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Constantin e Patrik nella Ferrara di sotto, La Nuova Ferrara, 06

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Constantin e Patrik nella Ferrara di sotto, La Nuova Ferrara, 06
Primo piano
MARTEDÌ 6 OTTOBRE 2015 LA NUOVA
7
commento
PER AVERE
LE SCARPE
BLU E ROSSE
di STEFANO SCANSANI
C
onstantin Fiti, gelido pericoloso, calza le scarpe
blu e rosse appena comprate con la carta di credito di
PierluigiTartari.Èal bar.Legge i
giornali. La polizia l’ha pedinato e fotografato così. Ci è stato
raccontato che tutte le mattine
- appena entrato nel mirino delle indagini - il ventiduenne romeno ha scrutato i giornali. Ha
scorso le cronache dedicate
all’omicidio con l’avidità di chi
cerca di intuire fin dove gli inquirenti si erano spinti e dove
per lui potevano aprirsi le vie di
fuga. Legge i giornali. È al bar. Il
gesto ordinario diventa mostruoso. Un pulviscolo insopportabile di dettagli confermati
dalla polizia aumenta l’abnormità delle azioni che i tre della
banda hanno compiuto prima,
durante e dopo la rapina e l’as-
sassinio di Tartari. L’inspiegabilità di certi particolari resterà insondabile, non interpretabile.
Anzi - giro il ragionamento proprio la sconcertante irragionevolezza di taluni dettagli spiega il non senso dell’assalto e
dell’omicidio. Le scarpe blu e
rosse e la lettura dei giornali.
Ma anche quelle sigarette fumate appena fuori dai ruderi di via
Pelosa, la notte del 9 settembre.
Patrik Ruszo era in macchina. Il
capo banda Huber Sandor e
Constantin Fiti dopo aver trasportato Tartari dentro una ca-
sermetta sarebbero rimasti a
parlottare all’aperto, fra la vegetazione e le macerie. Fumavano e parlottavano. Dieci minuti. L’abnormità è che avevano
appena abbandonato in una
stanza il pensionato, con la bocca incerottata, legato mani, ginocchia e caviglie, riempito di
botte nella casa di Aguscello.
Fumavano e parlottavano. Gli
inquirenti e i medici legali dovranno stabilire se in quel momento Tartari era ormai morto
o sarebbe morto in seguito. Oppure lo avevano finito, là den-
sconcertante
L’irragionevolezza
di taluni dettagli spiega
il non senso dell’assalto
e dell’omicidio
tro. Perché, semplicemente, lo
spegnimento di una vita avrebbe consentito loro più tempo.
Per complicare le ricerche. E
poi, senza un corpo, l’accusa di
omicidio si intrica. Comunque
loro fumavano. Nonostante lo
scempio, già quella sera, quella
notte e nelle ore seguenti, i tre
hanno girato per la città e la provincia con la carta di credito, la
carta d’identità, la patente di
Tartari per comprare: avere.
Scrive bene nel suo viaggio nella “Ferrara di sotto” Raffaele Rinaldi: “Hanno gettato Pierluigi
come fosse una cosa, un sacco
umano, unrifiuto ingombrante
dopo avergli strappato il segreto del bancomat credendo fosse l’anima di una persona”. Avere,un paio discarpe blue rosse.
©RIPRODUZIONERISERVATA
‘‘
Si vorrebbero
esorcizzare
nel corpo
sociale questi dèmoni
venuti da chissà dove. Ma
se da una parte ci vuol far
sentire meglio, dall’altra
non ci aiuta a capire
dasse affatto, dichiarandosi
completamente innocente ed
estraneo ai fatti, ma soprattutto di non c’entrare nulla neanche con se stesso.
