ETICA E CRITICA LETTERARIA. LA LEZIONE DI WAYNE C. BOOTH
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ETICA E CRITICA LETTERARIA. LA LEZIONE DI WAYNE C. BOOTH
«Rivista di Storia della Medicina», Anno XX NS (XLI) fasc. 1-2 gennaio-dicembre 2010 PAOLO CATTORINI* ETICA E CRITICA LETTERARIA. LA LEZIONE DI WAYNE C. BOOTH I poeti sono i misconosciuti legislatori del mondo (Shelley) ESTETICA NELL'ETICA, ETICA NELL'ESTETICA La critica letteraria cerca di cogliere la qualitaÁ dell'opera. L'etica tenta di discernere la bontaÁ di un'azione, compiuta o congetturata. Entrambe le discipline si occupano di valori e lo fanno scambiandosi sovente i termini, i concetti e le metafore. Si parla ad esempio di un buon racconto e si elogia un bel gesto. Una radice comune alimenta i due mondi esperienziali ed obbliga il duplice lavoro interpretativo all'impiego di strumenti e metodologie affini. La nostra ricerca ha documentato le diverse valenze estetiche della percezione morale e conseguentemente il necessario ricorso a cifre proprie della critica d'arte per elaborare una giustificazione razionale delle valutazioni morali 1. In altri termini, per articolare analiticamente i motivi, in forza dei quali dichiariamo giusta o ingiusta un'azione, ricorriamo, piuÁ o meno consapevolmente, a strumenti interpretativi e valutativi tradizionalmente utilizzati per individuare il significato, la pertinenza, l'originalitaÁ, l'eccellenza dell'oggetto artistico. Intendiamo in questo scritto lavorare in direzione opposta ed evidenziare nelle criteriologie adottate da un esperto di lettera* Paolo Cattorini, Professore Ordinario di Bioetica, FacoltaÁ di Medicina e Chirurgia, UniversitaÁ degli Studi dell'Insubria, Varese 1 P. CATTORINI, Un buon racconto. Etica, teologia, narrazione, Ed. Dehoniane, Bologna 2007; ID., Estetica nell'etica. La forma di un'esistenza degna, Ed. Dehoniane, Bologna 2010. 62 Etica e critica letteraria. La lezione di Wayne C. Booth tura 2 i segni di un'avvertenza etica di fondo. PiuÁ esattamente una certa critica testuale ravvisa l'esigenza d'indagare le dimensioni morali dell'opera, di riconoscere l'intreccio tra percezioni etiche e giudizi estetici, di considerare criticamente le turbolenze valoriali dovute all'immersione nel mondo immaginario, edificato dall'autore, e di esaminare le conseguenze di tale esplorazione rispetto al bene-del-lettore. Le dimensioni morali della critica letteraria sono ravvisabili a piuÁ livelli, nonostante che una critica formalista o purista voglia forfettariamente espungerle 3. Cercheremo pertanto di indicare lungo quali coordinate l'indagine etica riguardi il lavoro letterario e mostreremo come siano in campo problemi di contenuto e di forma, legati questi ultimi all'esperienza stessa del narrare, come patto tra autore e lettore. CosõÁ, l'artificiosa separazione tra bontaÁ e bellezza, che a diversi studiosi di etica pare pregiudicare la comprensione del giudizio morale 4, eÁ stata analogamente messa in discussione anche da quell'indirizzo della critica d'arte noto sotto il nome di ethical criticism, che non intende tuttavia misconoscere l'autonomia e l'indipendenza della ricerca artistica, ne tantomeno soggiogarla ad una finalitaÁ apologetica o esporla a nuove forme di censura. La pertinenza del reciproco accostamento tra azione e testo, da un lato, e fra esercizio di lettura ed esperienza morale, dall'altro, ci pare confortare l'esigenza, che muove ormai da diversi anni i nostri studi, di imprimere una correzione ermeneutico-narrativa alla disciplina dell'etica applicata 5. Un'esigenza che si alimenta - fra l'altro - delle 2 Wayne Clayson Booth (1921-2005), critico letterario, docente e poi professore emerito presso l'UniversitaÁ di Chicago di ``English Language and Literature''; uno dei maestri, internazionalmente riconosciuti, di critica narrativa. La bibliografia primaria, citata in nota, eÁ riportata in fondo all'articolo con relative sigle di riferimento. Sono stati alcuni scritti di Martha C. Nussbaum ad averci sollecitato in questa ricerca. Citiamo soltanto: L'intelligenza delle emozioni, Il Mulino, Bologna 2004; Il giudizio del poeta. Immaginazione letteraria e vita civile, Feltrinelli, Milano 1996; La fragilitaÁ del bene. Fortuna ed etica nella tragedia e nella filosofia greca, Il Mulino, Bologna 1996; e i due articoli The Absence of the Ethical: Literary Theory and Ethical Theory e The ``Ancient Quarrel'': Literature and Moral Philosophy, in ``EÁ', pp. 99-106, 139-152. 3 Cfr. R.A. POSNER, Against Ethical Criticism, in ``E Á ', pp. 63-78. In realtaÁ l'ottica amorale del post-strutturalismo adotta anch'essa un'etica, quella romantica, che alimenta il desiderio di uno sguardo innocente, puro, presociale (cfr. D. PARKER, Evaluative Discourse: A New Turn toward the Ethical, in ``EÁ', p. 111). 4 M. NUSSBAUM, The ``Ancient Quarrel'': Literature and Moral Philosophy, op. cit., p. 144, fa notare che i Greci del V e IV secolo avrebbero giudicato innaturale e confuso affrontare le questioni legate alle scelte ed azioni umane, questioni cioeÁ relative a come si dovrebbe vivere, secondo due prospettive separate, l'una poetico-letteraria e l'altra filosofico-morale. Andare a teatro significava ingaggiare un comune processo di riflessione e sperimentazione emotiva in merito a temi di alto spessore civile. 5 P. CATTORINI, Aesthetics in Ethics: Narrative and Theoretical Dimensions of Moral Evaluation, ``Eubios. Journal of Asian and International Bioethics'', March 2009, 19, pp. 4753. Paolo Cattorini 63 rivendicazioni teoriche, espresse dall'indirizzo filosofico che va sotto il nome di ``narrativismo'' e che ha sottolineato la costitutiva narrativitaÁ dell'agire umano, ha qualificato il racconto come principio e sfondo dell'intelligibilitaÁ dell'azione oltre che come strumento ed ideale regolativo per rappresentare la continuitaÁ dell'identitaÁ personale (che puoÁ cosõÁ attribuire a se una condotta e renderne moralmente conto), ed ha approfondito il significato stesso del narrare, inteso come oggetto, il racconto, e come azione, il raccontare 6. Si ha la sensazione di trovarsi alle soglie di un nuovo modello di giustificazione razionale delle valutazioni morali: ``gli eventi ottengono [grazie alla narrazione] un'intelligibilitaÁ propria piuttosto che essere considerati meri casi particolari di leggi scientifiche'' 7. Il che in effetti corrisponde ad aspetti costitutivi della phronesis: la capacitaÁ di percepire la singolaritaÁ del caso, di collocarla in un contesto, di immaginare creativamente soluzioni interpretative, che operino uno scarto rispetto ai luoghi comuni del conformismo e delle visioni banalmente consolatorie. Di qui la razionalitaÁ pratica del racconto: immaginare una variante d'azione significa comprendere meglio lo scenario dilemmatico in cui ci siamo imbattuti e intravvederne i punti di rottura, le linee di superamento, le strutture accessibili ad una riformulazione 8. In questo modo la stessa identitaÁ dell'agente morale guadagna in termini di vitalitaÁ e maturitaÁ, poiche egli puoÁ raccontarsi in modo piuÁ fluido e farsi raccontare secondo linee inedite. Da mero personaggio egli diventa anche voce narrante ed autore, esponendo la sua opera al riconoscimento d'altri, alla ricerca di una reciproca persuasione. Torneremo su questi spunti. Il presente articolo raggrupperaÁ dunque sotto alcune categorie fondamentali i principali punti di analogia tra letteratura ed etica e li faraÁ oggetto di commento teorico. Prima tuttavia di entrare nel vivo delle tematiche, segnaliamo alcune scelte di metodo adottate. Per esigenze redazionali, non abbiamo riprodotto in virgolettato tutti i passaggi dell'autore, Booth appunto, con cui siamo entrati in dialogo. Talora li abbiamo parafrasati, indicandone in nota la fonte, oppure riformulati nella nostra terminologia ed utilizzati come elementi della linea argomentativa, che ci sta a cuore. Chiariamo dunque, a beneficio del lettore, che, salvo diverse specificazioni, le riflessioni critico-letterarie di base (e i termini di gergo indicati parenteticamente) sono 6 F. CATTANEO, Azione e narrazione. Percorsi del narrativismo contemporaneo, Vita e Pensiero, Milano 2008. L'autrice offre un prezioso panorama dei diversi indirizzi del narrativismo, esponendo le tesi di Dray, Gallie, Danto, Olafson, Ricoeur, Carr, White, Mink. 7 Ibid., p. 336. 8 Cattaneo riprende sinteticamente le proprie tesi nel volume collettivo, curato da F. Botturi, Prospettiva dell'azione e figure del bene, Vita e Pensiero, Milano 2008, cap. L'azione narrativa, pp. 119-140. 64 Etica e critica letteraria. La lezione di Wayne C. Booth di Booth; i riferimenti etico-filosofici generali o quelli rivolti alla casistica o alla metodologia dell'etica clinica sono nostri. Non essendo questo uno studio sistematico e diacronico sull'opera di un ricercatore umanistico, abbiamo omesso di segnalare i punti, in cui la posizione di quest'ultimo eÁ cambiata negli anni. Sempre per motivi di semplificazione, abbiamo tralasciato rimandi ad altri autori, che hanno esercitato una consistente influenza sulla formazione di Booth, che sono entrati in polemica con lui o che ne hanno recepito e rimodulato la lezione. L'esperto di letteratura teorica perdoneraÁ - speriamo - questi difetti. Chi scrive si eÁ limitato a gettare le basi di un ponte fra la propria pratica ed un'altra, apparentemente molto distante, com'eÁ quella della critica artistica. A tal fine, abbiamo voluto che questo scritto conservasse le risonanze che l'opera di Booth ha generato in noi, inducendoci a giustificare in maniera piuÁ ricca alcune nostre precedenti intuizioni. CREDERE PER CAPIRE. L'UNICITAÁ DEL TESTO La comprensione del senso di un testo non implica soltanto che noi accettiamo di abitare, come se fosse vero, l'universo istituito dall'opera (ad esempio da un racconto), ma, prima ancora, esige che noi operiamo un investimento di fiducia nel fatto che una raccolta di segni su una pagina siano appunto un testo, cioeÁ abbiano un senso. La willing suspension of disbelief, cui si riferiva Coleridge, gioca dunque ad un doppio livello ed espone il lettore alla dolorosa possibilitaÁ di una duplice frustrazione: il testo potrebbe essere di scarsa qualitaÁ e potrebbe addirittura non essere un testo letterario in senso proprio, ma un semplice agglomerato di nomi alla rinfusa, oppure un elenco criptato di termini segreti, oppure ancora lo scherzo di una macchina litografica difettosa ed impazzita 9. La fede nel senso dell'opera, la resa o capitolazione (surrender) 10, con la quale ci consegniamo ad essa, non implica affatto - come contropartita - che noi abbiamo inteso o stiamo per intendere o ci proponiamo di intendere il suo ``autentico'' significato. Nel caso della musica il rischio di questo fraintendimento eÁ evidente, dato che la 9 Intendiamo il racconto come quel ``discorso che integra una successione di eventi d'interesse umano nell'unitaÁ di una stessa azione''. La definizione di C. BREMOND, La logica dei possibili narrativi, esposta nel volume collettivo L'analisi del racconto, Bompiani, Milano 1969, pp. 97-122, eÁ da noi utilizzata in P. CATTORINI, Un buon racconto, op. cit. A questo testo rimandiamo per una bibliografia narratologica piuÁ estesa e per le segnalazioni della riflessione filosofico-ermeneutica in materia. 10 W.C. BOOTH, The Company We Keep. An Ethics of Fiction, Univ. California Press, Berkeley - Los Angeles - London 1998, p. 32. Paolo Cattorini 65 musica - secondo la lezione di Adorno 11 - eÁ una trama di eventi sonori legati da sensi, ma intraducibili in un significato, come quando ingenuamente si afferma, ascoltando qualche nota sinfonia, che ``eÁ la dolorosa delusione di Beethoven per il comportamento di Napoleone'', oppure ``eÁ il trotterellare delle caprette attorno ad un ruscello''. Inoltre, attribuire senso ad un'opera non comporta che quest'ultima sia allineata secondo un unico valore o ethos 12. Ci basta che i conflitti fra le diverse opzioni presenti siano testimoniati e tenuti assieme dall'unitaÁ vitale di un testo, unitaÁ che, a sua volta, non significa ne piatta uniformitaÁ ne opposizione casuale. Dissonanza (ancora echi di Adorno) non eÁ cacofonia. Le forze in conflitto alimentano il tessuto, che al lettore eÁ dato di fruire, in modo simile a cioÁ cui alludeva Bichat quando scriveva che la vita eÁ l'insieme delle forze che si oppongono alla morte. Senza una contraddizione tra valori, non ci sarebbe probabilmente alcun bisogno di un testo, che cerchi una ragione, un principio, una linea di contatto, fosse pure quella dell'agonismo, della metamorfosi, dell'interruzione enigmatica. La tensione verso la veritaÁ costituisce il principio architettonico, che coordina le parti, i fattori, i personaggi, le vicende dell'opera. Lo stile di tale architettura eÁ ovviamente diverso da testo a testo, da autore ad autore, pur essendo in gioco istanze, che in senso teorico si assomigliano, come ad esempio l'opposizione tra norma ed eros, tra potere e volontaÁ, tra destino e libertaÁ o tra orgoglio e pregiudizio, tra ragione e sentimento 13, tra fedeltaÁ alla famiglia e desiderio di autonomia. Poiche noi assegniamo un valore cognitivo (e non semplicemente emotivo) all'esperienza della fruizione artistica, quale ingresso in mondi di senso ``oggettivi'', attribuiamo statuto veritativo ad una forma di apprensione della realtaÁ in cui la ragione eÁ intrisa di credenza 14, in cui l'assenso precede ed accompagna (e non invece segue, come certe ottiche positivistiche pretenderebbero) la conoscenza, e in cui, piuÁ in generale, teoria e prassi non sono originariamente separate (come invece raccomanda il sostenitore di una episteÂme astorica, asimbolica, antinarrativa). La fiducia potraÁ essere ovviamente ritirata, come in qualsiasi rapporto umano, ed il sospetto dovraÁ essere costantemente coltivato dal lettore accorto, ma una sospettositaÁ totale non solo disturberebbe la lettura, ma distruggerebbe proprio il dato, di cui il lettore vorrebbe far conoscenza 15. 11 T. ADORNO, Filosofia della musica moderna, Einaudi, Torino 1959 e ID., Beethoven. Filosofia della musica, Einaudi, Torino 2001. 12 W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 115. 13 Sono i titoli di due note opere di Jane Austen, sulla quale torneremo. 14 W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 32. 