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SCHEDA_I piccoli maestri
affiliati al partito comunista, che non a caso scambiano i nostri per “badogliani” (cioè monarchici, quasi una rarità nelle formazioni partigiane); ma ciò che univa gli uni e gli altri era l’avversione al nazifascismo, la consapevolezza e la voglia di sostenere valori opposti. Il comandante “Zelin” , questo il nome di battaglia del protagonista, interpretato da Stefano Accorsi, attraversa una sorta di percorso catartico, di rinascita, quando, dopo essere sfuggito ad un rastrellamento, ed avere visto le barbarie fasciste (i partigiani impiccati), arriva a concepire la lotta partigiana con dignità e rispetto per la vita. Lo dimostra la scena in cui riprende meravigliato un compagno (il “Marietto”), che voleva fucilare tutti i parenti di quanti avevano aderito al fascismo. “Fucilali con la penna, se proprio li vuoi fucilare”, dirà infatti all’amico, invitandolo a tracciare segni di elisione sopra l’elenco di nomi da lui approntato. Uccidere per il semplice gusto di farlo apparteneva soltanto ai torturatori ed ai membri delle squadre fasciste. Non è ammesso nemmeno nei confronti del nemico inerme: come dimostra l’enorme carico emotivo che devono superare per uccidere la spia tedesca, o la scena in cui spaventano un notabile fascista, leggendogli la condanna a morte mentre uno di loro se ne sta con una pala in mano, per poi risparmiarlo. Il film si chiude con l’arrivo di una colonna inglese che arriva a città (Padova) già liberata, con la morte di uno dei loro compagni (“Bene”), e con il ritrovamento di Marietto, arrestato dai fascisti dopo un attentato fallito, scampato alle torture. Un finale in cui Zelin, rispondendo alla domanda di un ufficiale inglese, dirà in tono ironico, di sé e dei propri compagni: “just a fuckin’ bandit” (ovvero, siamo “solo dei fottuti banditi”), quasi presagendo il giudizio riduttivo che alcuni daranno, di quella stagione unica e irripetibile. Sfociata poi nel momento di massima intesa tra le forze del CLN, ovvero l’assemblea costituente, capace di produrre un documento di tale bellezza ed equità, da essere ancora attuale. Certo è che, nel commemorare oggi l’anniversario della liberazione, vorrei davvero ce ne fossero ancora in giro lo spirito democratico di quei “fuckin’ bandit”. Stefano Agnelli, ANPI CURIOSITA’: alcune location del film La piazza dove il gruppo di giovani partigiani mostra come "trofeo" il sequestro dell'auto del farmacista, simpatizzante fascista, è Piazza Roma a Cison di Valmarino (TV). La piazza che i giovani partigiani attraversano di notte e dove di lì a poco avranno uno scontro a fuoco con un medico simpatizzante del regime è Piazza Marc'Antonio Flaminio a Vittorio Veneto (TV). La piazza dove Accorsi e compagni hanno uno scontro a fuoco con i tedeschi, che subito dopo si arrenderanno, è Piazza delle Erbe a Padova. L’ attentato fallito dal bordo del canale si svolge sul Canal Vena a Chioggia (VE) Scheda a cura di Comune di Este Assessorato alla Cultura in collaborazione con Veneta Cinema Cinema e Teatri Cineforum 20132013-2014 II II ciclo CINEMA FARINELLI mercoledì 23 aprile, aprile, ore 21 I piccoli maestri di Daniele Lucchetti Con Stefano Accorsi (Gigi-Zelin), Stefania Montorsi (Simonetta), Marco Paolini (Toni), Giorgio Pasotti (Enrico), Diego Gianesini (Lelio). Soggetto di Luigi Meneghello; sceneggiatura: Daniele Luchetti, Domenico Starnone, Stefano Rulli, Sandro Petraglia; fotografia: Beppe Lanci; montaggio: Patrizio Marone; musiche: Dario Lucantoni; scenografia: Giancarlo Basili; produzione: Cecchi Gori Group. Genere storicodrammatico, durata 116' min. - Italia 1998 PER LA GIORNATA DELLA LIBERAZIONE Il film sarà presentato dallo storico del cinema prof. Antonio Costa Dal libro omonimo (1964; revisionato nel 1976) di Luigi Meneghello. Nella primavera del 1944 alcuni universitari antifascisti di Vicenza, simpatizzanti del Partito d'Azione, salgono sui monti del Bellunese (Agordino) e poi nell'altopiano di Asiago a fare la lotta partigiana per bande. Dopo aver conosciuto la paura dei rastrellamenti, gli stenti, le crudeltà della guerra chiudono la loro esperienza a Padova nell'aprile 1945. Operazione non riuscita, forse impossibile in partenza. Più che un romanzo, quello di Meneghello è un resoconto, la cronaca di un'esperienza di gruppo in chiave antiretorica e antieroica e con il filtro di un saggista, da leggere come un racconto. Al suo 6° film il romano Luchetti si rivolge alla coppia S. Petraglia-S. Rulli per la struttura narrativa e a D. Starnone per la scanzonata dimensione ironico-comica, ma non riesce a cavarne una convincente e coinvolgente sintesi audiovisiva. Il risultato è, al tempo stesso, troppo leggero e troppo pesante. Esitante sulla strada da seguire, incerto nella direzione e nel traguardo, genericamente "piacevole". Dal Morandini di Laura, Luisa e Morando Morandini Piccoli maestri di Daniele Luchetti, terzo film italiano