Comments
Description
Transcript
La Media education conviene
La Media education “conviene” di Roberto Giannatelli Professore dell’UPS e Presidente del MED I media e le nuove generazioni Proviamo ad osservare l’esistenza quotidiana di un ragazzo-tipo: “egli passa tranquillamente nell’arco di un pomeriggio e di una serata attraverso una serie estremamente variegata di esperienze mediali che sembrano riempire la sua vita: dal guardare un telefilm o cartone animato all’accendere lo stereo, dai libri di scuola studiati sulle note della radio ad una sessione di chat nella community degli amici a distanza, dall’intreccio di “messaggini” scambiati con i compagni attraverso il cellulare ad una partita al videogioco, dalla lettura di un manga alla cena con i genitori sul sottofondo di telegiornale, pubblicità e qualche frammento di telequiz. Nel dopocena se proprio non c’è niente in Tv, se nemmeno il satellite lo soddisfa, il nostro ragazzo-tipo può sempre fare un salto giù al Blockbuster e trovare una videocassette per il caro, vecchio videoregistratore, oppure dedicarsi a scaricare e riordinare le foto scattate con la macchina digitale durante l’ultima gita al mare” (Damiano Felini, Pedagogia dei media. Questioni, percorsi e sviluppi, Editrice La Scuola, Brescia 2004, p.16). Ecco dunque il ragazzo-mediale dei nostri giorni. Indubbiamente abita, e per circa tre ore e mezzo al giorno, in questo fantastico mondo dei media. E non solo vi abita, ma ne ha imparato rapidamente la lingua. E’ un fatto di alfabetizzazione spontanea, come avviene per la lingua materna. Ma questo non esibisce la società dal promuovere un’alfabetizzazione e una inculturazione più riflessa e sistematica. Per questo è stata inventata la scuola. E’ davvero strano che lo stesso ragionamento non sia stato finora applicato al mondo dei media. L’educazione ai media: la Chiesa ha preceduto Se si esaminano gli ultimi documenti della Chiesa sulla comunicazione sociale, risulta evidente la preoccupazione della Chiesa perché i minori vengano preparati a interagire criticamente e responsabilmente con i media. Il Direttorio della CEI per le comunicazioni sociali Comunicazione e missione (14 ottobre 2004) dedica un intero capitolo (il 4°) per trattare espressamente di questo problema. “Tutti, e in particolare le nuove generazioni, dovranno essere in grado di interagire con l’universo dei media in modo critico e creativo, acquisendo una nuova ‘competenza mediale’ per essere a pieno titolo cittadini di questo tempo. Ogni agenzia educativa dovrà farsi carico di questo compito: la famiglia, la parrocchia, la scuola, le associazioni. La Chiesa ha raccomandato con insistenza l’educazione ai media a partire dal decreto conciliare Inter mirifica: ‘Poiché il retto uso degli strumenti della comunicazione sociale esige una loro adatta e specifica preparazione teorica e pratica, le iniziative atte a questo scopo siano favorite e largamente diffuse nelle scuole cattoliche di ogni grado, nei seminari e nelle associazioni dell’apostolato dei laici e vengano ispirate ai principi della morale cristiana’ (n.16). Un uguale insistenza viene riscontrata nell’ultima Lettera apostolica di Giovanni Paolo II “Il rapido sviluppo” pubblicata in occasione del quarantesimo anniversario del decreto conciliare Inter mirifica. “La Chiesa, che in forza del suo messaggio di salvezza affidatole dal suo Signore è anche maestra di umanità, avverte il dovere di offrire il suo contributo per una migliore comprensione delle prospettive e delle responsabilità sociali connesse con gli attuali sviluppi delle comunicazioni sociali (…). In primo luogo occorre una vasta opera formativa per far sì che i media siano conosciuti e usati in modo consapevole e appropriato (…). Questo vale, in modo speciale per i 1 giovani che manifestano una naturale propensione alle innovazioni tecnologiche, ed anche per questo hanno ancor più bisogno di essere educati all’utilizzo responsabile e critico dei media” (lettera apostolica del 24 gennaio 2005, nn. 10-11) Un “framework” per la media education I media vanno studiati in modo rigoroso. Len Masterman è stato uno dei primi ricercatori dell’area anglofona che ha difeso in modo convincente questa posizione. E’ stato l’ispiratore del MED, Associazione italiana per l’educazione ai media e alla comunicazione. Nel gennaio 2003 gli avevo posto la seguente domanda: “A chi dobbiamo attribuire la paternità del termine media education e la sua nascita?”