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Leggende di Pavia - Istituto Comprensivo Chignolo Po

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Leggende di Pavia - Istituto Comprensivo Chignolo Po
Leggende pavesi
Progetto n° 2 realizzato
dagli alunni delle cl. 3^ C , 3^ F , 2^ C
e coordinato
dalle Prof.sse Marenghi Annamaria e Cremaschi Maddalena
a.s. 2011/12
Scuola Secondaria di Primo Grado “F.Crispi”
Pieve Porto Morone – Pavia
Istituto Comprensivo di Chignolo Po
Dopo i progetti
"Proverbi per riflettere”, realizzato nell’a.s. 2007/08",
"Detti dialettali della cultura contadina pievese", realizzato nell’a.s. 2008/09",
“Filastrocche e cantilene”, realizzato nell’a.s. 2009/10",
“Leggende pievesi”, realizzato nell’a.s. 2010/11",
quest’anno,
continuando il nostro lavoro di ricerca sulla storia locale,
abbiamo rivolto l’attenzione alle leggende
su Pavia, la nostra provincia;
ne abbiamo trovate diverse
e veramente interessanti.
GRAZIE
a tutti coloro
che ci hanno aiutato!
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PAVIA
COSI' NACQUE PAVIA
I Celti o i Romani fondarono Pavia?
I Celti, come sostiene Mino Milani, o i Romani, come ritiene lo storico Emilio
Gabba, o forse i Marici o i Liguri o i Rezzi? L'origine della città è incerta.
Le leggende riconducono la sua nascita ad una bianca colomba, (La colomba, dal
diluvio in poi, è diventata un simbolo di vita, di pace, tanto da apparire in diverse
leggende, anche pavesi) che indicò ai fondatori della città pavese dove porre la
prima pietra.
Leggenda celtica: LA BIANCA COLOMBA
La chiamarono Ticinum, come il fiume sulle cui rive fu fondata. La leggenda narra di un popolo
antico e nomade, (i Celti) che si mescolò ai Liguri e scese nella Pianura Padana attraverso i ripidi
sentieri del Moncenisio, dalla valle di Susa. Erano indecisi sul punto esatto in cui fondare la città:
sulla riva destra del Ticino o sulla sinistra?
Il capo dei Celti chiamò la più giovane delle figlie, salì con lei su una barca e si fermò in mezzo al
fiume. La fanciulla liberò una colomba dalle piume bianche, affinchè con il suo volo potesse
rivelare la profezia del destino del suo popolo, posandosi nel luogo dove sarebbe stata edificata la
città. La colomba si posò su una quercia frondosa per costruire il suo nido. Il popolo, felice della
profezia, prese, allora, a costruire lì accanto la nuova città: sulla riva sinistra del fiume, 7 chilometri
a monte della sua confluenza nelle acque del Padus, (nome latino del fiume Po), dove fu costruita la
chiesa di S. Tomaso Apostolo. Si narra anche del ritrovamento, da parte di quel popolo, di una
scritta: ”Nido dei nidi, guai a chi gli fa guerra!”
COSI' NACQUE PAVIA SECONDO UN'ALTRA LEGGENDA
I muratori avevano incominciato a costruire le basi della città di Pavia più a monte, in località
Santa Sofia, ma una colomba bianca beccava le loro mani e non li lasciava lavorare; l’uccello
volò più a valle, come per indicare un altro luogo, così i muratori si spostarono e là, dove si era
posata la colomba, fu costruita PAVIA.
LE LEGGENDE PIU’ ANTICHE
Una leggenda, molto ma molto antica, attribuisce la fondazione di Pavia a Jafet, uno dei tre figli di
Noè; l’Oltrepò è terra di buon vino, amato da Noè…;
un’altra riporta a Pico, figlio del dio Saturno, protettore della semina e simboleggiante abbondanza
e ricchezza.
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Qualche notizia storica su Pavia
Nel 41 a.C. Ticinum fu iscritta alla tribù Papiria, una delle 35 tribù dello stato Romano, dalla quale
è derivato il nome di Pavia; ebbe importanza fin dai tempi dell'Impero romano per la sua posizione
vicino ad un fiume. Verso la fine del VII secolo d. C. fu ribattezzata Papia; in una cronaca del VII
sec. si legge: “Papiae quod Ticinum cognomentum est”, “Papia cognomento Ticino”; altre cronache
scrivono: “Papia quae et Ticinum, Ticinus quae alio nomine Papia appellatur”
Forse Papia indica semplicemente l’insediamento romano lungo il Ticino, il cui nome si è poi
esteso alla città. ( La radice della parola è “tec” che significa scorrere, come l’acqua del fiume.) Il
nome Papia, da cui Pavia, è per alcuni di origine greca, dovuta ai soldati bizantini, per indicare il
palazzo di Teodorico; per altri è di origine romana ed indica la famiglia Papilia. Occorrerà arrivare
all’800 perché si utilizzi il nome di Papia, in seguito Pavia. Per Opicino de Canistris, storico del
1300, il termine deriva da “papé,” mirabile o da “papa”, per la sua importanza o perchè sulla via del
Papa; c’è chi pensa a “pappia”, con due “pp”, la consonante nella quale le labbra si uniscono come
per un bacio, anticamente simbolo di pace e giustizia.
La città fu forse fondata da Liguri e sottomessa dal console romano Marcello nel II sec. a.C.; (i
Romani varcarono il Po nel 223 a.C. e si sistemarono a Clastidium/Casteggio, che diventò il
confine tra i territori romani e quelli celti) e Giulio Cesare, nel I sec. a.C. le diede la cittadinanza
romana; fu Publio Cornelio Scipione che costruì un “castellum”, una fortificazione munita di una
palizzata e di un fossato; Augusto e sua moglie Livia la visitarono più volte; possedeva mura, porte,
palazzi, terme, ponte, porto, impianti per la navigazione, una zecca e naturalmente strade larghe e
diritte, secondo l’uso romano; divenne uno dei più importanti municipi romani nell'Italia
settentrionale, centro di transito sulla via Emilia e centro della cristianità e, nel IV sec. d.C., fu sede
episcopale, con San Siro primo vescovo. Subì le invasioni e le devastazioni barbariche: Unni di
Attila, Goti, Eruli; nel 476, caduto l'impero d’Occidente, Pavia fu conquistata da Teodorico, re
degli Ostrogoti , che ne fece la capitale del suo regno, abbellendola con molti palazzi. Non è
rimasto nulla dell’antico palazzo dei re goti: sembra che non fosse enorme, ma assai bello, con
porticati e legge, ampia sala per le udienze, una parete a mosaico che ritraeva Teodorico a cavallo;
resta solo una targa in sua memoria, in Via Scolopi.
Nel 572 fu conquistata dai Longobardi ed anch’essi la scelsero come capitale e tale rimase durante
il Regno Italico, si sviluppò e sorsero varie chiese; fu conquistata da Carlo Magno nel 774. Alla
fine del X sec. fu assediata ed incendiata dagli Ungari. Dopo il Mille divenne libero comune,
arricchendosi di chiese e palazzi e fu un nodo commerciale fra Venezia e le città del Nord. Nel
1117 subì un disastroso terremoto. A Pavia furono incoronati diversi re: Berengario I, Enrico di
Sassonia; lo stesso imperatore Federico Barbarossa vi si fece incoronare, in S. Michele, nel 1155.
