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Tratti essenziali del quadro normativo di riferimento

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Tratti essenziali del quadro normativo di riferimento
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Tratti essenziali del quadro
normativo di riferimento
SOMMARIO
di Ranieri Razzante
1. Il percorso pre-MiFID. – 2. Il Financial Services Action Plan. – 3. ISD 93 –
Investment Services Directive. – 4. Il rapporto Lamfalussy. – 5. Il recepimento
della direttiva MiFID in Italia. – 6. I principi di fondo delle direttive e del regolamento MiFID.
1. Il percorso pre-MiFID
L’obiettivo di favorire la libera circolazione dei capitali nello spazio
europeo attraverso la realizzazione di un mercato interno nell’area dell’intermediazione bancaria, nel comparto assicurativo ed in quello dei valori mobiliari ha comportato l’avvio di un laborioso processo di avvicinamento normativo fra gli ordinamenti dei vari Stati comunitari finalizzato a garantire agli operatori libertà di stabilimento e di prestazione di
servizi. Questa finalità ha caratterizzato l’emanazione delle prime direttive comunitarie in materia tese, par l’appunto, al raggiungimento di una
armonizzazione dei vari ordinamenti nazionali in ambito finanziario.
Negli anni settanta, in presenza di sistemi finanziari ancora caratterizzati da forti segmentazioni nazionali e dominati da assicurazioni e banche, le prime direttive comunitarie di coordinamento hanno trattato la
definizione dei requisiti da soddisfare per consentire a questi intermediari
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Ranieri Razzante
di operare negli altri Stati membri. In particolare, sono state emanate due
direttive riguardanti le assicurazioni (la n. 73/1973 e la n. 267/1979) e
la prima direttiva banche (la n. 780/1977) cui è seguita, ben dodici anni dopo, una seconda direttiva (la n. 646/1989) destinata a segnare un
significativo passo in avanti nel processo di liberalizzazione dei mercati,
grazie all’introduzione del principio dell’autorizzazione comunitaria unica per le aziende di credito. Nello stesso anno il quadro normativo si
arricchiva della direttiva sulla solvibilità degli istituti creditizi vigilati
(89/67/CEE «On a solvency ratio for credit institution»).
L’obiettivo della “stabilità” caratterizzava questi interventi del legislatore comunitario, anche se nei “considerando” della seconda direttiva
banche si sottolineava come la stabilità fosse condizione necessaria anche
per assicurare eque condizioni concorrenziali ed adeguata protezione a
risparmiatori ed investitori.
Nel corso degli anni ottanta prende gradualmente forma, e si rafforza,
l’esigenza di avere regole funzionali a garantire stabilità ed eque condizioni competitive tra le diverse forme di intermediazione, nonché protezione degli investitori, in uno spazio europeo sempre più aperto alla libera
circolazione dei capitali e degli operatori sui mercati finanziari. Non a caso
in questi anni viene emanata una delle prime direttive (n. 611/1985) che si
occupa di intermediari attivi nel settore dell’intermediazione mobiliare,
anche se l’ambito di applicazione è circoscritto agli «Organi di Investimento Collettivo in Valori Mobiliari» (OICVM), che offrono quote di fondi
aperti su valori quotati in borsa o sui mercati regolamentati. Questo intervento normativo rispondeva soprattutto alla necessità di rimuovere le notevoli divergenze riscontrabili nelle legislazioni nazionali, così da ristabilire
corrette condizioni concorrenziali tra gli OICVM attivi nei diversi Stati
membri e facilitare la commercializzazione cross-border, abolendo le restrizioni alla libera circolazione delle quote. Il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative era finalizzato a consentire ad un OICVM di operare in tutti gli Stati membri sulla base di un autorizzazione unica concessa dal paese d’origine. In aggiunta, veniva richiesto
il rispetto di alcune “norme comuni” (relative, ad esempio, al processo autorizzativo, al controllo, alla struttura dell’attività, alle informazioni da
pubblicare) a tutela della concorrenza e degli investitori. Per trovare una
compiuta interpretazione dei principi cui si sono ispirate le direttive sopra
menzionate, occorre attendere fino al 1993 con l’emanazione della «Investment Services Directive» (ISD-93).