15 Ibid. 66 Etica e critica letteraria. La lezione di Wayne C. Booth Assolto il preliminare dovere di dar credito ad un testo, onorata la responsabilitaÁ di prendere sul serio, come veri, i materiali portati alla propria attenzione 16, il lettore si troveraÁ nell'impossibilitaÁ di operare giudizi estetici fondati su criteri estrinseci allo stile, alla forma, alle norme, che reggono l'opera dal suo interno 17. Se uno sviluppo appare inverosimile, cioÁ eÁ commisurato alla veritaÁ dell'insieme; se un personaggio risulta astratto, il termine di comparazione eÁ nella qualitaÁ rappresentativa di altre figure; se una parte sembra ridondante, cioÁ si legheraÁ al ritmo, alla concisione, al basso continuo, che eÁ dato percepire, in forme piuÁ o meno esplicite, nel resto della vicenda. Quanto ai conflitti fra valori morali, gioca anche qui un simile dovere di lealtaÁ: risolverli con una formula narrativa (ad esempio con un finale consolatorio), che non onori la complessitaÁ dei contrasti, sulle cui onde la trama aveva sino allora navigato, assume inesorabilmente l'aspetto del tradimento moralistico. Sono i fini della singola opera e la natura della sua ``vitalitaÁ'' che dovrebbero dettare i criteri con cui giudicarla. Ogni opera fa cioÁ che vuole fare; l'autore scopre le direzioni che la connotano intrinsecamente e valuta di conseguenza quali siano le tecniche piuÁ idonee affinche essa sortisca i suoi effetti 18. Vale per la qualitaÁ del racconto, cioÁ che vale per la dignitaÁ dell'esistenza: obbedire alla bellezza, che incanta il nostro desiderio, implica il compito di cercare una norma, che non immiserisca, fraintenda o saturi la speranza, che un simbolo promettente aveva acceso. L'etica dovrebbe salvare e non perdere la vita, quell'unica dataci in sorte 19. Analogamente si puoÁ parlare di normativitaÁ dell'opera. La felicitaÁ dell'accadimento linguistico eÁ promessa da un testo, non ancora formato, che giaÁ ci guida e reclama il nostro ascolto (di autori o fruitori). Le regole di composizione (quelle che l'autore adotta e quelle che il lettore usa per appropriarsi del testo e ``riscriverlo'') non sono frutto di un arbitrio; sono invece le uniche grazie a cui eÁ possibile obbedire all'appello, rivoltoci dal testo, e dischiuderne, davanti a tutti, la sua singolare bellezza. In questa ottica il lavoro della critica trascende inesorabilmente un'analisi tecnicistica, che presuma di essere immune da valori. Il mestiere, l'abilitaÁ di scrittura, l'astuzia artigianale (aspetti radunati 16 Per le responsabilitaÁ del lettore verso il testo, cfr. W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 135. Sull'intrinseco valore dell'opera cfr. W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., pp. 83 e 116. 17 Insuperata ci sembra tuttora la ripresa estetico-filosofica di questa avvertenza critico-artistica, ben anteriore a Booth, in L. PAREYSON, Teoria dell'arte, Marzorati, Milano 1965. Su questi punti la nostra rilettura di Booth risente delle cifre teoriche dell'autore italiano. 18 W.C. BOOTH, Retorica della narrativa, La Nuova Italia, Firenze 1996; rist. 2000 [tit. or. The Rhetoric of Fiction, Univ. Chicago Press, Chicago-London 1961 & 1983], p. 394. 19 Sull'implausibilitaÁ dell'opposizione fra norma e desiderio, cfr. P. CATTORINI, La morale dei sogni. Lo statuto etico della psicoanalisi, Dehoniane, Bologna 1999, p. 158. Paolo Cattorini 67 nel termine craft) sono solo alcuni elementi della qualitaÁ di un testo, che risucchiandoci al suo interno esige ben altro. Esso impone infatti un'alleanza tra narratore e narratario, in cui sia in gioco la responsabilitaÁ e coscienziositaÁ (responsibility, conscientiousness) d'entrambi, allo stesso modo in cui, prima ancora, la composizione di un'opera esige una dedizione fedele da parte dell'autore 20. Tale alleanza obbliga, in sede di critica, ad operare una valutazione (ethical appraisal o ethical criticism) in merito all'ethos del testo, al mondo morale che esso istituisce. Nel corso della lettura vengono continuamente a contatto, nella forma del consenso o del conflitto, il sistema valoriale dell'autore e quello del fruitore. Ne sono testimonianza le domande, che spontaneamente ci sorgono, mentre leggiamo: in compagnia di chi mi trovo? Posso, devo credere a questo narratore, ed a quali condizioni? Desidero unirmi a lui, farmene compagno di viaggio? Che rischi corro, e quali benefici godroÁ? EÁ cosa giusta accettarlo nella stretta cerchia dei miei ``amici'' veri? Corrisponde al mio bene tollerare o addirittura cercare di essere il tipo di persona che egli mi sta chiedendo di essere, ammiccando in forme piuÁ o meno evidenti dietro i personaggi, i narratori, le scelte d'autore, di cui divengo, pagina dopo pagina, sempre piuÁ consapevole e complice 21? Che cosa saraÁ di me attraverso la duplice, circolare azione, in cui ad un tempo io come lettore ``riscrivo'' cioÁ che leggo appropriandomi del racconto, cioeÁ assimilandolo a me come un cibo, ed in cui egli come autore mi insegna a pensare e desiderare come i personaggi che egli descrive e cosõÁ facendo mi addomestica, rieduca, aiuta o manipola, insomma mi ``rilegge'', affincheÁ io possa da capo ``riscrivermi'' 22? 20 W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., cap. 4 e cap. 5; ad es. p. 107. Per un noto esempio pittorico, cfr. M. MERLEAU-PONTY, Il dubbio di CeÁzanne, in Senso e non senso, Il Saggiatore, Milano 1962. 21 W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 39. 22 Secondo M. GREGORY, Ethical Criticism: What It Is and Why It Matters, in W.C. BOOTH, Ethics, Literature, and Theory: An Introductory Reader, (W.C. Booth et Al., Ed. by S.K. George), Rowman & Littlefield Publ., 2005, pp. 37-62, gli scopi della ``critica etica'' sarebbero i seguenti (pp. 50 e segg.): aiutare il lettore a comprendere i modi in cui la letteratura influisce sui suoi sentimenti e giudizi; analizzare i criteri con cui egli formula valutazioni morali del testo; tematizzare i presupposti etici di un racconto e prevederne gli influssi in termini di formazione personale. Si vedano in particolare ``Foreword'', ``Why Ethical Criticism Can Never Be Simple'', pp. 23-36; ``Who Is Responsible in Ethical Criticism?'', pp. 79-98, in W.C. BOOTH, Ethics, Literature, and Theory, op. cit. Le emozioni suscitate da un racconto sarebbero elementi essenziali del giudizio espresso in merito alle vicende rappresentate, secondo A. CUNNINGHAM, Reading for Life, in W.C. BOOTH, Ethics, Literature, and Theory, op. cit, pp. 131-138. L'etica non inizia in uno spazio vuoto, ma dalla considerazione di cioÁ che eÁ accaduto nell'incontro con una storia: ``philosophical reflection begins with retelling'' (p. 135). 68 Etica e critica letteraria. La lezione di Wayne C. Booth IL NARRATORE PARLA DI SEÂ. CHE COSA VUOLE DA ME? Torneremo sull'esperienza trasformativa della lettura. Prima peroÁ vorremmo offrire un esempio di come la qualitaÁ etica dell'esperienza artistica dipenda non solo dai contenuti proposti, ma dalla forma dell'universo valoriale, in cui il narratore ci invita ad entrare. Una forma che puoÁ prevedere un pronunciamento piuÁ o meno diretto, piuÁ o meno esplicito, da parte della voce narrante, quella voce cioeÁ (magari incorporea ed estranea alla vicenda) che l'autore incarica di riferire gli eventi. In tal senso rileggiamo il noto incipit di un romanzo, Pride and Prejudice, in cui giaÁ dal titolo l'autrice sembra indicare, persino con una certa presunzione, la portata universale, diremmo addirittura filosofica, di una vicenda segnata da abbondanti tratti di leggerezza e convenzionalitaÁ 23. CosõÁ del resto intendiamo la filosofia: come una ricerca spregiudicata (nel senso letterale di scevra da pregiudizi) della veritaÁ, come un'indagine in merito alla giustificazione razionale delle valutazioni morali, una giustificazione in grado di frapporsi all'accettazione delle ovvietaÁ imperanti 24. Il romanzo inizia cosõÁ: ``EÁ cosa nota e universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere in cerca di moglie'' 25. La frase sembra offrire un punto fermo, in merito al quale il lettore potrebbe concordare con l'autrice, sentirla amica e cosõÁ proseguire la lettura. Un punto fermo rassicurante, seducente e nel contempo programmatico, dato che questo incipit, per il modo in cui si presenta, annuncia la sintesi e la cifra dell'intera esperienza di lettura che ci accingiamo a intraprendere. L'esordio eÁ infatti autorevole, proprio perche ``autoriale'': la voce narrante stessa, con un certo ``orgoglio'', si impegna in prima persona ad accattivarsi le simpatie di chi dovraÁ seguirla per centinaia di pagine. Essa ci parla direttamente, desidera un contatto ravvicinato, propone un patto, una scelta di campo. Ma di che patto si tratta? Quale veritaÁ eÁ trasmessa dalla frase? Come in altre opere della Austen, un ethos convenzionale viene rappresentato e ad un tempo sminuito. Ella ci invita ad accostare, in qualitaÁ di spettatori, alcuni valori borghesi, che sono peroÁ tutti da verificare, sotto il profilo della loro pertinenza e persino del loro significato, nel ``qui ed ora'' 23 L'analisi di questo incipit eÁ da attribuire a noi e non a Booth. Vedi il ns. Bioetica. Metodo ed elementi di base per affrontare problemi clinici, Elsevier-Masson, Milano 2006, p. 3, in cui riprendiamo - al proposito - una tesi della filosofa neoscolastica S. Vanni Rovighi. 25 J. AUSTEN, Orgoglio e pregiudizio, Garzanti, Milano 1988, p. 1. La traduzione italiana eÁ di Isa Maranesi. Il testo originale recita: ``It is a truth universally acknowledged, that a single man in possession of a good fortune, must be in want of a wife''. 24 Paolo Cattorini 69 della storia 26. La Austen ha un doppio interesse: indurci all'identificazione con cioÁ che eÁ ``universalmente riconosciuto'' e all'analisi di come tale riconoscimento si sia costruito e diffuso. Guardare e commentare; frequentare salotti e smontarne l'ipocrisia; assimilare un pregiudizio e mostrarne le crepe, i punti di rottura, i fraintendimenti cui conduce. EÁ come se l'autrice avesse bisogno di confessare pubblicamente, senza la mediazione di personaggi ed eventi, che il lavoro morale richiesto al lettore saraÁ di questo tipo. Prendere o lasciare. In questo senso non eÁ un caso che la veritaÁ annunciata come granitica (``EÁ cosa nota'' - a truth universally acknowledged) non sia un fatto, la cui verifica possa essere assegnata ad una sociologia dei comportamenti esteriori (la percentuale di ricchi scapoli impegnati effettivamente a cercar moglie), ma sia un orientamento psicologico, che riposa su una visione del bene. L'ironia con cui l'autrice presenta questa convinzione (``cosõÁ saldamente radicata nelle menti'' dei nuovi vicini del ricco scapolo - a truth so well fixed in the minds of the surrounding families - anche se ``poco eÁ dato sapere delle vere inclinazioni e dei proponimenti'' - feelings or views - dell'agiato celibe), e la scaltrezza con cui il pregiudizio viene appunto riferito non ad un dato descrittivo (la ricerca di una moglie), ma ad una preferenza valoriale (l'idea che un single benestante debba sentire il bisogno di ammogliarsi 27 must be in want of a wife), trasportano direttamente il lettore nell'etica della Austen, la quale critica, con graffio delicato, certe convinzioni sociali della borghesia inglese e delinea nel contempo una protagonista femminile, Elizabeth, fiera e pudica, intelligente e ferma, dotata di una spiccata disposizione per lo scherzo e per la curiosa scoperta del lato ridicolo delle cose. Un personaggio, che possiamo immaginare alquanto vicino all'autrice del romanzo 28. Una giovane donna (Elizabeth appunto) che percepiraÁ nel corso 26 Per l'analisi di Emma, altro romanzo pubblicato dalla Austen nel 1815, cfr. W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., pp. 422 e segg. Vedid anche W.C. BOOTH, Retorica della narrativa, op. cit, pp. 256 e segg.: ``Rappresentando la maggior parte della storia attraverso gli occhi di Emma, l'autrice permette al lettore di camminare al suo fianco, senza mai mettersi contro di lei. /.../ Jane Austen, sviluppando l'uso continuato di un'analisi interiore che rende il lettore partecipe dei sentimenti della protagonista, ha usato in maniera magistrale uno degli espedienti di maggior successo per suscitare una rispondenza emotiva parallela fra una protagonista non immune da difetti e il lettore. /.../ Reagendo ai difetti di Emma da una prospettiva interna, come se fossero i propri, il lettore rischia non solo di perdonarli, ma anche di lasciarseli sfuggire. /.../ Il correttivo principale eÁ Knightley. Il suo commento sugli errori di Emma eÁ un'espressione naturale del suo amore; egli puoÁ dire con precisione, sia a Emma che al lettore, quanto lei si sbaglia''. 27 Questa eÁ la traduzione proposta da Attilio Bertolucci, che introduce l'edizione italiana, giaÁ citata. 28 Sullo stesso incipit, cfr. il cap. What Do We Know about Ourselves?, in W.C. BOOTH, Modern Dogma and the Rhetoric of Assent, Univ. Chicago Press, Chicago-London 1974, p. 117. 70 Etica e critica letteraria. La lezione di Wayne C. Booth della vicenda il proprio orgoglio e pregiudizio, prima di e per potersene liberare, ed avraÁ la forza di riguardare in modo nuovo le cose e le azioni, per venire a capo del loro senso, dapprima frainteso 29. Il lettore-filosofo, che senta l'incanto di questa prima pagina, non potraÁ fare a meno di notare che l'autrice mette in tavola tutte le carte di una seria indagine speculativa: truth, views, prejudice, want, must, universal, feelings, minds. Conseguentemente, una critica letteraria di un testo come questo non potraÁ evitare di ricorrere agli strumenti concettuali dell'etica 30. Non c'eÁ bisogno che il narratore parli espressamente di seÂ, per intuire come egli la pensi. Lo vedremo piuÁ avanti. Tuttavia ogni tanto, e non sempre a proposito, il narratore esce dall'anonimato e fa capolino nel testo. Non puoÁ o non vuole sottrarsi alla tentazione di dire la sua. La visione del bene, l'idea di ricerca morale, che lo hanno guidato nella composizione del testo, vengono dichiarate e confermate dalla sua stessa voce: staraÁ al lettore addestrato percepire il messaggio, verificare se sia credibile e decidere se valga la pena di continuare a leggere. A chi voglia un esempio piuÁ recente, che ci pare meno convincente dell'ironica levitaÁ della Austen, di questa facoltaÁ autoriale di intrusione, consigliamo un'altra lettura. Il secondo capitolo di un libro di McEwan inizia come segue: ``Come si erano conosciuti, e come mai due innamorati dell'era moderna si rivelavano cosõÁ timidi e ingenui?''