(Pavia fu sua alleata nelle lotte contro l’Impero). Dopo l’espansione comunale, in cui si arricchì di
monumenti romanici, iniziò la sua decadenza.
Nel 1359 la città fu conquistata dai Visconti e sotto il loro dominio rifiorì; fu costruito il castello,
dove lavorò e soggiornò anche Leonardo da Vinci; fu fondato lo Studium, la futura università; in
quel periodo nacque la Certosa; nel 1447 passò agli Sforza, Ludovico il Moro la consegnò ai
Francesi; passò agli Spagnoli, subì nel 1524 un terribile assedio, che finì con la battaglia di Pavia
del 1525, in cui Francesco I di Francia fu sconfitto dagli Spagnoli di Carlo V e dai Pavesi e fu fatto
prigioniero. Nel 1530 vennero innalzate e fortificate nuove mura. Rimase spagnola fino al 1714,
quando passò agli Austriaci, tranne la Lomellina e l’Oltrepò che appartenevano ai Savoia.
Durante il Risorgimento, Pavia diede un grande contributo di giovani patrioti, come i fratelli
Cairoli; nel 1848 Mazzini venne a Pavia, nel 1862 Garibaldi, dal balcone della casa di Benedetto
Cairoli esortò a continuare “La causa della libertà” sostenuta da note famiglie pavesi come i
Cairoli, i Sacchi, i Griziotti; alla spedizione dei Mille, del 1860, parteciparono circa 200 volontari
pavesi.
Nel 1800, in seguito alla Rivoluzione industriale, la città si ampliò su tutti i lati.
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Durante la 2^ guerra mondiale, nel 1943-44, Pavia subì i bombardamenti aerei che misero in
ginocchio la città, distrussero il ponte, (4 e 5 sett. 1943), fabbriche, snodi stradali e ferroviari,
provocando decine di morti e feriti e circa 2000 sfollati, che cercarono rifugio e cibo nei paesi della
provincia, presso amici e parenti.
Ricca di monumenti storici, appartenenti ad epoche ed a popoli diversi che si sono susseguiti nella
città, Pavia, appare incantevole, bella, suggestiva e qualcuno l’ha definita “dolceamara.”
Pavia è attraversata dalla Via Francigena, il cammino di fede; ne è testimonial internazionale, quale
capitale italiana del Romanico e dei pellegrinaggi; anticamente era chiamata Via Francesca o
Romea; è detta anche Franchigena e si sviluppa su un percorso di 1600 Km. che parte da
Canterbury ed arriva a Roma, attraversando 33 città (in origine); l’arcivescovo di Canterbury, che
aprì la strada ai pellegrini, impiegò 79 giorni, a piedi, per giungere a Roma (una media di 20 Km. al
giorno).
Le mura di Pavia
La città di Pavia era un antico accampamento romano e per questo le sue strade si incrociano ad
angolo retto; era difesa da una formidabile cerchia di mura romane, (III sec. d.C.), successivamente
ampliate nel 1130 circa. Dell'una e dell'altra non rimane oggi alcuna traccia. Nell'ultimo decennio
del sec. XII si costruì un'altra cerchia di mura, anch'essa scomparsa, di cui rimane soltanto qualche
tratto tra Porta Stoppa e il Castello.
Sul Lungo-Ticino-Sforza rimane ancora in piedi buona parte di Porta Nuova, con grandi arconi in
cotto; quello verso il fiume è di tipo romanico, con elementi di pietra inseriti nell'arco e nelle spalle.
Sul Lungo-Ticino-Visconti resta invece la Porta Calcinara, costruita nel XV secolo.
Sotto la dominazione spagnola, la città fu circondata da una nuova cerchia di mura ad opera del
governatore Francesco Gonzales. Le imponenti mura spagnole furono demolite dopo il primo
conflitto mondiale. Ne rimane oggi qualche piccolo tratto verso il Ticino e dietro al castello, coi
bastioni di S. Epifanio, di S. Stefano e di S. Giustino. Delle numerose porte che si aprivano un
tempo nel circuito delle mura, rimane oggi la porta Milano, degli inizi dell'Ottocento. E' formata da
due torrioni marmorei sormontati dalle statue del Ticino e del Po, sotto le quali transitano i pedoni
diretti da Città Giardino al centro città e viceversa.
Le due colonne al centro provengono dalla distrutta basilica longobarda di Santa Maria alle
Pertiche.
Il ponte vecchio (Viale Lungoticino)
Il ponte, di origine romana, preesistente al 1000, fu modificato in epoca viscontea, quando fu
aggiunta la copertura e prese il nome di Ponte Coperto. Nella chiesa di San Teodoro è possibile
ammirare un affresco con la veduta di Pavia, (attribuito a Bernardino Lanzani – 1522) che mostra la
versione rinascimentale del ponte, munito di due ponti levatoi e di sette arcate irregolari.
L'antico ponte sul Ticino, fu costruito dagli architetti Giovanni da Ferrara e Iacopo da Cozzo, sulle
rovine del precedente ponte romano. Iniziato nel 1352, constava di sei piloni e sette arcate, molto
pittoresche .
Già coperto da un tetto, nel 1583 fu costruito un nuovo tetto, sorretto da 100 pilastri in granito.
Nel 1700, sul pilone di mezzo, fu costruita una cappelletta dedicata a San Giovanni Nepomuceno.
La porta verso il Borgo Ticino è stata costruita nel 1599, mentre l'arco verso la città è del 1822.
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Il nuovo ponte si ispira alle linee generali di quello distrutto, ma fu ricostruito leggermente più a
valle, come si nota dai pochi resti dell'altro.
Semidistrutto dai bombardamenti aerei nel 1944, durante la seconda guerra mondiale, il Ponte
Coperto fu ricostruito nel 1949, in altre forme. Come l'originale è caratterizzato dalla copertura in
strutture lignee e coppi; è il simbolo della città.
I monumenti di Pavia
Pavia possiede numerosi monumenti: San Michele, San Gervasio, San Lanfranco, la Cattedrale, il
Broletto, le Torri, il Castello Visconteo, l’Università, la statua della Minerva e del Regisole, la
Basilica di San Pietro in Ciel d'Oro.
Il Broletto, in Piazza della Vittoria, è un palazzo municipale del 1200, da cui il podestà parlava ai
cittadini.
Il Palazzo Vescovile fu costruito nel tardo Rinascimento (1560-91).
L’Università, il cui nucleo originario risale all' VIII sec. fu costruita nei sec. XIV e XV, con
decorazioni quattrocentesche ed interventi di Piermarini e di Pollack, ospita le facoltà umanistiche.
La Certosa fu iniziata nel 1396 per volontà di Gian Galeazzo Visconti e finita nel 1473
Il Duomo fu iniziato nel 1488, sorse al posto di due cattedrali romane: Santo Stefano e Santa Maria
del Popolo. Al progetto contribuirono Leonardo, Martini e Bramante e i lavori si protrassero fino al
1800, mentre la facciata venne inaugurata solo nel XX secolo; la sua cupola è la terza, per
grandezza, in Italia.
