ne coltivano solo 150 e solo 8 sono
endo in atto
contadini stanno mettendo
commercializzate in tutto il mondo.
n sistema di diffusione e sscambio
camb
ca
mbio
io
Ciò implica l’irreversibile scomparsa
un
ella loro conoscenza e di recupero dei
della diversità dei semi e delle
della
coltivazioni. La graduale distruzione
saperi legati all’agricoltura, coltivando
della diversità è l’effetto del bisogno
solo ed esclusivamente quelle varietà
di omogeneizzazione che caratterizza
agricole presenti nel proprio territorio e
l’agricoltura industriale. La libertà di
specifiche della zona di appartenenza.
gestire i semi e la libertà dei coltivatori
Si tratta del cosiddetto “Sistema
sono minacciate dai nuovi diritti di
informale delle sementi”, una realtà
proprietà e dalle nuove tecnologie che
stanno trasformando i semi da bene
comune condiviso del mondo contadino
ad un bene di largo consumo sotto il
controllo centralizzato dei monopoli
DIRITTO AL CIBO
presente in diverse parti del mondo, dai
Paesi più ricchi e industrializzati a quelli
più poveri, dal Perù alla Norvegia, dal
Nepal alla Scozia.
Da circa 30 anni si sono sviluppati dei
veri e propri movimenti organizzati e in
rete a livello mondiale che hanno come
principale obiettivo quello di custodire
la biodiversità esistente attraverso il
recupero di varietà di semi a rischio
di estinzione. I seed savers ovvero i
custodi di sementi hanno recuperato
o tutelato dal pericolo di estinzione
migliaia di varietà di piante, ortaggi,
cereali, leguminose e alberi da frutto
tra le più antiche e un tempo diffuse.
Coltivando varietà che non vengono
più commercializzate e molto spesso
rare
rare, i seed saverss rendono disponibile
un’agrobiodiversità così ricca, che a
volte è difficile da trovare nelle banche
dei semi istituzionali.
Non si tratta di gesti eroici di pochi
illuminati. I seed savers sono persone
comuni che singolarmente piantano nel
loro orto alcune delle varietà recuperate,
favoriscono la riproduzione dei semi
negli anni e li scambiano con altri
“custodi di sementi”. Grazie a questo
circolo virtuoso e capillare, le varietà
51
DIRITTO AL CIBO
53
ripristinate in tutto il mondo sono tantissime.
In Italia, la rete di seed savers fa capo a Civiltà
Contadina, l’organizzazione che riunisce
appunto i piccoli agricoltori che salvano,
conservano e riproducono in campo o in casa i
semi delle varietà antiche ortofrutticole tipiche
del nostro territorio.
Ma nonostante l’impegno attivo in tal
senso, ancora molte varietà devono essere
riscoperte e conservate, a fronte di una
distruzione capillare a livello planetario della
ricchissima biodiversità rurale. Sebbene
ci sia una generale riscoperta degli orti
familiari, anche nelle grandi città in cui gli
stessi amministratori locali a volte mettono a
disposizione appezzamenti di terreno da poter
coltivare, è necessario recuperare la cultura
della semina che fa sì che i semi vengano
piantati anno dopo anno e non acquistati in
busta al supermercato, anche perché molto
spesso si trovano in vendita sementi ibride(6)
che producono frutti i quali a loro volta
contengono semi con un patrimonio genetico
tanto povero da impedirne la semina nell’anno
successivo.
Delle 80.000 piante commestibili usate a scopo alimentare se ne
coltivano solo 150 e solo 8 sono commercializzate in tutto il mondo.
(6)
I semi ibridi derivano dalla fusione di due linee parentali rese geneticamente omogenee da autoincroci.
Specie ermafrodite (come il mais o il pomodoro) che hanno cioè fiore maschile e femminile sulla stessa pianta, in
realtà, si riproducono in seguito a una fecondazione avvenuta tra fiore maschile di una pianta e fiore femminile
di un’altra pianta. Nel caso dei semi ibridi, il selezionatore riproduce una pianta che ritiene particolarmente
rigogliosa e promettente attraverso l’autoincrocio (fecondazione del fiore femminile a carico di quello maschile
presente sulla stessa pianta). L’ibrido nasce da due linee parentali di questo tipo.