. Timidi e ingenui eÁ un giudizio che spetterebbe al lettore. Il fatto che lo pronunzi la voce narrante implica che quest'ultima identifica l'etaÁ moderna nelle qualitaÁ dell'estroversione, disinibizione, maliziositaÁ, conoscenza del mondo. Ma tale voce ha veramente ragione? Il fatto che essa venga sul proscenio a declamare le sua tesi non eÁ forse un indizio che queste affermazioni non sono poi cosõÁ sicure? L'imbarazzo, che si prova, allorcheÁ l'autore formula espressamente una domanda (``come si erano conosciuti?''), che il lettore si sta giaÁ facendo da seÂ, induce comprensibilmente ad un moto di preoccupazione, come quando qualcuno si siede un po' troppo vicino a noi. Il senso di impudicizia eÁ riacceso poco oltre, quando leggiamo: ``C'eÁ al mondo un genere di viaggiatore sicuro di se il quale non vede l'ora di aprire lo sportello della carrozza un attimo prima che il treno sia fermo, per poter balzare con agilitaÁ sulla pensilina. ChissaÁ, forse abbandonando il mezzo prima che abbia completato la corsa, vuole ribadire la propria indipendenza - non eÁ mica un carico inerte, lui. O magari intende 29 Recognition eÁ il termine, dal ricco sapore filosofico, utilizzato da T. TANNER nell'Introduzione a Pride and Prejudice, Penguin Books, London 1972, per indicare questa conversione dall'apparenza all'essere, dall'errore alla veritaÁ (su di seÂ, sugli altri, sul mondo), in un racconto in cui ``gli eventi piuÁ importanti sono il fatto che un uomo cambia il suo modo di fare ed una giovane donna cambia le sue idee'' (p. 7). 30 Tanner riporta diversi brani di Hume e Locke. Paolo Cattorini 71 corroborare un'impressione di giovinezza o, piuÁ semplicemente, va tanto di fretta che ogni secondo eÁ prezioso'' 31. Che cosa ce ne facciamo di queste considerazioni personali, che un narratore solitamente discreto riversa su di noi con una certa brutalitaÁ (la brutalitaÁ di un treno in corsa, la brutalitaÁ di un viaggiatore che spalanca in fuori lo sportello a rischio di colpire chi attende ignaro sulla banchina)? Anche se intendiamo continuare a leggere, queste esternazioni lasciano un segno sulla nostra fiducia e rimodulano il tipo di relazione che stavamo intessendo con il testo. EÁ lecito attendersi, nella ricostruzione dei turbamenti legati alla prima notte di nozze trascorsa a Chesil Beach, qualche altra incursione ``moralistica''. Occorre pertanto tenere gli occhi bene aperti... L'allerta o addirittura il dissenso, come si vede, non interrompono necessariamente l'amicizia fra scrittore e lettore, ma rendono piuÁ complessi i livelli dell'interazione. PiuÁ o meno quello che dovrebbe accadere a chi crede nel valore del pluralismo in bioetica e lo abita in maniera ne fanatico-integralistica, ne scettico-indifferente, ne falsamente neutrale, ne banalmente arrendevole, ingenua o relativistica. L'incontro con una visione del mondo diversa dalla propria puoÁ tradursi, tanto in sede estetica quanto etica, in dialogo, integrazione, confronto, leale disapprovazione. La qualitaÁ e il destino della relazione non eÁ deducibile a priori ed esige un'apertura di credito: che cosa mi chiede, che cosa mi rivela colui che mi rivolge la parola? Torneremo su questo argomento parlando di teorie del pluralismo. NESSUNA NARRAZIONE NE LETTURA, SENZA UNA VALUTAZIONE Se l'autore sale al proscenio, il patto con lui eÁ siglato in forme evidenti. Ma la qualitaÁ dell'amicizia, che egli propone, il confronto, che egli instaura con il lettore, e le regole d'ingaggio, che la coppia narratore-narratario dovraÁ seguire, connotano eticamente l'esperienza letteraria, qualunque sia la forma adottata. Ogni narrazione eÁ un tipo di retorica 32 ed essa implica una serie di opzioni valoriali, giustificate o tradite nel corso dell'esperienza d'alleanza, che il testo chiede e cui il lettore consente 33. 31 I. MCEWAN, Chesil Beach, Einaudi, Torino 2009, pp. 33 e 59. Sul progetto generale di persuasione, che ogni testo narrativo contiene ed esplicita consegnando dettagliate istruzioni di lettura, cfr. W.C. BOOTH, Retorica della narrativa, op. cit, pp. 419 e segg. 33 W.C. BOOTH, The Rhetoric of Rhetoric. The Quest for Effective Communication, Blackwell Publ., Malden-Oxford-Carlton 2004, p. 40: ogni retorica ha a che fare con l'etica, poiche l'ascolto reciproco, la ricerca della veritaÁ, l'offerta di argomenti convincenti e il conseguente superamento dei fraintendimenti e dei pregiudizi sono strumenti di plasmazione dell'ethos. Ogni buona retorica ha a che fare con il bene. Si ricorderaÁ la tesi di Aristotele, Retorica, 32 72 Etica e critica letteraria. La lezione di Wayne C. Booth Consideriamo dapprima il lato dell'autore. Basta che il lettore registri le movenze del personaggi, il ritmo della vicenda, il dialogo tra voci narranti principali e secondarie, ed egli saraÁ di fronte ad indizi eloquenti delle scelte di campo operate dall'autore. La presunzione che ci si possa limitare a mostrare qualcosa senza mostrarsi, ossia nascondendosi dietro un neutrale anonimato, s'infrange sullo scoglio del dovere di raccontare, che equivale al compito di scegliere che cosa mostrare e che cosa invece tacere, occultando gli eventi o dandone conto in forme indirette. Se una vicenda pluriennale viene condensata in poche righe, si puoÁ evincere dal modo, in cui questa sintesi eÁ condotta, quali siano le modalitaÁ, in cui l'autore subisce il fascino del testo-da-narrare e lo propone al fruitore. Il medesimo evento non puoÁ che essere riferito diversamente da autori diversi, per il fatto che essi risentono della loro propria visione dell'agire umano, utilizzano un gergo imperniato su specifiche metafore dominanti, interpretano il loro compito di story-teller secondo ottiche e persino etiche differenti 34. Un lavoro altrettanto impegnativo dal punto vista assiologico spetta al lettore. Abbiamo detto che giaÁ la scelta di attribuire identitaÁ di testo ad una materia cartacea picchiettata di inchiostro equivale a scommettere sul senso di qualcosa che ci chiama alla lettura. Questo coinvolgimento eÁ ad un tempo cognitivo ed emotivo e spinge ad integrare le suggestioni autoriali attraverso le proprie chances inventive. La storia della critica letteraria ha sufficientemente analizzato l'apporto del narratario rispetto al narratore, ha anzi legato la potenza evocativa del testo (uno dei criteri distintivi della sua qualitaÁ) alla capacitaÁ di sollecitare l'immaginazione, gli affetti, le competenze estetiche e le visioni morali del lettore. CioÁ avviene a piuÁ livelli. Se definisco ``d'avventura'' il racconto in cui sono immerso, eÁ perche ho valutato preminenti certi rapporti tra gli eventi e i personaggi, sminuendone altri. Se l'immaginazione mi ha indotto a sognare un certo finale eÁ perche mi sono lasciato trasportare, valutandoli come 1360b 9-11, secondo cui eÁ attorno alla felicitaÁ ed alle azioni che vi conducono, che ruotano tutti i tentativi di persuadere. La retorica non eÁ in tal senso l'arte generica di persuadere, ma la capacitaÁ di trovare cioÁ che per ciascun argomento puoÁ risultare persuasivo (esempi e sillogismi). Cfr. F. PIAZZA, La Retorica di Aristotele. Introduzione alla lettura, Carocci, Roma 2008: la parola persuasiva si situa all'incrocio fra loÁgos e desiderio, porta a sintesi queste diverse dimensioni dell'anima (entrambe essenziali per ben agire), ed eÁ dotata di un'apertura veritativa specifica e feconda, tanto che l'uomo non potrebbe dirsi animale linguistico se non fosse in grado di lasciarsi persuadere dalla ragione. Persuadere significa fare appello alla capacitaÁ valutativa dell'interlocutore e far leva sulla sua aspirazione alla felicitaÁ. CioÁ vale anche per il genere epidittico (i discorsi di lode e biasimo), che ha valenza assieme estetica e morale, poiche elogiare la bellezza di una vita equivale a segnalarne la virtuÁ. 34 W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 363. In W.C. BOOTH, Retorica della narrativa, op. cit., pp. 21 e segg. si critica l'illusione ``realistica'', non manipolativa, teorizzata ad esempio da Sartre. Paolo Cattorini 73 maggiormente pertinenti, da alcuni tratti dell'opera e non da altri; di conseguenza l'epilogo, da me congetturato, comporta retroattivamente una specifica attenzione per certi sviluppi dell'esperienza di lettura, i quali paiono confermare o smentire le mie speranze. DoÁ credito a certe tracce e non ad altre nel territorio narrativo che mi sono trovato davanti e ho scelto di attraversare. Il mito di una postura oggettiva e di una descrizione imparziale viene dunque a crollare sia dalla parte dell'autore che del lettore. Il primo non dice tutta la veritaÁ (gli occorrerebbe un tempo ed un libro infinito), ma solo quella, che ha valutato essenziale, per istituire, nel testo, un mondo, che gli eÁ parso meritevole di essere narrato. Il secondo lavora come un neonarratore, rielaborando i suggerimenti dell'autore a partire dalle proprie propensioni, dagli effetti carezzevoli o ripugnanti che il testo ha provocato su di lui, dalle abilitaÁ ed esigenze narrative che lo accompagnano, e dalla pressione che esercitano sul suo occhio di lettore-narratore i racconti, che lo hanno precedentemente influenzato e che gli forniscono la cornice prospettica, su cui impattano le storie, reali o fittizie, che egli vive. Noi siamo i racconti in cui crediamo, quelli cioeÁ che valutiamo meritevoli di fiducia 35. Questa tesi vale sia per il lettore che per l'autore. Non esiste uno sguardosenza-racconti che possa farci cogliere ``in seÂ'' la trama che stiamo leggendo o scrivendo. Se infatti il racconto eÁ una vicenda che lega fatti ed esistenti come componenti di un'azione integrata che risulti interessante per la prospettiva umana, ogni lettore esprime valutazioni sin dal momento in cui incontra un titolo in copertina, apre l'indice, getta occhiate casuali sui passaggi finali dell'opera. Dal canto suo l'autore avverte l'importanza di portare in vita un testo sotto l'influsso delle storie che lo hanno plasmato e sollecitato a proseguire l'indagine ``scrivendo ancora'', ossia espandendo verosimili mondi linguistici, che lo conquistano per la loro potenza rivelativa. Entrambi, autore e lettore, sono dunque attratti da un senso e mettono in gioco i loro presupposti valoriali, dicendo di sõÁ al desiderio di veritaÁ acceso dal richiamo di un racconto. La portata etico-filosofica di tale esplorazione, relativa all'identitaÁ del mondo ed al modo in cui lo si dovrebbe abitare, eÁ tanto inequivocabile, quanto imprevedibile la radicalitaÁ delle conseguenze che ne possono derivare. Vi torneremo in sede di conclusioni, ma sin d'ora anticipiamo un'analogia con le nostre tesi filosofico-morali. In altri termini, il riconoscimento di una valenza etica nel cuore della narrazione spazza via quelle ipotesi di etica 35 Per cio Á che riguarda le storie di sofferenza, cfr. P. CATTORINI, Narrating Pain: The Role of Medical Humanities, ``Eubios Journal of Asian and International Bioethics'', v. 16 (6), nov. 2006, pp. 177-181. 74 Etica e critica letteraria. La lezione di Wayne C. Booth applicata, che presumono di calare princõÁpi morali su ``fatti oggettivi'', su azioni descritte in maniera univoca ed impersonale, depurandole cioeÁ dai vissuti e intenzioni degli agenti morali, dal contesto culturale in cui tali azioni si inscrivono, dalla trama biografica cui ineriscono. Una tale descrizione, immune da componenti valoriali, eÁ - per quanto abbiamo detto - illusoria e fuorviante. Misconoscere infatti l'intimitaÁ che lega descrizione, narrazione e valutazione comporta una brutale distorsione ed amputazione proprio dei ``fatti'', che si vorrebbero giudicare, fatti rappresentati in maniera tanto disumana che il loro senso risulta irriconoscibile. Questo travisamento induce corrispondentemente una visione astrattamente geometrica dei princõÁpi (quasi fossero teoremi concettualmente univoci e privi di valenze narrative) che si pretenderebbe di applicare ai casi concreti 36. Tali princõÁpi (non uccidere, non mentire, ecc.) valgono invece simbolicamente, ossia nella misura in cui alludono ad un tipo complessivo (degno o deprecabile) di relazione (di cura o di sfruttamento), che offre la cornice interpretativa alla casistica dettagliata. Una cornice che ha carattere narrativo, trattandosi del racconto, credibile ma indimostrabile concettualmente, di una vita degna o meschina, di una salvezza o di una perdizione, di una liberazione o di un tradimento. I princõÁpi, riferendosi a gesti paradigmatici, sono analoghi alle immagini chiave di un'esistenza riuscita o smarrita, sono le icone di un dramma che impone all'agente morale di scegliersi, sono gli snodi narrativi nei quali si deve affrontare un dilemma e decidere per l'una o l'altra versione di seÂ. In sintesi, la critica letteraria evidenzia l'intimitaÁ che lega valutazione e narrazione. L'uomo non conosce a priori, con chiarezza intellettuale, ne se stesso ne il bene, dunque nemmeno i princõÁpi legislativi del proprio agire, senza interrogare ed interpretare i desideri, che si accendono sorprendentemente nella sua vita. Questo lavoro interpretativo ha bisogno di una trama: il significato di un desiderio e dell'azione, che vi consente, appaiono entro un contesto biografico. Lo stesso contesto in cui prende luce la situazione, che si vorrebbe descrivere per sottoporla ad un giudizio morale. Occorre dunque narrare, per capire, ma narrare implica dar credito alla prospettiva valoriale che ci configura come un certo tipo di autori. Il compito giustificativo dell'etica non eÁ quello di azzerare l'embricazione originaria tra racconto e giudizio per sostituirvi un imperativo astorico ed oggettivo, ma di tornarvi riflessivamente, acquisendo coscienza dei presupposti che ci guidano ed impegnandoli in ulteriori varianti narrative. L'etica eÁ una critica del racconto che noi siamo. 