San Pietro in Ciel d'Oro, basilica romanica, ricostruita nel XII sec. è celebre per le sepolture illustri:
il re longobardo Liutprando, il filosofo Severino Boezio e il padre della Chiesa, Sant'Agostino, che
è conservato in un capolavoro trecentesco: un'arca marmorea finemente scolpita. E’ uno dei luoghi
più venerati del mondo cattolico. E’ ricordata da Dante “Va superba…” [Par., X, 128], dal
Boccaccio e dal Petrarca.
La Statua della Minerva: sul sostegno è scolpito: ”Dalla gloria millenaria del suo ateneo tragga
auspicio a maggiori fortune”. Realizzata da Francesco Messina, simboleggia la secolare tradizione
universitaria della città. Nel 1936 l'ottocentesca Porta Cavour venne abbattuta per risistemare il
piazzale in cui, nel '39, fu collocata la statua. A Pavia c'è un'altra opera di Messina: il rifacimento
del Regisole, in Piazza del Duomo.
San Teodoro: sorta come basilica dei pescatori, è un prezioso esempio di architettura romanica; é
impreziosita da ciotole di manifattura orientale che coronano la facciata a capanna.
San Francesco: chiesa gotica, ospita al suo interno pregevoli pitture del XVI e XVIII secolo, come
le pale di Sebastiano Ricci e Antonio Magatti.
La Torre Civica è crollata il17/3/1989, causando la morte di 4 persone: il proprietario dell’albergo
Regisole, un’edicolante e due ragazze ventenni. Si è pensato di ricostruirla, ma il costo di 15
milioni di € è sembrato eccessivo.
San Michele
Costruita con l’arenaria friabilissima del fiume Po. San Michele, é uno dei monumenti più preziosi
di tutta l’architettura romanica italiana. Fu costruita dai re Longobardi, che qui si incoronarono;
vide anche l'incoronazione del Barbarossa. La facciata in arenaria è intagliata con pregevoli
decorazioni zoomorfe.
Conserva lo splendido crocifisso di Teodote, un tesoro argenteo del X sec., prelevato dal monastero
di Santa Maria di Teodote nel 1799; questa splendida opera, costituita da lamine argentee applicate
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sulla croce in noce, sarebbe stata commissionata dalla badessa longobarda Regingarda, il cui nome
è riportato ai piedi di Cristo; un meraviglioso polittico ligneo raffigura il mistero di Gesù ed alcuni
santi; vi è anche un presepe ligneo del XV sec.
Il castello Visconteo
Con la definitiva conquista di Pavia, Galeazzo Visconti diede inizio nel 1361 a questa grandiosa
costruzione, che il Petrarca definì “la più nobile fra quante sono opere moderne” e che Enea Silvio
Piccolomini ( PioII ) giudicò degna di imperatori e papi.
Residenza per le feste e le battute di caccia dei duchi di Milano, a soli cinque anni dall'inizio dei
lavori, i Visconti cominciarono ad abitare lo splendido edificio, poi decorato con pitture di artisti
rinascimentali; non era però ancora finito nel 1387.
L'architetto che ideò l'imponente costruzione fu probabilmente Bernardo da Venezia, a cui è
attribuita anche la chiesa di S. Maria del Carmine.
Circondato da un profondo fossato (è protetto da rivellini e ponti levatoi) è a pianta quadrata con
quattro torrioni agli angoli, ricchi di merli, in cotto, caratterizzati da bellissime bifore. Il lato
settentrionale, con due torrioni, fu abbattuto nel 1527 delle artiglierie francesi.
Un enorme parco, esteso 25 miglia, lo unisce alla Certosa. Gian Galeazzo Visconti continuò l'opera
del padre, chiamando ad abbellire il castello molti artisti. L'ala nord, andata purtroppo distrutta,
ospitava gli appartamenti ducali. Con la morte di Francesco Sforza (1535) iniziò la decadenza e la
sua rovina. Trasformato in caserma dalle varie dominazioni straniere, nel 1921, salvo un breve
periodo, l'edificio fu liberato della caserma e potè ritornare gradualmente all'antico splendore,
grazie ai restauri che hanno valorizzato le parti originali. In passato ospitò la biblioteca
petrarchesca, oggi è sede delle collezioni dei Musei Civici.
Una volta completato, il museo di Pavia diventerà uno dei più importanti dell'Italia settentrionale.
Fra le collezioni già ordinate assumono eccezionale rilievo la sezione delle sculture borboniche,
dell'arte romanica e del periodo risorgimentale.
LE LEGGENDE DI SAN SIRO
Il territorio pavese è sempre stato molto legato a quello che è considerato il primo vescovo di Pavia,
al quale furono dedicate numerose chiese e persino un paese (Borgo San Siro, in Lomellina); il
culto del santo è tuttora molto sentito in tutta la provincia, essendone stato, secondo la leggenda,
il primo evangelizzatore ed il patrono.
Questo non toglie che la sua figura sia avvolta quasi totalmente nel mistero e nella leggenda.
LA MISSIONE DI SAN SIRO
Il ragazzino protagonista del racconto evangelico che diede a Gesù il suo pranzo, cinque pani d'orzo
e due pesciolini, che furono moltiplicati, per miracolo, per sfamare la folla che lo seguiva lungo il
Lago Tiberiade, è indicato come il primo vescovo di Pavia: San Siro. Egli è il patrono di Pavia e si
festeggia il 9 dicembre. Molti Pavesi portano il suo nome.
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SAN SIRO
Il fanciullo dei pani e dei pesci
Giunse a Pavia Siro, il fanciullo galileo, che aveva offerto a Gesù il pane ed i pesci per la
miracolosa moltiplicazione, (la notizia è riportata nel testo De laudibus Papiae, datato 1330)
accolto con canti e danze dagli abitanti della città; così dice la leggenda.
In realtà Siro, primo vescovo di Pavia, non fu affatto il “fanciullo del pane e dei pesci,” ma arrivò
in città ben trecento anni dopo la morte di Gesù, quando già l'Editto di Costantino, del 313 d.C.,
aveva permesso la libertà di culto ai cristiani. Siro (o Martino, era figlio di un ufficiale della
Pannonia, regione lungo il Danubio, oggi Slovenia e Serbia, in servizio a Ticinum/Pavia, che si
fece battezzare nel 326) arrivò da Genova a Pavia, attraverso l'Appennino Ligure, poco dopo il 343.
I vescovi di Pavia, dopo Siro, furono Pompeo, Invenzio e Profuturo.
Siro morì il 9 dicembre del 350 d.C. e fu sepolto nell'unica chiesa della città dedicata alla Madonna
e poi in San Gervasio e Protasio; i suoi resti furono rinvenuti nel 1875 e portati nella Cattedrale.
Statua e
dipinto
dedicati
a S. Siro
“Divo
Siro”
Chiesa di
S.Gervasio
e Protasio
La prima biografia del santo appare nel secolo VIII: si tratta di una Vita di san Siro, di anonimo,
che aveva lo scopo di evidenziare l’anzianità della chiesa pavese rispetto a quella milanese e quindi
il suo primato. (Nei secoli successivi Pavia dipenderà da Milano.)