. E Masterman così mi ha risposto: “Non sono sicuro circa le origini della media education. Come per i media studies, il termine è stato in circolazione per un lungo periodo di tempo. Quello che posso rivendicare è di essere stato probabilmente la prima persona che ha definito i due termini nel modo che ora è universalmente riconosciuto, e nuovamente insisto che i media devono essere studiati in un modo serio e come una disciplina. Il loro studio ha bisogno di essere organizzato attorno a concetti-chiave, principi e idee, oltre che ai loro contenuti. Teaching the media (1985) è stato, così io credo, il primo libro che ha difeso questa forma di studiare i media che andava oltre i semplici esercizi attorno a film, pubblicità, televisione, radio, ecc. e che ricercava quelli che erano gli elementi comuni a tutti i media. E’ stato anche il primo libro che ha sostenuto una media education across the curriculum, come una forma sistematica di studio” (di Masterman si può utilmente leggere: A scuola di media, Editrice La Scuola, Brescia 1997). Masterman ha recentemente rilasciato alla nostra newsletter Intermed un’intervista in cui precisa il framework che deve guidare l’educatore nel lavoro sui media (cf Laura Di Nitto, Viaggio nella Media education in Inghilterra, in Intermed, dicembre 2004, pp.3-7) 1. La prima domanda che occorre farsi per capire come funzionano i media è su “chi produce la rappresentazione”. Il concetto di rappresentazione è centrale nella Media education: i media non sono una “finestra sul mondo”, ma una sua rappresentazione, una costruzione “interessata” che la scuola deve saper decostruire. Un primo elemento dell’analisi riguarda ciò che condiziona la produzione: le motivazioni ideologiche, gli interessi economici, l’intreccio pubblicità-media, la pratica dei professionisti, il controllo esercitato dalle leggi e dai codici di autoregolamentazione. 2. Una seconda serie di domande riguarda il linguaggio proprio dei media, i codici utilizzati, le regole linguistiche, ecc. I media usano un linguaggio che differisce dal linguaggio orale e letterario. I media esaltano l’immagine, e in particolare l’immagine sonora in movimento, la narrazione, l’emozione, la spettacolarità, ecc. 3. La terza serie di domande importanti riguarda la questione ideologica e i valori. Quali valori sono alla base di questo mondo che ci viene rappresentato? Che tipo di mondo è questo?... I ragazzi devono imparare a “problematizzare” le ideologie che sono sottese ad ogni programma televisivo, agli editoriali dei giornali, alle canzoni rock, ecc. I media che hanno un maggiore potere ideologico sono ancora la televisione e i giornali. 4. C’è sempre un’audience implicata nel testo mediatico. A chi è indirizzato il messaggio? Quale linguaggio è stato scelto per questo pubblico, per questa “nicchia di mercato”? Quali effetti avrà il messaggio? E quale pubblico è stato in realtà raggiunto? Ci sono altri modi di leggere il messaggio? Il primo intervento educativo riguarda pertanto l’analisi dei media. Trovandosi in situazione educativa e di apprendimento, l’educatore si pone necessariamente la domanda sul metodo. La tradizione dei media educators si è concentrata sui metodi di analisi (scomposizione del testo con le 2 indicazioni e le griglie proposte dalla scienza semiotica) e su quelli di produzione riprendendo i principi dell’attivismo pedagogico. L’estensione della Media education Il movimento internazionale dei media educators, che in Italia è rappresentato dal MED ( www.medmediaeducation.it ) propone obiettivi tali per l’educazione ai media che non possono lasciare indifferente ogni agenzia di educazione (famiglia, scuola, parrocchia, associazioni). Gli obiettivi della ME si possono riassumere in tre espressioni: • alfabetizzazione: i media sono la nuova lingua e la cultura con la quale i ragazzi e giovani quotidianamente interagiscono per un periodo di tempo prolungato. La famiglia e la scuola se ne devono occupare con gli strumenti e i metodi che sono stati indicati da una lunga tradizione pedagogica: con sistematicità, continuità, con metodi appropriati, ecc. L’alfabetizzazione deve riguardare non solo il computer e l’internet, ma l’intero sistema dei media, cioè tutti i media che si sono affermati nel secolo XX: cinema, radio, televisione, stampa, new media, internet. Il ragazzo al termine del ciclo scolastico di base dovrà aver acquisito una vera competenza mediale; • empowerment o autonomia critica. Al potere dei media, scuola e famiglia contrappongono il contropotere dell’educazione. Non si tratta infatti di dare solo un’informazione agli alunni e di esercitarli nel