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Diritto al cibo - Exponi le tue idee!
Diritto al cibo Dalla sicurezza alimentare alla Sovranità Alimentare DIRITTO AL CIBO INDICE del 1L’evoluzione diritto al cibo 1.1 Il cibo: da bisogno a diritto umano pag.4 1.2 Malnutrizione nel mondo pag.10 1.3 Dalla sicurezza alimentare alla Sovranità Alimentare pag.14 2 Le principali cause della fame nel mondo 3 Risorse naturali e cambiamento climatico 3.1 Energia, acqua, terra, biodiversità pag.36 3.2 Il modello industriale di produzione degli alimenti: causa ed effetto del surriscaldamento terrestre 2.1 Dal colonialismo alle crisi mondiali: la disuguaglianza nell’accesso al cibo pag.18 2.2 Il “libero” mercato internazionale e il neoprotezionismo pag.24 2.3 Il modello industriale di produzione, la Rivoluzione Verde e gli OGM pag.28 2.4 L’accaparramento delle terre: la nuova frontiera del colonialismo pag.32 pag.42 4 Alternative e buone pratiche nel rapporto tra uomo, ambiente e nutrizione 4.1 Agricoltura sostenibile pag.46 4.2 I custodi delle sementi e la tutela della biodiversità in pratica pag.50 4.3 La permacultura pag.54 4.4 Il Commercio Equo pag.58 4.5 La filiera corta pag.60 4.6 Consumo critico e responsabile pag.64 Bibliografia pag.68 Sitografia pag.71 Filmografia pag.73 DIRITTO AL CIBO 4 1 L’evoluzione del diritto al cibo Il cibo è un bisogno necessario per la sopravvivenza. Un’alimentazione quantitativamente e qualitativamente adeguata, che consenta a tutti di condurre una vita sana e attiva è un diritto umano. Procedere all’analisi specifica del diritto al cibo, del sistema di produzione alimentare, delle politiche agricole ci fa comprendere come il cibo, che in modo quasi scontato troviamo ogni giorno sulle nostre tavole, in realtà ha una multidimensionalità intrinseca. Quando si parla di cibo si parla sì di agricoltura, allevamento e pesca, ma anche di politica energetica, di cambiamenti climatici, di sviluppo, di commercio internazionale, di diritti dei popoli. 1.1 Il Cibo: da bisogno a diritto umano Il cibo è un bisogno essenziale per la sopravvivenza di tutte le specie viventi. Anche l’organismo umano ha bisogno di un adeguato nutrimento per vivere, svilupparsi e crescere. Il cibo è indispensabile alla salute fisica e mentale, è l’energia che permette a tutti di pensare e di fare le più semplici azioni quotidiane. In assenza di nutrimento il corpo e il cervello si debilitano, essendovi uno stretto rapporto tra l’alimentazione e la salute neurologica e psichica. La mancata assunzione di elementi nutritivi, vitamine e minerali necessari per la sopravvivenza o la carenza alimentare protratta hanno degli effetti ancora più deleteri sui bambini, causando molto spesso un minore sviluppo fisico e mentale (e a volte danni cerebrali irreversibili). Numerosi studi hanno dimostrato che esiste uno stretto legame tra malnutrizione, rendimento scolastico e futura capacità di lavorare e generare reddito degli adulti di domani. Proprio in quest’ottica assume estrema importanza la Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (adottata dall’Assemblea Generale ONU nel 1989 e ratificata da 191 Stati, tra cui l’Italia nel 1991) che riconosce, all’art.27, “il diritto di ogni fanciullo ad un livello di vita sufficiente per consentire il suo sviluppo […]”, con l’impegno – vincolante per gli Stati firmatari – di attuare politiche di sostegno alla famiglia, in particolare per quanto concerne l’alimentazione. sse enziale e Il cibo, proprio perché essenziale ssa,, deve essere funzionale alla vita stessa, utti, un u diritto un diritto garantito a tutti, ssaggio dalla umano universale. Ma il pas passaggio concezione di bisogno vitale a quella o umano più ampia e articolata di diritto ors r o. si è avuto soltanto nel secolo sco scorso. nto formale di Un primo riconoscimento un n diritto umano al cibo sii è av avut avuto uto o el 1948 quando nel quando, nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (DUDU), venne sancito nell’articolo 25 il diritto di ogni individuo «ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il proprio benessere [...] con particolare riguardo all’alimentazione [...]». DIRITTO AL CIBO Se il diritto al cibo è un diritto umano, gode di tutte le caratteristiche che sono proprie di questi diritti e cioè: è fondamentale perché corrisponde alle esigenze vitali della persona; è universale perché appartiene indistintamente a ogni essere umano; è inviolabile perché nessun essere umano può esserne privato; è indisponibile perché nessuno può rinunciarvi neanche volontariamente; è indivisibile dagli altri diritti umani, che devono essere tutti parimenti difesi, promossi e riconosciuti; infine è interdipendente perché per la sua piena realizzazione è necessaria la contemporanea realizzazione di tutti gli altri diritti. Pertanto, per eliminare fame e povertà è necessario garantire altri diritti umani, come il diritto alla salute (l’igiene, l’acqua potabile, l’accesso a cure e farmaci), il diritto ad avere un’istruzione adeguata ecc. Tuttavia, una dichiarazione di principi come la DUDU dà una definizione di diritto al cibo ancora troppo ampia e strettamente collegata al concetto di sussistenza. Soltanto 20 anni più tardi, il Patto Internazionale 5 6 DIRITTO AL CIBO sui Diritti Economici, Sociali e Culturali del 1966 riafferma tale diritto in maniera più precisa, introducendo anche il concetto di «libertà dalla fame» (Art. 11). Si tratta di un riconoscimento importante dal punto di vista giuridico perché il Patto Internazionale è vincolante per gli Stati firmatari (circa 145) a differenza della DUDU, impone cioè il preciso obbligo di garantire tale diritto attraverso misure specifiche. Questa precisazione va fatta perché, insieme ai vantaggi di garanzia e di tutela, tutti i diritti implicano degli obblighi spettanti agli Stati. Tuttavia questi obblighi vengono diversamente interpretati a seconda del tipo di diritto da garantire. Gli studiosi, infatti, suddividono i diritti umani in 4 generazioni(1) a seconda del contesto storico in cui si sono sviluppati e conseguentemente della tipologia. Il diritto all’alimentazione rientra nella categoria dei cosiddetti “diritti di seconda generazione” (diritti economici, sociali e culturali) per i quali prevale un obbligo positivo ovvero un impegno ad attivarsi per garantire i diritti e non semplicemente un obbligo di astenersi dall’adottare condotte lesive di questi (i cosiddetti obblighi negativi, propri dei diritti di prima generazione). Ciò significa che i meccanismi di tutela internazionale del diritto all’alimentazione, come di tutti gli altri diritti di seconda generazione, dipendono dalle risorse finanziarie a disposizione e dalla possibilità o volontà politica dei governi di garantirli. Questo implica forti disparità fra Stati e difficoltà nel garantire il diritto al cibo a tutti, nonostante il proliferare dei suoi riconoscimenti internazionali. Ci vorranno altri 30 anni perché si passi alla definizione ancora più ampia di “sicurezza alimentare”: bisognerà aspettare il Vertice Mondiale sulla Fame della FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, tenutosi nel 1996. Secondo questa nuova definizione tutte le persone, in ogni momento della loro vita, devono avere accesso fisico, sociale ed economico a una alimentazione quantitativamente e qualitativamente adeguata, che consenta a tutti di condurre una vita sana e attiva. (1) Le generazioni dei diritti: 1ª generazione: i diritti civili e politici; 2ª generazione: i diritti economici, sociali e culturali; 3ª generazione: i diritti di solidarietà (il diritto alla pace, al godimento delle risorse della terra e dello spazio ecc.); 4ª generazione: i nuovi diritti legati ad esempio alla bioetica. DIRITTO AL CIBO Benché i diritti collegati all’alimentazione siano riconosciuti a diversi livelli nella maggior parte dei Paesi e in alcune Costituzioni, non sono di fatto promossi e difesi nella maggior parte dei Paesi in Via di Sviluppo. Ogni persona, infatti, dovrebbe avere accesso al cibo lungo tutto l’arco della propria vita e questo dovrebbe essere nutriente e sano, adeguato e in quantità sufficiente. Poi, è compito dello Stato garantire, anche attraverso la legislazione, che ciascuno possa provvedere al proprio nutrimento o attraverso la produzione diretta oppure attraverso l’acquisto di beni mediante il salario. Qualora il singolo non riuscisse a provvedere al proprio sostentamento (per cause gravi, malattie o vecchiaia), lo Stato dovrebbe intervenire direttamente in suo aiuto. Questa concezione del diritto al cibo, spesso disattesa, pone però in maniera ancora più efficace l’attenzione su un obbligo specifico di garanzia da parte di ogni Stato, che può essere legittimamente rivendicato dai cittadini. Il diritto al cibo, infatti, non può essere visto come un semplice obiettivo politico discrezionale e dipendente dalle risorse finanziarie a disposizione. Ciascun individuo deve poter vivere in un ambiente in grado di offrire nutrimento o, altrimenti, avere assistenza da parte della comunità politica, nel pieno rispetto della sua dignità. A tale fine, nel 2004, 191 Paesi membri del Consiglio della FAO hanno adottato all’unanimità le cosiddette «Direttive volontarie per la progressiva concretizzazione del diritto a una alimentazione adeguata nel quadro Sono soltanto 22 le Costituzioni che sanciscono espressamente il diritto alla sicurezza alimentare. della sicurezza alimentare nazionale» ovvero delle linee guida sul diritto all’alimentazione che, anche se non giuridicamente vincolanti, delineano azioni specifiche e concrete che gli Stati devono intraprendere per la realizzazione del diritto al cibo. Questo documento, come afferma la stessa FAO, ha permesso alla Comunità internazionale di accordarsi per la prima volta sul pieno significato di sicurezza alimentare, segnando una delle tappe più importanti nella storia del diritto all’alimentazione. Benché la promozione della sicurezza alimentare sia un compito spettante ai singoli Stati, sono soltanto 22 le Costituzioni nazionali che sanciscono espressamente questo diritto. La Costituzione italiana, ad esempio, non contempla una specifica norma sul diritto al cibo e la sua tutela e garanzia viene generalmente ricondotta al più ampio diritto alla salute, sancito all’articolo 32, mettendo ancora una volta in luce lo stretto legame tra la salute umana e l’accesso a un’adeguata alimentazione. Inoltre, per tutti quei diritti umani non espressamente presenti nelle nostre norme costituzionali si fa riferimento anche al più generico articolo 2, il quale dichiara che «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo [...] e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». 7 DIRITTO AL CIBO 9 La tutela internazionale della sicurezza alimentare ARTICOLO 25 - DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI (1948) 1. Ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari, ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà. 2. La maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale. ARTICOLO 11 - PATTO INTERNAZIONALE SUI DIRITTI ECONOMICI, SOCIALI E CULTURALI (1966) 1. Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per sé e per la loro famiglia, che includa un’alimentazione, un vestiario, ed un alloggio adeguati, nonché al miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita. Gli Stati parti prenderanno misure idonee ad assicurare l’attuazione di questo diritto, e riconoscono a tal fine l’importanza essenziale della cooperazione internazionale, basata sul libero consenso. 2. Gli Stati parti del presente Patto, riconoscendo il diritto fondamentale di ogni individuo alla libertà dalla fame, adotteranno, individualmente e attraverso la cooperazione internazionale, tutte le misure, e fra queste anche programmi concreti, che siano necessarie: a. per migliorare i metodi di produzione, di conservazione e di distribuzione delle derrate alimentari mediante la piena applicazione delle conoscenze tecniche e scientifiche, la diffusione di nozioni relative ai principi della nutrizione, e lo sviluppo o la riforma dei regimi agrari, in modo da conseguire l’accrescimento e l’utilizzazione più efficaci delle risorse naturali; b. per assicurare un’equa distribuzione delle risorse alimentari mondiali in relazione ai bisogni, tenendo conto dei problemi tanto dei paesi importatori quanto dei paesi esportatori di derrate alimentari. ARTICOLO 27 - DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA (1989) 1. Gli Stati parti riconoscono il diritto di ogni fanciullo a un livello di vita sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale. 2. Spetta ai genitori o ad altre persone che hanno l’affidamento del fanciullo la responsabilità fondamentale di assicurare, entro i limiti delle loro possibilità e dei loro mezzi finanziari, le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fanciullo. 3. Gli Stati parti adottano adeguati provvedimenti, in considerazione delle condizioni nazionali e compatibilmente con i loro mezzi, per aiutare i genitori e altre persone aventi la custodia del fanciullo ad attuare questo diritto e offrono, se del caso, un’assistenza materiale e programmi di sostegno, in particolare per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario e l’alloggio. 4. Gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento al fine di garantire il mantenimento del fanciullo da parte dei suoi genitori o altre persone aventi una responsabilità finanziaria nei suoi confronti, sul loro territorio o all’estero. In particolare, per tener conto dei casi in cui la persona che ha una responsabilità finanziaria nei confronti del fanciullo vive in uno Stato diverso da quello del fanciullo, gli Stati parti favoriscono l’adesione ad accordi internazionali oppure la conclusione di tali accordi, nonché l’adozione di ogni altra intesa appropriata. 10 DIRITTO AL CIBO 1.2 Malnutrizione nel ne el mondo Secondo dati FAO, la condizione alimentare mondiale dell’ultimo decennio, non ha conosciuto ciutto 842 milioni particolari progressi, passando da circa 907 milioni di sottonutriti nel biennio 2005-2007 a 842 nel 2011-2013. ata, si ha La condizione di fame, secondo una definizione quantitativa ormai comunemente accettata, ontto del quando non viene raggiunta la soglia minima di contributo calorico giornaliero (tenendo conto e, a sesso, delle fasce di età e del peso corporeo medio), che oscilla tra le 1700 e le 2000 calorie, all di sotto sto o motivo, della quale si manifestano malattie anche gravi, che possono portare alla morte. Per questo ion ne (si veda grandi rischi per la salute possono derivare non soltanto dalla , ma anche dalla malnutrizione Figura 2). Con malnutrizione si intende uno squilibrio - una carenza o un eccesso - nell’assunzione di om me nutrienti e altri fattori necessari per una vita sana. La malnutrizione si può manifestare come nerali) denutrizione, carenza di nutrienti essenziali (carenza proteica, energetica e di vitamine e min minerali) età o sovralimentazione. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS o WHO) stima che la me metà degli esseri umani, circa 3 miliardi di persone, soffra di un qualche genere di malnutrizione. Una persona su cinque nei Paesi in Via di Sviluppo soffre della più grave tra le varianti della malnutrizione la fame. L’Indice Globale della Fame (2) (GHI – Global Hunger Index) classifica i Paesi di tutto il mondo secondo il livello di insicurezza alimentare della popolazione nazionale, assegnando dei valori in una scala da 0 a 100. I valori più bassi (tra 0 e 5) indicano situazioni in cui la popolazione non patisce la fame, valori più alti, invece, (a partire da 10) ti Angola, primi dieci Paesi sono stat stati indicano situazioni di grave disagio; iopia, Ghana, Bangladesh, Cambogia,, Eti Etiopia, valori superiori al 30 indicano situazioni ailandia Malawi, Niger, Ruanda, Tha Thailandia drammatiche di malnutrizione e quindi ame rimane e Vietnam. Il livello di fame di forte emergenza. estre emamente ancora “allarmante” o “estremamente Secondo i dati raccolti per l’elaborazione allarmante”. dell’Indice Globale della Fame 2013, uazione e di fame Se poi si analizza la situazione siamo ben lontani dal raggiungere lare r alle del mondo guardando in particola particolare progressi importanti nella riduzione a complessità àe donne e alle bambine, la della fame. Rispetto al 1990, 23 Paesi nterdipendenza del di ritt itto o di a cces cc esso so hanno compiuto progressi significativi, l’interdipendenza diritto accesso riducendo i rispettivi punteggi GHI del al cibo rispetto alla tutela di altri diritti 50% o più. 27 Paesi sono usciti dalle umani appare ancora più evidente. categorie “estremamente allarmante” Il diritto di accesso al cibo, infatti, e “allarmante”. In termini di progresso implica anche il rispetto dei diritti della assoluto rispetto al GHI 1990, i donna e, in particolare, l’eliminazione (2) Il GHI combina 3 indicatori con uguale ponderazione: 1. La percentuale di sottonutriti sul totale della popolazione (che riflette la quota di popolazione con insufficienti assunzioni di energia alimentare). 2. La prevalenza dell’insufficienza di peso nei bambini sotto i cinque anni (che indica la percentuale di bambini che soffrono di perdita di peso e/o riduzione della crescita). 3. Il tasso di mortalità tra i bambini al di sotto dei cinque anni (che riflette parzialmente la fatale sinergia tra inadeguate assunzioni alimentari e ambienti insalubri). [cfr. Melgari V. – Peziali S. (a cura di) La sfida della Fame 2009 – Indice Globale, Link 2007 cooperazione in rete, 2009]. DIRITTO AL CIBO della disuguaglianza di genere e dell’esclusione sociale. Come rilevato dal Rapporto sull’Indice Globale della Fame del 2009, unendo i dati di quest’ultimo all’Indice che rileva la disparità di genere è subito evidente che garantire alle bambine e alle donne l’accesso ai servizi sanitari di base e all’istruzione contribuisce a garantire anche il diritto al cibo. Di fronte al dilagante fenomeno della “femminilizzazione della povertà”, l’eliminazione della disuguaglianza di genere e dell’esclusione sociale delle donne nel mondo diventa un imperativo. L’istruzione, in particolare, è uno dei più importanti indicatori dello sviluppo umano e e, in Paesi in cui l’insicurezza alimentare impedisce qualsiasi forma di sviluppo (economico, sociale, umano), eliminare le discriminazioni di genere(3) soprattutto nell’accesso all’istruzione (3) L’Indice della Disparità di Genere si calcola sulla base di 4 sottoindici: partecipazione economica, istruzione, emancipazione politica e salute e sopravvivenza. 11 DIRITTO AL CIBO degli ostacoli che bloccano le donne potrebbe essere la chiave per raggiungere l’obiettivo mondiale sull’alimentazione; ma per questo sono indispensabili politiche ispirate da una maggiore conoscenza delle difficoltà e aspirazioni femminili, e anche dalla partecipazione delle donne contadine. permette anche di garantire il diritto al cibo a tutti indistintamente. Ancora una volta la multidimensionalità del diritto al cibo si mostra in tutta la sua evidenza. Le donne, infatti, si occupano della cura della famiglia, dei mariti e dei bambini, e di conseguenza provvedono al sostentamento di tutti i suoi membri. Se le donne avessero un’istruzione e accesso ad adeguate cure sanitarie, sarebbero maggiormente in grado di garantire la sopravvivenza dei propri neonati, innescando processi virtuosi di sviluppo per l’intera comunità. Nelle aree rurali dove vive la maggior parte delle persone che soffrono la fame, le donne producono la maggioranza degli alimenti consumati sul posto. Il loro contributo potrebbe essere maggiore se avessero un adeguato accesso alle risorse e ai servizi essenziali, come la terra, la disponibilità di credito e la formazione. L’eliminazione Sviluppo mentale compromesso Tasso di mortalità più elevato Ridotta capacità di prendersi cura dei bambini Anziano Malnutrizione Maggior rischio per gli adulti di malattie croniche Svezzamento prematuro/ inadeguato Neonato Nascita sottopeso Infezioni frequenti Inadeguato sviluppo della crescita Inadeguata nutrizione fetale Cibo, salute e cure inadeguate Cibo, salute e cure inadeguate Bambino Arresto della crescita Donna Malnutrizione Gravidanza Basso aumento di peso Mortalità per parto più elevata Cibo, salute e cure inadeguate Adolescente Arresto della crescita Cibo, salute e cure inadeguate Ridotta capacità mentale Figura 1 - Effetti della fame nel ciclo vitale. (Fonte: United Nations – Standing Committee on Nutrition) Ridotta capacità mentale 13 14 DIRITTO AL CIBO 1.3 Dalla sicurezza alimentare alla Sovranità Alimentare Alim mentare Secondo una definizione fornita dalla FAO in occasione del Vertice Mondiale sulla Fame del el 1 1996, 996, sicurezza alimentare significa “accesso fisico, sociale ed economico di tutte le persone ad alimenti urre e una vita sufficienti, sicuri e nutrienti che garantiscano necessità e preferenze alimentari per condurre sana e attiva”. Questa definizione pone l’accento su 4 dimensioni della sicurezza alimentare che sono: 1. La disponibilità: la presenza di cibo in una determinata area. 2. L’accesso: la capacità di un nucleo familiare di ottenere questo cibo. oa 3. L’utilizzo: l’abilità di una persona di selezionare, assumere e assorbire i nutrienti nel cibo disposizione. 4. La vulnerabilità nell’approvvigionamento: i rischi fisici, ambientali, economici, sociali e sulla salute che intaccano la disponibilità, l’accesso e l’utilizzo. one Se da un lato il concetto di sicurezza alimentare così inteso è già ampiamente articolato e po pone l’asspetto l’accento sulla multidimensionalità del problema della fame, dall’altro non tiene conto dell’aspetto politico-sociale in cui il diritto di accesso al cibo deve essere garantito e quindi delle politiche locali, nazionali e internazionali che dovrebbero tutelarlo e favorirlo. Inoltre, il concetto di sicurezza alimentare non tiene conto delle modalità di produzione del cibo e della sua provenienza. Questi aspetti riguardano la politica economica nazionale, ma prendono in considerazione anche il sistema commerciale internazionale il quale, attraverso strumenti di difesa volti a influenzare gli scambi tra Paesi a vantaggio dei più ricchi, ha delle forti implicazioni sull’accesso al cibo di mentare e Quella tra sicurezza alimentare numerose popolazioni. Sovranità Alimentare non è una sottile La definizione di sicurezza alimentare, differenza semantica, ma è una visione inoltre, non tiene conto del modello sa, più i ampia strategicamente diversa, di sviluppo della “produzione agricola blema atica che e articolata di una problematica industriale” e quindi delle monocolture ca arattere sempre più dimostra il suo carattere e degli allevamenti intensivi, dell’uso esta nuova nuov o a multidimensionale. Questa di pesticidi, agenti chimici e ormoni ’ac accesso visione di garanzia del diritto all’ all’accesso della crescita, dell’introduzione di OGM ontribuire nel al cibo si propone di contribuire (organismi geneticamente modificati) ontempo a salvaguardare salvaguarda d re e ll’ambiente, ’a amb mbie ient nte e, e dei loro effetti sulla salute globale e contempo a biodiversità e la sostenibilità della sull’ambiente. la Il concetto di sicurezza alimentare può produzione agricola, tenendo conto essere quindi superato se si prende in dei bisogni della popolazione e di una considerazione l’aspetto più politico corretta e sana alimentazione. dell’intero sistema alimentare globale. Il concetto di Sovranità Alimentare In questo caso si parlerà di Sovranità viene introdotto per la prima volta Alimentare ovvero del diritto di ogni nel 1996 da La Vía Campesina, popolo di decidere, in modo diretto e partecipato, le proprie politiche in materia di alimentazione e di stabilire i sistemi più idonei per salvaguardare e regolare il mercato interno e l’autosufficienza. DIRITTO AL CIBO Movimento internazionale di contadini, agricoltori e indigeni di tutto il mondo che si è costituito nel 1992 raggruppando agricoltori dei Paesi ricchi e organizzazioni contadine dei cosiddetti Paesi in Via di Sviluppo, tutti con un unico obiettivo: battersi per i diritti di agricoltori, allevatori e pescatori a produrre il cibo, ad accedere alla terra, all’acqua e alle sementi, nella consapevolezza che la produzione deve principalmente garantire l’autosufficienza delle comunità locali e può essere un modo per uscire dalla condizione di povertà. Prendere coscienza e partecipare attivamente alla decisione politica con un processo che parta “dal basso” è un punto chiave del concetto di Sovranità Alimentare Alimentare, anche perché permette di identificare meglio i problemi e dà l’opportunità a chi è coinvolto direttamente di risolverli in autonomia, scegliendo modalità attente ai diritti. Il movimento La Vía Campesina si sviluppa nel preciso periodo storico in cui, con la costituzione del World Trade Organization (WTO - Organizzazione Mondiale del Commercio), la politica commerciale degli Stati, fino ad 15 16 DIRITTO AL CIBO allora gestita in autonomia entro i confini nazionali (tra organizzazioni di agricoltori e istituzioni), diventa sempre più globalizzata. Un organismo internazionale che si sostituisce, nella maggior parte dei casi, agli Stati stessi, portando avanti politiche che non tengono conto delle specificità di ogni territorio, ma che promuovono la visione del cibo come merce (sulla quale fare il massimo dei profitti possibile), l’industrializzazione del sistema agricolo e gli interessi delle multinazionali. Il WTO, nato nel 1994 dall’Uruguay Round del GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), viene istituito con lo scopo di recepire, regolare e coordinare gli accordi internazionali sul commercio tra i 23 paesi firmatari. Con la costituzione del WTO, quindi, si va oltre la sottoscrizione di un trattato tra Stati e si decide di affidare le principali decisioni in materia commerciale a una organizzazione internazionale vera e propria, il cui obiettivo è quello di ridurre, fino alla definitiva abolizione, le barriere tariffarie al commercio internazionale e tutti gli strumenti del cosiddetto “protezionismo” che gli Stati di volta in volta introducono per tutelare i produttori nazionali dalla concorrenza esterna. Di fatto, negli anni, questo obiettivo è stato assolutamente disatteso e oggi esistono numerosi strumenti commerciali che favoriscono gli Stati più ricchi danneggiando gli altri; si parla, infatti di neoprotezionismo. Non è un caso che il ciclo di negoziati noti come Doha Round (una trattativa avviata nel 2001, in sede WTO, con l’obiettivo di ridurre le barriere del commercio mondiale) siano stati, per ormai quasi 9 anni, dei continui fallimenti. Troppi interessi da parte di grandi potenze economiche, come gli USA, e di potenze emergenti, come Cina e India, soprattutto sulle barriere alle importazioni agricole volte a difendere il settore più delicato dell’economia, hanno creato un vero e proprio stallo nelle negoziazioni, riavviate nel 2009 e concluse solamente nel Dicembre 2013. Per le sue radici storiche e politiche, il concetto di Sovranità Alimentare è in netta contrapposizione con l’attuale sistema economico e commerciale, di cui il WTO costituisce l’incarnazione. DIRITTO AL CIBO La liberalizzazione del commercio internazionale e l’abbattimento della barriere doganali, la prevalenza del privato sul pubblico e il perseguimento del massimo profitto hanno creato e creano tuttora un’erosione del sistema agricolo fondato sulla produzione familiare volta innanzitutto a garantire il fabbisogno delle comunità di appartenenza. In questo modo sono state messe a repentaglio le economie di quei Paesi che si basano principalmente sul settore agricolo devastando gli ecosistemi locali e globali. «Il GATT danneggia tanto gli agricoltori dei paesi poveri quanto gli agricoltori impoveriti dei paesi ricchi a beneficio dei monopoli e delle imprese multinazionali» (Dichiarazione di Managua 1992, La Vía Campesina). Rivendicare la Sovranità Alimentare significa avere voce nel processo decisionale delle politiche agricole e sviluppare un approccio diverso e alternativo alle risorse: terra, acqua, energia, biodiversità. Tutela della biodiversità significa anche valorizzare la diversità culturale e le tradizioni di un determinato territorio, contro il rischio di degrado ambientale e sociale cui sono sottoposte le fasce più deboli della popolazione. Il concetto di Sovranità Alimentare intende dunque restituire alle famiglie contadine di tutto il mondo, e in generale ai popoli della terra, la libertà di produrre cibo prima di tutto per soddisfare il proprio fabbisogno e le proprie preferenze alimentari, che fondano le radici nella cultura, nella tradizione e nella biodiversità di ogni luogo. Rivendicare la Sovranità Alimentare significa avere voce nel processo decisionale delle politiche agricole. Ad oggi, le Costituzioni che garantiscono il diritto alla Sovranità Alimentare sono quelle di Ecuador, Bolivia, Venezuela e Mali. Nel corso dell’ultimo decennio si sono formati numerosi coordinamenti a livello internazionale e nazionale volti alla promozione della Sovranità Alimentare, con l’intento di orientare la definizione delle politiche economiche, agricole e ambientali e di informare e tutelare i consumatori e gli stessi produttori. Tra queste, il CISA (Comitato Italiano per la Sovranità Alimentare), che riunisce più di 270 organizzazioni (tra cui la stessa Fondazione We World Onlus), associazioni, movimenti e sindacati e che realizza azioni di pressione sulle istituzioni, progetti educativi e iniziative culturali nazionali e internazionali. Il CISA opera all’interno del più ampio Comitato Internazionale per la Sovranità Alimentare, ma intende incidere, in particolar modo, sulla politica estera agroalimentare/commerciale italiana ed europea. Soprattutto quest’ultima ha un grosso impatto sul sistema alimentare internazionale e necessita dunque di adeguati strumenti di regolamentazione capaci di tutelare i produttori, i lavoratori, i consumatori e i mercati. Trattandosi di politiche che hanno una forte incidenza sulla tutela dei diritti umani, il CISA si propone come “foro della società civile sulle questioni connesse alla Sovranità Alimentare”. 