Marco [...]va ancora più in
profondità dicendo che quegli uomini hanno una cultura primordiale e che “non
hanno peso specifico”. Cerca le ragioni dell’assassino:
nel vuoto pneumatico di
quelle persone. [...]E mi
scongiura in questa narrazione di non fargli dire che
ha chiamato “bestie” gli
omicidi. “Perché le bestie sono un’altra cosa. Qui siamo
oltre, sa? Scriva 'ignoranti
fottuti' “
(intervista di Stefano Scansani a Marco Tartari (fratello di Pierluigi), La Nuova
Ferrara, 30 settembre 2015)
La scientifica e l’auto di Tartari
‘‘
Una volta ha
rotto il vassoio
in testa
a un uomo di mezza età
per dirci quanto è facile
infrangere il tabù
del rispetto
intergenerazionale
La polizia nelle casermette di via Pelosa nella mattinata del 26 settembre
la cavavo con qualche spicciolo e uno scampolo di predica
perché, nella vana speranza di
raggiungerlo, mi ero ormai
perso nel labirinto in cui si era
cacciato.
PATRIK INVECE
L’ho incontrato la prima volta l’inverno scorso, forse poco
prima di Natale sotto il ponte
di San Giacomo. Se lo attraversi sopra ti conduce alla Facoltà
di Ingegneria, se ti infili sotto
per una via stretta e tortuosa
cucita al Volano trovi delle tende. C’era anche lui in quell’argine a fondo chiuso che nascondeva, sotto l’arco di alcuni alberi spogli, lo scenario essenziale della povertà. Una povertà dignitosa perché arredata con tanto di doccia rudimentale e di fioriere grazie alla
presenza premurosa di una
donna che traduceva per lui.
Il ragazzino - infatti - non sa-
peva esprimersi in italiano e rifiutava con timidezza e imbarazzo l’accoglienza in dormitorio perché - diceva lui - sarebbe tornato di lì a poco in Slovacchia dai suoi.
Agli agenti della polizia municipale mostrava un documento di identità dove la foto
lo mostrava ancora più giovane. Poi l’ho rivisto sul giornale
e vi assicuro che sembrano
due persone diverse, o forse lo
sono diventate. Sono volti e situazioni che incontro tante
volte, quotidianamente. Non
mi basta conoscere nei minimi dettagli come si è svolta la
vicenda, ma cosa fa di questi
ragazzi complici in solido di
un omicidio.
CHIAMARLI BESTIE
Com’è potuta precipitare
quella sequenza furto, rapina,
aggressione, sequestro, morte
come una palla di piombo
sempre più veloce in un piano
inclinato quando anche solo
una parola, un gesto, un po’ di
piètas avrebbe potuto fermare? Non ci dovrebbe bastare
un atto giudiziario per chiudere il discorso ma aprirlo alla comunità intera, perché non riguarda solo “questi” ragazzi.
Tutt’ora la stampa riporta
l’indifferenza di Constantin
durante gli interrogatori, come se la storia non lo riguar-
Infatti chiamarli “bestie”
vuol dire rafforzare l'autoconvinzione che questi ragazzi
non siamo ragazzi, che non appartengono a noi, sono ed erano altra cosa.
Si vorrebbero esorcizzare
nel corpo sociale questi dèmoni, venuti da chissà dove. Ma
se da una parte ci vuol far sentire meglio, dall’altra non ci
aiuta a capire e non li aiuta a
capire.
CERCANDO IL NESSO
Tutto è accaduto al di sotto
dell’umanità, come se non esistesse un nesso tra causa ed effetto, come se mancassero le
emozioni quelle più primordiali come l’amore e l’odio, si è
appiattita la differenza tra cose e persone, prezzo e valore,
vita e morte.
Avrebbero forse dovuto cavalcare il “Nesso” tra umano e
animale per attraversare il fiume della violenza, quel centauro dove “le due nature sono
consorti”.
Quel Nesso che solitamente
chiamiamo “cultura” è minacciata dallo stile di vita della nostra società post-moderna dove l’era della comunicazione e
dell’informazione tanto al chilo ha generato analfabetismo
emotivo che non permette alla
società di leggere né a questi
ragazzi di saper esprimere - neanche a parole - questo vuoto
esistenziale che circola tra noi,
tra tutti noi.
Ora c’è la scelta di restare degli “ignoranti fottuti” o salire
su Nesso
Poi si rivolse,
e ripassossi 'l guazzo
(Inferno, XII, v.139)
e - passato il guado - chiedere il perdono e di poter parlare
per farsi raggiungere all’altra
riva.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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