Tratti essenziali del quadro normativo di riferimento
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2. Il Financial Services Action Plan
Il Piano Comunitario di azione per i Servizi Finanziari («Financial
Services Action Plan-FSAP») è stato adottato l’11 maggio del 1999 dalla
Commissione Europea con l’intenzione di creare, a livello europeo, un
mercato finanziario integrato, indicando obiettivi generali e misure specifiche.
Le tre priorità indicate nel FSAP erano: 1) integrazione dei mercati finanziari all’ingrosso; 2) apertura dei mercati e servizi finanziari al dettaglio; 3) armonizzazione e rafforzamento delle regole di vigilanza.
I principali campi d’intervento previsti dal FSAP erano i seguenti:
– aggiornare la direttiva sui servizi di investimento;
– facilitare la raccolta di capitali di rischio su base europea;
– facilitare la libera circolazione di capitali e la libertà di investimento;
– facilitare gli investimenti cross-border dei piccoli risparmiatori;
– ridurre i costi di transazione per gli investimenti al dettaglio crossborder;
– adeguare la regolamentazione prudenziale e l’esercizio della vigilanza alla realtà di mercati finanziari fortemente integrati e di intermediari che operano in settori diversi.
Il FSAP era composto da oltre quaranta provvedimenti. Comprendeva, in particolare, quattro provvedimenti destinati ad influenzare l’operatività delle imprese bancarie: la direttiva sul market abuse; la direttiva
in tema di prospetti informativi; la direttiva sui mercati degli strumenti
finanziari; la direttiva sull’armonizzazione degli obblighi di informativa
degli emittenti quotati.
3. ISD 93 – Investment Services Directive
L’emanazione della «Investment Services Directive» (ISD 93), avvenuta nel 1993, ha contribuito in modo significativo alla modernizzazione dei mercati finanziari.
Con questa direttiva ci si poneva innanzitutto l’obiettivo di eliminare
le divergenze esistenti tra i regimi autorizzativi in vigore nei paesi europei per le diverse imprese di investimento, con riferimento alla presta-
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zione di servizi ed allo stabilimento di succursali . A tal fine si auspicava
che venisse definita una regolamentazione essenziale, necessaria e sufficiente a consentire il reciproco riconoscimento, con la Vigilanza affidata allo
Stato membro di origine, sia per le banche che per le imprese di investi2
mento non bancarie .
L’armonizzazione riguardava non solo la definizione dei requisiti per
ottenere l’autorizzazione iniziale, ma venivano stabiliti anche quelli relativi all’esercizio dell’attività e alcune norme di comportamento (ad esempio sistemi di controllo interno), al fine di garantire uguali condizioni
concorrenziali a tutti gli operatori del settore e tutelare gli interessi degli
investitori.
Successivamente all’entrata in vigore della ISD-93, ma più in particolare nell’ultimo decennio, abbiamo assistito ad una accelerazione del processo di trasformazione del mercato europeo dei capitali.
Alcuni dati possono essere utili per comprendere la portata delle dinamiche in gioco. In dieci anni il mercato dei bond è raddoppiato, la capitalizzazione del mercato azionario è triplicata, il turnover del mercato azionario ed il numero dei contratti derivati sono aumentati di sei volte.
Parallelamente è cresciuto il numero degli investitori attivi sui mercati,
si è ampliata la gamma e la complessità dei servizi e degli strumenti offerti accanto a quelli tradizionali. Con il diffondersi delle raccomandazioni personalizzate e dei servizi di consulenza, sono mutate le modalità
di prestazione dei servizi di investimento. Si sono sviluppati nuovi sistemi organizzati di negoziazione (MTF) accanto ai mercati regolamentati.
L’euro ha indubbiamente contribuito in modo significativo a favorire le
trasformazioni descritte; al riguardo basta segnalare il peso assunto co1
Si veda A. CERVONE-R. PARISOTTO, Direttiva MiFID, aspetti innovativi nella negoziazione
degli strumenti finanziari, in Impresa, 9/2007 pp. 1200-1201, nonché F. CAPRIGLIONE, Diritto delle banche, degli intermediari finanziari e dei mercati, Bari, 2003, pp. 1-94.