in concorso, simpatico e un po' scolastico o piatto, è tratto dal romanzo omonimo scritto nei Sessanta da Luigi Meneghello per rievocare la guerra partigiana come l'avevano vissuta, sull'altipiano di Asiago e in città, lui stesso e alcuni suoi coetanei vicentini, perlopiù studenti ventenni. Una guerra sui monti e nei quartieri, combattuta da guerrieri incompetenti ma coraggiosi, complicata da dilemmi estetico-morali: l'orrore di fronte alla morte, l'estremismo intellettuale, il disprezzo per la retorica tipico all'epoca degli appartenenti al Partito d'Azione ("Morte al fascismo", è il saluto dei partigiani comunisti al primo incontro; "Piacere, Giuroli" è la risposta del comandante azionista). Lietta Tornabuoni, La Stampa 8 settembre 1998 "Cinque giorni a pane acqua". È la pena che per scherzo partigiani protagonisti di I piccoli maestri si infliggono l'un l'altro democraticamente, ogni volta che un sospetto di retorica lambisce loro discorsi in montagna. Si definiscono azionisti crociani di sinistra, sono studenti universitari per dirla con l'autore del libro, Luigi Meneghello, sono "una piccola squadra scelta di perfezionisti vicentini". Peccato che la retorica resistenziale, cacciata dalla porta principale come la debolezza peggiore del partigiano, poi rispunti dalla finestra nel film di Daniele Luchetti passato ieri in concorso: sotto forma di musiche ampollose e invadenti che "morriconeggiano" quasi replicando il leitmotiv di C'era una volta in America; o nel finale combattente, tra bandiere rosse al vento e ali di folla sorridente mentre l'amico torturato dai fascisti dato per morto, e invece ancora vivo, assicura di non aver parlato. Michele Anselmi, L'Unità È vero: in questi tempi strani e smemorati, revisionisti quando non negazionisti, si sentiva il bisogno di un film che ci parlasse di quella cosa che si è chiamata Resistenza. Ma purtroppo non come fa il film che Daniele Luchetti ha tratto da uno dei più bei libri italiani di questo dopoguerra, I piccoli maestri, di Luigi Meneghello, rivisitazione nella memoria, a vent'anni di distanza, dei venti mesi in cui un gruppo di studenti, dopo l'8 settembre 1943, si ritrovò sulle montagne per sfuggire ai tedeschi e ai fascisti e per combattere una guerra che ancora non aveva nome e che sarebbe diventata la "Resistenza". Irene Bignardi, La Repubblica Per molti anni l’opera di Luigi Meneghello è stata sottovalutata da pubblico e critica. Stessa sorte è toccata al libro I piccoli maestri, da cui Daniele Lucchetti ha tratto, negli anni Novanta, il film omonimo, che racconta dell’esperienza partigiana dello scrittore veneto, allora studente universitario. Nelle antologie scolastiche comparivano più spesso brani da L’Agnese va a morire di Renata Viganò, da Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino, dal Partigiano Johnny di Beppe Fenoglio o da La ragazza di Bube di Carlo Cassola. Mi sono chiesto molte volte, perché un libro così ricco e ben scritto come quello di Meneghello, sia passato quasi sotto silenzio e non abbia avuto la fama e i riconoscimenti che merita. La ragione sta forse nel modo tutto particolare che Meneghello e i suoi compagni avevano di condurre la guerra partigiana Lucchetti, nella sua trasposizione cinematografica, lo ha reso in modo eccellente – un modo che era, almeno all’inizio dell’esperienza, quasi scanzonato. Infatti, la voglia e l’entusiasmo, che spinsero questi giovani universitari vicentini, a lasciare gli studi per intraprendere la guerra partigiana sull’altopiano di Asiago, li rendeva quanto mai ingenui, anche se volenterosi di imparare. Libro e film descrivono molto bene lo stato di grazia in cui si trovavano, avendo, come avevano, la netta percezione che un’epoca stesse per finire e che il mondo nuovo doveva farsi con il contributo di tutti, rimettendo in discussione ogni cosa: dal linguaggio (“questa è retorica”, diranno i personaggi accusandone l’uso), alle gerarchie sociali. Erano le idee di quel partito di cui, confesso, oggi farei volentieri parte: il Partito d’Azione, a torto considerato “minore” e purtroppo scioltosi prematuramente. Un partito a cui appartenevano uomini illustri, da Emilio Lussu a Natalia Ginzburg, capaci di un afflato veramente democratico, che si trovò senza una collocazione precisa, stretto com’era tra i due grandi partiti che andranno poi a comporre, a guerre finita, il fronte popolare, ovvero il partito comunista e il partito socialista, guidati rispettivamente da Palmiro Togliatti e Pietro Nenni. Nel film di Lucchetti il partito d’azione è rappresentato dal personaggio di Toni Giuriolo, interpretato da Paolini, che forma la banda partigiana con l’autorizzazione del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale, non dimentichiamolo), attorno alla voglia di discutere ogni cosa, di liberarsi dal peso delle gerarchie e della retorica che vent’anni di fascismo avevano reso intollerabili. Ben più organizzati appaiono nel film, i partigiani