54
DIRITTO AL CIBO
4.3 La permacultura
rmacultura
Nata da un’idea di Bill Mollison, scienziato e naturalista australiano, la permacultura mira
a a progettare
rio fra
insediamenti umani il più possibile vicini agli ecosistemi naturali creando il miglior equilibrio
ambiente, agricoltura, sostenibilità, economia, coesione sociale e accesso al cibo.
permanent
Il termine permacultura deriva dalla fusione delle parole inglesi “permanent agriculture” e “p
“permanent
odu
uzione di
culture”, che pongono l’accento proprio sulla stretta connessione tra sistema agricolo/produzione
cibo e cultura e tradizione.
La permacultura tiene conto dei singoli elementi che compongono un ambiente: le piante,, gli animali,
le fonti energetiche, gli edifici, le infrastrutture e le persone e li mette in relazione al fine di creare
one, che
un sistema ambientale, ecologico ed economico efficiente per il fabbisogno della popolazione,
e e poi
rispetti l’ambiente e che sia sostenibile nel tempo. La permacultura è un modo di pensare
entte,
di operare secondo principi e modalità pratiche di vita quotidiana che sostengono l’ambiente,
to e
evitando dispersioni e inquinamento. Il tutto è volto al fine ultimo dell’auto-sostentamento
dell’autosostenibilità, nel rispetto delle risorse naturali a disposizione e di tutte le risorse energetiche.
Questo sistema “sociale” rispetta i ritmi
della natura e si attiene alle sue modalità
di produzione. Tuttavia l’autosufficienza
è possibile solo se viene garantito
l’accesso alla terra, all’informazione e
alle risorse economiche. Per questo
motivo, recentemente la permacultura ha
iniziato a occuparsi di diritti di proprietà
della terra e della loro tutela, laddove
non esiste ancora una giurisprudenza a
riguardo.
La permacultura, quindi, cerca di integrare
perfettamente ecologia, geografia,
antropologia e sociologia.
Ma la permacultura è anche uno stile di
ne d
ei processi
e nell’industrializzazione
dei
vita che, attraverso pratiche quotidiane,
produttivi e l’aumento del reddito
consente di produrre, ovunque possibile,
to una cultura
disponibile hanno creato
una parte del cibo che consumiamo
sape
evole del
del consumismo inconsapevole
tutti i giorni, negli orti di casa, sui
to del
elle risorse e
graduale impoverimento
delle
balconi o nei campi.
e in co
ors
r o.
del degrado ambientale
corso.
La permacultura quindi può
ossibile af
a
fermare
Per questo motivo è possibile
affermare
contribuire alla Sovranità Alimentare
ebbene si si
sia
che la permacultura, sebbene
dei popoli perché si fonda sul
urali dell’Ameri
rica
ca
diffusa in alcune aree rurali
dell’America
rispetto delle specificità locali e su
atina o dell’Africa, rich
hiede
de u
n ve
vero
ro
rapporti di equilibrio tra l’ambiente
Latina
richiede
un
e gli insediamenti umani, il cui fine
e proprio cambiamento politico
ultimo è l’autosufficienza alimentare.
e culturale. Nei Paesi ricchi è un
Tuttavia, per circa 5 miliardi di
fenomeno circoscritto a pochi attivisti
persone soltanto il soddisfacimento
e che sta rivelando la sua efficacia più
dei bisogni fondamentali ha dei costi
nella promozione del consumo critico
talmente alti che le opportunità di un
che nel cambiamento del modello di
sistema autosufficiente come quello
sviluppo dominante.
promosso dalla permacultura diventano
estremamente limitate.
Dal lato delle fasce ricche della
popolazione, invece, i nuovi beni di
consumo, l’investimento nell’industria
DIRITTO AL CIBO
Per attuare la permacultura non è
necessaria una grande esperienza
nell
ne
lla
a co
colt
ltiv
ivaz
azio
ione
ne, né u
n va
vast
sto
o
nella
coltivazione,
un
vasto
appezzamento
appezzamento. Invece
Invece, si tratta
soprattutto di acquisire nuove
prospettive, in questo modo anche un
mini-giardino può trasformarsi in un
biotopo diversificato e pulsante di vita
e contribuire così al miglioramento
dell’ambiente in cui viviamo, persino
nelle squallide periferie delle città.