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Il quadro per la cooperazione stabilito dalla ISD è piuttosto sviluppato. I primi commentatori avevano rilevato come la necessaria cooperazione tra le Autorità di vigilanza, non limitata ad uno scambio di informazioni statico, dipenda dall’attitudine delle Autorità degli Stati
membri alle regole di condotta, alla nozione di regole di interesse generale e alla definizione
di attività transfrontaliere. La mancanza di concrete definizioni di concetti essenziali della
direttiva, e la conseguente non chiarissima interpretazione, è stata identificata quale potenziale problema nella cooperazione in materia di vigilanza. Sul punto si veda, F. RECINE, La
direttiva relativa ai mercati degli strumenti finanziari: nuove regole sulla cooperazione tra le
Autorità di vigilanza, in Studi sul rapporto tra banca e cliente, a cura di G.L. GRECO, Pisa,
2008, pp. 81-82.
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me moneta di riferimento nelle emissioni internazionali. Con la creazione di una zona valutaria più ampia, liquida e stabile, infatti, si sono palesate le condizioni di mercato più favorevoli per l’operatività degli emittenti e per una maggiore competizione tra gli intermediari. C’è chi sostiene che questa crescita sia stata frutto di uno sviluppo spontaneo dei
mercati, reso però possibile non solo da condizioni macroeconomiche
indubbiamente favorevoli a livello globale, ma anche dal disallineamento tra i diversi contesti regolamentari.
Sta di fatto che nello spazio unico europeo si è progressivamente creata
in quegli anni una molteplicità di mercati finanziari più o meno organizzati e regolamentati; spesso sono diversamente regolamentati. Questa
diversità nella complessità ha certamente veicolato sul mercato interno
stimoli concorrenziali, ma ha anche creato spazi per arbitraggi regolamentari. Tale situazione ha fatto emergere a livello comunitario la necessità di
affrontare le nuove problematiche sorte nel mondo dei servizi finanziari
in modo sintetico e strutturato. La risposta è venuta nel 1999 con il varo, da parte della Commissione, del citato «Financial Services Action
Plan» (FSAP), il quale si è successivamente concretizzato in 42 direttive
finalizzate a dare stabilità e competitività ai mercati finanziari in Europa. La MiFID è una di queste, che ha sostituito la ISD-93.
La comunicazione della Commissione Europea al Parlamento e al Consiglio del novembre 2000 aveva messo in luce la necessità di modernizzare la direttiva ISD, ormai non più in grado di rispondere alle richieste
delle forze di mercato che spingevano verso una sempre più effettiva ed
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ampia integrazione dei siti finanziari .
Fra gli obiettivi fondamentali da perseguire nella riforma della disciplina dei mercati finanziari, la comunicazione della Commissione Europea si concentrava in particolare sulla necessità di assicurare: un regime
effettivo di passaporto per le imprese di investimento; l’effettiva competizione dei mercati e altre piattaforme di trading; l’effettiva armonizzazione delle regole di condotta; la rimozione degli ostacoli al clearing &
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La Commissione, quando ha cominciato a lavorare alla modifica della direttiva, ha sottolineato come disposizioni e definizioni non chiare aprivano la via a discrepanze nell’interpretazione e nell’applicazione a livello nazionale. Oltre a ciò, il ricorso alla clausola del c.d.
“interesse nazionale” ha reso possibile un’ampia diluizione della filosofia del paese di origine
della ISD. Si veda, sul punto, Commissione CE, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, Aggiornare la Direttiva sui servizi di investimento (93/22/CEE),
Bruxelles, 16 novembre 2000, p. 8.
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settlement su base transfrontaliera . Tali obiettivi, unitamente alla necessità di perseguire gli stessi attraverso uno strumento legislativo che fosse
al passo con i tempi di un mercato che si stava sempre più rapidamente
evolvendo, sono stati ribaditi dalla Commissione Europea nella proposta finale di direttiva del 2002. Con riferimento al principio del passaporto europeo per le imprese di investimento, a suo tempo già stabilito
dalla direttiva ISD, si rilevava che esso era stato notevolmente affievolito
dal fatto che in diversi casi si era consentito l’intervento dello Stato mem5
bro ospitante . I progressi intervenuti nel settore tecnologico avevano
poi consentito l’ingresso di nuovi soggetti nel trading degli strumenti
finanziari e ciò aveva posto in dubbio l’appropriatezza e l’efficacia della
regola della concentrazione, pervenendosi alla conclusione che l’effettiva
tutela degli investitori si potesse meglio realizzare attraverso l’imposizione della regola della best execution (che obbliga le imprese di investimento ad eseguire gli ordini alle condizioni migliori) piuttosto che attraverso l’obbligo di concentrazione.