Anche questo testo è ricco di informazioni false e non documentate, come quella che sostiene che
Siro, di cui non è precisata l'origine, avrebbe ricevuto la consacrazione episcopale (insieme con
Invenzio o Evenzio, il terzo vescovo di Pavia) ad Aquileia, dalle mani del locale vescovo e futuro
santo, Ermagora. Poichè l'esistenza di Invenzio è documentata tra il 381 e il 397, l'errore è evidente.
Secondo l’autore, Siro e Invenzio, dopo una permanenza ad Aquileia, sarebbero stati inviati da
Ermagora nella città in riva al Ticino per diffondere la parola del Vangelo tra le popolazioni
semibarbare della Lombardia. Da Pavia sarebbe iniziata la cristianizzazione di una vasta zona che
andava dal Ticino all'Adige, lungo le città di Lodi, Brescia, Verona e Milano. Nel capoluogo
lombardo Invenzio, per richiesta di San Siro, avrebbe provveduto alla sepoltura dei martiri
Gervasio e Protasio (Nella tradizione ambrosiana le spoglie dei due santi martiri furono invece
ritrovate e traslate da sant'Ambrogio nella basilica denominata ad martyrum). Il martirio di
Gervasio e Protasio viene ritenuto del terzo secolo, questo esclude che il primo vescovo di Pavia
potesse essere stato presente ad Aquileia due secoli prima.
S. Siro è rappresentato in paramenti vescovili, ma a Pavia la sua identificazioni con il fanciullo che
fornì a Cristo i cinque pani e i due pesci per il miracolo della moltiplicazione comporta l'aggiunta
del cesto contenente i pani e i pesci. L’identificazione di S. Siro col bambino dei Vangeli avviene
verso il Mille.
*La Chronica Sancti Syri (inizio IX sec.) colloca Siro nel I sec. e lo rappresenta come il missionario
itinerante inviato a Pavia da S. Pietro, come canta l’inno popolare. S. Siro è quindi missionario,
evangelizzatore e vescovo per i Pavesi.
* Una miniatura del Salterio di Arnolfo, risalente alla fine del X sec. o all'inizio dell'XI, lo raffigura
nel suo più antico ritratto: con il lungo pallio e il Vangelo nella mano sinistra, segni della dignità
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episcopale e della missione di evangelizzazione. Il Santo è giovane, senza barba, con un'ampia
tonsura, ma senza mitria.
* Un affresco del sec. XII, ritrovato nella cripta di San Giovanni Domnarum lo raffigura vecchio,
con la barba e ancora senza mitria.
*Infine c’è un rilievo, conservato nella chiesa di San Gervasio: anche qui il santo appare giovane,
senza barba, senza mitria, rivestito del lungo pallio, con il Vangelo nella mano sinistra .
Il Vangelo, che indica il ruolo di evangelizzatore, è un elemento iconografico fondamentale; per
questo il pastorale è posto invece nella mano destra. Per la Chiesa di Pavia S. Siro non è solo
l’annunciatore del Vangelo, ma rappresenta la Chiesa di Pavia.
Concludendo la sua omelia, il 9 dicembre 1992, diceva Mons. Magnani:” Mi sembra questo il
messaggio che San Siro oggi ci rivolge; lui, il grande convertito al cristianesimo dall'annuncio
sostanziale e incisivo dell'evangelista Marco; lui, il grande pastore, che seppe coniugare la fede
pura con la conversione della vita, attuando la conversione di un popolo del quale i Pavesi sono gli
eredi.”
LE CENTO TORRI
La città conserva numerosi monumenti medioevali, fra cui le torri; lo scrittore Mario Milani,
pavese, definisce Pavia “una città dai mattoni rossi,” che spiccano sulle stupende chiese romaniche,
sulle torri sottili ed altissime, sui palazzi gotici.
Nel Medioevo, nei boschi lungo il Ticino, in una grotta nascosta sulla riva, viveva una strega, brutta
e vecchia, che aveva fama di saper predire il futuro, di conoscere rimedi per guarire ed allontanare
sfortuna e malanni. Molti si avventuravano fino alla sua caverna per chiedere notizie sulla loro
condizione e sul loro futuro, per aiuto nel risolvere problemi di cuore, salute, denaro; la donna
elargiva consigli, elisir, infusi, talismani, portafortuna; tanti signorotti si recavano da lei, per
ottenere consigli su come diventare i più potenti della città e governarla. La vecchia strega, per
punirli della loro esagerata avidità di denaro e potere, fornì a tutti un uguale suggerimento, con la
promessa di non rivelarlo a nessuno; consigliò a tutti di costruire una torre: chi l’avesse costruita
più alta, sarebbe diventato il futuro signore della città. Tutti iniziarono a costruire torri e alla fine,
poichè tutti ne costruivano, sempre più alte, posero fine a quella inutile gara di costruzione, ma
erano già state erette almeno cento torri.
Da allora, Pavia è la città delle cento torri.
IL PONTE COPERTO SUL TICINO
Nell'anno 999, Pavia non aveva nessun ponte sul Ticino. Il vecchio ponte romano, del quale si
vedono ancora oggi i resti nel letto del fiume, specialmente quando è in secca, era crollato e chi
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voleva passare da una riva all'altra doveva servirsi del traghetto. La sera della vigilia di Natale di
quell’anno, molti pellegrini volevano recarsi ad ascoltare la Messa di mezzanotte in città (n.d.r.:
profezia “Mille non più Mille”). Sulla riva destra del fiume c'era una folla di persone pronte ad
essere traghettate, ma le tre barche in servizio, a causa del buio, della confusione e forse anche del
fatto che sembrava che il diavolo ci mettesse la coda, procedevano con lentezza e non riuscivano a
trasportare tutti, così la gente brontolava. Ad un certo punto scese un nebbione fitto fitto, nessuna
barca arrivò più e...poi.... invece apparve, non si sa da dove, un uomo vestito di rosso, che assicurò
che avrebbe traghettato tutti sull’altra riva in poco tempo; indicò ai pellegrini l'ombra di un ponte,
che sembrava fatto di nebbia e disse: ”Vedete? Questo ponte diventerà di pietra, se il primo essere
che lo percorrerà si consegnerà a me per l’eternità!” Tremarono tutti, perchè capirono che chi
aveva parlato era il diavolo in persona ma, tra i presenti, vi era l'arcangelo Michele che, dalla
vicina chiesa, aveva visto quanto stava succedendo ed era accorso in aiuto. Egli parlò: ”Belzebù,
comincia a fare il ponte di pietra e poi ti prenderai il primo che passerà!” Il diavolo accettò e
l'angelo allora mandò a prendere un caprone (o forse un cane) e fece in modo che fosse l'animale a
passare per primo. Il diavolo, che non aveva specificato che doveva trattarsi di un uomo, andò su
tutte le furie, per essere stato preso in giro e scatenò un violento acquazzone, così pioggia, vento,
fulmini e tuoni, si abbatterono sul ponte, ma le potenti arcate e le pesanti colonne di pietra ressero
a quel violento uragano. Le preghiere degli spaventati pellegrini costrinsero Satana ad andarsene.
I Pavesi, per tenere lontano il diavolo, costruirono poi, sul grande pilone di mezzo, una chiesetta
dedicata al santo dei fiumi, Giovanni Nepomuceno.