17 DIRITTO AL CIBO 18 2 Le principali cause della fame nel mondo La quantità di cibo prodotta nel mondo è in grado di soddisfare i bisogni dell’intera popolazione globale. Il problema reale riguarda l’accesso al cibo e quindi l’impossibilità per le fasce più povere della popolazione di produrlo o di acquistarlo. La condizione di fame nel mondo in cui versano milioni di persone ha delle cause molto complesse e spesso correlate tra loro. Affondano le radici nella storia, a partire dal colonialismo classico e sono il frutto di un modello di sviluppo internazionale che già oggi sta dimostrando la sua insostenibilità anche attraverso le numerose crisi del XXI secolo. Di fronte al fenomeno della fame nel mondo, che da più parti è stato definito un “genocidio silenzioso”, le azioni internazionali appaiono sempre più insufficienti e inefficaci. 2.1 Dal colonialismo alle crisi mondiali: la disuguaglianza nell’accesso al cibo Per comprendere le motivazioni della condizione di insicurezza alimentare nel mondo e il perché quest’ultima sia concentrata in alcune zone del pianeta, bisogna risalire quantomeno al colonialismo europeo – il cosiddetto colonialismo classico – che si è sviluppato tra il XVI e il XX secolo. La conquista indiscriminata di territori e di nuovi spazi umani, infatti, ha avuto un forte impatto sulla società, sul sistema di relazioni e sulla cultura di interi continenti. Il colonialismo, la conquista e l’invasione europea hanno scardinato i capisaldi culturali delle popolazioni locali e ne hanno distorto il sistema sociale, economico e produttivo. La capacità di generare forme di sussistenza familiare e comunitaria che, in Africa come in America Latina, permetteva di condurre una vita degna e in armonia con l’ambiente circostante, è stata sradicata con lo sviluppo intensivo di colture destinate alla crescita industriale ed economica dei Paesi colonizzatori, per non parlare della tratta degli schiavi. Nel lontano 1830, un funzionario francese della colonia dell’Alto Volta, l’attuale Burkina Faso, descriveva in una lettera indirizzata alla moglie, come prima dell’arrivo dei francesi la popolazione locale coltivasse tutto ciò che era necessario alla sopravvivenza, riuscendo a immagazzinare le scorte per i periodi di carestia e di cattivo raccolto; soltanto venti anni dopo olazione l’arrivo dei francesi, la popo popolazione me, perché locale iniziò a patire la fam fame, ri a coltivare costretta dai dominatori ri di caucciù quasi esclusivamente alber alberi ssa s rio a per produrre il lattice, neces necessario utomo obilistica sviluppare l’industria automobilistica doto rias assume francese. Questo aneddoto riassume to perfettamente quanto è avvenut avvenuto minazione nel corso di secoli di dominazione coloniale oloniale e quanto la cond condizione ndiz izio ione ne d dii ame nel mondo sia una nostra precisa fame responsabilità. Le logiche del colonialismo e dell’imperialismo che apparentemente si sarebbero concluse negli anni ‘60 con il definitivo riconoscimento dell’indipendenza politica delle DIRITTO AL CIBO ex col colonie, olon onie ie, di ffatto atto at to ssii ri ripr ripresentano pres esen enta tano no oggi sotto forme diverse. Si parla ormai di neocolonialismo e di colo co loni nial alis ismo mo e cono co nomi mico co e cculturale. ultu ul tura rale le. colonialismo economico Se quello “classico” veniva esercitato direttamente dai Paesi europei sulle ex colonie, il secondo attiene invece più all’era della globalizzazione e alla conquista dei mercati di sbocco, in cui i Paesi ricchi possono riversare le eccedenze della loro produzione, in cui è possibile sfruttare le materie prime e la forza lavoro a basso costo e in cui si esporta un modello economico e sociale capace di generare gli stessi bisogni in ogni parte del mondo, indipendentemente dalla storia e dalllla da a cultura cult cu ltur ura a di cciascun iasc ia scun un P aese ae se, in dalla Paese, una relazione sempre più globale di interdipendenza economica, politica, sociale e ambientale. Tuttavia, le relazioni di interdipendenza vanno generalmente a vantaggio di chi ha più potere. Antonio Papisca (docente di Tutela internazionale dei diritti umani e di Organizzazione internazionale dei diritti umani e della pace, Facoltà di Scienze politiche - Università di Padova) afferma che «l’interdipendenza 19 20 DIRITTO AL CIBO in quanto tale [diventa] nient’altro che lo stesso sistema internazionale messo a nudo, [dove quest’ultimo è] l’insieme interrelato di influenze ineguali o più esattamente di nuovi rapporti di potere in cerca di legittimazione». Tuttavia, il sistema di potere che ha generato l’attuale modello di sviluppo internazionale sta dimostrando nel tempo la sua insostenibilità e sta comportando dei costi che non sono distribuiti in modo equo. Lo dimostrano le numerose crisi del XXI secolo ancora in corso: le crisi economica, alimentare, energetica, ambientale e sociale, che stanno determinando la diffusione dell’insicurezza alimentare e della povertà. La crisi economica e finanziaria che dal 2008 ha colpito tutti gli Stati del mondo (anche se con un impatto ed effetti diversi, ma con un ruolo sicuramente importante nella diffusione della condizione di povertà) è una reale dimostrazione del sistema speculativo globale. Come dichiarato dalla FAO chi sta pagando le maggiori conseguenze della crisi è proprio la popolazione più povera del mondo. In condizioni di crisi con un forte impatto sull’economia globale, la ricerca di fonti alternative di reddito, in particolare per le fasce più deboli e vulnerabili, può facilmente alterare gli equilibri esistenti, minare la coesione sociale e generare ulteriori gravi spirali di povertà. Tuttavia, la FAO ha anche posto l’accento sul fatto che la condizione di malnutrizione nel mondo continua a diffondersi in maniera costante da ben prima della recessione economica mondiale, indicativamente dal 1995 in poi, ovvero da quando si è registrato un calo sostanziale degli aiuti pubblici allo sviluppo destinati all’agricoltura. I dati sono particolarmente allarmanti se confrontati con quelli degli anni ‘80 - primi anni ’90, in cui molti progressi erano stati fatti nella lotta alla fame. Dal 2007 l’aumento esponenziale dei prezzi di beni di prima necessità, che tuttora non tende a diminuire, ha determinato una vera e propria crisi alimentare. Secondo alcune tesi, l’aumento dei prezzi di alcuni alimenti basilari come il grano o il riso sarebbe dovuto in primo luogo alle economie emergenti, cioè all’aumento DIRITTO AL CIBO delle classi medie indiane e cinesi che, diventate più ricche, richiedono sempre più cibo; in secondo luogo alla diffusione e sempre maggiore richiesta di biocombustibili (di cui si parlerà in seguito) derivanti dal grano e dal mais. Entrambe le tesi non sono sufficienti a spiegare aumenti così repentini dei prezzi (il prezzo del riso è aumentato del 75% in due mesi e quello del riso bianco thailandese è triplicato dall’inizio del 2007, aumentando del 10% solamente in una settimana). Appare più realistica la tesi di alcuni analisti della finanza internazionale che addebita l’aumento repentino dei prezzi di alimenti basilari alle speculazioni sul cibo, che nel mercato finanziario viene considerato come commodity, ovvero come il petrolio o l’oro. Gli investitori finanziari che stanno scappando dal mercato immobiliare, si stanno orientando sulle commodities, in particolare quelle agricole. Il flusso di capitale generalmente speculativo si sposta in cerca di alti rendimenti e, quindi, per puro guadagno. La conseguenza è che aumenta il denaro investito in cibo e questo fa aumentare i prezzi. La Banca Mondiale nel 2008 individuava 33 nazioni a rischio di arresto sociale dovuto all’aumento dei prezzi delle derrate alimentari. Dal Messico al Pakistan, il prezzo di alcuni alimenti è raddoppiato in tre anni e ha provocato disordini in numerosi Paesi. I tre principali cibi al mondo – riso, mais e grano – diventano sempre meno accessibili. Il prezzo del pane è quasi raddoppiato e chi vive in condizioni di povertà Il cibo per il mercato finanziario è una commodity, come il petrolio o l’oro. estrema (cioè con meno di 1 dollaro al giorno) non ha la possibilità di acquistare questi beni di prima necessità. Le reazioni a catena che provengono dai governi che maggiormente esportano questi cibi stanno generando un circolo vizioso, che si è innescato in seguito alla forte interdipendenza dei mercati e al sistema economico internazionale. Per esempio: il Vietnam, terzo esportatore mondiale di riso, riduce le esportazioni a causa dell’inflazione; la Cina, il maggiore produttore di cereali al mondo, inizia a diminuire la vendita all’estero di grano, mais e riso; l’Egitto proibisce le esportazioni di riso; il Kazakistan, sesto maggiore esportatore di grano al mondo, ha annunciato un piano restrittivo delle esportazioni. Le restrizioni alle esportazioni generano aumenti vertiginosi dei prezzi dei cibi di prima necessità in quanto, a parità della domanda mondiale, vi è una disponibilità inferiore. Con una situazione come quella attuale, il sistema economico e politico internazionale potrebbe anche, nel breve periodo, stravolgersi. Basti pensare che i maggiori esportatori mondiali di cibo potrebbero a breve diventare le nuove potenze economiche, e tra questi ci sono il Canada, il Brasile, il Kazakistan, la Russia e alcuni Stati dell’Africa. Per far fronte a situazioni di grave crisi, come spesso accade, le famiglie modificano le abitudini alimentari e il più delle volte il cambiamento viene indirizzato verso cibi di scarsa qualità, che determinano malnutrizione; inoltre, le spese in cure mediche e istruzione vengono ridotte per destinare quanto risparmiato all’acquisto di cibo. Calcolando la percentuale del budget 21 22 DIRITTO AL CIBO familiare destinata all’acquisto di cibo, si può vedere come questa aumenti nei Paesi più poveri in modo sostanziale. Non è un caso che negli USA all’acquisto di cibo venga destinato solo il 16% del reddito familiare, in Nigeria il 73%, in Cina il 28%, in India il 33% e in Vietnam il 65%. La Comunità internazionale nel 2000, in occasione della Conferenza del Millennio, ha adottato una Dichiarazione in cui tutti gli Stati si sono impegnati a definire 8 Obiettivi da raggiungere entro il 2015, per intervenire sulle principali cause di povertà e di mortalità nel mondo. L’ultimo Rapporto ONU sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (2014) mostra come le azioni combinate di governi, società civile e settore privato abbiano prodotto notevoli progressi nel soddisfare molti degli obiettivi, tra cui: il dimezzamento del numero di persone che vivono in condizione di estrema povertà, l’accesso all’acqua potabile per due miliardi di persone, la riduzione della mortalità da malaria, tubercolosi e infezioni da HIV. Rispetto all’Obiettivo 1: “dimezzare la povertà estrema e la fame” si evince che, nonostante la percentuale di persone denutrite nei Paesi in Via di Sviluppo sia passata dal 24% nel biennio 1990 – 1992 al 14% nel biennio 2011 – 2013, c’è ancora molto da fare per garantire il raggiungimento di questo obiettivo, soprattutto nei Paesi che hanno registrato pochi progressi. Secondo le ricerche dell’Istituto Internazionale di Indagine sulle Politiche Alimentari, l’aumento dell’uso di agro-combustibili aggraverà ulteriormente la situazione, con aumenti spropositati dei prezzi del mais e di altri beni primari. L’aumento repentino dei prezzi impedisce l’accesso al nutrimento da parte delle fasce più deboli, ma le coltivazioni intensive di agro-combustibili hanno conseguenze ancora più gravi. Questo tipo di colture provoca innanzitutto un’erosione del suolo e una sostanziale perdita della biodiversità esistente. Ma soprattutto non è destinato all’uso alimentare, serve per la produzione di energia “alternativa” necessaria per poter continuare a sostenere l’attuale modello di sviluppo economico e i nostri ritmi di crescita. Gli effetti sulle popolazioni locali sono devastanti: viene negato loro l’accesso al cibo e ai prodotti della terra nel breve e nel lungo termine, per favorire l’acquisto di prodotti di importazione; si incrementa il processo di inaridimento del suolo e la distruzione delle varietà locali; viene minacciata la disponibilità di accesso all’acqua perché l’agricoltura industriale e la produzione di agro- combustibili necessitano di quantità notevoli di risorse idriche; vengono immesse nel suolo, nell’aria e nelle acque sostanze inquinanti, dannose per la salute umana, soprattutto per quella dei bambini. Il fallimento della lotta alla fame nel mondo potrebbe generare una crisi alimentare di lungo periodo. 24 DIRITTO AL CIBO 2.2 Il “libero” mercato internazionale e il neoprotezionismo tezzionismo Il mancato accesso al cibo, la fame e la malnutrizione nel mondo sono in buona parte il frutto uttto ato o del nostro sistema di sviluppo e le cause vanno ricercate soprattutto nelle leggi del mercato internazionale, che favoriscono gli interessi dei Paesi ricchi, e nelle politiche agricole deglii ultimi decenni. Queste ultime hanno stimolato sempre più una produzione di tipo industriale e orientata a ricetta all’esportazione, piuttosto che alla salvaguardia della produzione e della biodiversità locali.i. L La nca imposta da grandi istituzioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la Ban Banca peciializza Mondiale, è stata quella di un’apertura dei sistemi agricoli al mercato: ciascun Paese si specializza rcatto nella produzione più conveniente e vantaggiosa e, attraverso i ricavi della vendita sul mercato nferriore a internazionale, acquista tutti gli altri beni che in altri Paesi vengono prodotti a un costo inferiore bale di un quello necessario per la loro produzione interna. Inoltre, per rispondere alla domanda globale icola, determinato prodotto si è pensato che fosse opportuno “industrializzare” la produzione agri agricola, forzare i cicli biologici e naturali e intervenire per una sempre maggiore resa del terreno, delle piantagioni, dell’allevamento e della pesca. Sebbene la logica che sta alla base di questa nuova idea di mercato possa sembrare efficiente e ineccepibile, le conseguenze che ha avuto sui Paesi poveri sono state disastrose. Il problema di fondo è che il cibo non è soltanto una merce di scambio, ma ha innanzitutto un valore nutrizionale che la produzione agricola industriale ha alterato, creando gravi situazioni di malnutrizione; ha inoltre un valore culturale legato alla storia, al territorio, alle tradizioni locali e ai rapporti sociali all’interno delle mie nazionali L’apertura delle economie comunità. I sistemi locali garantivano ale ha anche al mercato internazionale perlopiù condizioni di autosufficienza e co ommerciali favorito alcune pratiche commerciali alimentare, ma una volta sostituiti detto to che rientrano nel cosiddetto dalla produzione industriale intensiva e di ffatto atto hanno neoprotezionismo e che hanno provocato l’espropriazione delle sioni ne nella creato profonde distorsioni terre dei contadini e la conseguente o, ovviam mente a concorrenza di mercato, ovviamente insicurezza alimentare degli stessi, d scapito delle economie più debol debolili de deii nonché uno spostamento dalle gli ingenti sussidi suss ssid idi Paesi poveri. Si pensi agli campagne alle città o l’emigrazione lla produzione e all’esport rtaz azio ione ne verso altri Paesi, minando così la alla all’esportazione he l’Unione Europea e gli Stati Uniti coesione sociale delle comunità di che appartenenza e degli stessi nuclei mettono in atto, favorendo fra l’altro familiari. quella pratica commerciale che Le condizioni di fame e di mancato