36 Per un'analisi teologica di questa deriva normativa cfr. G. ANGELINI in AA. VV., L'evidenza e la fede, Glossa, Milano 1988, p. 436 e AA.VV., Fede, ragione, narrazione, Glossa, Milano 2006. Paolo Cattorini LA 75 PAURA DEL SOGGETTIVISMO Il critico d'arte, che eÁ consapevole dell'ordito morale di un'opera e che prende in considerazione le emozioni, i desideri, i vissuti che il testo ha suscitato in lui, non puoÁ quindi veder accusato di soggettivismo il proprio metodo, in forza dell'eventualitaÁ che altri critici assegnino alla medesima opera valori diversi o che egli stesso possa cambiare parere 37. Chi svaluta la plurivocitaÁ interpretativa come ``relativistica'' non ha riconosciuto in realtaÁ la potenza trasformativa, che il testo esercita sul soggetto che ne fruisce, o ha preteso di immunizzarsi da tale influsso adottando metodi ``oggettivi'' di scrittura o lettura. Sono invece questi ultimi a meritare un legittimo sospetto, dato che elevano la presunzione di contattare in profonditaÁ un'opera, prescindendo dalle componenti soggettive dell'incontro: le preferenze del lettore/critico, i suoi valori, le sue risposte emotive, gli affetti che lo legano ad altri testi, le intenzioni piuÁ o meno consapevoli della lettura, le relazioni sociali che egli vive ed in particolare i suoi rapporti con gli altri soggetti deputati professionalmente al lavoro della critica. L'oggettivismo, cui approdano tali amputazioni, costituisce una miope deriva dell'arte di leggere. PiuÁ radicalmente, eÁ lo stesso dualismo soggetto/oggetto che dovrebbe cadere, per ragioni simili a quelle per cui, nelle pagine precedenti, ci eÁ parsa impertinente la separazione tra fatti e valori, tra fede e intelligenza e fra descrizione e valutazione. Il giudizio estetico non eÁ come il gusto per i cibi (come la preferenza per il vino delle Canarie, direbbe Kant 38): non si tratta di un'arbitraria inclinazione la cui genesi vada ricercata ``dentro'' al soggetto che l'avverte (secondo i proclami dell'emotivismo) o a partire da un accordo che le istituzioni culturali o gli addetti ai lavori di una certa epoca siglano (secondo le ipotesi del convenzionalismo). Si tratta piuttosto del rivelarsi di un valore, che origina dalla realtaÁ stessa di cioÁ che viene giudicato 39. In questo senso nessuna opera eÁ totalmente aperta: di un'opera sappiamo qualcosa solo a partire dall'interazione fra l'opzione valoriale, che il testo incarna, pur conservando una sua polivocitaÁ ermeneutica, e il rimodellamento, che il fruitore imprime all'architettura estetica, in cui egli progressivamente si introduce 40. Le cose vanno come in un 37 Si veda W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., cap. 4. Il giudizio estetico, per come lo intende Kant, pretende un assenso universale. L'oggetto cioeÁ ``deve'' piacere per la sua forma, anche se non si possiede la regola concettuale che spieghi le ragioni di tale assenso, ed anche se di fatto si registrano pareri diversi. Cfr. I. KANT, Critica del Giudizio, tr. it. A. Gargiulo, rev. V. Verra, Laterza, Bari 1972; ID., Prima introduzione alla Critica del Giudizio, tr. it. P. Manganaro, intr. L. Anceschi, Laterza, RomaBari 1979. 39 W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., pp. 82 e segg. 40 W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 62. 38 76 Etica e critica letteraria. La lezione di Wayne C. Booth progetto di restauro: nessuno oserebbe approvare un rifacimento della cupola del Brunelleschi, che vi introducesse elementi rococoÁ, e tuttavia diversi architetti potrebbero proporre soluzioni differenti per mantenere viva l'ispirazione estetica, connotata una volta per tutte (e quindi ``chiusa'') da uno stile valoriale e da una scelta culturale storicamente unici. L'evento cardine eÁ l'incontro: chi sia io, che amo il libro che leggo al punto da decidere di continuare a leggerlo, e che cosa sia questo libro, che mi eÁ per cosõÁ dire venuto a cercare, disseminando tracce della sua stimolante presenza: tutto cioÁ lo scopriroÁ progressivamente e senza mai poter dissociare completamente i due versanti dell'accadimento 41. Da un lato infatti, come abbiamo detto, io sono i libri che ho letto o che desidero leggere, facendoli risuonare, in certo modo riscrivendoli dentro di me. D'altro canto i libri migliori sono quelli il cui potenziale energetico, la cui forza vitale (le metafore organismiche e biologiche sono attive, come si sa, fin dalla Poetica d'Aristotele) si sprigiona non appena il lettore li morde e la cui riserva semantica si accresce, invece di depotenziarsi, mano a mano che generazioni di critici ne propongono nuove interpretazioni. EÁ l'incontro che rivela l'identitaÁ e la qualitaÁ dei partner. Per fare un esempio musicale, l'opera coincide con la sua esecuzione, nel senso che essa eÁ impensabile prescindendo dall'evento in cui eÁ stata o saraÁ eseguita 42. Del resto, il primo ad eseguirla, man mano che la componeva, era l'autore stesso mentre immaginava come le sue annotazioni scritte si sarebbero incarnate davanti ad un pubblico. Fuori da ogni esecuzione (reale o immaginaria), l'opera eÁ un codice di appunti annotati su un pentagramma, un progetto astratto inaccessibile alla comunicazione. Che cosa sia e quanto valga quel testo, lo si sa attraverso l'interpretazione di un soggetto che lo esegue e nel momento della sua fruizione. Se due esecuzioni di uno spartito musicale, per quanto entrambe fedeli alla lettera ed allo spirito del compositore, sono legittimamente diverse, eÁ prevedibile che si registrino - a maggior ragione diversitaÁ di valutazioni critiche, dato che queste ultime si situano ad una distanza ancor maggiore dalla realtaÁ, rispetto al primo livello di critica svolto dall'esecutore. Tale difformitaÁ non depone necessariamente per la sua irrazionalitaÁ. Il punto eÁ che la razionalitaÁ della critica, cioeÁ il tipo di ragione che essa impiega, non equivale alla deduzione sillogistica di una regola universale, come potrebbe essere la seguente: il romanzo di formazione (premessa maggiore) eÁ valido se aiuta il lettore ad edificare con coerenza la propria identitaÁ, 41 W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 202. Utili approfondimenti in merito si trovano in A.C. DANTO, L'abuso della bellezza. Da Kant alla Brillo Box, Postmedia Books, Milano 2008 e piuÁ in genere in P. D'ANGELO, a cura di, Introduzione all'estetica analitica, Laterza, Roma-Bari 2008. 42 Paolo Cattorini 77 utilizzando uno stile il meno ambiguo possibile; questa opera, che sto leggendo (premessa minore), eÁ moralmente granitica nella sua proposta pedagogica e non si espone a letture ambigue; dunque (conclusione) questo eÁ un buon romanzo di formazione. Tale deduzione pretenderebbe d'applicarsi ad un testo, limitandosi a verificare che in quest'ultimo sia presente un certo carattere (per esempio l'univocitaÁ del messaggio morale) richiesto dalla regola e si riterrebbe esautorata dal vero e proprio compito di leggere, dalla sfida cioeÁ d'entrare compiutamente nel mondo dell'opera, di lasciarsi contagiare da esso e di espanderlo fecondandolo del proprio universo morale e stilistico di fruitore. La ragione, impiegata dalla critica, esige invece l'incontro indeducibile, imprevedibile, fra autore e lettore, piuÁ esattamente il lettore implicito-neltesto (colui al quale si rivolge l'autore implicito; colui che l'autore implicito evoca, plasma e persino genera). Oppure - detto altrimenti - fra i valori veicolati dalla pratica di quella scrittura ed i valori che la contro-pratica della lettura attesta. Ovviamente, come abbiamo anticipato, gli effetti di tale incontro ``dentro al testo'' e ``nel corso della lettura'' si riverberano nella realtaÁ. L'opera si propaga nello spirito di chi si avvicina ad essa in una data situazione spazio-temporale, in una data temperie etico-culturale, in una data fase biografico-esistenziale. Gli effetti di tale contagio, il nuovo equilibrio instauratosi ed il significato, liberatorio o mutilante, del dialogo pluralistico intessuto fra il testo-che-vive dentro il lettore, ed il lettore che accetta di vivere dentro l'universo-del-testo, tali effetti mutano a seconda delle variabili implicate, pur essendo in gioco il medesimo libro e persino il medesimo narratario. Di piuÁ, la molteplicitaÁ delle interpretazioni semantiche e dei giudizi interprativi riferiti ad un testo o ad un autore non equivale ad una rovinosa contraddizione, come quelle che la logica equipara all'annichilirsi di un contenuto (come nell'espressione ``circolo quadrato''), poiche la complessitaÁ dell'opera di qualitaÁ impedisce che le diverse tesi si oppongano ed annullino sotto lo stesso aspetto, come esige appunto il principio di non contraddizione 43. Il Re Lear eÁ ad un tempo un'analisi filosofica sul senso del vivere, il culmine della drammaturgia elisabettiana, un affresco storico ed altre cose ancora. Quale di questi livelli viene considerato, allorche se ne dichiara la vitalitaÁ o invece la bruttezza? EÁ un certo tipo di eccellenza, astratta da altri aspetti dell'opera, che certe generazioni di lettori hanno convenuto di lodare come un capolavoro e la cui eco probabilmente si estenderaÁ nel futuro. Ma cioÁ non esclude che ne vengano valorizzate altre dimensioni estetiche. La 43 W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 98. 78 Etica e critica letteraria. La lezione di Wayne C. Booth posizione di Booth puoÁ essere chiarita ulteriormente, accostandola alle tesi di uno studioso alquanto lontano da lui, ossia Roland Barthes. Secondo quest'ultimo la pluralitaÁ semantica del testo, lo spessore dei codici che lo costituiscono, l'articolazione delle voci che lo attraversano, obbligano il lettore ad accedervi secondo una cifra attivamente produttiva, piuttosto che passivamente recettrice 44. La scelta interpretativa non ha garanzie di raggiungere un senso principale o fondativo, ma apre la danza della galassia polisemica, che di volta in volta finge di restringersi ad un mito superiore, sintetico. Il lettore che s'introduce in questo enigma non eÁ, a sua volta, giaÁ strutturato stabilmente, come un occhio vergine, trasparente ed ignaro, ma incontra il testo come se lo avesse giaÁ letto, poiche eÁ ``esso stesso una pluralitaÁ di altri testi, di codici infiniti, o piuÁ esattamente: perduti (la cui origine, cioeÁ, si perde)'' 45. Se egli segue un rimando, eÁ in quanto ha giaÁ omesso qualcos'altro e ha necessariamente, legittimamente eclissato la polifonia, il sovraccarico metaforico con cui e in cui gioca il discorso. Diversi indirizzi ermeneutici (psicologico, storico, strutturale) possono e devono essere tentati, perche la veritaÁ che il testo custodisce (ne dicendola, ne negandola, ma alludendovi, come l'oracolo greco) riguarda un'unitaÁ, che precede la scansione soggetto/oggetto. Il testo, nel suo vagare irresponsabile da referente a referente, narra sempre di se come narrazione (eÁ il discorso, e non questo o quel personaggio, l'eroe vero della storia) 46 e nel contempo parla di colui (autore e lettore) che lo compone e che ne fruisce, insomma rappresenta e rinnova il contratto, che lo ha fondato e che consente al racconto di proseguire 47. Polisemia, plurireferenza, soggettivitaÁ multiple. La critica letteraria riabilita quella complessitaÁ testuale, che l'ermeneutica morale ha talora purtroppo isterilito, presa dal panico di cadere di un arbitrario relativismo. In realtaÁ, non si daÁ alcuna scelta eticamente significativa, per una persona o un gruppo, che non richieda, sul piano giustificativo, l'interpretazione delle passioni, dei desideri, degli affetti, che hanno sorpreso l'agente morale, inducendo in lui incanto o ripugnanza, seduzione o repulsione. I vissuti soggettivi sono appunto quella multiforme fenomenologia di istanze, pulsio44 Stiamo riprendendo e commentando espressioni tratte da R. BARTHES, S/Z. Una lettura di `Sarrasine' di Balzac, Einaudi, Torino 1981. Barthes eÁ fatto oggetto di numerose considerazioni critiche da parte di Booth, ad esempio in W.C. BOOTH, Critical Understanding. The Powers and Limits of Pluralism, Univ. Chicago Press, Chicago-London 1979. 45 Ivi, p. 15. 46 Abbiamo sviluppato questa direzione critico-letteraria (secondo cui il racconto ``si'' racconta) in ambito cinematografico nell'intermezzo Di che cosa parla il cinema, in P. CATTORINI, L'occhio che uccide. Criminologi al cinema, FrancoAngeli, Milano 2006, pp. 49-54. 47 R. BARTHES, op. cit., p. 85. Paolo Cattorini 79 ni, preferenze, che esigono di venir portate a parola, espresse in forme comprensibili e comunicabili, messe in tensione con ragioni confliggenti ed infine volute, ossia fatte oggetto di un libero assenso. Ciascun decisore insegue, lungo il corso della sua intera trama biografica, quella scelta, che egli possa sentire e volere come incondizionatamente buona, ossia come propriamente sua (tale cioeÁ che solo egli potrebbe porla in quel modo) e come valida davanti a tutti (tale cioeÁ che la comunitaÁ morale possa salutare con approvazione l'unicitaÁ, l'originalitaÁ del gesto). L'azione buona onora nel contempo il desiderio di felicitaÁ del soggetto ed il suo anelito ad un riconoscimento universale, che qualifichi come degna, esemplare, giusta la variante narrativa adottata per la propria vita, in nome della prossimitaÁ, che la lega ad ogni altra vita. Passioni come ragioni, ragioni come e-mozioni: un vero affetto eÁ un buon motivo per volere, e per converso una ragione convincente coinvolge il cuore dell'esistenza. Ma la qualitaÁ di entrambe, ragioni e passioni, non eÁ saputa astrattamente, ne puoÁ essere catalogata o misurata secondo una scala univoca, previamente orientata. EÁ nell'incontro concreto (reale o immaginato) con una possibilitaÁ d'azione che quest'ultima rivela il suo significato e l'identitaÁ dell'agente. Come un testo nel suo con-testo, come un fotogramma entro una sequenza filmica, cosõÁ il gesto buono si lascia percepire come il simbolo credibile di una causa, che reclama una dedizione senza riserve. Per riferirci ad una casistica assai frequentata nella bioetica clinica, non stupisce quindi (e non eÁ affatto segno di irrazionale soggettivismo) che siano diverse le modalitaÁ in cui soggetti diversi onorano il dovere di aver cura del proprio corpo malato, essendo squisitamente personali le cifre con cui essi leggono la coerenza biografica, i valori chiave, le relazioni decisive, i fattori insomma che connotano il proprio desiderio di liberazione dal male. Avere cura massima ed eguale di ogni sofferente non equivale pertanto al dovere di prolungarne ad ogni costo la vita. Il significato di tale prolungamento eÁ appunto di volta in volta afferrabile e decidibile solo all'incrocio di una doppia trama: la biografia personale e l'ideale di una vita giusta. Sono questi racconti di senso a colorare affettivamente le ragioni di una decisione e a dischiudere la ragionevolezza di un coinvolgimento emotivo 48. 48 Il nostro personalismo ermeneutico-narrativo ci ha indotto a dichiarare legittime tanto la richiesta di sostenere indeterminatamente una vita in stato vegetativo permanente, tanto la dichiarazione anticipata in cui si chiede di essere lasciati morire, interrompendo trattamenti di idratazione/nutrizione artificiale giudicati sproporzionati. Cfr. P. CATTORINI, La morte offesa. Espropriazione del morire ed etica della resistenza al male, Dehoniane, Bologna 2006 (vedi in particolare la Postfazione). 