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Il Volto della Misericordia
DIOCESI DI BRESCIA Ufficio per la Spiritualità e le Vocazioni Il Volto della Misericordia Ritiri spirituali per l’anno pastorale 2015-2016 Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia (nn. 1-2) Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth. Il Padre, «ricco di misericordia» (Ef 2,4), dopo aver rivelato il suo nome a Mosè come «Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,6), non ha cessato di far conoscere in vari modi e in tanti momenti della storia la sua natura divina. Nella «pienezza del tempo» (Gal 4,4), quando tutto era disposto secondo il suo piano di salvezza, Egli mandò suo Figlio nato dalla Vergine Maria per rivelare a noi in modo definitivo il suo amore. Chi vede Lui vede il Padre (cfr Gv 14,9). Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona rivela la misericordia di Dio. Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato. 2 Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo Signore Gesù Cristo, tu ci hai insegnato a essere misericordiosi come il Padre celeste, e ci hai detto che chi vede te vede Lui. Mostraci il tuo volto e saremo salvi. Il tuo sguardo pieno di amore liberò Zaccheo e Matteo dalla schiavitù del denaro; l’adultera e la Maddalena dal porre la felicità solo in una creatura; fece piangere Pietro dopo il tradimento, e assicurò il Paradiso al ladrone pentito. Fa’ che ognuno di noi ascolti come rivolta a sé la parola che dicesti alla samaritana: Se tu conoscessi il dono di Dio! Tu sei il volto visibile del Padre invisibile, del Dio che manifesta la sua onnipotenza soprattutto con il perdono e la misericordia: fa’ che la Chiesa sia nel mondo il volto visibile di Te, suo Signore, risorto e nella gloria. Hai voluto che i tuoi ministri fossero anch’essi rivestiti di debolezza per sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore; fa’ che chiunque si accosti a uno di loro si senta atteso, amato e perdonato da Dio. Manda il tuo Spirito e consacraci tutti con la sua unzione perché il Giubileo della Misericordia sia un anno di grazia del Signore e la sua Chiesa con rinnovato entusiasmo possa portare ai poveri il lieto messaggio, proclamare ai prigionieri e agli oppressi la libertà e ai ciechi restituire la vista. Lo chiediamo per intercessione di Maria Madre della Misericordia a te che vivi e regni con il Padre e lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen. 3 Preghiera del beato Papa Paolo VI per le Vocazioni Illuminati e incoraggiati dalla tua Parola, ti preghiamo, o Signore, per coloro che hanno già seguito e ora vivono la tua chiamata. Sostienili nelle difficoltà, confortali nelle sofferenze, assistili nella solitudine, proteggili nella persecuzione, confermali nella fedeltà. Ti preghiamo, o Signore, per coloro che stanno aprendo il loro animo alla tua chiamata, o già si preparano a seguirla. La tua Parola li illumini, il tuo esempio li conquisti, la tua grazia li guidi. Per tutti loro, o Signore, la tua Parola sia di guida e di sostegno. Amen. (Beato Paolo VI, XV GMPV, 1 febbraio 1978) 4 DIOCESI DI BRESCIA Ufficio per la Spiritualità e le Vocazioni Il Volto della Misericordia Ritiri spirituali per l’anno pastorale 2015-2016 5 Presentazione Si apre un nuovo anno di grazia: per Misericordia, sarà Giubileo. Le ricorrenze giubilari delle singole vocazioni - come il 50° di sacerdozio celebrato dal vescovo Luciano - sono occasioni per rinnovare la gratitudine a Dio e l’impegno di servire in nome Suo i fratelli; sono spazio per rileggere nella trama dei giorni l’intreccio di vita e di amore che la Provvidenza non si stanca di tessere attraverso l’“eccomi” che quotidianamente ogni vocazione è chiamata a pronunciare. L’anno giubilare di tutta la Chiesa, in particolare, si caratterizza per l’accoglienza della Misericordia che Dio costantemente non si stanca di offrire ai suoi figli. È un’offerta costante, ma celebrarla insieme - come comunità - ci aiuta a sostenerci reciprocamente nell’accoglierla e nel ridonarla, nel farci carico delle situazioni in cui siamo chiamati ad essere “Misericordiosi come il Padre”, questo il motto dell’Anno Santo. Papa Francesco invita nella Bolla di indizione a “fare l’esperienza di aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica”. Per l’attualizzazione, il sussidio offre un richiamo alle opere di misericordia corporale e spirituale, che il papa invita a riscoprire gioiosamente, perché “ci accompagnino le parole dell’Apostolo: «Chi fa opere di misericordia, le compia con gioia» (Rm 12,8)”. A immagine e somiglianza di Dio, accogliendo la grazia di essere figli nel Figlio, possa risplendere anche nei nostri volti, il Volto della Misericordia. don Alessandro Tuccinardi 7 Hanno curato questo sussidio: - Mons. Mauro Orsatti: testi per la preparazione personale; - Don Pierino Boselli: testi eucologici e scelta dei canti; - Mons. Angelo Bonetti e Attilio Vescovi: testi e preghiere di papa Paolo VI; - Don Alessandro Tuccinardi e la Segreteria generale della Curia per la redazione e la correzione delle bozze. Per i testi biblici: - Bibbia (la) di Gerusalemme, a cura della Conferenza Episcopale Italiana, Ed. Dehoniane, Bologna 2009. Per le pro-vocazioni: - Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia; In copertina: Longaretti, Cristo fra oriente ed occidente Concesio – Collezione Paolo VI In ultima di copertina: Lello Scorzelli, Cristo sofferente, 1971 Concesio – Collezione Paolo VI Stampa: Finito di stampare nel mese di Agosto 2015. ISBN: 978-88-6146-063-8 8 Date e temi dei ritiri 2015 14-15 OTTOBRE Rimasero in due: la misera e la misericordia (Gv 8,1-11) 11-12 NOVEMBRE Prendersi cura: la parabola del buon Samaritano (Lc 10, 25-37) 9-10 DICEMBRE Una donna che ama, perché amata (Lc 7,36-50) 2016 13-14 GENNAIO Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù (Lc 7, 11-17) 11 e 17 FEBBRAIO La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso (Lc 15,11-32) 13-14 APRILE La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35) 11-12 MAGGIO Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta (Lc 1,39-56) 8-9 GIUGNO Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo (Lc 19,1-10) 9 il volto OTTOBRE Rimasero in due: la misera e la misericordia (Gv 8, 1-11) L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole. 11 Rimasero in due: la misera e la misericordia dia». La Chiesa «vive un desiderio inesauribile di offrire misericor- Forse per tanto tempo abbiamo dimenticato di indicare e di vivere la via della misericordia. La tentazione, da una parte, di pretendere sempre e solo la giustizia ha fatto dimenticare che questa è il primo passo, necessario e indispensabile, ma la Chiesa ha bisogno di andare oltre per raggiungere una meta più alta e più significativa. Dall’altra parte, è triste dover vedere come l’esperienza del perdono nella nostra cultura si faccia sempre più diradata. Perfino la parola stessa in alcuni momenti sembra svanire. Senza la testimonianza del perdono, tuttavia, rimane solo una vita infeconda e sterile, come se si vivesse in un deserto desolato. È giunto di nuovo per la Chiesa il tempo di farsi carico dell’annuncio gioioso del perdono. È il tempo del ritorno all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli. Il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza. Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 10 12 OTTOBRE Per la preparazione personale «La verità senza la carità è crudeltà» aveva sentenziato Pascal. Capita spesso che le due qualità, anziché essere sorelle gemelle, siano rivali, producendo un deprecabile iato. Ciò si ottiene, malauguratamente, quando si dicono cose vere, ma solo per ‘infilzare’ e ferire l’altro, per fargli rimarcare le sue inadempienze, se non addirittura le sue deficienze. La verità sprovvista di amore, è utilizzata come una spada per inchiodare l’altro al legno della sua colpevolezza. Altre volte, sul versante opposto, viene diffuso un amore non ammantato di verità che, alla fine, finisce per essere di contrabbando, un surrogato di dubbia qualità. Nell’uno e nell’altro caso, l’obiettivo è mancato. Verità e amore devono poter vivere insieme, in un felice, anche se non facile, connubio. Osserviamo ora, nell’episodio di Gv 8,1-11, la vicenda di Gesù chiamato a dirimere il caso giuridico dell’adultera. Nell’intricata vicenda, Gesù è stato magistralmente capace di unire la chiarezza della verità con la dolcezza dell’amore. Un ‘matrimonio’ difficile, eppure possibile, che reca beneficio a tutti. In caso contrario, se questo matrimonio non si può fare, ne viene un’esistenza scomposta, lacerata, addirittura schizofrenica. 13 Rimasero in due: la misera e la misericordia Tematica e dinamismo Prima di procedere nell’analisi del brano, dobbiamo sostare sul problema dell’attribuzione. Infatti, il brano è un vero busillis per gli studiosi e su di esso grava l’ipoteca della paternità. Anche se inserito nel IV Vangelo, quasi tutti concordano nel rifiutare la paternità giovannea per diversi motivi, sia per l’assenza in tanti manoscritti antichi, sia per questioni letterarie (collocazione, stile, vocabolario…). Non pochi autori lo attribuiscono a Luca, per motivi di vocabolario e di sensibilità teologica. Lasciando agli specialisti la ricerca dettagliata, a noi basti ricordare che siamo comunque in presenza di un testo ispirato, cioè di un testo che veicola la rivelazione di Dio. Ci rasserena la tranquilla certezza di essere in presenza di ‘vangelo’, di una stupenda pagina che permette di vedere, quasi di ‘palpare’, la misericordia di Dio, quella che si è concretizzata nella persona di Gesù. La trama organizzativa risulta semplice ed essenziale. Dopo una introduzione con indicazioni geografiche e cronologiche (vv. 1-2), la prima parte, più estesa, presenta il dialogo tra i Giudei e Gesù, per nulla concordi circa il giudizio di una donna adultera sorpresa in flagrante reato. La soluzione adottata da Gesù obbliga gli altri a mollare la ‘preda’ (vv. 3-9). Usciti di scena gli avversari, la seconda parte riporta il dialogo tra Gesù e la donna (vv. 8-11). Qui raggiungiamo il vertice teologico del brano e assaporiamo il succo del messaggio. Breve commento L’inizio ha tutto il sapore di un comune racconto. Troviamo sobrie note informative circa il tempo (al mattino presto) e il luogo (sulla spianata del tempio). Eppure, appena superata la soglia della ovvietà narrativa, il lettore attento percepisce sotto la pellicola di alcuni particolari un sostanzioso messaggio. Si intravede una centralità cristologica che sarà sviluppata nel corso di tutto il racconto. 14 OTTOBRE Infatti, abbiamo un Gesù che insegna, e un popolo che accorre ad ascoltarlo. C’è quindi un docente e ci sono persone disposte ad accogliere la sua parola. Si potrebbe profilare qui una sottile polemica con tutti coloro che, sapienti presuntuosi, non sentono il bisogno di mettersi alla scuola dell’unico vero docente. Gesù sta seduto, espressione di autorità, ma altresì espressione di autorevolezza della sua parola, non omologabile a tante altre che riempiono l’aria lasciando vuoti i cuori. L’efficacia di tale parola e il piacere di ascoltarla sono nascosti in quel «tutto il popolo andava da lui», minuscolo crittogramma di successo. Possiamo intuire che quella parola combina il felice binomio di verità e di amore: non sono ammessi sconti sulla verità, non patteggiamenti di comodo, ma tutto è condito sempre con il sale della comprensione e dell’accoglienza. Fin dalle prime parole veniamo quindi a sapere che Gesù occupa il centro dell’interesse, è il Maestro che può dire una parola verace. L’annotazione di partenza è quindi molto più di un’informazione, perché diventa chiave di lettura per interpretare correttamente quanto sta per accadere. Narriamo dapprima il fatto e poi cerchiamo di interpretarlo. Il fatto Mentre Gesù sta insegnando nel tempio, gli è sottoposto un caso da dirimere: una adultera, colta in flagrante reato, deve essere da lui giudicata per il suo comportamento peccaminoso. La legge mosaica è ben conosciuta e sentenzia la lapidazione per simili donne. Tale severità a noi sembra eccessiva, ma va ricordato che essa era intesa come salvaguardia di un’istituzione fondamentale come la famiglia. Del resto, un procedimento analogo è reperibile anche presso altri popoli dell’antichità, come i babilonesi: lo documenta il Codice di Hammurabi a partire dal paragrafo 129. 15 Rimasero in due: la misera e la misericordia Alla severità della legge mosaica fa da contrappunto l’atteggiamento di bontà e di comprensione manifestato da Gesù per peccatori ed emarginati. Che cosa fare? Far pendere il piatto della bilancia in favore della legge o della misericordia? Avvertiamo subito un difetto di procedura. Se la donna è stata sorpresa mentre commetteva adulterio, con lei doveva esserci anche un uomo. In questo caso la legge prevede che entrambi siano messi a morte (cf Dt 22,22ss). Perché prendersela solo con la donna? Il tutto appare ben orchestrato da scribi e farisei i quali, come esplicita l’evangelista, vogliono tendere una trappola a Gesù: «La donna, posta in mezzo (v. 3) tra Gesù e la folla, diventa subito il simbolo della controversia tra il Figlio di Dio e i suoi avversari. Essa rappresenta il problema giuridico tra la legge di Mosè e quella di Gesù» (G. Zevini). In modo subdolo la domanda degli avversari obbliga Gesù a prendere posizione, o con una sentenza di condanna, o con una parola di assoluzione. In entrambi i casi la trappola era pronta a scattare. Nel caso di assoluzione, egli sarebbe stato accusato di trasgredire la legge mosaica. Nel caso di condanna, egli sarebbe stato denunciato all’autorità romana, perché avrebbe autorizzato una lapidazione, senza nulla osta della competente autorità romana. Sappiamo infatti che Roma toglieva ai popoli vinti lo jus capitis, cioè il diritto di comminare la pena capitale. Veramente sulla testa di Gesù pende una ‘spada di Damocle’. In questa situazione Gesù deve decidere. Prende tempo scrivendo per terra. Sono attimi eterni di impacciante silenzio. Molti si sono impegnati a decifrare quelle parole o quei segni tracciati sulla sabbia: per qualche autore Gesù scriveva i peccati degli accusatori, per altri il comandamento «non commettere adulterio» oppure «non uccidere». Ha scarsa importanza il contenuto di quella scrittura, forse solo qualche scarabocchio. Meglio osservare che le fredde esigenze della legge antica si scrivevano sulla pietra, la nuova legge dell’amore si traccia sul terreno friabile del cuore. Il silenzioso gesto di Gesù che scrive per terra è segno di imperturbabilità. Stupisce la sua tranquillità, quando 16 OTTOBRE attorno c’è maretta, anzi aria di tempesta. Il Maestro non perde la calma, non si lascia agitare da una fretta inconsulta. Alla reiterata insistenza degli avversari è data una risposta carica di saggezza salomonica. Di fatto, Gesù squarcia il suo silenzio e la sua parola è come una spada che si conficca nella profondità della coscienza, colpendo implacabilmente tutte le miserie e le ipocrisie che vi si annidano: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». È come dire che solo chi ha la coscienza pulita può scagliare per primo una pietra. Il primo lancio tocca, secondo la normativa di Dt 17,7, al testimone oculare, il quale autorizza con il suo gesto tutti i presenti maggiorenni a prendere parte alla lapidazione. Nessuno vuole prendersi la responsabilità dell’iniziativa perché nessuno ha la coscienza pulita. Anzi, gli accusatori si trovano ora sul banco degli imputati e manifestano la loro colpa con un vergognoso allontanamento. Così la legge non è infranta, e l’autorità giudaica non ha nulla da ridire. Nessuno è messo a morte, e l’autorità romana può starsene tranquilla. Eluso il tranello, affiora il vero valore dell’atteggiamento di Gesù, venuto a perdonare e a ridare fiducia: «Va’ e d’ora in poi non peccare più». Fin qui la trama del racconto. Tentiamo ora di dipanare il suo messaggio più profondo. Il significato del fatto Gesù tratta con molta umanità la donna, mai dimenticando di avere davanti una persona che, anche se degradata dal peccato, rimane meritevole di rispetto e, proprio perché peccatrice, destinataria di profonda comprensione. Per gli accusatori invece la donna era solo una ‘cosa’ che si poteva tenere o gettare, liberare o lapidare, secondo il responso di Gesù. 17 Rimasero in due: la misera e la misericordia Ella costituiva un’opportuna esca per spingere Gesù ad una decisione che, nell’uno o nell’altro caso, si ritorceva contro di lui. Ella rimane un oggetto che rende un ottimo servizio agli avversari di Gesù. Ora tocca a lui dipanare l’aggrovigliata matassa, distribuendo in modo diverso dignità e responsabilità. Finora esistevano buoni e cattivi nettamente ripartiti: gli accusatori da una parte e la peccatrice dall’altra. I custodi scrupolosi della legge e i guardiani della moralità pubblica si oppongono nettamente alla donna perversa. La divisione appare agli occhi di Gesù semplicistica, sommaria e perfino falsa. Occorre rimescolare le carte e procedere per gradi. La legge mosaica esiste e conserva il suo valore: infatti Gesù non proibisce la lapidazione. Però se la legge c’è, deve essere uguale per tutti, dentro e fuori: «Chi di voi è senza peccato (= chi osserva la legge) getti per primo la pietra». A questo punto il mondo farisaico scopre il suo tallone di Achille. Tutti, cominciando dai più anziani, lasciano il campo. Non erano proprio irreprensibili come volevano far credere, né vivevano nel culto della legge se tutti, proprio tutti, ritennero più prudente abbandonare quel luogo e la loro preda, diventata scomoda esca. Con una semplice frase Gesù può ripartire equamente le responsabilità, ponendo la donna, peccatrice e colpevole, insieme ai suoi accusatori, non meno peccatori e colpevoli. Proprio questi non reggono al confronto e trovano più conveniente andarsene. Rimane la donna o, come commenta s. Agostino, rimangono in due, la misera e la misericordia (Relicti sunt duo, misera et misericordia). A questo punto è appianata la strada per un incontro, un incontro che farà storia o, meglio, farà ‘Vangelo’. Si apre tra i due un dialogo, essenziale e decisivo. Solo a questo punto Gesù le rivolge la parola e la chiama «donna», un titolo di deferente rispetto che darà anche a sua madre. Chi gli sta davanti è una persona che egli non solo rispetta, ma che pure riabilita. Gesù apre un angolo di cielo blu che rischiara il cuore della donna. Un dialogo breve per non metterla in imbarazzo, con risposta ovvia già inclusa nella domanda, prepara la 18 OTTOBRE salvezza spirituale dopo la salvezza materiale. Gesù non la scusa, né la giustifica per il suo operato, semplicemente ‘perdona’. E perdono, chi l’ha provato lo sa, è riabilitazione, rinascita a vita nuova, aria fresca, possibilità di essere diversi per iniziare un cammino nuovo. A conclusione e coronamento dell’incontro viene una missione di fiducia: «Va’ e d’ora in poi non peccare più». Quel «va’» racchiude qualcosa di più di un semplice congedo e potrebbe essere equiparato ad una missione profetica, a un annuncio che i tempi nuovi sono iniziati. La donna si deve fare portavoce presso gli altri che Dio è misericordia e che lei lo ha incontrato visibilmente in Gesù di Nazaret. Il perdono che ha ricevuto è una liberazione totale e, più di ogni altra rigida giustizia, serve a creare nel cuore della persona peccatrice l’inizio di un genuino «non peccare più». Il messaggio trasmigra nei secoli e raggiunge il lettore moderno «invitato egli stesso ad abbandonare le sue paure, a non bloccarsi nel passato, che a volte è un altro cerchio di morte, e a camminare nella libertà dei figli di Dio» (Léon Dufour). Verità e amore Tutti sono concordi, in linea di principio, a lasciare ampio spazio sia alla verità sia all’amore, due giganti che riempiono, e qualche volta invadono, l’immaginario collettivo. Il difficile nasce quando si vuole coniugare concretamente le due realtà. Non è raro assolutizzare la verità e sconfinare nell’intransigenza e nell’intolleranza, come pure, sul versante opposto, lasciare spazio all’amore così da atrofizzare la verità. Logico quindi il divorzio tra verità e amore. Gesù ha insegnato che i due possono stare sapientemente e felicemente insieme e ha pure dimostrato il modo. Stupendamente scandaloso è il messaggio racchiuso in questo brano che descrive la maliziosa sfida degli accusatori e la sapienza benigna del giudice, l’unico che potrebbe pronunciare una condanna contro la peccatrice, peraltro ammonita con severa clemenza. 19 Rimasero in due: la misera e la misericordia Gesù, il rivoluzionario pacifico, ha sfidato i suoi avversari sul terreno della coscienza: «Chi di voi è senza peccato...». Egli valorizza la verità, quella che si nasconde nelle pieghe recondite di ogni uomo. Aiuta i suoi avversari a rendersene conto. Anche alla donna ricorda il suo peccato, senza concedere ‘sconti’ assiologici o indebite depenalizzazioni. Non cede alla tentazione di confondere il vero con il falso. Oggi è di gran moda giustificare tutto e tutti con espressioni del tipo: «Che cosa c’è di male?... Lo fanno tutti... Non siamo più nel Medioevo». Così si diventa conniventi, complici, perché traditori della verità. Accogliente non fa rima con connivente, né comprensivo è sinonimo di complice. Stabilita in modo inequivocabile e fermo la verità, occorre coniugarla con l’amore. La novità del messaggio cristiano consiste nel riconoscere che nessuno è senza peccato e che ognuno può non peccare più. Il peccato è il passato dell’uomo, la grazia divina è il suo futuro. Gesù ha amato i suoi avversari perché li ha benevolmente avvisati di non lasciarsi stritolare dalla presunzione di impeccabilità, perché li ha aiutati a togliere quella patina di perbenismo che spesso e volentieri si spalmavano addosso. Ha offerto loro la possibilità di guardarsi allo specchio della loro coscienza, quasi obbligandoli a sentirsi bisognosi anch’essi della misericordia di Dio. Più vistoso e facilmente comprensibile è l’amore dimostrato da Gesù alla donna. Egli ha inaugurato un tempo nuovo per lei, ritenendola persona, restituendole la sua dignità, anzi, aumentandola con la certezza del suo perdono e con la fiducia che dopo un incontro autentico con lui si può essere talmente diversi da essere considerati ‘nuovi’. Il più grande e il più forte è colui che crede che l’avvenire, nonostante tutto, si può ancora inventare, che il perdono comporta sempre l’avere fiducia in chi ha peccato. Ed è sempre così. La nostra miseria può sempre incontrare la misericordia del Signore: solo allora siamo in grado di uscire dalla nostra solitudine per entrare in comunione con Colui che è l’Amore e la Vita nuova dell’uomo. 20 OTTOBRE Celebrazione Accoglienza Introduzione Il cammino dei ritiri spirituali dell’anno pastorale 2015-2016 è ritmato dalle provocazioni evangeliche che nell’anno santo della Misericordia ci spingono a rendere nostro questo stile di vita espresso dalle scelte e dai gesti evangelici di Cristo. In questo ritiro ci viene ricordato che “la Misericordia è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre, nonostante il limite del nostro peccato” (Mv n.° 2). Invochiamo lo Spirito perché sani le nostre ferite con il balsamo del suo amore. 21 Rimasero in due: la misera e la misericordia 1 - Dio con tutto il cuore Canto di inizio VENI CREATOR SPIRITUS (AA, 251) Veni, creátor Spíritus, mentes tuórum visíta, imple supérna gratía quæ Tu creásti péctora. Qui díceris Paráclitus, Donum Dei altíssimi, fons vivus, ignis, cáritas, et spiritális únctio. Tu septifórmis múnere, dextræ Dei Tu dígitus, Tu rite promíssum Patris, sermóne ditans gúttura. Accénde lumen sénsibus; infúnde amórem córdibus; infírma nostri córporis virtúte firmans pérpeti. Hostem repéllas lóngius, pacémque dones prótinus: ductóre sic Te prævio vitémus omne nóxium. Per Te sciámus da Patrem, noscámus atque Fílium, Te utriúsque Spíritum credámus omni témpore. Amen. 22 OTTOBRE Saluto Pr.: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Ass.: Amen. Pr.: Fratelli, eletti secondo la prescienza di Dio Padre mediante la santificazione dello Spirito per obbedire a Gesù Cristo per essere aspersi nel suo sangue, grazia e pace in abbondanza a tutti voi (MRI, p. 294). Ass.: E con il tuo spirito. Salmo preparatorio 125 (126) Dio interviene in favore del suo popolo in difficoltà. Il passato (il male), il presente (il perdono) e il futuro (la salvezza) si intrecciano con la certezza che tutta la storia è segnata dalla misericordia di Dio. Rit.: Il Signore è la mia salvezza e con Lui non temo più perché ho nel cuore la certezza, la salvezza è qui con me. Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion, ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di gioia. Rit. Allora si diceva tra le genti: “Il Signore ha fatto grandi cose per loro”. Grandi cose ha fatto il Signore per noi: eravamo pieni di gioia. Rit. 23 Rimasero in due: la misera e la misericordia Ristabilisci, Signore, la nostra sorte, come i torrenti del Negheb. Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia. Rit. Nell’andare, se ne va piangendo, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con gioia, portando i suoi covoni. Rit. Colletta salmica Pr.:Preghiamo. O Padre, tuo Figlio, nostra Pasqua e nostro Liberatore, ha seminato nel pianto sul cammino del Calvario e ha mietuto nella gioia il mattino di Pasqua. Rinnova questi prodigi per la Chiesa, nostra madre, fa’ che siamo pronti a perdere la nostra vita in questo mondo, come il seme di frumento che finisce sotto terra e muore, e nel giorno del raccolto saremo con Gesù nella gioia della tua casa. Egli vive e regna nei secoli dei secoli. Ass.: Amen. 24 OTTOBRE 2 – Dio con tutta la mente Disponiamoci all’ascolto della Parola di Dio. Ant.: Alleluia, Alleluia, Alleluia. (AA, 62) Ritornate a Me con tutto il cuore, dice il Signore, perché Io sono misericordioso e pietoso. Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 8, 1-11) 1 Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. 8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. 11Ed ella rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”. Proposta di riflessione Silenzio 25 Rimasero in due: la misera e la misericordia 3 – Dio con tutta l’anima Canto di accoglienza dell’Eucaristia ADORIAMO GESÚ CRISTO (CdP, 605) (sulla musica di “Genti tutte proclamate”) Corpo dato, Sangue sparso: Egli al limite ci amò. Se tu mangi, se tu bevi, la sua sorte sceglierai: è l’offerta della Croce, qui la Chiesa nascerà. Sangue ed acqua dono estremo: si apre il cuore di Gesù. Se ricevi questa linfa, nello Spirito vivrai: è il mistero delle nozze, Sposo e Sposa in unità. Ora canta! Spunta l’alba che tramonto non vedrà. Se ti svegli, splende il giorno ed in Cristo brillerai: è l’incontro col Signore fino a quando apparirà. Adorazione 26 OTTOBRE Tutti: Preghiera del beato Papa Paolo VI per le Vocazioni (vedi pag. 4) Silenzio Per la preghiera personale Fissiamo la nostra attenzione su due punti fondamentali, nei quali ci sembra convergere la topografia dottrinale del tema stesso; due punti diversamente riassuntivi della complessa e immensa materia, in perfetta e corrispondente opposizione l’uno all’altro, quasi in bilanciata simmetria. […] Questi due punti stanno alla base dell’annuncio evangelico, del Kerigma cristiano, cioè del nostro catechismo, e sembra a noi che racchiudano in sé la sintesi drammatica della nostra salvezza. Quali sono? Ancora una volta sant’Agostino ci fornisce la formula, che non è solo verbale, ma reale, umana e teologica, e che si restringe nelle due formidabili parole: miseria e misericordia (Cfr En. Ps. 32: PL 36, 287; e De Civ. Dei: PL 41, 636; ecc…). Dicendo miseria intendiamo parlare del peccato, tragedia umana che si svolge nella storia del male, abisso oscuro che precipita verso una paurosa rovina. […] “La conseguenza del peccato è la morte”, afferma san Paolo (Rm 6,23). Questa è la verità; questa è la sorte dell’uomo, che si è staccato scientemente e volontariamente dalla sorgente unica e somma della vita, che è Dio. Ma un’altra verità succede; un’altra sorte è riservata all’uomo per il sopraggiungere d’un gratuito, onnipotente e ineffabile disegno di Dio: la misericordia. Alla miseria dell’uomo viene in soccorso la misericordia divina. E voi sapete con quale provvidenza: “dove abbondò il delitto, sovrabbondò la grazia” (Rm 5,20). E, 27 Rimasero in due: la misera e la misericordia sapete, con imprevedibile amore: Cristo, il Verbo di Dio fatto uomo ha assunto su se stesso la missione redentrice. “Lui, che non conosceva il peccato, si è fatto peccato per noi, affinché noi diventassimo in lui giustizia di Dio” (2Cor 5,21). Cioè si è offerto vittima espiatrice in nostra sostituzione, meritando per noi una restituzione allo stato di grazia, cioè alla partecipazione soprannaturale alla vita di Dio. Non avremo mai abbastanza esplorato questo piano redentore nel quale si rivela l’infinita bontà di Dio, l’amore incomparabile di Cristo per noi, la fortuna senza confini offerta al nostro eterno destino. Entrare in questo piano significa per noi fare penitenza, cioè sapere accettare, rivivere questa economia di salvezza. Che cosa v’è di più grande, di più necessario, e, in fondo, di più bello e di più facile e di più felice? Papa Paolo VI, Catechesi, 20 marzo 1974 Fratelli miei, […] predichiamo le verità che sono basilari. […] Predichiamo le verità care a San Paolo: Cristo è necessario, Cristo è sufficiente, e cioè, Cristo può veramente salvarci. Quel cristianesimo che è tanto esigente e così fedele, diventa, ad un certo momento, il cristianesimo della dolcezza, della bontà, della misericordia e della grazia. Avete udito or ora il Vangelo di questa Messa (Gv 8,1-11), il brano in cui si imputa di peccato, con una narrazione che sa di dramma, una povera creatura; ed avete sentito come Cristo, senza venir meno alle Sue inflessibili leggi morali e alle esigenze del bene e del male, abbia detto: “Va’ in pace, che io non ti condanno”. Dobbiamo far sentire che la nostra predicazione possiede già in se stessa virtù di vita, di consolazione, gioia, di perdono, di misericordia, di recupero, di salvezza. Se così faremo, la nostra predicazione sarà veramente degna di una Missione come questa, così ben preparata, così ben proclamata. G.B. Montini, arcivescovo di Milano, omelia nella Basilica di S. Nicolò a Lecco nell’apertura della missione cittadina 8 ottobre 1961 28 OTTOBRE Canto di Benedizione IL SIGNORE È IL MIO PASTORE (AA, 159) 1. Il Signore è il mio pastore: nulla manca ad ogni attesa; in verdissimi prati mi pasce, mi disseta a placide acque. 2. È il ristoro dell’anima mia, in sentieri diritti mi guida per amore del santo suo nome, dietro di Lui mi sento sicuro. 3. Pur se andassi per valle oscura non avrò a temere alcun male: perché sempre mi sei vicino, mi sostieni col tuo vincastro. 4. Quale mensa per me Tu prepari sotto gli occhi dei miei nemici! E di olio mi ungi il capo: il mio calice è colmo di ebbrezza! 5. Bontà e grazia mi sono compagne quanto dura il mio cammino: io starò nella casa di Dio lungo tutto il migrare dei giorni. Intercessioni Pr.: Il Signore ha mandato il suo Figlio nel mondo non per condannarlo, ma per salvarlo. A Lui rivolgiamo la nostra preghiera: 29 Rimasero in due: la misera e la misericordia Ass.: Perdonaci, Signore, abbiamo peccato! Pr.: Signore, siamo portati, sovente, a puntare il dito sui peccatori dimenticando di evidenziare le cause che possono creare queste situazioni negative. Tu, nostra salvezza, sei venuto non per condannare, ma per salvare. Liberaci dalla tentazione del giudizio e rivestici della virtù della compassione; noi Ti preghiamo: Ass.: Perdonaci, Signore, abbiamo peccato! Pr.: Signore, aiutaci a riconoscere e confessare a Te, ogni giorno, il nostro peccato per esperimentare la grandezza del tuo amore. Rendici convinti che solo riconoscendoci “perdonati” da Te sia mo in grado di “perdonare” il nostro prossimo; noi Ti preghiamo: Ass.: Perdonaci, Signore, abbiamo peccato! Pr.: Signore, è sempre più difficile, nel nostro contesto, sentirci spinti al perdono, alla tolleranza, alla misericordia. Aiutaci a portare i pesi gli uni degli altri perché, riconoscendoci tutti figli di Adamo, possiamo sentirci accolti e perdonati da Te; noi Ti preghiamo: Ass.: Perdonaci, Signore, abbiamo peccato! Pr.: Signore, riconciliandoci con Te e con i fratelli ritroviamo la via della vita. Fa’ che la gioia del perdono rinnovi in noi il desiderio di riprendere l’impegno nel bene, la fedeltà alla Parola, la solidarietà con tutti i fratelli; noi Ti preghiamo: Ass.: Perdonaci, Signore, abbiamo peccato! Padre nostro. 30 OTTOBRE Pr.: Dio di bontà, che rinnovi in Cristo tutte le cose, davanti a Te sta la nostra miseria: Tu che hai mandato il tuo Figlio unigenito non per condannare, ma per salvare il mondo, perdona ogni nostra colpa e fa’ che rifiorisca nel nostro cuore il canto della gratitudine e della gioia. Per nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio… (MRI, p. 972) Ass.: Amen. Benedizione Canto di reposizione SE TU MI ACCOGLI (AA, 192) Se tu mi accogli, Padre buono, prima che venga sera, se Tu mi doni il tuo perdono, avrò la pace vera: Ti chiamerò, mio Salvatore, e tornerò, Gesù, con Te. Se nell’angoscia più profonda, quando il nemico assale, se la tua grazia mi circonda, non temerò alcun male: T’invocherò, mio Redentore, e resterò sempre con Te. 31 Rimasero in due: la misera e la misericordia 4 – Dio con tutte le forze Per l’attualizzazione e la condivisione È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come suoi discepoli. Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti. Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 15 - Come vivere, insieme alle persone affidate alla nostra cura pastorale, le opere di misericordia? Risonanze e condivisione 32 OTTOBRE Conclusione Tutti: Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo (vedi pag. 3) Antifona Mariana SALVE REGINA (AA,308) Salve, Regína, mater misericórdiæ; vita, dulcédo et spes nostra, salve. Ad te clamámus, éxsules filii Evæ. Ad te suspirámus, geméntes et flentes in hac lacrimárum valle. Eia ergo, Advocáta nostra, illos tuos misericórdes óculos ad nos convérte. Et Jesum, benedíctum fructum ventris tui, nobis post hoc exsílium osténde. O clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria. 33 il capo NOVEMBRE Prendersi cura: la parabola del buon samaritano (Lc 10, 25-37) Ho scelto la data dell’8 dicembre perché è carica di significato per la storia recente della Chiesa. Aprirò infatti la Porta Santa nel cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II. La Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo quell’evento. Per lei iniziava un nuovo percorso della sua storia. I Padri radunati nel Concilio avevano percepito forte, come un vero soffio dello Spirito, l’esigenza di parlare di Dio agli uomini del loro tempo in un modo più comprensibile. 35 Prendersi cura: la parabola del buon samaritano Abbattute le muraglie che per troppo tempo avevano rinchiuso la Chiesa in una cittadella privilegiata, era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo. Una nuova tappa dell’evangelizzazione di sempre. Un nuovo impegno per tutti i cristiani per testimoniare con più entusiasmo e convinzione la loro fede. La Chiesa sentiva la responsabilità di essere nel mondo il segno vivo dell’amore del Padre. Tornano alla mente le parole cariche di significato che san Giovanni XXIII pronunciò all’apertura del Concilio per indicare il sentiero da seguire: «Ora la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore… La Chiesa Cattolica, mentre con questo Concilio Ecumenico innalza la fiaccola della verità cattolica, vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati». Sullo stesso orizzonte, si poneva anche il beato Paolo VI, che si esprimeva così a conclusione del Concilio: «Vogliamo piuttosto notare come la religione del nostro Concilio sia stata principalmente la carità… L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio… Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano moderno. Riprovati gli errori, sì; perché ciò esige la carità, non meno che la verità; ma per le persone solo richiamo, rispetto ed amore. Invece di deprimenti diagnosi, incoraggianti rimedi; invece di funesti presagi, messaggi di fiducia sono partiti dal Concilio verso il mondo contemporaneo: i suoi valori sono stati non solo rispettati, ma onorati, i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette … Un’altra cosa dovremo rilevare: tutta questa ricchezza dottrinale è rivolta in un’unica direzione: servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità ». Con questi sentimenti di gratitudine per quanto la Chiesa ha ricevuto e di responsabilità per il compito che ci attende, attraverseremo la Porta Santa con piena fiducia di essere accompagnati dalla forza 36 NOVEMBRE del Signore Risorto che continua a sostenere il nostro pellegrinaggio. Lo Spirito Santo che conduce i passi dei credenti per cooperare all’opera di salvezza operata da Cristo, sia guida e sostegno del Popolo di Dio per aiutarlo a contemplare il volto della misericordia. Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 4 Per la preparazione personale Si è ‘prossimi’ perché si appartiene al genere umano che rimanda a un postulato di uguaglianza sostanziale: ‘Tutti gli uomini sono uguali’. Tale principio, al pari di tutte le idee chiare e semplici, non si impone facilmente; anzi, sembra che l’uomo ami spesso ricercare i cavilli per sentirsi esonerato dall’impegno concreto. Gesù con la presente parabola offre in felice combinazione idee e azioni, teoria e prassi, per mostrare come si diventa ‘prossimo’. Egli ricorda la necessità di ‘prendersi cura’ dell’altro, concetto contiguo, ma non identico a quello di ‘curare’: il secondo è una professione, compito di specialisti, il primo è atteggiamento interiore, con risvolto esteriore, che deve interessare tutti. Il prendersi cura è epifania di misericordia. 37 Prendersi cura: la parabola del buon samaritano Contesto e dinamica del brano Il nostro brano è collocato nel contesto del grande viaggio che aveva preso avvio a 9,51 e terminerà a 19,27 un’ampia sezione in cui Luca colloca molto materiale che possiede in proprio, come appunto la presente parabola. Un giorno a Gesù è richiesto di indicare la strada che conduce alla vita eterna. Nella risposta addita la strada abituale, quella che tutti conoscono e possono percorrere, l’osservanza della legge. Non si devono cercare scorciatoie e altre strade. È lo stesso teologo che aveva posto la domanda a Gesù a citare i passi della legge dove si parla dell’amore a Dio e al prossimo. Gesù approva la risposta, cui imprime un vistoso carattere operativo: «Hai risposto bene; FA’ QUESTO e vivrai» (v. 28). La domanda iniziale verteva sul FARE («che cosa devo fare per...») e di conseguenza la risposta indica come comportarsi. Il teologo cerca di parare il colpo e di scansarsi dall’impegno concreto, preferendo disquisire con un’altra domanda: «E chi è il mio prossimo?». Gesù risponde proponendo la parabola del buon Samaritano e arrivando alla medesima conclusione: «Va’ e ANCHE TU FA’ così » (v. 37). Sul terreno della concretezza dell’esistenza quotidiana si gioca la vita di fede. Perché il lettore non si illuda che la vita cristiana sia solamente un fare e un fare qualunque, l’evangelista ha sapientemente fatto seguire il brano di Marta e di Maria (10,38-42), dove si privilegia l’ascolto rispetto al fare. Quindi, sembra suggerire Luca con questa disposizione, si deve distinguere tra fare e fare. C’è un fare doveroso e inderogabile come quello del buon Samaritano, e c’è un fare che, non urgente, può essere rimandato per cedere il posto all’ascolto della parola di Gesù. Questi merita la precedenza rispetto a qualsiasi attività e solo dopo un’attenzione a Lui per essere riempiti del suo amore si potrà operare, riversando sugli altri quell’amore che è stato precedentemente ricevuto in dono. Solo così amore di Dio e amore del prossimo si saldano e portano a perfezione la vita del credente. 38 NOVEMBRE Schematicamente (rapporto teoria-prassi): DOMANDA TEORICA del teologo: v. 29 PARABOLA: vv. 30-35 -situazione concreta dello sventurato: v. 30 -reazione teorica del sacerdote e del levita: vv. 31-32 -reazione pratica del samaritano: vv. 33-35 DOMANDA di Gesù sulla PRASSI: v. 36 Risposta sulla prassi del teologo: v. 37a CONCLUSIONE PRATICA di Gesù: v. 37b Breve commento La parabola che Gesù racconta prende le mosse dalla domanda del teologo: «E chi è il mio prossimo?», domanda chiaramente capziosa, mirante a cogliere Gesù in fallo. Il termine italiano ‘prossimo’ deriva dalla forma superlativa del latino prope cioè il ‘vicinissimo’, colui che è fatto segno di attenzione, di stima, di cura. In fondo, di amore. Il mondo giudaico non riusciva a uniformarsi serenamente sul concetto di prossimo. Certamente rientrava nel concetto ogni israelita e poi il forestiero che aveva fissato la sua dimora in Israele, come prescrive Lv 19,34: «Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri in Egitto. Io sono il Signore vostro Dio». E il forestiero di passaggio? Le scuole rabbiniche si dividevano su questo punto: chi era favorevole a riconoscerlo come prossimo e chi no. Tutte erano poi concordi nell’escludere dal concetto di prossimo il nemico. Poiché per gli Ebrei i peggiori nemici erano coloro che attentavano all’integrità e alla purezza della loro fede, gli eretici samaritani erano sicuramente esclusi dal concetto di prossimo. Mai un giudeo avrebbe salutato, tanto meno prestato qualsiasi forma di aiuto a un samaritano. 39 Prendersi cura: la parabola del buon samaritano Origine dei samaritani I samaritani indicano propriamente gli abitanti di Samaria, nome che designa sia la regione centrale della Palestina sia la capitale della stessa regione. La loro notorietà evangelica non è legata a motivi geografici, bensì a motivi religiosi. Ecco in breve la loro storia. Nel 721 a.C. il re assiro Sargon II pone fine al regno del Nord e distrugge la sua capitale Samaria. Secondo usanze militari del tempo, parte della popolazione locale è deportata e alcune persone straniere sono importate. Da questo momento, il gruppo locale, composto originariamente solo da ebrei, finisce per mescolarsi con i nuovi venuti che introducono usi e costumi diversi, soprattutto favoriscono il culto di divinità straniere. La popolazione che ne risulta si presenta ibrida dal punto di vista etnico, culturale e religioso. Gli ebrei presenti sono considerati eretici dagli altri ebrei e chiamati semplicemente ‘samaritani’ senza ulteriori specificazioni. La situazione si acuisce quando i samaritani vedono rifiutata la loro offerta di collaborazione agli Ebrei ritornati da Babilonia e impegnati per la costruzione del tempio e delle mura di Gerusalemme. In seguito a questo rifiuto costruiscono verso il 330 a.C. sul monte Garizim un tempio concorrenziale a quello di Gerusalemme. Distrutto nel 128 da Giovanni Ircano, il tempio fu prontamente ricostruito per continuare a rivaleggiare con quello della Città Santa. I samaritani rivendicavano di essere i veri adoratori di Dio, avevano il libro sacro, simile al nostro Pentateuco, il cosiddetto Pentateuco Samaritano, che ancora oggi mostrano con orgoglio in una sinagoga di Nablus. Sopravvive ancora ai nostri giorni una piccola comunità di samaritani che conta circa cinquecento membri. Al tempo di Gesù i rapporti con i samaritani erano molto tesi, proprio ai ferri corti, soprattutto dopo che alcuni samaritani avevano bruciato delle ossa sulla spianata del tempio di Gerusalemme con l’evidente intento di profanare il luogo sacro. L’odio era quindi viscerale 40 NOVEMBRE e si evitavano al massimo i contatti. Il cammino che dal sud conduceva al nord del Paese passava necessariamente dalla regione centrale, la Samaria; si preferiva tuttavia allungare il cammino prendendo la strada oltre il Giordano piuttosto che venire a contatto con i samaritani. Lo stesso nome di samaritano era in bocca a un giudeo una grave offesa che non fu risparmiata neppure a Gesù che si sentì dire un giorno: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?» (Gv 8,48). Con queste premesse poco lusinghiere, si comprende l’audacia di Gesù nel presentare la parabola del samaritano che soccorre e diventa esempio per un giudeo. Una chiara provocazione! La parabola Gesù racconta una parabola, inventata per comunicare un insegnamento. Sebbene fittizia, è realisticamente ambientata nella zona del deserto di Giuda, nel tratto che da Gerusalemme (750 m) conduceva a Gerico (-300 m). Per coprire la trentina di chilometri si impiegavano 5/6 ore passando in una zona inospitale, ricca solo di anfratti e di luoghi scoscesi. Un luogo ideale per predoni, perseguitati politici e tutti coloro che avevano i conti in sospeso con la giustizia. Il colore rossastro del terreno e, più ancora, il copioso sangue versato dai viaggiatori assaliti e malmenati hanno fatto conservare ancora oggi il nome di ‘Maalé adumin = salita del sangue’ a un insediamento ebraico di recente costruzione. Gesù proponendo la parabola ai suoi ascoltatori richiama loro un luogo tristemente famoso e permette loro di ambientarsi facilmente nel racconto. Il dato di partenza è la situazione di bisogno in cui versa lo sventurato che, assalito e depredato, si trova «mezzo morto» lungo la strada. Le persone che transitano sulla medesima strada sono tre, in realtà si potrebbero ridurre a due personaggi, perché sacerdote e levita sono riprodotti in fotocopia. 41 Prendersi cura: la parabola del buon samaritano Il sacerdote è probabilmente diretto a casa dopo il servizio al tempio, essendo Gerico una città ricca di sacerdoti. La vista del malcapitato, non lo spinge a intervenire e prosegue, e passa oltre, come se nulla fosse. Comportamento analogo da parte del levita, membro cioè di quella categoria molto affine a quella sacerdotale, con compiti di custodia e di protezione del tempio. Entrambi vedono e passano oltre. Perché questo assurdo comportamento? Si è voluto parzialmente giustificare i due ricordando la loro mentalità e formazione religiosa. Per non contaminarsi era importante evitare scrupolosamente ogni contatto con i cadaveri, secondo la prescrizione di Lv 21,1: «[...]Un sacerdote non dovrà rendersi immondo per il contatto con un morto della sua parentela, se non per un suo parente stretto[...]». La situazione dell’uomo «mezzo morto» poteva essere facilmente assimilabile a quella di un cadavere. Accettando pure come possibile questa interpretazione, la sostanza non cambia. Nella rappresentazione del sacerdote e del levita Gesù polemizza con il ritualismo giudaico, tanto scrupolosamente attento alla formalità quanto consapevolmente lontano da un vero amore. Pur ammettendo una ‘impurità’ secondo il modo di pensare giudaico, si sa che una serie di lavaggi rendeva la persona nuovamente idonea alla preghiera e all’incontro con Dio. È riprovevole la coscienza professionale che ha soffocato in loro i sentimenti umanitari: i due preferiscono conservarsi intatti davanti a Dio piuttosto che prestare soccorso a un disgraziato. Proiettati verso il futuro, dimenticano il presente. Si registra qui l’assurdità cui porta una religione senz’anima, ormai non più religione, ma fanatismo, superstizione, pregiudizio, alienazione. La teoria ha avuto la meglio sulla prassi. Passa sulla medesima strada un samaritano. Lo spettacolo non lo lascia insensibile. Con tutta probabilità il disgraziato che giace a terra è un giudeo, un rivale quindi, ma ciò non blocca l’intervento del soccorritore che agisce in nome del bisogno presente. Anche lui «vede» e da questo vedere nasce un «ebbe compassione», sentimento 42 NOVEMBRE che mette in moto tutta una serie di interventi operativi. Prima di parlare di questi, occorre mettere a fuoco la causa che li ha generati. La compassione è affidata a quel ricco verbo greco splangnizomai, attestato anche per l’intervento del Padre nella parabola del Padre buono (cfr Lc 15,20). Il termine denota un’intima partecipazione all’evento, una compassione che non nasce da commiserazione o da istintiva solidarietà con gli sfortunati, ma proviene dalla radice più pura dell’amore, dalla sorgente stessa della vita. Viene addirittura richiamata la tenerezza materna. Ancora più evocatore è questo termine se teniamo presente che nella suddetta parabola era stato attribuito al Padre, chiara rappresentazione di Dio stesso. Già qui si riconosce il salto qualitativo del Samaritano al quale sono attribuiti nientemeno che sentimenti divini! È tanto forte e tanto vera questa nuova passione che nasce in lui alla vista dello sventurato, che nemmeno pensa a fare spazio a possibili risentimenti o a vecchie ruggini. Non si sofferma a considerare che è un odiato giudeo e interviene perché c’è un urgente bisogno. Nemmeno lo trattiene il pensiero del viaggio intrapreso e di eventuali impegni o appuntamenti che lo potrebbero sollecitare. Il momento presente, tanto carico di sofferenza per il povero disgraziato, occupa totalmente l’orizzonte dell’interesse. Tutto il resto passa in seconda linea; se è un rancore, si dimentica, se è un impegno, si rimanda. L’espressione «ebbe compassione» che potrebbe richiamare solo un vago sentimento, produce in realtà una serie di azioni molto concrete. Per questo è affiancato e illustrato da quel «gli si fece vicino», premessa dei successivi interventi operativi. Qui si capisce bene il concetto di ‘prossimo’: colui che superando possibili e a volte anche ragionevoli ostacoli è pronto ad offrire generosa collaborazione. Quindi PROSSIMO SI DIVENTA: prossimo non è necessariamente colui che ha già dei rapporti di sangue, di razza, di affari con un altro. Prossimo si diventa nel momento in cui, davanti ad un uomo - anche al forestiero o al nemico - si decide di compiere quel passo che avvi43 Prendersi cura: la parabola del buon samaritano cina. Farsi vicino è già farsi prossimo, rendersi attento e disponibile all’altro, proprio come il Samaritano che modifica se stesso e i suoi progetti in funzione dell’altro: prima la persona, poi i programmi e le ideologie. Questa è misericordia incarnata. Il Samaritano mette in atto una serie di interventi. Il narratore si attarda fino nel dettaglio, quasi a ricordare che il vero amore fa appello all’intelligenza, alla volontà, al buon senso, alla fantasia, all’ingegnosità, insomma, a tutte le risorse della persona umana. Questo per combattere ancora una volta la semplicistica equivalenza di amore e sentimento, un’identificazione spesso reclamizzata e, altrettanto spesso, falsa. Il vero amore è una realtà complessiva, capace di attingere a tutta la ricchezza della persona. Il nostro incomincia con l’improvvisarsi infermiere e interviene come meglio può, con i mezzi di cui dispone, vino e olio. Poi, utilizzando la sua cavalcatura come autoambulanza, trasporta il poveretto ad un ‘pronto soccorso’ improvvisato. Di lui si interessa e si interesserà. Si interessa sborsando due denari, l’equivalente di due giornate lavorative: tanto più preziosi sono quei denari quanto più si considera che non ogni giorno si poteva trovare lavoro. Rimane con lo sventurato un poco, forse quanto basta per rendersi conto che la situazione va migliorando e solo «il giorno seguente» riprende il viaggio impegnandosi a sborsare di più al ritorno, qualora fosse necessario. All’interessamento presente fa riscontro l’interessamento futuro, creando una continuità che lo libera dalla estemporaneità e dall’istintività. Non si è trattato quindi di un aiuto sporadico, momentaneo, affrettato, di un soccorso solo perché non si poteva fare a meno. L’aiuto contiene tutte le caratteristiche dell’amore: avvicinamento, attenzione all’altro, farsi carico dei suoi problemi, pagare di persona sia per il denaro sia per il tempo, interessamento presente e futuro. E notare, tutto questo senza che sia registrata una parola! Quante volte, purtroppo, si fa un gran parlare, piani faraonici, progettazioni pluriennali, discussioni e sedute-fiume, per arrivare spesso a nulla di 44 NOVEMBRE fatto. Qui le parole non sono registrate, solo i fatti che hanno l’eloquenza della concretezza. La domanda finale Alla fine del suo racconto, Gesù pone la domanda al teologo. È lui che ora interroga. Gesù sposta l’asse della discussione e non risponde alla domanda teorica, astratta, del teologo su «Chi è il mio prossimo?», preferendo dimostrare con un esempio COME SI DIVENTA PROSSIMO, che cosa si deve fare per diventare prossimi, come ci si deve avvicinare all’altro, sia con i sentimenti sia con gli interventi concreti. Lo spostamento sta qui: non che cosa gli altri verso di te, ma che cosa tu verso gli altri. Il punto saliente della parabola sta nel concetto che se uno davvero ama, egli stesso sa trovare il suo prossimo, quello che ha bisogno. Il bisogno è titolo sufficiente perché si debba intervenire, come si può e con i mezzi a disposizione, senza tentennamenti, rimpianti, proroghe o demandando agli altri. Non solamente il dottore della legge ha imparato chi è il prossimo. Anche il lettore, il cristiano di tutti i tempi, non potrà esimersi dai suoi impegni o sottrarsi alle sue responsabilità nascondendosi dietro una giustificazione ipocrita quale ‘non sapevo’ o ‘tocca agli altri’. Chi ha ascoltato la parabola, deve passare all’azione. Sulla necessità della prassi si era già espresso Gesù: «Perché mi chiamate: Signore, Signore e poi non fate ciò che dico?» (Lc 6,46). Solo chi ascolta e mette in pratica è come l’uomo saggio che costruisce la sua casa sulla roccia, sicuro che nulla riuscirà ad abbatterla. La parabola si chiude con una rovente battuta, un duro colpo per la presunzione farisaica. Dire a un dottore della legge e, attraverso lui, a tutto il gruppo farisaico «Va’ e anche tu fa’ così» cioè «comportati bene come ha fatto il Samaritano» equivale ad una dichiarazione di guerra. Come è possibile che un esperto della legge divina, un teologo diremmo noi oggi, impari da un eretico? La scelta di Gesù del per45 Prendersi cura: la parabola del buon samaritano sonaggio samaritano include pure la lezione che tutti sono potenziali maestri che hanno qualcosa da insegnare, come pure tutti sono potenziali discepoli che hanno qualcosa da imparare. Le facili divisioni, le discriminazioni fra buoni e cattivi, sono artifici umani che non rispondono a verità. Gesù riabilita e promuove la poco invidiabile categoria dei samaritani che ha nel personaggio della parabola il prototipo più illustre. Dalla parte di Dio La parabola non intende semplicemente proclamare una filantropia universale, un intervento comunque a favore dell’uomo. Troppo poco per essere ‘Vangelo’. Essa dimostra piuttosto che chi ama il prossimo documenta di aver accolto in sé la stessa passione di bene di Dio verso i suoi figli. Chi ama l’altro, si trova a essere, anche se lo ignora, in sintonia con Dio perché ne condivide i sentimenti e i progetti. Partecipa della misericordia divina e entri nel raggio di azione della beatitudine per i misericordiosi. Questo spiega l’intima comunione fra il comandamento dell’amore a Dio e quello dell’amore al prossimo che sono in realtà due facce dell’unica medaglia, perché non è possibile l’uno senza l’altro. Come una medaglia con una sola faccia è falsa, così la mancanza di uno dei due aspetti invalida l’altro. Non si può separare Dio dall’uomo e l’uomo da Dio. Per questo non si può prediligere l’uno e misconoscere l’altro. Ignorare l’uomo significa non aver conosciuto Dio e la misura dell’amore a Dio è l’uomo che è la sua più perfetta immagine. Per questo il concetto di filantropia non conviene alla presente parabola, risulta totalmente sbiadito, anzi, addirittura estraneo al nostro testo. Qui si parla di amore teologale, quello che arriva all’uomo partendo da Dio. Del resto, la parabola non è altro che la proiezione dell’essere e dell’agire divino che si è rivelato e fatto visibile in Cristo. 46 NOVEMBRE Celebrazione Accoglienza Introduzione Siamo tutti convinti che Dio è amore, che l’amore ai fratelli rende visibile l’amore di Dio per gli uomini. La liturgia stessa contiene testi e preghiere fecondati dalla ricchezza dell’amore di Dio. Eppure non sempre è facile esprimere nella vita l’amore celebrato nel rito. Non basta applaudire i Samaritani di oggi, è necessario assumere lo stile di vita di coloro che, avendo scelto Cristo, ne vanno ricercando i lineamenti nei volti sofferenti del prossimo. Lo Spirito è fuoco di carità: invochiamolo perché infiammi la nostra vita col fervore del suo dono. 47 Prendersi cura: la parabola del buon samaritano 1 - Dio con tutto il cuore Canto di inizio TU SEI COME ROCCIA (AA, 255) 1. Tu sei come roccia di fedeltà: se noi vacilliamo, ci sosterrai, perché Tu saldezza sarai per noi. Certo non cadrà questa tenace rupe! 2. Tu sei come fuoco di carità: se noi siamo spenti, c’infiammerai, perché Tu fervore sarai per noi. Ecco: arderà nuova l’inerte vita! 3. Tu sei come lampo di verità: se noi non vediamo, ci guarirai, perché Tu visione sarai per noi. Di Te la città splende sull’alto monte! Saluto Pr.: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Ass.: Amen. Pr.: Ass.: Lo Spirito del Signore, che con la sua Parola feconda la storia dell’uomo rendendola storia di salvezza, sia con tutti voi. E con il tuo spirito. 48 NOVEMBRE Salmo preparatorio 18 (19) La lode alla legge divina dell’amore deve in noi unirsi profondamente alla nostra vita perché i gesti concreti della carità diano testimonianza al nostro Dio che è grande nell’amore. Rit.: Ubi caritas et amor, ubi caritas Deus ibi est. (Taizé) La Legge del Signore è perfetta, Il timore del Signore è puro, rinfranca l’anima; rimane per sempre; la testimonianza del Signore è stabile, i giudizi del Signore sono fedeli, rende saggio il semplice. Rit. sono tutti giusti. Rit. I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore; il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi. Rit. Più preziosi dell’oro, di molto oro fino, più dolci del miele e di un favo stillante. Rit. Colletta salmica Pr.:Preghiamo. O Dio, nostro Padre, hai mandato a noi la tua Parola di luce, il vero sole che manifesta a tutti gli uomini la tua gloria, e con i messaggeri del Vangelo hai fatto giungere la sua voce fino ai confini del mondo. Apri i nostri cuori alla luce dei tuoi comandamenti, concedici di gustare la dolcezza della tua Legge: purificati da ogni peccato saliremo con Cristo nella sommità dei cieli. Egli vive e regna nei secoli dei secoli. Ass.: Amen. 49 Prendersi cura: la parabola del buon samaritano 2 – Dio con tutta la mente Acclamazione al Vangelo Ant.: Alleluia, Alleluia, Alleluia. (AA, 62) Le tue parole, Signore, sono spirito e vita; Tu hai parole di vita eterna. Dal Vangelo secondo Luca (Lc 10, 25-37) 25 Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. 26Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?”. 27Costui rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso “. 28Gli disse: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”. 29 Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: “E chi è mio prossimo?”. 30Gesù riprese: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33 Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?”. 50 NOVEMBRE Quello rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ così”. 37 Proposta di Riflessione Silenzio 3 – Dio con tutta l’anima Canto di accoglienza dell’Eucaristia TU FONTE VIVA (AA, 253) Tu fonte viva: chi ha sete, beva! Fratello buono, che rinfranchi il passo; nessuno è solo se Tu lo sorreggi, grande Signore! Tu, pane vivo: chi ha fame, venga! Se Tu lo accogli, entrerà nel Regno: sei Tu la luce per l’eterna festa, grande Signore! Tu segno vivo: chi Ti cerca, veda! Una dimora troverà con gioia: dentro l’aspetti, Tu sarai l’amico, grande Signore! Adorazione 51 Prendersi cura: la parabola del buon samaritano Tutti: Preghiera del beato Papa Paolo VI per le Vocazioni (vedi pag. 4) Silenzio Per la preghiera personale Domanderemo al Signore, per intercessione della Madonna, che, come al Samaritano, dia anche a noi l’intelligenza dei bisogni altrui, delle necessità che ci circondano, dei disagi profondi che la nostra società, nonostante il benessere di cui gode, ha prodotto e non ci lascia scorgere. Che il Signore ci apra gli occhi, e ci dia anche l’attitudine, il coraggio, la virtù di soccorrere il nostro prossimo, di far nostre le pene altrui, di allargare il campo della nostra carità, di sentirci socialmente solidali con i fratelli che a noi chiedono aiuto. La solidarietà cristiana, l’interessamento per il bene degli altri, la capacità di vedere un fratello in ogni uomo, quali ne siano la provenienza, lo stato, le condizioni, i meriti, è una caratteristica squisitamente ed essenzialmente evangelica. Domandiamo al Signore la grazia di essere cristiani veri, nella professione e nell’esercizio della carità per i fratelli. Papa Paolo VI, dall’Angelus domenicale, 25 agosto 1963 Il vero e giusto sentimento è quello del Buon Samaritano, che ha compassione di chi soffre. […] Il cristiano è un uomo compassionevole. “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia; beati coloro che piangono perché saranno consolati”. Il Signore stabilisce, instaura una solidarietà del dolore, destinata realmente al fiorire di 52 NOVEMBRE una umanità buona, solidale, sorella nelle sue componenti, e idonea a corrispondere a quanto Gesù ha fatto miracolosamente. […] Noi, suoi seguaci, potremo imitare la prima parte in qualche misura, vale a dire condividere il dolore dei nostri fratelli, pur non avendo sempre la capacità di guarirlo, e non possedendo il potere di annullarlo e di trasfigurarlo in gioia e in trionfo. Ma quel che ci è possibile basta perché la compassione derivata dal Vangelo risulti una tra le più belle e consolatrici sorgenti di squisita carità e d’opere nobilissime. […] Ma quel che notiamo in questa figura diventata tanto rappresentativa non lo vediamo forse in tutti i Missionari. […] Cerchiamo di far davvero della compassione che il Cristianesimo ci insegna una fonte di opere egregie che vanno dalla gentilezza della parola, della condoglianza, dell’amicizia, della trasfusione di affetti da cuore a cuore, all’amplissima possibilità di suscitare opere provvide per il conforto, il sollievo dei fratelli, la loto serenità, la loro guarigione, fin dove è possibile, e di partecipare al rimpianto, quando ci poniamo in ginocchio sulle tombe dei cari trapassati alla vita eterna. Papa Paolo VI, dall’Omelia del 19 settembre 1965 Canto di Benedizione SEI TU SIGNORE IL PANE (AA, 147) Sei Tu, Signore, il pane Tu cibo sei per noi. Risorto a vita nuova, sei vivo in mezzo a noi. Se porti la sua croce, in Lui tu regnerai. Se muori unito a Cristo, con Lui rinascerai. È Cristo il pane vero, diviso qui fra noi: formiamo un solo corpo e Dio sarà con noi. Verranno i cieli nuovi, la terra fiorirà. Vivremo da fratelli: la Chiesa è carità. 53 Prendersi cura: la parabola del buon samaritano Intercessioni Pr.: Il nostro Dio non è un Dio lontano o straniero. È presente nelle persone che soffrono. Preghiamo per tutti i figli di Dio che sono ignorati, nella solitudine e nella sofferenza; diciamo: Ass.: Rendici, Signore, attenti alle sofferenze del mondo e samaritani che aiutano e perdonano. Pr.: Signore, non ti stanchi mai di annunciare l’amore come l’architrave della vita cristiana. Fa’ che la notte del dolore del nostro prossimo si apra alla luce pasquale che promana da Te che sei il Crocifisso Risorto; noi Ti preghiamo: Ass.: Rendici, Signore, attenti alle sofferenze del mondo e samaritani che aiutano e perdonano. Pr.: Signore, se posso aiutare qualcuno e non lo faccio io pecco contro un fratello. Attorno a noi c’è una folla che aspetta: ammalati, anziani, gente incredula, persone stanche e tristi. Aiutaci a servire i fratelli sofferenti; noi Ti preghiamo: Ass.: Rendici, Signore, attenti alle sofferenze del mondo e samaritani che aiutano e perdonano. Pr.: Signore, il Samaritano non frequentava il tempio di Gerusalemme, certamente era considerato un infedele. Eppure ebbe compassione del fratello bisognoso. Fa’ che smettiamo di essere accusatori e rendici servitori convinti delle debolezze umane; noi Ti preghiamo: Ass.: Rendici, Signore, attenti alle sofferenze del mondo e samaritani che aiutano e perdonano. 54 NOVEMBRE Pr.: Signore, se qualcuno ha bisogno del mio tempo: quello è il mio prossimo! Se qualcuno ha bisogno della mia pace e della mia serenità: quello è il mio prossimo! Aiutaci ad accogliere il prossimo che Tu ci doni ogni giorno; noi Ti preghiamo: Ass.: Rendici, Signore, attenti alle sofferenze del mondo e samaritani che aiutano e perdonano. Padre nostro. Pr.: Ass.: Padre misericordioso, che nel comandamento dell’amore hai posto il compendio e l’anima di tutta la Legge, donaci un cuore attento e generoso verso le sofferenze e le miserie dei fratelli, per essere simili a Cristo, buon samaritano del mondo. Egli è Dio e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen. Benedizione 55 Prendersi cura: la parabola del buon samaritano Canto di reposizione PASSA QUESTO MONDO (CdP, 702) Noi annunciamo la Parola eterna: Dio è amore. Questa è la voce che ha varcato i tempi: Dio è carità. Rit.: Passa questo mondo, passano i secoli, solo chi ama non passerà mai. (2 volte) Dio è luce e in Lui non c’è la notte: Dio è amore. Noi camminiamo lungo il suo sentiero: Dio è carità. Rit. Noi ci amiamo perché Lui ci ama: Dio è amore. Egli per primo diede a noi la vita: Dio è carità. Rit. 4 – Dio con tutte le forze Per l’attualizzazione e la condivisione Non sarà inutile in questo contesto richiamare al rapporto tra giustizia e misericordia. Non sono due aspetti in contrasto tra di loro, ma due dimensioni di un’unica realtà che si sviluppa progressivamente fino a raggiungere il suo apice nella pienezza dell’amore. 56 NOVEMBRE La giustizia è un concetto fondamentale per la società civile quando, normalmente, si fa riferimento a un ordine giuridico attraverso il quale si applica la legge. Per giustizia si intende anche che a ciascuno deve essere dato ciò che gli è dovuto. Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 20 - Come richiamare al rapporto tra giustizia e misericordia nel nostro servizio pastorale? Risonanze e condivisione Conclusione Tutti: Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo (vedi pag. 3) Antifona Mariana SUB TUUM PRÆSIDIUM (AA, 309) Sub tuum præsìdium confùgimus, sancta Dei Génitrix; nòstras deprecatiònes ne despìcias in necessitàtibus, sed a perìculis cunctis libera nos semper, Virgo gloriosa et benedìcta. 57 il costato DICEMBRE Una donna che ama, perché amata (Lc 7, 36-50) Ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre. È per questo che ho indetto un Giubileo Straordinario della Misericordia come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti. L’Anno Santo si aprirà l’8 dicembre 2015, solennità dell’Immacolata Concezione. Questa festa liturgica indica il modo dell’agire di 59 Una donna che ama, perché amata Dio fin dai primordi della nostra storia. Dopo il peccato di Adamo ed Eva, Dio non ha voluto lasciare l’umanità sola e in balia del male. Per questo ha pensato e voluto Maria santa e immacolata nell’amore (cfr Ef 1,4), perché diventasse la Madre del Redentore dell’uomo. Dinanzi alla gravità del peccato, Dio risponde con la pienezza del perdono. La misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato, e nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona. Nella festa dell’Immacolata Concezione avrò la gioia di aprire la Porta Santa. Sarà in questa occasione una Porta della Misericordia, dove chiunque entrerà potrà sperimentare l’amore di Dio che consola, che perdona e dona speranza. La domenica successiva, la Terza di Avvento, si aprirà la Porta Santa nella Cattedrale di Roma, la Basilica di San Giovanni in Laterano. Successivamente, si aprirà la Porta Santa nelle altre Basiliche Papali. Nella stessa domenica stabilisco che in ogni Chiesa particolare, nella Cattedrale che è la Chiesa Madre per tutti i fedeli, oppure nella Concattedrale o in una chiesa di speciale significato, si apra per tutto l’Anno Santo una uguale Porta della Misericordia. A scelta dell’Ordinario, essa potrà essere aperta anche nei Santuari, mete di tanti pellegrini, che in questi luoghi sacri spesso sono toccati nel cuore dalla grazia e trovano la via della conversione. Ogni Chiesa particolare, quindi, sarà direttamente coinvolta a vivere questo Anno Santo come un momento straordinario di grazia e di rinnovamento spirituale. Il Giubileo, pertanto, sarà celebrato a Roma così come nelle Chiese particolari quale segno visibile della comunione di tutta la Chiesa. Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 3 60 DICEMBRE Per la preparazione personale Dio perdona, io no non è solo l’ingenuo titolo di un film, bensì lo spudorato atteggiamento che spesso accompagna e avvelena le relazioni dell’uomo verso i propri simili. È necessario mettersi alla scuola dell’unico Maestro per apprendere, sia pure a fatica, una lezione la cui applicazione nella vita rimane sempre difficile, per fortuna non impossibile. Un episodio, reperibile solo nel Vangelo di Luca, diventa il punto di partenza della nostra riflessione: una persona condizionata dal giudizio gelido e intransigente degli uomini sarà liberata e valorizzata dal giudizio benevolo di Gesù che, come sempre, preferisce compiacersi del presente e del futuro, anziché congelarsi nel passato, oggetto solo di ricordo. Esistono diverse posizioni per osservare un oggetto: davanti, di dietro, a lato, dentro, fuori... e ognuna mette in luce un aspetto. Dovendo sceglierne una, si cercherà quella che valorizza al massimo l’oggetto in questione. Esistono più modi per considerare un brano evangelico e il titolo è rilevatore della prospettiva scelta. Accettando il titolo abituale dato a Lc 7,36-50 – La peccatrice perdonata - si accoglie, anche solo inconsciamente, la negatività del soggetto (peccatrice) e la sua passività (perdonata). Preferiamo una prospettiva più luminosa, aiutando il lettore a cogliere il dinamismo vitale che Gesù ha innescato con quell’incontro. Intitolando Una donna che ama, perché amata visualizziamo il brano nella prospettiva positiva di un amore che, da equivoco e inquinato, si purifica e giunge a maturità, quando risponde all’Amore. 