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Il VII centenario della venuta di Dante in Lunigiana
Il VII centenario della venuta di Dante in Lunigiana di Giuseppe Benelli ANNIVERSARI Se la vita dell’Alighieri offre vaste zone d’ombra, ciò vale soprattutto per gli anni del suo lungo esilio, riguardo al quale frammentarie sono le notizie e pochi i dati certi, anche se si tratta del periodo più fecondo della sua attività letteraria. La Lunigiana è la terra che forse più di ogni altra è ricca di tradizioni e memorie dantesche. 37 38 ANNIVERSARI A fronte Genova, Galleria d’Arte Moderna. Tammar Luxoro, “Paesaggio” (Dante sull’Entella, 1865). N. inv. Gam 29. ANNIVERSARI Alle pagg. 36-37 Antonio Varni, “Dante e Virgilio incontrano Sordello”. Genova, Museo Accademia Ligustica di Belle Arti. in basso Leopoldina Zanetti Borzino, Dante e le donne fiorentine”. N. inv. GAM 400. L a pacificazione raggiunta fra i Malaspina ed i vescovi di Luni segna un punto fermo per la storia della Lunigiana, che si identifica, come sostiene Giovanni Sforza, nell’ampio territorio «compreso fra il Mediterraneo e la cresta di Pizzo d’Uccello, dell’Alpe di Mommio, di Sassalbo, di monte Orsaio e della Cisa fino al Gottero, territorio diviso dalla Liguria da un tratto di montagna la quale, diramandosi dal Gottero, mena direttamente alla marina tra Levanto e Sestri»1. La venuta di Dante in Lunigiana e gli atti della pace di Castelnuovo sono della massima importanza per ricostruire le vicende degli anni del travagliato esilio. Fra i dati certi di quel periodo, che ha visto Dante spostarsi di città in città, è da annoverare la venuta in Lunigiana nel 1306 per trattare la pace fra i marchesi Malaspina e il vescovo di Luni. La lunga disputa è nata dalle legittime rivendicazioni dei Malaspina sulle terre ereditate dagli Obertenghi e ora sotto il diretto dominio vescovile. La scoperta dei due atti notarili, cioè la procura di Franceschino Malaspina e l’atto finale della pace, è avvenuta grazie a Manfredi Malaspina, l’ultimo marchese di Terrarossa, che alla metà del Settecento, volendo rivendicare certi suoi diritti sul feudo di Treschietto, ha fatto eseguire accurate indagini in tutti gli archivi della Lunigiana. I documenti lunigianesi, pubblicati nel 1767 da Giambattista Lami sulle fiorentine «Novelle letterarie», vengono definiti dallo Zingarelli «la scoperta più importante dell’esilio di Dante». Franceschino Malaspina di Mulazzo, il 6 ottobre 1306 «ante missam», nella piazza Calcandola di Sarzana, per rogito del notaio Giovanni di Parente Stupio, a nome suo e dei congiunti Moroello e Corradino, nomina Dante procuratore per dirimere col vescovo di Luni, Antonio Nuvolone da Camilla, annose questioni di diritti vantati sui castelli di Sarzana, Carrara, Santo Stefano e Bolano. Subito dopo il poeta sale al paese di Castelnuovo e nel palazzo vescovile, «in ora tertia», stipula l’auspicata pace favorevole ai Malaspina. Ma come Dante ha avuto l’incarico? E quale ruolo realmente vi svolge? Secondo Livio Galanti, l’ipotesi più valida per giustificare la venuta di Dante in Lunigiana potrebbe trovare risposta in una precedente conoscenza del marchese Moroello Malaspina attraverso il comune amico Cino da Pistoia2. Moroello Malaspina è un signore cortese e poco importa a Dante se lo stesso marchese di Giovagallo, capo dei lucchesi alleati dei neri fiorentini, abbia guidato questi ultimi, qualche anno prima, alla vittoria contro i bianchi pistoiesi. Gli ha aperto il proprio castello, dove egli lavora alla Commedia, da quando ha deciso di ab- Giuseppe Frascheri, “Dante e Virgilio incontrano Paolo e Francesca” 1846. Genova, Galleria d’Arte Moderna. N. inv. GAM 3. 39 ANNIVERSARI Sarzana. Seminario, dipinto ottocentesco raffigurante Dante al monastero di Santa Croce al Corvo. 