80 LE Etica e critica letteraria. La lezione di Wayne C. Booth OPERE, PRIMA DELLE TEORIE Se una pratica umana rifiuta di morire, a dispetto degli assalti che le teorie le hanno rivolto per secoli, ci deve essere qualcosa di sbagliato nelle teorie 49. Queste ultime potrebbero cioeÁ soffrire di alcuni limiti, che cercheremo di sintetizzare nel presente paragrafo. Non eÁ detto infatti che le teorie in se siano sbagliate o inutili, ma esse potrebbero essere inadeguate al compito di ridurre la complessitaÁ dell'oggetto all'astratta semplicitaÁ di alcuni principi concettuali. L'ambizioso obiettivo di rinvenire uno o pochi criteri formali di valutazione, i quali, applicati al testo, ne misurerebbero deduttivamente la qualitaÁ, si eÁ non solo rivelato un'irrealizzabile illusione, ma ha indotto la pericolosa tentazione di disertare - come lamentavamo - l'incontro con il testo in carne ed ossa e di utilizzare strumenti assiologici estrinseci all'opera in questione. Un discorso simile eÁ stato ripetutamente svolto in etica. La cosiddetta ``applicazione'' della teoria al caso non eÁ affatto unidirezionale, dato che la prima subisce un rimbalzo dalla realtaÁ ai princõÁpi. La teoria si perfeziona e corregge attraverso il confronto con i dilemmi concreti. Sono le storie a rappresentare il banco di prova della pertinenza, dell'attualitaÁ, dell'elasticitaÁ, dell'universalitaÁ, della finesse, del potere esplicativo, insomma di tutte quelle proprietaÁ, che ogni teoria seria rivendica di avere almeno in parte raggiunto 50. La teoria chiarisce ma non dissolve la complessitaÁ pratica, getta un'utile luce sul conflitto particolare, ma non sostituisce la saggezza decisionale e l'abilitaÁ interpretativa, richieste (sin dall'Etica Nicomachea) da attivitaÁ come la medicina o la navigazione 51. Si possono scorgere tracce di sopravvalutazione teorica nel tono declamatorio con cui vengono presentati alcuni ``diritti universali dell'uomo'', ancorandoli all'evidenza di una presunta ``legge naturale'', la cui fondazione o intuizione appare in realtaÁ assai controversa anche all'interno delle tradizioni religiose 52. Egualmente insoddisfacente si eÁ mostrata la koineÁ linguistica offerta da alcuni princõÁpi dell'etica biomedica 53, il cui valore universale, almeno prima 49 W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 6. P. CATTORINI, Le storie, prima delle teorie, ``Rivista per le Medical Humanities'', 2007, n. 4, pp. 11-16. 51 La corrente neocasistica l'ha ricordato con forza. Cfr. S. TOULMIN, Casuistry and clinical ethics, in E. DUBOSE, R. HAMEL, L.J. O'CONNELL, Eds., A Matter of Principles? Ferment in U.S. Bioethics, Trinity Univ. Press, Valley Forge 1994, pp. 310- 318. 52 G. ANGELINI (a cura di), La legge naturale, Glossa, Milano 2007, contesta (vedi ad es. l'Introduzione alle pp. 13-14) il pregiudizio naturalistico che affligge la tradizione classica e propone di passare da un'antropologia delle facoltaÁ dell'uomo ad un'antropologia drammatica, la quale illustri il necessario rimando dell'esistere ad una storia che leghi l'origine e il compimento (sperato) del desiderio di bene. 53 Ci riferiamo al noto volume di T.L. BEAUCHAMP, J.F. CHILDRESS, PrincõÁpi di etica 50 Paolo Cattorini 81 facie, nasconde confliggenti e paralizzanti polisemie nel momento applicativo, quando cioeÁ la teoria dovrebbe indicare, nel cuore di una biografia concreta e negli episodi di un racconto in prima persona, quali siano i gesti, le azioni e i comportamenti specifici, che dovrebbero corrispondere ai valori che la teoria auspicava: giustizia, beneficenza, integritaÁ morale, rispetto per l'autonomia. Un'altra ambiguitaÁ, generata dall'enfasi teorica, ha a che fare con la pretesa di possedere una chiave d'accesso unitaria, sistematica e cosõÁ esauriente rispetto alle questioni valutative, da svalutare la portata del dialogo con altre teorie. Questa ambizione di esclusivitaÁ caratterizza il cosiddetto monismo critico-letterario, che costituisce delle ipotesi adottate per dar conto della reciproca capacitaÁ di comprendersi da parte dei critici, anche quando sorgono, nel corso del dibattito, proteste d'incomprensione e fraintendimento. EÁ sotto gli occhi di tutti che la critica letteraria viene esercitata diversamente e perviene a valutazioni differenti non solo per la disomogenea competenza o per la multiforme sensibilitaÁ personale dei critici, ma per la pluralitaÁ degli indirizzi teorici di riferimento, che assegnano significati divergenti, a volte persino incompatibili fra loro, al valore del testo, all'esperienza della scrittura, al ruolo del lettore 54. EÁ dunque lecito chiedersi: quanto vi eÁ di comune tra le diverse posture interpretative, le quali tutte reclamano la propria fedeltaÁ al testo? Quanto vi eÁ invece di confliggente o addirittura di incommensurabilmente eterogeneo? Ad esempio, contestano il monismo posizioni metodologiche quali lo scetticismo, l'eclettismo, il relativismo o il pluralismo, secondo il quale due o piuÁ teorie, incomponibili da una teoria sintetica superiore, possono essere tutte vere e giustificare piuÁ conclusioni interpretative in merito allo stesso testo 55. Booth chiama ``coduzione'' l'operazione, ne induttiva ne deduttiva, con cui la valutazione estetica viene espressa tenendo conto dei molti punti di vista che lettori piuÁ o meno addestrati hanno espresso sull'opera ed elaborando argomentazioni che possano venire universalmente comprese, integrate, discusse, contraddette e rimodulate sulla scorta di esperienze estetiche (di lettura o rilettura), che l'incontro con quel testo ha reso e renderaÁ intebiomedica, Le Lettere, Firenze 1999 ed alle contestazioni di cui eÁ stato fatto oggetto ad es. in E. DUBOSE, R. HAMEL, L.J. O'CONNELL, Eds., A Matter of Principles? Ferment in U.S. Bioethics, op. cit. 54 W.C. BOOTH, Critical Understanding. The Powers and Limits of Pluralism, Univ. Chicago Press, Chicago-London 1979 eÁ il testo privilegiato di questo approfondimento. 55 Abbiamo visto in precedenza che questa ambiguitaÁ viene perlopiu Á riferitaÁ alla maggior complessitaÁ della realtaÁ rispetto alla strumentazione concettuale disponibile e che cioÁ non comporta una contraddizione logica. Booth sostiene tale pluralismo metodologico (pluralismo dei pluralismi - P, 344) e lo difende dall'accusa di incoerenza e di confusione teorica: cfr. W.C. BOOTH, Critical Understanding. The Powers and Limits of Pluralism, op. cit., pp. 26 e segg. 82 Etica e critica letteraria. La lezione di Wayne C. Booth ressanti ed accessibili 56. Al di laÁ delle diverse congetture privilegiate, resta il fatto che ogni esercizio di critica (che lo voglia o non, che se renda conto o no) include anche una critica della critica, una presa di posizione in merito alla pertinenza del proprio lavoro rispetto a tradizioni critiche avversarie, ciascuna delle quali, partendo da una prospettiva apparentemente originale, coglie con acutezza certe dimensioni ed allusioni del racconto, ma rischia di perderne altre. EÁ questa una diversitaÁ di fatto oppure anche di diritto? E la cooperazione che ne puoÁ scaturire eÁ reale oppure fittizia? Domande simili a queste ed analoghe proposte di soluzione sono state elaborate - come si sa anche in ambito etico. Chi difende il pluralismo come un bene condiviso, uno spazio di cui ottiche diverse fruiscono nel corso della loro ricerca, riconosce i benefici del dialogo: ciascun attore svolge piuÁ compiutamente la propria posizione per difenderla dalle obiezioni avversarie, la feconda di intuizioni che tradizioni rivali hanno approfondito, percepisce piuÁ acutamente i propri punti deboli e le aree lasciate inesplorate. Interrogandosi inoltre sulle condizioni di possibilitaÁ del dibattito (lingue totalmente estranee non potrebbero sostenere la fatica della contesa, ma solo moltiplicare i fraintendimenti), le diverse filosofie in gioco non possono evitare di domandarsi quale sia il senso di tale difformitaÁ, dove segnare la separazione fra pluralitaÁ e travisamento, e infine quale significato conferire al primato, che ciascuna di esse rivendica. Di qui l'esigenza di costruire luoghi, come l'UniversitaÁ, di ``dissenso forzato'', di obbligata partecipazione al conflitto, di esercizio ad un confronto esigente, lontano tanto dal dogmatismo saccente quanto dall'indifferentismo relativistico 57. Torniamo alla difesa del valore del testo, rispetto alle teorie, e ad un'altra sottile ragione per riabilitare la narrazione 58. I sistemi teorici generali rischiano di soffocare la vitalitaÁ del lavoro interpretativo, che ha per oggetto il particolare, per il motivo che essi hanno obliato la loro stessa radice o componente narrativo-artistica. Dietro una teoria del racconto e dietro la conseguente proposta di una criteriologia valutativa, sta infatti una narrazione originaria, una sorta di mito dello scrivere (in genere del fare arte), in cui si disegna la genesi e il destino dello scrittore, il suo ruolo nella societaÁ, il suo credito verso il lettore, l'idea di vita buona e quindi di esperienza degna e felice, che l'alleanza scrittore-lettore storicamente incarna o tradisce. Vi eÁ cioeÁ un racconto originario, nascosto dietro gli asserti teorici e 56 Cfr. le riflessioni di Booth in W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 72. A. MACINTYRE, Enciclopedia, genealogia e tradizione. Tre versioni rivali di ricerca morale, Massimo, Milano 1993, pp. 320-321. 58 In cio Á che segue forziamo alcune intuizioni di Booth in direzione di uno snodo teorico, che ci sembra decisivo tanto in sede letteraria che morale. 57 Paolo Cattorini 83 le definizioni categoriali, che funge da paradigma o archetipo per giudicare l'eccellenza degli esempi analizzati. Di questo mito del narrare parla ogni racconto, in cui viene a parola non solo questa o quella realtaÁ, ma - come dicevamo - la realtaÁ del discorso stesso, il senso della scrittura e della lettura, il desiderio di una trama che leghi diversi sensi dell'essere e che autorizzi l'autore a credere e rappresentare un mondo di valori, facendo appello ad un lettore che, nel cedergli tempo ed affetti, ricrei immaginativamente quel mondo e lo fecondi di altre varianti. CosõÁ il racconto noir parla non soltanto di una vicenda che finisce male, ma anche della morte del testo, del suo uscire da pagine bianche e ritornarvi, del silenzio mortale che lo circonda e che l'esplodere della parola fortunosamente rompe. In un recente saggio abbiamo operato un'analisi narratologica del finale del vangelo di Marco. Il venerdõÁ di croce muore il personaggio GesuÁ, muore il narratore GesuÁ, finisce la biografia di colui che pretendeva di essere identificato come il verbo, l'unico, definitivo racconto autorevole del princõÁpio-speranza. Finisce un certo racconto. Ma che ne eÁ del racconto? Che ne eÁ della forma narrativa in cui il mondo (e Dio, come autore del mondo) si dava a pensare a chi, credendo a GesuÁ come alla storia rivelativa del Padre, scrutava il senso dei suoi gesti e desiderava il compimento delle antiche promesse? Forse il racconto di Marco muore nel sepolcro? La risposta come sappiamo eÁ negativa. Il racconto contiene la morte del suo protagonista, nel duplice senso che la include e che si mantiene vivo come racconto, attraverso e nonostante tale morte. Il lettore eÁ quindi autorizzato a domandarsi se Dio non sia proprio il racconto, il principio di narrabilitaÁ dell'essere 59. Se una teoria letteraria nasconde nel suo seno un racconto fondativo, non puoÁ pretendere di costruirsi in forme razionalistiche, ne tantomeno di giustificarsi in forme concettualmente incontrovertibili. Non sorprende quindi che l'apparente unanimismo con cui, in una certa stagione culturale, vengono decretati i caratteri della narrazione riuscita (e per converso i segni del fallimento artistico), possieda sempre un tratto d'inquietante vaghezza ed evidenzi tracce di collusione con le mode proposte dall'industria culturale. Ad esempio, affermare che una novella, per essere ritenuta di qualitaÁ, debba evitare finali chiusi o che il narratore debba rinunciare alla dote dell'onniscienza, significa da un lato fare un'affermazione ancora vaga e dall'altro implica il rischio di nobilitare surrettiziamente i luoghi comuni del lettore pigro, del salotto autoreferenziale, del festival di massa. Indubbiamente l'ideale dell'opera chiusa ha rinforzato, in certe fasi storiche, l'oscurantismo 59 P. CATTORINI, Il racconto nel sepolcro. Etica narrativa e Vangelo di Marco, ``Bio-ethos. Rivista di bioetica, morale della persona e medical humanities'', 2009, n. 6, pp. 75-96. 84 Etica e critica letteraria. La lezione di Wayne C. Booth dottrinale, il veto conformistico, l'esito consolatorio, la rigiditaÁ della caratterologia, la faziositaÁ della propaganda politica. Ma affermare in positivo che cosa connoti un'apertura di qualitaÁ eÁ assai piuÁ difficile. Una, fra le definizioni proposte, eÁ stata questa: l'apertura autentica coincide con la disponibilitaÁ, plasmabilitaÁ, elasticitaÁ del testo rispetto all'incontro con un lettore, che possa agire da coproduttore immaginativo. Ma c'era bisogno di un altruismo di questo tipo? Valeva la pena di menzionare questo carattere come una condizione d'eccellenza artistica? Certi racconti di Maigret appaiono cosõÁ ben confezionati da venir sospettati di chiusura, ma il gioco che Simenon instaura con il suo lettore eÁ carico di movimenti tutt'altro che scontati 60. Ci sono aperture ed aperture e una criteriologia aprioristica risulta alquanto difficile da argomentare, al di laÁ del suo appeal retorico. Il filone del narratore onnisciente, colui a cui l'autore implicito consegna tutto il suo potere, ha indubbiamente partorito esempi stucchevoli, e tuttavia anche il lettore contemporaneo ha una veritaÁ da scoprire ed una bellezza di cui fruire, rileggendo i grandi testi, appartenenti a tale repertorio, che la tradizione gli ha consegnato. Al modello univoco di una critica deduttiva, che da una premessa definitoria generale (spesso esibita come una descrizione inequivoca, ma corrispondente in realtaÁ ad una potente assunzione valoriale, alla prescrizione cioeÁ che la buona letteratura dovrebbe essere tutta di un certo tipo) ricava le regole per misurare quanto disti il racconto sotto esame dal vertice della piramide estetica, cui tutti i racconti avrebbero il dovere di riferirsi, eÁ da preferire un approccio plurale: esistono diverse piramidi, o, meglio ancora, i racconti crescono in un giardino, in cui ciascuna specie ha il suo standard di eccellenza, di cui il botanico tenta di conoscere la specifica normativitaÁ e di cui il giardiniere s'incarica di promuovere la vitalitaÁ 61. Sono competenze ed abilitaÁ teorico-pratiche eterogenee che permettono di suggerire quando e perche un tulipano ha cessato di crescere, come e dove una rosa ha iniziato ad appassire o a rifiorire 62. Ebbene, non eÁ un caso che quella del giardiniere sia una delle metafore privilegiate dall'etica neocasistica: nel mondo della 60 La scelta di Simenon come esempio, qui e altrove, eÁ da attribuire a noi. W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 56; W.C. BOOTH, Retorica della narrativa, La Nuova Italia, Firenze 1996; rist. 2000 [tit. or. The Rhetoric of Fiction, Univ. Chicago Press, Chicago-London 1961 & 1983], p. 31; in W.C. BOOTH, A Rhetoric of Irony, Univ. Chicago Press, Chicago-London 1975, p. 277 Booth, che pure difende le qualitaÁ letterarie dell'ironia, contesta le regole rigide, astratte, che proporrebbero di estenderne l'uso. 62 Un tentativo (via negationis) di delineare in che cosa dovrebbe consistere la qualitaÁ di un critico letterario si trova ad esempio nell'elenco dei seguenti difetti: ignoranza, disattenzione, pregiudizi, inesperienza, inadeguatezza emotiva. Cfr. W.C. BOOTH, A Rhetoric of Irony, op. cit., p. 222. 