permette di vendere i propri prodotti accesso al cibo sono dovute anche alimentari nel mercato internazionale all’imposizione di prezzi troppo alti per a un prezzo più basso del costo di tutti quegli alimenti che, con l’apertura produzione, nota come dumping. ai mercati internazionali, non vengono più prodotti internamente e sono ora troppo costosi per permetterne l’accesso a quella parte di popolazione che vive con meno di 1 dollaro al giorno. DIRITTO AL CIBO L’Unione Europea, in particolar modo, ha messo a sistema questa pratica di sostegno all’agricoltura mediante sussidi attraverso la PAC - Politica Agricola Comunitaria (una delle politiche comunitarie più importanti), principalmente per due ragioni: primo, perché la metà del territorio europeo è destinato a all’agricoltura; secondo, perché l’Europa è il maggiore esportatore mondiale di prodotti agroalimentari (e contemporaneamente il maggior importatore di cibo). Le esportazioni di cibo contribuiscono a mantenere livelli occupazionali per la nostra economia fondamentali, ma allo stesso modo il quantitativo di prodotti importati ha un impatto considerevole sui livelli di occupazione e di reddito di alcuni Paesi in Via di Sviluppo. Dunque, non è un caso che alla PAC venga destinato circa il 34% del bilancio dell’UE, che infatti detiene anche il primato mondiale nella concessione di sussidi all’esportazione. Per converso, nei Paesi poveri il problema del sottoinvestimento in agricoltura ha limitato e limita tuttora fortemente lo sviluppo di un sistema agricolo capace di garantire la sicurezza alimentare, in 25 26 DIRITTO AL CIBO particolar modo, durante i periodi di crisi economica come quella recente. In Arabia Saudita, per esempio, il trend di diminuzione della produzione agricola è stato proiettato al 2016 e lo scenario che si è prospettato è quello di un Paese di 28 milioni di abitanti dipendente al 100% dalle importazioni di cibo. Quando il pubblico e il privato subiscono una tale contrazione, gli investimenti (e in particolare quelli in agricoltura) tendono a ridursi notevolmente, come dimostrato anche nelle precedenti grandi crisi economiche degli anni ‘70 e ‘80. Se al sottoinvestimento si aggiungono pratiche commerciali internazionali che inibiscono l’autonomia e la crescita dei Paesi poveri a causa delle barriere doganali o dei sussidi alla produzione, non è possibile innescare dei processi di sviluppo capaci di aiutare le popolazioni rurali, che rappresentano tre quarti degli affamati nel mondo, a nutrirsi in modo autonomo e a sfuggire alla povertà. Considerato che oggi il 65% delle persone povere vive nelle zone rurali, è necessario più che mai un intervento e investimenti in agricoltura. La FAO ha stimato che, a oggi, per risolvere il problema della fame nel mondo basterebbe un investimento di 44 miliardi di dollari ovvero soltanto l’8% dei comuni investimenti dei Paesi ricchi e industrializzati, che molto spesso vengono destinati ad altri settori o investiti male. L’attuale sistema alimentare mondiale è assolutamente disuguale e inefficace e il rapido incremento del numero di persone che soffrono la fame impone un intervento immediato da parte dell’intera Comunità internazionale. DIRITTO AL CIBO Come dichiarato anche dalla FAO, sono necessari interventi strutturali che abbiano una forte incidenza sulle cause della fame e della povertà. Oltre alle politiche macroeconomiche volte a minimizzare l’impatto immediato della crisi, i governi dovrebbero incoraggiare gli investimenti in agricoltura migliorando anche la governance e i programmi di tipo sociale. Sarebbe anche importante prevedere delle attività che generino reddito per le fasce più povere della popolazione che vive nelle zone urbane o periurbane. Per risolvere il problema della fame nel mondo basterebbe un investimento di 44 miliardi di dollari, solo l’8% degli investimenti dei Paesi ricchi. 27 28 DIRITTO AL CIBO 2.3 Il modello industriale di produzione, la Rivoluzione Verdee e gli OGM Il modello industriale di produzione di alimenti si è sviluppato a seguito della continua crescita esccita dei tiva azione e fabbisogni alimentari mondiali (anche indotti) e dell’esigenza di ridurre gli spazi per la coltivazione mpre più l’allevamento per sviluppare un sistema mondiale di produzione degli alimenti che fosse sem sempre el ssettore ettore aperto ai mercati internazionali. Ciò ha comportato quel processo di industrializzazione del a ca apace attraverso l’introduzione di meccanizzazione, fitofarmaci, fertilizzanti, ingegneria genetica capace rico oltura e di sfruttare al massimo il rendimento e di favorire processi più rapidi. Si parla infatti di agricoltura re rresa esa nel allevamento intensivi (contrapposti al modello estensivo), tutti volti ad ottenere la migliore minor tempo possibile. ricola La Rivoluzione Verde è quel processo che ha consentito un incremento della produzione agr agricola si d grazie all’uso di determinate varietà vegetali geneticamente selezionate e a sufficienti dosi dii ere e un fertilizzanti e altri prodotti agrochimici. Rivoluzione Verde è un termine usato per descrivere 90.. Durante vertiginoso boom della produttività agricola nel mondo in via di sviluppo tra il 1960 e il 1990. acccolto questi decenni, in molte regioni del mondo, e specialmente in Asia e in America latina, il raccolto dei cereali più importanti (riso, grano e mais) è più che raddoppiato. Anche altre coltivazioni hanno avuto aumenti significativi. La spinta per un aumento della produzione agricola - laddove questa originariamente costituiva un vantaggio competitivo - e dei profitti, ha orientato la scelta su un numero limitato di varietà di piante e di razze animali ad alto rendimento. L’idea innovativa del Premio Nobel per la pace Norman Borlaug fu quella di introdurre nelle piantagioni del Messico (nel 1944) delle varietà ad “alta resa” (HYV - High Yielding nsibilmente il migliorate”, riducendo sen sensibilmente Variety) – soprattutto frumento e riso mentti esistente in ricco patrimonio di sementi geneticamente modificati – da piantare natura. nelle aree a forte rischio di carestia. ia ge enetica Le pratiche di ingegneria genetica Tuttavia, quella che è stata definita agrico oltura e alla moderna applicata all’agricoltura la Rivoluzione Verde implicava l’uso no spe ess s o nella produzione di cibo vanno spesso indiscriminato di concimi, pesticidi e uova front n iera stessa direzione. La nuova frontiera diserbanti chimici, per aumentare nel a è quella dell’ingegneria genetica breve periodo la resa della terra e il e degli OGM (organismi geneticamente profitto di coloro che ne detengono modificati). Un OGM è un e sser ss ere e vi vive vent nte e la proprietà. Questo processo, essere vivente batteri piante o animali) al quale è inizialmente salutato con favore perché (batteri, in grado di aumentare la produttività stata modificata o eliminata, grazie a e la resa ha, con il tempo, rivelato procedimenti di ingegneria genetica, tutti i suoi effetti devastanti. Oltre una porzione di patrimonio genetico allo all’inquinamento della falde acquifere, scopo di ottenere nuove caratteristiche, del suolo e dell’aria e, di conseguenza, che non si sarebbero mai potute alle serie minacce per la salute, ha sviluppare spontaneamente in quella causato una perdita senza precedenti tipologia di organismo. della biodiversità. Sono scomparsi interi sistemi agricoli tradizionali e indigeni, con le loro varietà di specie, per fare spazio alle monocolture di “varietà DIRITTO AL CIBO Gli OGM sono oggi utilizzati principalmente nell’ambito dell’alimentazione, dell’agricoltura, della medicina, della ricerca, e dell’industria. Gli scopi sono molteplici, ma nel settore dell’agricoltura e dell’allevamento sono principalmente volti all’aumento della produttività attraverso l’ottenimento di varietà resistenti ai parassiti o agli erbicidi o, nel caso degli animali, attraverso specie con caratteristiche produttive e riproduttive migliorate o di resistenza alle malattie. Attorno agli OGM, oggi, c’è un forte dibattito tra posizioni favorevoli e contrarie di scienziati, Stati, società civile ecc. Nel caso specifico dell’agricoltura vi sono ancora molti dubbi in relazione agli effetti delle coltivazioni OGM sulla salute e sull’ambiente nel medio-lungo periodo. Il rischio, inoltre, è che coltivazioni convenzionali o biologiche vengano contaminate da adiacenti coltivazioni di OGM attraverso la diffusione di semi o polline, a danno dei produttori biologici che subirebbero perdite economiche per un prodotto non più “non-OGM”(4) . Ma ulteriori dubbi derivano dalla perdita di biodiversità e dagli effetti sull’economia a causa degli alti costi complessivi (4) Secondo la normativa europea infatti, un prodotto può essere considerato non-OGM solo se presenta un contenuto di materiale geneticamente modificato al di sotto dello 0.9% cioè poco meno di 1 seme su 100. 29 30 DIRITTO AL CIBO (sociali, ambientali ecc.). Gli Stati europei sono ancora restii alla diffusione di OGM in agricoltura e produzione di cibo e dopo periodi di fervore ed entusiasmo, stanno tornando al vecchio modello di agricoltura intensiva, ma senza ricorso agli OGM. I Paesi poveri, invece, soprattutto in Africa, coltivano molti prodotti geneticamente modificati. Il Sud Africa è stato il primo e l’industria alimentare del Paese sembra ormai satura di OGM. Il caso del Sud Africa è emblematico: questo Paese ha stretto accordi commerciali con grandi multinazionali che promuovono il sovvenzionamento di sementi OGM brevettate, in particolare con la Monsanto. Al fine di controllare la produzione agricola mondiale la Monsanto promuove un sistema di incentivi a sostegno delle monocolture, volte soprattutto all’esportazione, coinvolgendo i piccoli coltivatori che vengono così integrati nel sistema di produzione industriale. I semi OGM della Monsanto (come di altre multinazionali) non si riproducono o, meglio, vengono preparati geneticamente in modo da impedirne la riproduzione, così i contadini sono costretti a ricomprarli ogni anno. Inoltre, trattandosi di semi “brevettati” – e quindi protetti dalla legislazione in materia di “Diritti di proprietà intellettuale” – il loro utilizzo al di fuori di qualsiasi contratto di acquisto costituisce un reato. Ciò significa che, come spesso accade, quando i semi vengono trasportati dal vento o dagli uccelli e, in maniera naturale avviene l’impollinazione in altri campi, quei semi e il relativo raccolto diventano automaticamente di proprietà della multinazionale che li ha prodotti e il contadino costretto a pagare multe salate per non averli acquistati. L’imposizione di brevetti per le sementi geneticamente modificate crea, di fatto, dei monopoli nella produzione di cibo e quindi un controllo sul sistema alimentare internazionale che ancora una volta va a vantaggio dei più ricchi. Il sostegno alle monocolture con semi OGM ha dei risvolti drammatici sui singoli produttori e sulle comunità. Da un lato, la produzione con sementi DIRITTO AL CIBO OGM, nella maggior parte di casi, diminuisce rispetto a quella biologica e il terreno difficilmente sarà convertibile alle sementi naturali e non riuscirà a sostenere altro che semi geneticamente modificati. Dall’altro lato, se i piccoli coltivatori non riescono a permettersi i semi OGM vengono inevitabilmente assoggettati, perdono prima il controllo dei semi, poi della produzione e infine della terra. Le multinazionali agro-industriali riescono così ad avere il completo controllo del mercato, della terra e dei prodotti e, quindi, dell’accesso al cibo di intere comunità. L’imposizione di brevetti per le sementi OGM crea dei monopoli nel sistema alimentare internazionale, a vantaggio dei più ricchi 31 32 DIRITTO AL CIBO 2.4 L’accaparramento delle terre: la nuova frontiera del colonialismo oniialismo Si chiama “land grabbing” (accaparramento delle terre) ed è la nuova veste del colonialismo.. Sii basa te q uelli sull’acquisto o affitto di ampi appezzamenti di terreno coltivabile di altri Paesi, generalmente quelli più poveri. Ad accaparrarsi le terre sono fondi d’investimento privati e banche con obiettivi speculativi. Ma ci grabbing abbingg si sono anche investitori pubblici e Stati che agiscono in seguito alla stipula di accordi. Il land gra lle materie configura anche come un modello di sfruttamento innovativo che non punta più soltanto alle prime agricole, ma direttamente al territorio con tutte le sue risorse. difficoltà fficoltà La prima forma di land grabbing venne messa in atto dall’Arabia Saudita, che di fronte alla dif avo orevoli, di destinare i propri terreni all’agricoltura, per le condizioni climatiche e del territorio poco favorevoli, decise di investire l’ingente quantità di proventi del petrolio nell’acquisto di migliaia di ettarii dii terreno azio one in Etiopia, i quali sarebbero poi serviti alla coltivazione di riso e cereali per sfamare la popolazione n ffurono urono saudita. Il tentativo di acquisto dei terreni venne fatto anche con altri Stati che, tuttavia, non ne (è il disposti a cedere i propri terreni in via definitiva, ma in via provvisoria attraverso la locazione caso dello Zambia e della Tanzania). Da lì a poco il sovrano saudita venne ben presto emulato inizialmente dalla Cina e subito dopo dall’India, che rappresentano oggi i principali Stati coinvolti in questo pratica. Le motivazioni che hanno spinto, in particolare ma non solo, queste due potenze all’accaparramento dei terreni risiedono nella problematica comune di una popolazione in continuo aumento e di una produzione di cibo non sufficiente ai bisogni reali. La stima più completa della scala degli investimenti in accaparramento di terreni è stata pubblicata a settembre grabbing dell’Uganda, del el Mozambico 2010 dalla Banca Mondiale: lo studio rope ee così e dell’Etiopia. Banche europee mostra che, nel solo periodo da esto ono in come imprese statali investono ottobre 2008 ad agosto 2009, sono to per er garantire terreni agricoli soprattutto state dichiarate acquisizioni di terreni arburanti l’approvvigionamento di agroca agrocarburanti agricoli per un’estensione di 46 milioni oduzion ne di per l’Europa. Oltre alla produzione di ettari, due terzi dei quali ubicati sto serve an anche agro combustibili, l’acquisto nell’Africa subsahariana. Inoltre, delle cqua o possib bililii ad accaparrarsi fonti d’acqua possibili 464 acquisizioni esaminate dalla me. giacimenti di materie prime. Banca Mondiale, solo 203 riportavano Il land and grabbingg non ha nessun beneficio l’estensione dei terreni acquisiti: ciò per la popolazione locale: oltre al grave implicherebbe una drastica sottostima danno alla loro sicurezza e Sovranità della reale estensione coperta da tali Alimentare, non si hanno neanche acquisizioni, che potrebbe essere il benefici in termini occupazionali. doppio dei 46 milioni di ettari stimati Molto spesso sono gli stessi cinesi dalla World Bank.Tra gli accaparratori e indiani a lavorare la terra (la Cina anche Giappone, Corea del Sud, Qatar, tende a utilizzare spesso i propri Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Libia. carcerati) e i prodotti raccolti finiscono L’Italia è ai primi posti tra i Paesi direttamente nel loro mercato interno. europei di provenienza dei capitali In altri casi, l’azione speculativa volta investiti nell’acquisto di terreno, a lucrare sulla differenza di prezzo tra soprattutto in Africa, e l’Europa, acquisto e vendita non tiene conto in generale, è coinvolta nel land DIRITTO AL CIBO della destinazione di quei terreni e, di conseguenza, della popolazione che li coltiva. Nessuna attenzione, infine infine, viene rivolta a quei coltivatori locali che non vogliono diventare soltanto braccianti con salari bassi e non sufficienti a comprare cibo quantitativamente e qualitativamente adeguato e che vorrebbero vedersi garantiti non solo il proprio diritto al cibo, ma anche la propria Sovranità Alimentare. Tentativi di contrasto a una simile pratica si stanno già mettendo in atto, soprattutto nei Paesi che subiscono il fenomeno e che si vedono sottrarre terreni, diritti e futuro. Ma i risultati sono ancora molto scarsi. Governi corrotti cedono facilmente immense distese di terreno a fronte di un guadagno immediato e apparentemente notevole, senza tener conto della perdita definitiva di una risorsa determinante per lo sviluppo del proprio Paese. 