La Commissione Europea aveva inoltre riconosciuto che la facoltà
lasciata agli Stati membri di chiedere che le transazioni fossero eseguite
su un mercato regolamentato aveva finito per creare una situazione estremamente variegata all’interno dell’UE: alcuni Stati membri, fra cui l’Italia, avevano infatti optato per tale soluzione, mentre altri avevano lasciato alle imprese di investimento la responsabilità di determinare se la singola transazione soddisfacesse o meno la regola della best execution. Tali disparità avevano contribuito a frammentare la liquidità e a costituire
ostacoli alle transazioni cross border. Anche le regole di condotta avevano mostrato la necessità di una profonda e completa rivisitazione, sia per4
Inoltre, si è sentita la necessità di migliorare l’armonizzazione delle regole riguardanti i
mercati regolamentati per quanto riguarda la regolarità delle negoziazioni, l’informazione e
la trasparenza e di introdurre nuove regole per facilitare la cooperazione tra le Autorità di
vigilanza dei mercati. È stato evidente sin dall’inizio che una stretta cooperazione tra le Autorità di vigilanza può essere realmente efficiente solo se viene migliorata la convergenza regolamentare. I problemi derivanti dalla mancanza di convergenza regolamentare e la necessità di migliorare la cooperazione tra le Autorità europee di vigilanza in materia di valori immobiliari erano già chiaramente identificati da T. Padoa-Schioppa nella relazione annuale
alla Consob presentata il 31 marzo 1998. Sul punto si veda, anche, I. PORCHIA-P. SPATOLA,
Panoramica dei motivi per la riforma della Direttiva ISD, in L. ZITIELLO (a cura di), La MiFID
in Italia, Milano, 2009, pp. 10-12.
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L’art. 17, par. 4, direttiva ISD consentiva allo Stato membro ospitante di sottoporre alla propria vigilanza la succursale di un’impresa di investimento e di imporre ad essa regole
di comportamento per motivi di interesse generale.
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ché le stesse si erano rivelate eccessivamente vaghe, sia perché lo spazio
di discrezionalità lasciato agli Stati membri era risultato nel corso del tempo troppo ampio.
Infine, nel settore del clearing & settlement erano emerse lacune dovute soprattutto al fatto che l’accesso indiretto ai sistemi di compensazione e di regolamento aveva dato luogo ad un incremento dei costi e interferenze nell’effettiva esecuzione delle operazioni.
4. Il rapporto Lamfalussy
La procedura Lamfalussy è stata ideata per agevolare e snellire le modalità di adozione della normativa comunitaria nel settore dei servizi e
dei mercati finanziari, facilitandone l’adeguamento ai rapidi sviluppi
delle prassi commerciali.
L’approccio normativo fa parte delle misure previste dal piano di azione per i servizi finanziari approvato dalla Commissione Europea nel
maggio 1999 allo scopo di rafforzare l’integrazione dei mercati finanzia6
ri e di armonizzare la regolamentazione comunitaria in materia .
Per rispondere a tali esigenze, il Consiglio dell’Unione Europea ha
istituito, nel luglio 2000, un comitato di saggi (di cui Alexandre Lamfa7
lussy era Presidente) , i cui lavori si sono conclusi nel febbraio del 2001
con la pubblicazione di una relazione sulla regolamentazione dei merca8
ti dei valori mobiliari europei . Nella relazione è stata proposta l’introduzione di nuove tecniche legislative e regolamentari basate su un approccio a quattro livelli e l’istituzione di due comitati incaricati di assistere la Commissione Europea nella formulazione delle proposte relative all’adozione degli atti normativi comunitari.
I livelli in cui si articola l’approccio proposto dal Comitato Lamfalussy
6
Sul punto, A. CERVONE-R. PARISOTTO, Direttiva MiFID, aspetti innovativi, cit.