61 Paolo Cattorini 85 vita morale le competenze valutative da esercitare non dipendono dal mero sapere intellettuale, per le stesse ragioni per cui non esigiamo da un giardiniere che possieda una laurea in botanica. Si tratta piuttosto di interpretare il senso di un dilemma morale, con prudenza analoga a quella con cui ci si prende cura di una pianta atrofica. Il confronto del problema particolare con casi paradigmatici, la sensibilitaÁ addestrata nel cogliere somiglianze e differenze fra le situazioni, la delicatezza nel percepire l'identitaÁ di uno sviluppo e di prevederne ambiguitaÁ e punti di rottura, l'elasticitaÁ creativa nel discernere cioÁ che emerge nell'irripetibile incontro tra oggetto ed interprete, tutto questo bagaglio di abilitaÁ connota la critica di qualitaÁ (tanto estetica che etica), il cui esercizio eÁ guidato da scelte di valore (come nella dedizione del giardiniere alla salute delle sue piante) e non da una distaccata esigenza conoscitiva. L'AMICIZIA DEL TESTO, IL DESIDERIO DEL LETTORE, LA TRASFORMAZIONE ETICA Una critica di ordine morale nei confronti di un noto ed apprezzato testo letterario, Huckleberry Finn, fu elevata da un docente di colore, che scandalizzoÁ i colleghi dell'UniversitaÁ di Chicago dichiarando di non poter piuÁ inserire nel suo programma il libro di Mark Twain 63. Per quanto arguto e seducente, quel libro conterrebbe una visione della razza, della schiavituÁ, dei doveri sociali, la quale sarebbe insostenibile moralmente e fonte di cattiva educazione. La qualitaÁ del finale di Huckleberry Finn, uno dei pochi testi giudicato quasi unanimemente un capolavoro 64, eÁ stata oggetto di ampie controversie. Una delle contestazioni piuÁ fondate eÁ stata assieme formale e contenutistica, appunto perche nella letteratura la struttura del racconto non eÁ separabile dal suo contenuto morale: il finale incrinerebbe l'intero significato del romanzo. La ricerca della libertaÁ, che include la solidarietaÁ affettiva di Huck con la fuga dell'afroamericano Jim dalla condizione di schiavituÁ, viene ultimamente soffocata dalla menzognera civiltaÁ del Mississippi, che inspiegabilmente, comicamente, concede un'improbabile libertaÁ al ``diverso'', senza peroÁ mettersi realmente in gioco 65. I personaggi si impoveriscono emotivamente, la trama 63 W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 3. Si ricorderaÁ il lapidario commento di Ernest Hemingway: ``Tutta la letteratura americana moderna viene fuori da un libro di Mark Twain: Huckleberry Finn. Se lo legge, si fermi peroÁ quando i ragazzi perdono il negro Jim. Quella eÁ la fine, il resto eÁ trucco. Ma il nostro libro piuÁ bello, e tutto quanto eÁ stato scritto in America viene di lõÁ: prima non c'eÁ niente e dopo niente che lo valga'', in Verdi colline d'Africa, Mondadori, Milano 1992, p. 46. 65 L. MARX, T.S. Eliot, Lionel Trilling, e Huckleberry Finn (1953), in M. TWAIN, Le avventure di Huckleberry Finn, Einaudi, Torino 1994, pp. 341-349. 64 86 Etica e critica letteraria. La lezione di Wayne C. Booth degrada inverosimilmente nel farsesco, e l'autore torna complice di una giocosa, ipocrita socialitaÁ. Il romanzo assume una forma circolare e termina cosõÁ come eÁ cominciato, ma questa astratta specularitaÁ (lodata da taluni critici) rovinerebbe l'unitaÁ della trama, che eÁ sin dall'inizio aperta da una curiosa, spregiudicata fuga in avanti, alimentando nuove figure d'immaginazione morale ed aprendo conflitti nella mente dei protagonisti. ``Oggi c'eÁ particolarmente bisogno di una critica attenta alle cadute di visione morale /.../. Ma il critico non eÁ in grado di svolgerla se sostituisce considerazioni di tecnica a considerazioni di veritaÁ: non solo ne deriveranno errori di giudizio letterario, ma potremmo incoraggiare simili evasioni in altri campi'' 66. Una critica di questa natura rientra nell'analisi letteraria? La domanda solleva una cascata di altre questioni: se la forma di un testo possa essere separata dal suo contenuto, se la letteratura meriti una considerazione extramorale, se la narrazione possa venire separata dall'etica, se l'esplorazione di mondi inediti, che la fiction intraprende, autorizzi a prescindere da qualsiasi remora o avvertenza di ordine valoriale, se l'autore letterario ``puro'' abbia titoli per rivendicare non solo come legittimo, ma addirittura come doveroso il programmatico disinteresse per l'effetto che la sua opera avraÁ sui pensieri, emozioni, comportamenti dei lettori, ed infine se esista davvero un critico letterario tanto ``formale'' da eliminare completamente dal novero delle proprie riflessioni una qualsivoglia opzione etica. Si ricorderaÁ la ferma disapprovazione di Oscar Wilde: non ci sono libri morali o immorali, ma libri scritti bene o male. L'edificazione non rientrerebbe fra le funzioni della letteratura poetica e quindi le tesi morali di un romanzo non costituirebbero un criterio per valutarne la qualitaÁ. L'estetica deve preservare la sua separatezza dall'etica, la sua anarchia morale. La letteratura produce semmai benefici psicologici: arricchisce il lettore, lo aiuta a trovare un senso nella vita, approfondisce le capacitaÁ empatiche (esercitandole anche nei confronti di attitudini francamente criminali) 67. Tuttavia si potrebbe facilmente replicare che la distinzione fra psicologia e morale eÁ diventata piuÁ fluida da quando si eÁ riabilitato il ruolo del desiderio, delle passioni e dell'intelligenza emotiva in ordine alla genuina decisione etica ed alla ricerca di un significato dell'esistenza. In secondo luogo lo stesso purista attribuisce al lavoro letterario proprietaÁ formative rilevanti: educazione all'apertura, alla tolleranza, all'identificazione, al distacco, alla cura di seÂ, alla maturazione soggettiva 68. Come non connettere queste componenti della 66 L. MARX, op. cit., p. 349. Ricostruiamo le tesi di R.A. POSNER, Against Ethical Criticism, in W.C. BOOTH, Ethics, Literature, and Theory, op. cit, pp. 63-77, che fa leva anche sull'estetismo di B. Croce. 68 R.A. POSNER, op. cit., p. 64. 67 Paolo Cattorini 87 liberal education al discorso etico? EÁ ovvio che la cultura letteraria non eÁ prerogativa degli uomini buoni; la si trova in tiranni, malavitosi e serial killer, ma l'imprevedibilitaÁ della libera scelta non esclude che il repertorio poetico possa affinare gli strumenti di comprensione interumana 69 e la percezione dei valori morali in gioco (anche quando si decide di optare per una soluzione opportunistica). L'empatia eÁ fenomeno pre-morale, spontaneo: il suo affinamento letterario non garantisce la virtuÁ del lettore, ma aiuta quest'ultimo (che ritrova aspetti di se nei personaggi con cui empatizza) a plasmare, se lo vuole, la sua struttura personale in senso virtuoso. In questo senso l'ethical criticism (la critica ``etica'' della letteratura) merita uno specifico riconoscimento, anche se le obiezioni, che lo scettico ``formalista'' gli ha rivolto, vanno prese in considerazione affincheÁ non si decada ad un miope moralismo. Tale deriva si realizzerebbe se i criteri del giudizio morale fossero faziosi, conformisti o parziali (come la storia delle censure ha purtroppo documentato) e non considerassero invece l'intera valenza di un'opera sulla maturazione personale degli individui, sulla profonditaÁ della loro indagine veritativa e sull'impulso alla costruzione di un mondo piuÁ giusto, in cui l'empatia e la solidarietaÁ possano venir rivolte a nuovi membri (umani e non umani, attuali o futuri) della comunitaÁ sociale 70. Per affrontare tali quesiti, dobbiamo tornare al tema del patto narrativo. La qualitaÁ etica dell'azione di leggere eÁ documentata dai doveri degli alleati. L'autore ha responsabilitaÁ verso il lettore in carne e ossa, verso l'opera che sta redigendo, verso il lettore implicito nel testo (colui a cui si rivolge l'autore implicito proponendogli una certa esperienza di lettura), verso altri soggetti allorche divengono materia del testo, verso di se come persona reale e come scrittore in formazione, verso la societaÁ futura, verso la veritaÁ. Il lettore ha la sua controparte di obblighi: verso di se in carne ed ossa, verso di se come scrittore in carriera, verso l'autore implicito e quello reale, verso gli altri lettori e la societaÁ in senso lato 71. Inoltre egli ha da svolgere consapevolmente quel compito di co-scrittura, di co-produzione, di co-duzione, secondo il neologismo di Booth, che la narratologia ha riconosciuto 69 Self-understanding e communal attunement sono per la Nussbaum, ``The Absence...'', M. NUSSBAUM, The ``Ancient Quarrel'': Literature and Moral Philosophy, op. cit., p. 104, obiettivi pratici dell'indagine etica, in merito ai quali una sinergia con la teoria letteraria puoÁ e deve essere tentata, dato che la questione di come vivere (connessa a quella del come e perche scrivere o leggere) eÁ cruciale in ogni racconto. Stupisce l'assenza di riferimenti al dibattito etico da parte della critica testuale, tanto quanto sorprende la svalutazione che certe tradizioni etiche, come quella kantiana e utilitaristica, hanno decretato nei confronti dell'immaginario narrativo. 70 Obiettivo che Rorty assegna alla letteratura per la sua capacitaÁ di produrre sorprendenti svolte gestaltiche, in R. RORTY, La filosofia dopo la filosofia, Laterza, Roma-Bari 1990. 71 W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., pp. 125 e segg. 88 Etica e critica letteraria. La lezione di Wayne C. Booth come inderogabile. V'eÁ di piuÁ: calandosi nello specifico testo, con cui viene a contatto, al di laÁ delle dichiarate intenzioni dell'autore o delle analisi sociologiche sui presunti effetti del medesimo, il lettore dovraÁ portare nel fuoco della sua analisi esattamente cioÁ che avviene nell'atto della lettura, poiche tale vita, la vita che passiamo in compagnia del testo, eÁ l'unica che, sotto questo aspetto, possiamo dire nostra e di cui possiamo riferire in modo pertinente 72. Ebbene, che cosa avviene nel gioco della lettura? Dovremmo anzitutto riconoscere che l'incontro con una storia possiede una valenza pratica (nel senso della ragion pratica), anzitutto per l'influsso operato dai contenuti del testo e dai valori a favore dei quali l'autore piuÁ o meno espressamente si schiera. Parliamo dell'autore implicito nel testo, alle cui convinzioni il lettore implicito accetta di aderire per apprezzare pienamente un racconto, mettendo tra parentesi le abitudini ed opinioni della propria vita reale 73. Sempre che vi riesca, ovviamente. Tale accordo potrebbe infatti urtare a tal punto il lettore da rendere impraticabile ogni ulteriore esplorazione narrativa. Inoltre, la proposta, il messaggio, la raccomandazione morali, che come lettori possiamo trovare convincenti o ripugnanti, sono espressi - in una modalitaÁ non meno importante - dalla forma, piuÁ esattamente dal tipo di relazione amicale, che ci eÁ dato di sperimentare man mano che la lettura prosegue: una relazione rispettosa o paternalistica, discreta o dispotica, avventurosa o tranquilla. Abbiamo mostrato alcune possibilitaÁ di tale relazione commentando Pride and Prejudice. Ogni storia infatti, chiedendo di esser letta, offre e promette una sorta di amicizia. Il lettore, di contro, decidendo di abitare quel mondo narrativo, vi impegna le proprie attese, concentra la volontaÁ, si coinvolge affettivamente, spera nella veritaÁ che un testo di qualitaÁ puoÁ offrire, quasi attendendo ``giustizia'' dal testo. Tutto cioÁ ha un impatto nell'architettura morale di chi legge. Il testo accende, amplifica, oppure stempera, soffoca, comunque addestra e trasforma il desiderio del lettore, almeno per il tempo in cui la suddetta amicizia viene vissuta 74. Questa esperienza esplorativa ci cambia. Non sappiamo chi saremo quando avremo concluso la lettura 75. Non sappiamo quan72 Si veda il titolo di W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit. W.C. BOOTH, Retorica della narrativa, op. cit, p. 142. 74 W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 204. Cfr. anche W.C. BOOTH, Retorica della narrativa, op. cit., pp. 395 e 407: la narrazione impersonale, ad esempio, ha suscitato molto spesso perplessitaÁ morali, per il fatto che l'opzione etica autoriale non viene tematicamente, lealmente esplicitata, al punto che al lettore riesce difficile dissociarsi da un centro di coscienza, magari francamente immorale, o addirittura criminale, che gli viene presentato con tutta la seducente difesa di un'abile retorica, volta a renderlo non solo comprensibile, ma persino giustificabile, se non sottilmente allettante. 