40 bandonare il Convivio. L’episodio narrato dal Boccaccio del ritrovamento in Firenze dei primi 7 canti dell’Inferno, affidati da Gemma a Dino Frescobaldi, il quale li recapita a Moroello perché persuada l’autore a riprendere il lavoro interrotto con l’esilio, «si può collocare tanto nell’autunno del 1306 quanto in un tempo immediatamente precedente»3. È Andrea, figlio della sorella di Dante che ha sposato Leone Poggi, a raccontare a Boccaccio del ritrovamento e come abbia provveduto a far leggere i sette canti a Dino Frescobaldi, che poi li ha fatti pervenire al loro autore attraverso uno dei marchesi Malaspina del quale è ospite in Lunigiana. Dante nel momento in cui rientra in possesso dell’inizio del suo poema, oltre a volgerlo in volgare, lo adatta alla sua condizione di esule, alimentato di una nuova linfa nella quale si scioglievano le sofferenze quella condizione4. «Se Dante accetta la nomina a procuratore, - scrive Petrocchi - vuol dire che egli è sul posto da qualche tempo per poter fruire della fiducia di tutti e tre i rami dei Malaspina, e già doveva aver svolto altre meno importanti incombenze consiliari»5. Sulla data del suo arrivo alla corte dei Malaspina sempre Galanti dimostra con evidenza che si possa fissare all’aprile del 1306. Nel canto VIII del Purgatorio l’anima di Corrado, per fissare il termine entro il quale Dante sarebbe stato accolto in Lunigiana, dice: «il sol non si ricorca / sette volte nel letto che il Montone / con tutti e quattro i pie’ cuopre ed inforca». Per Galanti si deve leggere: il sole non si ricorca sette volte nel segno zodiacale dell’Ariete, cioè nel significato di «uscire dalla costellazione». Per cui l’incontro fra Dante e Corrado nella valletta dell’antipurgatorio «si sarebbe svolto nel far della sera del 10 aprile del 1300». «Il sole, dunque, sarebbe tramontato, avrebbe cioè lasciato la costellazione dell’Ariete, dove allora si trovava, appena dieci giorni dopo, cioè il 20 dello stesso mese; il che comporta che la prima uscita si verificava nello stesso anno in cui avveniva il colloquio, cioè nel 1300: e, se la matematica non è un’opinione, ne sarebbe uscito per la settima volta sei anni e dieci giorni dopo, cioè il 20 aprile del 1306, che è il termine ad quem dell’arrivo di Dante alla corte dei Malaspina in val di Magra»6. Non c’è dubbio che Dante deve aver accettato l’incarico delle trattative col vescovo di buon grado, poiché la pace con Antonio da Camilla consente di rafforzare la posizione dei Malaspina nei riguardi del guelfismo toscano, costituendo un elemento di speranza per il ritorno di Dante a Firenze. I Malaspina, infatti, assumono un prestigio notevole, «in un momento in cui il nuovo papa, Clemente V (eletto il 5 giugno del 1305), potrebbe ancora presentarsi in Italia, il che invece non farà né in questi momenti, né poi, con ulteriore cruccio di Dante»7. ANNIVERSARI Il ruolo che l’Alighieri ha avuto in queste trattative, deve esser stato molto delicato. Nella procura, intatti, si parla di misfatti ed irregolarità compiute da Franceschino, dai fratelli Moroello e Corradino e loro seguaci contro il vescovo, la sua diocesi, amici, sudditi ed alleati. Anche nel trattato di pace si parla di omicidi, ferimenti, stragi, incendi, che hanno dilaniato la Lunigiana: si citano inimicizie, guerre, incendi, danneggiamenti, ribellioni, ferimenti ed omicidi perpetrati contro la Chiesa di Luni e il venerabile vescovo. Al vescovo è fatto solo l’obbligo di riconoscere come suoi amici gli amici dei signori Malaspina, di restituire a costoro ciò che ha avuto o riscosso in loro nome durante l’occupazione da lui fatta di alcuni tenitori ad essi già appartenenti, e di annullare ogni condanna o sentenza emessa contro di loro e i loro seguaci dai suoi tribunali e dalla sua curia temporale e spirituale. Queste colpe, di cui i Malaspina sì ritengono responsabili verso il vescovo, la diocesi e suoi seguaci, vanno inserite in quel processo storico di sgretolamento che anche quei marchesi, come il nascente comune di Sarzana e soprattutto quello di Lucca, andavano svolgendo ai danni dell’ormai malsicuro potere temporale dell’antica diocesi di Luni8. Così stando le cose, Galanti ipotizza che sia stato proprio il vescovo da Camilla a sollecitare questo trattato coi signori di Val di Magra allo scopo di assicurarsi le spalle ed avere le mani completamente libere per arginare