lavoro con i media, ma di promuovere il loro un atteggiamento critico e di responsabilità etica esercitandoli nell’analisi dei testi mediali, nel confronto tra fonti differenziate, nel porsi domande, saper problematizzare ciò che sembra evidente, discutere e valutare i programmi della Tv sotto la guida dei loro educatori; • cittadinanza: la lezione sui media può diventare anche un laboratorio di democrazia (Cf. J.Gonnet, Educazione, formazione e media, Armando, Roma, 2001). Media, educazione, democrazia insieme stanno oppure insieme cadono. La Media education ha l’ambizione di aiutare i media a rimanere liberi da ogni strumentazione ideologica. Un’audience critica e responsabile giova agli stessi media. Ecco gli obiettivi degni di ogni azione educativa. La Media education porta al conseguimento di un know how pratico (leggere e scrivere con i media) che è estensibile ad altri campi dell’attività educativa e religiosa: anche nell’evangelizzazione e nella catechesi. Dopo aver acquisito competenze nel campo della produzione video, del fumetto, dei nuovi media, ecc. è facile trasferire queste competenze nei “nuovi linguaggi della catechesi”. I Laboratori per la comunicazione della fede e i nuovi linguaggi della catechesi “All’inizio del nuovo millennio la Chiesa si interroga sulle forme dell’evangelizzazione. Gli strumenti della comunicazione offrono ai catechisti nuove risorse e nuovi percorsi per l’educazione alla fede” (Direttorio CS della CEI, n.56) Alcuni anni fa il Vescovo di Spoleto-Norcia mi aveva chiesto di fare un corso ai suoi catechisti per renderli più preparati a mettere in pratica le disposizioni del sinodo diocesano che aveva posto la catechesi al centro del rinnovamento pastorale della diocesi. La mia riposta è stata: “Vengo, ma non da solo. Vengo con gli animatori del MED che animeranno i laboratori di arte, fotografia, produzione video, fumetto, multimedialità, teatro e musica. Vogliamo preparare i catechisti a “dire la fede” con i nuovi linguaggi che piacciono tanto ai ragazzi d’oggi”. 3 A conclusione dell’esperienza è nata l’idea di organizzare (proprio a Spoleto, città del Festival dei due mondi!) il Festival della catechesi (cf R. Giannatelli, Il primo Festival della catechesi in Italia, “Catechesi”, luglio-agosto 2004, pp. 11-17). Che cosa è avvenuto? Che cosa è stato in realtà il Festival? Ecco la testimonianza di un ragazzo. “Come è bello andare al catechismo attrezzati di pennarelli e cartoncini, macchine fotografiche e videocamere… Non andiamo a sentire (“subire”) una lezione, ma a creare qualcosa di nostro. E il nostro soggetto è affascinante: Gesù di Nazaret. Ma siamo anche noi, con le nostre domande, i nostri problemi e i nostri sogni. E alla fine dell’anno ci siamo ritrovati tutti insieme dai cento punti diversi della nostra diocesi. Abbiamo preparato una grande mostra con le nostre produzioni. C’è lo stand delle nostre fotografie sul Natale, c’è l’esposizione delle riproduzioni artistiche dell’annuncio a Maria, c’è il televisore che mostra i video che abbiamo prodotto sulle tradizioni religiose della nostra diocesi, c’è lo stereo che fa sentire i nostri canti religiosi… E al centro della mostra abbiamo messo la Bibbia. Tutto parte da lì, dalla Parola di Dio. Sono venuti al Festival della catechesi anche i nostri genitori. Erano molto meravigliati che al catechismo si facessero tante cose così belle e interessanti. Al loro tempo non era così! E’ venuto al Festival anche il nostro Vescovo che si è messo in mezzo a noi come un amico un po’ incuriosito. Ha voluto conoscere gli autori delle produzioni catechistiche, i piccoli artisti. Ci ha interrogati: Perché hai fatto questo cartellone?... Che cosa hai voluto dire?... Sei stato contento?... Da lui abbiamo ricevuto un piccolo premio. Il Vescovo ha celebrato per noi l’Eucaristia. Eravamo tantissimi, forse mille ragazzi con i nostri genitori e catechisti. All’offertorio abbiamo portato i nostri doni. Non erano i soliti regali che si vedono nelle messe in parrocchia. Erano i nostri piccoli capolavori dell’anno catechistico, anche tanti foglietti con le nostre riflessioni e i nostri propositi: “Gesù, ho scoperto che è bello essere tuo amico e avere per amici i tuoi amici. Insieme si possono fare cose molto belle. Te le offriamo perché questo mondo che vogliamo costruire insieme ai nostri educatori, diventi il mondo che tu ci hai proposto: il tuo regno di verità, di giustizia e di pace”. Il prossimo Festival della catechesi sarà celebrato a Roccaporena (Cascia) il prossimo 2 giugno. Siete… invitati! 4