Anche la pendenza di un giardino può
divenire vantaggiosa se la si sfrutta
adeguatamente. La progettazione di
una permacultura richiede perciò che si
mappino e valutino forma e pendenza
dellll’a
de
app
ppez
ezza
zame
ment
nto
o, iisolamento,
sola
so
lame
ment
nto
o,
dell’appezzamento,
vento ombreggiamento,
ombreggiamento
direzione del vento,
disponibilità idriche.
Lo spazio verrà quindi strutturato con
sentieri, siepi, per creare piccole nicchie
chiuse e riparate, utilizzando piante che
su diversi piani svolgano multifunzioni
e servano da spalliere, come riparo
dal vento e dal sole o dalla vista, ma
contribuiscano al tempo stesso alla
consociazione e diversificazione delle
specie, che portino frutti per l’uomo e gli
animali e offrano nettare agli insetti.
55
DIRITTO AL CIBO
57
Il primo obiettivo di un orto-giardino che si
autorinnova e rispetta le risorse è comunque
quello di assicurare la salute e la fertilità del
suolo, perché solo in tal caso la produzione
è il risultato naturale di un sistema efficace.
Non si deve dimenticare che ogni frutto, ogni
ortaggio raccolto è fertilità rubata al terreno e
che è assolutamente necessario restituire al
suolo i rifiuti organici.
Di qui il ruolo fondamentale del compostaggio,
della pacciamatura(7) e del sovescio(8), ma
anche delle aiuole a cumulo e aiuole rialzate.
Particolarmente interessante è l’approccio
della permacultura con l’energia, lavoro
umano compreso. L’orto a permacultura deve
essere altamente produttivo ma al tempo
stesso richiedere meno lavoro ed impegno
possibile.
Questo può sembrare contraddittorio, ma
esistono molte tecniche che permettono
di raggiungere questo obiettivo. Si tratta di
sviluppare nuove idee o adattare esperienze
già fatte alla propria situazione e ai propri
bisogni.
L’autosufficienza è
possibile solo se viene
garantito l’accesso alla
terra, all’informazione e
alle risorse economiche.
(7)
La pacciamatura è un’operazione attuata in agricoltura e giardinaggio che si effettua ricoprendo il terreno con
uno strato di materiale, al fine di impedire la crescita delle malerbe, mantenere l’umidità nel suolo, proteggere
il terreno dall’erosione, evitare la formazione della cosiddetta crosta superficiale, diminuire il compattamento,
mantenere la struttura e innalzare la temperatura del suolo [Wikipedia].
(8)
Il sovescio è una pratica agronomica consistente nell’interramento di apposite colture allo scopo di mantenere
o aumentare la fertilità del terreno. I risultati che si possono ottenere sono di vario tipo: aumento della materia
organica al terreno; rallentamento di fenomeni erosivi; mantenimento del contenuto di azoto nitrico [Wikipedia].
58
DIRITTO AL CIBO
4.4 Il Commercio
mercio Equo
Il Fair Trade o Commercio Equo ha come principale obiettivo quello di promuovere e realizzare
zzare
scita
a si è
un mercato internazionale fondato sul principio di equità. Il Commercio Equo alla sua nascita
mp
portante
concentrato solo sui prodotti di artigianato locale che costituiscono una fonte di reddito importante
otti
per le famiglie e soprattutto per le donne. Con il tempo si è passati al commercio di prodotti
cc. In questo
alimentari: prima al caffè, per poi proseguire con il tè, le spezie, il cacao, i succhi di frutta ecc.
cam
mbio, in
modo si sono creati nuovi canali commerciali e si è sviluppata una vera e propria rete di scambio,
parte alternativa al commercio internazionale di massa.
ati la cui
Il Commercio Equo con il tempo è diventato un vero e proprio marchio di prodotti certificati
o ambientale
produzione, trasformazione e distribuzione biologicamente compatibile e a basso impatto
ame
entali
si basa su migliori condizioni di vita dei produttori, ai quali vengono garantiti i diritti fondamentali
rezzza e
e un prezzo che possa permettere loro di condurre una vita dignitosa in condizioni di sicurezza
autosufficienza economica.
enta alla
Il Commercio Equo crea una rete tra produttori, distributori e consumatori trasparente e atte
attenta
giustizia sociale e al rispetto dei diritti
umani, per un commercio che si sviluppi
secondo un metodo di importazione
diretta, tale da eliminare tutte quelle
intermediazioni che poi vengono pagate
dal consumatore finale a caro prezzo, ma
che consenta anche di finanziare i più
svantaggiati per evitare che si indebitino.