33 La quantità di cibo prodotta nel mondo può soddisfare i bisogni dell’intera popolazione. Il problema reale riguarda l’accesso al cibo. 36 DIRITTO AL CIBO 3 Risorse naturali e cambiamento climatico La filiera produttiva alimentare, risultato dell’attuale modello economico internazionale, sta erodendo le risorse naturali a disposizione. E il cambiamento climatico in corso è contemporaneamente causa ed effetto della riduzione nella disponibilità di fonti energetiche, idriche, del terreno e di ricchezza di specie che la natura ci offre. Tutti questi fattori, strettamente correlati tra loro mettono a rischio il diritto di accesso al cibo per tutti. Cercare delle alternative diventa un dovere, ma non basta. 3.1 Energia, acqua, terra, biodiversità Lo sfruttamento delle risorse naturali è principalmente causato dal nostro modello economico di produzione alimentare e da tutte le conseguenze che questo ha generato, provocando una vera e propria crisi ecologico-ambientale strettamente correlata alle altre crisi del XXI secolo. Se il cibo è diventato ormai troppo costoso e una sempre maggiore fetta di popolazione mondiale non ne ha accesso, ciò è dovuto in gran parte all’uso sempre più diffuso di biocombustibili, sui quali le grosse potenze mondiali, in particolare USA e UE, stanno investendo enormemente per ridurre la dipendenza dal greggio. In effetti, l’uso di combustibili fossili è ormai necessario anche per la produzione di cibo; serve, infatti, oltre che a fare muovere i macchinari, anche a produrre fertilizzanti, pesticidi ed erbicidi fondamentali per l’agricoltura intensiva e ad alta resa. Pertanto, investire in biocombustibili garantirebbe il mantenimento dell’attuale sistema di produzione alimentare, ma a quale prezzo? Gli investimenti nella produzione di etanolo derivante dal mais, per esempio, stanno innescando dei processi per cui la domanda di questo cereale continua ad aumentare. Il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che la metà dell’aumento nella domanda mondiale di mais è stata determinata soltanto dagli USA. a di mais, gli Se aumenta la domanda onve ertendo i agricoltori rispondono convertendo a di produzione terreni a questa tipologia pi ven ngono e il risultato è che i campi vengono vamen nte a questa dedicati solo ed esclusivamente ono più iù destinati monocoltura, cioè non sono e. Per rie emp m ire a un suo uso alimentare. riempire na di etanolo un serbatoio di 50 litri di u una no necessari 232 32 comune automobile sono Kg g di mais, ovvero quant quanto to ba bast basterebbe ster ereb ebbe be p per er utrire un bambino per un anno intero nutrire intero. La dipendenza dal greggio ha anche altri effetti indiretti sul diritto di accesso al cibo: quando aumenta il prezzo del petrolio, aumenta il prezzo dei fertilizzanti (molto diffusi soprattutto nella produzione degli alimenti più poveri), il costo del trasporto dai campi al mercato locale e internazionale e, di conseguenza, i prezzi finali dei prodotti alimentari. Basta soffermarsi sull’intero processo di produzione di cibo tipico di un’agricoltura industriale, dal coltivatore al consumatore, DIRITTO AL CIBO per rendersi immediatamente conto di quanto il petrolio sia una risorsa fondamentale, già dalla prima fase del processo produttivo, quello della coltivazione coltivazione. L’utilizzo di macchinari macchinari, l’irrigazione e l’estrazione dell’acqua, il ricorso a fertilizzanti e pesticidi sono tutti passaggi che richiedono l’uso di energia legata al petrolio. Alcuni studiosi dell’Earth Policy Institute di Washington, l’Istituto di ricerca di economia ambientale, dichiarano in uno studio del 2005, fatto sulla produzione di cibo degli USA, che una grossa porzione dell’energia utilizzata per l’intero sistema alimentare viene consumata proprio nella fase della coltivazione, circa un quinto (circa 10 quadrilioni di Btu – British Thermal Unit, l’unità di misura dell’energia adottata negli USA). Quasi il 28% dell’energia usata in agricoltura va nella produzione di fertilizzanti, il 7% viene speso per l’irrigazione, e il 34% viene consumato per alimentare i macchinari agricoli usati nelle piantagioni per l’aratura e il raccolto. Tutto il resto, ovvero circa il 31%, va nella produzione di pesticidi. Queste percentuali, sebbene relative al caso degli Stati Uniti, danno la dimensione di quanto l’uso dei fertilizzanti e dei pesticidi sia diventato essenziale per il tipo di sistema agricolo 37 38 DIRITTO AL CIBO ed economico che abbiamo sviluppato negli ultimi quarant’anni e di quanto l’agricoltura abbia creato un bisogno di energia prodotta soprattutto da combustibili fossili. Ma l’utilizzo di energia e, in particolare, di petrolio non è limitato alla sola fase della produzione agricola. Quest’ultima richiede il 21% dell’energia necessaria all’intera filiera produttiva. Nelle fasi successive alla produzione agricola si consuma un quantitativo di energia ancora più alto e, nel corso degli anni, sempre in aumento: il 14% viene utilizzato per il trasporto, il 16% per la lavorazione, il 7% per il confezionamento, il 4% per la vendita al dettaglio, il 7% viene consumato dai ristoranti e fornitori e infine il 32% per la refrigerazione domestica. Queste percentuali sono destinate ad aumentare, soprattutto quella relativa al trasporto, poiché i prodotti alimentari percorrono sempre più chilometri, attraversano continenti e ci permettono di eludere il ciclo stagionale di produzione e di avere quindi frutta e verdura in qualsiasi periodo dell’anno, così come pesce e carne provenienti da tutto il mondo. A fronte di una domanda che continua ad aumentare, i prodotti che subiscono un forte aumento di prezzo sono anche tutti quelli che diventano sempre più difficili da coltivare e produrre, per esempio a causa della scarsità di risorse idriche a disposizione. L’acqua, infatti, è un’altra risorsa la cui disponibilità è sempre più minacciata, soprattutto dalla produzione agricola. Secondo dati FAO, all’agricoltura è imputabile circa il 69% del prelievo di risorse idriche a livello mondiale. Ciò avviene a causa di specifiche tipologie di prodotti coltivati o di determinate modalità di produzione. Innanzitutto, la coltura di cereali generalmente più idroesigenti (ad esempio il mais, il riso) molto spesso non destinata all’uso alimentare diretto ma alla produzione di energia o all’allevamento, richiede un uso di acqua notevole. Il cambiamento nelle abitudini alimentari, che ha portato a consumare sempre più proteine, determina un grande utilizzo di mais (ne servono 8 kg per produrre 1 kg di manzo) e di conseguenza dell’acqua, che serve a produrlo. Inoltre, il modello di produzione alimentare industriale DIRITTO AL CIBO richiede un grande consumo d’acqua necessaria a garantire lo sviluppo di piante e animali ad alto rendimento. Infine, fertilizzanti, pesticidi ed erbicidi, fondamentali per questo tipo di produzione, costituiscono anche la principale fonte di contaminazione delle acque. L’uso intensivo di agenti chimici ha anche portato, nel lungo periodo, a inaridire il terreno e a renderlo non più coltivabile, provocando un progressivo aumento della desertificazione. In particolare nell’agricoltura intensiva, a differenza di quanto è accaduto per millenni, la concimazione chimica non fertilizza il terreno, bensì la pianta. Questo processo rende la terra sempre più povera di sostanza organica e quindi sempre più sterile; le piante hanno bisogno di un continuo ricorso ad agenti chimici che la facciano sopravvivere in un terreno che non è più capace di produrre. La parte organica e viva del terreno, inoltre, trattiene il carbonio prodotto dalla fotosintesi delle piante; se sparisce, il carbonio viene liberato nell’ambiente. Alla fine degli anni ‘90 è stato creato un metodo di misurazione in grado di valutare la sostenibilità dei nostri consumi chiamato impronta ecologica. Con questo metodo è possibile calcolare il consumo umano delle risorse naturali e la velocità di assorbimento dei rifiuti, confrontandolo con la cosiddetta biocapacità, ovvero la capacita della natura di rigenerare le risorse consumate. Viene, cioè, calcolata l’area di terra e mare produttiva che serve a rigenerare le risorse consumate e ad assorbire i rifiuti. Se l’impronta ecologica è più alta della capacità della natura di rigenerarsi, allora quel tipo di consumo è insostenibile. La mappa Un italiano consuma 3 volte di più delle risorse che il nostro territorio può rigenerare. dell’impronta ecologica definisce perfettamente lo stato attuale delle cose e dà un’idea chiara di quanto stiamo chiedendo alla natura per poter mettere in atto il nostro modello di sviluppo economico. Per esempio, l’impronta ecologica di uno statunitense è cinque volte superiore a quella di un cinese e ben quindici volte superiore a quella di un indiano. Ma gli effetti sulle fasce più deboli della popolazione, dagli Stati Uniti all’India, generano spirali di povertà sempre più gravi. Secondo l’Indice del pianeta vivente 2008, uno studio internazionale realizzato da esperti dell’economia della sostenibilità del WWF, un italiano consuma 3 volte di più delle risorse che il nostro territorio può rigenerare. L’azione umana è dunque la causa principale della distruzione e della perdita di biodiversità nel mondo. Gli interventi dell’uomo sull’ambiente che lo circonda stanno determinando dei cambiamenti troppo repentini, minando l’ecosistema, l’habitat naturale e la capacità di adattamento delle specie viventi, che per questo motivo si stanno estinguendo. L’importanza di preservare la biodiversità deriva dal fatto che da essa dipende la vita sul nostro pianeta e, quindi, anche l’esistenza dell’uomo. La biodiversità esistente in natura è costituita dall’insieme di tutti gli esseri viventi vegetali e animali del nostro pianeta. Si tratta del patrimonio biologico che nei millenni ha seguito il suo percorso di evoluzione, generando un continuo adattamento alle specificità territoriali. Esistono diversi tipi di biodiversità: la biodiversità genetica, cioè le diverse varietà di una stessa specie; la biodiversità di specie, come la varietà di fiori o di insetti esistenti in natura(5) ; 39 DIRITTO AL CIBO 40 infine, la biodiversità di ecosistema, che riguarda la varietà di ambienti naturali esistenti nel mondo (le foreste, il deserto, i fondali marini ecc.). Esiste anche una biodiversità culturale ovvero l’insieme di linguaggi, di tradizioni, di religioni, di espressioni artistiche e di usi, anch’essi rappresentazioni dell’evoluzione e dell’adattamento dell’uomo all’ambiente che lo circonda. Con l’attenzione al cambiamento climatico e agli effetti del modello di sviluppo dei Paesi economicamente ricchi, 183 Stati si sono riuniti nel 1992 a Rio de Janeiro per parlare per la prima volta del cambiamento ambientale e della sua influenza sullo sviluppo. In occasione di questa Prima Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo è stato introdotto il nuovo concetto di “sviluppo sostenibile” ovvero quel processo di crescita sia economica sia sociale che consentirebbe di uscire dalla povertà, preservando l’ambiente e le sue specificità. Particolare attenzione è stata data al tema della tutela della biodiversità, a cui è stata dedicata una specifica Convenzione sulla Diversità Biologica. In questo documento, gli Stati si sono impegnati a mettere in atto tutte le politiche necessarie per tutelare la biodiversità esistente entro i rispettivi confini territoriali e per garantire a tutti un accesso equo sia alle risorse che alle tecnologie produttive. Inoltre, gli Stati firmatari si sono impegnati a far sì che lo sfruttamento delle risorse alimentari a disposizione non sia indiscriminato e, soprattutto, non pregiudichi l’ambiente degli altri Stati. Nel 2012, dal 20 al 22 Giugno, si è tenuta la Conferenza Rio+20, a 20 anni esatti di distanza dal Vertice della Terra di Rio de Janeiro del 1992. La Conferenza si è posta come obiettivo generale di rinnovare l’impegno politico per lo sviluppo sostenibile verificando lo stato di attuazione degli impegni internazionali assunti negli ultimi due decenni ed ha rappresentato una sfida importante per raggiungere obiettivi comuni e tutelare gli equilibri del pianeta, verso un nuovo assetto per lo sviluppo sostenibile globale e per l’umanità, il tutto attraverso uno sforzo congiunto da parte dei governi e della intera società civile. Il documento finale dal titolo “The future we want” (Il futuro che vogliamo) riafferma gli accordi sottoscritti nel 1992 su clima e biodiversità, introducendo novità nell’ambito del “sociale”, come la lotta alla miseria come priorità mondiale, e si impegna a lanciare quelli che sono definiti gli “obiettivi di sviluppo sostenibile”. Tuttavia, il testo non stabilisce lo stanziamento di nuovi fondi per l’economia verde (come avevano chiesto i Paesi in via di sviluppo), né sono stabilite decisioni sulle divisioni di responsabilità tra i Paesi che più inquinano. Preservare la biodiversità esistente significa anche garantire il diritto alla sicurezza alimentare e alla Sovranità Alimentare. La coltivazione di diverse varietà di cibo riduce sia i rischi connessi all’agricoltura (si pensi all’invasione di parassiti o alla siccità di vaste aree alle quali alcune specie agricole saranno più immuni di altre) sia la malnutrizione. Le varietà di cibo prodotte con metodi tradizionali e senza far ricorso a pesticidi oppure a OGM possono garantire alle popolazioni un più facile accesso al cibo di qualità e una maggiore sicurezza per la salute umana. L’intera catena alimentare risente positivamente di un approccio all’agricoltura attento alla biodiversità e le coltivazioni, in armonia con l’ambiente circostante, garantiscono una maggiore diversificazione e un arricchimento dell’habitat naturale. Ma la tutela del patrimonio genetico esistente permette di garantire, oltre che la qualità nell’alimentazione, anche una maggiore sostenibilità ambientale, economica e sociale. Lo sviluppo sostenibile è quel processo di crescita sia economica sia sociale che consentirebbe di uscire dalla povertà, preservando l’ambiente e le sue specificità. (5) Da alcuni studi è possibile desumere che la varietà di specie sul nostro pianeta si attesti tra i 10 e i 15 milioni, ma l’uomo è riuscito a classificarne