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Recensione - accademia degli intronati

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Recensione - accademia degli intronati
IN CORSO DI PUBBLICAZIONE SU BULLETTINO SENESE DI STORIA PATRIA, 116, 2009
La costruzione del dominio cittadino sulle campagne. Italia centrosettentrionale, secoli XII-XIV, a cura di R. Mucciarelli, G. Piccinni, G.
Pinto, Siena, Protagon, 2009, pp. XVI+ 735.
Il volume appena pubblicato La costruzione del dominio cittadino sulle campagne.
Italia centro settentrionale, secoli XII-XIV (a cura di Roberta Mucciarelli, Gabriella
Piccinni, Giuliano Pinto), raccoglie a distanza di qualche tempo i contributi presentati
in occasione del Convegno di Pontignano (29 maggio - 1 giugno 2004) che
presentava una titolo più articolato: Le campagne dell’Italia centro-settentrionale,
secoli XII-XIV: la costruzione del dominio cittadino tra resistenze e integrazione. Il
termine «dominio», chiarisce Giuliano Pinto nella Premessa, rappresenta una precisa
scelta, intesa a sottolineare la «dimensione “pubblica”» – controllo politico, militare e
amministrativo – ed economica – proprietà, forme di conduzione, mercato – della
penetrazione delle città nei confronti della campagna. L’antitesi «resistenze» e
«integrazione» rappresenta, invece, il punto focale per verificarne i singoli aspetti,
per mettere in evidenza le diversità locali, per collocare i cambiamenti avvenuti
durante i secoli del pieno Medioevo (XII-XIV).
Il tema del rapporto tra città e campagna si ripropone così all’attenzione degli
studiosi, dimostrandosi ancora fervido di percorsi di ricerca, ed oggetto di rinnovate
attenzioni. Non sfugge certamente la vicinanza, sebbene posteriore di quattro anni,
del convegno dedicato a Città e campagna nell’alto Medioevo dal Centro spoletino,
che può offrire interessanti materiali comparativi. D’altra parte – mi si permetta una
riflessione mutuata dai miei principali interessi di studio – allargando l’orizzonte della
riflessione alla storia delle campagne di più lungo corso, i secoli trattati nel presente
volume rappresentano di fatto un passaggio centrale nella storia dell’agricoltura e
delle aree rurali italiane. E se la storia dell’agricoltura non costituisce solo una storia
delle tecniche – come ampiamente documentato dai volumi pubblicati dalla
Accademia dei Georgofili Storia dell’agricoltura italiana (Firenze, 2002, 5 voll.) che
coprono dalla preistoria allo sviluppo recente –, a maggior ragione i secoli centrali del
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Medioevo risultano fervidi di interesse. I rapporti politici ed economici che si
stabiliscono tra città e campagna segnano in modo indelebile l’evoluzione e la
distinzione tra le diverse Italie agricole, che attraversano i secoli fino all’età
contemporanea. È in questo contesto che l’interesse per i risultati delle ricerche
presentati in questo volume possono offrire materiali di lavoro anche al di là del
settore specifico della medievistica.
Varrà forse precisare, prima di affrontare i contenuti proposti, che le relazioni
presentate costituiscono i contributi presentati al termine di un progetto di ricerca che
ha coinvolto sei atenei italiani: Firenze, Siena, Bologna, Torino, Milano, Viterbo. È
anche per questo motivo che convivono diverse tonalità nei singoli capitoli: in alcuni
casi risultati di ricerche svolte o in corso di svolgimento, in altri riflessioni ponderate
su possibili approfondimenti o prospettive di ricerca anche alla luce di sintesi
storiografiche sugli argomenti trattati. Ne emerge così un volume complesso, di oltre
730 pagine suddiviso in quattro capitoli, intorno ai quali sono radunati i contributi
pubblicati, con alcune mancanze rispetto alle relazioni presentate al convegno.
Il primo capitolo è dedicato a Controllo e organizzazione del territorio, che con
dieci relazioni rappresenta la parte più cospicua del volume. Da più angoli di visuale
sono affrontati i problemi del rapporto e quindi del passaggio dalle signorie territoriali
ai comuni, trattati nei rispettivi atteggiamenti nei confronti delle comunità rurali.