La FLO (Fairtrade Labelling International),
nata nel 1997, è l’associazione mondiale
che certifica e pone il marchio sui prodotti
del Commercio Equo che poi vengono
venduti principalmente nelle Botteghe
del Mondo, ma anche nei supermercati
o nei distributori automatici. Unisce
he in
nvestono i
perlopiù cooperative che
investono
alla vendita una particolare attenzione
a ve
endita dei
guadagni derivanti dalla
vendita
all’informazione dei consumatori sui
c ali. Tali
loro prodotti in progettii soci
sociali.
prodotti e sui produttori, oltre che
ntera
a comunità
progetti coinvolgono l’intera
sulle conseguenze che il commercio
cano processi di
di appartenenza, innescano
tradizionale può avere sulle popolazioni
mettono
sviluppo locale diffuso e perm
permettono
più svantaggiate. L’obiettivo finale è
oni di vit
ta delle
di migliorare le condizioni
vita
favorire una sensibilizzazione diffusa
fasce più vulnerabili.
sul tema dello sviluppo, un consumo
azione di
La più grande organizzazione
consapevole e promuovere un’economia
ommercio Equo italiana e la sseconda
econ
ec
onda
da
responsabile, che coinvolga anche
Commercio
ù grande a livello mondiale è il
specifiche categorie e attori sociali
più
ed economici dei Paesi ricchi ed
Consorzio Ctm Altromercato, che
economicamente sviluppati.
riunisce 130 associazioni e cooperative.
In Italia il marchio di garanzia del
Con 350 Botteghe del Mondo diffuse
Commercio Equo viene posto da Fair
in modo capillare sull’intero territorio
Trade Italia, un consorzio di organismi
italiano, oltre al commercio vero e
che lavorano nella cooperazione
proprio dei prodotti si impegna a
internazionale, nato nel 1994 per
diffondere i principi e la cultura di un
diffondere nella grande distribuzione
consumo responsabile e solidale.
i prodotti del mercato equo. Le
organizzazioni di produttori con cui
collabora il sistema di Fair Trade sono
DIRITTO AL CIBO
59
Il Commercio Equo crea una rete tra produttori, distributori e consumatori
trasparente e attenta alla giustizia sociale e al rispetto dei diritti umani.
60
DIRITTO AL CIBO
4.5 La filie
filiera
era corta
La grande distribuzione è diventata un anello fondamentale nell’intera filiera produttiva del cibo che
nali ha
dal produttore va al consumatore, al punto che la concorrenza che si crea tra i distributorii fin
finali
strretti a
un forte impatto sui fornitori (intermediari) e provoca pressioni sui contadini, che sono costretti
hi realmente
produrre a prezzi molto bassi. Infatti, è ormai noto che i prezzi non vengono stabiliti da chi
erca
ati, centri
coltiva la terra e produce, ma vengono decisi dai distributori: i nostri supermercati, ipermercati,
re le decisioni
commerciali riuniti nelle cosiddette Centrali di acquisto, originariamente nate per prendere
rlo. Di fatto, il
sul mercato alimentare e fissare prezzi competitivi per il consumatore e quindi per tutelarlo.
vie
ene proprio
prezzo che noi paghiamo oggi per il cibo che arriva sulle nostre tavole, e che per il 70% proviene
dalla grande distribuzione, risente degli altissimi costi dovuti a:
1. Produzione dipendente dai carburanti fossili.
2. Scarti che avvengono già nella prima fase di selezione del raccolto.
3. Trasformazione industriale.
4. Packaging cioè imballaggio e confezionamento.
ento
o genera
5. Logistica e trasporto sempre più spesso intercontinentale (ogni trasporto/spostamento
costi/profitti e aumenta il PIL).
6. Costi di pubblicità e marketing.
Per questi motivi è evidente che il prezzo
finale del prodotto viene stabilito dai vari
gruppi di interesse che intervengono a
diverso titolo nell’intera filiera.
Negli anni recenti, in seguito alla
maggiore attenzione del consumatore
alla qualità di ciò che mangia e anche alla
sostenibilità ambientale della produzione
agricola, si è diffusa – o meglio si è
recuperata – quella forma di vendita
diretta che già un tempo avveniva nei
mercati contadini, i farmers’ markets.