Oggi, nelle giornate nebbiose, chi osserva da lontano il ponte, può vederlo come lo videro, per la
prima volta, grigio, nella nebbia, quei pellegrini la sera della vigilia di Natale dell’anno 999.
Secondo la leggenda fu quindi il diavolo a edificare il ponte coperto di Pavia nella notte di Natale
del 999; ma le vecchie fondamenta, che si possono scorgere tra i flutti del Ticino, testimoniano
invece un’origine più remota.
LE TOMBE NEL LETTO DEL TICINO
Nei tempi passati, quando Pavia era governata da un re (imprecisato) e le guerre erano all'ordine del
giorno, avvenne una delle tante battaglie ed il re, combattendo, restò mortalmente ferito. I suoi
soldati, messo in fuga il nemico, cercarono di riportare il più presto possibile il loro re a Pavia,
dopo averlo caricato su una barella improvvisata. Mentre attraversavano il ponte, il re aprì gli occhi
e, scorgendo il fiume Ticino e le torri della città, sussurrò ai suoi soldati di fermarsi e di lasciarlo
lì, poi sorrise e morì. I soldati si accalcarono intorno a lui e la regina, che da una torre assisteva al
rientro dell' esercito, vedendo che erano tutti fermi, si agitò e decise di andare di persona con le sue
donne a vedere cos'era successo. Vide le tristi espressioni degli uomini e, scorgendo il marito senza
più vita, fu tale il dolore che cadde a terra, morendo anch'ella, di crepacuore. I soldati, rispettando
la volontà del re, deviarono il corso del Ticino, costruirono due tombe nelle quali deposero il re e la
moglie e poi lasciarono che il fiume riprendesse il suo corso. Ancora oggi, quando l'acqua è bassa,
si vede sotto l' arcata centrale del ponte la tomba del re, rimasta intatta e accanto quella della regina,
ma scoperchiata. Si racconta che i suoi ori siano sparsi nella sabbia del fiume, per molti “aurifera”.
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L'IMPICCATO
Nella chiesa di S. Teodoro c'è un dipinto che rappresenta la città di Pavia e ne mostra gli ingressi: il
Ponte Coperto e i Torrioni fortificati.
Sui merli del Torrione, pendeva un impiccato (identificato, secondo la tradizione, nel Conte
Barbiano Ludovico di Belgioioso) che, durante l'assedio della città, invece di difenderlo,
combattendo, era fuggito e pertanto, una volta catturato, era stato impiccato. Il principe Alberico,
nel 1812, volendo costruire un obelisco a Pavia, chiese però di eliminare questa triste figura, così il
Comune la nascose con una pala d’altare. La storia non conferma tutto questa ma, nel dipinto di S.
Teodoro, si intravede sulla destra del torrione una figura cancellata.
Secondo la leggenda, sotto l’obelisco fu interrato un piccolo tesoro: un cofano di metallo, una
pergamena e alcune monete in rame. Quando, nel 1912 l’obelisco fu spostato, furono trovate 33
monete in rame, del periodo napoleonico, purtroppo sparite, non si sa dove.
LA LINGUACCIONA
Un tempo le donne che vivevano lungo il Ticino, lavavano i panni nell'acqua chiara e limpida del
fiume; arrivavano portando i loro panni in cesti o fagotti che tenevano appoggiati sulla testa.
Esisteva anche una lavanderia, presso il Borgo Basso, dove lavavano diverse ragazze e donne che,
mentre sbattevano i panni, insaponavano o risciacquavano, spettegolavano, così il lavare diventava
meno pesante e meno noioso. Il padrone della lavanderia, quando ebbe messo da parte un bel
gruzzolo, iniziò a costruirsi la casa e le malelingue delle sue lavandaie dicevano “La fai la cà cun
suta i rod” (ha fatto la casa con sotto le ruote) cioè non avendo i soldi per costruirla tutta, i creditori
avrebbero potuto pignorarla, portargliela via. Si racconta di un lavandaio sempre frettoloso,
soprannominato “Dirètt” che, una volta costruito il tetto della casa, per vendicarsi delle lavandaie
così linguaccione, mise sul frontespizio dell’edificio una scultura, rappresentante il viso di una
donna scapigliata, con la bocca aperta, da cui il nome “linguacciona”….
LA MADONNA DELLA STELLA ( in S. Maria in Betlem)
Pavia, grazie al grande fiume Po, ha sempre avuto rapporti commerciali con Venezia; sale e ferro
venivano scambiati con la seta e le spezie.
Una sera d’agosto, dalla laguna veneta era pronto a salpare, giunta l'alba, un barcone carico di
merci, con destinazione Pavia; giunse una donna con un bambino in braccio, chiedendo un
passaggio fino a Pavia, ma i marinai, per non avere problemi a bordo (il viaggio sarebbe durato una
settimana), le negarono l'imbarco; un marinaio, “Paron Antonio,” accettò di cederle la branda e di
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dividere con lei il cibo. Giunta l'alba si sentì il suono festoso di campane ma .... strano!!! Non
c'erano chiese nei dintorni, però di notte era nevicato e il paesaggio che appariva ai marinai non era
più quello veneto ma si scorgevano le torri di Pavia; il barcone era già a Porta Salara: cos'era
successo? Durante la notte il barcone si era miracolosamente spostato, navigando dal Po al Ticino,
fino a Pavia e lì accanto, da una chiesa (Santa Maria in Betlem) giungeva il suono festoso delle
campane. La donna col bambino era sparita e restavano solo le sue impronte leggere sulla neve e ...
lontano si scorgeva una luce in movimento. I marinai seguirono la luce, che portava in una chiesa
del Borgo Ticino, dal portone spalancato e lì, sull’altare videro una statua della Madonna che
assomigliava alla signora che avevano trasportato. Anche il bambino in braccio alla Vergine era
quello della passeggera e sul petto della donna brillava una stella luminosa. I marinai si
inginocchiarono pregando “ Ave Maris Stella”; avevano viaggiato per una notte con la Madonna,
guidata da una stella: la stella dei mari, “Maris Stella”.
IL MARTIRIO DI SAN GUNIFORTO
San Guniforto, giovane di nobile famiglia, bello, forte, di profonda fede cristiana, dovette lasciare
la sua “isola di Scotia”, nella quale i cristiani erano perseguitati, con le due sorelle e il fratello. Le
prime vennero uccise durante la fuga e il fratello riuscì a fuggire. Guniforto arrivò a Milano, dove
iniziò a diffondere la religione cristiana, ma i persecutori cercarono di eliminarlo. Lo arrestarono e,
fuori dalla città, gli scagliarono contro numerose frecce, abbandonando poi il suo corpo, tutto
sanguinante.
Quando riprese conoscenza, Guniforto, pur ferito e dolorante, riuscì a raggiungere,
miracolosamente, Pavia, ma dopo tre giorni morì. La sua santità si manifestò subito attraverso tre
prodigi: il corpo fu circondato da una schiera di angeli, le campane incominciarono a suonare da
sole, tutti gli ammalati che si recarono al suo capezzale, ciechi, zoppi, ...guarirono... Il santo fu
sepolto in una chiesa della città, che ora non esiste più e che prese il suo nome; le reliquie del santo
sono oggi conservate nella chiesa dei Santi Gervasio e Protasio, la cui festa si celebra il 22 agosto.