l’ingordigia territoriale di Lucca. Che il presule di Luni fosse particolarmente interessato a questo atto di riconciliazione e di concordia traspare chiaramente dal fatto che egli non avanzi richiesta alcuna di riparazione morale e materiale dei danni subiti, che sia disposto a mantenere i patti conclusi anche nell’ipotesi che l’assente marchese Moroello non volesse ratificarli e che non ponga nessuna pregiudiziale sulle future decisioni sulla sorte dei contesi castelli della Brina e di Bolano. Dal canto loro i Malaspina hanno tutto l’interesse ad aderire alla richiesta, in quanto il dominio temporale della pacifica diocesi di Luni viene a costituire un cuscino su cui può riposare tranquilla anche la loro integrità territoriale9. I Malaspina, infatti, vogliono una pace generale che permetta loro di consolidare i loro feudi, come appare dalle due clausole, che vincolano moralmente le due parti in causa: il reciproco riconoscimento dei loro amici e seguaci, e la necessità che anche questi addivengano ad una scambievole, definitiva rappacificazione. In questa incerta situazione, l’opera diplomatica di Dante si destreggia fra le giuste rivendicazioni morali e materiali avanzate dal vescovo e la necessità di dover salvaguardare l’orgoglio di una famiglia, tenacemente attaccata ai suoi diritti feudali e per nulla disposta ad essere menomata della sua dinastica dignità. Il merito principale è proprio quello di averlo fatto accettare dalle due parti, ridando per il momento pace alle popolazioni di Val di Magra. Dante, dunque, non soggiorna poco tempo in Lunigiana e rende omaggio alla casata che tanto generosamente lo ospita, immaginando di incontrare in una piccola valle fiorita dell’antipurgatorio Corrado Malaspina di Villafranca, nipote del capostipite Corrado “l’Antico” che da Oramala in val Staffora ha trasferito la sua corte a Mulazzo10. Corrado espia nell’antipurgatorio l’eccessivo amore portato alla sua casata e di lui scrive Eugenio Branchi che «gravemente ammalatosi in Villafranca, nel 28 settembre 1294 dettando a Ser Percivallo Delfinello da Pontremoli le ultime sue disposizio- Mulazzo. Targa e monumento a Dante. 41 ANNIVERSARI Nicolò Barabino, “Dante incontra Matelda”. Bozzetto per il dipinto di Palazzo Orsini, Genova 1876-1887. Genova, Galleria d’Arte Moderna, n. inv. Gam 683. A fronte Castelnuovo Magra, Torri del Palazzo Vescovile. Ameglia, busto di Dante e lapidi commemorative murate nel monastero di Santa Croce al Corvo. Castelnuovo Magra. Lapide posta sul palazzo Vescovile. 42 ni, lasciò ogni suo feudo, ragioni e beni allodiali, ai fratelli e nipoti, la concordia e l’unione pel mantenimento della grandezza delle famiglie raccomandandogli». Ed è forse per aver omesso nel testamento la moglie, la figlia Spina e Bastardo, che Dante gli fa dire: «Ai miei portai l’amor che qui raffina». Cioè, Corrado sconta il troppo amore per la sua casata che ai suoi più stretti di sangue gli ha fatto anteporre i consorti11. Il Litta nei suoi alberi genealogici dice che «Corrado aveva riputazione di essere uomo di grande cortesia e di grande bontà, ovunque grandemente onorato, sempre magnifico, e molto amico degli infelici, che le guerre civili moltiplicavano»12. Si sa che è stato partecipe alle varie lotte che la sua famiglia nella seconda metà del secolo XIII ha sostenuto contro il vescovo di Luni, Enrico di Fucecchio. In lui Dante celebra il rappresentante di quel mondo cavalleresco ideale improntato a grandi valori di giustizia e pace che devono governare gli uomini. Numerosi sono i lunigianesi che hanno dato contributi significativi agli studi danteschi: da Giovanni Talentoni di Fivizzano a Niccolò Giosafatte Biagioli di Vezzano, da Adolfo Bartoli di Gragnola a Giovanni Sforza di Montignoso, da Paride Chistoni di Pontremoli a Achille Neri di Sarzana. In particolare sotto la guida del Bartoli, professore di storia della letteratura italiana a Firenze nel secondo Ottocento, gli studi danteschi universitari hanno preso un indirizzo positivo ispirato al «metodo storico», in cui si fondevano la tradizione erudita tiraboschiana e la