61 Una donna che ama, perché amata Contesto e dinamica del brano Il brano è collocato tra il giudizio di Gesù sulla sua generazione e la presentazione di alcune donne al suo seguito. Dapprima è dichiarata l’incapacità dei suoi contemporanei a cogliere la bontà del momento presente, sempre pronti a desiderare qualcosa di diverso. Non partecipano né alla gioia del ballo né al lamento del pianto, limitandosi a criticare ed estraneandosi sia dal messaggio del Battista sia da quello di Gesù. Simile atteggiamento sarà continuato dal fariseo che invita Gesù: lo accoglie come un estraneo e gli resta accanto come un estraneo. Non così la donna che si avvicina a Gesù con sentimenti di pentimento e ne partirà con la fragranza del perdono. L’incontro con Gesù purifica, cambia, promuove a nuova vita. Il seguito del nostro racconto testimonia questa verità: alcune donne liberate dal male o dalla cupidigia sono al servizio di Gesù, inaugurando il discepolato al femminile. L’episodio mette in scena tre personaggi: il fariseo, Gesù e la donna peccatrice. All’interno dell’episodio si trova una parabola, i cui protagonisti non sono altro che la controfigura dei tre appena nominati. La comparsa dei commensali verso la fine (v. 49) vale come voce fuori campo per rilevare la centralità di Gesù, la figura chiave attorno alla quale ruota tutta la narrazione. Il brano, analizzando più da vicino, è formato dalla presentazione dei personaggi, dal dialogo di Gesù con il fariseo e dalla valutazione di Gesù sulla donna. Abbiamo dapprima la presentazione dei personaggi (vv. 3638). Non si danno circostanze di luogo e di tempo e si inizia subito presentando i personaggi nell’ordine: fariseo, Gesù e donna. Il fariseo è presentato come colui che invita e Gesù come l’invitato. La donna non è invitata dal fariseo, si autoinvita, compie dei gesti verso Gesù e da lui è invitata ad andarsene in pace. L’operato della donna è ampiamente descritto perché Gesù vuole insegnare a quale banchetto si deve prendere parte, al banchetto dove si dà e dove si riceve misericor62 DICEMBRE dia. Segue il dialogo fra Gesù con il fariseo (vv. 39-47). Questa parte, cuore di tutto il racconto, svela il significato del gesto compiuto dalla donna ed è un vero saggio di pedagogia. Il lettore è messo a conoscenza del pensiero del fariseo che giudica male la donna e pone forti ipoteche sul valore di Gesù. Questi accetta la provocazione e inizia a parlare coinvolgendo il fariseo, lo interessa al dialogo e gli propone una parabola che termina con un interrogativo. Il fariseo risponde, ottiene l’approvazione di Gesù che porta a conclusione il suo dire palesando il senso profondo della parabola. Infine, risuonano le parole di Gesù rivolte alla donna (vv. 48-50). È un monologo quanto a parole, perché solo Gesù parla; nello stesso tempo è un dialogo perché sono rimasti due personaggi: Gesù e la donna; il fariseo è scomparso e conferma così una vecchia regola: chi sputa veleno si autodistrugge. Di lui l’evangelista non si interessa più, non vale la pena, è un tipo troppo comune, troppo meschino. Non fa storia. Se ora consideriamo il racconto dalla prospettiva della donna, otteniamo il seguente schema: 1. PRESENTAZIONE DI LUCA considera: - chi è (era): peccatrice - che cosa fa: piange, unge... (sguardo al passato e al presente) 2. FARISEO considera: - chi è: peccatrice (sguardo al passato) - non considera che cosa fa 3. GESÙ considera: - che cosa fa - chi è (potrebbe essere o sarà) (sguardo al presente o al futuro) 63 Una donna che ama, perché amata Excursus: il problema dell’identificazione L’anonimato non piace. È come il negativo di una fotografia che non permette di distinguere bene i soggetti ivi rappresentati. Per questo si è voluto togliere dall’anonimato la donna di questo brano e darle un volto, quello di Maria, sorella di Lazzaro, o quello di Maria di Magdala. La titubanza nell’interpretazione testimonia la fragilità degli argomenti addotti. Si scarta l’identificazione con Maria di Magdala perché ella compare esplicitamente pochi versetti più avanti (cf Lc 8,2-3) ed è presentata come un soggetto nuovo. Del resto, gli argomenti a favore dell’identificazione sono alquanto labili, volendo far equivalere la cacciata dei sette demoni da Maria con l’esistenza peccaminosa della donna che unge i piedi a Gesù. Qualche probabilità in più potrebbe avere l’identificazione con Maria, sorella di Lazzaro. Leggiamo in Gv 11,2: «Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli». Questo potrebbe convalidare il racconto di Luca. Sappiamo che l’episodio di Giovanni è presentato anche da Matteo e da Marco (Mt 26,6-7; Mc 14,3-4), sia pure con alcune varianti. Matteo, Marco e Giovanni concordano nell’interpretazione profetica del gesto compiuto, anticipo della sepoltura. Mentre però Matteo e Marco parlano di profumo versato sulla testa di Gesù, Giovanni indica che a essere profumati furono i piedi, asciugati poi con i capelli. Solo in Giovanni la donna riceve un’identità sicura: Maria, sorella di Lazzaro. Luca concorda con Giovanni nel fatto che sono i piedi a essere profumati e asciugati, aggiunge però che la donna piange su quei piedi. Luca, al pari di Matteo e di Marco lascia la donna nell’anonimato. Si distacca da tutti gli altri evangelisti nel collocare l’episodio lontano dalla Pasqua, o almeno, senza diretto riferimento a essa. Mentre l’Occidente ha facilmente identificato e confuso la pec64 DICEMBRE catrice con Maria di Magdala, l’Oriente ha sempre mantenuto distinte le due figure. Senza poter dire una parola definitiva, la conclusione più accettabile sembra la seguente: si tratta di un caso simile, ma diverso da quello narrato dagli altri evangelisti: la donna è lasciata volutamente nell’anonimato, per una squisita delicatezza di Luca. Breve commento Gesù non è nuovo a polemiche con i farisei: li scandalizza quando assicura il perdono dei peccati al paralitico calato dal tetto (cfr Lc 5,20), offre loro motivo di critica quando accetta di sedere a tavola con chiunque (cfr Lc 5,30-32), li sorprende quando coglie spighe o guarisce in giorno di sabato (cfr Lc 6,2.7). La polemica nasce da una diversa visualizzazione della verità, unilaterale e sclerotizzata per i farisei, totale e dinamica per Gesù. Al di là della discussione, intesa da Gesù come servizio alla verità, egli non conserva risentimenti, non ha pregiudizi verso questi laici superimpegnati nella religione, tant’è che accetta l’invito a tavola da uno di loro. Con tutta probabilità sono invitati anche i discepoli, sempre a seguito di Gesù, anche se l’evangelista non li nomina, forse per far giocare la scena a tutto campo ai tre personaggi: il fariseo, Gesù e la donna. Il fariseo solo in seguito sarà identificato con Simone (v. 44); per ora, a determinarlo bastano sia la sua appartenenza alla classe dei farisei - un gruppo di ‘puri’, di ‘separati’ come attesta il loro stesso nome - sia il fatto che può permettersi di invitare Gesù e altri, i commensali del v. 49. Per logica deduzione, doveva essere un fariseo benestante. In questo brano Gesù non ha né presentazione né qualifica: di lui si dice semplicemente l’accoglienza dell’invito. Dunque, un uomo disponibile all’incontro, al dialogo e, eventualmente, alla discussione. Il terzo personaggio della scena, una donna, attira l’attenzione e proprio su di lei si accendono i riflettori dell’interesse, fin dall’iniziale 65 Una donna che ama, perché amata «Ed ecco», usato spesso per introdurre un elemento di novità o di sorpresa. La donna è subito avvolta da luce negativa, è una peccatrice, qualifica generica che vale per il termine più specifico di prostituta. Conosciuta la donna per quello che è, il lettore la conosce per quello che fa in questo momento. Avendo saputo della presenza di Gesù, prende l’iniziativa, si reca nella casa del fariseo e osa compiere dei gesti anche strani e compromettenti, descritti fin nel dettaglio. Ha preso un vaso di profumo, certamente di grande valore se conservato in un vaso di alabastro (la traduzione italiana «vaso» rende il greco «alabastro»). Ella si colloca dietro a Gesù che, come tutti i commensali, più che stare seduto come facciamo noi, era sdraiato sui divani (cfr il v. 36 «si mise a tavola», in greco «si sdraiò»), appoggiato su un lato e con i piedi sul divano. Era quindi facile per lei toccare i piedi. Proprio i piedi sono oggetto di tanta attenzione che si sprigiona dalla sequenza dei verbi: bagnati, asciugati, baciati e profumati. L’uso dell’imperfetto in greco esprime che queste azioni si protraggono nel tempo: nessuno interviene e tutti lasciano fare, certo sorpresi da questa donna grintosa ricca di originalità e di fantasia. Ci voleva del coraggio per entrare nella stanza dove mangiavano gli uomini, solitamente distinti dalle donne. Dal fariseo ospitante viene la prima, sommessa, reazione. Anziché cogliere il valore del gesto e l’originalità dell’azione, tanto più sorprendente quanto più si pensa a quel mondo tendenzialmente maschilista, egli si attiene a un ferreo concetto: una donna di tal fatta, ‘contamina’ quelli che tocca rendendoli non idonei all’incontro con Dio, proprio come quando si viene a contatto con un cadavere o qualcosa di marcio. La non reazione di Gesù vale per il fariseo come prova della non conoscenza di Gesù, che non è allora il profeta tanto reclamizzato dalla folla. La logica religiosa non sembra fare una grinza. Gesù non rivolge subito la parola alla donna e preferisce indirizzarsi dapprima al suo ospite. E questo non per un semplice dovere di galateo, ma per impartire a tutti la lezione che gli altri devono essere considerati nuovi quando offrono gesti nuovi. 66 DICEMBRE Una parabola contraddittoria? Gesù aggancia il discorso chiedendo di poter dialogare con il suo ospite. In realtà si tratta di un monologo perché all’altro non resta che approvare, senza nulla cambiare o aggiungere. Gesù parte da un quadretto di condono: un creditore cancella il debito di due debitori che gli dovevano rispettivamente 50 e 500 denari, un rapporto cioè di 1 a 10. La domanda «Chi di loro dunque lo amerà di più?» non suona del tutto pertinente al lettore italiano che distingue tra ‘riconoscenza’ ed ‘amore’. Bisogna però sapere che la lingua ebraica non dispone di un termine proprio che esprima il ringraziamento e la riconoscenza e per questo affida al termine ‘amore’ di esprimere questo sentimento. La risposta arriva immediata e facile: sarà più riconoscente quello che ha ricevuto un condono maggiore. Solo ora la donna è chiamata in scena da Gesù. Il terreno è pronto per additarla come esempio. Gesù richiama le azioni da lei compiute: bagnare, asciugare, baciare, profumare, ponendole in un contrasto di pronomi: «Tu non... lei invece». Il fariseo non porta certo il grave peso di una colpa come la donna. Non per questo ha il diritto di giudicare e di condannare. Diventa colpevole per un peccato di omissione, quello di avere perso l’occasione di considerare la donna per quello che stava facendo, anziché irrigidirsi nel considerare quello che ella aveva compiuto nella sua vita trascorsa. La colpa del fariseo è incisa nella sentenza: «Sono perdonati i suoi molti peccati poiché ha molto amato. Invece quello al quale si perdona poco, ama poco» (v. 47). La frase fa difficoltà. Nella prima parte sembra invertire la logica della parabola, riallacciarsi alla logica dell’episodio e seguire la successione amore-perdono; la seconda parte sembra contraddire la prima e riallacciarsi alla logica della parabola nella successione perdono-amore. Proviamo a considerare la cosa con più attenzione. Il brano si compone di due parti, un avvenimento (la donna e Gesù) e una parabola raccontata da Gesù, che apparentemente non 67 Una donna che ama, perché amata sembrano ben conciliarsi. La parabola aveva mostrato la sequenza condono-riconoscenza secondo cui la riconoscenza o amore sarebbe direttamente proporzionale al condono: più alto è questo, più grande deve essere la riconoscenza. A questa logica risponde la seconda parte della frase di Gesù: «Quello al quale si perdona poco, ama poco». Qui il perdono precede l’amore che diventa una conseguenza. L’episodio invece aveva presentato i termini invertiti: prima i gesti di amore della donna e poi il perdono di Gesù, presentato come conseguenza. Che cosa concludere? Il perdono di Gesù è causa (parabola) o conseguenza (episodio)? La parabola contraddice forse il racconto? La teoria di Gesù urta contro la prassi della donna? Il testo bisogna riconoscerlo, offre qualche difficoltà di comprensione. Nel tentativo di renderlo logico, non sono mancate proposte di armonizzazione con traduzioni a dir poco bizzarre, oppure sono state tentate alcune integrazioni al testo. Una soluzione viene dalla considerazione del nostro articolato rapporto con la divinità. Gesù con le sue parole ripropone il contrasto espresso nella parabola e più ancora nell’atteggiamento della donna. Il perdono di Dio e l’amore della creatura si inseguono in una complessa articolazione di rapporti che non è facile definire: per amare Dio bisogna essere perdonati (o almeno possedere una certa familiarità con il divino, cfr Gv 6,44: «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato»), quindi il perdono precede l’amore. D’altro canto, è altrettanto vero che gesti di amore favoriscono o ‘provocano’ il perdono, cosicché l’amore precede il perdono. Vediamo il caso concreto. Gesù e la donna Gesù si rivolge alla donna dicendole: «I tuoi peccati sono perdonati» (v. 48). Il perdono di Gesù arriva dopo che ella ha compiuto gesti d’amore nei suoi confronti. Quindi prima ci sono gesti d’amore 68 DICEMBRE e poi il perdono. Però ci chiediamo subito: si sarebbe avventurata questa donna in un rischio simile senza conoscere Gesù, senza sapere della sua tenerezza per i peccatori, senza aver sentito la novità portata dalla sua predicazione? Certamente no. Quindi è pur vero che una vaga idea, se non proprio di perdono, almeno di accoglienza e di comprensione, precede i gesti di amore. Lo si può provare ricordando che all’inizio sta scritto: «Saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne...» (v. 37). Gesù non è per lei uno sconosciuto. A lui può rivolgere la sua attenzione perché lui non è come gli altri uomini. Questa donna ama perché Gesù permette, favorisce, ha preparato questo amore. È per questo che la donna ha osato tanto. In seguito all’amore della donna, Gesù risponde con un amore più grande, il perdono che è la forma di amore propria di Dio. Da qui la reazione incredula degli astanti: «Chi è costui che perdona anche i peccati?» (v. 49). Si può pertanto risolvere la apparente contraddizione del rapporto amoreperdono e perdono-amore dicendo che entrambi sono veri: la donna riceve il perdono pieno dopo aver compiuto gesti di amore e questi gesti sono permessi da una conoscenza almeno complessiva della bontà di Gesù. La donna ama, perché già è stata amata. Alla fine Gesù la congeda: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace» (v. 50). La frase suona quasi spaesata, avulsa dal suo contesto abituale che è quello del miracolo. Eppure Luca sta raccontando un miracolo, il più bel miracolo di Gesù, il miracolo dell’amore. Il racconto solo alla fine trova la parola ‘fede’ mentre prima aveva usato il vocabolario dell’amore (vv. 42.47). L’evangelista sembra dire: nei gesti di amore della donna si è manifestata la sua grande fede che ha strappato a Gesù il miracolo del perdono. Per una società migliore... Gesù non si schiera con le prostitute contro i farisei, nemmeno sta dalla parte del disordine o della passione contro l’ordine e la legge. 69 Una donna che ama, perché amata Ha invece fatto capire ciò che per lui è importante: la persona umana. Sia essa uomo o donna, ciascuno riceve da lui attenzione. Viene incontro al fariseo accogliendo dapprima l’invito, e poi aiutandolo a capire la dimensione di Dio. Alla donna ha consentito di compiere dei gesti e poi le ha parlato. Gesù non fa discriminazioni. Semmai sono le persone che con le loro reazioni si discriminano davanti a lui. Nel momento in cui Gesù parla alla donna, anche il fariseo non è più quello di prima: ha perso le sue sicurezze, i suoi giudizi sono stati frantumati dal giudizio di Gesù. Per essere dei suoi non bisogna inchiodarsi al passato, ma lasciarsi trasportare dal presente verso il futuro, la novità, quella che il Vangelo propone nella persona di Gesù. La lezione supera i confini storici dell’accaduto e arriva fino ai lettori di oggi. Con il riferimento all’atteggiamento generoso di Gesù, l’evangelista ricorda ai cristiani di tutti i tempi che non possono permettersi un regresso alla superbia farisaica. Il male si vince non condannando le persone, tanto meno isolandole o ‘ghettizzandole’, ma facendo chiarezza sul peccato e aiutandole ad abbandonare la sponda del vizio per approdare a quella del bene. Occorre star loro vicini, incoraggiare, accogliere e far riecheggiare i segni luminosi che trasmettono. La donna ha parlato nei gesti che ha compiuto, Gesù ha capito il suo eloquente silenzio. Amore chiama amore. 70 DICEMBRE Celebrazione Accoglienza Introduzione Nel ritiro spirituale del mese scorso eravamo stati invitati a farci prossimi di quanti hanno bisogno di ascolto, di misericordia e di perdono. Oggi ci viene ricordato che sappiamo amare il prossimo nella misura in cui riusciamo a fare una vera esperienza di amore. La celebrazione penitenziale che siamo chiamati a vivere si fa garante dell’amore preveniente di Dio, capace di renderci impegnati nel perdono e nell’amore verso il prossimo. Invochiamo lo Spirito perché, rendendo feconda la nostra esperienza dell’amore e del perdono del Signore, ce ne renda annunciatori miti e forti alle nostre comunità. 71 Una donna che ama, perché amata 1 - Dio con tutto il cuore Canto di inizio NUNC SANCTE NOBIS SPIRITUS (LU) 1. Nunc Sáncte nóbis Spíritus, Unum Pátri cum Fílio, dignáre prómptus íngeri nóstro refúsus pectóri. 2. Os, língua, mens, sénsus, vígor, Confessiónem pérsonent : Flamméscat ígne cáritas, Accéndat árdor próximos. 3. Praésta, Páter piíssime Patríque cómpar Unice Cum Spíritu Paráclito, régnans per ómne saéculum. Amen. Saluto Pr.: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Ass.: Amen. Pr.: Il Dio della speranza che ci riempie di ogni gioia e pace nella fede per la potenza dello Spirito Santo, sia con tutti voi. (MRI, p. 294) Ass.: E con il tuo spirito. 72 DICEMBRE Salmo preparatorio 31 (32) Il Salmo mette l’accento più sulla misericordia di Dio che sulle nostre colpe di peccatori. Solo così possiamo manifestare la gioia di sentirci perdonati. Rit.: Purificami, o Signore, sarò più bianco della neve. (AA, 9) Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato. Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto e nel cui spirito non è inganno. Rit. Ti ho fatto conoscere il mio peccato, non ho coperto la mia colpa. Ho detto: “Confesserò al Signore le mie iniquità” e Tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato. Rit. Tu sei il mio rifugio, mi liberi dall’angoscia, mi circondi di canti di liberazione. Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti! Voi tutti, retti di cuore, gridate di gioia! Rit. Colletta salmica Pr.:Preghiamo. O Dio, Padre pieno di compassione, Tu hai mandato tuo Figlio a chiamare Non quelli che si credono giusti, ma quelli che si sentono peccatori; 73 Una donna che ama, perché amata Ass.: hai fatto pesare su di Lui, innocente, il peso dei nostri peccati e, accettando il suo sacrificio, ci hai resi giusti in Lui. Fa che riconosciamo i nostri peccati. Per Cristo nostro Signore. Amen. 2 – Dio con tutta la mente Acclamazione al Vangelo CANTO PER CRISTO (AA, 173) Ant.: Alleluia, Alleluia, Alleluia, Alleluia, Alleluia. (2v) Canto per Cristo che mi libererà, quando verrà nella gloria, quando la vita con Lui rinascerà, Alleluia, Alleluia! Dal Vangelo secondo Luca (Lc 7, 36-50) 36 Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. 37Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; 38stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. 74 DICEMBRE Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: “Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!”. 40 Gesù allora gli disse: “Simone, ho da dirti qualcosa”. Ed egli rispose: “Di’ pure, maestro”. 41”Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. 42Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?”. 43Simone rispose: “Suppongo sia colui al quale ha condonato di più”. Gli disse Gesù: “Hai giudicato bene”. 44E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: “Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. 45Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. 46Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo . 47Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco”. 48Poi disse a lei: “I tuoi peccati sono perdonati”. 49Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: “Chi è costui che perdona anche i peccati?”. 50Ma egli disse alla donna: “La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!”. 39 Proposta di Riflessione Silenzio 75 Una donna che ama, perché amata 3 – Dio con tutta l’anima Celebrazione della riconciliazione Atto penitenziale Pr.: Fratelli, in questo tempo liturgico dell’Avvento, risuona forte la parola del Precursore, che invita a riscoprire il primato della fede nella nostra vita, per rendere l’annuncio del Vangelo motivato, convinto e coinvolgente. Con il canto tipico dell’Avvento chiediamo il dono della virtù della penitenza per vivere la consolazione con il Redentore, contenuto nella nostra evangelizzazione. Canto RORATE CAELI (LU) Rit.: Roráte, caeli, désuper et nubes pluant justum. Ne iráscaris, Dómine, Ne ultra memíneris iniquitátis : Ecce cívitas sancti facta est desérta : Sion desérta facta est, Jerúsalem desoláta est, domus sanctificatiónis tuae et glóriae tuae, ubi laudavérunt Te patres nostri. Rit. Peccávimus, et facti sumus tamquam immundus nos, et cecídimus quasi fólium univérsi: 76 DICEMBRE et iniquitátes nostrae quasi ventus abstulérunt nos. Abscondísti fáciem tuam a nobis, et allisísti nos in manu iniquitátis nostrae. Rit. Vide Dómine afflictónem pópuli tui et mitte quem missúrus es. Emítte Agnum dominatórem terrae, de petra desérti ad montem fíliae Sion, ut áuferat ipse jugum captivitátis nostrae. Rit. Consolámini, consolámini, pópule meus: cito veniet salus tua: quare maerore consuméris, quia innovávit te dolor? Salvábo te, noli timére: ego enim sum Dóminus Deus tuus, Sánctus Israel, Redémptor tuus. Rit. Pr.: Ora, animati dallo Spirito del Signore e illuminati dalla sapienza del Vangelo, riconciliamoci fra di noi e invochiamo con fede Dio Padre, per ottenere il perdono dei nostri peccati. Padre nostro. Pr.: O Dio, che non ti stanchi mai di usarci misericordia, donaci un cuore penitente e fedele che sappia corrispondere al tuo amore di Padre, perché diffondiamo lungo le strade del mondo il messaggio evangelico di riconciliazione e di pace. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio… 77 Una donna che ama, perché amata Silenzio Per la preghiera personale La pagina evangelica ancora ci invita a riflettere sul tema drammatico del peccato e su quello gaudioso del perdono. […] In questo mistero è il nodo in cui si stringe ed in cui si scioglie ogni questione delle sorti umane, lo sappiamo o no, lo crediamo o no; noi tutti vi siamo coinvolti. Ora un’affermazione fondamentale s’impone: tutti abbiamo bisogno di salvezza (Lumen Gentium, 53; 1Tm 2,4); nascendo, noi siamo naufraghi in questa inevitabile avventura; dimenticarla è cecità; rifiutarla è perdizione. Dobbiamo salvarci. Ed allora un’altra logica conclusione: noi dobbiamo avere coscienza di questo bisogno; cioè dobbiamo avere coscienza del male; del male nostro, del male che è nel mondo. […] Il nostro bene comincia dalla conoscenza del nostro male. […] Il primo capitolo, ci riguarda tutti personalmente. È quello del male supremo, il peccato. […] Il battesimo ci ha redenti da questo fatale malanno, ma non ci ha del tutto guariti dalle sue conseguenze, da cui derivano quegli altri mali. […] Noi moderni stiamo perdendo il senso del peccato. […] Perduto il senso di Dio e la percezione del nostro rapporto con Lui, rapporto continuamente urgente (la legge morale) nel campo del nostro agire e perciò del nostro comportamento responsabile in ordine a Lui, cade anche il senso del peccato; l’uomo pensa d’essersi liberato, ma s’è in realtà liberato dalla bussola direttiva del proprio divenire cosciente e vitale; rimane solo e senza principi assoluti per distinguere il bene dal male e per dare al dovere il suo vigore trascendente; senza Dio, tutto può diventare lecito (cfr Dostoevskij). Ma un senso oscuro ed inestinguibile d’indegnità e d’incapacità subentra nello spirito di chi agisce senza più riferirsi a Dio; e tanto dovrebbe bastare per non disdegnare, anzi per accogliere con ineffabile gioia l’incontro con Cristo, che dà simultaneamente 78 DICEMBRE la coscienza del peccato e quella della sua misericordiosa e vittoriosa riparazione. […] Secondo capitolo di questa dolorosa sapienza: l’avvertenza, e con l’avvertenza la deplorazione, e, per quanta possibile, la riparazione dei mali; che sono nel mondo. […] Come non possiamo consentire con quelli che denunciano fieramente soltanto i mali fuori delle loro persone e delle loro responsabilità, e dimenticano il «mea culpa» per i propri peccati e per le loro proprie corresponsabilità, così non possiamo approvare quelli che circoscrivono la sensibilità al campo della loro personale coscienza, e si disinteressano dei mali, dei dolori, dei bisogni, di cui soffre la società, anche se tali elementi negativi riguardano la sfera temporale, piuttosto che quella strettamente religiosa. […] E il solo sguardo, che perciò siamo obbligati a posare sopra i disordini e le sofferenze, che sono nel panorama storico e sociale di questa ora della vita moderna, ci riempie d’immenso dolore, il quale però diventa per noi immenso amore per i nostri fratelli ed immensa fiducia nei carismi redentori della morte e della risurrezione del Signore Gesù. Papa Paolo VI, Catechesi 25 marzo 1970 La Maddalena si è buttata ai piedi di Cristo, e ha cominciato a piangere; ha bagnato con le sue lacrime, asciugato con i suoi capelli quei piedi benedetti di Cristo che le portavano il messaggio del perdono e della pietà. E noi che facciamo? Ecco […] che ne pensate dell’amore? Abbiamo sentito tante volte questo nome usato in tanti sensi, e soprattutto vicino a tutti i piaceri e a tutti i vizi. È un nome che è diventato equivoco, che nasconde tante cose diverse. Ma quando lo portiamo vicino a Gesù Crocifisso, o a Gesù che sta sull’altare nascosto sotto quella apparenza di pane, allora sentiamo che amare è un’altra cosa. […] Provate ad amare, e vedrete che è la cosa, si più grande, ma anche la più difficile. È difficile: perché occorrerebbe trarre dalla nostra anima, dal fondo del nostro cuore sentimenti immensi: bisogna trovare qualche cosa di molto bello, bisogna saper cantare, 79 Una donna che ama, perché amata cantare amantis est dice Agostino (Serm. 336,1), e l’Amore richiama il canto. Bisognerebbe dire le parole più forti, le parole più belle, le parole più dolci, le parole più umili, le parole più vere, bisogna mettere in questa espressione tutta la nostra anima, ed ecco perché è difficile. Però sappiate che è proprio questo che noi dobbiamo fare a questo mondo. Che cosa siamo qui a fare in questo mondo? Il Signore ce l’ha detto: “Guarda, una sola cosa è importante e le riassume tutte: amare, amare, amare”. G.B. Montini, arcivescovo di Milano, Discorso in occasione della visita all’ospizio “Sacra famiglia” di Cesano Boscone l’1 marzo 1957 Canto per l’accoglienza dell’Eucaristia Accogliamo l’Eucaristia “farmaco d’immortalità” perché sostenga il nostro impegno nel confessare il peccato e nel vivere riconciliati con Dio e con i fratelli. TU, QUANDO VERRAI (AA 160) Tu, quando verrai, Signore Gesù, quel giorno sarai un sole per noi. Un libero canto da noi nascerà e come una danza il cielo sarà. Tu, quando verrai, Signore Gesù, insieme vorrai far festa con noi. E senza tramonto la festa sarà, perché finalmente saremo con Te. Tu, quando verrai, Signore Gesù, per sempre dirai: “Gioite con Me!”. Noi ora sappiamo che il Regno verrà: nel breve passaggio viviamo di Te. 80 DICEMBRE Confessione individuale Preghiera comunitaria di ringraziamento e benedizione eucaristica Pr.: La grazia del Signore ha reso nuova la nostra vita. Nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore, Gesù Cristo, manifestiamo la nostra gioia per il dono messianico del perdono offertoci da Cristo, Parola fatta carne. Canto VIENI, O RE, MESSAGGERO DI PACE (R.N.) (sulla musica di “Il Signore è il mio pastore) Vieni, o Re messaggero di pace, reca al mondo il sorriso di Dio: nessun uomo ha visto il suo volto, solo Tu puoi svelarci il mistero. Ora visiti noi nella fede per donarci la vita di Dio: Tu ci offri il tuo Corpo e il tuo Sangue a salvezza del nostro peccato. Noi crediamo che all’ultimo giorno tornerai con potenza e splendore per premiare in eterno gli eletti nella lode e nel canto perenne. Fa che allora guardiamo sereni al tuo volto raggiante di gloria, per seguirTi lassù dove regni con il Padre e lo Spirito Santo. 81 Una donna che ama, perché amata Pr.: O Cristo, stella radiosa del mattino, incarnazione dell’infinito amore, salvezza sempre invocata e sempre attesa, tutta la Chiesa ora Ti grida come la sposa pronta per le nozze: vieni Signore Gesù, unica speranza del mondo. Tu che vivi e regni per tutti i secoli dei secoli. (MRI, p. 1025) Ass.: Amen. Benedizione Canto di reposizione TI PREGHIAM CON VIVA FEDE (AA, 170) 1. Ti preghiam con viva fede, assetati siam di Te; nella gioia di chi crede vieni, amato Re dei re. Rit.: O Signore, Redentore, vieni vieni, non tardar o Bambino, Re divino, dona pace ad ogni cuor. 2. O Maria, dolce aurora, tu che annunzi il Salvator, rendi il cuore sua dimora, cresca l’uomo nell’amor. Rit. 3. T’invochiam, Sol d’Oriente, trepidanti d’ansietà, vieni, o luce della mente, tutto il mondo attende già. Rit. 82 DICEMBRE 4 – Dio con tutte le forze Per l’attualizzazione e la condivisione Il Giubileo porta con sé anche il riferimento all’indulgenza. Nell’Anno Santo della Misericordia essa acquista un rilievo particolare. Il perdono di Dio per i nostri peccati non conosce confini. Nella morte e risurrezione di Gesù Cristo, Dio rende evidente questo suo amore che giunge fino a distruggere il peccato degli uomini. Lasciarsi riconciliare con Dio è possibile attraverso il mistero pasquale e la mediazione della Chiesa. Dio quindi è sempre disponibile al perdono e non si stanca mai di offrirlo in maniera sempre nuova e inaspettata. Noi tutti, tuttavia, facciamo esperienza del peccato. Sappiamo di essere chiamati alla perfezione (cfr Mt 5,48), ma sentiamo forte il peso del peccato. Mentre percepiamo la potenza della grazia che ci trasforma, sperimentiamo anche la forza del peccato che ci condiziona. Nonostante il perdono, nella nostra vita portiamo le contraddizioni che sono la conseguenza dei nostri peccati. Nel sacramento della Riconciliazione Dio perdona i peccati, che sono davvero cancellati; eppure, l’impronta negativa che i peccati hanno lasciato nei nostri comportamenti e nei nostri pensieri rimane. La misericordia di Dio però è più forte anche di questo. Essa diventa indulgenza del Padre che attraverso la Sposa di Cristo raggiunge il peccatore perdonato e lo libera da ogni residuo della conseguenza del peccato, abilitandolo ad agire con carità, a crescere nell’amore piuttosto che ricadere nel peccato. Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 22 - Come aiutare a comprendere il valore dell’indulgenza? Risonanze e condivisione 83 Una donna che ama, perché amata Conclusione Tutti: Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo (vedi pag. 3) Antifona Mariana ALMA REDEMPTORIS (LU) Alma Redemptóris Máter quae pérvia caéli pórta mánes, et stélla máris, succúrre cadénti, súrgere qui cúrat pópulo: tu quae genuísti, natúra miránte, tuum sánctum Genitórem. Vírgo prius ac postérius, Gabriélis ab óre súmens íllud Ave, peccatórum miserére. 84 le scapole e le spalle GENNAIO Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù (Lc 7, 11-17) Con lo sguardo fisso su Gesù e il suo volto misericordioso possiamo cogliere l’amore della SS. Trinità. La missione che Gesù ha ricevuto dal Padre è stata quella di rivelare il mistero dell’amore divino nella sua pienezza. «Dio è amore» (1 Gv 4,8.16), afferma per la prima e unica volta in tutta la Sacra Scrittura l’evangelista Giovanni. Questo amore è ormai reso visibile e tangibile in tutta la vita di Gesù. La sua persona non è altro che amore, un amore che si dona gratuitamente. 85 Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù Le sue relazioni con le persone che lo accostano manifestano qualcosa di unico e di irripetibile. I segni che compie, soprattutto nei confronti dei peccatori, delle persone povere, escluse, malate e sofferenti, sono all’insegna della misericordia. Tutto in Lui parla di misericordia. Nulla in Lui è privo di compassione. Gesù, dinanzi alla moltitudine di persone che lo seguivano, vedendo che erano stanche e sfinite, smarrite e senza guida, sentì fin dal profondo del cuore una forte compassione per loro (cfr Mt 9,36). In forza di questo amore compassionevole guarì i malati che gli venivano presentati (cfr Mt 14,14), e con pochi pani e pesci sfamò grandi folle (cfr Mt 15,37). Ciò che muoveva Gesù in tutte le circostanze non era altro che la misericordia, con la quale leggeva nel cuore dei suoi interlocutori e rispondeva al loro bisogno più vero. Quando incontrò la vedova di Naim che portava il suo unico figlio al sepolcro, provò grande compassione per quel dolore immenso della madre in pianto, e le riconsegnò il figlio risuscitandolo dalla morte (cfr Lc 7,15). Dopo aver liberato l’indemoniato di Gerasa, gli affida questa missione: «Annuncia ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te» (Mc 5,19). Anche la vocazione di Matteo è inserita nell’orizzonte della misericordia. Passando dinanzi al banco delle imposte gli occhi di Gesù fissarono quelli di Matteo. Era uno sguardo carico di misericordia che perdonava i peccati di quell’uomo e, vincendo le resistenze degli altri discepoli, scelse lui, il peccatore e pubblicano, per diventare uno dei Dodici. San Beda il Venerabile, commentando questa scena del Vangelo, ha scritto che Gesù guardò Matteo con amore misericordioso e lo scelse: miserando atque eligendo. Mi ha sempre impressionato questa espressione, tanto da farla diventare il mio motto. Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 8 86 GENNAIO Per la preparazione personale Una madre, per definizione creatrice di vita, è ora muta testimone di morte. Il caso, notevolmente tragico per una serie di circostanze sfavorevoli, non possa inosservato allo sguardo premuroso di Gesù. Egli interviene a far rifiorire una giovane vita prematuramente stroncata. Il presente è uno dei tre casi di risurrezione operata da Gesù nei racconti evangelici. Consideriamo questo, non tanto sotto l’aspetto di risurrezione, quanto piuttosto sotto l’aspetto di compassione di Gesù verso una madre che, vedova, si vede privata anche dell’unico figlio. Contesto e dinamica del brano L’episodio, che appartiene a Luca in esclusiva, è preceduto remotamente dal discorso della beatitudine e da alcune massime (6,2049) e immediatamente dalla guarigione del servo del centurione (7,110). Rispetto al suo immediato contesto, il nostro episodio mostra un ‘crescendo’: se prima si parla di guarigione, ora si parla di risurrezione; se prima a beneficiare dell’intervento di Gesù è un servo, ora è un figlio; se prima il guarito è restituito al suo padrone, uomo, centurione, ora il risuscitato è restituito alla madre, donna vedova. Il contesto che segue riporta la domanda di Giovanni sul Messia e la relativa risposta di Gesù (7,18-23). Proprio in questa risposta che contiene il riferimento ai morti che risuscitano (cfr v. 22) si trova la spiegazione dell’inserzione dell’episodio a questo punto. 87 Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù parti: Se ora vogliamo articolare meglio il brano, notiamo le seguenti INTRODUZIONE: indicazione di luogo, circostanze, personaggi: vv. 11-12 INTERVENTO DI GESÙ: - con la parola consolatrice alla madre: v. 13 - con la parola creatrice al morto: v. 14 RISULTATO DELL’INTERVENTO DI GESÙ: il giovane risuscita ed è consegnato alla madre: v. 15 CONCLUSIONE: commento dei presenti e diffusione della fama: vv. 16-17 Breve commento Dopo il discorso che ha manifestato alcune esigenze del Regno di Dio, Gesù riprende la sua attività missionaria, accompagnato dai discepoli e da grande folla. La loro presenza svolgerà la preziosa funzione di testimoni oculari di quanto ora sta succedendo. Si avvicinano a una città chiamata Nain, propriamente un villaggio, poiché dotato di una sola porta, quindi di dimensioni ridotte. Ancora oggi il nome è conservato da un piccolo centro a circa 10 Km da Nazaret, di fronte al monte Tabor. Si può pensare che il miracolo sia stato operato proprio lì. Il gruppo si imbatte in un funerale. Si tratta di un caso disperato perché il defunto è giovane, per di più figlio unico. Quasi la situazione non si presentasse già complicata, si aggiunge che la madre era vedova. Ci sono tutti gli ingredienti per trasformare un caso disperato in tragedia. Il figlio è unico, «unigenito» come dice il testo 88 GENNAIO greco. L’indicazione accresce notevolmente l’intensità del dolore, per i sottili riferimenti inclusi. La morte del figlio unico, quindi anche primogenito, era considerata una grave disgrazia: «Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito» (Zc 12,10b). La situazione si aggrava ulteriormente ricordando lo stato di vedovanza della madre. Non raramente la vedova viveva nella vulnerabilità giuridica e in una precaria condizione economica. Per questo una norma del codice legislativo ebraico intendeva proteggerla e perciò prescriveva: «Non maltratterai la vedova e l’orfano» (Es 22,21); gli faceva eco il salmista che inneggiava a Dio «Padre degli orfani e difensore delle vedove» (Sal 68,6) e, di rimando, la predicazione profetica insisteva: «Rendete giustizia all’orfano e difendete la causa della vedova» (Is 1,17). Con la morte del figlio, quella vedova rimane privata dell’unico sostegno che aveva. La folla numerosa che accompagna il funerale contribuisce a rendere più drammatica la scena. Era tanto importante partecipare al funerale che i rabbini potevano interrompere lo studio della legge per accompagnare il defunto al cimitero. Se questo valeva sempre, a maggior ragione nel presente caso. Presentando il funerale e il caso disperato della donna, nonché il cordoglio generale della popolazione, sono poste le premesse dell’intervento miracoloso. Il caso colpisce anche Gesù che appena vede la donna si muove verso di lei e interviene senza esserne richiesto. La cosa merita di essere rimarcata, perché è molto raro che Gesù intervenga a vantaggio di qualcuno senza un’esplicita richiesta. La motivazione sta tutta in quel verbo «fu preso da grande compassione» che ritorna anche altrove («ebbe compassione» a 10,33 per il buon Samaritano e a 15,20 per il Padre buono). Luca che aveva chiamato Gesù il Signore (v. 13), titolo che esprime la potenza di Dio, presenta ora un Gesù che si commuove. È la felice combinazione della divinità e dell’umanità. Gesù è ‘Signore’, ma pure capace di avvicinarsi a chi è nel bisogno per condividerne il dolore. Ancora più sorprendente è 89 Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù questo intervento, se si pensa che è stato fatto a favore di una donna, per di più vedova. Le categorie emarginate e a rischio, sono quelle privilegiate da Gesù. Egli vede la donna e si interessa di lei. Le si avvicina per dirle «non piangere» o meglio, come si esprime l’originale greco, «cessa di piangere». Qualcosa sta per accadere. Le lacrime di quella madre disperata devono aver colpito Gesù che non invita la donna a rassegnarsi, a prendere tutto dalle mani di Dio per trovare pace. Egli si preoccupa piuttosto di farle capire che Dio è presente, è all’opera. Dalle parole passa all’azione e si avvicina alla bara, una semplice asse su cui era adagiato il cadavere. Gesù tocca la bara e supera con questo gesto la paura farisaica della contaminazione; egli si dimostra uomo libero e il suo gesto sembra ricordare che la vera contaminazione proviene da un’altra sorgente, più esattamente dal cuore, cioè dall’interno dell’uomo, come dirà in un altro contesto: «Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive, fornicazioni, furti, omicidi, adulteri... Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo» (Mc 7,21-22). Seguono le parole rivolte al morto che contengono la prorompente forza divina di Gesù: «Ragazzo, dico a te, alzati!». Il comando è perentorio e realizza subito quanto dice. Il giovane si pone in posizione da seduto, segno che non è più morto, e soprattutto comincia a parlare. Il linguaggio è strumento di comunicazione, espressione di viventi, e il giovane riprende quel fascio di relazioni che la morte aveva bruscamente interrotto. Che la madre, più che il giovane, abbia attirato l’attenzione di Gesù e lo abbia commosso, è ulteriormente confermato dal particolare «egli lo restituì a sua madre». Gesù in persona si prende cura di restituire il figlio a questa donna che vede miracolosamente e inopinatamente rifiorire sotto i suoi occhi una vita che considerava ormai definitivamente spezzata. 90 GENNAIO La conclusione è una celebrazione corale della potenza di Dio manifestata in Cristo. Per Luca il miracolo è un gesto della misericordia di Gesù verso gli umili, verso i sofferenti e, non ultimo, verso una donna. Un tema tanto caro a Luca, l’attenzione alle donne, si arricchisce con questo episodio di un nuovo, luminoso paragrafo. Dio, sembra sussurrare la teologia di Luca, non è poi tanto lontano, non è insensibile a chi è nel bisogno e la sua ‘visita’ è sempre portatrice di salvezza, che qui si chiama vita nuova, tanto per il figlio risuscitato, quanto per la madre che lo riceve come dono di Dio. Celebrazione Accoglienza Introduzione L’incarnazione del Signore ha manifestato l’amore di Dio che, attraverso il suo Figlio, entra in rapporto con tutti i limiti umani per redimerli e trasformarli in segni efficaci della presenza di Dio nella storia degli uomini. Per questo i ciechi vedono, i sordi odono, gli storpi camminano, i lebbrosi sono risanati. In questo ritiro il Signore ci consegna il segno più grande: richiama in vita un ragazzo e libera dall’esasperazione del dolore sua madre. L’evangelista Luca chiama, per la prima volta, Gesù “il Signore” riconoscendo in Lui la maestà onnipotente di Dio. Invochiamo lo Spirito perché la compassione del Dio che vince la morte ci aiuti a vivere in pienezza la nostra esistenza cristiana. 91 Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù 1 - Dio con tutto il cuore Canto di inizio VIENI, SPIRITO DI CRISTO (CdP, 570) Vieni, vieni, Spirito d’amore ad insegnar le cose di Dio. Vieni, vieni, Spirito di pace a suggerir le cose che Lui ha detto a noi. Vieni, o Spirito, dai quattro venti e soffia su chi non ha vita vieni, o Spirito, e soffia su di noi perché anche noi riviviamo. Insegnaci a sperare, insegnaci ad amare, insegnaci a lodare Iddio. Insegnaci a pregare, insegnaci la via, insegnaci Tu l’unità. Saluto Pr.: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Ass.: Amen. Pr.: Fratelli, Dio che aveva parlato per mezzo dei profeti, in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio. Innalziamo a Lui la nostra lode riconoscente. Ass.: Benediciamo il Signore, a Lui onore e gloria nei secoli. 92 GENNAIO Salmo responsoriale 39 (40) Il salmista ha sperimentato personalmente la bontà di Dio: è stato salvato dalla morte. Canta la sua riconoscenza e ci invita a lodare il Signore perché la sua compassione fa prevalere lo splendore della vita sulla morte. Rit.: Noi Ti lodiamo e Ti benediciamo. (CdP) Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato, non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me. Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi, mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa. Rit. Cantate inni al Signore, o suoi fedeli, della sua santità celebrate il ricordo, perché la sua collera dura un istante, la sua bontà per tutta la vita. Alla sera ospite è il pianto e al mattino la gioia. Rit. Ascolta, Signore, abbi pietà di me, Signore vieni in mi aiuto! Hai mutato il mio lamento in danza, Signore, mio Dio, Ti renderò grazie per sempre. Rit. Colletta salmica Pr.:Preghiamo. O Dio, che sei sempre buono con noi, Tu non hai mai permesso che tuo Figlio finisse nella tomba, ma hai voluto che, dopo la sera della passione, Egli esultasse nel grido di gioia il mattino di Pasqua. 93 Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù Ass.: Fa’ che comprendiamo che la nostra attuale sofferenza è poca cosa e ci prepara una vita gloriosa che non ha l’eguale e che durerà per sempre. Per Cristo, nostro Signore. Amen. 2 – Dio con tutta la mente Acclamazione al Vangelo (AA, 68) Ant.: Alleluia, Alleluia, Alleluia, Alleluia, Alleluia, Alleluia, Alleluia! Passeranno i cieli e passerà la terra, la sua Parola non passerà! Alleluia, Alleuia! Dal Vangelo secondo Luca (Lc 7, 11-17) 11 In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. 12Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. 13Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: “Non piangere!”. 14Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: “Ragazzo, dico a te, àlzati!”. 15Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua 94 GENNAIO madre. 16Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: “Un grande profeta è sorto tra noi”, e: “Dio ha visitato il suo popolo”. 17Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante. Proposta di riflessione Silenzio 3 – Dio con tutta l’anima Canto di accoglienza dell’Eucaristia SIGNORE SEI VENUTO (CdP, 728) Signore, sei venuto fratello in mezzo a noi. Signore, hai portato amore e libertà. Signore, sei vissuto nella povertà: noi Ti ringraziamo, Gesù. Rit.: Alleluia, alleluia, alleluia, alleluia! (2v) Signore, sei venuto fratello nel dolore. Signore, hai parlato del regno dell’amore. Signore, hai donato la tua vita a noi: noi Ti ringraziamo, Gesù. Rit. Signore, sei risorto e resti in mezzo a noi. Signore, ci hai chiamati e resi amici tuoi. Signore, Tu sei via alla verità: noi Ti ringraziamo, Gesù. Rit. 95 Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù Adorazione Tutti: Preghiera del beato Papa Paolo VI per le Vocazioni (vedi pag. 4) Silenzio Per la preghiera personale Il racconto dell’Evangelista Luca è semplice, limpido, commovente. Ci sentiamo tutti spettatori dell’avvenimento, nel quadro di un umile villaggio della Galilea. […] Avviene una cosa straordinaria, imprevista. Gesù interrompe il funerale, il corteo della morte, e compie il prodigio. Gesù si commuove. […] Specialmente nelle contingenze negative, quale la sofferenza, l’occhio di Cristo, Figlio di Dio, si volge all’umanità dolorante. Egli ben la conosce, e perciò il suo sguardo non si chiude sulle manifestazioni della pena e della tristezza; i suoi passi non si allontanano dall’epilogo dell’esistenza terrena, la sepoltura, appunto; e ora arresta -si potrebbe parlare d’uno scontro- il corteo della 96 GENNAIO morte con il corteo della vita. Gesù, ripetiamo, si commuove. Manifesta pietà e compassione per il dolore. […] “Non piangere” […] “Ragazzo, dico a te: risorgi”: “Adolescens, tibi dico, surge”. Due comandi di letizia e di vita. Basterebbe sostare nel riflettere e contemplare queste divine parole per essere beati; e ritornare alle nostre case con l’anima piena di forza, luce, gioia, conforto, sollievo: un risultato ben duraturo, dall’incontro domenicale, che la Chiesa ci offre, con Cristo. […] Gesù ha avuto compassione del dolore umano, lo ha valutato, ha rivolto l’animo suo verso il dolore nostro. […] Il cristiano ha il genio della compassione, il cristiano ha la capacità e l’attitudine a vedere, a scoprire, a cercare, a rincorrere l’uomo sofferente. […] Nella società moderna, sembra regola di buona condotta il non farsi mai vedere troppo commossi: piangere non è più di moda […] E allora ecco che l’istinto di sottrarsi al contagio del dolore, tramuta addirittura in disprezzo. […] La pietà è debolezza; non è degna dell’uomo; bisogna svincolare l’uomo da questo influsso del dolore altrui, e mostrarsi insensibili. […] Sappiamo quanto è avvenuto con questa educazione alla fierezza, al crudele e glaciale atteggiamento, all’aridità verso i dolori altrui. […] È il dolore che diventa cattivo. Il vero e giusto sentimento è quello del Buon Samaritano, che ha compassione di chi soffre. Proprio tale misericorde umanità Gesù ha canonizzato, fatto sua, e ha portato ad altezze ed espressioni divenute fondamentali per la civiltà cristiana. Il cristiano è un uomo di cuore sensibile in ogni momento propenso a cogliere le necessità dei fratelli che gli stanno accanto, specie quando sono nella sofferenza, nel dolore, nel pianto. Il cristiano è un uomo compassionevole. “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia […] beati coloro che piangono perché saranno consolati”. Papa Paolo VI, dall’Omelia in san Pietro, 19 settembre 1965 97 Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù Canto di Benedizione MISTERO DELLA CENA (AA, 148) Mistero della Cena è il Corpo di Gesù. Mistero della Croce è il Sangue di Gesù. E questo pane e vino è Cristo in mezzo ai suoi, Gesù risorto e vivo sarà sempre con noi. Mistero della Chiesa è il Corpo di Gesù. Mistero della pace è il Sangue di Gesù. Il pane che mangiamo fratelli ci farà. Intorno a questo altare l’amore crescerà. Intercessioni Pr.: Il Signore Gesù, inviato dal Padre, ha compassione della vedova di Nain e si manifesta come nostra risurrezione e nostra vita. Rivolgiamogli la nostra preghiera perché dia a ciascuno di noi la possibilità di fare cose grandi nel suo nome: condividere la sofferenza dei malati, consolare i sofferenti, condividere gli spazi del nostro tempo con chi è tormentato dalla solitudine, riportare alla fede i lontani. Preghiamo insieme dicendo: Ass.: Signore, Tu sei il Salvatore della nostra vita. Pr.: Signore, la vedova di Nain che piange la morte dell’unico figlio è l’immagine di tutto il dolore umano. Anche noi, Signore siamo visitati dal nostro dolore. Rispondici perché Tu solo sei la verità; noi Ti preghiamo: Ass.: Signore, Tu sei il Salvatore della nostra vita. 98 GENNAIO Pr.:“Donna non piangere”. Signore, la tua risposta è un invito a sperare perché il peccato non Ti ha fermato. Rendici convinti che esiste un Cielo, esiste una vita eterna, c’è speranza oltre il dolore; noi Ti preghiamo: Ass.: Signore, Tu sei il Salvatore della nostra vita. Pr.: Tu, Signore, richiamasti alla vita il figlio della vedova di Nain. Questo miracolo è una profezia. Rendici convinti che il vero miracolo è la Risurrezione, è il mondo in cui spariranno il dolore e la morte perché questo mondo è già dentro di noi con la fede; noi Ti preghiamo: Ass.: Signore, Tu sei il Salvatore della nostra vita. Pr.: Signore, Tu sei il Dio della vita e non vuoi la morte delle tue creature. Noi cerchiamo di strappare tempo alla morte, ma questa è un’illusione. Soltanto Tu, Signore, puoi salvarci perché Tu visiti sempre il tuo popolo affinché abbia la vita; noi Ti preghiamo: Ass.: Signore, Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Padre nostro. Pr.: Ass.: Preghiamo (MRI, p. 989) O, Dio, consolatore degli afflitti, Tu illumini il mistero del dolore e della morte con la speranza che splende sul volto del Cristo; fa’ che nelle prove del nostro cammino restiamo intimamente uniti alla passione del tuo Figlio, perché si riveli in noi la potenza della sua risurrezione. Egli è Dio, vive e regna con Te… Amen. 99 Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù Benedizione Canto di reposizione QUANTA SETE (AA 144) Quanta sete nel mio cuore: solo in Dio si spegnerà. Quanta attesa di salvezza solo in Dio si sazierà. L’acqua viva che Egli dà sempre fresca sgorgherà. Il Signore è la mia vita, il Signore è la mia gioia. Se la strada si fa oscura, spero in Lui: mi guiderà. Se l’angoscia mi tormenta spero in Lui: mi salverà. Non si scorda mai di me, presto a me riapparirà. Il Signore è la mia vita, il Signore è la mia gioia. Nel mattino io T’invoco: Tu, mio Dio, risponderai. Nella sera rendo grazie: Tu, mio Dio, ascolterai. Al tuo monte salirò e vicino Ti vedrò. Il Signore è la mia vita, il Signore è la mia gioia. 100 GENNAIO 4 – Dio con tutte le forze Per l’attualizzazione e la condivisione Il pellegrinaggio è un segno peculiare nell’Anno Santo, perché è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. La vita è un pellegrinaggio e l’essere umano è viator, un pellegrino che percorre una strada fino alla meta agognata. Anche per raggiungere la Porta Santa a Roma e in ogni altro luogo, ognuno dovrà compiere, secondo le proprie forze, un pellegrinaggio. Esso sarà un segno del fatto che anche la misericordia è una meta da raggiungere e che richiede impegno e sacrificio. Il pellegrinaggio, quindi, sia stimolo alla conversione: attraversando la Porta Santa ci lasceremo abbracciare dalla misericordia di Dio e ci impegneremo ad essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con noi. Il Signore Gesù indica le tappe del pellegrinaggio attraverso cui è possibile raggiungere questa meta: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc 6,37-38). Dice anzitutto di non giudicare e di non condannare. Se non si vuole incorrere nel giudizio di Dio, nessuno può diventare giudice del proprio fratello. Gli uomini, infatti, con il loro giudizio si fermano alla superficie, mentre il Padre guarda nell’intimo. Quanto male fanno le parole quando sono mosse da sentimenti di gelosia e invidia! Parlare male del fratello in sua assenza equivale a porlo in cattiva luce, a compromettere la sua reputazione e lasciarlo in balia della chiacchiera. Non giudicare e non condannare significa, in positivo, saper cogliere ciò che di buono c’è in ogni persona e non permettere che abbia a soffrire per il nostro giudizio parziale e la nostra 101 Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù presunzione di sapere tutto. Ma questo non è ancora sufficiente per esprimere la misericordia. Gesù chiede anche di perdonare e di donare. Essere strumenti del perdono, perché noi per primi lo abbiamo ottenuto da Dio. Essere generosi nei confronti di tutti, sapendo che anche Dio elargisce la sua benevolenza su di noi con grande magnanimità. Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 14 - Come vivere e far vivere il pellegrinaggio della misericordia? Risonanze e condivisione Conclusione Tutti: Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo (vedi pag. 3) Antifona Mariana VIRGO DEI GENITRIX (LU) Virgo Déi Génitrix, quem tótus non càpit òrbis: in túa se cláusit viscera fáctus hómo. Véra fides Geniti purgávit crímina múndi, et tíbi virgínitas invioláta manet. Te mátrem pietátis, ópem te clámitat órbis: subvénias fámulis, o benedicta, túis. Glória mágna Pátri, cómpar sit gloria Náto, spirítui Sáncto glória mágna Déo. Amen. 102 gli avambracci e le mani FEBBRAIO La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso (Lc 15, 11-32) La Quaresima di questo Anno Giubilare sia vissuta più intensamente come momento forte per celebrare e sperimentare la misericordia di Dio. Quante pagine della Sacra Scrittura possono essere meditate nelle settimane della Quaresima per riscoprire il volto misericordioso del Padre! Con le parole del profeta Michea possiamo anche noi ripetere: Tu, o Signore, sei un Dio che toglie l’iniquità e perdona il peccato, che non serbi per sempre la tua ira, ma ti compiaci 103 La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso di usare misericordia. Tu, Signore, ritornerai a noi e avrai pietà del tuo popolo. Calpesterai le nostre colpe e getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati (cfr 7, 18-19). Le pagine del profeta Isaia potranno essere meditate più concretamente in questo tempo di preghiera, digiuno e carità: «Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”. Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio. Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono» (58, 6-11). L’iniziativa “24 ore per il Signore”, da celebrarsi nel venerdì e sabato che precedono la IV domenica di Quaresima, è da incrementare nelle Diocesi. Tante persone si stanno riavvicinando al sacramento della Riconciliazione e tra questi molti giovani, che in tale esperienza ritrovano spesso il cammino per ritornare al Signore, per vivere un momento di intensa preghiera e riscoprire il senso della propria vita. Poniamo di nuovo al centro con convinzione il sacramento della Riconciliazione, perché permette di toccare con mano la grandezza della misericordia. Sarà per ogni penitente fonte di vera pace interiore. Non mi stancherò mai di insistere perché i confessori siano un vero segno della misericordia del Padre. Non ci si improvvisa confessori. Lo si diventa quando, anzitutto, ci facciamo noi per primi penitenti in cerca di perdono. Non dimentichiamo mai che essere 104 FEBBRAIO confessori significa partecipare della stessa missione di Gesù ed essere segno concreto della continuità di un amore divino che perdona e che salva. Ognuno di noi ha ricevuto il dono dello Spirito Santo per il perdono dei peccati, di questo siamo responsabili. Nessuno di noi è padrone del Sacramento, ma un fedele servitore del perdono di Dio. Ogni confessore dovrà accogliere i fedeli come il padre nella parabola del figlio prodigo: un padre che corre incontro al figlio nonostante avesse dissipato i suoi beni. I confessori sono chiamati a stringere a sé quel figlio pentito che ritorna a casa e ad esprimere la gioia per averlo ritrovato. Non si stancheranno di andare anche verso l’altro figlio rimasto fuori e incapace di gioire, per spiegargli che il suo giudizio severo è ingiusto, e non ha senso dinanzi alla misericordia del Padre che non ha confini. Non porranno domande impertinenti, ma come il padre della parabola interromperanno il discorso preparato dal figlio prodigo, perché sapranno cogliere nel cuore di ogni penitente l’invocazione di aiuto e la richiesta di perdono. Insomma, i confessori sono chiamati ad essere sempre, dovunque, in ogni situazione e nonostante tutto, il segno del primato della misericordia. Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 17 105 La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso Per la preparazione personale È diffusa e comune usanza definire questo brano «la parabola del figlio prodigo», sebbene quasi tutti oggi sappiano che non spetta al «figlio prodigo» il ruolo di personaggio principale né dal punto di vista letterario né dal punto di vista teologico. Seguendo un lodevole esempio che già trova non pochi sostenitori, si suggerisce caldamente di abbandonare questa fuorviante denominazione per accoglierne un’altra, per esempio «la parabola del Padre misericordioso (o buono)», che restituisce alla figura del padre la sua centralità letteraria e teologica. Non si tratta di un’inutile o pedante mania perfezionistica, bensì di un aiuto per indicare fin dal titolo il vero protagonista e orientare in tal modo verso la corretta interpretazione della parabola. Contesto e dinamica del brano Qualcuno si crede diverso e migliore degli altri e crea subito due categorie, quella dei buoni e quella dei cattivi. Gesù ricorda che non spetta all’uomo determinare simili classificazioni perché l’uomo vede solo le apparenze, Dio invece legge nel profondo del cuore. E capita spesso che la lettura attenta e spassionata della realtà documenti il contrario di ciò che sembrava a prima vista, che cioè i buoni non si rivelano poi così buoni come essi vorrebbero far credere e che i cattivi lasciano trapelare atteggiamenti e sentimenti contrari al primo e sommario giudizio emesso contro di loro. Nei confronti di tutti, effettivi o presunti buoni ed effettivi o presunti cattivi, Dio manifesta la sua paterna comprensione sempre accompagnata dal pressante invito al ravvedimento e alla conversione. La dialettica tra buoni e cattivi costruisce anche lo scenario e lo sviluppo della nostra parabola che deve essere letta e compresa nel suo contesto di polemica che accende gli animi di scribi e farisei, incapaci di comprendere l’atteggiamento di Gesù con i peccatori, così 106 FEBBRAIO lontano e contrario alle «buone regole» di un maestro ebreo (cfr Lc 15,1-3). Gesù risponde con la presente parabola lasciando facilmente capire che il suo comportamento altro non è che il fedele riflesso dell’amore di Dio, il Padre misericordioso che si rivolge in modi diversi agli uomini, sempre però con lo stesso fine, quello di attrarli nell’orbita della sua bontà. Come diversi sono gli uomini e le situazioni che vivono, così diversi sono gli atteggiamenti di Gesù nell’andare loro incontro: si comporta proprio come il Padre della parabola che tratta i figli secondo le esigenze di ciascuno. Un prezioso paradigma da considerare come “appunti di pedagogia divina”. Dopo una introduzione che mette in scena i personaggi (vv. 11-12), la parabola si articola in due atti di due scene ciascuno, il primo dominato dal padre e dal figlio minore (vv. 13-24), il secondo dal padre e dal figlio maggiore (vv. 25-32); nel secondo atto si rivelerà molto importante, addirittura decisiva, la relazione fratello-fratello, resasi necessaria dall’amoroso intervento del padre. Breve commento Introduzione: Il padre e due figli (vv. 11-12) «Un uomo aveva due figli»: con un inizio sobrio ed essenziale sono presentati i personaggi che animeranno la più bella parabola evangelica, il padre e i suoi due figli. Questi tre personaggi creano due tipi di relazioni, la prima quella di padre-figlio sdoppiata in padrefiglio minore e padre-figlio maggiore, e la seconda quella di fratellofratello, relazione non espressa se non verso la fine del racconto e tuttavia di capitale importanza. Dopo i personaggi, ecco l’antefatto che causa e motiva tutto il seguito: «Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”». Il minore si affaccia sulla scena con i tratti dell’arrogante e del prepotente, esigendo ciò che un giorno po107 La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso trà essere suo, ma che ora appartiene ancora al padre. Questi poteva reagire in molti modi; ne ipotizziamo alcuni: - rifiutare adducendo la giustizia e il suo diritto vigente contro il diritto del figlio ancora latente e futuro; - convincere dell’inutilità o della pericolosità di tale richiesta, prevedendo un poco oculato uso di tanta ricchezza affidata a mano inesperta; - rispondere duramente alla insolenza e tracotanza del figlio minore che richiedeva qualcosa fuori dal normale; se dura era la richiesta, dura poteva suonare la risposta. Nessuna di queste possibilità è presa in considerazione dal padre. Di lui non conosciamo la reazione immediata e nemmeno i sentimenti, perché il testo si esprime molto laconicamente con la frase: «Ed egli divise tra loro le sue sostanze». Il padre sceglie una strada lontana dalla logica comune, la strada di una sconcertante arrendevolezza: non una obiezione, non una parola, non un estremo tentativo di impedire questo dissennato progetto del figlio più giovane. Cerchiamo di metterci dalla parte del padre e di capirlo. Il figlio è giovane e quindi non più bambino e neppure adolescente, il che significa che possiede una sua definita personalità che va rispettata. Trattenere in casa uno che trova pesante l’aria che respira e non più arricchente il rapporto con quelli di famiglia, equivale a rompere un rapporto di sintonia interpersonale e di comunione che la forzata permanenza non riesce più a riparare. E poi, quanto tempo sarebbe durata questa vita considerata, dopo un eventuale rifiuto del padre, come una vita da schiavo, perché limitata dalla catena della dipendenza paterna? Questo padre che volesse ad ogni costo tenere il figlio in casa sarebbe forse mosso da amore, ma in fondo vorrebbe premunirsi contro il rischio dell’incognita. Educare significa lavorare con un buon margine di rischio e di incognita, educare significa rispettare la libertà dell’altro, soprattutto quando l’altro è un adulto, anche se si può prevedere un non corretto uso di tale libertà. Fare uso della propria 108 FEBBRAIO autorità o della propria superiorità per vincolare l’altro ai propri desideri o punti di vista potrebbe creare un continuo gioco a rimpiattino, spingendo ad una codificazione dell’imbroglio e salvando forse le apparenze, non certo la sostanza. Il padre si presenta come colui che ha e colui che dà. Il seguito del racconto mostrerà che il suo agire non nasce dall’indifferenza o dalla leggerezza, bensì dalla capacità di rischiare e di sperare nel valore del bene. Per il momento il racconto prosegue senza offrire alcun sentimento del padre, nessuna reazione alla decisione del figlio, accondiscendendo alla insolita richiesta di dividere il patrimonio. Atto primo: il Padre e il minore (vv. 13-24) Tutta la prima parte della parabola mette in scena l’attività del figlio minore, il suo allontanamento dal padre e il ritorno. Sebbene il giovane sia il soggetto della maggior parte delle azioni e dei sentimenti qui descritti, si nota subito che la figura del padre domina quasi sempre e finisce per imporsi come la figura principale che motiva e determina molti sentimenti o azioni del figlio, cosicché il padre e non il figlio rimane il soggetto logico, anche se non grammaticale, di questo primo atto. Prima scena: il minore si allontana e ritorna da Padre (vv. 13-20a) L’autore della parabola racchiude la prima scena tra un partire (v. 13) e un tornare (v. 20a), due verbi che esprimono un opposto movimento fisico, ma che riveleranno pure due momenti contrastanti nell’animo del giovane. «Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano». La scelta di un paese lontano vuole significare la distanza fisica dal padre, ma più ancora la sottrazione ad 109 La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso una sua possibile influenza. Come ricorderà più avanti la parabola, questo «lontano» equivale al superamento della frontiera del paese, perché si parlerà di allevamento di porci, animali che gli ebrei non potevano mangiare e che quindi non allevavano. La partenza avviene all’insegna delle più lusinghiere prospettive, perché il figlio minore possiede quegli elementi che in tutti i tempi sono considerati come gli ingredienti indispensabili della felicità: giovinezza, ricchezza e libertà. La giovinezza è un grande valore come ricordò san Giovanni Paolo II nella sua lettera apostolica ai giovani del mondo: «La giovinezza di per se stessa (indipendentemente da qualsiasi bene materiale) è una singolare ricchezza dell’uomo [...]. Il periodo della giovinezza infatti, è il tempo di una scoperta particolarmente intensa dell’«io» umano e delle proprietà e capacità ad esso unite [...]. È questa la ricchezza di scoprire ed insieme di programmare, di scegliere, di prevedere e di assumere le prime decisioni in proprio». Per Giovanni Papini i segni della giovinezza sono tre: la volontà di amare, la curiosità intellettuale e lo spirito aggressivo, tutti elementi che rendono invidiabile questa stagione della vita. La ricchezza materiale, intesa come continua possibilità di soddisfare i bisogni e come garanzia di successo, rimane un ideale continuamente perseguito da molti che per esso spendono sogni, speranze e energie. Chi veramente riesce ad averla è invidiato in quanto ritenuto in grado di avere la felicità a portata di mano. La libertà viene considerata come la condizione per fruire della giovinezza e della ricchezza. Quindi il nostro giovane si allontana dal padre con la presunta sicurezza di possedere la chiave che apre tutte le porte della felicità, proprio perché giovane, ricco e libero. Con una frase lapidaria il testo continua: «Là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto». In questa mezza riga si ricorda una verità che l’osservazione della realtà ha più volte confermato: una ricchezza, sia pure faraonica, si esaurisce presto quando 110 FEBBRAIO non saggiamente amministrata. Il nostro giovane appartiene alla lunga schiera di persone che nel gioco, nel vizio e nei bagordi hanno dilapidato in breve tempo una fortuna che altri avevano accumulato con impegno e sacrificio. Questo fatto determina un cambiamento nel corso degli avvenimenti, aggravati da una situazione imprevista come la carestia: «Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno». Nella logica del racconto la carestia rappresenta l’imprevisto, componente indeterminata quanto ad entità e tempo, ma sempre da considerare nella vita. Le persone sagge ed avvedute si premuniscono per affrontare l’imprevisto; le persone insipienti invece vivono all’insegna della spensieratezza, come se la vita dovesse sempre obbedire alla logica dei loro sogni. Alla mancanza di denaro e all’imprevisto che qui prende il nome di carestia, il giovane della parabola reagisce cercando lavoro: «Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci». Non è facile passare da una spensierata vita di gozzoviglie all’impegno del lavoro materiale, però il giovane si adatta perché è un ebreo e non un greco o romano. Nel mondo pagano il lavoro manuale era riservato agli schiavi, in Israele, invece, era stimato come attività caratteristica dell’uomo (cfr Gn 2,15), a tal punto che anche chi si dedicava allo studio della Torah doveva vivere del lavoro delle proprie mani. Lavorare non è quindi degradante per un ebreo. Ma non tutti i lavori erano accettabili dalla mentalità ebraica e tra questi la custodia dei porci, animali immondi la cui carne non si poteva mangiare né toccare. All’umiliazione di tale lavoro si aggiunge quella del disinteresse degli altri per la sua persona: «Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci, ma nessuno gli dava nulla», ovviamente perché il padrone era più interessato a ingrassare i suoi porci che non a sfamare questo avventuriero di passaggio. Davvero brusco il cambiamento da giovane galante con tanti soldi a guardiano di porci, cui contendere le ghiande! 111 La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso L’incresciosa situazione fa scattare un meccanismo di ripensamento: «Allora ritornò in sé». Perché questo «ritornò»? Che cosa significa? Rientrare in se stesso significa che prima era uscito da se stesso; si credeva libero e invece si riconosce solo un dissociato mentale, uno schizofrenico che aveva inseguito una chimera come se si trattasse della realtà. Ora ricompone la dissociazione lasciando riemergere il mondo sommerso della casa paterna, del padre, dell’abbondanza: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame!». Il bisogno fisico, cioè la fame, ha sbiadito i colori che dipingevano la vita di facile quanto inconsistente felicità, riproponendo una realtà sobria ma essenziale: una casa, una protezione, un lavoro e un sicuro sostentamento. Il bisogno materiale motiva due meccanismi, responsabili di due tipi di ritorno, uno morale e l’altro fisico: - Il ritorno morale fatto di riconoscimento del proprio errore e di coscienza di aver perso il rapporto padre-figlio: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati». Qui troviamo la grandezza morale di chi è capace di riconoscere e di ammettere il proprio sbaglio, con lucidità e senza reticenze; è lo slancio sincero e umile del giovane che si assume tutta la propria responsabilità; è l’umile ammissione del suo errore che fa da contrappunto alla sfacciata presunzione che lo aveva spinto ad allontanarsi. - Il ritorno materiale: «Si alzò e tornò da suo padre», fatto di risoluta decisione, maturata alla luce di una riflessione rileggeva la vita in modo meno miope. Come sono diversi la partenza e il ritorno! Era partito ricco e ritorna povero, era partito baldanzoso e sicuro di sé e ritorna umiliato e con tutte le sue sicurezze infrante; era partito giovane e ritorna invecchiato dal lavoro e dalle esperienze, se è vero ciò che sostiene F. Mauriac: «Noi abbiamo l’età dei nostri peccati»; era partito figlio e ritorna non figlio; era partito libero dal padre, ritorna libero da sé, 112 FEBBRAIO dalla sua sprezzante autosufficienza. Ha perso tutto, però ha trovato la capacità di riflettere e di apprezzare qualcosa della casa del padre, il cibo. Solo il cibo? No, non solo il cibo. Con esso c’è la segreta speranza di una possibile accoglienza del padre; spera di trovare accoglienza come domestico, certamente non come figlio. Se fosse stato sicuro di un totale rifiuto del padre o di una sua reazione inconsulta, non sarebbe ritornato. Il giovane possiede una certa immagine e conoscenza di suo padre che motiva il suo ritorno. Questo è da collocare vicino al bisogno del pane. Il ritorno quindi ha il nutrimento come causa specifica, ma un certo concetto di padre coma causa efficiente. In fondo il giovane confida e spera che il padre non gli neghi un tetto e un lavoro. La prima scena termina con questo ritorno alle persone e alle cose abbandonate, anche se con la coscienza di non possederle più come prima. Il ritorno motivato dal bisogno materiale rivela un atteggiamento di fiducia nel padre, nella speranza che lo accolga come un salariato, garantendogli il sostentamento. Pur con tutto il bagaglio di esperienze negative e di sbagli che il giovane porta con sé, egli dimostra un aspetto non consueto che lo rende grande, in quanto è disposto a riconoscere il proprio errore e ad assumere tutte le conseguenze, prima fra tutte la perdita del suo rapporto di figlio. Con questi sentimenti il giovane, che pure ha sbagliato molto, è liberato dal grande peccato: «Il grande peccato, l’unico peccato dell’uomo, è di credere alla propria sufficienza» (P. Claudel), idea similmente espressa da Pio XII: «Il più grave peccato attuale è che gli uomini hanno cominciato a perdere il senso del peccato». Quindi non tutto risulta marcio in questo giovane, anzi, i sentimenti di riconoscimento della propria colpa e l’umile gesto del ritorno alla casa paterna lo rendono un giovane che ha pure qualcosa da insegnare. È soprattutto un figlio che, nonostante tutto, afferma con il suo ritorno che la fiducia del padre non è stata completamente tradita. 113 La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso Seconda scena. Incontro tra padre e figlio minore (vv. 20b-24) La figura di un padre apparentemente indifferente e insensibile che lascia partire il figlio senza una parola o un estremo tentativo per trattenerlo, rivela ora la sua infondatezza, perché il testo mostra tutta la sollecitudine di questo padre. «Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò». Il padre era in attesa, segno che l’amore non si arrende mai, che crede nella vittoria del bene sul male, che spera nel fiorire di buoni principi insegnati. Solo a questo punto inizia a svelarsi la vera attitudine del padre. Il suo correre incontro al figlio indica che viveva in perenne attesa, che sperava sempre e perciò scrutava di continuo l’orizzonte. Il ritorno del figlio è la risposta all’arte educativa del padre che non aveva mai abbattuto un ponte di fiducia che lo legava al figlio, anche se la fiducia era stata momentaneamente tradita. Il padre raccoglie i frutti del suo rischio, avvenuto in contesto di amore e di speranza: la speranza è premiata dal ritorno del figlio alla casa paterna, l’amore si concretizza in una serie di gesti che il padre riserva al figlio. Gli corre incontro, lo bacia, lo accoglie. Solo ora il testo parla dei sentimenti del padre e lo fa con una parola caratteristica. Il termine tradotto in italiano con «ebbe compassione» ricorre qui e in due altri contesti dell’evangelista Luca: a 7,33 quando Gesù si commuove davanti al defunto figlio unico della vedova di Nain e a 10,33 quando il buon samaritano ha compassione dello sventurato caduto in mano dei ladroni. Il termine indica una commozione profonda che interessa tutta la persona, quasi uno sconvolgimento interiore. Poiché il vangelo non ama indulgere freudianamente ad analisi psicologiche, là dove sono registrati dei sentimenti si deve prestare particolare attenzione, perché caratterizzano le persone e determinano la retta comprensione del racconto. Infatti questo primo atto è dominato dalla commozione del padre mentre il secondo riporterà l’ira del fratello. 114 FEBBRAIO A questo punto il giovane si esprime con le parole che aveva preparato e manifesta la sua convinzione che, dopo quello che è successo, non è più degno di essere chiamato figlio. Il padre rimane padre, forse lo è ancora di più in questo momento di accoglienza, ma lui non può rimanere figlio perché il suo passato grava su di lui come un’onta incancellabile. Egli vive più di passato che di presente o futuro. Il padre lascia parlare il figlio perché la confessione che esprime il pentimento fa bene, ha benefico effetto liberatorio. Non accetta però le conclusioni proposte dal figlio e non lo lascia terminare con quel «Trattami come uno dei tuoi salariati»: questo è veramente impensabile per il padre, attento più al presente e al futuro che non al passato, ora cancellato dal pentimento. Egli non rimprovera, non richiama il passato, perché sarebbe un’inutile riacutizzazione di una ferita non ancora rimarginata. Se il figlio ha maturato e dimostrato il suo pentimento, che bisogno c’è di insistere? Rievocare il passato sarebbe sadismo, oppure una inconscia rivincita, magari con un sarcastico «Hai voluto andar via, ora che sei nei pasticci ritorni?». La punizione più grave e il rimprovero più severo se li è dati il figlio che accetta di essere non-figlio. Il padre si rivela di atteggiamento giovanile perché attento al presente e al futuro, quasi dimentico del passato che rimane invece per il figlio come unica realtà da considerare, proprio come quei vecchi che, privi ormai di prospettiva, ritornano alle nostalgie, ai rimpianti o ai rimorsi del tempo trascorso. Alle parole del figlio, il padre risponde con una serie di gesti che valgono assai di più delle parole. Si rivolge ai servi perché si prendano cura del figlio, come avveniva per il passato, anzi, ancora di più. Il vestito più bello (la veste lunga come dice il testo greco) indica la situazione di straordinarietà, i calzari che in quel tempo portavano solo poche persone, la dignità, l’anello sul quale era impresso il sigillo di famiglia, l’autorità e infine l’uccisione del vitello e lo stare insieme a mensa la gioia della festa e della condivisione. 