Si tratta della cosiddetta filiera corta
e) e infine
prodotto (refrigerazione)
oprio dalla
ovvero di quel rapporto diretto e
anche sull’imballaggio. Pro
Proprio
one d
senza intermediari tra produttori e
concezione anglosassone
dii “food
are qu
q
anto i
consumatori.
miles” volta a sottolineare
quanto
bbiano
Ma in che modo la filiera corta
chilometri percorsi dal cibo a
abbiano
mbiente
t , in
contribuisce a una maggiore
un forte impatto sull’ambiente,
espressio
ione “a
sostenibilità ambientale, a un
Italia è stata coniata l’espressione
ta semplic
ce
commercio più equo e sostenibile e alla
chilometro zero”. Questa
semplice
fettamente l’id
dea
possibilità di garantire a tutti il diritto di
espressione rende perfettamente
l’idea
to e cconsumato
onsu
on
suma
mato
to
accesso a un cibo sano e nutriente?
di quanto il cibo prodott
prodotto
Un primo fattore importante della
e la sostenibilità ambientale siano
filiera corta è l’abbattimento dei costi
strettamente correlati. Oltre a questo
di trasporto, che sono anche costi
aspetto la vendita diretta molto spesso
ambientali e che ricadono sull’intera
privilegia una produzione biologica.
popolazione mondiale. Infatti,
Infine il packaging (l’imballaggio), che
ha dei costi ambientali non solo per
privilegiando la vendita diretta dal
la sua produzione ma anche per il suo
produttore al consumatore si risparmia
smaltimento, nei mercati contadini è
sia sull’uso di carburante necessario
quasi assente.
al trasporto (che nella grande
Anche i costi di produzione sono
distribuzione avviene generalmente
più bassi perché viene rispettata la
per centinaia o migliaia di chilometri),
stagionalità dei prodotti agricoli e, di
sia sui metodi di conservazione del
conseguenza, l’uso di energia necessaria
alla produzione è notevolmente ridotto.
DIRITTO AL CIBO
Ulteriore fattore determinante, ma
anche effetto della vendita diretta, è
il prezzo dei prodotti, generalmente
più conveniente in un sistema in cui
mancano gli intermediari tra produttore
e consumatore. Inoltre, l’agricoltore ha
la possibilità di incidere direttamente
sul fattore prezzo e di determinare
una remunerazione più adeguata del
suo lavoro. Dal lato del consumatore,
il prezzo dei prodotti diventa non solo
economico, ma anche di più facile
valutazione e garantisce quindi una
maggiore trasparenza. In aggiunta,
da parte dei consumatori c’è anche la
riscoperta di un contatto più diretto con
la terra, di una dimensione più agricola
che, soprattutto nel tessuto urbano,
è stata dimenticata o non è mai stata
scoperta. È chiaro che nei Paesi ricchi la
voglia di nutrirsi di cibi genuini, freschi,
che rispettino le periodicità stagionali
attiene più a una dimensione culturale e
sociale nostalgica del primitivo rapporto
con la terra che a una reale necessità di
nutrimento.
Secondo un sondaggio condotto dalla
Coldiretti (2007), la vendita diretta in
Italia è sempre più diffusa. Per chi non
si è ancora avvicinato a questo tipo di
61
DIRITTO AL CIBO
consumo, l’ostacolo principale è da ricercarsi
nella difficoltà a raggiungere le imprese
agricole. Il 30% degli intervistati dichiara che
la motivazione che spinge all’acquisto tramite
il canale diretto è il risparmio, che si attesta
mediamente sul 30%. Il 25% degli intervistati
da’ come motivazione la possibilità di
instaurare un rapporto diretto con i produttori;
per il 24% le motivazioni risiedono nelle
garanzie di freschezza, nella qualità e nella
genuinità del prodotto; per il 12% è un modo
per salvaguardare le tradizioni e la cultura
enogastronomica del territorio; infine, per il 9%
la scelta è dovuta al minore inquinamento, al
risparmio di energia e alla difesa dell’ambiente
legati al consumo dei prodotti locali.