Francesco Panero (Il controllo del popolamento e degli uomini nell’Italia
settentrionale, secoli XI-XIII) illustra le sostanziali consonanze delle città comunali
rispetto agli strumenti e alle finalità signorili, sebbene vengano introdotte nuove
concessioni di «cittadinatico collettivo» alle comunità rurali e l’istituzione di borghi
franchi, costituendo così legami fiscali e militari. I rapporti delle comunità rurali, nei
confronti di signori o città vengono così a trovarsi in situazioni diverse, talvolta
pedine, talvolta protagoniste attive. Il passaggio, tra XI e XII-XIII secolo, della
prerogativa di fondazione di nuovi centri abitati dalle mani di grandi signorie territoriali
ai nuovi Comuni cittadini è affrontato da Paolo Pirillo (Città e nuove comunità
nell’Italia centro settentrionale). Sperimentazione politica, istituzionale e tecnico
urbanistica sono le sollecitazioni più evidenti di questi cambiamenti, caratterizzati,
naturalmente, da diversità cronologiche e locali. Tuttavia le strategie territoriali che si
affermano, fino alla fine del XIII secolo costituiscono un segno inequivocabile, che
l’autore affronta approfondendo anche le problematiche relative alle finalità
perseguite, ed agli strumenti adottati. Introno alla genesi e alle caratteristiche dei
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comuni rurali si muove anche Paolo Grillo (Una fonte per lo studio dei comuni rurali
lombardi all’inizio del secolo XII: il poema De bello et excidio urbis Comensis)
focalizzando l’attenzione su un’area specifica, la Lombardia, ed utilizzando, in questo
complesso contesto di ricerca una fonte “alternativa” a carattere letterario. Seguono
una serie di contributi dedicati all’esame di specifiche fonti e ambiti territoriali. Per il
Lazio, Antonella Nelli (Città, castelli e governo del territorio nel Lazio medievale. Le
dinamiche di esercizio del potere signorile nella provincia di Campagna e Marittima,
secc. XIII-XIV), utilizza un corpus di documenti relativi alle acquisizioni di castelli
compiute da Pietro II Caetani, concernenti atti di transazioni economiche di castelli,
lettere papali, giuramenti di vassalli, nomine di procuratori, immissioni di possesso.
Seguono una serie di contributi che ruotano intorno alla utilizzazione dei “Libri
iurium”: Giuseppe Gullino (“Libri iurium” di centri semiurbani e controllo del territorio
in Piemonte); Patrizia Merati (I Libri iurium delle città lombarde: geografia, cronologia,
forme); Tiziana Lazzari (Memoria documentaria e identità cittadina: il Libro Rosso del
comune di Imola); Alberto M. Onori (Storia e politica della memoria. L’archivio
lucchese dai Libri iurium comunali alla serie dei
Capitoli, secolo XII – 1801);
Francesco Pirani (La costruzione del territorio comunale nei Libri iuriurm di Jesi e
Fabriano). A fonti deliberative del territorio senese è infine dedicato lo studio di
Stefano Moscadelli e Alessia Zombardo (Fonti deliberative per lo studio delle
comunità del territorio senese, secoli XIII-XIV. Alcune considerazioni) a cui fa seguito
una appendice documentaria, con regesto e trascrizione di 21 documenti dell’archivio
diplomatico di Siena.
Nel secondo capitolo l’attenzione si sposta alle dinamiche, tra città e campagna,
relative alla proprietà fondiaria: Dinamiche e organizzazione della proprietà fondiaria.