filologia germanica13. Ma per conoscere i rapporti tra Dante e la Lunigiana e per approfondire la presenza della val di Magra nell’opera dantesca, fondamentale è il contributo di Livio Galanti, cui è dedicato il Museo Dantesco nella torre trecentesca di Mulazzo. Proprio rifacendosi agli studi del Galanti, Mirco Manuguerra, fondatore e direttore del Centro Lunigianese di Studi Danteschi, ha fatto degli studi lunigianesi su Dante una vera e propria branca disciplinare. «Quando noi ci domandiamo - scrive Manuguerra - quali siano le ragioni che stanno alla base dell’eccezionale elogio dei Malaspina in Purgatorio VIII; quando noi cerchiamo di stabilire l’autenticità, e a mio avviso ci riusciamo, dell’Epistola di frate Ilaro del Monastero del Corvo di Ameglia ad Uguccione della Faggiuola; quando noi ci interroghiamo su quella leggenda singolare, tra- ANNIVERSARI mandataci dal Boccaccio, secondo cui i primi sette canti dell’Inferno sarebbero stati miracolosamente rinvenuti in Firenze, dopo l’esilio, e dunque rimessi nelle mani del Poeta proprio qui in terra Lunigiana, per il tramite dell’ospite stesso, il marchese Moroello Malaspina di Giovagallo; e quando poi analizziamo gli Atti della Pace di Castelnuovo, unica testimonianza certa della presenza di Dante in un dato luogo nel corso del lungo esilio; e, ancora, quando noi prendiamo a definire con rigore le memorie e i luoghi danteschi di Lunigiana, stabilendo metodi e principi di indagine volti ad eliminare per quanto più possibile analisi forzate e sterili campanilismi, e quando poi infine insorgiamo, ribellandoci a quella Sindrome di Castelnuovo per cui ancora oggi osserviamo con disarmante regolarità le referenze dantesche lunigianesi essere trattate con scarsa considerazione e talvolta con nessun rispetto, quando noi facciamo un qualcosa di tutto ciò, non facciamo altro che compiere un atto in ordine ad un dominio di indagine e di conoscenza ben preciso che noi indichiamo con il termine di Dantistica Lunigianese». Note G. Sforza, Studi archeologici sulla Lunigiana ed i suoi scavi dal 1442 al 1800, Modena 1896, pp. 20-21. 2 L. Galanti, Il soggiorno di Dante in Lunigiana, Pontremoli 1985, p. 44. 3 G. Petrocchi, Vita di Dante, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 101. 4 A. Altomonte, Dante. Una vita per l’imperatore, Rusconi, Milano 1985, p. 311-14. 5 G. Petrocchi, op. cit., p. 99. 6 L. Galanti, op. cit., pp. 59-60. 7 G. Petrocchi, op. cit., pp. 99-100. Clemente V, eletto con l’appoggio di Filippo il Bello, trasferisce la sede pontificia ad Avignone, riducendola alle dipendenze del sovrano francese. Dante, che aveva ritenuto che dopo Bonifacio non ci sarebbe stato un papa altrettanto dannoso per la Chiesa, deve riconoscere che Clemente lo è sicuramente di più. Nessuna sorpresa, dunque, di trovare nel Purgatorio Ugo Capeto che allude alle colpe di quel suo lontano discendente, Filippo, o a sentire nell’Inferno il nome di Clemente V in bocca, come Bonifacio VIII, a un altro papa simoniaco, Niccolò III. Cfr. A. Altomonte, op. cit., p. 310. 8 Cfr. G. Volpe, Toscana medievale, Firenze 1964, p.520. 9 L. Galanti, op. cit., p. 45. V’è un altro elemento ad entrare nel discorso lunense di Dante: è la cosiddetta epistola del monaco Ilaro ad Uguccìone della Faggiuola (su cui vedi Enciclopedia Dantesca, alla voce Ilaro); ma nell’uno o nell’altro giudizio che si può dare del testo esso comprova esternamente il folto indice di frequenza dei rapporti tra Dante e la terra di Luni, per i quali occorrerebbe prospettare un secondo passaggio del poeta almeno un cinque-sei anni dopo, se non all’epoca della primavera del ‘12, dopo la sosta a Pisa. 10 R. Piattoli, Malaspina, Corrado I detto l’Antico, in Enciclopedia dantesca, vol. XI, Biblioteca Treccani, Mondadori, Milano 2005, p. 72. 11 E. Branchi, Storia della Lunigiana feudale, Pistoia 1898, Vol. II. pp. 11 s. 12 P. Litta, famiglie celebri italiane, Malaspina, tav. IV. 13 Cfr. G. Benelli, Le celebrazioni dantesche del 1906 in Lunigiana, tra storiografia erudita e nuovi orientamenti culturali, XXX-XXXI (20002001), pp. 5-38. 1 43