75 W.C. BOOTH, Modern Dogma and the Rhetoric of Assent, op. cit., p. 165 precisa che la trasformazione eÁ emotiva e cognitiva: nuove esperienze divengono possibili, poiche nuovi concetti, opinioni e passioni si introducono nel repertorio del nostro seÂ. 73 Paolo Cattorini 89 to del nostro credo preesistente saraÁ confermato o invece indebolito. Occorre prendere sul serio l'affermazione di Flaubert che una delle cause del disastro toccato a Emma Bovary risiedeva nel fatto che ella avesse letto troppi racconti romantico-sentimentali in modo infantile. Flaubert non spende una sola parola per documentare la plausibilitaÁ di tale inferenza, tanto essa gli appare sicura 76. Le metafore e i racconti con cui e di cui viviamo (nella nostra ottica, le metafore sono racconti contratti, condensati e i racconti sono metafore dipanate, svolte, distese 77) sono come gli alimenti o le sostanze che assumiamo. Una volta entrati in noi, essi lasceranno un segno, anche se potranno incistarsi in qualche recesso segreto o venir digeriti piuÁ o meno laboriosamente. Il loro destino eÁ aperto: hanno il potere di nutrirci o avvelenarci, sostenerci o distruggerci. Dopo un training intensivo etico-letterario, in cui avevamo letto La montagna incantata, alcuni medici pneumologi mi confessarono di aver appreso qualcosa di nuovo in merito ai vissuti di malati, simili a quelli colpiti da tubercolosi e ricoverati a Davos, ed in merito al valore della vita malata ed improduttiva, almeno quello attribuitole da Thomas Mann. Questo ``qualcosa di nuovo'' ha un potenziale evolutivo diversamente esplosivo: per qualcuno potraÁ significare una semplice conoscenza supplementare, per altri l'assimilazione di un nuovo stile comunicativo, per altri ancora la sofferta decisione di cambiare professione. Come puoÁ avvenire una simile trasformazione? Come puoÁ la letteratura farci migliori o peggiori? Quali ragioni offre in tale direzione? Essa acuisce la sensibilitaÁ per differenti trame di senso (di ritmo, di colore, di immagine), inducendo a riconoscerne la coerenza interna, il contrasto con quanto segue o precede, la corrispondenza rispetto alle nostre attese, ed alimentando l'esigenza di condividere tale esperienza con la comunitaÁ dei fruitori; essa dimostra la profonditaÁ creativa ed esplorativa che tutti noi lettori custodiamo come potenzialitaÁ per lo piuÁ inespressa; documenta l'esteso grado dell'identificazione, estetica e morale, che siamo in grado di instaurare con i personaggi, i narratori, l'autore del testo; comunica elaborate varianti attitudinali e consente di viverle in prima persona, almeno nel tempo della fruizione, e di valutarle dall'interno; ci mette a contatto, nel tempo della lettura, con qualcosa di degno (l'oggetto artistico) che merita una specifica tutela. Il lettore puoÁ assecondare, rifiutare oppure recepire con tentennamenti il seduttivo richiamo delle controverse ragioni (ragioni per vivere, suicidarsi, sposarsi, generare figli, abbandonarli, continuare a leggere...) esibite da un testo, ma giaÁ il confronto con questi 76 77 W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 234. Cfr. ancora il ns. Un buon racconto, op. cit. 90 Etica e critica letteraria. La lezione di Wayne C. Booth dilemmi innesca una reazione etica non priva di effetti 78. Possiamo dire la cosa in un altro modo. Dando credito al tipo di amicizia, che il testo gli propone, il lettore non solo si imbarca in vicende a lui materialmente estranee, ma imbarca dentro la propria struttura morale i molti se che la storia suscita 79. Questo esercizio corrisponde ad un tratto costitutivo dell'esperienza morale, non semplicemente per il fatto che la socialitaÁ ci costituisce intimamente e promuove la nostra maturazione verso l'``autonomia'' (diventiamo umani dentro una poÁlis, maturiamo verso l'autonomia facendo l'esperienza di un ``attaccamento'' sicuro, come dicono gli psicologi), ma per la molteplicitaÁ delle voci (e quindi anche degli orientamenti morali), che albergano, dialogano, confliggono, in altre parole compongono l'orchestra mentale che possiamo identificare come ``nostra''. ``De-cidere'' moralmente significa infatti ``tagliar via'' alcune opzioni, che il repertorio dei nostri possibili se custodisce. La critica letteraria ha mostrato che qualcosa di simile avviene nella composizione testuale. L'autore, di cui godiamo l'amicizia nella lettura, non eÁ l'autore reale, ma eÁ quel tipo di scrittore, che la persona reale ha deciso di essere per il bene dell'opera, e possiede il carattere, che egli ha preferito selezionare e mettere al lavoro, per incontrare quel lettore, di cui sin dall'inizio ha avvertito il bisogno. Il fruitore, dal canto suo, impegnandosi liberamente nell'identificazione con i personaggi e nell'ascolto della o delle voci narranti (in cui l'autore manda avanti se stesso, piuÁ esattamente certi aspetti di seÂ, sotto forma di maschere privilegiate), sperimenta paure, speranze, credenze, desideri, che sono esclusivi di quel tipo di testo, la cui compagnia eÁ segnata da certe qualitaÁ e caratteristiche: socievolezza, ospitalitaÁ, responsabilitaÁ reciproca, intimitaÁ, impegno, coerenza, sorpresa, ampiezza esplorativa 80. Rispondendo all'invito del testo, ci si mette in azione come suoi complici e si impara a conoscere cosõÁ bene l'autore implicito, da poterne prevedere persino le mosse. Trattandosi di un'esperienza amicale, essa non promette di prolungarsi ad ogni costo, ma di mantenersi il piuÁ possibile 78 Abbiamo sintetizzato W.C. BOOTH, Modern Dogma and the Rhetoric of Assent, op. cit., pp. 168 e segg.: ``What Art Teaches''. 79 Vedi l'impianto di W.C. BOOTH, My Many Selves. The Quest for a Plausible Harmony, Utah State Univ. Press, Logan 2006, un'autobiografia culturale dell'Autore, in cui viene narrato l'itinerario di ricerca della propria identitaÁ, portando a parola le diverse figure, credenze e passioni che l'hanno costituita, e cercando le forme in cui i se in conflitto hanno tentato di armonizzarsi. Mormone di formazione, Booth abbandona poi in gran parte i dettami religiosi, ma riconosce in essi la radice della sua attenzione per l'etica e la retorica nella letteratura. Cfr. anche W.C. BOOTH, Modern Dogma and the Rhetoric of Assent, op. cit., pp. 126 e segg. ``The Self as a Field of Selves'': il se eÁ essenzialmente uno scambio simbolico, retorico tra diversi se interagenti e in grado di condividere valori. Booth confronta questa immagine dialettica interiore con alcuni miti individualistici moderni. 80 W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., pp. 179 e segg. e 255. Paolo Cattorini 91 spregiudicata. Per questo motivo le conseguenze morali del coinvolgimento, che il testo esige da noi, come lettori reali, sono tutte da verificare, pagina dopo pagina. Una lettura va interrotta se ci sta facendo male, ma non c'eÁ modo di scoprirne la nefandezza che assecondandone la seduzione, come il buon Maigret invita a fare con i criminali su cui egli indaga: identificarsi nel loro mondo e avere una pazienza incrollabile durante gli interrogatori. Alla fine, anche il peggior delinquente avraÁ voglia di raccontarsi e, se si eÁ pronti a credergli e addestrati a smascherare le sue bugie e i suoi falsi alibi, la veritaÁ verraÁ fuori. La storia ci occupa, riempie il nostro tempo o piuÁ precisamente il suo tempo s'impadronisce del nostro, facendo sõÁ che noi pensiamo i pensieri dell'altro come se fossero i nostri 81. Le forme di questo influsso morale sono varie, come dicevamo: certi testi offrono una diretta testimonianza di uno stile esistenziale, lo propongono come autentico, oppure ne contestano le contraddizioni. Altri testi ci fanno respirare dall'interno il ritmo di un pensiero, la musica di un certo carattere, il timbro di una qualitaÁ sentimentale. Se voglio comprendere chi sia lo Stephen dell'Ulisse di Joyce, devo diventare (almeno in parte) filosofo e fare esperienza, sia pure estremamente formale, di che cosa significhi filosofare e, filosofando, mettere in movimento l'enorme estensione dei dati culturale di cui Stephen dispone. Alla fine della lettura, non ho acquisito necessariamente una specifica preparazione filosofica, ma, se ho avvertito il fascino di Stephen, mi sono trasformato: ora potrei desiderare di studiare filosofia 82. Durante la lettura, un trapianto cognitivo ed emotivo ci ha trasformati e, per quanto flebili potranno esserne in futuro le conseguenze, almeno nel tempo della fruizione artistica, noi abbiamo vissuto, sentendolo persino come nostro dovere, questo tipo di cambiamento 83. Leggendo, riceviamo (limitiamoci per ora al lato passivo dell'incontro) un materiale di un certo tipo, nell'ordine voluto dall'autore, carico delle valenze morali che egli piuÁ o meno latentemente o insidiosamente vi ha impresso. Per fare nostro tale materiale accettiamo le credenze e le regole d'ingaggio che il testo propone, come condizioni per dimorarvi. Abitare un universo morale, in cui certe prioritaÁ (il successo rispetto all'insuccesso, l'amicizia rispetto al cinismo, la veritaÁ rispetto all'ignoranza, per fare solo alcuni esempi) sono stabilite come tacite condizioni o addirittura argomentate analiticamente o proposte attraverso narrazioni esemplari, non significa ovviamente abdicare alla propria competenza riflessiva ne sospendere ogni 81 W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 139. W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., pp. 274 e segg. 83 P. CATTORINI, Trapianti e cinema, ``KOS. Rivista di medicina, cultura e scienze umane'', ottobre 2005, n. 241, pp. 52-57 (ripubblicata come Trapianti mentali, ``Riv. Med. Hum.'', 2008, n. 8, pp. 66-72). 82 92 Etica e critica letteraria. La lezione di Wayne C. Booth disbelief. In gergo narratologico, non significa rinunziare a riscrivere, quali co-autori, quella stessa storia o ad immaginarne addirittura una contro storia. Significa peroÁ consentire ad una scissione interna ed instaurare un'arena plurale dentro la poÁlis della nostra mente e del nostro cuore. Qualcosa, di cioÁ che l'autore o il narratore valutano meritevole d'esplorazione, saraÁ creduto come tale e conseguentemente abitato e vissuto con passione; qualcos'altro accettato con sospetto, come quando accettiamo di accompagnare in gita automobilistica un nostro amico, ma pretendiamo di stare noi al volante; qualcos'altro ancora ci parraÁ cosõÁ inverosimile e pericoloso, da immaginarlo solo ``come se'' fosse reale e da incapsularlo in un sospetto costante. Il lettore reagisce verso qualunque narratore come verso una persona reale. Lo scruta e giudica in termini di credibilitaÁ, moralitaÁ, attendibilitaÁ 84. Ogni nuova storia lavora sul desiderio. Ci induce cioeÁ a diventare nuovi tipi di soggetti desideranti 85 e, attraverso questa tensione, a voler essere finalmente, irripetibilmente, noi stessi. Ogni racconto, cui scegliamo di credere, accende o soffoca il desiderio di avere desideri migliori e ci obbliga conseguentemente ad interpretare e confrontare le nuove attese con quelle precedenti, a mettere in competizione le nuove visioni di giustizia e bellezza, a far sõÁ che nuovi racconti correggano o fecondino quelli vecchi. Quali autorizzano a desiderare ancora? Quali mortificano le attese a proposito di noi e del mondo? Non c'eÁ modo di rispondere a queste domande, talora decisive per la nostra vita reale, se non si concede al racconto la chance di trasformare la nostra esistenza, immergendoci - nel tempo della lettura - in un mondo mai vissuto prima, incrinando le certezze che altri universi narrativi avevano creato e sostituendo, almeno transitoriamente, l'equipaggiamento valoriale di cui ci eravamo dotati. Un discorso simile vale per quelle metafore primarie o radicali (root metaphors) che promettono di superare antichi pregiudizi e di recare frutti conoscitivi innovativi 86. Secondo alcune di tali metafore, il mondo eÁ visto come volontaÁ o come atto, come macchina o come dramma. Lo stesso Booth impiega alcune metafore per indicare quale sia il fine di una liberal education, la formazione che ogni uomo dovrebbe ricevere. Una qualche narrazione eÁ necessariamente attiva sullo sfondo dei progetti didat- 84 W.C. BOOTH, Retorica della narrativa, op. cit, p. 284. W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 485. Il riferimento di Booth eÁ alle tesi di Charles Taylor. 86 W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 355. In argomento Booth rimanda a S. PEPPER, World Hypotheses. A Study in Evidence, Univ. California Press, Berkeley 1942. Sui fini di una ``liberal education'' Cfr. W.C. BOOTH, Is There Any Knowledge That a Man ``Must'' Have?, in The Knowledge Most Worth Having (Edited by W.C. Booth), Univ. Chicago Press, Chicago-London 1967, pp. 1-28. 85 Paolo Cattorini 93 tici, che trattano i discenti come macchine, animali o abitanti di un formicaio, oppure forniscono occasioni formative per promuoverne la libertaÁ. Tale promozione non eÁ soltanto il fine della liberal education, ma il suo stile o metodo: educare nella libertaÁ significa evitare l'indottrinamento e consentire allo studente di optare per contenuti corrispondenti ai suoi originali interessi. Imparare ad apprendere equivale ad imparare a pensarsi come l'attore che incarneraÁ cioÁ che altri hanno pensato per lui, non ripetendo acriticamente, ma riplasmando tali pensieri secondo la propria prospettiva e giustificando le proprie valutazioni ed azioni. Riflettere sulla veritaÁ delle cose, discernere la bontaÁ dell'agire e fruire della bellezza artistica sono - a giudizio di Booth - le competenze che ogni uomo dovrebbe possedere e sono gli obiettivi formativi, cui nessuna formazione liberale puoÁ rinunciare. EÁ dunque un lavoro etico, quello attraverso cui il lettore contribuisce a costruire il testo, o, detto in termini piuÁ ontologici, attraverso cui il testo accade e, accadendo, ossia dando rivelazione di seÂ, rivela ad entrambi gli ``autori'' (lo scrittore che lo compone e il lettore che lo esegue) chi essi realmente siano, da quale affinitaÁ valoriale siano legati e che cosa significhi il testo stesso (per cioÁ che abbiamo detto, quali siano i molti sensi del testo). La cosiddetta letteratura o poesia ``pura'' non eÁ mai value-free. Essa veicola opzioni valoriali, sia pure in forme diverse da come accade nei saggi di morale, nei manuali pedagogici e nei proclami parenetici. Quando le azioni dell'uomo assumono forma letteraria, ossia vengono inserite in una trama integrata narrabile, si connotano di significati, fra cui anche significati etici, che reclamano una reazione ed un giudizio da parte dei lettori e dei critici letterari, i quali cercheranno di decifrare gli strumenti, i punti d'eccellenza e i limiti dell'opera, che ha influito su di loro 87. I testi narrativi sono percioÁ, sotto un certo aspetto, sempre anche testi di retorica in senso alto. Producono effetti premeditati sul lettore, suscitano certe emozioni, seducono gli affetti, inducono a pensare secondo determinate prospettive, erodono convinzioni diffuse, comunicano veritaÁ - opportunamente selezionate - al pubblico dei fruitori. Il che significa che, mentre scrive, l'autore pensa giaÁ ad un destinatario, alle sue reazioni ed all'esperienza che questi faraÁ nel corso della lettura. L'autore non puoÁ evitare di influenzare le valutazioni morali del lettore; puoÁ semplicemente farlo bene o male 88. Per queste ragioni, sottoporre i testi narrativi ad un'indagine critica, dimenticando la suddetta componente retorica, significa trasgredire il legittimo richiamo aristotelico a modulare il metodo conoscitivo rispetto alla cosa da conoscere. La critica 87 88 W.C. BOOTH, Retorica della narrativa, op. cit., pp. 460-462. W.C. BOOTH, Retorica della narrativa, op. cit., p. 154. 