Punto di partenza della MiFID è il Financial Services Action Plan (FSAP). Il FSAP pose l’obiettivo di creare un mercato dei servizi finanziari pienamente integrato a livello europeo, indicando una serie di provvedimenti da adottare entro il 2005, tra i quali giocava un
ruolo di primo piano la direttiva MiFID. La procedura Lamfalussy, istituita dal FSAP per le
attività UE relative al mercato mobiliare, fu il suo naturale seguito.
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Sul punto, I. PORCHIA-P. SPATOLA, Panoramica dei motivi per la riforma della Direttiva
ISD, cit., pp. 1-5.
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intendono accrescere l’efficienza e la trasparenza del processo di regolamentazione comunitaria nel settore dei valori mobiliari:
– livello I – Principi quadro: atti legislativi adottati dal Parlamento
Europeo e dal Consiglio mediante procedura di co-decisione, contenenti i principi quadro definiti dalla Commissione;
– livello II – Misure attuative: atti legislativi adottati dalla Commissione con il supporto di “comitati di livello 2” (composti dai rappresentanti degli Stati membri), contenenti le misure necessarie per rendere
operativi i principi posti a livello 1;
– livello III – Cooperazione: recepimento delle direttive da parte degli Stati membri. Adozione di misure tecniche di secondo livello predisposte dalla Commissione con il supporto del “comitato di livello 3” (composto da rappresentanti di alto livello delle Autorità nazionali di vigilanza), per promuovere la operazione tra le Autorità nazionali di vigilanza
e facilitare l’applicazione coerente e uniforme della normativa in tutti gli
Stati membri;
– livello IV – Controllo: provvedimenti della Commissione per verificare l’effettiva conformità degli Stati membri alla legislazione comunita9
ria, anche mediante procedura di infrazione .
La finalità dell’approccio delineato nel rapporto Lamfalussy è duplice: da un lato, rendere più agevole ed efficiente il processo decisionale
in materia di regolamentazione finanziaria; dall’altro, realizzare un coinvolgimento degli agenti direttamente interessati, quali ad esempio gli intermediari. La prima finalità viene perseguita limitando il coordinamento tra Commissione, Consiglio e Parlamento europei alla definizione dei
principi generali (livello I): questo evita che tali soggetti debbano raggiungere un consenso su tutti i dettagli tecnici della nuova regolamentazione. Al contrario, infatti, questo primo stadio si dovrebbe limitare alla
definizione di un accordo politico, che delinei le linee guida della regolamentazione e i criteri che dovranno ispirare la formulazione dei dettagli
della stessa, che invece è rimandata a livello II. La seconda finalità viene
realizzata grazie alla previsione di un processo di consultazione degli agenti economici interessati alla nuova regolamentazione: di ciò si deve fare carico il CESR, nella fase di definizione dei dettegli tecnici (Livello II).
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Si veda, sul punto, R. RAZZANTE (a cura di), La Mifid – Come è cambiato il TUF, Napoli, 2008, pp. 6-7.
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Il rapporto Lamfalussy prevede la creazione di due nuovi organismi:
ESC e CESR. Il primo (European Securities Committee) è composto da
rappresentanti degli Stati membri, tipicamente provenienti dalle autorità e dagli enti nazionali competenti in materia economica e finanziaria, ed
è presieduto da un rappresentante della Commissione Europea. Quest’ultima è assistita dall’ESC nell’adozione finale delle misure attuative di secondo livello; in particolare l’ESC agisce come comitato di regolamentazione ed esprime il proprio parere sulle proposte relative alle misure
di esecuzione. A questo compito si aggiunge una più generale funzione
consultiva che l’ESC svolge nel campo della regolamentazione dei servizi e dei mercati finanziari.
Il CESR è un comitato di natura tecnica ed è composto dai rappresentanti delle Autorità di vigilanza competenti nel settore dei mercati
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finanziari degli Stati membri ; esso svolge attività di consulenza per la
preparazione delle misure esecutive di secondo livello. La consulenza
tecnica predisposta (technical advice) viene trasmessa alla commissione
europea, nei termini da questa indicati in un mandato, unitamente a un
documento (Feedback statement) nel quale il CESR dà conto degli esiti
della consultazione pubblica e delle motivazioni alla base delle valutazioni compiute. Oltre a questa funzione il CESR ricopre un ruolo importante anche nell’ambito del terzo livello: allo scopo di garantire l’applicazione uniforme della normativa comunitaria negli Stati membri, il comitato formula standard che riflettono raccomandazioni o interpretazioni comuni della regolamentazione comunitaria. Tali standard, pur non avendo natura normativa, costituiscono regole che i membri del CESR si impegnano a recepire o a promuoverne il recepimento nei rispettivi ordinamenti di appartenenza.