L'OLMO DI S.GERVASIO
Quando le donne della città desideravano un figlio e non riuscivano ad averlo, si rivolgevano al
parroco di S. Gervasio e Protasio. Un giorno, all'alba, si presentò da lui l'Arcangelo Gabriele che
recava in mano, invece di un giglio, un alberello: un olmo. Il prete, considerandolo un dono di buon
auspicio, pensò di piantarlo davanti alla chiesa, nel luogo dove pare che San Siro avesse costruito la
prima chiesa di Pavia. L’albero diventò più alto del campanile; i bambini giocavano sotto i suoi
ampi rami e spesso ascoltavano un anziano che raccontava antiche fiabe. Nel centro dell'ampio
tronco c’era una cavità. Si diceva che all'alba l'angelo deponesse proprio lì i bambini nati dal canto
notturno delle foglie dell’olmo e le anziane andassero a prenderli per consegnarli alle donne che
tanto li desideravano. Un giorno una bambina si recò dall'olmo per avere, in cambio del suo vecchio
bambolotto, un giocattolo nuovo; non si trattava di un desiderio di maternità ed i rami dell'albero
che non potevano realizzare quella richiesta, rimasero in silenzio, mentre la bambina piangeva,
triste, lì accanto.
Si narrano altre storie: convegni notturni di streghe intorno ad un olmo vecchio e grosso; chi tentò
di abbattere l’albero, se ne pentì, come accadde ad un priore dei Frati Francescani di S. Gervasio, il
quale, per timore di essere accusato di poco zelo, poiché lasciava proprio lì davanti al convento
l’albero degli incantesimi, lo fece abbattere dal servo ma il mattino seguente un altro olmo era sorto
al posto di quello abbattuto, più alto e più grosso. Il frate ne fu talmente colpito che morì di
spavento.
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L'albero è morto per colpa di un fungo parassita nel 1901; era noto anche come “olmo del
Foscolo”, perché sembra che il poeta, durante il soggiorno pavese, amasse riposarsi all'ombra della
sua chioma.
Leggende longobarde: RE PERTARITO
Quando il re longobardo Ariperto morì, i due figli ereditarono l'uno Milano e l'altro Pavia.
La sete di potere però divise i due fratelli e uno, Godeberto, si rivolse al duca longobardo
Grimoaldo perchè lo aiutasse a sconfiggere il fratello Pertarito. L'astuto Grimoaldo uccise
Godeberto quindi, dopo aver sconfitto Pertarito, lo imprigionò con la moglie e il figlio. Pertarito,
con l'aiuto di un suo uomo rimastogli fedele, travestito da mendicante, fuggì in Francia, poi tentò di
raggiungere l'Inghilterra, ma l'imbarcazione era continuamente risospinta verso la Francia. Ogni
notte, poi, una misteriosa voce dal cielo chiedeva se Pertarito fosse a bordo. Quando la voce gli
ordinò di ritornare a Pavia, Pertarito ubbidì e lì il suo popolo lo acclamò re. Per ringraziamento,
fece erigere il monastero di Sant' Agata, mentre sua moglie dedicò alla Madonna una chiesa, presso
un cimitero, dove venivano sepolti i nobili longobardi; era usanza piantare una pertica sulle tombe e
su ogni pertica si posava (o si rappresentava) una colomba.
La basilica venne denominata Santa Maria in Pertica.
Sempre all'epoca dei Longobardi e del regno di Alboino si rifanno le vicende e le leggende di
Bertoldo, che cambiano di paese in paese; di sicuro c'è la polenta, che Bertoldo distribuì alle galline
perchè deponessero più uova. Anche i rapanelli entrano nella leggenda: fu infatti a causa loro che re
Alboino cadde da cavallo (come,.. non si sa ...), per cui vennero banditi per sempre da corte.
Leggende longobarde: ROSMUNDA
Rosmunda fece trucidare il marito Alboino, re dei Longobardi. Amante di Elmichi, fratello di latte
del re, gli chiese di uccidere il marito, ma questi non ne ebbe il coraggio e neppure ebbe tale
coraggio l'amante di una sua ancella. Così Rosmunda si sostituì alla serva e all'appuntamento con
l’amante si rivelò e lo obbligò all’omicidio, per non rivelare al re il tradimento con sua moglie.
L’uomo uccise dunque Alboino mentre dormiva nel suo letto, dopo un lauto pasto con abbondante
vino. Alboino si svegliò, ma non riuscì a difendersi, nonostante la spada che portava sempre con sé,
perché l’astuta e perfida Rosmunda aveva legato la spada al fodero.
IL MUTO DELL’ACCIA AL COLLO
Nei musei di Pavia, c’è una strana statua, con il volto sfigurato e con un braccio legato al collo. La
statua era stata trovata nel Ticino, ma nessuno, a causa del pessimo stato, riuscì mai a stabilirne
l’origine e l’identità. Fu chiamata “Il muto dell’accia al collo” e su essa nacque una leggenda.
Viveva sulle rive del fiume un giovane pescatore, che possedeva una rete magica, in grado di
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pietrificare i pesci che vi finivano dentro, trasformandoli in gustosi pesci, quando venivano tolti
dalla rete. Per nascondere il segreto, il ragazzo andava a pescare nel fiume di notte. Si innamorò di
lui una bella ragazza, figlia di un giudice e i due innamorati si incontravano sulla riva del fiume, di
sera, prima che il ragazzo salisse sulla sua barca per pescare. La matrigna, per porre fine ad una
storia impossibile tra il pescatore e la figlia del giudice, una sera si travestì con la toga del marito e
seguì la giovane al fiume.
Mentre i due giovani si scambiavano tenerezze, la matrigna si mostrò e la ragazza, pensando che si
trattasse del padre, urlò, mentre il fidanzato fu svelto a gettare la sua rete magica su quella persona,
che si pietrificò all’istante ed il suo corpo, cadendo, rotolò nel fiume, dove è rimasto, ricoperto
dalla sabbia e dalla ghiaia, per secoli.
Quando è stata ritrovata la statua nel fiume, si è diffusa questa leggenda.
GLI ANGELI DELLA PESTE
A Pavia, durante il regno del terribile Cuniberto, si moriva di peste. Ogni notte, si racconta che
apparisse un angelo bianco che indicava ad un altro angelo, rosso, le case dei morti e questi,
battendo alle porte, ne segnasse il numero. I morti aumentavano e i cittadini si chiedevano quale
colpa avessero commesso per meritarsi ciò. Molti, per sfuggire alla pestilenza, si rifugiavano sulle
colline dell'Oltrepò. Quelli che restavano in città e vedevano ogni notte il cielo attraversato da scie
infuocate, chiesero aiuto al Vescovo Damiano, ma né le molte preghiere né le offerte a Dio, ebbero
effetto, così il Vescovo pensò di far arrivare da Roma una sacra reliquia: il braccio del martire San
Sebastiano. Esso fu portato in processione per la città; il braccio del santo sembrava indicare
all’angelo rosso la porta del ponte sul Ticino, come per invitarlo ad andarsene e così avvenne.