115 La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso Un’accoglienza a dir poco trionfale necessita una spiegazione, data puntualmente dal padre: «Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». Il padre ha lasciato partire il «figlio» e ora riceve tra le braccia «questo mio figlio»; aveva visto partire un giovane presuntuoso e arrogante e ora vede ritornare un uomo maturato dal dolore, dalla lontananza e dal pentimento. Il momento del pentimento è il momento dell’inizio e anche di più: è il mezzo con il quale si cambia il passato. Mentre i Greci ritenevano questo impossibile e spesso ripetevano nei loro aforismi gnomici: «Gli dèi stessi non saprebbero cambiare il passato», san Gregorio di Nissa affermava: «Quaggiù si va sempre di inizio in inizio fino all’inizio senza fine», quasi a ricordare la bellezza e la necessità di saper ricominciare. Nel padre si sprigiona la gioia per il figlio ‘cresciuto’ e la festa che segue valorizza la nuova maturità raggiunta, il nuovo rapporto tra padre e figlio. In questa scena la parola del figlio ritorna tre volte e sempre in crescendo: al v. 21 «figlio» appartiene al racconto, poi diventa «non tuo figlio» sulla bocca del giovane, per trasformarsi infine in «questo-mio-figlio» nelle parole del padre. Forse non del tutto comprensibile risulta il comportamento del padre, ma a lui Pascal presterebbe il suo celebre pensiero: «Il cuore ha delle ragioni che la ragione non riesce a comprendere». La scena appare dominata dalla commozione iniziale che diventa prima un abbraccio e poi festa di famiglia. Colui che si professava «non figlio» viene accolto e amato come «questo mio figlio»: la situazione risulta esattamente capovolta. Qui giganteggia la figura del padre che il figlio ha modo di scoprire con caratteri inediti di misericordia. Termina il primo atto che ha visto come protagonisti il figlio minore e il padre; quest’ultimo nel ruolo più importante, perché condiziona lo sviluppo di tutta la scena. È lui il personaggio che polarizza l’attenzione e l’interesse di questa prima parte della parabola, come pure - è facile supporlo - sarà al centro della seconda parte. 116 FEBBRAIO Atto secondo: il padre e il maggiore (vv. 25-32) Fa la sua comparsa l’altro figlio, il maggiore, che movimenta tutto il secondo atto rivelando i suoi sentimenti verso il padre e verso il fratello. Tuttavia anche in questo atto, come nel precedente, il ruolo principale spetterà al padre. Prima scena: Il ritorno a casa del maggiore (vv. 25-28) Anche il maggiore ritorna a casa, ma il suo è un ritornare abituale e scontato, quello del rientro quotidiano dopo il lavoro nei campi. Nell’avvicinarsi sente un’insolita e non preventivata festa con musica e danze; è logico quindi che si informi presso un servo da cui viene a sapere: «Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo». La notizia, lungi dal procurargli gioia come era avvenuto per il padre, lo stizzisce: come è possibile che per quello scapestrato spendaccione si organizzi una festa? E più ancora, come è possibile che per lui sia stato ammazzati il vitello che era ingrassato per qualche grande occasione, in molti casi per le nozze del primogenito? Non solo non capisce il motivo di quella festa, ma addirittura si sente in qualche modo defraudato di un suo diritto e posposto al minore. «Egli si indignò e non voleva entrare». Incontriamo ora la seconda annotazione psicologica, l’ira del maggiore, che contrasta con la commozione del padre nel riavere il figlio minore. Lo stesso fatto, il ritorno del giovane, provoca due reazioni contrastanti. Ira, sdegno e dissociazione vengono ad abbattersi sulla festa che voleva essere momento di comunione, di intimità gioiosa per un nuovo rapporto che si era instaurato tra padre e figlio e, si presumeva, all’interno di tutta la famiglia ora ricomposta. Invece no. La famiglia rimane ancora frantumata dal sentimento di isolamento e di rifiuto del maggiore che non intende prendere parte alla festa. 117 La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso Seconda scena: incontro tra padre e figlio maggiore (vv. 28-32) «Suo padre allora uscì a supplicarlo». Il padre va incontro a lui come era andato incontro al minore. È sempre il padre a prendere l’iniziativa e a muovere il primo passo per raccorciare le distanze. Il figlio risponde rivendicando i suoi diritti: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici». Il maggiore rivendica i suoi diritti proprio come il minore che chiedeva la parte di patrimonio per andarsene. Nelle sue parole si legge l’orgogliosa sicurezza del suo perbenismo, la sua incondizionata e assoluta fedeltà al padre, con un non troppo velato rimprovero al padre considerato come ‘padrone’ dal pesante verbo «ti servo», tipico degli schiavi. Il lavoro, più che collaborazione e compartecipazione, è vissuto come servile dipendenza. Anche lui intende far festa, però con i suoi amici, con gli altri e non con quelli di casa. Ma la festa deve essere sempre di tutti e per grandi motivi, altrimenti si degrada a orgia, a gozzoviglia. Nella sua dura accusa al padre, dimentica un fatto importante: il padre, nel dividere il patrimonio, ha dato anche a lui la parte spettante, perché si era detto che «Il padre divise tra loro le sue sostanze» (v. 12). Ovviamente la fruizione del patrimonio paterno prima della morte del padre non è considerata: si lamenta del capretto non avuto, dimenticando di essere in possesso del patrimonio che il padre gli ha lasciato prima del tempo. In fondo, il minore ha ‘fatto la figura’ di chiedere e il maggiore ha goduto il beneficio derivato dall’arroganza del fratello. Tutto questo, nel momento delle recriminazioni, è tralasciato e inspiegabilmente ‘dimenticato’. Dopo l’accusa al padre, il discorso prosegue attaccando duramente il minore: «Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso». Egli parla al padre di «questo tuo figlio», incapace di ri118 FEBBRAIO conoscere l’altro come fratello che demolisce agli occhi del padre ritornando a un passato ormai sepolto per il padre e riaprendo quella ferita che il padre si era rifiutato di far nuovamente sanguinare. Mentre il padre aveva festosamente salutato il ritorno del minore e nella sua grande bontà non ritornava al passato proprio perché «l’amore copre una moltitudine di peccati» (1Pt 4,8), il maggiore sembra conoscere solo l’aspetto negativo del fratello, incapace di vedere e valorizzare lo sforzo e la voglia di novità espressi dal ritorno e dal pentimento. Il padre riconosce le ragioni del maggiore: quanto egli afferma non è né falso né esagerato, perché egli ha sempre lavorato presso il padre e l’altro invece ha egoisticamente vissuto all’insegna di una riprovevole spensieratezza che lo ha portato a dilapidare il patrimonio. Le ragioni ci sono, d’accordo, ma che non diventino un comodo pretesto per alzare palizzate di divisione o per creare facili categorie. Il padre lo ascolta e poi gli rivolge la parola chiamandolo «figlio», ricordandogli così quella relazione di comunione che il maggiore ha sempre vissuta, forse senza capirla pienamente, sicuramente senza apprezzarla se ora, in un momento di tanta gioia per il padre, egli si estranea e mai si rivolge al padre chiamandolo con questo nome. Il padre riprende nel termine figlio quella relazione che il maggiore aveva indicato solo tra padre e figlio minore e gli ricorda che anche lui è figlio: «Figlio, tu sei sempre con me»: il padre difende la posizione privilegiata del maggiore che non consiste in un freddo rapporto di «dare e avere»: io presto la mia opera e tu mi ripaghi, bensì in un rapporto di indissolubilità, cioè di impossibilità di separazione, di comunione interpersonale, a cui segue la comunione dei beni: «Tutto ciò che è mio è tuo». Proprio questo rapporto interpersonale e la sua valorizzazione fanno difetto nel maggiore che «[...] fa valere la sua prolungata fedeltà al padre, ma che in quel momento così importante per il padre si rivela incapace di condividerne i sentimenti. Anche lui, non meno del minore, ha bisogno di capire e scoprire suo padre» (V. Fusco). Le parole del padre hanno smantellato la pretesa sicurezza del figlio, hanno 119 La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso messo a nudo che neppure lui ha compreso il padre, perché non ne condivide i sentimenti e si estranea alla festa della comune riconciliazione. Le sue ragioni valgono, ma nel momento e nel modo in cui sono rivendicate, manifestano la intrinseca debolezza di relazione con il padre. Il padre ricorda che la vera festa, l’unica, è quella che vede riuniti tutti insieme: «Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». La festa autentica ci sarà quando il maggiore riconoscerà e accetterà l’altro non come «questo tuo figlio», bensì come questo mio fratello. Finché rifiuterà il titolo di fratello non potrà rivolgersi al padre chiamandolo padre e resterà come una monade che vive isolata dagli altri. Capire il padre è capire il fratello; capire il fratello è capire il padre. Le sue sicurezze sono infrante e anche lui si trova al palo di partenza, invitato a celebrare con tutti gli altri la festa, quella della gratuità. La festa vale se vissuta con il padre e con tutti gli altri. Non basta essere sempre rimasti nella casa del padre per partecipare al banchetto; non basta neppure non aver fatto nulla di riprovevole: occorre compiere un passo più avanti del semplice buon senso umano o della logica di elementare compassione. Perdonare, accettare l’altro che ha sbagliato, ridargli fiducia e possibilità di ricominciare, tutto questo equivale a passare dalla logica umana alla logica divina, a passare da quello che tutti capiscono a ciò che attuano solo coloro che stanno dalla parte di Dio. Una parabola aperta Non esiste una conclusione che informi sulla decisione del maggiore. Avrà capito il padre dopo che questi gli ha parlato? Avrà accolto l’altro come suo fratello e non solo come figlio dello stesso padre? Sarà entrato alla festa? La parabola fissa su questi sottintesi interrogativi la sua attenzione e la risposta alle pretese del maggiore e 120 FEBBRAIO dei farisei di tutti i tempi: costoro sono tutti quelli che si reputano irreprensibili solo perché non hanno alle spalle un passato di tradimenti e di infedeltà, ma che tuttavia non conoscono un generoso slancio di autentico e disinteressato amore. Sono tutti coloro che non conoscono e non praticano la misericordia, mantenendosi alla periferia della beatitudine: Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia (Mt 5,7). Alcune considerazioni retrospettive aiutano a dar solido fondamento all’invito iniziale che raccomandava di chiamare la presente pagina evangelica non «la parabola del figlio prodigo», bensì «la parabola del padre misericordioso». Il lettore si sarà facilmente accorto che la figura del padre domina tanto il primo quanto il secondo atto. Proprio lui va incontro al minore prima e al maggiore poi, ascoltando le parole di pentimento dell’uno e le parole di rimostranza dell’altro. Dopo aver ascoltato, interviene in modo diverso secondo le esigenze proprie di ognuno: al minore non risponde con parole, ma con una serie di gesti che esprimono la calorosa accoglienza e la rinnovata integrazione nella comunione familiare; al maggiore che richiede la spiegazione di quello che egli vive come torto personale risponde aiutandolo a superare la frontiera di un miope individualismo per convincerlo a valorizzare la vita che era fiorita sull’albero secco dell’esperienza negativa e del pentimento. Potremmo dire che il padre si trova al centro dell’interesse letterario e teologico mentre i due figli sono equamente distanti, gravati da due esperienze diverse, ma entrambe negative, nei confronti del padre. Questi muove il primo passo per andare incontro ai due con amorosa pazienza che sa capire, accogliere e promuovere. Un padre così grande e così buono non può essere che il Padre nei cieli che Gesù ci ha fatto conoscere, il vero prodigo della parabola, prodigo del suo immenso amore verso tutti. 121 La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso Spunti per una revisione di vita IO COME IL MINORE 1. 2. 3. 4. 5. Vivo la dimensione triangolare: io - Dio - gli altri? Mi manca forse qualche lato? Mi trovo a mio agio nella casa del Padre, nella mia comunità, oppure respiro un’aria pesante, un clima di disagio? Cerco di conoscere le cause e di combatterle? Mi illudo forse che un cambiamento risolva tutti i problemi? Quali sono per me gli ingredienti della vera felicità? Ritengo anch’io giovinezza, libertà e denaro valori assoluti o di primaria importanza? Quali sono i valori del mio ambiente familiare e sociale? Posso definirli valori evangelici? In che cosa mi adeguo e come reagisco? Come e quanto mi lascio interpellare dai ‘segni dei tempi’ per ripensare la mia vita, esaminare le mie scelte e il mio operato? Quando l’ultima volta? Cosa è cambiato in seguito? Ho il coraggio di riconoscere la mia colpa, di presentarmi a Dio senza giustificazioni e attenuanti? Sono capace di riconoscere i miei sbagli anche davanti agli altri? Ricordo l’ultimo caso? Fu debolezza o forza d’animo? IO COME IL MAGGIORE 6. 7. Quali sono le pretese che avanzo nei confronti di Dio e degli altri (salute, riconoscimento dei miei meriti[...])? Sono forse arrogante? Ricordo qualche caso di cui non posso vantarmi? Mi illudo anch’io di costruire un autentico rapporto con il Padre senza impegnarmi per costruirlo anche con il fratello? 122 FEBBRAIO 8. Mi sforzo di adattarmi agli schemi del Vangelo (quelli del Padre), o voglio incapsulare il Vangelo entro quelli della logica umana (il figlio maggiore)? Sono capace di dialogo e di accoglienza? Quando l’ultimo esempio? IO COME IL PADRE 9. Il Padre perdona, guarda avanti. E io? Fin dove il passato altrui mi blocca o mi condiziona? A chi ho concesso il perdono l’ultima volta? A chi l’ho negato? Che cosa ho provato e che cosa provo ora? Che cosa imparo dalla parabola? 10. Ho capacità di adattamento e di elasticità mentale per le situazioni diverse? Abbino la diversità con l’amore o solo con il mio interesse e il mio comodo? 11. Gioisco con chi gioisce e soffro con chi soffre? 12. Vivo la novità della grazia che trasforma l’uomo vecchio in uomo nuovo? La mia presenza è portatrice di vita o di morte? Di novità o di vecchiume? 123 La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso Celebrazione Accoglienza Introduzione Meditare davanti all’icona del Padre misericordioso in questo tempo liturgico della Quaresima comporta il riconoscere la misericordia di Dio che ci fa incontrare con il suo perdono legato alla conversione dell’uomo. L’uomo che si perde e si converte vale più della massa. Tutti noi, in questa Quaresima, più che sertirci cercatori di Dio dobbiamo sentirci cercati da Lui anche perché Lui ci attende prima ancora che noi abbiamo mosso i nostri passi. Al termine della Quaresima celebreremo i misteri della nostra salvezza. Invochiamo lo Spirito perché in questo cammino impegnativo della fede sia per noi voce amica, rugiada feconda, compimento del perdono. 124 FEBBRAIO 1 - Dio con tutto il cuore Canto di inizio TU SEI VIVO FUOCO (AA, 248) Tu sei fresca nube che ristori a sera, del mio giorno sei rugiada. Ecco, già rinasce di freschezza eterna questo giorno che sfiorisce. Se con Te, come vuoi, cerco la sorgente, sono nella pace. Tu sei sposo ardente che ritorni a sera, del mio giorno sei l’abbraccio. Ecco, già esulta di ebbrezza eterna questo giorno che sospira. Se con Te, come vuoi, mi consumo amando, sono nella pace. Tu sei voce amica che mi parli a sera, del mio giorno sei conforto. Ecco, già risuona d’allegrezza eterna questo giorno che ammutisce. Se con Te, come vuoi, cerco la Parola, sono nella pace. Saluto Pr.: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Ass.: Amen. Pr.: La grazia e la pace del Signore, che ci chiama alla conversione del cuore, sia con tutti voi. Ass.: E con il tuo spirito. 125 La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso Salmo preparatorio 50 (51) Questo Salmo è una commovente richiesta di perdono. Il peccatore chiede la conversione del cuore e si apre al rendimento di grazie. Rit.: Sorgi Signore salvaci, nella tua misericordia Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro. Rit. Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non scacciarmi dalla tua presenza e non privarmi del tuo Santo Spirito. Rit. Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode. Uno spirito contrito è sacrificio a Dio; un cuore contrito e affranto Tu, o Dio, non disprezzi. Rit. Colletta salmica Pr.:Preghiamo. O Dio, pieno di amore e di misericordia, contemplando la Croce dove tuo Figlio si è caricato del nostro peccato, comprendiamo che Tu vuoi sempre perdonare e rendere santi. Guarda il nostro spirito pentito e il nostro cuore umiliato. 126 FEBBRAIO Ass.: Tu, che sei buono, purificaci interamente dai nostri peccati, donaci lo Spirito che ci fa diventare tuoi figli e le nostre labbra canteranno la tua lode. Per Cristo nostro Signore. Amen. 2 – Dio con tutta la mente Acclamazione al Vangelo (AA, 71) Gloria a Cristo, splendore eterno del Dio vivente! Gloria a Te, Signor! Gloria a Cristo, che muore e risorge per tutti i fratelli! Gloria a Te, Signor! Dal Vangelo secondo Luca (Lc 15, 11-32) 11 Disse ancora: “Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre. 127 La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. 25 Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo.27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Proposta di riflessione Silenzio 128 FEBBRAIO 3 – Dio con tutta l’anima Celebrare la riconciliazione significa rimanere nella speranza, che sgorga dalla certezza che il Signore, avendoci amati sino alla fine, ricompone la piena e perfetta comunione con Lui e con i fratelli. Aspersione dell’acqua benedetta (MRI, p. 1034) Pr.: Fratelli carissimi, invochiamo la benedizione di Dio, nostro Padre, perché questo rito di aspersione ravviva in noi la grazia del Battesimo, per mezzo del quale siamo stati immersi nella morte redentrice del Signore per risorgere con Lui a vita nuova. Tutti pregano in silenzio Pr.: O Dio creatore, che nell’acqua e nello spirito hai dato forma e volto all’uomo e all’universo: Ass.: Purifica e benedici la tua Chiesa. Pr.: O Cristo, che dal petto squarciato sulla croce hai fatto scaturire i sacramenti della nostra salvezza: Ass.: Purifica e benedici la tua Chiesa. Pr.: O Spirito Santo, che dal grembo battesimale della Chiesa ci hai fatto rinascere come nuove creature: Ass.: Purifica e benedici la tua Chiesa. Pr.: O Dio, che raduni la tua Chiesa, sposa e corpo del Signore, benedici il tuo popolo e ravviva in noi, per mezzo di quest’acqua, il gioioso ricordo e la grazia della prima Pasqua nel Battesimo. Per Cristo nostro Signore. Ass.: Amen. 129 La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso Pr.: Ed ora, mentre veniamo aspersi con l’acqua benedetta, riconosciamo e confessiamo, con il canto, i nostri peccati davanti a Dio e alla comunità. ATTENDE DOMINE (LU) Atténde Dómine, et miserére, quia peccávimus tibi. Ad Te, Rex summe, ómnium redémptor, óculos nostros sublevámus flentes : exáudi, Christe, supplicántum préces. Déxtera Pátris, lápis anguláris, Via salútis, iánua cæléstis, áblue nostri máculas delícti. Rogámus, Deus, tuam majestátem: áuribus sacris gémitus exáudi : crimina nostra plácidus indúlge. Tibi fatémur crìmina admíssa: contríto corde pándimus occúlta: tua, Redémptor, piétas ignóscat. Innocens cáptus, nec repúgnans ductus, téstibus fálsis pro impiis damnátus : quos redemísti, Tu consérva, Christe. Pr.: Concludiamo la preghiera chiedendo perdono e impegnandoci a perdonare. Padre nostro. 130 FEBBRAIO Pr.: O Padre, per la tua benevolenza la creazione continua e sorge il sole sui buoni e sui cattivi: libera l’uomo dal peccato che lo separa da Te e lo divide in se stesso; fa che, nell’armonia interiore creata dallo Spirito, diventiamo operatori di pace e testimoni del tuo amore. Per Cristo nostro Signore. Ass.: Amen. Canto di accoglienza dell’Eucaristia Pregare l’Eucaristia significa riconoscere che la carne di Cristo immolata sulla croce è segno efficace del perdono e della redenzione. O CRISTO REDENTORE (AA, 199) Con la sua morte lavò le nostre colpe (dalla liturgia) 1. O Cristo Redentore per noi dal ciel disceso, di questa carne il peso vestisti nel dolor: su dura croce esanime scontasti i nostri errori. Rit.: Gesù noi t’adoriamo dalla croce pendente; noi Ti benediciamo per le genti redente. 2. Perdona, o Dio d’amore, dall’alto della croce: preghiamo con la voce degli umili, o Signore: perdona a noi colpevoli d’avere agito mal. Rit. 131 La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso Adorazione Tutti: Preghiera del beato Papa Paolo VI per le Vocazioni (vedi pag. 4) Silenzio Per la preghiera personale Dice il Vangelo, cioè Gesù, il Maestro, narrando la storia del figliol prodigo, nella sua fase più infelice e al tempo stesso più salutare, che il povero protagonista della triste avventura, ritornò in se stesso, in se autem reversus (Lc 15,17). Ricordiamo questa semplicissima frase; essa è come l’ago di scambio per la traiettoria d’un convoglio fuori strada. Ritornò in se stesso: ma aveva bisogno di ritornare in se stesso un giovane pieno di vita, che non aveva altro cercato che se stesso, cioè di godersi la propria vita, mediante le esperienze della libertà e del piacere, le quali sembrano rivelare a un cercatore della vita la sua pienezza, la sua autenticità, la sua felicità? Era così uscito da se stesso, dalla propria coscienza, dalla propria vera personalità, e giunto al fondo d’una disperata e ignobile miseria che ritornò là donde era fuggito: ritornò in se stesso. È drammatico, è stupendo. È sommamente istruttivo. 132 FEBBRAIO Questo atto di riflessione solitaria, coraggiosa, personale sta alla radice soggettiva (non senza certamente un imponderabile, ma decisivo aiuto divino) del ricupero della vera e nuova vita dell’uomo. L’esame di coscienza, la verità su se stessi, la classifica secondo giustizia della propria condotta, il coraggio di piangere senza disperazione, eccetera, potrebbero condurci alle magnifiche analisi del male voluto e vissuto, e già sotto il peso d’un’auto-condanna piena di straordinaria ricchezza, non solo passionale e letteraria, ma sapiente ed umana, bisognosa, diremmo quasi fin d’ora, meritevole di compassione e di riabilitazione. Basti quest’unico pensiero: in se autem reversus. Quante lezioni ne potremmo ricavare! Sul silenzio, sulla vita interiore, sulla capacità di autometamorfosi, sulla fortuna di ritrovare il proprio vero io, e con esso, domani, Dio, il Padre! Il quadro clinico spirituale vale per tutti. Pensiamoci. Papa Paolo VI, Catechesi 13 marzo 1974 La questione perciò è intricata e ardua, ma vale la pena di studiarla e di cercarne le vie di soluzione. Il bisogno, il desiderio, l’attesa di Cristo vegliano in tanti cuori lontani. Molti aspetti della vita moderna si possono interpretare come predisposizioni provvidenziali al messaggio evangelico: basta saper intuire i “segni dei tempi”(Mt 16,4). E poi nel mondo vi sono sempre riserve di innocenza, di povertà, di rettitudine, di speranza, con le quali l’apostolo può venire a colloquio. Se il pastore si muove, esce, cerca, chiama, soffre, non resta senza fortuna. Se pur talvolta ha successo, al sua attesa paziente del figliuol prodigo, che torna da sé, più spesso tocca a lui a muoversi, a prendere l’iniziativa della ricerca, fuori dall’ovile, specialmente se non una pecora manca alle cento fedeli, ma novantanove all’unica rimasta. 133 La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso Questo uscire è tremendo, anche se ancora è un restare: nell’impegno al proprio ufficio pastorale, nella certezza del solo ovile di verità, nella fedeltà al proprio gregge (cercare non è cedere, è amare), perché poi è un tentativo di novità, una fatica non prevista, uno sforzo snervante, un rischio immancabile: nella solitudine forse, nell’oscurità dei pericoli… dove, dove si va? Come si cerca? G.B. Montini, arcivescovo di Milano, dal Messaggio per la VII Giornata di Aggiornamento Pastorale del 31 maggio 1958 Confessione individuale Preghiera comunitaria di ringraziamento Signore Gesù Cristo, mite e umile di cuore, re di giustizia e di pace, modello di povertà e di pazienza, Agnello immolato per la nostra salvezza, Tu che, attraverso la croce, salisti alla gloria per indicarci la via che conduce al Padre; donaci di accogliere con gioia il messaggio evangelico e di vivere secondo il tuo esempio, per divenire coeredi del tuo Regno. Per tutti i secoli dei secoli. Amen. 134 FEBBRAIO Canto di Benedizione APRI LE TUE BRACCIA (AA 195) 1. Hai cercato la libertà lontano, hai trovato la noia e le catene, hai vagato senza via solo con la tua fame. Rit.: Apri le tue braccia Corri incontro al Padre, oggi la sua casa sarà in festa per te. 2. Se vorrai spezzare le catene troverai la strada dell’amore, la tua gioia canterai: questa è libertà. Rit. 3. I tuoi occhi ricercano l’azzurro, c’è una casa che aspetta il tuo ritorno e la pace tornerà: questa è libertà. Rit. Pr.: Ass.: O Padre, Tu non vuoi la morte dei peccatori, ma la loro conversione: riconosciamo di avere sbagliato e desideriamo ritornare a Te. Ascolta la nostra preghiera e sostieni il nostro impegno quaresimale di conversione. Per Cristo nostro Signore. Amen. 135 La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso Benedizione Canto di reposizione TI SALUTO O CROCE SANTA (Repertorio nazionale) Per mezzo di Cristo siamo stati salvati (dalla Liturgia) Rit.: Ti saluto o Croce santa, che portasti il Redentor: gloria, lode, onor Ti canta ogni lingua ed ogni cuor. 1. Sei vessillo glorioso di Cristo, sua vittoria e segno d’amor: il suo sangue innocente fu visto come fiamma sgorgare dal cuor. Rit. 2. O Agnello divino, immolato sulla croce crudele, pietà! Tu, che togli dal mondo il peccato, salva l’uomo che pace non ha. Rit. 136 FEBBRAIO 4 – Dio con tutte le forze Per l’attualizzazione e la condivisione Nella Quaresima di questo Anno Santo ho l’intenzione di inviare i Missionari della Misericordia. Saranno un segno della sollecitudine materna della Chiesa per il Popolo di Dio, perché entri in profondità nella ricchezza di questo mistero così fondamentale per la fede. Saranno sacerdoti a cui darò l’autorità di perdonare anche i peccati che sono riservati alla Sede Apostolica, perché sia resa evidente l’ampiezza del loro mandato. Saranno, soprattutto, segno vivo di come il Padre accoglie quanti sono in ricerca del suo perdono. Saranno dei missionari della misericordia perché si faranno artefici presso tutti di un incontro carico di umanità, sorgente di liberazione, ricco di responsabilità per superare gli ostacoli e riprendere la vita nuova del Battesimo. Si lasceranno condurre nella loro missione dalle parole dell’Apostolo: «Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti» (Rm 11,32). Tutti infatti, nessuno escluso, sono chiamati a cogliere l’appello alla misericordia. I missionari vivano questa chiamata sapendo di poter fissare lo sguardo su Gesù, «sommo sacerdote misericordioso e degno di fede» (Eb 2,17). Chiedo ai confratelli Vescovi di invitare e di accogliere questi Missionari, perché siano anzitutto predicatori convincenti della misericordia. Si organizzino nelle Diocesi delle “missioni al popolo”, in modo che questi Missionari siano annunciatori della gioia del perdono. Si chieda loro di celebrare il sacramento della Riconciliazione per il popolo, perché il tempo di grazia donato nell’Anno Giubilare permetta a tanti figli lontani di ritrovare il cammino verso la casa paterna. I Pastori, specialmente durante il tempo forte della Quaresima, siano solleciti nel richiamare i fedeli ad accostarsi «al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia» (Eb 4,16). Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 18 137 La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso - Come essere e aiutare altri ad essere Missionari della Misericordia? Risonanze e condivisione Conclusione Tutti:Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo (vedi pag. 3) Antifona Mariana AVE REGINA CÆLORUM (AA, 307) Ave Regína cælorum, ave Dómina angelórum: Salve, radix, salve, porta, ex qua mundo lux est orta. Gaude, Virgo gloriósa super omnes speciósa. Vale, o valde decóra et pro nobis Christum exóra. 138 le gambe APRILE La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35) Un Anno Santo straordinario, dunque, per vivere nella vita di ogni giorno la misericordia che da sempre il Padre estende verso di noi. In questo Giubileo lasciamoci sorprendere da Dio. Lui non si stanca mai di spalancare la porta del suo cuore per ripetere che ci ama e vuole condividere con noi la sua vita. La Chiesa sente in maniera forte l’urgenza di annunciare la misericordia di Dio. La sua vita è autentica e credibile quando fa della misericordia il suo annuncio convinto. Essa sa che il suo primo compito, soprattutto in un momento come il nostro colmo di grandi speranze e forti contraddizioni, è quello di introdurre tutti nel grande mistero della misericordia di 139 La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus Dio, contemplando il volto di Cristo. La Chiesa è chiamata per prima ad essere testimone veritiera della misericordia professandola e vivendola come il centro della Rivelazione di Gesù Cristo. Dal cuore della Trinità, dall’intimo più profondo del mistero di Dio, sgorga e scorre senza sosta il grande fiume della misericordia. Questa fonte non potrà mai esaurirsi, per quanti siano quelli che vi si accostano. Ogni volta che ognuno ne avrà bisogno, potrà accedere ad essa, perché la misericordia di Dio è senza fine. Tanto è imperscrutabile la profondità del mistero che racchiude, tanto è inesauribile la ricchezza che da essa proviene. In questo Anno Giubilare la Chiesa si faccia eco della Parola di Dio che risuona forte e convincente come una parola e un gesto di perdono, di sostegno, di aiuto, di amore. Non si stanchi mai di offrire misericordia e sia sempre paziente nel confortare e perdonare. La Chiesa si faccia voce di ogni uomo e ogni donna e ripeta con fiducia e senza sosta: «Ricordati, Signore, della tua misericordia e del tuo amore, che è da sempre» (Sal 25,6). Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 25 140 APRILE Per la preparazione personale L’evangelista Luca possiede in esclusiva il brano proposto, prima apparizione del Risorto a due discepoli privilegiati che lo incontrano prima che si manifesti ai suoi apostoli. I due compiono un cammino trasferendosi da un luogo all’altro e, nello stesso tempo, fanno un cammino spirituale e maturano un nuovo modo di rapportarsi a Cristo, spostando l’asse del loro interesse. Passano dalla presunta conoscenza di Cristo, così come la loro miope esperienza l’aveva pensato, a una conoscenza autentica che si costruisce in loro progressivamente grazie all’intervento personale di Gesù. Si spostano dalla zona d’ombra dell’Antico Testamento alla zona di luce del Nuovo Testamento. Dei due discepoli, l’uno è ben identificato e porta il nome di Cleopa, mentre l’altro rimane senza nome: ogni lettore del vangelo potrà porre il proprio nome e non tarderà a identificarsi, perché ognuno deve compiere il cammino che i due hanno tracciato con il misterioso compagno di viaggio. Divideremo l’episodio in quattro parti: dopo la presentazione dei personaggi e delle circostanze (vv. 13-16) si osserverà un primo tempo nel quale i due discepoli si rivelano uomini dell’AT per l’immagine che si erano fatti di Gesù (vv. 17-24); in un secondo tempo, camminando con lo sconosciuto viandante, si aprono ad un orizzonte nuovo e diventano uomini del NT (vv. 25-32); la parte finale indica i risultati e le conseguenze del cammino (vv. 33-35). 141 La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus Breve commento Personaggi e circostanze (vv. 13-16) Siamo nel giorno di Pasqua, nel pomeriggio. «Due di loro», cioè due del gruppo di coloro che avrebbero dovuto essere diversi perché credenti, lasciano Gerusalemme per recarsi ad Emmaus, un villaggio distante circa 12 Km dalla città santa, probabilmente loro paese d’origine. Questo allontanamento ha il sapore amaro di una sconfitta, la atroce delusione del “tutto finito”, il crollo rovinoso di una speranza coltivata con passione per qualche tempo. Eppure non possono troncare nettamente con il passato che non si cancella dalla propria vita con un colpo di spugna perché «conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto», di tutto ciò di cui erano restati in qualche modo vittime, cioè spettatori passivi anziché collaboratori intelligenti e attivi. Se il ritorno ad Emmaus equivale alla fine dell’avventura con Cristo, non è vero che tutto ritorni alla normalità senza scossoni. Non si può stare con Cristo e poi lasciarlo, come se nulla fosse accaduto. Tutto è finito, ma Cristo continua ad occupare il loro interesse; di più, Cristo continua ad essere un interrogativo. Tutto è finito, ma non tutto è chiaro e Cristo continua a fare notizia, anzi, a fare problema. Per questo conversano e il loro dialogo è animato, tanto che la conversazione si trasforma in discussione, cioè in presentazione di opinioni divergenti, di dubbi insoluti. Gesù si unisce a loro perché il cammino materiale diventi un cammino di fede che li porti ad essere persone attive che trovano risposta ai loro interrogativi. Gesù cammina insieme per aiutarli a crescere, ad aprirsi a orizzonti nuovi e dare senso pieno alla loro esistenza. Gesù è lì, vicino ai due, «Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo». Questa affermazione suona strana e merita una parola esplicativa. Come è possibile non riconoscere una persona che non si 142 APRILE vede da pochi giorni, forse solo da 72 ore? Gesù si presenta forse mimetizzato, così da rendere impossibile il riconoscimento? Certamente no. E allora perché questo succede spesso nelle apparizioni, tanto che i discepoli temono di vedere un fantasma e la Maddalena nel giardino non riconosce Gesù e lo scambia per il giardiniere? La risposta a questi legittimi interrogativi sta nel mistero della risurrezione di Gesù che, per essere un poco compresa, deve essere posta in relazione con le altre risurrezioni del vangelo. Il vangelo riferisce tre miracoli di risurrezione operati da Gesù: la risurrezione di Lazzaro (Gv 11,1-44), la risurrezione del figlio della vedova di Nain (Lc 7,11-17) e la risurrezione della figlia di Giairo (Mc 5,21-43). Questi tre casi presentano persone che, grazie all’intervento di Gesù, ritornano in vita, riprendono cioè la vita che la morte aveva bruscamente interrotto ma, dopo un certo tempo, ritornano a morire, perché tale è il destino del nostro corpo che invecchia, deperisce e si consuma. La risurrezione di Gesù si distingue nettamente dalle altre - anche se queste possono essere lette come un segno anticipatore - perché Gesù risorge per non morire più. Egli non riprende la vita di prima interrotta dalla morte, ma entra in una condizione nuova, la condizione dello Spirito. Il corpo, reale, vive in una situazione che non gli permette di soffrire, di invecchiare, una situazione che non richiede le normali cure del corpo: questo non ha più bisogno di mangiare, di riposarsi, di occupare spazio (Gesù si presenta ai discepoli senza passare dalla porta). Il corpo di Gesù è il corpo glorificato, il corpo della vita nuova, dono di Dio. Esiste quindi diversità tra il corpo dei due discepoli e il corpo di Gesù che cammina con loro: appartengono a due realtà diverse, l’uno al mondo terreno, l’altro al mondo divino. Ora, non si può accedere alla realtà divina, se Dio stesso non lo rende possibile; i due non possono riconoscere Gesù perché gli occhi del corpo umano non sono in grado di riconoscere il corpo trasfigurato del Cristo risorto. L’uomo non può con le sue sole forze trovare l’identità 143 La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus tra il crocifisso di ieri e il risorto di oggi. Tale identità è possibile solo a coloro che sono abilitati da Cristo: nel mondo del divino si accede solo per grazia che è dono di Dio. Soltanto chi riceve questo dono può riconoscere Gesù. E il dono è dato a chi cammina, a chi procede nella fede. Gesù con la sua presenza aiuta proprio a far progredire i due discepoli che devono passare da una conoscenza veterotestamentaria a una conoscenza neotestamentaria del Messia Gesù. PRIMO TEMPO: Quello che noi pensavamo e speravamo in Lui Uomini dell’Antico Testamento (vv. 17-24) È facile e quasi normale costruirsi un Cristo su misura, capace di entrare senza troppi sforzi nei nostri schemi. Un Cristo così non disturba affatto e lo si può anche accettare tranquillamente. Ma questo non è il Cristo autentico, quello che ci aiuta a penetrare nella novità della vita, a camminare sulla strada della scoperta. Occorre prima abbattere questo Cristo che non è Cristo, ma il comodo idolo che abbiamo fatto per noi, a nostra misura e somiglianza. A questa tentazione hanno ceduto anche i due discepoli che in questa fase del loro cammino sono invitati a manifestare le loro idee. Il dialogo inizia con una provocazione di Gesù che mira proprio a demolire l’idolo che i due si sono fatto. Gesù prende l’iniziativa per entrare in dialogo con loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo fra voi lungo il cammino?» La prima risposta, immediata e irriflessiva, rivela meraviglia stizzosa: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?» Con il «Che cosa?» di Gesù è posta la premessa perché i due si aprano allo sconosciuto viandante, manifestando i loro sentimenti e la concezione che si erano fatta di Gesù. È un modo, pedagogicamente molto opportuno, di permettere ai due di confidarsi, di sfogarsi, di presentare quel groviglio di dubbi che rende opaca e inquieta la loro coscienza. Nel 144 APRILE frattempo, il discorso sugli avvenimenti recenti crea un ponte di solidarietà tra i due e il viandante. Il cammino si carica di appassionato interesse. I due conservano per Gesù un’ammirazione ormai diventata nostalgia. Espongono in un quadro sintetico, ma completo, l’immagine che si era progressivamente delineata nelle loro vita. Ne risulta il seguente quadro storico e teologico: - Nei confronti di Gesù nutrivano una grande stima perché lo ritenevano profeta, qualificato titolo attribuito ai grandi uomini della storia di Israele. La sua grandezza era legata sia alla parola sia all’attività (miracoli); la sua opera era mirabile e lo accreditava tanto presso Dio quanto presso il popolo. - I due esprimono la dissociazione dai fatti che hanno permesso il precipitare della situazione, perché i responsabili sono «i capi dei sacerdoti e le nostre autorità». La passione e la morte sono considerate un incidente non previsto e tanto meno desiderato, una tragica fatalità di cui Gesù è rimasto vittima. - La morte, e tanto più la morte in croce, ha gettato un’ombra sulla persona di Gesù e ha incrinato, se non proprio spezzato, la ferrea fiducia riposta in lui. Nessun ebreo poteva dimenticare la severa condanna della Legge: «Colui che è appeso è una maledizione di Dio» (Dt 21,23). - «Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele» (v. 21): è la frase chiave, rivelatrice della mentalità veterotestamentaria dei due, per i quali Gesù doveva essere il Messia politico, il liberatore nel senso umano, colui che tutti potevano vedere e capire, colui che tutti attendevano per restituire a Israele il suo prestigio di un tempo, liberandolo dall’assoggettamento ai Romani. Il verbo greco usato per indicare la liberazione (lytroomai) esprime bene l’attesa politico-messianica che circolava tra gli Ebrei, anche tra molti seguaci di Gesù. A ciò si aggiunga la inconciliabilità per la mentalità ebraica della sofferenza/morte con la potenza/vita di Dio: se Gesù era l’in145 La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus viato di Dio, doveva necessariamente partecipare della sua potenza e, quindi, non poteva né soffrire, né morire. Quanto queste idee veterotestamentarie fossero profondamente radicate lo dimostra il fatto che la novità non viene accolta e tanto meno vissuta: il sepolcro vuoto, la testimonianza delle donne, la conferma dei discepoli, tutto accade senza poter incidere minimamente. Impermeabili e refrattari a qualsiasi novità che non entri nei loro schemi, i due lasciano cadere tutto nel vuoto della indifferenza o, al massimo, del turbamento momentaneo. I due, al pari degli altri, si ostinano a voler vedere un cadavere, un «lui» che sia solo una delle tante vittime della morte. Sono fermi e stagnanti nelle loro concezioni, nel limitato orizzonte di uomini dell’Antico Testamento. Simile atteggiamento di chiusura, di non disponibilità ad una realtà che pure orienta verso qualcosa di nuovo, ha come conseguenza di creare una desolazione interiore che si riflette all’esterno con la tristezza del volto. Sono uomini dell’Antico Testamento, sono uomini tristi. SECONDO TEMPO: Quello che Gesù aiuta a pensare e a sperare in lui. Uomini del Nuovo Testamento (vv. 25-32) Si richiede un cambiamento radicale. Ora non sono più i due discepoli a parlare, a dire ciò che pensano di Gesù, ma è lui a rivelare quello che devono pensare per mettersi in cammino ed accogliere il messaggio e la novità della risurrezione. I due si lasciano coinvolgere, accettano di farsi istruire dalle parole e dai gesti dello sconosciuto e, quasi senza rendersene perfettamente conto, maturano le conclusioni che da soli non avrebbero mai trovato. Accettano il dinamismo di un movimento che, prima di essere fisico, interessa lo spostamento del baricentro teologico. 