Anche in questo il capitolo si apre con una disamina storiografica per collocare il
tema della proprietà ecclesiastica nel quadro della costruzione dello spazio politico
delle città. Luisa Chiappa Mauri (La proprietà ecclesiastica nella costruzione dello
spazio politico cittadino: percorsi e suggestioni storiografiche per un te ma ancora
sfuggente) ripercorre le tematiche e gli apporti di studio per collocare in una
prospettiva politico-istituzionale e sociale le ricerche sulla proprietà fondiaria
ecclesiastica, con accenni ai territori di Genova, Venezia, Piemonte, Lombardia,
Treviso, Milano. Alle proprietà del clero secolare e degli istituti monastici della Tuscia
è dedicato lo studio di Francesco Salvestrini (La proprietà fondiaria dei grandi enti
ecclesiastici nella Tuscia dei secoli XI-XV. Spunti di riflessione, tentativi di
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interpretazione), che si sofferma anche sulle modalità di gestione, sui contratti di
locazione e sulle crisi tra Due e Trecento. Ne emerge una immagine articolata, che
colloca la formazione e la conduzione delle aziende agrarie ecclesiastiche in un più
ampio complesso di relazioni, come le congiunture regionali e sovralocali, i rapporti
con la Chiesa e con la società laica. Sulla base del catasto fiorentino del 1427, Lucia
Cristi e Sergio Raveggi (Contadini e cittadini. Due zone del contado fiorentino
all’inizio del Quattrocento), analizzano due zone campione: i tre pivieri della Val di
Marina corrispondenti all’attuale Calenzano (San Donato a Calenzano, Santa Maria a
Carraia e San Severo a Legri); e quattro dei sette pivieri che componevano la Lega
del Chianti (San Giusto in Salcio, San Polo in Rosso, San Leonino in Conio,
Sant’Agnese). Ne emergono i rapporti e la composizione sociale dei proprietari
residenti in contado (la minoranza), e i non residenti (principalmente fiorentini); ed
anche gli effetti della fiscalità nei rapporti città campagna. L’ampio studio di Alba
Pagani su Priverno (Economia e società in Marittima nel tardo Medioevo: il caso di
Priverno), basato su protocolli notarili dell’Archivio di Stato di Latina, restituisce una
immagine complessiva degli aspetti politici e amministrativi, economici e sociali, fino
ai rapporti di produzione, gli ordinamenti colturali, gli allevamenti e gli usi collettivi.
Quale forma di integrazione tra aree rurali e urbane, pur mettendo in risalto al tempo
stesso la polifunzionalità e l’eterogeneità delle caratteristiche colturali e produttive,
giardini e orti nel Piemonte tardomedievale vengono presentati da Irma Naso (Spazi
agricoli nel contesto urbano. Gli orti nel Piemonte tardomedievale). Valenze estetiche
e al tempo stesso produttive e alimentari si combinavano in una pluralità di risultati
tra le mura di borghi e città e negli spazi periurbani, specialmente in concomitanza
con la diffusione, nelle aree del contado prossime alle città, della proprietà laica ed
ecclesiastica. L’approvvigionamento cittadino influenzava così e l’interesse per il
mercato dei prodotti, alimentava questo tipo di agricoltura determinando anche
l’immagine dei paesaggi urbani e suburbani.
Con un’ampia riflessione di Giovanni Cherubini sul significato di élites, in
riferimento all’economia e al potere politico (Le élites economiche e politiche tra
campagna e città), si apre il terzo capitolo su Politica agraria ed élites economiche.
Più ampio da un lato, ma al tempo stesso più indeterminato, il concetto di élites si
differenzia da distinzioni di classe (riferibili a termini quali aristocrazie, borghesia) o
gruppi
politici
(oligarchie),
includendo
connotazioni
molto
varie
che
contraddistinguono gruppi ristretti dalla maggioranza della popolazione: ricchezza,
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interessi,
orientamenti,
ideali,
prestigio
sociale,
relazioni,
clientele,
attività
economiche, tradizioni familiari o consistenza degli stessi gruppi familiari.