Ancora oggi un angelo bianco, di pietra, posto all'angolo tra Strada Nuova e Piazza Cavagneria,
ricorda la fine di quel tragico evento.
LE QUATTRO VIRTU’ CARDINALI
In seguito all'assedio di Pavia da parte degli Ungari di Salardo, il 12 marzo del 924, di notte, i
barbari entrarono in città, mettendola a ferro e fuoco. I cittadini cercarono inutilmente di difendersi
e resistere, ma molti morirono combattendo o arsi tra le fiamme. Tra le vittime c’era il vescovo
Giovanni; le 43 chiese della città furono tutte distrutte o incendiate. Quando gli Ungari se ne
andarono, con sacchi pieni d'oro e d'argento, razziato nelle case e nelle chiese, solo le mura della
città erano rimaste intatte, protette dalle statue che rappresentavano le 4 virtù cardinali, che
indicavano le quattro porte di accesso a Pavia. (La pietra per costruire le basi delle quattro porte, i
piloni del ponte e le statue, fu fatto giungere dai Romani dai Colli Euganei, mentre la sabbia era
prelevata solo dal Po.) I cittadini decisero allora di togliere le statue e sistemarle in luoghi sicuri per
conservarle per sempre: la Fortezza sotto la porta di San Giovanni, la porta d'Oriente; la
Temperanza al ponte sul Ticino che dà verso sud; la Giustizia sotto la porta Marenga (o del muto
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dell’accia al collo) a Occidente; la Prudenza alla porta che conduce a Milano. Ancora oggi si
trovano sepolte lì, sotto terra, al sicuro, dove vegliano e a proteggono Pavia.
LA CA’ AD FASULIN
Poco dopo la metà del 700 Ambrogio Fasolo, un materassaio, essendo morto senza aver voluto
ricevere i sacramenti, non fu sepolto in un luogo consacrato, ma messo in una buca lungo la
Darsena. Si racconta che costui uscisse di notte dalla sua tomba e, bianco come uno spettro,
vagasse nei dintorni, minacciando, allontanando e spaventando chiunque cercasse di avvicinarsi a
lui. La sua ombra, lunga e sottile, si manifestava lungo il Ticino e lo si vedeva anche da lontano.
Qualche volta lo spettro molestava le case circostanti o suonava la campanella del vicino convento
dei Cappuccini.
Leggende culinarie
Sia nella storia che nella leggenda, i Pavesi hanno sempre avuto ruoli da protagonisti in cucina, a
partire da San Siro, il patrono di Pavia che, da giovane, con cinque pani e due pesci, diede la
possibilità a Gesù di sfamare migliaia di persone. Con un tal precedente…
LA “SOUPE A LA PAVOISE”
Il piatto tipico della cucina pavese, la “Zuppa alla pavese”, ha origini “belliche”; si fa riferimento
alla battaglia di Pavia del 24 febbraio 1525, (la battaglia si combattè il mattino del 24 febbraio 1525
e durò un’ora e mezza) nella quale i Francesi di Francesco I furono sconfitti dagli Spagnoli, già
insediati a Pavia, aiutati dalla popolazione. Francesco I giunse verso sera presso un casolare di
campagna. Aveva perso tutto tranne l'onore e l'appetito; aveva fame e, alla richiesta di cibo, la
padrona di casa affettò del pane raffermo, grattugiò formaggio, aggiunse brodo e un paio di uova e
qualche erbetta (il crescione, che cresce lungo le rive di rogge e fossi; la donna confidò al re che
tale erba rendeva l’uomo “vigoroso”). Il re di Francia divorò avidamente il rustico piatto, che gradì
molto. Ritornato in patria, ordinò di cucinarlo anche per i suoi soldati e lo inserì nella tradizione
gastronomica francese, la “soupe à la pavoise”. (Due anni dopo, le truppe francesi riconquistarono
Pavia)
La cattura di Francesco I
Francesco I aveva continuato a battersi con pochi cavalieri e alla fine cercò scampo dalla morte o
dalla cattura tentando la fuga, ma il cavallo si impennò nei pressi della cascina Repentita; un colpo
di archibugio uccise il cavallo del re, il quale fu catturato e portato alla cascina, dove rimase alcune
ore e poi trasferito all'Abbazia di S. Paolo, poi fuori Pavia e quindi a Madrid, prigioniero di Carlo
V. La battaglia era durata due ore; i Francesi subirono perdite ingentissime e gli Spagnoli ebbero
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un migliaio di perdite. La guerra riprese nell'ottobre 1527, quando Pavia venne espugnata dai
Franco-veneziani guidati da Odet de Foix e subì anche un grande saccheggio.
IL RISO
Il riso, che è di casa in Lomellina, è anch'esso entrato nella leggenda.
L'invio di riso in certe occasioni, come le feste natalizie ed i compleanni, valeva (in alcuni paesi si
usa ancora ) come augurio festoso di felicità e di prosperità .
Da qui partì la diffusissima ed ancora moderna usanza di lanciare manciate di riso sulle coppie
appena sposate che escono dalla chiesa, per augurare abbondanza e fecondità ai novelli sposi.
IL GRUGNO DEL MAIALE
Anche mangiare il muso del maiale ha una certa simbologia.
Era credenza nel Pavese ed in Lomellina che mangiare carne di maiale e specialmente il muso
dell'animale, che tende a spostarlo sempre, a grufolare, in “avanti,” per la tendenza a progredire,
sarebbe stato di buon auspicio per tutta la famiglia che se ne era cibata.
Anche per il fatto che il maiale ammucchia il cibo col grugno (il muso), chi sceglieva di mangiarne
avrebbe avuto la possibilità di accumulare, durante l'anno, molte sostanze e di arricchirsi e così, il
1° dell’anno sarebbe opportuno mangiare “ al musin dal gogn!”
LA COLOMBA DI RE ALBOINO
Legata alla tradizione è anche una grande invenzione gastronomica, quella della colomba pasquale,
coincisa con la conquista di Pavia da parte di Alboino, re dei Longobardi.
*Era il 569 d.C. I Longobardi, conquistata la Lombardia, si erano accampati ad ovest della città di
Pavia per assediarla. I Pavesi resistettero per tre lunghi anni ma, alla fine, dovettero arrendersi ad
Alboino perchè i viveri in città scarseggiavano, mancava l'acqua e si temeva una pestilenza.
Alboino salì sul suo cavallo per entrare in città da trionfatore ma, appena l'animale si trovò sotto la
porta detta di San Giovanni, stramazzò al suolo come morto. Il cavallo non ne volle sapere di
alzarsi. Allora Elmichi, il suo fidato scudiero, gli disse all'orecchio: "Ricordati che le tue armi sono
intrise del sangue di coloro che professano la fede cristiana e, a causa delle spade longobarde, le
donne sono vedove e i ragazzi orfani. Inoltre tu, o re, hai fatto un voto spietato e quindi non potrai
entrare in una città il cui popolo è cristiano." Alboino infatti, aveva giurato di passare a fil di spada
tutta la popolazione di Pavia che non aveva voluto cedergli. Il re, allora, acconsentì a sciogliere il
giuramento. In quello stesso istante il cavallo si rialzò ed entrò in città. Tutta la gente di Pavia corse
verso il palazzo reale, fatto erigere da Teodorico. Lì si recò Alboino e, quando scese da cavallo,
vide una bellissima fanciulla che gli sorrideva e le chiese: “Come ti chiami?” “Sono Colomba”
rispose la ragazza, figlia del fornaio di Porta Calcinara. In segno di pace e di speranza vi offro
questo dolce appena sfornato, a forma di colomba”
Alboino accettò il dono e, da quel momento in poi, i dolci a forma di colomba sono il simbolo della
pace e della gioia pasquale.