146 APRILE Il pellegrino che prima aveva provocato il discorso e che fino a questo punto era rimasto in ascolto, prende ora la parola. L’inizio è duro perché deve frantumare una resistenza frapposta tra la realtà e i due: si è «stolti» (= non capaci di comprendere) e «lenti di cuore» (ostinati, riluttanti davanti alla testimonianza) quando, davanti ad una parola autorizzata e autentica com’è la parola profetica, non ci si mette in viaggio alla ricerca di un orizzonte nuovo. Lo si è quando, cocciutamente, non si vogliono leggere i segni dei tempi - parola di Dio scritta negli avvenimenti - e si rimane prigionieri di schematismi propri, frusti e obsoleti. Gesù inizia per i due e con i due un entusiasmante viaggio attraverso la parola profetica che si innerva tutta sulla frase «Non bisognava che Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» (v. 26). È annunciata la croce come strumento di redenzione e di salvezza, è presentata la morte come germe di vita. Scrive san Giovanni Paolo II nella sua enciclica Dives in misericordia: «La croce è il più profondo chinarsi della Divinità sull’uomo e su ciò che l’uomo chiama il suo infelice destino. La croce è come un tocco dell’eterno amore sulle ferite più dolorose dell’esistenza terrena dell’uomo». Qui si trova il cuore del cristianesimo, il centro propulsore del Nuovo Testamento. Anche la struttura del brano ruota attorno a questa frase come intorno al suo perno. Da esso si muovono in forma uguale e simmetrica tutte le altre parti. Quali brani della Legge o dei profeti ha citato Gesù? Il testo evangelico non si esprime e a noi non resta che fare congetture. Forse ha ricordato il salmo 22 da lui stesso citato in croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». La prima parte del salmo è molto tenebrosa, carica di sinistra luce di abbandono e di morte. La seconda parte, invece, si apre nella fiducia ad una speranza piena di attesa, rigurgitante di vita. Non è il grido strozzato di un morente disperato, bensì l’anelito sofferto di colui che rimette tutto all’imperscrutabile volontà divina. 147 La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus Molto probabilmente Gesù ha citato i canti del Servo di JHWH, soprattutto il quarto, che tratta dell’espiazione vicaria: uno soffre e muore a vantaggio di altri. Per la prima volta è affermato in modo inequivocabile che la sofferenza può avere valenza redentiva: «Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5). La comunità primitiva, istruita dal suo Maestro, imparerà a stabilire l’identità tra il Gesù di Nazareth e il Servo di JHWH, come farà, tra gli altri, il diacono Filippo (cfr At 8,35). Poiché proprio la sofferenza, morte inclusa, faceva difficoltà, dobbiamo supporre che Gesù abbia insistito su questo punto. Si trattava di far vedere come la sofferenza non era necessariamente segno della lontananza di Dio e marchio di infamia, ma poteva assurgere a impensato strumento di salvezza. Gesù non è venuto a spiegare la sofferenza in forma astratta, né a sopprimerla, ma a riempirla con la presenza della sua croce e da allora «tutta la sofferenza che c’è nel mondo non è la sofferenza dell’agonia, ma il dolore del parto» (P. Claudel). Con un improvvisato mini corso esegetico Gesù ha cercato di spiegare questa sublime verità ai due discepoli. Si trattava, insomma, di porre la luce dell’amore e il vigore della vita là dove sempre regnava la sinistra potenza delle tenebre, dell’odio e della morte. Gesù insegna a capire il mistero della vita (risurrezione), partendo dalla sofferenza e dalla morte. Fa questo aprendo la loro intelligenza alla comprensione delle Scritture e camminando con loro; li aiuta a compiere quel passo decisivo che porta al di là del semplice fatto della morte per scorgere la luce della vita. Gesù esegeta ha inaugurato un modo nuovo di fare scuola: è la scuola della vita, la scuola del maestro che cammina con i discepoli verso orizzonti inesplorati e impensabili, oltre i quali fiorisce la vita nella eterna primavera di Dio. Hanno compreso i due la lezione? Il tentativo di Gesù di andare più lontano (cfr v. 28) ha la funzione di un mini esame, appendice del mini corso biblico che si è appena concluso. Spontaneo e logico arriva 148 APRILE il «Resta con noi». La presenza di Gesù non solo non dà fastidio, ma piace. Il misterioso viandante ha aperto prospettive nuove, ha aiutato a leggere la realtà in profondità e con occhi nuovi. Come d’incanto, tutto ha preso un senso, e perfino la sofferenza e la morte sono valorizzate nel piano di Dio. Il desiderio di trattenere l’ospite significa che le sue parole sono state comprese e accettate. L’esame è brillantemente superato. Gesù accetta l’invito a restare, perché la sua missione non è ancora conclusa. Egli vuole ricordare che il cammino inizia con la Scrittura e termina, anzi, culmina nell’azione sacramentale dello spezzare il pane. «Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro». Ha celebrato l’eucaristia, oppure ha semplicemente ripetuto i gesti che il padre di famiglia compiva prima del pasto? Gli studiosi sono divisi al riguardo: per alcuni si tratta di vera consacrazione eucaristica, per altri di una semplice benedizione. Una cosa però trova tutti concordi: Luca nel riportare questo brano usa la terminologia «spezzare il pane» che nel libro degli Atti degli Apostoli designa, come termine tecnico, la celebrazione dell’eucaristia (cfr At 2,42). Data questa affinità di vocabolario, possiamo ritenere che Luca presenti il gesto di Gesù come azione sacramentale. Avremmo così la Scrittura e l’Eucaristia come elementi indispensabili per l’incontro, l’accettazione e il riconoscimento di Cristo. A questo punto «Si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista» (v. 31). Prima lo vedevano e non lo riconoscevano, ora lo riconoscono, ma non lo vedono più. Non desiderano neppure vederlo, perché l’essere entrati nel suo mondo attraverso la comprensione e l’adesione, non esige più un contatto materiale e l’apporto dei sensi. Quando hanno accettato l’idea della sofferenza (un morire per amore) hanno potuto capire qualcosa del mistero della Pasqua. Sollecitati dal misterioso viandante, hanno percorso quel cammino che li ha portati ad abdicare all’idea di un messia politico per far propria l’idea di un messia che nella sofferenza e nella morte vince 149 La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus il peccato e libera l’uomo. Ora sono uomini del Nuovo Testamento, perché accettano il Cristo che soffre, muore e risorge. Solo in questo momento, dopo che Cristo li ha preparati e li ha abilitati a entrare nella sfera della vita nuova nello Spirito, possono stabilire l’identità tra il crocifisso di ieri e il risorto di oggi. Emmaus, luogo iniziale di destinazione e tomba delle speranze, si colora di fiducia. Il cammino non termina, ma ad Emmaus si è rischiarato l’orizzonte e la vita ha ripreso a pulsare. Il battito è stato avvertito quando si leggevano e comprendevano le Scritture in modo nuovo: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?» (v. 32). Quando permanevano nella limitatezza dell’Antico Testamento, dubbi e incertezze si dipingevano sul loro volto con i tratti della tristezza, della opacità, della incapacità a collegare in un insieme armonico gli elementi che la realtà offriva. Ora, al contrario, è di casa la gioia ardente ed esplosiva, la comprensione luminosa che permette di integrare tutto nel piano di Dio, realizzato dal Messia Gesù e preannunciato dalle Scritture: «La Bibbia è un unico grande libro, dove tutto viene in forza del tutto» (M. Buber). Solo ora appartengono al Nuovo Testamento e sono uomini con il cuore traboccante di gioia. Il cammino ha toccato un traguardo importante, ma non ha raggiunto ancora la meta definitiva. Il risultato del cammino (vv. 33-35) Giusto il tempo per scambiarsi i sentimenti, giusto il tempo per rendersi conto che hanno camminato davvero e che ora sono trasformati in uomini nuovi e poi, via, di corsa a Gerusalemme a comunicare la loro esperienza. La scoperta di Cristo rende necessariamente annunciatori, missionari. Non valgono le motivazioni, pur vere, della stanchezza e dell’ora tarda. Ripartono per compiere con il cuore colmo quel cammino che poche ore prima avevano percorso tristi e in ri150 APRILE tirata. Ritornano a Gerusalemme ad annunciare che il loro cammino verso Emmaus li ha fatti incontrare con uno strano pellegrini che ha avuto misericordia della loro miopia spirituale e li ha aiutati ad aprirsi alla più esaltante novità. Un atroce dubbio potrebbe invalidare il cammino e rituffare i due nel baratro della disperazione. Sarà proprio vera l’esperienza di Emmaus o i due sono forse vittime di un’allucinazione? Non potrebbero essere vittime innocenti e impotenti di una speranza frustrata che ora si presenta sotto l’ombra di realtà? Non potrebbe essere un modo per continuare nel tempo un’illusione che aveva dato vita a una meravigliosa avventura? È vero che sono in due e arrivano alle stesse conclusioni, però si conoscono anche le allucinazioni collettive, l’infatuazione di massa. Può essere capitato loro qualcosa di analogo? Il testo non si addentra in problematiche psico-patologiche, dice semplicemente che i due «Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro». I due ritornano tra gli amici di un tempo, da coloro che condividevano la stessa fiducia in Gesù, da coloro che avevano vissuto la tragedia del Venerdì e il conseguente crollo delle speranze. I due sono accolti dagli amici scoraggiati di ieri con il grido trionfante: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone» (v. 34). Prima di parlare, ascoltano. Il messaggio che sentono concorda pienamente con la loro esperienza che, pertanto, non è fasulla o illusoria. L’annuncio del Signore risorto apparso a Simone diventa il sigillo di garanzia dell’autenticità della loro esperienza. Ubi Petrus, ibi ecclesia (dove sta Pietro, lì si trova la Chiesa): la presenza di Simone Pietro conferisce unità organica ed ecclesiale al gruppo degli amici di Gesù; l’esperienza di Pietro diventa elemento normativo per la esperienza degli altri che si riconoscono nella Chiesa di Gesù. Nella comunità ecclesiale presieduta da Pietro i due sono accolti e ascoltati: la loro esperienza vale come ricchezza carismatica che porta ulteriore luce nella comunità ecclesiale; la comunità ecclesiale accoglie e certifica come reale e au151 La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus tentica la loro esperienza. Il Cristo risorto fa dono della sua presenza e del suo riconoscimento all’autorità come ai sudditi, al centro come alla periferia, perché tutti insieme arrivino all’identità del Crocifisso di ieri con il Risorto di oggi e tutti insieme, come comunità che accoglie e segue Cristo, siano capaci di annunciarlo sempre e ovunque sulle strade del mondo. Tutti gli uomini che leggono la mirabile pagina del racconto dei due discepoli di Emmaus sono invitati a ripercorrere la stessa strada che porta ad una conoscenza sempre più completa e personale di Cristo: conoscerlo per annunciarlo e testimoniarlo. Così ha fatto Cleopa, così fa ogni cristiano che intende identificarsi con l’anonimo compagno di Cleopa. Celebrazione Accoglienza Introduzione Il tempo pasquale che stiamo vivendo, ci invita a contemplare il Risorto. Il gesto dello “spezzare il pane” offertoci dal Vangelo ci rimanda sulle strade degli uomini per incontrare, nei gesti misericordiosi del Signore, il dono della vita pasquale proposta a tutti gli uomini. Invochiamo lo Spirito perché anche a noi sia dato di trovare nel gesto dello spezzare il pane il segno efficace della sua salvezza offerta a tutti gli uomini. 152 APRILE 1 - Dio con tutto il cuore Canto di inizio LO SPIRITO DI DIO (AA, 245) Lo Spirito di Dio dal cielo scenda e si rinnovi il mondo nell’amore: il soffio della grazia ci trasformi e regnerà la pace in mezzo a noi. La guerra non tormenti più la terra e l’odio non divida i nostri cuori. Uniti nell’amore, formiamo un solo corpo nel Signore. La carità di Dio in noi dimori e canteremo, o Padre, la tua lode: celebreremo unanimi il tuo nome, daremo voce all’armonia dei mondi. Viviamo in comunione vera e santa, fratelli nella fede e la speranza. Uniti nell’amore, andremo verso il Regno del Signore. Lo Spirito di Dio è fuoco vivo, è carità che accende l’universo. S’incontreranno i popoli del mondo nell’unico linguaggio dell’amore. I poveri saranno consolati, giustizia e pace in Lui si abbracceranno. Uniti nella Chiesa, saremo testimoni dell’amore. 153 La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus Saluto Pr.: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Ass.: Amen. Pr.: La grazia e la pace del Signore risorto sia con tutti voi. Ass.: E con il tuo spirito. Salmo preparatorio 15 (16) Il salmista proclama la propria fede in Dio. Invita noi a consegnargli la nostra vita nella certezza che il Risorto la rende nuova con il dono del suo corpo offerto in sacrificio per noi. Rit.: Cantate al Signore un canto nuovo, Alleluia! Egli ha fatto meraviglie. Alleluia! Proteggimi, o Dio: in Te mi rifugio. Ho detto al Signore: “Il mio Signore sei Tu”. Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Rit. Benedico il Signore che mi ha dato consiglio; anche di notte il mio animo mi istruisce. Io pongo sempre davanti a me il Signore, sta alla mia destra, non potrò vacillare. Rit. Per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa. Rit. 154 APRILE Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra. Rit. Colletta salmica Pr.:Preghiamo. O Dio nostro Padre, nei tuoi misteriosi piani di amore e di salvezza hai offerto al tuo Figlio il calice di una morte amara, ma non hai lasciato finire nella fossa Colui che Ti ha amato e Gli hai mostrato la via che porta alla vita. Concedici di non avere altro bene fuori di Te e di gustare davanti a Te pienezza di gioia e vicino a Te felicità senza fine. Per Cristo nostro Signore. Ass.: Amen. 2 – Dio con tutta la mente Acclamazione al Vangelo NEI CIELI UN GRIDO (AA, 236) Nei cieli un grido risuonò: alleluia! Cristo Signore trionfò: alleluia! Alleluia, alleluia, alleluia! Cristo ora è vivo in mezzo a noi: alleluia! Noi risorgiamo insieme a Lui: alleluia! Alleluia, alleluia, alleluia! 155 La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus Dal Vangelo secondo Luca (Lc 24, 13-35) 13 Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: “Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?”. Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: “Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?”. 19Domandò loro: “Che cosa?”. Gli risposero: “Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto”. 25Disse loro: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. 28 Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”. Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli con156 APRILE versava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?”. 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!”. 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. Proposta di riflessione Silenzio 3 – Dio con tutta l’anima Canto di accoglienza dell’Eucaristia VICTIMÆ PASCHÁLI (AA, 227) 1. 2. 3. 4. 5. Víctimæ pascháli laudes ímmolent christiáni. Agnus redé mit oves: Christus ínnocens Patri reconciliávit peccatóres. Mors et vita duéllo conflixére mirándo: dux vitæ, mórtuus, regnat vivus. Dic nobis María: quid vidísti in via? Sepúlcrum Christi vivéntis et glóriam vidi resurgéntis. 157 La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus 6. 7. 8. Angélicos testes, sudárium et véstes. Surréxit Christus spes mea: præcédet suos in Galiléam. Scimus Christum surrexísse a mórtuis vere. Tu nobis, victor Rex, miserére. Adorazione Tutti: Preghiera del beato Papa Paolo VI per le Vocazioni (vedi pag. 4) Silenzio Per la preghiera personale Sembra ancora a noi che “ci arda il cuore nel petto” mentre ascoltavamo le parole ispirate della Scrittura, le parole stesse di Gesù che ancor oggi risuonano alte nel mondo, annunziate dalla Chiesa. […] La scena di Emmaus, anzitutto. Troppo nota perché, al solo risentirla, non ci sollevi in cuore immagini e ricordi ormai familiari, che l’arte cristiana di tutti i tempi ha fatto oggetto privilegiato delle sue mirabili, trepide, luminose variazioni. Non ci pare forse che il dubbio dei due discepoli sia stato talvolta anche nostro? Non ci pare forse che la nostra fede sia stata talvolta troppo scarsa e debole, e materiale, come quella di quegli uomini sfiduciati che si attendevano “la liberazione d’Israele” (Lc 24,21) in una prospettiva unicamente terrena, senza capire che il Cristo “doveva sopportare queste sofferenze 158 APRILE per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,26). Quei discepoli di Emmaus siamo noi! Ma, solo che anche noi abbiamo orecchi per ascoltare, e cuore per seguire la Parola di Cristo, ecco che Egli viene con noi, si accompagna a noi, si fa nostro amico, nostro sodale lungo la strada, nostro commensale alla tavola della carità fraterna e alla comunione eucaristica […] Fratelli! la fede e l’amore vi facciano riconoscere e seguire Cristo, sempre. […] Cristo ci accompagna per la via della vita […] non temete, Cristo è con voi! Vicino a voi per trasfigurare il vostro amore, per arricchirne i valori già così grandi e nobili con quelli tanto più mirabili della sua grazia; vicino a voi per sostenervi in mezzo alle contraddizioni, alle prove, alle crisi, immancabili certo nelle realtà umane, ma non certo […] insuperabili, non fatali, non distruttive […] …con Gesù seduto alla tavola del vostro pane quotidiano… possiate fare della vostra esistenza una luce, una missione, una benedizione. Papa Paolo VI, Omelia in S. Pietro, 13 aprile 1975 Canto di Benedizione CRISTO È RISORTO. ALLELUIA! (R.N.) Si, ne siamo certi, Cristo è davvero risorto (dalla Liturgia) Rit.: Cristo è risorto, alleluia! Vinta è ormai la morte, alleluia! 1. Canti l’universo, alleluia, un inno di gioia al nostro Redentor. Rit. 2. Con la sua morte, alleluia, ha ridato all’uomo la vera libertà. Rit. 3. Segno di speranza, alleluia, luce di salvezza per questa umanità. Rit. 159 La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus Intercessioni Pr.: Il Signore risorto condivide il nostro cammino di fede e, come ai discepoli di Emmaus, ci apre alla comprensione delle Scritture. Lo preghiamo e diciamo: Ass.: Gesù, resta con noi: tutto è buio senza di Te. Pr.: Signore, quanto cammino s’è fatto da quella sera in cui Ti facesti conoscere ai discepoli di Emmaus! Parlaci ancora e spezza con noi l’Eucaristia affinché possiamo riconoscerTi; preghiamo: Ass.: Gesù, resta con noi: tutto è buio senza di Te. Pr.: Signore, i discepoli di Emmaus non potevano vederTi perché il loro cuore era ostile alla speranza. Spesso ritroviamo in noi stessi gli atteggiamenti di questi discepoli; Ti preghiamo: Ass.: Gesù, resta con noi: tutto è buio senza di Te. Pr.: Signore, lungo la strada di Emmaus Tu rimproverasti la durezza dei discepoli. Quante volte meritiamo lo stesso rimprovero. Tu, però, cammini nella nostra strada e non Ti stanchi di cercarci con misericordia infinita; Ti preghiamo: Ass.: Gesù, resta con noi: tutto è buio senza di Te. Pr.: Signore, mentre Tu parlavi si accese il cuore dei discepoli. Ogni domenica è Emmaus per le nostre comunità. Infiamma il cuore, spezza il pane per noi; Ti preghiamo: Ass.: Gesù, resta con noi: tutto è buio senza di Te. Padre nostro. 160 APRILE Pr.: Ass.: Preghiamo (MRI p. 974) O Dio, che ogni domenica, memoriale della Pasqua, raccogli la tua Chiesa pellegrina nel mondo, donaci il tuo Spirito, perché nella celebrazione del mistero eucaristico riconosciamo il Cristo crocifisso e risorto, che apre il nostro cuore all’intelligenza delle Scritture, e si rivela a noi nell’atto di spezzare il pane. Egli è Dio, e vive e regna con Te, nell’umiltà dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen. Benedizione Canto di reposizione ALLELUIA! LA SANTA PASQUA (Repertorio nazionale) Gesù, mia speranza, è risorto (dalla Liturgia) Rit.: Alleluia, Alleluia, Alleluia! 1. La santa Pasqua illumini di viva fede gli uomini redenti e fatti liberi, alleluia! Rit. 2. Non lutto, non più lacrime, il pianto ceda al giubilo: sconfitte son le tenebre, Alleluia. Rit. 161 La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus 4 – Dio con tutte le forze Per l’attualizzazione e la condivisione La misericordia possiede una valenza che va oltre i confini della Chiesa. Essa ci relaziona all’Ebraismo e all’Islam, che la considerano uno degli attributi più qualificanti di Dio. Israele per primo ha ricevuto questa rivelazione, che permane nella storia come inizio di una ricchezza incommensurabile da offrire all’intera umanità. Come abbiamo visto, le pagine dell’Antico Testamento sono intrise di misericordia, perché narrano le opere che il Signore ha compiuto a favore del suo popolo nei momenti più difficili della sua storia. L’Islam, da parte sua, tra i nomi attribuiti al Creatore pone quello di Misericordioso e Clemente. Questa invocazione è spesso sulle labbra dei fedeli musulmani, che si sentono accompagnati e sostenuti dalla misericordia nella loro quotidiana debolezza. Anch’essi credono che nessuno può limitare la misericordia divina perché le sue porte sono sempre aperte. Questo Anno Giubilare vissuto nella misericordia possa favorire l’incontro con queste religioni e con le altre nobili tradizioni religiose; ci renda più aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci; elimini ogni forma di chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di violenza e di discriminazione. Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 23 - Ci sono possibilità di dialogo nelle nostre comunità per favorire l’incontro e non la discriminazione? Risonanze e condivisione 162 APRILE Conclusione Tutti: Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo (vedi pag. 3) Per l’attualizzazione e la condivisione Antifona Mariana REGINA CÆLI (AA, 228) Regína cæli, laetáre, allelúja: quia quem meruísti portáre, allelúja, resurrexít, sicut dixit, allelúja. Ora pro nobis Deum, allelúja. 163 il piede destro MAGGIO Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta (Lc 1,39-56) Il pensiero ora si volge alla Madre della Misericordia. La dolcezza del suo sguardo ci accompagni in questo Anno Santo, perché tutti possiamo riscoprire la gioia della tenerezza di Dio. Nessuno come Maria ha conosciuto la profondità del mistero di Dio fatto uomo. Tutto nella sua vita è stato plasmato dalla presenza della misericordia fatta carne. La Madre del Crocifisso Risorto è entrata nel santuario della misericordia divina perché ha partecipato intimamente al mistero del suo amore. 165 Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta Scelta per essere la Madre del Figlio di Dio, Maria è stata da sempre preparata dall’amore del Padre per essere Arca dell’Alleanza tra Dio e gli uomini. Ha custodito nel suo cuore la divina misericordia in perfetta sintonia con il suo Figlio Gesù. Il suo canto di lode, sulla soglia della casa di Elisabetta, fu dedicato alla misericordia che si estende «di generazione in generazione» (Lc 1,50). Anche noi eravamo presenti in quelle parole profetiche della Vergine Maria. Questo ci sarà di conforto e di sostegno mentre attraverseremo la Porta Santa per sperimentare i frutti della misericordia divina. Presso la croce, Maria insieme a Giovanni, il discepolo dell’amore, è testimone delle parole di perdono che escono dalle labbra di Gesù. Il perdono supremo offerto a chi lo ha crocifisso ci mostra fin dove può arrivare la misericordia di Dio. Maria attesta che la misericordia del Figlio di Dio non conosce confini e raggiunge tutti senza escludere nessuno. Rivolgiamo a lei la preghiera antica e sempre nuova della Salve Regina, perché non si stanchi mai di rivolgere a noi i suoi occhi misericordiosi e ci renda degni di contemplare il volto della misericordia, suo Figlio Gesù. La nostra preghiera si estenda anche ai tanti Santi e Beati che hanno fatto della misericordia la loro missione di vita. In particolare il pensiero è rivolto alla grande apostola della misericordia, santa Faustina Kowalska. Lei, che fu chiamata ad entrare nelle profondità della divina misericordia, interceda per noi e ci ottenga di vivere e camminare sempre nel perdono di Dio e nell’incrollabile fiducia nel suo amore. Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileon straordinario della Misericordia, n. 24 166 MAGGIO Per la preparazione personale Un giorno un cronista intervistò Madre Teresa di Calcutta ed esordì: «Lei che ha fatto la scelta dei poveri…». Fu subito bloccato dall’interessata che reagì prontamente dichiarando: «Io ho scelto Gesù Cristo». Ovviamente ella non condivideva la priorità assegnata ai poveri. Occorre invertire l’ordine. L’amore incondizionato a Lui porta ad interessarsi del prossimo, senza condizionamenti o controlli del colore della pelle, ceto sociale, appartenenza religiosa o altre classificazioni umane. Ancora una volta è confermata un’antica regola, più volte collaudata e divenuta poi un pilone portante della spiritualità cristiana: il credente che aderisce a Dio trova spazio e slancio anche per il prossimo. Amore a Dio e amore al prossimo sono due facce della stessa medaglia, come si evince dal grande comandamento proclamato da Gesù e riformulato da Giovanni: «Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4, 20). La vita con Dio non isola la persona in uno sterile misticismo, ma la apre al prossimo in uno slancio più maturo e più consapevole. La vera fede si ammanta di provvida carità. Maria ne è un esempio vivente. Anziché appartarsi a contemplare il mistero che sta vivendo, preferisce aprirsi al prossimo bisognoso. Si reca dalla parente Elisabetta a portare il suo aiuto. L’incontro di due donne e, più precisamente, di due madri, diventa un’icona del servizio reciproco, della gratitudine a Dio e agli uomini, un “messale” per la preghiera quotidiana. Insomma, un episodio che gronda umanità e spiritualità. 167 Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta Tematica e dinamismo Il lettore ha già avuto l’opportunità di conoscere Elisabetta e Maria, perché di loro Luca ha tracciato un itinerario umano e religioso nelle pagine che precedono la nostra. Sono due donne accomunate dall’essere madri, rese tali da uno speciale favore divino. Il presente brano ha una funzione unificante: le due donne, finora relazionate a distanza, vengono a trovarsi insieme, si scambiano confidenze, si arricchiscono reciprocamente, attingendo entrambe alla comune fonte dello Spirito Santo. Il brano è quindi la diretta conseguenza del precedente che narrava l’annuncio della nascita di Gesù. Maria, informata dall’angelo del concepimento dell’anziana parente, si incammina verso di lei. Due unità minori compongono il tutto: i vv. 41-45 riportano “il cantico di Elisabetta”, le solenni parole che ella avrà nei confronti di Maria; i vv. 46-55 sviluppano la preghiera di Maria, più conosciuta come Magnificat, dalla prima parola del testo latino. Dal confronto delle due parti, vediamo che la prima è dominata dalle parole di Elisabetta, la seconda dalle parole di Maria. Sono due madri che, ciascuna a proprio modo, cantano un inno alla vita e celebrano la misericordia divina. Il tutto è preceduto dall’incontro delle due donne, con annotazioni geograficocronologiche (vv. 39-40). A conclusione, il v. 56 vede Maria ritornare a casa, dopo un soggiorno di circa tre mesi. Tutto l’episodio è sigillato da una partenza e da un ritorno, dopo aver esaltato il prezioso gesto di carità, distribuito nell’arco di circa novanta giorni. Breve commento Nell’AT, uomini e donne si abbeverano ad una comune convinzione: l’importanza della generazione. I figli sono il loro futuro. Non a caso il «Crescete e moltiplicatevi» appare come il primo comandamento che si incontra aprendo la Bibbia. Un modo particolare della 168 MAGGIO benedizione divina è la prole, tanto meglio se numerosa, come suggerisce la promessa di Dio ad Abramo: «Renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare (Gn 22,17). In caso contrario, la sterilità equivale a umiliazione e a punizione. L’incontro di Maria con Elisabetta (vv. 39-40 ) Dopo la stupenda esperienza di Nazaret che la promuoveva a ruolo di «Madre di Dio», Maria non appare una creatura beata in se stessa, isolata nella sua intimità divina, bensì un essere corporeo, fatto di concretezza, di sensibilità e di disponibilità. Ella lascia la mistica tranquillità della sua casa e si mette in strada. Maria che va da Elisabetta dà vita ad un incontro, conosciuto spesso con il titolo di Visitazione, reso famoso dall’iconografia e dall’agiografia. La scena, come la precedente dell’annuncio della nascita di Gesù, ha catalizzato l’attenzione degli artisti e della devozione popolare. Rimane fissata nel secondo mistero gaudioso del Rosario. Due donne diverse per età e per situazione, sono accomunate nel magico gioco della vita, chiamate in quest’ora solenne della storia della salvezza ad essere lo strumento docile e intelligente del Signore della vita. Due madri si incontrano, ciascuna portando dentro di sé una vita fecondata in modo sorprendente, fuori dalla logica biologica. Due storie diverse, eppure accomunate da un unico disegno e tessute dalla mano silenziosa della Provvidenza che fa incontrare i due concepiti, portati dalle rispettive madri. All’inizio c’è un movimento spaziale. Maria lascia Nazaret, collocata al nord della Palestina, per recarsi «verso la regione montuosa, in una città di Giuda», a circa centocinquanta chilometri a sud. La località è stata individuata dalla tradizione nell’attuale Ain Karem, a 9 km da Gerusalemme. Lo spostamento fisico testimonia la sensibilità interiore di Maria, non chiusa a contemplare in modo privato il 169 Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta mistero della divina maternità che si compie in lei, ma proiettata sul sentiero della carità. Il viaggio, non privo di fatica e di disagi, favorirà la bella immagine di «Maria pellegrina». Si muove per portare aiuto alla sua anziana parente. Anche se qualcuno parla di «cugina», il termine greco synghenís del v. 36 rimane abbastanza vago nel determinare il grado di parentela, e quindi va preferito il più generico «parente». Lo spostamento di Maria è corredato dall’aggiunta «in fretta» che sant’Ambrogio interpreta così: «Maria si avviò in fretta verso la montagna, non perché fosse incredula della profezia o incerta dell’annunzio o dubitasse della prova, ma perché era lieta della promessa e desiderosa di compiere devotamente un servizio, con lo slancio che le veniva dall’intima gioia... La grazia dello Spirito Santo non comporta lentezze». Sebbene il testo evangelico non esprima chiaramente il motivo del viaggio, siamo in grado di scoprirlo, collegando logicamente alcune informazioni. L’annuncio angelico aveva notificato a Maria la gravidanza di Elisabetta, arrivata già al sesto mese (cf v. 37). L’informazione di Luca che Maria si fermò per tre mesi (cf v. 56), permette di trovare la somma di nove mesi, quelli necessari per la nascita. La conclusione si impone da sola: Maria non compie una visita di cortesia, tanto meno un viaggio turistico, ma reca aiuto alla futura mamma. Ella si muove e va là dove la chiama l’urgenza di un bisogno, dimostrando fine sensibilità e concreta disponibilità. Ancora più preziosa è questa giovanile presenza, se pensiamo all’età matura di Elisabetta e alla sua inesperienza di maternità. Se è già piacevole ricevere una risposta positiva alla richiesta di un bisogno, è ancora più bello essere aiutati, pur senza averne espresso il desiderio. Possiamo parlare di carità “sopraffina” o carità d’oro, perché previene la richiesta di aiuto, segno di una fine sensibilità e di delicata attenzione agli altri. Maria si mette in cammino. Grazie a lei anche Gesù, prima ancora di nascere, è in movimento verso gli altri, profetico anticipo della sua missione itinerante che lo vedrà portatore a tutti della parola 170 MAGGIO che aiuta e che salva. Questo brano, al pari dei precedenti, è prima di tutto cristologico, e ha lo scopo di fissare lo sguardo su di Lui. A prima vista, sembrerebbe una scena dominata dalle due donne che si incontrano e si parlano. Un supplemento di attenzione aiuterà a