63
64
DIRITTO AL CIBO
4.6 Consumo critico e responsabile
sponsabile
Il consumo critico privilegia prodotti con specifici requisiti di qualità che riguardano essenzialmente
zia
almente le
a ttutela
utela dei
modalità di produzione, per esempio la sostenibilità ambientale del processo produttivo, la
a pr
rovenienza
diritti dei lavoratori all’interno dell’azienda produttrice e il comportamento della stessa, la
provenienza
mballaggi).
del bene e quindi il suo trasporto oppure le sue modalità di smaltimento (il packaging o glili im
imballaggi).
e un peso e
Si tratta di requisiti di qualità ai quali, molto spesso, il consumatore medio non attribuisce
bblicitari.
ciò avviene anche perché i consumi vengono a volte indotti da altri input, soprattutto pubblicitari.
upp
posto che
Il consumatore critico, invece, si pone delle domande prima di ogni scelta e parte dal presupposto
dutttivo fino al
ogni singolo acquisto ha, di fatto, un peso sociale e ambientale dovuto all’intero ciclo produttivo
a maggiore
consumo finale. L’obiettivo è quello di ridurre al minimo questo peso e contribuire così a una
sostenibilità ambientale dei propri consumi e avere un impatto reale sul mercato.
catto, che può
Per tutti questi motivi il consumatore ha un forte potere di indirizzo delle politiche di mercato,
esercitare facendo delle scelte consapevoli.
In Italia non è possibile definire una data di inizio della pratica del consumo critico, ma
sicuramente c’è stata un’evoluzione.
Inizialmente, l’attenzione veniva volta
al comportamento delle aziende
maggiormente presenti nella grande
distribuzione e in alcuni casi la pratica
più diffusa era quella del boicottaggio di
specifici prodotti e aziende produttrici.
Nel 1996 viene pubblicata la “Guida
al consumo critico” dal Centro Nuovo
Modello di Sviluppo che raccoglie tutte
le informazioni sulle maggiori aziende
produttrici di beni di largo consumo
presenti nella grande distribuzione,
secondo specifici criteri (per esempio:
disponibilità dell’azienda a fornire
andi quantità
determinati prodotti in gra
grandi
informazioni; metodi di gestione
da ridistribuire tra loro. I prodotti
delle attività nel Sud del mondo;
do a
ttenzione
vengono scelti prestando
attenzione
registrazione dell’impresa o sue filiali in
ità e solidarietà
a specifici criteri di equità
Paesi a regime fiscale particolarmente
ipi de
el consumo
proprio secondo i principi
del
favorevole; condizioni di allevamento
eralm
men
e te,
critico. Si privilegia, generalmente,
e sperimentazione su animali).
ti di
la filiera corta e quindi prodotti
Questa Guida rappresenta il principale
odo
d tti
produttori locali o, nel caso di pro
prodotti
strumento di diffusione del concetto
mercio equo e
di importazione, il commercio
e della pratica del consumo critico in
olidale.
Italia.
solidale.
Con il tempo, anche in seguito
Si è costituita anche la Rete nazionale di
all’evoluzione storica e politica degli
collegamento tra i G.A.S. che favorisce lo
ultimi decenni, il consumatore critico
scambio di informazioni e di esperienze.
ha iniziato a prestare attenzione anche
Il consumo responsabile induce
alle specificità dei singoli prodotti e,
quindi a riflettere sulle conseguenze
in particolar modo, al loro impatto
che le semplici scelte di ogni giorno
ambientale.
possono avere sull’intero sistema
Tra le esperienze di consumo critico
globale, sull’ambiente e sulla società,
c’è quella dei G.A.S. (Gruppi di Acquisto
sull’accesso al cibo e sulla povertà.
Solidale), cioè di quei gruppi di persone
Orientare i consumi e fare delle scelte
(più o meno costituiti formalmente)
che decidono, insieme, di acquistare
DIRITTO AL CIBO
su prodotti di qualità, sostenibili ed
equi ha anche un impatto sulle imprese
e sui loro profitti, che dipendono
esclusivamente dal comportamento
dei consumatori
consumatori. Ormai appare chiaro a
tutti che il nostro sistema economico è
insostenibile; ciò che non è altrettanto
chiaro è che ogni singolo consumatore
della porzione più ricca del mondo ha
delle responsabilità e attraverso le sue
scelte di consumo finanzia o meno
un determinato modello di sviluppo.
Lo sanno bene le multinazionali che
investono ogni anno milioni di euro in
pubblicità per farcelo dimenticare o
convincerci del contrario.
65
Il consumo
responsabile induce
a riflettere sulle
conseguenze che
le scelte quotidiane
possono avere
sull’intero sistema
globale.
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