Distinguendo, per quanto possibile, élites cittadine e campagnole, vengono indicate
realtà e possibili linee di ricerca tra forme di resistenza e integrazione. Nel contesto
storiografico di lunga data, come quello legato al bipolarismo città (sede del potere
politico) campagna (spazio dominato), Gabriella Piccinni (La politica agraria delle
città) ritorna ad affrontare il serrato legame tra interessi agrari ed interessi mercantili
e artigiani nella politica delle città. Soprattutto per il periodo Tre Quattrocentesco, tale
binomio risulta ancora tutto da approfondire in particolare per ciò che riguarda le
connessioni tra l’affermazione di nuovi processi e poteri politici da un alto, e aspetti
economici e rurali dall’altro. Le svolte avvenute all’indomani della crisi del Trecento in
quella terra di città dell’Italia centro settentrionale, non sono affatto linee evolutive
ineluttabili, ma rappresentano un percorso evolutivo di grande interesse. L’attenzione
viene così portata sulle politiche agrarie: sistema annonario, bonifiche e sistemazioni
dei terreni, incentivazione con sostegno pubblico di determinate coltivazioni
alimentari e industriali, regolamentazione del lavoro agricolo e dei contratti agrari e
del lavoro salariato. È in questa completa, sebbene sintetica, illustrazione che
emergono punti di svolta significativi, soprattutto nel secolo a cavallo tra Tre e
Quattrocento, che evidenziano una ruralizzazione dell’economia cittadina. Con il
termine “imprenditoria signorile” Antonella Salvatico (“Imprenditoria” signorile nel
Piemonte del tardo Medioevo: riflessioni preliminari) illustra le tecniche adottate dai
Savoia fra Due e Trecento, al fine di incrementare la rendita di mercato e dai rapporti
economici tra comunità urbane e rurali. La fiscalità, le rendite agrarie, dei mercati e
delle strade (banchegium, leyda, curea, gabelle, e pedaggi) rappresentano le forme
diffuse di queste strategie. Le intersezioni tra forme di controllo pubbliche e azioni
private di gruppi familiari o élites, per ritornare al termine già usato, viene proposto
all’attenzione da Roberta Mucciarelli (La forza del credito. Banchieri senesi a Massa
Marittima, secoli XIII-XIV). L’intervento di banchieri senesi e le attività finanziarie
intraprese a beneficio dell’ente comunale e degli enti ecclesiastici, oltre alle strategie
matrimoniali, anche al fine di penetrare in ruoli preminenti e nella gestione dello
sfruttamento delle risorse minerarie, rappresenta al tempo stesso uno strumento di
controllo del territorio da parte di Siena. I meccanismi di controllo esercitati dalla città
di Siena, anche attraverso una qualificata rappresentanza magnatizia e le attività di
credito operate, creavano importanti reti clientelari, che permettono di allargare la
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nostra conoscenza delle forme di dominio sociale, anche al di là degli aspetti
strettamente economici e finanziari. I risultati di ricerche in corso su fonti notarili di
Arezzo costituiscono la base del contributo di Franco Franceschi (Spunti per una
storia dei rapporti economici tra città e campagna in alcuni notai aretini del Trecento).
I temi percorsi attraverso questa documentazione sono la proprietà cittadina e i
rapporti contrattuali, le relazioni creditizie e i legami economici che intrecciavano la
città e la società rurale. Ne emerge una rinnovata immagine di Arezzo nel Trecento,
che stempera un po’ l’interpretazione consolidata della decadenza, facendo
emergere in una nuova luce un sistema articolato e originale – distinto da altre realtà
come quella fiorentina o senese – tra attività produttive e commerciali, finanza,
agricoltura, rapporti di proprietà. Sulla base di un quaderno della serie Collectoriae
conservato nell’Archivio Segreto Vaticano Silvio De Santis (Azione politica ed
economica della Camera Apostolica ai confini meridionali dello Stato della Chiesa tra
Due e Trecento: il caso di San Paterniano e del territorio cepranese) ripercorre la
gestione del patrimonio fondiario di San Paterniano. La chiesa, le terre e le colture, il
commercio dei prodotti cerealicoli, il ruolo economico dei concessionari e la Curia
rettorale, la manodopera salariata sono il terreno su cui viene illustrata l’azione svolta
dalla Camera apostolica nel territorio dello Stato della Chiesa.