capire che il centro dell’interesse sta nei concepiti, che le due madri portano in grembo. La Visitazione è l’occasione propizia perché si incontrino i loro bambini, a questo punto ancora allo stadio di feti. Il cantico di Elisabetta (vv. 41-45) La prima scena è dominata da una loquace Elisabetta che parla quando Maria giunge da lei. In analogia al cantico di Maria che segue subito dopo, identifichiamo queste parole come “cantico di Elisabetta”. Due eventi lo causano e spiegano. Il primo, apparentemente ordinario, è l’ingresso di Maria nella casa di Zaccaria con il conseguente saluto rivolto a Elisabetta. È una felice “provocazione”. Il saluto origina il secondo evento, il sussulto del bambino che sembra riconoscere la voce di Maria e, più ancora, sembra relazionarsi a Colui che ella porta in grembo. Luca usa un verbo greco particolare, skirtáo, che significa propriamente «saltare», «sussultare». Lo potremmo tradurre, un po’ liberamente, con «danzare», per distinguerlo dal naturale movimento fisiologico che provano tutte le madri in attesa. Qui è qualcosa di diverso, di straordinario. È la percezione del piccolo Giovanni in presenza del piccolo Gesù, una forma di “omaggio” che il primo rende al secondo, inaugurando, non ancora nato, quell’atteggiamento di rispetto e di sudditanza che avrà poi in tutta la vita. Tocchiamo qui il cuore teologico del racconto. Sebbene la scena sia dominata solo dalle due donne, in realtà esse si presentano come “ostensori” o “arche sante” che portano il frutto del concepimento. L’incontro delle due madri è l’occasione per l’incontro dei due figli che portano in grembo, Giovanni e Gesù. Il brano, più che l’incon171 Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta tro delle due madri, è lo straordinario rapportarsi dei due nascituri. Si instaura ancora a livello di feto quella dipendenza gerarchica, un misto di servizio incondizionato e di gioia piena, che caratterizzerà la vita di Giovanni. Egli, da adulto, testimonierà: «Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo: Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire» (Gv 3,29-30). Al presente, c’è solo una percezione che si riverbera in un sussulto di gioia. Commenta ancora sant’Ambrogio: «Elisabetta udì per prima la voce, ma Giovanni percepì per primo la grazia». Luca utilizza l’episodio per mettere alla luce quanto si era compiuto nell’intimità di Nazaret. Solo ora, grazie al dialogo con un’interlocutrice, il mistero della divina maternità lascia la sua segretezza e la sua dimensione individuale, per diventare un fatto noto, oggetto di apprezzamento e di lode. Le parole di Elisabetta documentano che lo spessore teologico attraversa il “concepito” più che la madre: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?» (vv. 42-43). Con un’espressione semitica che equivale ad un superlativo («fra le donne»), Maria è celebrata per la sua funzione o carisma e per la sua adesione incondizionata a tale vocazione. Maria è grande perché è «Madre del Signore», theotokos, come formulerà nel 431 il concilio di Efeso. Elisabetta sa esattamente quanto è avvenuto, perché parla «colmata di Spirito Santo». Il mistero della divina maternità rende grande Maria, e a lei sono riservate una benedizione («benedetta tu») e una beatitudine («beata»). La benedizione è un dono che ha relazione con la vita; possiamo affermare che la ricchezza fondamentale della benedizione è quella della vita e della fecondità: questo vale tanto per la terra, quanto per le persone (cfr Dt 28,1-14). Lo vediamo bene nel nostro passo, quando alla benedizione per Maria è affiancata quella per il figlio: «e benedetto il frutto del tuo grembo!». Maria è celebrata proprio per la 172 MAGGIO sua maternità. Così la benedizione è da Dio e a lui ritorna ora sotto forma di invocazione e di preghiera. È il riconoscimento di ciò che egli ha fatto. La beatitudine del v. 45, la prima del vangelo di Luca, certifica l’adesione di Maria alla volontà divina. Ella quindi non è solo destinataria privilegiata di un arcano disegno che la rende benedetta, ma pure persona responsabile che accetta e aderisce. Maria non è una creatura che sa, ma una creatura che crede, perché si è aggrappata ad una parola nuda che ella ha rivestito di amore. Ora Elisabetta le riconosce questo amore, espresso come credere «nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto», e la celebra come la prima di tutte le donne. Maria va da Elisabetta per un servizio domestico, Elisabetta le restituisce il servizio liturgico della lode, riconoscendola benedetta come madre e beata come credente. Il mistero di quella singolare visita è il mistero della comunicazione di due donne, diversificate per età, ruoli, ambiente, caratteristiche, eppure accomunate nel costruire la storia della salvezza. Entrambe portano un figlio nel grembo e anziché parlare di sé, parlano di Dio, della sua grandezza, dei suoi interventi prodigiosi. Sono madri capaci di lodare, di ringraziare, di esultare. Grazie a loro, l’incontro di due madri in attesa, diventa l’incontro del frutto che hanno in grembo. Il passaggio, delicatamente accennato, assume grande spessore teologico: Giovanni percepisce la presenza del suo Signore ed esulta, esprimendo con il suo sussultare la gioia a contatto con la salvezza. Di tale salvezza si farà interprete Maria nel canto che segue. La preghiera di Maria: il Magnificat (vv. 46-55) Finora Luca ha “dipinto” Maria come madre in cammino per un servizio di carità, riconosciuta e celebrata da Elisabetta per la divina maternità. Ora Maria, che senza aver detto una parola si sente compresa, riconosciuta, accettata ed esaltata, risponde. La sua è una 173 Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta parola abbondante, la più lunga di tutto il Vangelo. Più che parola, è preghiera. Ci accontentiamo di una presentazione sommario del cantico. Sono ravvisabili due parti. La prima, narrativa, con l’esplosione dei verbi mostra la gioia incontenibile di Maria (vv. 46-50), la seconda, descrittiva, con l’uso del parallelismo antitetico presenta in concreto l’azione salvifica ed escatologica di Dio (vv. 51-55). La prima parte inizia con la voce solista di Maria che parla in prima persona: «L’anima mia (= io) magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore». Se vogliamo individuare un possibile centro di aggregazione di tutte le idee, lo potremmo trovare nel concetto teologico di “salvezza”, registrato fin dalle prime battute nel titolo dato a Dio: «mio salvatore». La salvezza ha in Dio la sua causa, nell’individuo (o nel gruppo) il suo destinatario. Dall’«io» di Maria al «Tu» divino, passando attraverso il «noi» comunitario, la salvezza è cantata nella sua origine (Dio) e nei suoi destinatari (Maria e popolo). Maria interpreta la storia di Israele, racchiusa nella formula di Dt 26,7: «Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione». Partendo dalla sua storia personale, Maria dà voce alla storia di Israele, spingendo lo sguardo più avanti, abbracciando idealmente tutti gli uomini. La sua vicenda diventa prototipo di quella della comunità ecclesiale e di ogni cristiano. Come suggerisce sant’Ireneo, qui Maria «profetizza per la Chiesa». Perciò la comunità cristiana ha, da secoli, la bella abitudine di inserire il cantico nella preghiera serale. Maria ha intonato un canto, le cui note si propagano nel tempo e nello spazio. La persona che ha fatto l’esperienza di Dio salvatore impara a celebrarlo nella lode e nel ringraziamento. Il Magnificat è la risposta orante alla presenza di Dio nella vita della sua creatura. E Maria riconosce questo legame particolare: «Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente» (v. 49). Nel corso della storia Dio ha ripetutamente 174 MAGGIO dispiegato la sua grazia, intervenendo in favore del popolo. All’inizio, e come modello esemplare delle «grandi cose», si pone l’esperienza dell’esodo egiziano, archetipo di ogni liberazione (cfr Sal 106,21-22); poi si sperimenta il secondo esodo, quello da Babilonia (cfr Gl 2,21); il terzo, ultimo e definitivo, sarà la redenzione messianica, epilogo delle «grandi cose». Maria è cosciente di segnare il tornante della storia della salvezza; celebra nel canto l’intervento di Dio che dispiega la sua onnipotenza manifestandosi amorevole verso le sue creature. Sarebbe ovvio obiettare che il testo non lascia trapelare nessun riferimento a Gesù o alla maternità divina. Il contesto di Luca aiuta a superare la difficoltà: il Magnificat, inserito dopo il racconto dell’annunciazione e dopo la “pubblicità” fatta da Elisabetta, lascia intendere che tra le «grandi cose» compiute da Dio sia da annoverare, in primis, la presenza del Figlio di Dio nel grembo della Vergine, «la serva» su cui si è posato lo sguardo compiacente e compiaciuto dell’Onnipotente. A partire da quest’ora solenne e decisiva della storia, la salvezza assume un nuovo contenuto. Come in passato non fu una chimerica illusione, bensì la celebrazione di un evento reso tangibile con la liberazione dalla schiavitù egiziana, così oggi prende concretezza nella persona del Messia. La celebrazione di Maria è quindi per la salvezza, un tempo rappresentata dagli interventi di Dio e ora condensata nella persona di Gesù. L’esperienza personale tende a irradiarsi in un’esperienza universale. Nella seconda parte del Magnificat Maria amplia l’orizzonte e coinvolge il coro dei fedeli: «di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono». Vede la salvezza operata attraverso sostanziosi ribaltamenti. Si tratta della metodologia divina che ritorna puntualmente nella storia come scelta “estrosa”, riecheggiata anche nelle beatitudini. Ben otto verbi scandiscono solennemente l’agire divino con il gioco del contrasto: «ha disperso i superbi… ha rovesciato i potenti… ha innalzato gli umili…». Chi appariva in vantaggio, si trova rovinosamente perdente, chi sembrava emarginato, gode 175 Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta una insperata superiorità. Il ribaltamento lascia trasparire la theologia crucis, quando uno strumento di morte diventerà vessillo di vita. I verbi del cambiamento sono al passato, perché riferiscono una liberazione storica già avvenuta. Gli studiosi chiamano la forma verbale greca aoristo gnomico perché ha una valenza anche per il presente e il futuro, descivendo una situazione che si ripete. Perciò il Magnificat è «storia e profezia, ricordo e attesa, evento e annuncio» (Ortensio da Spinetoli). È un modo sorprendente di usare il tempo al di là del tempo. Il cantico scivola dal temporale verso l’atemporale, cioè verso l’essere stesso di Dio. Lo dimostrano i participi («coloro che lo temono»), l’infinito («ricordarsi»). Anche il vocabolario, con le sue immagini semitiche contrapposte l’una all’altra, vorrebbe esprimere l’inesprimibile. Più che uno sconquasso, si tratta di un ordine per rimettere a posto ciò che gli uomini hanno scompaginato con il peccato. La condizione di morte è ora superata dalla nuova situazione che ristabilisce la priorità e l’eccellenza della vita. Il beneficio divino raggiunge gli ‘anawim, i «poveri di spirito» che ripongono in Dio la loro fiducia, aprendogli il loro cuore e permettendogli di ripristinare nel creato il marchio originale del «tutto buono». Il cantico esalta le scelte estrose di Dio, che Paolo formulerà così alla comunità di Corinto: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, ciò che è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono» (1 Cor 1,27). Il Magnificat, perla della letteratura degli ‘anawim’, è pure il manifesto dei diritti di tutti coloro che aspettano un giusto riconoscimento. Vale come promessa di Dio: Lui che non ha doveri verso nessuno, si impegna con se stesso, con una fedeltà inossidabile. La conclusione, «ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre», è lo scrigno che contiene l’impegno di Dio a continuare l’opera salvifica, ristabilendo ordine, giustizia, dignità di tutti. La nascita di Gesù, ora 176 MAGGIO presente nel seno di Maria, segna l’inizio del compimento. Perciò vale il suggerimento di Martin Lutero: «Questo santo cantico della Madre di Dio dovrebbe essere ben imparato e ritenuto da tutti». Novità perenne: Inno alla vita e alla misericordia divina Finito di leggere il Magnificat, può sorgere l’impressione di essere in presenza di una composizione poco originale, una specie di calco di testi biblici, con parecchie reminiscenze di salmi. L’impressione è fondata. Non per questo possiamo declassarlo, riducendolo ad una sbiadita fotocopia. Le parole e le espressioni si possono copiare, i sentimenti no. Richiamiamo il principio generale secondo cui la novità attinge alle segrete sorgenti del cuore e della vita. Quante volte la comunissima frase «Ti amo» suona originale e nuova, anche se da molti ripetuta e da tutti conosciuta. La sintonia affettiva di due cuori o la forte carica di amore rende nuovo agli occhi e agli orecchi di qualcuno ciò che sembra banale ad altri. Maria ripropone temi antichi, eppure carichi di novità, avvalorando il principio secondo cui Dio non fa cose nuove, ma fa nuove le cose (cf Ap 21,5). Si tratta di arricchire di novità le parole antiche, proprio come il battesimo fa nuova una creatura già esistente, trasformandola dall’interno. Alla fine, siamo grati a Maria ed Elisabetta, due madri che ci hanno regalato due preghiere diventate patrimonio della comunità ecclesiale orante: le parole di Elisabetta entrano a far parte dell’Ave Maria; le parole di Maria costituiscono il Magnificat. Siamo sollecitati a metterci in viaggio come Maria per portare Gesù, a lasciarci riempire dello Spirito Santo per cantare, come Elisabetta, il miracolo della vita, a lodare il Signore, in un infinito Magnificat. Due donne ci insegnano a riconoscere e a celebrare la misericordia divina. 177 Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta Celebrazione Accoglienza Introduzione La gioia della Pasqua viene esaltata in questo ritiro da Elisabetta e Maria che gioiscono in Dio Salvatore perché ha realizzato le promesse consegnate alla storia dell’umanità. Anche noi siamo chiamati a unirci a loro nel riconoscere che “di generazione in generazione la sua misericordia si manifesta per quelli che lo temono”. Lo Spirito del Signore risorto ci aiuti a riconoscere nel nostro ministero i segni efficaci della presenza del Signore. 178 MAGGIO 1 - Dio con tutto il cuore Canto di inizio O FONTE DELL’AMORE (AA, 124) O fonte dell’amore, o immensa carità, o Spirito che regni per sempre in ogni età. A Te con gioia canti che vive e crede in Te; innalzi lodi e inni che T’ama e spera in Te. Tu sei pastore e guida di questa umanità: i popoli del mondo raccogli in unità! A Te con gioia canti chi vive e crede in Te; diffonda la Parola chi T’ama e spera in Te. Tu reggi la tua Chiesa, le doni verità: i figli tuoi eletti conduci a santità. A Te con gioia canti chi vive e crede in Te; sia sempre sale e luce chi T’ama e spera in Te. Saluto Pr.: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Ass.: Amen. Pr.: Lo Spirito del Signore che riempie l’universo, che tutto unisce e conosce ogni linguaggio, sia con tutti voi. Ass.: E con il tuo spirito. Salmo preparatorio 44 (45) Siamo chiamati a lodare il Signore perché in Elisabetta, in Maria, in noi realizza, per il bene dell’umanità, il suo disegno di salvezza. 179 Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta Rit.: Tutte le genti vedranno, o Signore, (AA, 10) la tua salvezza. Figlie di re fra le tue predilette; alla tua destra sta la regina, in ori di Ofir. Rit. Ascolta, figlia, guarda, porgi l’orecchio: dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre. Rit. Il re è invaghito della tua bellezza. È lui il tuo signore: rendigli omaggio. Rit. Dietro a lei le vergini, sue compagne, condotte in gioia ed esultanza, sono presentate nel palazzo del re. Rit. Colletta salmica Pr.:Preghiamo. Signore Gesù, Messia di Dio e re degli uomini, pieno di grazia e di verità, diventando un uomo hai sposato la natura umana per ornarla della tua divina bellezza e introdurla nel palazzo celeste. Concedi che, ascoltando la tua Parola, dimentichiamo la casa terrena dei nostri padri, e così possiamo partecipare con gioia alla festa delle nozze dell’Agnello. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Ass.: Amen. 180 MAGGIO 2 – Dio con tutta la mente Acclamazione al Vangelo (AA, 70) Ant.: Alleluia, Alleluia, Alleluia, Alleluia, Alleluia. Sei Parola di vita eterna, con la tua presenza per noi è festa. Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1, 39-56) In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo . Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo . 45E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”. 46 Allora Maria disse: 39 “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, 48 perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. 49 Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; 50 di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. 47 181 Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; 52 ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; 53 ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. 54 Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, 55 come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre”. 51 Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua. 56 Proposta di riflessione Silenzio 3 – Dio con tutta l’anima Canto di accoglienza dell’Eucaristia ADORO TE DEVOTE (AA, 325) 1. Adóro te devóte, látens Déitas, quæ sub his figúris, vere látitas: tibi se cor meum totum súbjicit, quia, te contémplans, totum déficit. 182 MAGGIO 2. Visus, tactus, gustus, in te fállitur, sed audítu solo tuto créditur: credo quidquid díxit Dei Fílius; nihil hoc verbo veritátis vérius. 3. In cruce latébat sola Déitas, at hic látet simul et humánitas: ambo támen crédens átque cónfitens, peto quod petívit latro pœnitens. 4. O memoriále mortis Dómini, panis vivus, vitam præstans hómini, præsta meæ menti de Te vívere, et Te illud semper dulce sápere. 5. Plagas, sicut Thomas, non intúeor, Deum támen meum te confíteor. Fac me tibi sémper mágis crédere, in te spem habére, te dilígere. 6. Pie pellicáne, Jesu Dómine, me immúndum munda tuo sánguine, cujus una stilla salvum fácere, totum mundum quit ab ómni scélere. 7. Jesu, quem velátum nunc aspício, oro fíat illud, quod tam sítio: ut, te reveláta cernens fácie, visu sim beátus tuæ glóriæ. Amen. Adorazione 183 Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta Tutti: Preghiera del beato Papa Paolo VI per le Vocazioni (vedi pag. 4) Silenzio Per la preghiera personale Nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore. La grande gioia annunciata dall’angelo, nella notte di Natale, è davvero per tutto il popolo (Lc 2,10). […] Per prima la Vergine Maria ne aveva avuto l’annunzio dall’angelo Gabriele e il suo Magnificat era già l’inno d’esultanza di tutti gli umili. […] Disponibile all’annuncio venuto dall’alto, la serva del Signore, la sposa dello Spirito Santo, la Madre dell’eterno Figlio, fa esplodere la sua gioia dinanzi alla cugina Elisabetta, che ne esalta la fede: “L’anima mia magnifica il Signore”. […] Essa, meglio di ogni altra creatura, ha compreso che Dio compie azioni meravigliose: santo è il suo nome, egli mostra la sua misericordia, egli innalza gli umili, egli è fedele alle sue promesse. Non che l’apparente corso della vita di Maria esca dalla trama ordinaria: ma essa riflette sui più piccoli segni di Dio, meditandoli nel suo cuore. Non che le sofferenze 184 MAGGIO le siano state risparmiate: essa sta in piedi accanto alla croce. […] Ma essa è anche aperta senza alcun limite alla gioia della risurrezione. […] Prima creatura redenta, immacolata fin dalla concezione. […] Essa è il tipo perfetto della Chiesa terrena glorificata. […] Vicina al Cristo, essa ricapitola in sé tutte le gioie, essa vive la gioia perfetta promessa alla Chiesa: “Madre piena di santa letizia”. È lo Spirito di Pentecoste che porta oggi moltissimi discepoli di Cristo sulle vie della preghiera, nell’allegrezza di una lode filiale, e verso il servizio umile e gioioso dei diseredati e degli emarginati dalla società. Poiché la gioia non può dissociarsi dalla partecipazione. In Dio stesso tutto è gioia poiché tutto è dono. Papa Paolo VI, dall’Esortazione Apostolica «Gaudete in Domino», 9 maggio 1975 “Beatam me dicent omnes generationes”. Tutte le genti mi chiameranno beata. Con che slancio ci uniamo alle processioni umane di tutti i secoli per cantare, con Maria, il suo privilegio e la sua incomparabile vocazione! Perché - possiamo chiederci - devo onorare la Madonna così? La risposta è facile. È il Signore ad onorarla per primo. […] La risposta - ecco un primo fondamento - è connessa essenzialmente con il mirabile rapporto di luce e di grazia fra l’Onnipotente e l’Immacolata. L’ingente numero e varietà di omaggi che sgorgano dal cuore della Chiesa per celebrare degnamente Maria, indicano molto bene le linee che devono guidarci e che, sicuramente, non sminuiscono, ma ravviveranno ognor più la nostra pietà. Tutti riconosciamo – e proprio oggi dobbiamo in maniera accentuata proclamarlo a noi e agli altri - che a Maria si deve un culto eccezionale, singolare […] per cui non potremo mai soddisfare appieno il nostro dovere di venerazione a Maria, il cui diritto a tali onori oltrepassa i nostri confini ed ogni nostra possibilità. Papa Paolo VI, Omelia, 15 agosto 1964 185 Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta Canto di Benedizione UBI CARITAS (AA, 211) Rit.: Ubi caritas est vera, Deus ibi est. Congregávit nos in unum Christi amor. Exultemús et in ipso iucundémur. Timeamus et amémus Deum vivum. Et ex corde diligámus nos sincéro. Simul ergo cum in unum congregámur: Ne nos mente dividámur, caveámus. Cessent iúrgia malígna, cessent lites. Et in médio nostri sit Christus Deus. Simul quoque cum beátis videamus gloriánter vultum tuum Christe Deus: gáudium quod est imménsum atque probum, saécula per infiníta saeculórum. Amen. Intercessioni Pr.: Maria ed Elisabetta hanno incontrato e cantato la misericordia del Signore. Sul loro esempio anche noi magnifichiamo il Signore dicendo: Ass.: L’anima mia magnifica il Signore, misericordioso e fedele. Pr.: Signore, il dialogo fra Maria ed Elisabetta è un messaggio di eternità. Aiutaci a leggere questo segno della fede con un umile e fiducioso abbandono alla tua volontà; Ti preghiamo: Ass.: L’anima mia magnifica il Signore, misericordioso e fedele. 186 MAGGIO Pr.: Signore, facciamo nostra la preghiera di Maria: Tu fai veramente grandi cose nella vita dei piccoli. Per questo Maria ed Elisabetta, piccole agli occhi del mondo, sono grandi davanti a Te. Rendici come loro umili e disponibili; Ti preghiamo: Ass.: L’anima mia magnifica il Signore, misericordioso e fedele. Pr.: Signore, in Maria si sono compiute le parole di Elisabetta: “Beata te, perché hai creduto”! Rendi tutti noi conformi al capolavoro della tua bontà; Ti preghiamo: Ass.: L’anima mia magnifica il Signore, misericordioso e fedele. Pr.: Signore, in Maria il futuro è già cominciato. Affretta il nostro passo verso il cielo e facci sentire pellegrini verso la terra promessa; Ti preghiamo: Ass.: L’anima mia magnifica il Signore, misericordioso e fedele. Padre nostro. Pr.: Ass.: Preghiamo (MRI 512) Dio onnipotente ed eterno, che nel tuo disegno di amore hai ispirato alla beata vergine Maria, che portava in grembo il tuo Figlio, di visitare santa Elisabetta, concedi a noi di essere docili all’azione del tuo Spirito, per magnificare con Maria il tuo santo nome. Per Cristo nostro Signore. Amen. 187 Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta Benedizione Canto di reposizione CON TE GESÙ (CL, 249) 1 Con Te, Gesù, raccolti qui sostiamo; crediamo in Te che sei la Verità. Per Te, Gesù, rendiamo grazie al Padre; speriamo in Te, immensa bontà. In Te, Gesù, abbiamo la salvezza; amiamo Te, o Dio con noi. 2 Un giorno a Te verremo, o Signore, l’eternità germoglierà in noi. Verremo a Te, provati dalla vita, ma Tu sarai salvezza per noi. Sia lode a Te, Signore della Vita, sia lode a Te, o Dio con noi. 188 MAGGIO 4 – Dio con tutte le forze Per l’attualizzazione e la condivisione In questo Anno Santo, potremo fare l’esperienza di aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica. Quante situazioni di precarietà e sofferenza sono presenti nel mondo di oggi! Quante ferite sono impresse nella carne di tanti che non hanno più voce perché il loro grido si è affievolito e spento a causa dell’indifferenza dei popoli ricchi. In questo Giubileo ancora di più la Chiesa sarà chiamata a curare queste ferite, a lenirle con l’olio della consolazione, fasciarle con la misericordia e curarle con la solidarietà e l’attenzione dovuta. Non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità. Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo. Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 15 - Come aiutare le nostre comunità a “uscire” verso le periferie esistenziali? Risonanze e condivisione 189 Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta Conclusione Tutti: Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo (vedi pag. 3) Antifona Mariana TOTA PULCHRA (RN, 222) Tota pulchra es María, et mácula originális non est in te. Tu glória Jerusalém, Tu lætitia Israel, Tu honorificéntia Pópuli nostri. Tu ad vocáta peccatórum. O María, o María virgo prudentíssima, mater clementíssima. Ora pro nobis. Intercéde pro nobis, ad Dóminum, Jesum Christum. 190 il piede sinistro GIUGNO Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo (Lc 19,1-10) Il pellegrinaggio è un segno peculiare nell’Anno Santo, perché è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. La vita è un pellegrinaggio e l’essere umano è viator, un pellegrino che percorre una strada fino alla meta agognata. Anche per raggiungere la Porta Santa a Roma e in ogni altro luogo, ognuno dovrà compiere, secondo le proprie forze, un pellegrinaggio. Esso sarà un segno del fatto che anche la misericordia è una meta da raggiungere e che richiede impegno e sacrificio. 191 Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo Il pellegrinaggio, quindi, sia stimolo alla conversione: attraversando la Porta Santa ci lasceremo abbracciare dalla misericordia di Dio e ci impegneremo ad essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con noi. Il Signore Gesù indica le tappe del pellegrinaggio attraverso cui è possibile raggiungere questa meta: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc 6,37-38). Dice anzitutto di non giudicare e di non condannare. Se non si vuole incorrere nel giudizio di Dio, nessuno può diventare giudice del proprio fratello. Gli uomini, infatti, con il loro giudizio si fermano alla superficie, mentre il Padre guarda nell’intimo. Quanto male fanno le parole quando sono mosse da sentimenti di gelosia e invidia! Parlare male del fratello in sua assenza equivale a porlo in cattiva luce, a compromettere la sua reputazione e lasciarlo in balia della chiacchiera. Non giudicare e non condannare significa, in positivo, saper cogliere ciò che di buono c’è in ogni persona e non permettere che abbia a soffrire per il nostro giudizio parziale e la nostra presunzione di sapere tutto. Ma questo non è ancora sufficiente per esprimere la misericordia. Gesù chiede anche di perdonare e di donare. Essere strumenti del perdono, perché noi per primi lo abbiamo ottenuto da Dio. Essere generosi nei confronti di tutti, sapendo che anche Dio elargisce la sua benevolenza su di noi con grande magnanimità. Misericordiosi come il Padre, dunque, è il “motto” dell’Anno Santo. Nella misericordia abbiamo la prova di come Dio ama. Egli dà tutto se stesso, per sempre, gratuitamente, e senza nulla chiedere in cambio. Viene in nostro aiuto quando lo invochiamo. È bello che la preghiera quotidiana della Chiesa inizi con queste parole: «O Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio aiuto» (Sal 70,2). L’aiuto che invochiamo è già il primo passo della misericordia di Dio verso di noi. Egli viene a salvarci dalla condizione di debolezza in cui viviamo. 192 GIUGNO E il suo aiuto consiste nel farci cogliere la sua presenza e la sua vicinanza. Giorno per giorno, toccati dalla sua compassione, possiamo anche noi diventare compassionevoli verso tutti. Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 25 Per la preparazione personale Tra le tante figure simpatiche e inedite del Vangelo di Luca privilegiamo quella di Zaccheo. Piace un po’ a tutti: ai ragazzi per la sua aria di monello che sale sulla pianta per vedere senza essere visto, agli adulti per la sua determinatezza e per il suo coraggio ai limiti dell’eroismo. Ha un fisico piccolo eppure è di grande statura morale perché addita all’uomo di ogni tempo la possibilità di ribaltare una vita. Tutto questo, ovviamente, dopo aver incontrato Cristo, averlo ascoltato ed essere stato preso al liberante laccio del suo amore. 193 Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo Contesto e dinamica del brano Il racconto è collocato alla conclusione del grande viaggio che porta Gesù a Gerusalemme, la città santa che lo vedrà morire e risorgere. Questo bipolarismo di luce e di tenebre è espresso nel contesto che abbraccia il nostro brano: esso è collegato con la parabola delle mine (cfr Lc 19,11-27) perché esprime la possibilità di trafficare bene i doni ricevuti. Ancora più vistoso il parallelismo con l’episodio del cieco di Gerico che precede immediatamente il nostro (cfr Lc 18,3543). Si parla di un cieco che chiede a Gesù di poter recuperare la vista e proprio in forza della sua fede ottiene la guarigione. L’identità di luogo, Gerico, ha forse favorito la vicina collocazione dei due episodi: questi sono affini soprattutto per il comune itinerario, dalle tenebre alla luce, dalla passività al dinamismo, dalla lontananza da Cristo alla comunione con Lui. Per quanto concerne la struttura, balzano evidenti due blocchi: un avvenimento (vv. 1-6) e la valutazione del medesimo (vv. 7-10). In modo più dettagliato: A. L’avvenimento 1. Introduzione (vv. 1-2): indicazione del luogo e presentazione dei personaggi, Gesù (solo nome) e Zaccheo (nome, professione, condizione sociale); 2. Uno cerca e l’altro è cercato: i due sono a distanza (v. 3) 3. Colui che cerca si impegna a superare la distanza (v. 4) 4. Colui che è cercato diventa colui che cerca: inversione dei ruoli (v. 5) 5. La distanza è superata: i due si incontrano (v. 6) B. La valutazione 1. La valutazione degli avversari: l’incontro è criticato dai benpensanti che da esso prendono le distanze (v. 7) 194 GIUGNO 2. La valutazione di Zaccheo: l’incontro diventa per lui motivo di cambiamento di vita; incontro fisico, ma anche incontro spirituale (v. 8) 3. La valutazione di Gesù: l’incontro con tutti, soprattutto con i peccatori, appartiene alla sua missione: - con Zaccheo, caso concreto (v. 9) - con tutti, prospettiva generale (v. 10). Breve commento Gesù passa attraverso Gerico. La città, posta a 250 m. sotto il livello del mare e a circa 10 Km dal Mar Morto è un’oasi subtropicale stupenda, un fiore in mezzo ad un desolato paesaggio di deserto. La natura lussureggiante fa da coreografia all’incontro di due persone. Gesù è di passaggio. Sicuramente è transitato da qui tante volte, tutte le volte che doveva salire a Gerusalemme. Egli è quindi conosciuto, tanto più che siamo verso la conclusione della sua vita apostolica, e di sé avrà fatto parlare sia per i suoi interventi prodigiosi sia per i suoi discorsi di ben altro impasto rispetto a quelli dei maestri abituali. A Gerico si trova un uomo chiamato Zaccheo. Il suo nome, abbreviazione di Zaccaria, significa ‘il giusto’, ‘il puro’ - noi tradurremmo Innocenzo - una vera beffa del destino perché egli è capo dei pubblicani e ricco, due qualifiche che gravano sulla sua reputazione come una spada di Damocle. In quanto pubblicano era un peccatore per i giudei; in quanto ricco era ‘un caso difficile’ anche per Gesù che aveva detto: «quant’è difficile per coloro che possiedono ricchezze entrare nel Regno di Dio» (Lc 18,24). Che la sua ricchezza non sia pulita lo si apprenderà in seguito dalla pubblica confessione dell’interessato. Gliela garantiva la sua professione che poteva esercitare con profitto a Gerico, città di esportazione del balsamo, e perciò serbatoio di facile business dei pubblicani. Avendo Luca aggiunto che egli è capo 195 Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo dei pubblicani, ci ha offerto una precisa caratterizzazione sociologica dandoci un quadro a tutto tondo. Cerchiamo di conoscere meglio questa professione. Il mestiere di pubblicano Pubblicano è un nome comune che designa genericamente un esattore di tasse, uno che riscuote denaro. Per maggior precisione occorre distinguere tra impresari doganali e semplici impiegati doganali. Gli impresari concludevano con l’amministrazione romana degli accordi per la esazione delle tasse. Pagavano anticipatamente l’appalto e durante i dodici mesi che seguivano - tanto durava l’appalto - cercavano di trarre il massimo profitto. Potevano arrivare a una vera e propria fortuna. Probabilmente Zaccheo appartiene a questo gruppo perché di lui si dice che era «capo dei pubblicani» e l’aggiunta «ricco» denota che aveva fatto fortuna. L’impresario affidava poi il lavoro vero e proprio di dogana ad altri che lo svolgevano come impiegati. Questi costituivano un gruppo fluttuante, socialmente indifeso, e difficilmente arrivavano a una consistente ricchezza. Il loro lavoro consisteva essenzialmente nella riscossione di dazio - il cosiddetto portorium - tassa che si pagava per l’introduzione di merci in una città o in un particolare territorio, per l’esportazione, per pedaggi, e altro ancora. Le tasse dirette stabilite dai romani (imposta fondiaria, imposta personale, ecc.) erano riscossa non dai pubblicani ma dai magistrati giudei che agivano sotto il controllo del procuratore romano. Le irregolarità commesse dai pubblicani erano numerose. A partire da Nerone vi fu l’obbligo di esporre presso le stazioni di dogana le tariffe in vigore (cfr Tacito, Annali, XIII, 51). Come spesso accade, fatta la legge, trovato l’inganno: poiché il dazio era calcolato percentualmente in base al valore della merce, bastava ai pubblicani ‘gonfiare’ il valore della merce per aumentare l’incasso. L’iniquo pro196 GIUGNO fitto non finiva tuttavia nelle loro tasche, bensì in quelle dell’impresario. Superfluo ricordare il disprezzo che circondava questo mestiere già detestato perché visto come collaborazione con l’occupante romano e poi, soprattutto, perché si trattava di un autentico strozzinaggio. Ecco perché il nome di pubblicano, etimologicamente ‘colui che riscuote il denaro pubblico’, da nome designante una professione finì per classificare una disprezzata categoria di persone che tutti temevano. I farisei poi, cultori della purità legale, nutrivano nei loro confronti una cordiale antipatia e li tenevano lontano da sé. Zaccheo, capo dei pubblicani, si porta addosso l’odio rancido di tutti e il disprezzo, quindi l’isolamento, dei benpensanti. L’incontro con Gesù Con queste premesse c’è poco di buono da sperare da quest’uomo che può essere facilmente etichettato. Il seguito del racconto di Luca documenterà invece proprio il contrario. Le etichette si incollano sulle bottiglie di vino o sui libri per riconoscerli, non agli uomini che possono cambiare vita a tal punto da essere ‘irriconoscibili’. Zaccheo offre con il suo comportamento una prima nota positiva perché «cercava di vedere chi era Gesù», voleva cioè vederlo in faccia, non accontentandosi del ‘sentito dire’. Il suo desiderio non si può dire estemporaneo o fugace perché «cercava», tempo imperfetto, denota un’azione che si prolunga nel tempo. Lo dimostrano le difficoltà della bassa statura e della numerosa folla che, da iniziale handicap, sono superate con l’ingegno e la ricerca di mezzi idonei. Quando si vuole, molte difficoltà cessano di essere tali perché vinte con la tenacia, con l’intuito e l’aguzzare l’ingegno, versione più elegante del popolare ‘sapersi arrangiare’. Il suo desiderio è vivo, forse bruciante se lo spinge a tanto. Dove attecchisce questo desiderio? Su un fondo di pura curiosità? 