Il funzionamento della procedura Lamfalussy è sottoposto al controllo di un comitato interistituzionale (Inter-Istitutional Monitoring Group),
composto da rappresentanti nominati dalla Commissione Europea, dal
Consiglio e dal Parlamento Europeo, con il compito di verificare i progressi compiuti nell’attuazione della procedura, evidenziando eventuali
ostacoli e formulando proposte correttive.
10
L’articolazione e la complessità dei temi toccati dalla MiFID hanno reso necessaria la
produzione di varie “guidelines” da parte del CESR, quantomeno in alcuni ambiti particolarmente delicati (best execution; incentivi). Sul punto, si veda, Rivista delle società, Recepita
in Italia la direttiva MiFID, sezione notizie, n. 6/2007, pp. 1476-1481, nonché il sito internet
dell’Organismo: www.cesr-eu.org.
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5. Il recepimento della direttiva MiFID in Italia
L’emanazione della direttiva MiFID da parte del legislatore comunitario può essere vista come il naturale completamento del processo sopra
descritto. L’estensione della procedura Lamfalussy a tutti i settori finanziari garantisce l’opportunità di creare un quadro regolamentare maggiormente armonizzato e semplificato. La MiFID ha previsto una serie di disposizioni ben precise che garantiscono di per sé una regolamentazione
dettagliata della gestione dei nuovi mercati e di come debbano svolgersi
11
le attività di intermediazione e consulenza .
Ad essa ha fatto seguito l’emanazione della direttiva 10 agosto 2006,
2006/73/CE (da subito denominata MiFID II), e quella del Regolamento n. 1287/2006, entrambe attuative del II livello della procedura Lamfalussy. L’adozione del Regolamento rientra nella logica della piena attuazione delle disposizioni a livello comunitario, essendo il Regolamento
direttamente applicabile agli ordinamenti degli Stati membri.
Il recepimento in Italia delle disposizioni comunitarie ha comportato
un lungo processo che ha visto il legislatore italiano impegnato nell’emanazione di più testi normativi ed attuativi della direttiva in questione.
Il recepimento ha trovato il suo culmine con l’emanazione di una legge delega del gennaio 2007 per mezzo della quale è stato modificato an12
che il Testo unico della finanza . Nel redigere le norme di recepimento
si è tenuto conto dei parametri dettati dalla procedura Lamfalussy ma,
11
Per un maggiore approfondimento, si veda F. CAPRIGLIONE, Diritto delle banche, degli intermediari finanziari e dei mercati, Bari, 2003, pp. 1-94., nonché F. CIVALE-D. SPREAFICO, La nuova disciplina comunitaria in tema di servizi di investimento e mercati finanziari,
in Riv. Guardia di Finanza, 3/2007, pp. 352-359.
12
Il recepimento della direttiva 2004 in Italia è stato originariamente previsto dall’art. 9bis, legge 18 aprile 2005, n. 62 (c.d. legge comunitaria 2005), che non aveva tuttavia indicato
i necessari criteri di delega. Tale lacuna è stata colmata dalla legge 6 febbraio 2007, n. 13, il
cui art. 10 ha indicato i criteri di delega per il recepimento della direttiva I. Il termine ultimo per il recepimento della direttiva I era fissato per il 31 gennaio 2007 e la legge delega
aveva previsto che la delega per il recepimento potesse essere esercitata dal Governo entro
lo stesso termine previsto dalla direttiva I. Si trattava peraltro di un termine eccessivamente
esiguo per completare le procedure di adozione nel decreto di attuazione; ciò ha portato ad
un’ulteriore proroga al 30 settembre 2007 del termine per il recepimento legislativo, che è
stato finalmente attuato con l’adozione del d.lgs. 17 settembre 2007, n. 164 il quale ha a sua
volta modificato le disposizioni del T.U.F. Per una disamina più articolata di questi iter legislativi si vedano, tra gli altri, I. PORCHIA-P. SPATOLA, Panoramica dei motivi per la riforma
della Direttiva ISD, cit., pp. 1-30.