soltanto 1 milione. DIRITTO AL CIBO Biodiversità e cambiamento climatico in forte correlazione tra loro dovrebbero essere una priorità per la Comunità internazionale. Preservare – e in molti casi recuperare – le conoscenze tradizionali, i saperi e le competenze e le tecniche specifiche di coltivazione soprattutto nelle zone rurali del mondo garantirebbe l’empowerment sociale ed economico delle comunità. L’agricoltura può diventare un veicolo di promozione della cultura locale, può rafforzare l’autostima degli agricoltori, accrescere il reddito delle famiglie attraverso il commercio locale dei prodotti agricoli e migliorare la qualità dell’alimentazione perché adeguata all’ambiente circostante e ricca del giusto apporto nutrizionale. Diventa necessario, tuttavia, avere il controllo delle varietà delle sementi e provvedere alla loro conservazione e a un uso sostenibile per le generazioni future. Tutelare la biodiversità locale potrebbe realmente ridurre la condizione di fame nel mondo soprattutto perché la maggior parte degli affamati è concentrata nel sud dell’Asia e nell’Africa sub-sahariana, aree per converso molto ricche di biodiversità. Nonostante questa consapevolezza il sistema agricolo mondiale non è affatto cambiato e, come affermato da più parti a livello internazionale, sono pochi gli sforzi in questa direzione, tanto che il 2010, Anno internazionale della Biodiversità e anno entro cui gli Stati avrebbero dovuto raggiungere una diminuzione reale del tasso di perdita della diversità biologica esistente, è stato un fallimento. L’accesso alle risorse naturali a disposizione e, di conseguenza, anche al cibo diventa quindi fondamentale per gli Stati, tanto da generare conflitti per il loro accaparramento. In effetti, è ormai opinione condivisa che i conflitti moderni degli ultimi anni riguardano sempre meno le ideologie (anche se spesso vengono ricondotti a queste) e sempre più il controllo di aree ricche di risorse, siano esse petrolifere, idriche, minerarie o altro. Questi conflitti colpiscono direttamente le popolazioni più povere del mondo, ma la loro causa principale è la costante domanda di risorse e di prodotti di consumo dei Paesi ricchi e industrializzati, che finisce per incentivare modelli di sfruttamento spinti dall’aumento degli scambi commerciali. Secondo la nota attivista politica e ambientalista indiana Vandana Shiva, il fenomeno di interdipendenza globale del sistema economico (di produzione e di commercio) internazionale sta generando un bisogno di accesso alle risorse che va oltre qualsiasi concetto di giustizia e sostenibilità: «Guerre per il petrolio, guerre per l’acqua, guerre per la terra, guerre per l’atmosfera: è questo il vero volto della globalizzazione economica». I conflitti per il controllo delle risorse non si hanno solo fra Stati ma anche fra popoli o gruppi locali di un singolo Paese. Lo dimostrano numerosi scontri e guerriglie nel Sud Est Asiatico per il controllo del legname, in Angola e Sierra Leone per i diamanti, nella Repubblica Democratica del Congo per il legname, il rame, i diamanti e il coltan. Negli ultimi decenni, i conflitti civili e territoriali per il controllo dell’acqua, si sono moltiplicati in molti Paesi (in Thailandia sul fiume Chao Prhaja e in India nel Punigo per i pozzi e per le acque dell’Indo). Una lettura, sostenuta da più parti, dell’annosa questione israelopalestinese vede alla base del conflitto la contesa del fiume Giordano e quindi l’accesso alle risorse idriche. Se il nostro sistema di sviluppo continuerà a essere basato esclusivamente sulla crescita economica, cioè sulla crescita del Pil (Prodotto interno lordo) dell’“economia classica”, non ci potrà essere sostenibilità futura perché non è possibile promuovere una crescita infinita a ritmi elevati con risorse che tuttavia sono limitate. L’accesso alle risorse naturali diventa fondamentale per gli Stati, tanto da generare conflitti per il loro accaparramento. 41 42 DIRITTO AL CIBO 3.2 Il modello industriale di produzione degli alimenti: causa ed effetto del surriscaldamento terrestre L’accesso al cibo è determinato anche dallo stato di salute della Terra, messo in condizione di grave insostenibilità a causa dei cambiamenti climatici, che già oggi hanno un impatto devastante sull’agricoltura. Studi fatti dall’UNDP (United Nations Development Programme) e dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), pubblicati nel Rapporto sullo Sviluppo Umano del 20072008 dedicato proprio al tema dei cambiamenti climatici e al loro impatto sullo sviluppo, delineano uno scenario futuro preoccupante. L’attuale divario esistente tra Paesi ricchi e Paesi poveri sarà ancora più grave se non si intraprendono immediatamente azioni efficaci per invertire la rotta verso un sistema mondiale che sia più giusto ed equo. I cambiamenti climatici influiscono in particolare sulla riduzione della produttività. Il paradosso messo in luce dal Rapporto è che gli effetti del cambiamento climatico sono causati in particolar modo dal modello di sviluppo dei Paesi ricchi, ma sono i Paesi poveri a pagarne le conseguenze peggiori. La possibilità, nel breve periodo, di reagire al cambiamento in corso, è soltanto una prerogativa dei Paesi ricchi, che in questo modo, nel lungo periodo, deterranno l’intera produzione di cibo mondiale. Si tratta di uno scenario già in atto, che impone un intervento serio e deciso da parte dell’intera Comunità internazionale. Tutta la produzione diretta e indiretta di cibo (l’agricoltura, l’allevamento e la pesca) è influenzata dal cambiamento climatico, ma allo stesso tempo è causa determinante dello stesso. Infatti, il degrado ambientale in corso è dovuto all’alta concentrazione di gas serra nell’atmosfera, che contribuisce all’innalzamento delle temperature e quindi al riscaldamento globale, con effetti devastanti sull’ecosistema del pianeta. Per avere un’idea di quanto secondo caso, l’impatto sull’ambiente il nostro cibo abbia contribuito al deriva dalle emissioni di metano (CH4) cambiamento climatico basti pensare prodotte dal bestiame nella fase di che nell’UE, per esempio, il 9% delle digestione e indirettamente dalle emissioni di gas serra è dovuto proprio loro deiezioni depositate sul suolo. all’agricoltura e all’allevamento, per due Considerato che il metano è un gas motivi principali: per l’uso indiscriminato serra 30 volte più nocivo dell’anidride di concimi chimici azotati e per le carbonica, queste emissioni hanno un emissioni di metano del bestiame. Nel alto valore inquinante. primo caso, l’utilizzo consistente di concimi chimici o dei mangimi necessari Nonostante la consapevolezza ormai a mantenere il processo agricolo e diffusa che il nostro sistema produttivo, all’allevamento ha un doppio impatto sebbene abbia portato ad un aumento ambientale, che deriva sia dal processo nella produzione di alimenti, in realtà di produzione degli stessi - e quindi ha degli impatti devastanti sul clima, dalle emissioni dirette dell’industria sulla biodiversità, sull’intero ecosistema chimica - sia dal loro utilizzo, che e sulla sua sostenibilità futura, gli Stati inquina i terreni, i corsi d’acqua, le sono ancora restii ad adottare politiche falde acquifere e i mari. Inoltre, se vengono utilizzati in quantità massicce, rilasciano notevoli quantità di ossido di azoto (N2O), un gas serra 300 volte più potente dell’anidride carbonica. Nel DIRITTO AL CIBO forti, a intraprendere accordi vincolanti che diano un segnale positivo e di chiaro impegno nella lotta al cambiamento climatico. Oltretutto, una maggiore sostenibilità non implica una minore produzione di cibo. Le Conferenze internazionali periodiche sul cambiamento climatico vedono ancora troppe questioni lasciate in sospeso. La Conferenza ONU di Copenaghen tenutasi nel dicembre 2009, molto attesa soprattutto per il raggiungimento di un accordo vincolante per gli Stati sulla riduzione dei gas serra, è stata un fallimento. Gli Stati continuano a rinviare decisioni importanti e urgenti, che diano dei segnali chiari e che specifichino non solo responsabilità ma impegni comuni per salvare il pianeta. Il surriscaldamento globale, sul quale studiosi ed esperti continuano a confrontarsi tra posizioni discordanti, dovrebbe attestarsi nel corso di un secolo sui 5°C in più rispetto all’attuale temperatura globale, ovvero lo stesso aumento avuto dall’ultima era glaciale. Bastano soltanto 2°C in più rispetto alle temperature attuali e il cambiamento diventerà pericoloso e con ogni 43 44 DIRITTO AL CIBO probabilità anche irreversibile o comunque molto difficile da governare. La condizione di insicurezza alimentare in cui versano milioni di persone è fortemente legata al surriscaldamento globale, proprio perché causa dell’aumento delle zone desertiche e del frequente rischio di inondazioni. Negli ultimi anni, la circolazione atmosferica che va dall’Equatore ai Tropici (la cosiddetta cella di Hadley) che determina le piogge tropicali o gli alisei, si sta spostando sempre più a Nord a causa del riscaldamento della superficie terrestre che è la forza da cui muove questa circolazione di aria. Il risultato di questo spostamento è un aumento notevole delle temperature a Nord verso i poli () e una maggiore frequenza di alluvioni, piogge torrenziali e catastrofi naturali. Inoltre il surriscaldamento globale, anche delle acque, provoca una consistente riduzione del fitoplancton marino che costituisce l’alimento base della catena alimentare marina (e produce il 40% dell’ossigeno sulla Terra) causando entro pochissimi decenni l’estinzione di molti pesci. Sebbene l’impatto del cambiamento climatico sul terreno, sulle acque e sull’aria sia anche piuttosto evidente, ciò che spesso viene sottovalutato è l’effetto sul prodotto finale e quindi sul cibo che viene poi consumato. Infatti, le strategie fino a ora messe in atto per far fronte ai cambiamenti climatici e alla minore produttività del suolo non tengono conto della sempre maggiore diffusione di agenti di contaminazione dell’ambiente e di residui chimici propri della catena alimentare, che vengono inevitabilmente trasferiti anche al prodotto agricolo che arriva sulle nostre tavole soprattutto a causa dell’uso indiscriminato di pesticidi e diserbanti., Secondo alcuni studi di Legambiente, la presenza di pesticidi nella frutta e verdura in commercio è aumentata e con molta più frequenza si ritrovano residui multipli, ovvero cocktail di più pesticidi che costituiscono un grave pericolo per la salute, soprattutto dei bambini. DIRITTO AL CIBO I cambiamenti climatici, dunque, riflettono la stretta interdipendenza tra politiche dei Paesi di tutto il mondo: legano inscindibilmente le azioni di oggi a ciò che sarà domani, intaccano la vita delle generazioni future verso le quali abbiamo un «debito ecologico insostenibile» (UNDP, Human Development Report 2007-2008). L’UE sta promuovendo una politica più attenta alla sostenibilità ambientale della produzione agricola ed energetica, attraverso azioni che possano limitare il cambiamento climatico. Sull’efficacia reale di questi interventi vi sono ancora molti dubbi. Sicuramente c’è l’intenzione dell’UE di porsi come leader della politica mondiale in materia, ma per motivi che vanno oltre la consapevolezza dell’urgenza di un intervento e della profonda gravità del fenomeno. Un impegno forte in tal senso permetterebbe all’UE di garantirsi una leadership che è sia politica sia economica: innanzitutto perché gli USA, a oggi, non hanno intrapreso azioni forti ed efficaci perché non percepiscono ancora la preoccupazione dell’esaurimento delle risorse energetiche, prima fra tutte il petrolio; in secondo luogo, i Paesi cosiddetti emergenti, come la Cina, l’India o il Brasile non hanno l’interesse a introdurre elementi che possano in qualche modo limitare o cambiare la forte crescita che stanno sperimentando. Questa situazione permetterebbe all’Europa con molta facilità di estendere poi, a livello mondiale, degli standard univoci che garantirebbero una sua ulteriore crescita economica e il ruolo di guida politica nel lungo periodo. I cambiamenti climatici riflettono la stretta interdipendenza tra politiche dei Paesi di tutto il mondo. 45 46 DIRITTO AL CIBO 4 Alternative e buone pratiche nel rapporto tra uomo, ambiente e nutrizione La FAO prevede che la produzione alimentare globale debba aumentare del 70% entro il 2050, per nutrire una popolazione mondiale che dovrebbe raggiungere i 9,1 miliardi di persone. Ma mantenere l’attuale modello di produzione, sviluppare un’agricoltura fortemente basata su prodotti chimici, sull’irrigazione intensiva e sulla deforestazione per fare spazio all’allevamento di bestiame, non può essere sostenibile. Diventano quindi necessari l’introduzione di una tecnologia produttiva che rispetti le specificità di ogni territorio e popolazione, un aiuto concreto ai piccoli agricoltori capace di garantire l’autosufficienza alimentare e una corretta ed equa redistribuzione delle risorse. Si stanno già sperimentando diverse alternative che vanno nella suddetta direzione, ma si tratta ancora di esperienze di nicchia nei Paesi ricchi e poco diffuse nei Paesi poveri. Anche come consumatori abbiamo delle responsabilità, ma bisogna essere consapevoli che un cambiamento è possibile anche attraverso i nostri semplici gesti quotidiani. 