197 Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo Sulla gratificazione di poter dire: “Anch’io l’ho visto, anch’io c’ero?”, su qualcosa di più profondo? Il testo tace sulla motivazione e, di conseguenza, ogni conclusione non supera lo stadio dell’illazione. Del resto avviene spesso così e l’incontro con Gesù nasce da un desiderio difficilmente identificabile nella sua radice ultima. Sappiamo poi che Luca non intende descrivere la psicologia dei suoi personaggi, preferendo mostrare le grandi tappe di un cammino che può servire ai suoi lettori. Zaccheo corre avanti per precedere il corteo che sta attraversando la città e trova rifugio su un albero. In quel momento non pensa alla sua dignità, alla ridicolaggine cui si espone davanti a quelli che lo conoscevano. A Gerico egli è di casa perché qui lavora e, con tutta probabilità, qui abita. Non pensa a questo e sale come un monello su un albero, specificato come sicomoro. Si tratta di una pianta mediterranea che ha il frutto simile a un fico e foglie larghe come quelle di un gelso e da qui il nome sicomoro (sico = fico e moro = gelso). L’albero permette una facile ascesa perché ha un tronco basso; le foglie larghe garantiscono a Zaccheo un sicuro rifugio. La postazione è quindi ottima per vedere. Lascia che Gesù si avvicini a lui senza che lui stesso avvicinarsi a Gesù. In questo caso il movimento è solo da una parte, quella di Gesù. Si riflette qui la logica umana utilizzata spesso anche in campo religioso, quando si pretende la vicinanza di Dio, la gioia del cuore, l’armonia della vita, senza contemporaneamente offrire a Dio la disponibilità nell’andare a Lui con l’obbedienza del cuore e della vita. Un gioco egoistico che non può durare a lungo. Gesù passa sotto l’albero, è visto da Zaccheo e soddisfa il suo desiderio. Contemporaneamente gli rivolge la parola e lo invita a compiere quel movimento che Zaccheo non voleva o non poteva fare. Non voleva perché occorreva scomodarsi da una vita che, tutto sommato, aveva rivestito come un abito, o non poteva perché ibernato dal giudizio glaciale dei benpensanti che spesso bloccano molto di più di 198 GIUGNO una catena di ferro. Gesù lo invita in due modi, prima con lo sguardo e poi con la parola. Lo sguardo si differenzia dal semplice vedere quanto la volontà dall’istinto. Vedere è un fatto esterno, meccanico, tipico di tutti gli animali. Guardare invece coinvolge anche la volontà ed è proprio della persona. Per questo lo sguardo possiede spesso una carica tale da sostituire bene un fiume di parole. Con lo sguardo si esprimono i propri sentimenti di approvazione o di disapprovazione, con uno sguardo si può ferire o amare, con uno sguardo si può tenere a bada una scolaresca. Lo sguardo è un mezzo di comunicazione. Lo sguardo di Dio possiede inoltre la possibilità di trasformazione. Dio ha osservato la miseria del suo popolo e interviene (cfr Es 3,7-8); Gesù guarda attentamente il ricco interessato alla strada per il Regno dei cieli e gli comunica il suo amore: «Gesù, fissatolo, lo amò» (Mc 10,21). Lo sguardo è il primo elemento di comunicazione usato da Gesù per Zaccheo, il primo segno per dirgli che si interessa di lui. Poi arriva la parola che, preparata dallo sguardo, non giunge più forestiera. La parola di Gesù La prima parola che risuona è ZACCHEO, il nome proprio, quello che identifica una persona e la distingue da un’altra. Zaccheo si sente chiamato per nome, conosciuto personalmente nella sua identità più vera. Forse gli altri lo chiamano ‘pubblicano’, ‘strozzino’, ‘quello là’ o con qualche altro nome generico o con un nomignolo. Gesù, un estraneo, uno di passaggio, lo conosce e lo chiama per nome. Chiamato per nome, Zaccheo è posto nella condizione di rispondere e, ben più, di entrare in dialogo con Gesù, da persona a persona, da eguali. La seconda parola è un imperativo: «SCENDI SUBITO». Gesù invita Zaccheo a lasciare il suo rifugio per mettersi allo scoperto, lo invita a compiere quel passo che prima non voleva o non poteva fare. Se prima Gesù si era avvicinato a Zaccheo, tocca ora a Zaccheo avvici199 Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo narsi a Gesù. È la logica del dialogo: guardare in faccia, parlarsi, compiere ciascuno un passo verso l’altro. L’imperativo non è una violenza nei confronti dell’altro, quanto piuttosto la garanzia che avvicinarsi non è proibito, anzi desiderato e richiesto. I farisei e tutti i benpensanti rifuggivano dalla compagnia dei pubblicani e dei peccatori perché era gente ‘sporca’ che contaminava. Con il suo imperativo Gesù dichiara che non teme nessun contagio, che non mantiene le distanze dell’indifferenza o del disprezzo. È un imperativo che avvicina, che crea uguali. Questo imperativo è accompagnato, quasi rinforzato, dall’avverbio «subito» per aiutare Zaccheo a rompere ogni indugio, a superare eventuali perplessità che possono insorgere come elementi frenanti. Proprio perché l’imperativo non suoni come violenza sull’altro e per mostrare la nuova situazione di rapporto, Gesù aggiunge la motivazione che vale quanto un concentrato di teologia: «OGGI DEVO FERMARMI A CASA TUA». Consideriamo le singole parole. OGGI. L’avverbio può essere letto in modo atono o tonico: atono se inteso come semplice precisazione temporale, nel senso di oggi e non di domani; tonico se prende più rilievo di quello che gli compete per il suo valore grammaticale. Conoscendo Luca e il suo modo di scrivere si deduce il valore tonico. Esaminiamo alcuni testi, tutti teologicamente densi di significato. Lc 2,10-11: «[...]Ecco vi annunzio una grande gioia[...] OGGI vi è nato nella città di Davide un Salvatore». È il momento in cui la salvezza a lungo profetizzata e attesa prende corpo con la nascita di Gesù. Lc 4,21: «OGGI si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi». Luca fa diventare questo discorso tenuto a Nazaret l’inizio pubblico e ufficiale dell’attività di Gesù che si presenta come il profeta atteso. 200 GIUGNO Lc 5,26: «Tutti rimasero stupiti e levavano lode a Dio; pieni di timore dicevano: OGGI abbiamo visto cose prodigiose». Dopo le parole, eco i fatti prodigiosi. Gesù conferma con essi la salvezza annunciata e promessa e si qualifica come il vero inviato di Dio. Lc 23,43: «In verità ti dico: OGGI sari con me in Paradiso». Il crocifisso Gesù garantisce al crocifisso ladrone l’accesso alla salvezza. Luca colloca il termine ‘oggi’ sempre in contesto di salvezza e soprattutto di salvezza che si realizza: nella nascita, nella profezia, nel miracolo, nella morte. Anche nel nostro caso l’oggi è collegato con la salvezza, come confermato dalle successive parole di Gesù: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (v. 9a). Si conclude quindi per il valore tonico dell’avverbio e della sua rilevanza teologica. DEVO. Il verbo esprime la volontà divina, il piano salvifico e la sua urgenza. Gesù intende arrivare a tutti, nessuno escluso, soprattutto a coloro che il fanatismo religioso giudaico aveva emarginato. Il modo più completo per arrivare a tutti sarà il dono della sua vita. Intanto si manifesta nell’annuncio a tutti del Vangelo che è la rivelazione dell’amore di Dio per l’uomo. Gesù aveva già espresso questa sua obbedienza al piano divino quando aveva detto: «Bisogna (devo) che io annunzi il Regno di Dio anche alle altre città, per questo sono stato mandato» (Lc 4,43). FERMARMI. Non è il verbo della fretta, del salutino e poi via di corsa perché ‘c’è molto da fare’. È il verbo della calma, dell’indugio, del tempo prolungato, tanto che in greco ha spesso il valore di ‘dimorare’, ‘abitare’. È il verbo della residenza. Nel IV Vangelo questo verbo si colora ancor più teologicamente ed esprime la comunione interpersonale, il legame intimo e profondo fra due persone che si amano. 201 Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo A CASA TUA. Voler entrare in casa è una manifesta provocazione, uno strappo irrimediabile nel tessuto della teologia farisaica che disdegnava ogni contatto con i peccatori. Soggiornare in casa di uno di questi era il colmo della vergogna. Come sempre accade fra Gesù e i farisei, questi considerano la persona da una posizione di fissità: ciò che è stata, rimane e sempre sarà. Gesù, al contrario, la considera da una posizione di movimento, almeno possibile: nonostante un passato rovinoso, si può, anzi, si deve cambiare, progredire e migliorare. La persona può diventare diversa da quello che è stata. Queste le dense parole di Gesù. Zaccheo raccoglie la felice provocazione, reagisce facendo quanto Gesù ha richiesto e scende in fretta. Il desiderio di vedere Gesù è finalmente appagato. Non sa che cosa l’aspetta, non aveva preventivato - e non poteva certo preventivarlo - ciò che ora prova e decide. Accoglie Gesù con gioia. È registrato il primo, nuovo ed inatteso sentimento che nasce dall’incontro con Gesù: la gioia. Gioia che nasce, tra l’altro, dalla possibilità offertagli di compiere quel passo che prima non voleva o non poteva compiere. La parola di Gesù l’ha messo in condizione di effettuarlo. Ora però deve giocare a carte scoperte e non gli è più consentito di mimetizzarsi, sia pure dietro le foglie di un albero. La gioia ha la sua sorgente intima nel cuore dell’uomo, però si travasa facilmente all’esterno. L’affermazione della sua frettolosa discesa dall’albero implica un dinamismo interiore, esplicitato dall’annotazione «[...] lo accolse pieno di gioia». In fondo, Zaccheo è stato l’oggetto di un interessamento che si chiama attenzione all’altro, riabilitazione, non timore di contagio; insomma, in una parola, Zaccheo è stato amato da Gesù, avvolto dalla sua misericordia. La gioia è sempre figlia primogenita dell’amore. Il v. 6 conclude l’avvenimento che costituiva la prima parte del racconto. Inizia ora una serie di reazioni che partono da un generico «tutti» che raccoglie in pratica la valutazione degli avversari di Gesù, segue poi la reazione operativa di Zaccheo e, alla fine, la valutazione di Gesù che suggella il brano. 202 GIUGNO In stridente contrasto con la gioia di Zaccheo si colloca la mormorazione prolungata (ancora il tempo all’imperfetto) degli altri, conglobati in quell’indistinto «tutti». Si tratta dell’altra parte, quella diversa e in opposizione a Gesù, quella che raccoglieva i maggiori suffragi del pensiero dominante, quello che faceva testo. È la parte che non conosce il dinamismo innescato da Gesù nel cuore di Zaccheo, di cui non capisce e non apprezza la gioia. Prova esattamente il sentimento opposto, una specie di disgusto, di irritazione nei confronti di un comportamento che l’ortodossia giudaica non poteva che biasimare: «È entrato in casa di un peccatore». Inaudito! Uno scandalo! Questo dicono loro. Noi diciamo: la solita musica dei farisei che sanno strimpellare solo lo strumento della critica, del distacco, del disprezzo, emettendo unicamente note stonate (cfr Lc 5,30; 15,2). Certo, nella loro logica il comportamento di Gesù appare tanto anomalo, addirittura offensivo nei confronti della teologia dominante, da diventare causa scatenante di quella valanga di critiche e di rampogne che si riversano come un fiume in piena su Gesù e sul povero Zaccheo. Anche questo è un dato abbastanza comune: la volontà salvifica di Dio inciampa nella fredda incomprensione e nell’acerba critica. Gesù si era premunito ricordando ai suoi discepoli e a tutti: «Beato è chiunque non sarà scandalizzato da me» (Lc 7,23). Chi rimane fermo nel passato, perde il treno dell’aggiornamento, della novità, della vita. La naftalina può proteggere, ma se non ben usata, finisce per avvelenare. In tale condizione sono i farisei che non accolgono il messaggio e lo stile nuovo di Gesù. Le critiche dei benpensanti non raggiungono Gesù, non sfiorano neppure Zaccheo. Questi si alza in piedi, quasi a rendere più solenni le sue parole, e fa una promessa. Quello che egli dice dimostra la sua intima contrizione e blocca la reazione della gente. Alle parole vuote e denigratorie oppone dei fatti sostanziosi. Sono soprattutto questi a documentare la sincerità della sua conversione e la serietà del suo distacco dal denaro. 203 Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo Un atteggiamento giusto, genuino, coraggioso: anziché torturarsi nella sua mente con morbosità masochista si riconosce semplicemente colpevole e tenta di riparare. Segue due vie. La prima è quella di dare la metà dei propri beni ai poveri. Già la predica sociale del Battista aveva orientato in tal senso: «Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto» (Lc 3,11). È una sollecitazione alla ‘capacità contributiva’ del peccatore chiamato al ravvedimento. Per Zaccheo gioca anche un altro fattore. Molti defraudati non sono più rintracciabili, altri non sono neppure identificabili. Dare la metà ai poveri, a fondo perduto, ha il valore di una restituzione. Si tiene l’altra metà per riparare il danno di persone conosciute. In che misura? La legge contemplava la restituzione dell’intero valore, più 1/5 per indennizzo (cfr Lv 5,20-24), percentuale che, secondo i rabbini, doveva essere aumentata a 1/4. Zaccheo decide di restituire il quadruplo. In questo si allinea o con la legge romana - a tanto obbligava il ladro sorpreso ‘con le mani nel sacco’- o con la legge di Es 21,37: «Quando un uomo ruba un bue o un montone e poi lo scanna o lo vende, darà come indennizzo cinque capi di grosso bestiame per il bue e quattro capi di bestiame minuto per il montone». Allineandosi con la legge più severa, con il caso estremo, Zaccheo dimostra di essere diventato un altro. Assistiamo con questo al salto acrobatico dal nulla al tutto, da una vita grigia di una professione disprezzata all’esultanza dell’incontro con Gesù, dall’attaccamento schiavistico al denaro alla gioiosa liberazione da esso. Sembra un preludio delle beatitudini, quando gli ultimi e i disprezzati riceveranno, gratuitamente, la pienezza della felicità. Il suo comportamento appare un po’ strano. Eppure le cose di Dio non sono fatte per essere capite intellettualmente, ma per essere vissute, e quando si vivono, tutto comincia a essere capito. Il presente di Zaccheo è il punto nel quale il futuro si trasforma in passato. Non è più l’uomo di ieri, è già l’uomo di domani, quello che Gesù vuole rendere con il suo annuncio. 204 GIUGNO Questo è confermato dalla parola conclusiva di Gesù: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza». La salvezza è un termine morale, politico. C’è l’idea di vittoria, di salvataggio da una condizione negativa e la restituzione della pienezza o dell’integrità. Parlando di Dio o di Cristo, la salvezza è liberazione dal peccato, stato di alienazione da Dio e, positivamente, partecipazione e integrazione in una novità di rapporto con Dio, grazie a Cristo. È, in fondo, il dono di poter partecipare alla stessa vita divina. Alla fine, con un detto proverbiale per la sua missione, Gesù ricorda che Zaccheo non è che l’applicazione di qualcosa che per lui è costitutivo, cioè andare in cerca di ciò che è perduto per salvarlo (cfr Ez 34,16; Mt 15,24). È come dire che finché c’è Gesù, nulla è definitivamente perduto. Brilla sempre un barlume di speranza, quella che Gesù ha acceso come un rogo dalla fiammella del desiderio insito in Zaccheo. Un uomo nuovo Abbiamo in Zaccheo il tracciato della conversione. Gesù passa e mette in moto in Zaccheo il desiderio di vederlo. Il desiderio si profila con una serie di azioni che cercano di raggiungere il loro intento, ma a senso unico, vedere senza essere visto, ricevere senza dare. Gesù fa compiere a questo desiderio un salto di qualità e, incontrando Zaccheo, gli permette di trovare in se stesso le energie di bontà che ogni uomo conserva nel profondo del proprio essere. La gioia di Zaccheo è grande. La sua riconoscenza senza limiti. Con la sua promessa testimonia l’avvenuto cambiamento e si presenta come uno che ama perché pensa agli altri rompendo il circuito dell’egoismo. Non è semplice giustizia, restituzione di un bene rubato, è piuttosto l’inizio di una vita nuova, radice di vita eterna. Questa è la salvezza di Gesù. Se Gesù si avvicina all’uomo e questi si lascia avvicinare da Gesù, da questa distanza ravvicinata nasce una comunione 205 Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo che è condizione di vita, comunione che è già vita eterna. Come dimostrato dall’incontro con Zaccheo, Cristo si è fatto pellegrino di ogni uomo, assicurandogli stima e restituendogli dignità, avvolgendolo di misericordia. Con lui parte una nuova evangelizzazione. Se l’uomo è peccatore, bisogna dirgli o fargli capire che sbaglia: la solidarietà non è mimetismo e tanto meno menzogna. Questo non deve intaccare l’accoglienza, il perdono, la fiducia, anzi, favorirlo affinché possa ripartire da capo. Occorre aiutarlo a sentirsi accolto da Dio come padre universale, a scoprire il suo volto luminoso che risplende nella persona di Gesù. Grazie a lui è restituita quell’immagine che il peccato aveva deturpato. L’idea che Dio, in Cristo, con amore imperituro cerca ogni uomo che si è smarrito, conferisce all’individuo umano un valore eterno e una dignità senza precedenti; per questo la liturgia fa pregare nel giorno di Natale: «O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana». Così la lieta notizia del Regno fa scaturire un duplice stupore: da un lato l’immensità dell’amore di Dio per l’uomo e dall’altro la grandezza dell’uomo per Dio. 206 GIUGNO Celebrazione Accoglienza Introduzione Concludiamo il percorso dei ritiri spirituali illuminati dal dono della misericordia che questo anno santo, in forme molteplici, ha consegnato a noi e alle nostre comunità. La figura di Zaccheo testimonia che là dove la debolezza umana si apre al Signore, Lui, con gesti di misericordia, si manifesta come salvezza e liberazione. Invochiamo lo Spirito perché invada nell’intimo i nostri cuori così da raddrizzare ciò che in noi è sviato. 207 Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo 1 - Dio con tutto il cuore Canto di inizio VENI, SANCTE SPIRITUS (AA, 252) Veni, Sancte Spíritus, et emítte caélitus lucis tuæ rádium. Sine tuo númine, nihil est in hómine, nihil est innóxium. Veni, pater páuperum, veni, dator múnerum, veni, lumen córdium. Lava quod est sórdidum, riga quod est áridum, sana quod est sáucium. Consolátor óptime, dulcis hospes ánimæ dulce refrigérium. Flecte quod est rígidum, fove quod est frígidum, rege quod est dévium. In labóre réquies, in æstu tempéries, in fletu solátium. Da tuis fidélibus, in Te confidéntibus, sacrum septenárium. O lux beatíssima, reple cordis íntima tuórum fidélium. Da virtútis méritum, da salútis éxitum, da perénne gáudium. Amen. Saluto Pr.: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Ass.: Amen. Pr.: Il Signore sia con voi. Ass.: E con il tuo spirito. 208 GIUGNO Salmo preparatorio 144 (145) Il Salmo ci invita a lodare la bontà del Signore nella consapevolezza che “ci ha fatti per Lui e che il nostro cuore è inquieto finché non trova riposo in Lui” Rit.: A Te, Signore, innalzo l’anima mia. (AA, 4) O Dio, mio re, voglio esaltarTi, e benedire il tuo nome in eterno e per sempre. Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre. Rit. Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature. Rit. Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e Ti benedicano i tuoi fedeli. Dicano la gloria del tuo Regno e parlino della tua potenza. Rit. Fedele è il Signore in tutte le sue parole e buono in tutte le sue opere. Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto. Rit. 209 Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo Colletta salmica Pr.:Preghiamo. Padre buono e misericordioso per mezzo del tuo Figlio Gesù, nostro Signore, ci hai fatto conoscere quello che fin dal principio generosamente avevi deciso di realizzare per mezzo di Lui a favore di tutti gli uomini. Gradisci la lode e il ringraziamento della Chiesa per la tua fedeltà alle promesse e per la misericordia con cui perdoni; donaci oggi il pane necessario e quello che dà la vita eterna e fa’ che siamo sempre in attesa della piena realizzazione del tuo Regno quando con tutti i tuoi fedeli Ti renderemo grazie per sempre. Per Cristo, nostro Signore. Ass.: Amen. 2 – Dio con tutta la mente Acclamazione al Vangelo Ant.:Alleluia. (AA, 61) Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito; chi crede in Lui ha la vita eterna. 210 GIUGNO Dal Vangelo secondo Luca (Lc 19,1-10) Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, 2quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, 3cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. 4Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. 5Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. 6Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. 7Vedendo ciò, tutti mormoravano: “È entrato in casa di un peccatore!”. 8Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. 9Gesù gli rispose: “Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. 10Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”. 1 Proposta di riflessione 3 – Dio con tutta l’anima Canto di accoglienza dell’Eucaristia PÁNGE LINGUA (AA, 322) 1. Pánge, lingua, gloriosi Córporis mystérium Sanguinísque pretiósi, quem in mundi prétium Fructus ventri generósi Rex effúdit gentium. 2. 211 Nobis datus, nobis natus ex intácta Virgine, et in mundo conversátus, sparso verbi sémine, sui moras incolátus miro clausit órdine. Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo 3. In suprémæ nocte cœnæ, recúmbens cum frátribus, observáta lege plene cibis in legálibus, cibum turbae duodénæ se dat suis mánibus. 4. Verbum caro panem verum Verbo carnem éfficit, fitque sanguis Christi merum, et si sensus déficit, ad firmándum cor sincérum sola fides sùfficit. Adorazione Tutti: Preghiera del beato Papa Paolo VI per le Vocazioni (vedi pag. 4) Silenzio Per la preghiera personale Una casa di Dio in mezzo alle case degli uomini è una gran cosa! […] Non di solo pane ha bisogno la vita umana. Perché davvero siamo uomini, abbiamo l’anelito alla vita, una vita dell’anima, dello spirito. […] Abbiamo tanti bisogni, tante voglie, tante aspirazioni. […] Noi abbiamo bisogno di pensare, di amare, di essere felici. Che cosa ci potrà fare felici? A questa domanda ha risposto sant’Agostino: “Signore, Tu ci hai fatti per Te e il nostro cuore non troverà pace fintanto che non si riposi in Te”. Perché è questa la verità: noi siamo degli esseri proporzionati a Dio come l’occhio è proporzionato alla luce immensa del cielo, così la nostra anima. E anche quando crediamo di 212 GIUGNO essere felici noi andiamo inconsciamente in cerca di qualche cosa di immensamente bello e buono, che si chiama Dio e la nostra vita lo cerca e lo trova qui [nella Chiesa] in questo luogo, perché questa è la dimora di Dio. […] Voi desiderate una vita più piena e più grande e qui la trovate. Qualcuno che vi aspettava con una misteriosa attesa. Il Vangelo narra di un uomo che aveva desiderio di vedere Gesù e per questo era andato in cima ad un albero. Gesù lo vede e si ferma. Quell’uomo si chiamava Zaccheo. Gesù gli dice: “Vieni giù perché io voglio quest’oggi alloggiare nella tua casa”. Gesù era il Figlio di Dio fatto uomo! E si ripete questa parabola: io voglio abitare con voi per soddisfare il desiderio vostro di incontrarvi con Dio. Qui ci si incontra con Dio. Gesù vi aspetta, vi chiama, vi ama, corrisponde al vostro desiderio col Suo reale e immenso amore. È un punto focale l’incontro dell’uomo con Dio. E per voi questo è il luogo della pace, della preghiera, delle speranze, della felicità. G.B. Montini, arcivescovo di Milano, dall’Omelia per l’Inaugurazione della chiesa della Madonna dei poveri, Milano, 31 maggio 1955 Canto di Benedizione TANTUM ERGO (AA, 322) Tantum ergo sacraméntum venerémur cérnui, et antìquum documéntum novo cedat rìtui; præstet fides suppleméntum sénsuum deféctui. Genitòri Genitòque laus et iubilàtio, salus, honor, virtus quoque sit et benedìctio ; procedénti ab utròque compar sit laudàtio. Amen 213 Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo Intercessioni Pr.: Il Vangelo ci ha ricordato che il Signore è buono verso tutti. È disposto ad accogliere le nostre intenzioni e di quanti sono alla ricerca del suo volto. Invochiamolo perché chiami alla gioia dell’incontro i cristiani che cercano i valori del Vangelo dicendo: Ass.: Signore, vieni e porta la pace nella nostra casa. Pr.: Signore, la storia di Zaccheo rivela la magnanimità del tuo cuore che aspetta e perdona. Vieni, Signore, a visitarci. Vieni nelle nostre comunità e dona la gioia della tua salvezza; noi Ti preghiamo: Ass.: Signore, vieni e porta la pace nella nostra casa. Pr.: Signore, Zaccheo era un uomo deluso dalle sue ricchezze. Egli cercava e sperava d’incontrare una luce. Metti nel nostro cuore la stessa attesa, la stessa speranza perché oggi possiamo incontrarTi noi; Ti preghiamo: Ass.: Signore, vieni e porta la pace nella nostra casa. Pr.: Signore, per Zaccheo arrivò l’ora straordinaria in cui Tu gli passasti accanto. E fu pronto, perché aveva capito la sua povertà e il suo fallimento. Fa, o Signore, che anche noi abbiamo la forza di rischiare tutto per Te; Ti preghiamo: Ass.: Signore, vieni e porta la pace nella nostra casa. Pr.: Signore, Tu entrasti nella casa di Zaccheo: e fu festa in quella casa. Oggi Tu, Signore, aspetti che anche noi entriamo nella casa di tanti lontani, che facciamo un passo verso di loro, che offriamo segni di misericordia. Solo così ci farai dono di una grande pace; Ti preghiamo: Ass.: Signore, vieni e porta la pace nella nostra casa. 214 GIUGNO Padre nostro. Pr.: Preghiamo (MRI, p. 1010) O Dio, che nel tuo Figlio sei venuto a cercare e a salvare chi era perduto, rendici degni della tua chiamata: porta a compimento ogni nostra volontà di bene, perché sappiamo accoglierTi con gioia nella nostra casa per condividere i beni della terra e del cielo. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio per tutti i secoli dei secoli. Ass.: Amen. Benedizione Canto di reposizione SE QUALCUNO HA DEI BENI (AA, 141) Rit. Se qualcuno ha dei beni in questo mondo, e chiudesse il cuore agli altri nel dolor, come potrebbe la carità di Dio rimanere in lui? 1. Insegnaci, Signore, a mettere la nostra vita a servizio di tutto il mondo. Rit. 2. La nostra Messa sia l’incontro con Cristo la comunione con quelli che soffrono. Rit. 215 Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo 4 – Dio con tutte le forze Per l’attualizzazione e la condivisione L’Anno giubilare si concluderà nella solennità liturgica di Gesù Cristo Signore dell’universo, il 20 novembre 2016. In quel giorno, chiudendo la Porta Santa avremo anzitutto sentimenti di gratitudine e di ringraziamento verso la SS. Trinità per averci concesso questo tempo straordinario di grazia. Affideremo la vita della Chiesa, l’umanità intera e il cosmo immenso alla Signoria di Cristo, perché effonda la sua misericordia come la rugiada del mattino per una feconda storia da costruire con l’impegno di tutti nel prossimo futuro. Come desidero che gli anni a venire siano intrisi di misericordia per andare incontro ad ogni persona portando la bontà e la tenerezza di Dio! A tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia come segno del Regno di Dio già presente in mezzo a noi. Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 15 - Quale “segno” può lasciare nelle nostre comunità la conclusione dell’Anno Giubilare? Risonanze e condivisione Conclusione Tutti: Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo (vedi pag. 3) 216 GIUGNO Antifona Mariana LIETA ARMONIA (AA, 297) 1. Lieta armonia nel gaudio del mio spirito si espande: l’anima mia magnifica il Signor: Lui solo è grande, Lui solo è grande! 2. Umile ancella degnò di guardarmi dal suo trono e grande e bella mi fece il Creator: Lui solo è buono, Lui solo è buono! 3. E me beata dirà in eterno delle genti il canto. Mi ha esaltata per l’umile mio cuor: Lui solo è santo, Lui solo è santo! 217 APPENDICE Rito della Benedizione eucaristica secondo il Rituale Romano Canto e orazione Benedizione con l’ostensorio o la pisside Acclamazioni possibili 1. Dio sia benedetto. Benedetto il suo santo nome. Benedetto Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Benedetto il nome di Gesù. Benedetto il suo sacratissimo Cuore. Benedetto il suo preziosissimo Sangue. Benedetto Gesù nel santissimo sacramento dell’altare. Benedetto lo Spirito Santo Paraclito. Benedetta la gran madre di Dio, Maria santissima. Benedetta la sua santa e immacolata Concezione. Benedetta la sua gloriosa Assunzione. Benedetto il nome di Maria, Vergine e Madre. Benedetto san Giuseppe, suo castissimo sposo. Benedetto Dio nei suoi Angeli e nei suoi Santi. 219 2. Anima di Cristo, santificami. Corpo di Cristo, salvami. Sangue di Cristo, inebriami. Acqua del costato di Cristo, lavami. Passione di Cristo, confortami. O buon Gesù, esaudiscimi. Entro le tue piaghe nascondimi. Non permettere che io mi separi da Te. Dal maligno nemico difendimi. Nell’ora della mia morte chiamami. E fa che io venga a Te, per lodarTi con i tuoi Santi, nei secoli dei secoli. Amen. 3. Supplica eucaristica (dalla Didaché) Noi Ti benediciamo, Padre nostro, per la santa vite di Davide, tuo servitore, che ci hai rivelato per mezzo di Gesù, tuo Figlio; a Te gloria per sempre. Amen. Noi Ti benediciamo, Padre nostro, per la vita e la conoscenza che ci hai rivelate per mezzo di Gesù, tuo Figlio; a Te la gloria per sempre. Amen. 220 APPENDICE Come questo pane spezzato, prima disperso sulle colline, raccolto è diventato uno, così anche la tua Chiesa si raccolga dalle stremità della terra nel tuo Regno; poiché tua è la gloria e la potenza per sempre. Amen. 4. Sole che non tramonta O Cristo, pane vivo disceso dal cielo, o grande Sole che mai tramonta all’orizzonte della Chiesa e del mondo, rendici capaci di rimanere con Te in silenzio di amore e di adorazione. Esposti ai tuoi raggi divini saremo pienamente trasformati in Te, anche tutto il creato divenga Eucaristia e l’inno cosmico di rendimento di grazie al Padre, Amore che Ti ha donato, diventi pura lode nel silenzio. Canto di reposizione 221 222 APPENDICE CANTI ALTERNATIVI 223 CANTI ALTERNATIVI COM’È BELLO (AA, 268) Rit.: Come è bello, Signor, stare insieme ed amarci come ami Tu: qui c’è Dio, alleluia! La carità è paziente, la carità è benigna, comprende, non si adira e non dispera mai. La carità perdona, la carità si adatta, si dona senza sosta, con gioia ed umiltà. La carità è la legge, la carità è la vita, abbraccia tutto il mondo e in ciel si compirà. PADRE PERDONA (CdP, 499) Venite acclamiamo alla roccia della nostra salvezza (Sal 95,1) Rit.: Signore, ascolta: Padre, perdona! Fa’ che vediamo il tuo amore. A Te guardiamo, Redentore nostro, da Te speriamo gioia di salvezza: fa’ che troviamo grazia di perdono. Ti confessiamo ogni nostra colpa, riconosciamo ogni nostro errore e Ti preghiamo: dona il tuo perdono. O buon pastore, Tu che dai la vita, Parola certa, roccia che non muta, perdona ancora, con pietà infinita. 225 DA OGNI LUOGO, O DIO Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo (Ger 31,33) Da ogni luogo, o Dio, raccogli i figli tuoi; ti sveli nel mistero, nel Cristo parli a noi. Lodiamo, a Lui uniti, la sua maestà: risplenda ai nostri cuori l’eterna verità. Fedeli al tuo invito noi stiamo innanzi a Te. Mirabile è il tuo nome, Signore, nostro re. Vediamo alla tua luce le nostre infedeltà: siam popolo che implora l’immensa tua bontà. HAI DATO UN CIBO Hai dato un cibo a noi, Signore, germe vivente di bontà. Nel tuo Vangelo, o buon Pastore, sei stato guida e verità. Rit.: Grazie diciamo a Te, Gesù! Resta con noi, non ci lasciare; sei vero amico solo Tu! Alla tua mensa accorsi siamo pieni di fede nel mister. O Trinità, noi T’invochiamo: Cristo sia pace al mondo inter. 226 CANTI ALTERNATIVI ADORE TE DEVOTE (AA, 325) Adoro te devote, latens Deitas, quae sub his figuris vere latitas: tibi se cor meum totum subicit, quia te contemplans totum deficit. Visus, tactus, gustus in te fallitur, sed auditu solo tuto creditur: credo quidquid dixit Dei Filius: nil hoc verbo veritatis verius. In cruce latebat sola Deitas, at hic latet simul et humanitas: ambo tamen credens atque confitens, peto quod petivit latro pœnitens. Plagas, sicut Thomas, non intueor Deum tamen meum te confiteor: fac me tibi semper magis credere, in te spem habere, te dirigere. O memoriale mortis Domini, panis vivus vitam praestans homini, praesta meae menti de te vivere, et te illi semper dulce sapere. Pie pellicane Jesu Domine, me immundum munda tuo sanguine, cuius una stilla salvum facere totum mundum quid ab omni scelere. 227 Jesu, quem velatum nunc adspicio, oro fiat illud quod tam sitio: ut te revelata cernens facie, visu sim beatus tuae gloriae. Amen. VENITE AL SIGNORE CON CANTI DI GIOIA (CdP, 123) Salmo 99 Ant. Venite al Signore con canti di gioia! O terra tutta acclamate al Signore, servite il Signore nella gioia, venite al suo volto con lieti canti! Riconoscete che il Signore è il solo Dio: egli ci ha fatto, a lui apparteniamo, noi, suo popolo, e gregge che egli pasce. Venite alle sue porte nella lode, nei suoi atri con azione di grazie; ringraziateLo, benedite il suo nome! Sì, il Signore è buono, il suo amore è per sempre, nei secoli è la sua verità. Sia gloria al Padre onnipotente, al Figlio, Gesù Cristo, Signore, allo Spirito Santo. Amen. 228 CANTI ALTERNATIVI CREDO IN TE, SIGNOR (AA, 273) Credo in Te, Signor, credo in Te: grande è quaggiù il mister, ma credo in Te. Rit.: Luce soave, gioia perfetta sei, credo in Te, Signor, credo in Te. Spero in Te, Signor, spero in Te: debole sono ognor, ma spero in Te. Amo Te, Signor, amo Te: o crocifisso Amor, amo Te. Resta con me, Signor, resta con me: pane che dai vigor, resta con me. INVOCAZIONE ALLO SPIRITO Rit.: Vieni Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio, un raggio di luce. Vieni Padre dei poveri, vieni datore dei doni luce dei cuori, luce dei cuori. Consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima dolcissimo sollievo, dolcissimo sollievo. Nella fatica riposo, nel calore riparo nel pianto conforto, nel pianto conforto. 229 Luce beatissima, invadi i nostri cuori senza la tua forza nulla, nulla è nell’uomo. Lava ciò che è sordido, scalda ciò che è gelido rialza chi è caduto, rialza chi è caduto. Dona ai tuoi fedeli, che in Te confidano i sette santi doni, i sette santi doni. Dona virtù e premio, dona morte santa dona eterna gioia, dona eterna gioia. LA CREAZIONE GIUBILI (CdP, 668) Tutte le cose sono state create per lui e in vista di lui (Col 1,16) La creazione giubili insieme agli angeli. Ti lodi, Ti glorifichi, o Dio altissimo. Gradisci il coro unanime di tutte le tue opere: Rit.: Beata sei tu, o Trinità, per tutti i secoli. Sei Padre, Figlio e Spirito e Dio unico. Mistero imperscrutabile, inaccessibile. Ma con amore provvido raggiungi tutti gli uomini. In questo tempio amabile ci chiami e convochi, per fare un solo popolo di figli docili. Ci sveli e ci comunichi la vita tua ineffabile. 230 CANTI ALTERNATIVI COM’È BELLO (AA, 268) Rit.: Com’è bello, Signor, stare insieme ed amarci come ami Tu; qui c’è Dio, alleluia! La carità è paziente, la carità è benigna, comprende, non si adira e non dispera mai. La carità perdona, la carità si adatta, si dona senza sosta con gioia e umiltà. La carità è la legge, la carità è la vita, abbraccia tutto il mondo e in ciel si compierà. Il pane che mangiamo, il corpo del Signore, di carità è sorgente e centro di unità. IL PANE DEL CAMMINO (AA, 153) Rit.: Il tuo popolo in cammino cerca in Te la guida. Sulla strada verso il Regno sei sostegno col tuo Corpo: resta sempre con noi, o Signore! È il tuo Corpo, Gesù, che ci fa Chiesa, fratelli sulle strade della vita. Se il rancore toglie luce all’amicizia, dal tuo cuore nasce giovane il perdono. È il tuo Sangue, Gesù, il segno eterno dell’unico linguaggio dell’amore. Se il donarsi come Te richiede fede, nel tuo Spirito sfidiamo l’incertezza. 231 SOMMARIO SOMMARIO Presentazione7 Date e temi dei ritiri9 14-15OTTOBRE Rimasero in due: la misera e la misericordia11 Per la preparazione personale13 Celebrazione21 1. Dio con tutto il cuore 22 2. Dio con tutta la mente 25 3. Dio con tutta l’anima26 4. Dio con tutte le forze 32 11-12NOVEMBRE Prendersi cura: la parabola del buon samaritano 35 Per la preparazione personale37 Celebrazione47 1. Dio con tutto il cuore 48 2. Dio con tutta la mente 50 3. Dio con tutta l’anima51 4. Dio con tutte le forze 56 9-10DICEMBRE Una donna che ama, perchè amata 59 Per la preparazione personale61 Celebrazione71 1. Dio con tutto il cuore 72 2. Dio con tutta la mente 74 3. Dio con tutta l’anima76 4. Dio con tutte le forze 83 233 13-14GENNAIO Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù 85 Per la preparazione personale87 Celebrazione91 1. Dio con tutto il cuore 92 2. Dio con tutta la mente 94 3. Dio con tutta l’anima95 4. Dio con tutte le forze 101 11 e 17 FEBBRAIO La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso103 Per la preparazione personale106 Celebrazione124 1. Dio con tutto il cuore 125 2. Dio con tutta la mente 127 3. Dio con tutta l’anima129 4. Dio con tutte le forze 137 13-14 APRILE La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus 139 Per la preparazione personale141 Celebrazione152 1. Dio con tutto il cuore 153 2. Dio con tutta la mente 155 3. Dio con tutta l’anima157 4. Dio con tutte le forze 162 234 SOMMARIO 11-12MAGGIO Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta 165 Per la preparazione personale167 Celebrazione178 1. Dio con tutto il cuore 179 2. Dio con tutta la mente 181 3. Dio con tutta l’anima182 4. Dio con tutte le forze 189 8-9GIUGNO Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo 191 Per la preparazione personale193 Celebrazione207 1. Dio con tutto il cuore 208 2. Dio con tutta la mente 210 3. Dio con tutta l’anima211 4. Dio con tutte le forze 216 Appendice219 Canti alternativi223 Sommario233 235 ISBN 978-88-6146-063-8 978-88-6146-054-6 € 12,00 Edizioni Opera Diocesana San Francesco di Sales Lello Scorzelli, Cristo sofferente, 1971 - Concesio – Collezione Paolo VI Iconografo Carlo Richiedei - Icona al fonte battesimale di Concesio (BS)