94 Etica e critica letteraria. La lezione di Wayne C. Booth letteraria, che utilizzi anche strumenti interpretativi di ordine etico, eÁ quindi una pratica legittima. Del resto essa eÁ sempre esistita, anche quando si eÁ preteso di rimuoverla, evitarla, censurarla 89. Lo studio dei dispositivi retorici, che intessono ogni narrazione, non eÁ cosa facile. Esige infatti una competenza specifica, addestrata a discernere non semplicemente le ingannevoli tattiche della persuasione interessata, ma i simboli condivisi, che fondano, come basamenti nascosti, i mondi valoriali, che ogni racconto rappresenta, invitando il lettore a farvi ingresso e a percepirne la bellezza 90. A sua volta, anche l'arte della critica puoÁ dirsi retorica. In che senso? Un critico letterario ha l'onere di discernere le preferenze morali presenti nei testi che studia; di scoprire i valori supremi professati dall'autore implicito; di valutare la loro coerenza; di mettere alla prova la cogenza e credibilitaÁ delle visioni, che il racconto propone; di verificare le garanzie esibite dal narratore per raccogliere il consenso del lettore. Questo complesso lavoro merita la qualifica di retorico per il fatto che il critico letterario impegna a sua volta le proprie opzioni etiche, mentre giustifica le deliberazioni cui perviene, sostenendole con discorsi connotati da ragionevolezza, vibrazione emotiva, coinvolgimento personale, richiamo alle responsabilitaÁ dei soggetti e delle comunitaÁ letterarie coinvolte 91. Del resto, anche la produzione di un critico letterario eÁ a sua volta un esercizio di scrittura, che implica la ri-narrazione del testo di partenza ed una precomprensione del tipo di lettore interessato. Il patto, di cui abbiamo parlato a proposito del racconto, e le corrispondenti responsabilitaÁ, che legano autore e fruitore, riguardano quindi anche i testi di critica specialistica, nei quali uno studioso si rivolge ai suoi appassionati lettori. Non stupisce quindi che siano state proposte regole deontologiche per una critica letteraria, che intenda custodire e non saccheggiare il valore della produzione narrativa. Tali precetti prevengono la degenerazione della critica, quale 89 In P. CATTORINI, Bioetica clinica e consulenza filosofica, Apogeo, Milano 2008, abbiamo svolto considerazioni simili per la consulenza etica. Si eÁ sempre chiesto e fornito un consiglio ed una valutazione morali, talora camuffandoli dietro maschere di obiettivitaÁ tecnicoscientifica. Ad esempio si esprimeva una preferenza proprio nel modo in cui si decideva di offrire una sintesi di dati fattuali. Il punto non eÁ quindi se la consulenza etica sia o no possibile, ma solo se essa venga svolta in forme consapevoli, aggiornate, competenti, oppure attraverso metodi spontaneistici, selvaggi, indottrinanti. 90 W.C. BOOTH, The Vocation of a Teacher. Rhetorical Occasions 1967-1988, Univ. Chicago Press, Chicago-London 1988, pp. 105 e segg. Qualcosa di simile si puoÁ dire della ``letteratura'' scientifica. Anche in essa infatti esistono alcuni simboli, condividendo i quali vengono demarcati gli ambiti disciplinari. Tali presupposti non sono quindi dimostrabili all'interno dei diversi settori. Sono piuttosto quei paletti di confine, quelle regole del gioco, quelle opzioni cifrali, dando credito ai quali ciascuna comunitaÁ scientifica (filosofica e criticoletteraria comprese) attinge progressive scoperte. 91 Fra i diversi saggi di Perelman, cfr. C. PERELMAN, Il dominio retorico. Retorica e argomentazione, Einaudi, Torino 1981. Paolo Cattorini 95 retorica in senso alto (racconto-argomentazione convincente sul piano veritativo) 92 ad una ``bassa retorica'' (il trucco illusionista, la manipolazione opportunistica) 93. Come ogni analisi svolta razionalmente - etica compresa - anche la critica letteraria (discursive criticism 94) non si limita ad accostare testi diversi (e quindi a comparare racconti, miti, metafore, sistemi valoriali) per mostrarne la relativa pertinenza, ma si serve di apporti teorici, quali cifre e metodi d'argomentazione universalmente comprensibili. Questa dissezione interpretativa, come qualsiasi pratica anatomica, va svolta con prudenza: ne va del ``corpo'' del testo. Chi parla di un racconto (invece che semplicemente ripeterlo, cioeÁ esserne uno story teller) ne eÁ in parte giaÁ uscito; chi descrive, sintetizza e cataloga un mito (un grappolo di simboli legati da una trama, per come lo abbiamo definito) inevitabilmente lo impoverisce. Chi affronta un caso dilemmatico, misconoscendone la sua valenza storico-simbolica, ed applicandovi regole aprioristiche, degrada il proprio lavoro ad esercizio moralistico. NARRAZIONE, CRITICA LETTERARIA E FILOSOFIA L'ampia ricognizione operata da Booth (e da noi ricostruita nelle sue linee essenziali) conduce, come abbiamo mostrato, ad alcuni snodi teorici assai simili a quelli incontrati dall'etica applicata. Sono pertanto legittime alcune interrogazioni, con le quali concluderemo il nostro lavoro. EÁ possibile separare il lavoro interpretativo, imposto dalla narrazione, da quello propriamente filosofico? Ancor prima, eÁ pensabile una demarcazione tra racconto ed argomentazione? Si puoÁ asserire che l'emancipazione del pensiero filosofico abbia comportato la progressiva squalifica del pensiero mitico come infantile, visionario ed irrazionale? Oppure si deve ammettere, come 92 XIV. W.C. BOOTH, Modern Dogma and the Rhetoric of Assent, op. cit., Introduction, p. 93 W.C. BOOTH, The Craft of Research, (with G. G. Colomb and J. M. Williams), Univ. Chicago Press, (3rd ed.) Chicago-London 2008, pp. 20 e 273; W.C. BOOTH, Now Don't Try to Reason with Me. Essays and Ironies for a Credulous Age, Univ. Chicago Press, Chicago-London 1970, p. 39. Booth chiama ``rhetrickery'' l'arte di produrre fraintendimenti, opponendola alla retorica vera e propria (``Listening-Rhetoric''), che previene e rimuove i deficit comunicativi ed apre possibilitaÁ d'ascolto ed interazione piuÁ profonde, al punto da intuire e rispondere alle domande dell'interlocutore prima ancora che queste siano esplicitamente formulate da (W.C. BOOTH, The Rhetoric of Rhetoric, op. cit., Preface, p. X). Le astuzie dell'inganno possono anche essere tecnicamente sofisticate, ma eÁ la finalitaÁ della pratica il fattore decisivo per emettere un giudizio sulla qualitaÁ del retore. 94 W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 347. 96 Etica e critica letteraria. La lezione di Wayne C. Booth scrisse Nietzsche, che la scialuppa platonica abbia imbarcato una volta per tutte l'antica sapienza poetica, da cui la filosofia avrebbe voluto disfarsi 95? In tale direzione, non si dovrebbero considerare piuÁ in profonditaÁ i motivi per cui lo stesso Platone (come risulta dall'analisi delle sue ``dottrine non scritte'') intendeva tutti i suoi scritti come forme di mito? Con particolare riferimento all'etica, se si riconosce la peculiare complessitaÁ di esperienze, come quella morale, al punto da ammettere che esse siano difficilmente traducibili in un linguaggio concettuale e restino irriducibili ad un sapere dialettico o ad una scienza della logica 96, allora non stupisce che il nesso tra mito e filosofia, tra metafora e concetto, tra narrazioni e sistemi teorici sia stato riformulato in termini di embricazione e complementaritaÁ 97. CosõÁ, analogamente a cioÁ che abbiamo detto della letteratura, esisterebbero storie fondative (founding stories) 98, che costituiscono la cornice paradigmatica, la sorgente linguistica, la visione generativa non solo di tradizioni religiose, ma anche di scuole etiche, come l'utilitarismo, il proceduralismo o l'etica della cura. Proprio in sede di filosofia morale applicata eÁ stato sostenuto che: ``tutti i principali approcci all'etica sono radicati, di 95 Non abbiamo lo spazio per analizzare i programmi, ispirati all'intuizione nietzscheana, di decostruire l'opposizione tra concetto e metafora, riconoscendo la natura simbolica degli strumenti filosofici apparentemente piuÁ astratti. Cfr. J. DERRIDA, Margini della filosofia, cap. IX, La mitologia bianca. La metafora nel testo filosofico, Einaudi, Torino 1997, pp. 273 e segg. Derrida eÁ classificato fra i salvatori o riabilitatori della retorica in W.C. BOOTH, The Rhetoric of Rhetoric, op. cit., p. 78. 96 W.C. BOOTH, Modern Dogma and the Rhetoric of Assent, op. cit., p. 186: ci sono veritaÁ che possono esser dette solo in forma narrativa e trasformazioni che possono venir indotte solo da un racconto. Le ragioni di questa esclusivitaÁ hanno a che fare con il rapporto fra metafora e concetto e fra mito e filosofia, rapporto che Booth tuttavia non approfondisce in forme originali. 97 Citiamo per tutte la linea di ricerca di Paul Ricoeur, ben ricostruita da G. GRAMPA, Dalla simbolica alla poetica, in V. MELCHIORRE (a cura di), Icona dell'invisibile, Vita e Pensiero, Milano 1981, pp. 183-220. Cfr. P. RICOEUR, Se come un altro, Jaca Book, Milano 1993, a cura di D. Iannotta, la cui Introduzione L'alteritaÁ nel cuore dello stesso, tocca il tema che ci interessa nel par. b) la lettura del testo e dell'azione, pp. 36 e segg., segnalando quanto Ricoeur mutui da H.G. GADAMER, VeritaÁ e metodo, Bompiani, Milano 1983, per la nozione di ``mondo del testo'', e da A. KENNY, Action, Emotion and Will, Routledge and Kegan Paul, London 1963, per il contenuto proposizionale dell'azione. Ricoeur estende insomma ``il modello del testo all'azione, alle sue connessioni interne, al suo valore di messaggio, cioeÁ di proposta da «spiegare e comprendere» allo stesso titolo di un'opera letteraria'' [D. IANNOTTA, op. cit., p. 37]. Viceversa, che ``cosa sarebbe la tragedia se non fosse una mõÁmesis di azioni[?]'' [ibid.]. Dire eÁ fare; con le parole si fanno cose, per citare il noto testo di J.L. AUSTIN, How to do things with words, Oxford Univ. Press, 1962, nuova tr. it. di G. Villata, Come fare cose con le parole, Marietti, Genova 1987. Cfr. W.C. BOOTH, The Rhetoric of Rhetoric, op. cit., p. 67. Cfr. anche F. RIGOTTI, La veritaÁ retorica. Etica, conoscenza e persuasione, Feltrinelli, Milano 1995. 98 Il termine eÁ di Booth (W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 342), che lo riferisce alle religioni, ma noi lo utilizziamo a sostegno dell'esistenza di nuclei narrativi intrafilosofici. Paolo Cattorini 97 solito implicitamente, in una narrazione fondamentale, che puoÁ essere chiamata storia originaria, cioeÁ una storia che fornisce le origini o daÁ luogo alla teoria etica. La storia originaria, insomma, precede la teoria etica pienamente sviluppata, fornendo la prospettiva morale in cui situare il modo di interpretare una situazione umana'' 99. L'intera impresa di un grande filosofo puoÁ pertanto esser vista come una critica, particolarmente elaborata e svolta in forme argomentate, dell'inadeguatezza che connota le metafore di base, attorno alle quali ruotano filosofie avversarie 100. L'inadeguatezza puoÁ riguardare la metafora in seÂ, oppure la versione esplicativa che ne eÁ stata offerta: sottrarre ad una certa lettura di una potente visione mitica la pretesa di fungere come esclusiva, definitiva ed esauriente cifra del vero, questo eÁ stato sempre sentito come uno dei compiti della speculazione teorica in Occidente. D'altro canto, se abbiamo riconosciuto la componente simbolico-narrativa, che caratterizza diverse tradizioni teoriche 101, possiamo affermare che le grandi filosofie sono, per certi versi, metafore monumentali, edificate da sapienti critici della mitologia 102. Filosofia morale come critica letteraria, dunque. E critica letteraria come retorica in senso filosofico. Estetica ed etica si coappartengono poiche pensare per immagini (diacronicamente collegate fra loro entro racconti) e pensare per concetti (sincronicamente definiti) sono le due ali della medesima ricerca di senso 103. La filosofia puoÁ criticare il mito (senza pretendere di liquidarlo una volta per sempre come extra-filosofico) e il mito daÁ a pensare filosoficamente (se non vuole degenerare a dogma), poiche entrambi sono originariamente intrecciati. CioÁ che la critica letteraria realizza equivale a cioÁ che l'etica applicata produce: la giustificazione razionale di una valu99 W.T. REICH, Alle origini dell'etica medica: mito del contratto o mito di cura?, in P. CATTORINI, R. MORDACCI (a cura di), Modelli di medicina, Europa Scienze Umane, Milano 1993, pp. 39-40. 100 In W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 356, Platone e Kant sono citati come esempi di questa esegesi filosofica in merito alla metafora. 101 In Un buon racconto, op. cit., abbiamo analizzato alcuni nuclei narrativi, presenti in Kant ed Hegel. 102 W.C. BOOTH, The Company We Keep, op. cit., p. 361. M. Nussbaum, in W.C. BOOTH, Ethics, Literature, and Theory, op. cit., pp. 148-149, contesta l'assimilazione dello stile di scrittura filosofico a quello delle scienze matematico-naturalistiche. L'astrattezza anaffettiva, cui conduce tale equiparazione, dipende dalla negazione dell'apporto, che la letteratura, attraverso la sua turbolenza emotiva, puoÁ offrire all'indagine speculativa. L'autorappresentazione d'imperturbabile distacco, con cui si presenta talora il filosofo professionista, corrisponde alla rimozione di vissuti, che, per quanto ambigui, sarebbero assai fecondi per un'esplorazione etica, e che invece sono delegati a forme discorsive di ordine narrativo, le quali vengono viste come ridondanti esortazioni o come semplici miniere di esempi applicativi. 103 G. REALE, voce Platone, in Enciclopedia filosofica, RCS-Bompiani, Milano 2006, p. 8696. Da questo ed altri lavori di Reale abbiamo tratto il suggerimento di una rilettura di Platone, che ne rivaluti la componente dell'``oralitaÁ''. 98 Etica e critica letteraria. La lezione di Wayne C. Booth tazione. Tale giustificazione vive di una doppia valenza e adotta un duplice genere letterario: le ragioni del logos e quelle del mito si compenetrano e fecondano come momenti del medesimo pensiero, in cui ne va di una veritaÁ che sfugge all'imprigionamento categoriale e che impone una costante trasgressione prospettica 104. Una veritaÁ - per citare un autorevole pensatore che non eÁ nostro possesso, ma nostra via 105. 104 Di matrimonio fra letteratura e riflessione filosofica parla A. CUNNINGHAM, Reading for Life, op. cit., pp. 131 e segg. Di simbiosi tra etica ed estetica S.L. TANNER, The Moral and the Aesthetical: Literary Study and the Social Order, in W.C. BOOTH, Ethics, Literature, and Theory, op. cit., pp. 115-128; tale preziosa simbiosi sarebbe perduta allorche la critica d'arte venisse svolta in modo superficiale. 105 K. JASPERS, Von der Wahrheit, Piper, Monaco-Zurigo 1983. Il nostro personalismo ermeneutico-narrativo eÁ debitore della lettura cifrale, proposta da Jaspers e da noi analizzata sin dal volume Il trascendere formale in Karl Jaspers. Strumenti ed esiti di una metafisica nonoggettiva, Vita e Pensiero, Milano 1986.