4.1 Agricoltura sostenibile A fronte di un’agricoltura intensiva, dipendente dal petrolio, che contribuisce in maniera massiccia alle emissioni di gas serra – il 30% delle emissioni è dovuto alla produzione di cibo – c’è una sempre maggiore attenzione a un altro tipo di agricoltura, quella che viene definita agricoltura sostenibile. Questo tipo di agricoltura utilizza tecniche agricole in grado di rispettare la biodiversità esistente, l’ambiente e il naturale processo di assorbimento dei rifiuti. Per questo motivo è fortemente basata su processi naturali e allo stesso tempo produttivi che fanno ricorso a fertilizzanti organici, tratto distintivo questo dell’agricoltura più propriamente definita biologica. Un’altra sua caratteristica fondamentale è l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, capaci di garantire un’adeguata sostenibilità ambientale nel breve periodo e di non compromettere il patrimonio lasciato in eredità alle generazioni future. La produzione agricola avviene prestando attenzione alle specificità naturali del territorio senza far ricorso ad agenti chimici oppure a organismi geneticamente modificati, ricorrendo a metodi naturali per sconfiggere gli attacchi parassitari e alla rotazione delle colture, per mantenere ene ere e el su uolo. migliorare la fertilità del suolo. e è sstrettamente trettamente L’agricoltura sostenibile imen ntare perché legata alla sicurezza alimentare mbusttibili fossili è indipendente dai combustibili roduzio ione e si basa su mezzi di produzione nendo disponibili localmente. Interven Intervenendo ncrementa a con processi naturali incrementa glii l’efficacia dei costi e la resistenza degl degli ecosistemi cosistemi agricoli nei conf confronti nfro ront ntii di ondizioni climatiche difficili condizioni difficili. L’agricoltura sostenibile, inoltre, rompe il circolo vizioso dell’indebitamento a cui sono costretti i piccoli agricoltori per acquistare i mezzi di produzione agricoli. DIRITTO AL CIBO Quando coltivazioni commerciali certificate sono collegate con migliorie agro-ecologiche e maggiori redditi per i contadini poveri, c’è una maggiore autosufficienza alimentare e una generale rivitalizzazione dell’agricoltura su piccola scala. L’agricoltura biologica, aumenta la resa dei raccolti attraverso le pratiche che favoriscono l’ottimizzazione dei processi biologici e delle risorse locali più di costosi metodi chimici tossici. Data la sua economicità e sussistenza da fonti autoctone e rinnovabili, l’agricoltura biologica è facilmente adottabile da 400 milioni di piccoli coltivatori e aziende agricole relativamente poveri. È questa la soluzione per mettere in sicurezza il problema alimentare alimentare, anche perché queste piccole realtà rurali possono trasformarsi a favore di una maggiore produttività, aumentando la fertilità dei terreni, ottimizzando l’uso delle risorse idriche e offrendo uno strumento efficace alla lotta al cambiamento climatico. Unita alla sostenibilità agricola e nell’ottica di un rafforzamento degli agricoltori locali, da più parti si ritiene indispensabile la promozione 47 DIRITTO AL CIBO al tempo stesso efficacia ed efficienza nel sostentamento della popolazione. Per questo motivo, da più parti a livello internazionale, le organizzazioni di contadini, gli organismi internazionali e la società civile richiedono agli Stati che le politiche agricole promuovano un potenziamento del sistema agricolo familiare, fornendo degli aiuti, garantendo l’accesso al credito o trasferendo una tecnologia adeguata. di politiche a sostegno della piccola agricoltura a gestione familiare. L’IFAD (Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo) ha dichiarato che l’agricoltura familiare è fondamentale per ridurre l’insicurezza alimentare e promuovere lo sviluppo nelle aree rurali. I piccoli agricoltori costituiscono, infatti, la vera forza di molti Paesi poveri. Promuovendo e recuperando la conoscenza e i valori del territorio, l’agricoltura familiare innesca un’inversione di tendenza, cioè il passaggio dalla produzione agricola estensiva e industriale, esclusiva delle grandi aziende, allo sviluppo di un tessuto di piccoli agricoltori che permettono di diversificare l’alimentazione e di garantirne la qualità, preservando l’ambiente. Si tratta di un modello produttivo che si sta diffondendo in modo capillare dall’Europa all’Africa e all’America Latina. In Africa garantisce il 90% della produzione agricola e vede occupato il 60% della popolazione. Le aziende agricole familiari destinano i prodotti al consumo interno e al mercato locale. Per questo motivo, l’azienda agricola familiare non si limita alla produzione di alimenti, ma ne segue la trasformazione, il commercio e permette lo sviluppo di attività sociali. All’interno delle aziende agricole familiari, dunque, si sviluppa una rete socio-culturale che favorisce l’assoluta adattabilità all’ambiente circostante e il legame con la comunità di appartenenza, garantendo L’agricoltura familiare è fondamentale per ridurre l’insicurezza alimentare e promuovere lo sviluppo nelle aree rurali. 49 50 DIRITTO AL CIBO 4.2 I custodi delle sementi e la tutela della biodiversitàà inn pratica I semi sono un dono della natura, delle generazioni passate e delle diverse culture. È dunque que e nostro si sono il intrinseco dovere e responsabilità proteggerli per tramandarli alle generazioni future. Essi ettacolo primo anello della catena alimentare, incarnano la diversità biologica e culturale e sono il rice ricettacolo della futura evoluzione della vita. 0 an nni, al Coltivatori e comunità umane operano fin dalla rivoluzione neolitica, ossia da circa 10.000 anni, ulatto sugli fine di migliorare la resa, il gusto, i valori nutritivi e altre qualità dei semi. Il sapere accumulato assi di effetti sulla salute e sulle proprietà curative delle piante, come anche su certe particolari pra prassi pliato coltivazione e interazioni con il mondo animale e vegetale, con il suolo e con l’acqua, si è amp ampliato so lla a ed è stato tramandato nei millenni. Alcuni interventi di ibridazione iniziali hanno promosso o, il frumento coltivazione su più larga scala di alcune specie nei loro centri di origine (come, ad esempio, a allora in Mesopotamia, il riso in Indocina e in India, il mais e la patata in Centro-America), che da ato alla sono state poi diffuse in tutto il mondo. Il libero scambio di semi tra coltivatori è sempre sta stato o sc cambio base della conservazione della biodiversità e della sicurezza alimentare: si trattava di uno scambio basato sulla cooperazione e sulla reciprocità, nel quale i contadini in genere si scambiavano pari quantità di semi. Questa libertà è qualcosa che va oltre il semplice scambio dei semi: essa riguarda anche la condivisione e lo scambio di idee e conoscenze, di cultura e patrimonio. È una somma di tradizione e di conoscenze sulle modalità di trattamento dei semi che i coltivatori acquisiscono vedendo realmente i semi crescere nei propri campi. L’importanza culturale e religiosa della pianta, il suo valore dal punto di vista gastronomico, la resistenza a siccità e malattie, ai parassiti, la corporativi. conservazione e altri aspetti vanno a rdita di Di fronte alla continua perd perdita costituire, tutti insieme, quel sapere che a dif ffusione biodiversità locale e alla diffusione una comunità va complessivamente a mplifficano il di monocolture che semplificano dare al seme e alla pianta che produce. ne ag gricola sistema della produzione agricola Oggi la diversità e il futuro dei semi aneta a e per con gravi danni per il pianeta sono in pericolo. Delle 80.000 piante el mondo do e in l’uomo, in varie parti del commestibili usate a scopo alimentare o, gruppi di modo sempre più vasto, se ne coltivano solo 150 e solo 8 sono endo in atto contadini stanno mettendo commercializzate in tutto il mondo. n sistema di diffusione e sscambio camb ca mbio io Ciò implica l’irreversibile scomparsa un ella loro conoscenza e di recupero dei della diversità dei semi e delle della coltivazioni. La graduale distruzione saperi legati all’agricoltura, coltivando della diversità è l’effetto del bisogno solo ed esclusivamente quelle varietà di omogeneizzazione che caratterizza agricole presenti nel proprio territorio e l’agricoltura industriale. La libertà di specifiche della zona di appartenenza. gestire i semi e la libertà dei coltivatori Si tratta del cosiddetto “Sistema sono minacciate dai nuovi diritti di informale delle sementi”, una realtà proprietà e dalle nuove tecnologie che stanno trasformando i semi da bene comune condiviso del mondo contadino ad un bene di largo consumo sotto il controllo centralizzato dei monopoli DIRITTO AL CIBO presente in diverse parti del mondo, dai Paesi più ricchi e industrializzati a quelli più poveri, dal Perù alla Norvegia, dal Nepal alla Scozia. Da circa 30 anni si sono sviluppati dei veri e propri movimenti organizzati e in rete a livello mondiale che hanno come principale obiettivo quello di custodire la biodiversità esistente attraverso il recupero di varietà di semi a rischio di estinzione. I seed savers ovvero i custodi di sementi hanno recuperato o tutelato dal pericolo di estinzione migliaia di varietà di piante, ortaggi, cereali, leguminose e alberi da frutto tra le più antiche e un tempo diffuse. Coltivando varietà che non vengono più commercializzate e molto spesso rare rare, i seed saverss rendono disponibile un’agrobiodiversità così ricca, che a volte è difficile da trovare nelle banche dei semi istituzionali. Non si tratta di gesti eroici di pochi illuminati. I seed savers sono persone comuni che singolarmente piantano nel loro orto alcune delle varietà recuperate, favoriscono la riproduzione dei semi negli anni e li scambiano con altri “custodi di sementi”. Grazie a questo circolo virtuoso e capillare, le varietà 51 DIRITTO AL CIBO 53 ripristinate in tutto il mondo sono tantissime. In Italia, la rete di seed savers fa capo a Civiltà Contadina, l’organizzazione che riunisce appunto i piccoli agricoltori che salvano, conservano e riproducono in campo o in casa i semi delle varietà antiche ortofrutticole tipiche del nostro territorio. Ma nonostante l’impegno attivo in tal senso, ancora molte varietà devono essere riscoperte e conservate, a fronte di una distruzione capillare a livello planetario della ricchissima biodiversità rurale. Sebbene ci sia una generale riscoperta degli orti familiari, anche nelle grandi città in cui gli stessi amministratori locali a volte mettono a disposizione appezzamenti di terreno da poter coltivare, è necessario recuperare la cultura della semina che fa sì che i semi vengano piantati anno dopo anno e non acquistati in busta al supermercato, anche perché molto spesso si trovano in vendita sementi ibride(6) che producono frutti i quali a loro volta contengono semi con un patrimonio genetico tanto povero da impedirne la semina nell’anno successivo. Delle 80.000 piante commestibili usate a scopo alimentare se ne coltivano solo 150 e solo 8 sono commercializzate in tutto il mondo. (6) I semi ibridi derivano dalla fusione di due linee parentali rese geneticamente omogenee da autoincroci. Specie ermafrodite (come il mais o il pomodoro) che hanno cioè fiore maschile e femminile sulla stessa pianta, in realtà, si riproducono in seguito a una fecondazione avvenuta tra fiore maschile di una pianta e fiore femminile di un’altra pianta. Nel caso dei semi ibridi, il selezionatore riproduce una pianta che ritiene particolarmente rigogliosa e promettente attraverso l’autoincrocio (fecondazione del fiore femminile a carico di quello maschile presente sulla stessa pianta). L’ibrido nasce da due linee parentali di questo tipo. 54 DIRITTO AL CIBO 4.3 La permacultura rmacultura Nata da un’idea di Bill Mollison, scienziato e naturalista australiano, la permacultura mira a a progettare rio fra insediamenti umani il più possibile vicini agli ecosistemi naturali creando il miglior equilibrio ambiente, agricoltura, sostenibilità, economia, coesione sociale e accesso al cibo. permanent Il termine permacultura deriva dalla fusione delle parole inglesi “permanent agriculture” e “p “permanent odu uzione di culture”, che pongono l’accento proprio sulla stretta connessione tra sistema agricolo/produzione cibo e cultura e tradizione. La permacultura tiene conto dei singoli elementi che compongono un ambiente: le piante,, gli animali, le fonti energetiche, gli edifici, le infrastrutture e le persone e li mette in relazione al fine di creare one, che un sistema ambientale, ecologico ed economico efficiente per il fabbisogno della popolazione, e e poi rispetti l’ambiente e che sia sostenibile nel tempo. La permacultura è un modo di pensare entte, di operare secondo principi e modalità pratiche di vita quotidiana che sostengono l’ambiente, to e evitando dispersioni e inquinamento. Il tutto è volto al fine ultimo dell’auto-sostentamento dell’autosostenibilità, nel rispetto delle risorse naturali a disposizione e di tutte le risorse energetiche. Questo sistema “sociale” rispetta i ritmi della natura e si attiene alle sue modalità di produzione. Tuttavia l’autosufficienza è possibile solo se viene garantito l’accesso alla terra, all’informazione e alle risorse economiche. Per questo motivo, recentemente la permacultura ha iniziato a occuparsi di diritti di proprietà della terra e della loro tutela, laddove non esiste ancora una giurisprudenza a riguardo. La permacultura, quindi, cerca di integrare perfettamente ecologia, geografia, antropologia e sociologia. Ma la permacultura è anche uno stile di ne d ei processi e nell’industrializzazione dei vita che, attraverso pratiche quotidiane, produttivi e l’aumento del reddito consente di produrre, ovunque possibile, to una cultura disponibile hanno creato una parte del cibo che consumiamo sape evole del del consumismo inconsapevole tutti i giorni, negli orti di casa, sui to del elle risorse e graduale impoverimento delle balconi o nei campi. e in co ors r o. del degrado ambientale corso. La permacultura quindi può ossibile af a fermare Per questo motivo è possibile affermare contribuire alla Sovranità Alimentare ebbene si si sia che la permacultura, sebbene dei popoli perché si fonda sul urali dell’Ameri rica ca diffusa in alcune aree rurali dell’America rispetto delle specificità locali e su atina o dell’Africa, rich hiede de u n ve vero ro rapporti di equilibrio tra l’ambiente Latina richiede un e gli insediamenti umani, il cui fine e proprio cambiamento politico ultimo è l’autosufficienza alimentare. e culturale. Nei Paesi ricchi è un Tuttavia, per circa 5 miliardi di fenomeno circoscritto a pochi attivisti persone soltanto il soddisfacimento e che sta rivelando la sua efficacia più dei bisogni fondamentali ha dei costi nella promozione del consumo critico talmente alti che le opportunità di un che nel cambiamento del modello di sistema autosufficiente come quello sviluppo dominante. promosso dalla permacultura diventano estremamente limitate. Dal lato delle fasce ricche della popolazione, invece, i nuovi beni di consumo, l’investimento nell’industria DIRITTO AL CIBO Per attuare la permacultura non è necessaria una grande esperienza nell ne lla a co colt ltiv ivaz azio ione ne, né u n va vast sto o nella coltivazione, un vasto appezzamento appezzamento. Invece Invece, si tratta soprattutto di acquisire nuove prospettive, in questo modo anche un mini-giardino può trasformarsi in un biotopo diversificato e pulsante di vita e contribuire così al miglioramento dell’ambiente in cui viviamo, persino nelle squallide periferie delle città. Anche la pendenza di un giardino può divenire vantaggiosa se la si sfrutta adeguatamente. La progettazione di una permacultura richiede perciò che si mappino e valutino forma e pendenza dellll’a de app ppez ezza zame ment nto o, iisolamento, sola so lame ment nto o, dell’appezzamento, vento ombreggiamento, ombreggiamento direzione del vento, disponibilità idriche. Lo spazio verrà quindi strutturato con sentieri, siepi, per creare piccole nicchie chiuse e riparate, utilizzando piante che su diversi piani svolgano multifunzioni e servano da spalliere, come riparo dal vento e dal sole o dalla vista, ma contribuiscano al tempo stesso alla consociazione e diversificazione delle specie, che portino frutti per l’uomo e gli animali e offrano nettare agli insetti. 55 DIRITTO AL CIBO 57 Il primo obiettivo di un orto-giardino che si autorinnova e rispetta le risorse è comunque quello di assicurare la salute e la fertilità del suolo, perché solo in tal caso la produzione è il risultato naturale di un sistema efficace. Non si deve dimenticare che ogni frutto, ogni ortaggio raccolto è fertilità rubata al terreno e che è assolutamente necessario restituire al suolo i rifiuti organici. Di qui il ruolo fondamentale del compostaggio, della pacciamatura(7) e del sovescio(8), ma anche delle aiuole a cumulo e aiuole rialzate. Particolarmente interessante è l’approccio della permacultura con l’energia, lavoro umano compreso. L’orto a permacultura deve essere altamente produttivo ma al tempo stesso richiedere meno lavoro ed impegno possibile. Questo può sembrare contraddittorio, ma esistono molte tecniche che permettono di raggiungere questo obiettivo. Si tratta di sviluppare nuove idee o adattare esperienze già fatte alla propria situazione e ai propri bisogni. L’autosufficienza è possibile solo se viene garantito l’accesso alla terra, all’informazione e alle risorse economiche. (7) La pacciamatura è un’operazione attuata in agricoltura e giardinaggio che si effettua ricoprendo il terreno con uno strato di materiale, al fine di impedire la crescita delle malerbe, mantenere l’umidità nel suolo, proteggere il terreno dall’erosione, evitare la formazione della cosiddetta crosta superficiale, diminuire il compattamento, mantenere la struttura e innalzare la temperatura del suolo [Wikipedia]. (8) Il sovescio è una pratica agronomica consistente nell’interramento di apposite colture allo scopo di mantenere o aumentare la fertilità del terreno. I risultati che si possono ottenere sono di vario tipo: aumento della materia organica al terreno; rallentamento di fenomeni erosivi; mantenimento del contenuto di azoto nitrico [Wikipedia]. 