Agli aspetti legati alla mentalità è infine dedicato l’ultimo capitolo, il quarto: Città e
campagna: gli atteggiamenti mentali. L’originale «natura economica» della satira del
villano caratteristica delle fonti letterarie italiane è utilizzata da Massimo Montanari
(La satira del villano fra imperialismo cittadino e integrazione culturale). La forte
«ambiguità» del tema, fra imperialismo e integrazione appunto, apre possibili linee di
ricerca e di approfondimento, che includono anche i modelli alimentari. Distanza e
separazione da un lato, ma anche rielaborazione dall’altro, convivono legando, in un
percorso tutto originale all’interno soprattutto di alcune regioni d’Italia (ma qui i limiti
geografici del convegno non consentono di allargare lo spazio ad ulteriori raffronti),
cultura contadina e cittadina. Ancora in chiave di studio delle “concezioni”, Luca
Bellone (Vendita di uomini o vendita di diritti? L’interpretazione della dipendenza
libera e servile in alcuni documenti astigiani dei secoli XII-XIII) affronta il problema
della dipendenza libera e servile. Il caso specifico trattato è quello di cessioni di
quote di territorio del castello di Loreto (Castiglione d’Asti) al comune di Asti, da cui
emerge un passaggio di diritti e non una «vendita di uomini». Più complessa la
vicenda di un altro caso esposto, utilizzando una missiva del marchese Manfredi II
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Lancia, in cui era vietata la libera migrazione di contadini del territorio di Chieri. I due
casi sono trattati nel contesto dei “nuovi” modelli di «“servaggio” della gleba»,
riconducibile al colonato tardo antico, sebbene l’autore illustri la scarsa quantità di
fenomeni di dipendenza servile e l’opposizione proveniente dai nascenti centri di
potere comunale. Ancora sul tema di nuove forme di colonato insiste anche la
relazione di Michele Pellegrini (A proposito di alcune interferenze tra nuova
dipendenza contadina e forme di dedizione religiosa: prime riflessioni e spunti di
indagine a margine di alcune carte toscane del XII e XIII secolo). In questo caso,
sebbene quantitativamente circoscritto ma certamente non secondario dal punto di
vista qualitativo, il tema della cultura giuridica si interseca con quella religiosa. Alle
forme di assoggettamento personale operate per via contrattuale, si aggiungono, o si
sovrappongono, altre forme di auto dedizione di valenza diversa, appunto, religiosa.
Lo stesso esame terminologico a partire dalle fonti, così come i riferimenti ad alcuni
casi specifici, propongono alla attenzione una tematica di grande interesse.
Mi sono volutamente, e necessariamente, attenuto ad una esposizione dei
contenuti raccolti nel volume. Non posso tuttavia esimermi, al termine di una lettura
certamente impegnativa, di affrontare un quesito: esiste un filo rosso che percorre
queste pagine? Difficile rispondere senza lasciare in ombra qualcosa, data la mole e
la varietà dei temi e delle prospettive di studio. Tuttavia credo si possa affermare che
l’antitesi “resistenze” e “integrazioni” tra città e campagna, abbia offerto la possibilità
di approfondire le inevitabili relazioni tra i diversi piani: la politica, l’economia, la
cultura, i legami tra realtà pubbliche e l’operato di singoli o gruppi. E questo è un
merito che va riconosciuto al lavoro svolto dagli studiosi coinvolti. Occorre poi
riconoscere un’altra forte sollecitazione, che appartiene alla conoscenza storica.
Innanzitutto il lavoro sui documenti: sia nei casi di nuove fonti utilizzate, sia in quelli
di fonti conosciute ma utilizzate sotto nuove angolature, emerge con chiarezza la
sintetica osservazione di Franceschi «almeno in una certa misura è lo storico a
costruire creativamente le sue fonti». Inoltre, è ravvisabile una vivacità di spunti di
riflessione che Gabriella Piccinni lucidamente interpreta a proposito della necessità di
rifare i conti con il «significato nudo delle parole», ovvero dei concetti storici,
soprattutto per il «bagaglio del quale ognuna di esse si è nel tempo inevitabilmente
appesantita». Come programma non solo è condivisibile, ma, direi, essenziale.
PAOLO NANNI
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