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soprattutto, delle reali intenzioni del Comitato, cioè di creare un sistema
normativo integrato a livello transnazionale, evitando così frammentazioni tra le normative dei diversi Stati comunitari. La reale intenzione del
legislatore comunitario nell’emanare la direttiva MiFID ed il Regolamento n. 1287/2006 era quella di fornire dei parametri che fossero utili per
fissare i principi cardine da cui partire per l’adeguamento graduale degli assetti interni di ciascuno Stato membro. In questo senso la direttiva
lasciava spazio all’autonomia degli Stati che avevano il compito di modificare i propri assetti in ragione dei nuovi principi fissati. L’opera di recepimento è stato di gran lunga più semplice per gli Stati dell’Unione dopo l’emanazione del Regolamento n. 1287/2006: la “via regolamentare”,
infatti, rendeva direttamente applicabili all’interno dei singoli ordinamenti le norme contenute nel Regolamento stesso senza necessità di una norma di recepimento. In tal modo, fra l’altro, si evitavano a monte tutti i possibili problemi legati all’interpretazione della direttiva da parte di ogni
Stato che, volendo, avrebbe potuto adattare il contenuto della stessa alle proprie esigenze interne.
È da rilevarsi che la direttiva MiFID è andata oltre le migliori aspettative, confermandosi come punto di riferimento per l’emanazione della
seconda direttiva, la 2006/31/CE, che ha prorogato il termine per l’attuazione della MiFID dal 31 gennaio 2007 al 1° novembre 2007.
Il Consiglio dei Ministri, con d.lgs. 17 settembre 2007, n. 164 ha ap13
provato in via definitiva le modifiche del T.U.F. . Il legislatore nazionale, in armonia con l’ormai consolidato principio di delegificazione già acquisito dal T.U.F., delega l’individuazione delle regole specifiche al potere normativo dalla Consob e della Banca d’Italia. Nel caso di specie
alle Autorità di vigilanza è demandato il compito di recepire le disposizioni di fonte europea, alla cui formulazione la stessa Consob ha partecipato, sia pure in sede consultiva, attraverso il Committee of European
13
Con il d.lgs. n. 164/2007 è stata data attuazione, in Italia, alla disciplina recata dalla
direttiva MiFID (direttiva 2004/39/CE) e dalle relative disposizioni di “secondo livello”. Il
recepimento si è sostanzialmente completato con la successiva approvazione, da parte della
Consob, del nuovo testo del regolamento intermediari (Regolamento approvato con delibera 29 ottobre 2007, n. 16190) e del Regolamento mercati (Regolamento approvato con delibera 29 ottobre 2007, n. 16191), nonché con l’emanazione del Regolamento congiunto, approvato sempre in data 29 ottobre 2007, dalla Consob e da Banca d’Italia ai sensi del disposto dell’art. 6-bis, d.lgs. n. 58/1998. Si veda M. GUERNELLI, L’intermediazione finanziaria fra
tutela del mercato, legislazione consumeristica e orientamenti giurisprudenziali, in Giur. comm.,
2/2009, I, pp. 383-395.
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Securities Regulation. L’art. 2, comma 2, d.lgs. 17 settembre n. 164, modificando l’art. 6 T.U.F., si preoccupa in particolare di rispettare i dettami imposti in sede comunitaria in tema di impatto della regolamentazione.
La sostanziali innovazioni in materia di mercati sono state introdotte
nel Regolamento Consob 29 ottobre 2007, n. 16191 (c.d. «Nuovo Regolamento Mercati»). In estrema sintesi, il potere, concesso alla Consob
dalla previgente formulazione dell’art. 25, comma 2, T.U.F., di imporre
l’obbligo di concentrazione della negoziazione degli strumenti finanziari
nei soli mercati regolamentati, ha lasciato spazio all’opposto divieto, per
lo Stato, di prevedere una siffatta regola. Tale scelta è stata adottata in
virtù dell’emergere di nuovi sistemi di negoziazione, gestiti anche da im14
prese di investimento .