58 DIRITTO AL CIBO 4.4 Il Commercio mercio Equo Il Fair Trade o Commercio Equo ha come principale obiettivo quello di promuovere e realizzare zzare scita a si è un mercato internazionale fondato sul principio di equità. Il Commercio Equo alla sua nascita mp portante concentrato solo sui prodotti di artigianato locale che costituiscono una fonte di reddito importante otti per le famiglie e soprattutto per le donne. Con il tempo si è passati al commercio di prodotti cc. In questo alimentari: prima al caffè, per poi proseguire con il tè, le spezie, il cacao, i succhi di frutta ecc. cam mbio, in modo si sono creati nuovi canali commerciali e si è sviluppata una vera e propria rete di scambio, parte alternativa al commercio internazionale di massa. ati la cui Il Commercio Equo con il tempo è diventato un vero e proprio marchio di prodotti certificati o ambientale produzione, trasformazione e distribuzione biologicamente compatibile e a basso impatto ame entali si basa su migliori condizioni di vita dei produttori, ai quali vengono garantiti i diritti fondamentali rezzza e e un prezzo che possa permettere loro di condurre una vita dignitosa in condizioni di sicurezza autosufficienza economica. enta alla Il Commercio Equo crea una rete tra produttori, distributori e consumatori trasparente e atte attenta giustizia sociale e al rispetto dei diritti umani, per un commercio che si sviluppi secondo un metodo di importazione diretta, tale da eliminare tutte quelle intermediazioni che poi vengono pagate dal consumatore finale a caro prezzo, ma che consenta anche di finanziare i più svantaggiati per evitare che si indebitino. La FLO (Fairtrade Labelling International), nata nel 1997, è l’associazione mondiale che certifica e pone il marchio sui prodotti del Commercio Equo che poi vengono venduti principalmente nelle Botteghe del Mondo, ma anche nei supermercati o nei distributori automatici. Unisce he in nvestono i perlopiù cooperative che investono alla vendita una particolare attenzione a ve endita dei guadagni derivanti dalla vendita all’informazione dei consumatori sui c ali. Tali loro prodotti in progettii soci sociali. prodotti e sui produttori, oltre che ntera a comunità progetti coinvolgono l’intera sulle conseguenze che il commercio cano processi di di appartenenza, innescano tradizionale può avere sulle popolazioni mettono sviluppo locale diffuso e perm permettono più svantaggiate. L’obiettivo finale è oni di vit ta delle di migliorare le condizioni vita favorire una sensibilizzazione diffusa fasce più vulnerabili. sul tema dello sviluppo, un consumo azione di La più grande organizzazione consapevole e promuovere un’economia ommercio Equo italiana e la sseconda econ ec onda da responsabile, che coinvolga anche Commercio ù grande a livello mondiale è il specifiche categorie e attori sociali più ed economici dei Paesi ricchi ed Consorzio Ctm Altromercato, che economicamente sviluppati. riunisce 130 associazioni e cooperative. In Italia il marchio di garanzia del Con 350 Botteghe del Mondo diffuse Commercio Equo viene posto da Fair in modo capillare sull’intero territorio Trade Italia, un consorzio di organismi italiano, oltre al commercio vero e che lavorano nella cooperazione proprio dei prodotti si impegna a internazionale, nato nel 1994 per diffondere i principi e la cultura di un diffondere nella grande distribuzione consumo responsabile e solidale. i prodotti del mercato equo. Le organizzazioni di produttori con cui collabora il sistema di Fair Trade sono DIRITTO AL CIBO 59 Il Commercio Equo crea una rete tra produttori, distributori e consumatori trasparente e attenta alla giustizia sociale e al rispetto dei diritti umani. 60 DIRITTO AL CIBO 4.5 La filie filiera era corta La grande distribuzione è diventata un anello fondamentale nell’intera filiera produttiva del cibo che nali ha dal produttore va al consumatore, al punto che la concorrenza che si crea tra i distributorii fin finali strretti a un forte impatto sui fornitori (intermediari) e provoca pressioni sui contadini, che sono costretti hi realmente produrre a prezzi molto bassi. Infatti, è ormai noto che i prezzi non vengono stabiliti da chi erca ati, centri coltiva la terra e produce, ma vengono decisi dai distributori: i nostri supermercati, ipermercati, re le decisioni commerciali riuniti nelle cosiddette Centrali di acquisto, originariamente nate per prendere rlo. Di fatto, il sul mercato alimentare e fissare prezzi competitivi per il consumatore e quindi per tutelarlo. vie ene proprio prezzo che noi paghiamo oggi per il cibo che arriva sulle nostre tavole, e che per il 70% proviene dalla grande distribuzione, risente degli altissimi costi dovuti a: 1. Produzione dipendente dai carburanti fossili. 2. Scarti che avvengono già nella prima fase di selezione del raccolto. 3. Trasformazione industriale. 4. Packaging cioè imballaggio e confezionamento. ento o genera 5. Logistica e trasporto sempre più spesso intercontinentale (ogni trasporto/spostamento costi/profitti e aumenta il PIL). 6. Costi di pubblicità e marketing. Per questi motivi è evidente che il prezzo finale del prodotto viene stabilito dai vari gruppi di interesse che intervengono a diverso titolo nell’intera filiera. Negli anni recenti, in seguito alla maggiore attenzione del consumatore alla qualità di ciò che mangia e anche alla sostenibilità ambientale della produzione agricola, si è diffusa – o meglio si è recuperata – quella forma di vendita diretta che già un tempo avveniva nei mercati contadini, i farmers’ markets. Si tratta della cosiddetta filiera corta e) e infine prodotto (refrigerazione) oprio dalla ovvero di quel rapporto diretto e anche sull’imballaggio. Pro Proprio one d senza intermediari tra produttori e concezione anglosassone dii “food are qu q anto i consumatori. miles” volta a sottolineare quanto bbiano Ma in che modo la filiera corta chilometri percorsi dal cibo a abbiano mbiente t , in contribuisce a una maggiore un forte impatto sull’ambiente, espressio ione “a sostenibilità ambientale, a un Italia è stata coniata l’espressione ta semplic ce commercio più equo e sostenibile e alla chilometro zero”. Questa semplice fettamente l’id dea possibilità di garantire a tutti il diritto di espressione rende perfettamente l’idea to e cconsumato onsu on suma mato to accesso a un cibo sano e nutriente? di quanto il cibo prodott prodotto Un primo fattore importante della e la sostenibilità ambientale siano filiera corta è l’abbattimento dei costi strettamente correlati. Oltre a questo di trasporto, che sono anche costi aspetto la vendita diretta molto spesso ambientali e che ricadono sull’intera privilegia una produzione biologica. popolazione mondiale. Infatti, Infine il packaging (l’imballaggio), che ha dei costi ambientali non solo per privilegiando la vendita diretta dal la sua produzione ma anche per il suo produttore al consumatore si risparmia smaltimento, nei mercati contadini è sia sull’uso di carburante necessario quasi assente. al trasporto (che nella grande Anche i costi di produzione sono distribuzione avviene generalmente più bassi perché viene rispettata la per centinaia o migliaia di chilometri), stagionalità dei prodotti agricoli e, di sia sui metodi di conservazione del conseguenza, l’uso di energia necessaria alla produzione è notevolmente ridotto. DIRITTO AL CIBO Ulteriore fattore determinante, ma anche effetto della vendita diretta, è il prezzo dei prodotti, generalmente più conveniente in un sistema in cui mancano gli intermediari tra produttore e consumatore. Inoltre, l’agricoltore ha la possibilità di incidere direttamente sul fattore prezzo e di determinare una remunerazione più adeguata del suo lavoro. Dal lato del consumatore, il prezzo dei prodotti diventa non solo economico, ma anche di più facile valutazione e garantisce quindi una maggiore trasparenza. In aggiunta, da parte dei consumatori c’è anche la riscoperta di un contatto più diretto con la terra, di una dimensione più agricola che, soprattutto nel tessuto urbano, è stata dimenticata o non è mai stata scoperta. È chiaro che nei Paesi ricchi la voglia di nutrirsi di cibi genuini, freschi, che rispettino le periodicità stagionali attiene più a una dimensione culturale e sociale nostalgica del primitivo rapporto con la terra che a una reale necessità di nutrimento. Secondo un sondaggio condotto dalla Coldiretti (2007), la vendita diretta in Italia è sempre più diffusa. Per chi non si è ancora avvicinato a questo tipo di 61 DIRITTO AL CIBO consumo, l’ostacolo principale è da ricercarsi nella difficoltà a raggiungere le imprese agricole. Il 30% degli intervistati dichiara che la motivazione che spinge all’acquisto tramite il canale diretto è il risparmio, che si attesta mediamente sul 30%. Il 25% degli intervistati da’ come motivazione la possibilità di instaurare un rapporto diretto con i produttori; per il 24% le motivazioni risiedono nelle garanzie di freschezza, nella qualità e nella genuinità del prodotto; per il 12% è un modo per salvaguardare le tradizioni e la cultura enogastronomica del territorio; infine, per il 9% la scelta è dovuta al minore inquinamento, al risparmio di energia e alla difesa dell’ambiente legati al consumo dei prodotti locali. 63 64 DIRITTO AL CIBO 4.6 Consumo critico e responsabile sponsabile Il consumo critico privilegia prodotti con specifici requisiti di qualità che riguardano essenzialmente zia almente le a ttutela utela dei modalità di produzione, per esempio la sostenibilità ambientale del processo produttivo, la a pr rovenienza diritti dei lavoratori all’interno dell’azienda produttrice e il comportamento della stessa, la provenienza mballaggi). del bene e quindi il suo trasporto oppure le sue modalità di smaltimento (il packaging o glili im imballaggi). e un peso e Si tratta di requisiti di qualità ai quali, molto spesso, il consumatore medio non attribuisce bblicitari. ciò avviene anche perché i consumi vengono a volte indotti da altri input, soprattutto pubblicitari. upp posto che Il consumatore critico, invece, si pone delle domande prima di ogni scelta e parte dal presupposto dutttivo fino al ogni singolo acquisto ha, di fatto, un peso sociale e ambientale dovuto all’intero ciclo produttivo a maggiore consumo finale. L’obiettivo è quello di ridurre al minimo questo peso e contribuire così a una sostenibilità ambientale dei propri consumi e avere un impatto reale sul mercato. catto, che può Per tutti questi motivi il consumatore ha un forte potere di indirizzo delle politiche di mercato, esercitare facendo delle scelte consapevoli. In Italia non è possibile definire una data di inizio della pratica del consumo critico, ma sicuramente c’è stata un’evoluzione. Inizialmente, l’attenzione veniva volta al comportamento delle aziende maggiormente presenti nella grande distribuzione e in alcuni casi la pratica più diffusa era quella del boicottaggio di specifici prodotti e aziende produttrici. Nel 1996 viene pubblicata la “Guida al consumo critico” dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo che raccoglie tutte le informazioni sulle maggiori aziende produttrici di beni di largo consumo presenti nella grande distribuzione, secondo specifici criteri (per esempio: disponibilità dell’azienda a fornire andi quantità determinati prodotti in gra grandi informazioni; metodi di gestione da ridistribuire tra loro. I prodotti delle attività nel Sud del mondo; do a ttenzione vengono scelti prestando attenzione registrazione dell’impresa o sue filiali in ità e solidarietà a specifici criteri di equità Paesi a regime fiscale particolarmente ipi de el consumo proprio secondo i principi del favorevole; condizioni di allevamento eralm men e te, critico. Si privilegia, generalmente, e sperimentazione su animali). ti di la filiera corta e quindi prodotti Questa Guida rappresenta il principale odo d tti produttori locali o, nel caso di pro prodotti strumento di diffusione del concetto mercio equo e di importazione, il commercio e della pratica del consumo critico in olidale. Italia. solidale. Con il tempo, anche in seguito Si è costituita anche la Rete nazionale di all’evoluzione storica e politica degli collegamento tra i G.A.S. che favorisce lo ultimi decenni, il consumatore critico scambio di informazioni e di esperienze. ha iniziato a prestare attenzione anche Il consumo responsabile induce alle specificità dei singoli prodotti e, quindi a riflettere sulle conseguenze in particolar modo, al loro impatto che le semplici scelte di ogni giorno ambientale. possono avere sull’intero sistema Tra le esperienze di consumo critico globale, sull’ambiente e sulla società, c’è quella dei G.A.S. (Gruppi di Acquisto sull’accesso al cibo e sulla povertà. Solidale), cioè di quei gruppi di persone Orientare i consumi e fare delle scelte (più o meno costituiti formalmente) che decidono, insieme, di acquistare DIRITTO AL CIBO su prodotti di qualità, sostenibili ed equi ha anche un impatto sulle imprese e sui loro profitti, che dipendono esclusivamente dal comportamento dei consumatori consumatori. Ormai appare chiaro a tutti che il nostro sistema economico è insostenibile; ciò che non è altrettanto chiaro è che ogni singolo consumatore della porzione più ricca del mondo ha delle responsabilità e attraverso le sue scelte di consumo finanzia o meno un determinato modello di sviluppo. Lo sanno bene le multinazionali che investono ogni anno milioni di euro in pubblicità per farcelo dimenticare o convincerci del contrario. 65 Il consumo responsabile induce a riflettere sulle conseguenze che le scelte quotidiane possono avere sull’intero sistema globale. 68 DIRITTO AL CIBO Bibliografia: • • • • • • • • • • • • • Altromercato – Commercio Equo e Solidale, Diritto al cibo. La fame non è nella natura, a, Ve Verona, erona, 2008. 10,, Milano, Benna C., Le multinazionali premono. L’Italia resiste, in “VITA No profit magazine”, n°10, 13-19 marzo 2010. Bioversity International, Annual Report 2013, Bioversity International, Roma, 2014. nua al Report Bioversity International, Sustainable agriculture for food and nutrition security – Annual 2011, Bioversity International, Roma, 2012. uolo o BirdLife International, Sicurezza alimentare, cambiamenti climatici e biodiversità. Il ruolo dell’agricoltura europea in un mondo che cambia, Bruxelles, aprile 2009. 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