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(I Longobardi, cosidetti per la lunga lancia o per la lunga barba, scesero in Italia nel 568 d.C.,
sconfiggendo i Bizantini. Pavia cedette, dopo tre anni di guerra, all’assedio di Alboino e diventò la
capitale del Regno Longobardo, in Italia, nel 572)
**Secondo un’altra versione, il cavallo inciampò attraversando la porta di accesso alla città e non
riusciva più ad alzarsi; a quel punto un giovane fornaio pavese si avvicinò all’animale recando in
mano un dolce profumato, appena sfornato, a forma di colomba ed il cavallo si rialzò
immediatamente, così Alboino, apprezzando quel gesto di aiuto, che lo aveva tolto dall’imbarazzo,
dimenticò il giuramento di vendetta contro i Pavesi e da quel giorno la colomba diventò il simbolo
della pace.
Ancora oggi, in Corso Garibaldi, all’altezza dell’incrocio con Via Alboino, è possibile intravedere
una piccola targa di marmo, sul muro, che ricorda l’avvenimento.
***Secondo un’altra leggenda quando Alboino cadde da cavallo, un anziano fornaio liberò il re da
quella scomoda posizione e il “prestinè” porse un pane di pasta dolce al quadrupede, che per
mangiarselo subito si rialzò. Qualche giorno dopo per la Pasqua, i Pavesi accorsero secondo l'uso a
portare regali al nuovo signore che, fra l'altro si vide offrire 12 bellissime fanciulle. Il re scorse tra i
presenti il vecchio fornaio con un dolce a forma di colomba, simile a quella che stava scolpita sul
portale della chiesa di San Michele. La trovò così squisito che ordinò al fornaio di impastargliene
tante, una per ogni soldato del suo esercito, giurando di rispettare le colombe, simbolo di pace. Poi
si volse alle 12 fanciulle domandando loro come si chiamavano. “Colomba”, rispose la prima e poi
la seconda “Colomba”, risposero tutte. Un bel tiro gli aveva giocato l'astuto fornaio, ma il re,
invece di punirlo, lo nominò pasticciere di corte e restituì le ragazze alle loro famiglie.
IL PANETTONE PAVESE
Cesare Angelini, rettore del famoso Collegio Borromeo di Pavia, alla vigilia di Natale, invitava i
suoi studenti a raddolcirsi il palato con il panettone. “Forse C. Angelini aveva trovato, frugando
nell'archivio, nell'Anno Santo del 1600 la prima ricetta del panettone, contendendo la scoperta di
questo ottimo dolce natalizio a Milano (famosa la leggenda milanese del “pan del Toni”, al tempo
di Ludovico il Moro). Il grande Cesare Angelini, studioso ed ammiratore del Manzoni, forse aveva
rintracciato, nelle sue peregrinazioni tra le antiche carte del collegio, una ricetta storico-culinaria:
quella del panettone, che però non si chiamava panettone, ma “pane grosso”, perché venivano
preparati dei grossi pani, uno per ogni studente. Ecco la ricetta dell'economo del Borromeo che,
dopo aver deciso quanto spendere, descriveva la ricetta “ per far 13 pani grossi per dar alli scolari il
giorno di Natale: speice, (spezie) onze 5; ughetta, (uvetta) libre 2; buttero, (burro) libre 3.”
Il panettone sarebbe dunque nato a Pavia. E chi lo dice adesso ai Milanesi?
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BIBLIOGRAFIA
Leggende e storie – Camera di Commercio di Pavia - 2004
Prodotti tipici e tradizioni gastronomiche – Camera di Commercio di Pavia
Articoli di giornale della “Provincia Pavese” e del “Ticino”
“Storie e leggende di Pavia e dintorni” da Internet
Ricerche su Internet
Marziano Brignoli - “La città e la Provincia di Pavia nel Risorgimento” - Camera di
Commercio di Pavia
Mario Scala – “Bombardamenti di Pavia e provincia” – EMI Editrice
Adolfo Mognaschi – “Leggende di Pavia” - 1985
INDICE
Così nacque Pavia
Pag. 3
Qualche notizia storica su Pavia
Pag. 4
I monumenti di Pavia
Pag. 6
Le leggende di S. Siro
Pag. 7
Le cento torri – Il ponte coperto sul Ticino
Pag. 9
Le tombe nel letto del Ticino
Pag. 10
L’impiccato – La linguacciona – La Madonna della stella
Pag. 11
Il martirio di S. Guniforto – L’olmo di S. Gervasio
Pag.12
Leggende longobarde: Re Pertarito –Rosmunda–Il muto dell’accia al collo Pag.13
Gli angeli della peste – Le quattro virtù cardinali
Pag.14
La ca’ ad Fasulin –Leggende culinarie
Pag.15
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Scuola Secondaria di 1° grado di Pieve Porto Morone
Anno scolastico 2011/12
Alunni CLASSE 3^C
Alunni CLASSE 3^F
Alunni CLASSE 2^C
1. ANSELMI LUCA
1- BARTELLA GAIA
1. ALBANESI LUCILLA
2. ARIOLI LUCA
2- CACCIOLA MARCO
2. BARONI MATTIA
3. BOSSI MARCO
3- CANOSI ALAN
3. BASSANI NICOLAS
4. CODAZZI GABRIELE
4- CARLAPPI MICHELLE
4. CASTORINA ANNA
5. CONCARI ANTONIO
5- COBIANCHI AURORA
5. CHIARELLA MATTIA
6. EL FADILI SOUKAINA
6- COSTANTIN MAYA
7. KARYA HAMZA
7- KHADRAOUY YOUNESS
8. MAGGI CARLO
8- FERRETTI MANUEL
7. MACCABRUNI
LORENZO
9. MAGNANI MARTINO
9- FONTANA ELENA
8. MOLTENI MIRKO
10. MALINVERNI ROBERTA
10- LUNGHI SIMONE
9. MULAZZI VALERIO
11. MINICHINO ANNA
11- MAGNANI SHARON
10. NDREKO LAZARELA
12. MOCANU GABRIELA
12- MATTARELLO ELISA
11. PAVESI MANUEL
13. POZZI CLAUDIO
13- MILANESI MATTEO
12. PRADELLA ANDREA
14. QUAGLIA MARIKA
14- NOVARESI ALEX
13. PUGLISI DANIELE
15. RIZZI GIULIA
15- RESSEGHINI MARCO
16. SIGNORELLI FRANCESCO
16- SACCARDI DAVIDE
14. RAFFALDI
FRANCESCA
17. VEZZANI AURORA
17- SARA GRETA
15. TIMPANI DARIO
18- SIGNORELLI ROBERTO
16. UGGETTI LUCA
19- VITTI MANUEL
17. ZAHID CHADIA
19
6. COBIANCHI SARA
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