Ancora più significative sono state le novità in tema di intermediazione finanziaria: ad una disciplina uniforme se ne sostituisce una più duttile e attenta a graduare le forme di tutela in base alle diverse tipologie dei
clienti. Le novità hanno assunto tale spessore da indurre la Consob ad
abrogare il Regolamento 1° luglio 1998, n. 11522 e ad adottare, con delibera 29 ottobre 2007, n. 16190, un nuovo Regolamento Intermediari.
In linea con le fonti comunitarie in recepimento, il nuovo Regolamento
Intermediari si muove nella direzione di porre maggiormente in rilievo la
centralità del cliente quale destinatario del servizio prestato dall’intermediario, anche nel caso di servizi connessi con la distribuzione al pubblico di strumenti finanziari. Da tale centralità discende, tra l’altro, la
necessaria contrattualizzazione del “rapporto di servizio” che intercorre
tra l’intermediario (anche se mero collocatore) ed il cliente retail, al fine
di porre lo stesso cliente nelle condizioni di assumere piena consapevolezza del quadro dei diritti e degli obblighi derivanti dalla prestazione
15
dei servizi di investimento .
La disciplina contenuta nel decreto di recepimento (artt. 77-bis e 79ter T.U.F.) traspone, nell’ordinamento nazionale, le disposizioni della
direttiva e le coordina con la disciplina in materia di mercati regolamen14
Su questo punto, si veda F. DURANTE, Con il nuovo regolamento intermediari, regole
di condotte “flessibili” per la prestazione dei servizi di investimento, in De Jure, Riv. giur. merito, n. 3, marzo 2008, p. 3.
15
Sul punto, si veda A.A. RINALDI, I principali cambiamenti dopo il decreto MiFID e i regolamenti attuativi, in Le Società, n. 1, 2008, p. 13.
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tati, rinviando alla regolamentazione secondaria della Consob la definizione dei requisiti minimi di funzionamento dei sistemi multilaterali di negoziazione e i criteri per l’individuazione degli internalizzatori sistematici sulla base della normativa comunitaria di attuazione prevista dalla
direttiva stessa.
Come accennato, il contesto di mercato si caratterizzava, prima della
MiFID, per la presenza di un obbligo di concentrazione degli scambi che
imponeva che le transazioni di titoli azionari quotati in mercati regolamentati fossero effettuate in un mercato regolamentato; con l’eccezione
degli scambi di dimensioni superiori a quelle normali (i c.d. blocchi).
Come ulteriore modalità di esecuzione delle negoziazioni mobiliari, la direttiva prevede e disciplina la c.d. internalizzazione sistematica
(systematic internaliser), cioè la possibilità, per le imprese di investimento, di eseguire al loro interno (ossia al di fuori di un mercato regolamentato o di un sistema multilaterale di negoziazione) gli ordini dei clienti,
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in concorrenza con gli altri intermediari e con gli stessi mercati .
Prendendo atto dell’emergere, accanto alla figura dei mercati regolamentati, di nuovi sistemi di negoziazione, la MiFID introduce un’ulteriore modalità di negoziazione, quella dei Sistemi Multilaterali di Negoziazione (multilateral trading facilities, MTFs). Trattasi di sistemi “multilaterali”, dove cioè intervengono più operatori, con modalità di funzionamento simili a quelle dei mercati regolamentati, ma che possono essere gestiti anche da intermediari, oltre che dagli stessi mercati regola17
mentati .
6. I principi di fondo delle direttive e del regolamento MiFID
Gli obiettivi della normativa MiFID sono in realtà semplici e chiari:
pervenire alla creazione di un mercato interno dei servizi finanziari che
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La direttiva di primo livello 2004/39/CE, all’art. 4, n. 7 definisce l’internalizzatore sistematico come «quell’impresa di investimento che in modo organizzato, frequente e sistematico negozia per conto proprio eseguendo gli ordini del cliente al di fuori di un mercato regolamentato o di un sistema multilaterale di negoziazione».
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La definizione fornita dalla direttiva 2004/39/CE dei Sistemi Multilaterali di Negoziazione è la seguente: «quei sistemi che consentono l’incontro al loro interno ed in base a regole
non discrezionali di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, in modo da dare luogo a contratti».
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