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Il Volto della Misericordia

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Il Volto della Misericordia
DIOCESI DI BRESCIA
Ufficio per la Spiritualità e le Vocazioni
Il Volto della Misericordia
Ritiri spirituali per l’anno pastorale 2015-2016
Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo
straordinario della Misericordia (nn. 1-2)
Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre.
Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi.
Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth.
Il Padre, «ricco di misericordia» (Ef 2,4), dopo aver rivelato il suo nome a
Mosè come «Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e
di fedeltà» (Es 34,6), non ha cessato di far conoscere in vari modi e in tanti
momenti della storia la sua natura divina.
Nella «pienezza del tempo» (Gal 4,4), quando tutto era disposto secondo il
suo piano di salvezza, Egli mandò suo Figlio nato dalla Vergine Maria per
rivelare a noi in modo definitivo il suo amore.
Chi vede Lui vede il Padre (cfr Gv 14,9).
Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona
rivela la misericordia di Dio.
Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia.
È fonte di gioia, di serenità e di pace.
È condizione della nostra salvezza.
Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità.
Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro.
Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona
quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della
vita.
Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla
speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato.
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Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo
Signore Gesù Cristo,
tu ci hai insegnato a essere misericordiosi come il Padre celeste,
e ci hai detto che chi vede te vede Lui.
Mostraci il tuo volto e saremo salvi.
Il tuo sguardo pieno di amore
liberò Zaccheo e Matteo dalla schiavitù del denaro;
l’adultera e la Maddalena dal porre la felicità solo in una creatura;
fece piangere Pietro dopo il tradimento,
e assicurò il Paradiso al ladrone pentito.
Fa’ che ognuno di noi ascolti come rivolta a sé
la parola che dicesti alla samaritana: Se tu conoscessi il dono di Dio!
Tu sei il volto visibile del Padre invisibile,
del Dio che manifesta la sua onnipotenza
soprattutto con il perdono e la misericordia:
fa’ che la Chiesa sia nel mondo il volto visibile
di Te, suo Signore, risorto e nella gloria.
Hai voluto che i tuoi ministri fossero anch’essi rivestiti di debolezza
per sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza
e nell’errore; fa’ che chiunque si accosti a uno di loro
si senta atteso, amato e perdonato da Dio.
Manda il tuo Spirito e consacraci tutti con la sua unzione
perché il Giubileo della Misericordia sia un anno di grazia del Signore
e la sua Chiesa con rinnovato entusiasmo
possa portare ai poveri il lieto messaggio,
proclamare ai prigionieri e agli oppressi la libertà
e ai ciechi restituire la vista.
Lo chiediamo per intercessione di Maria Madre della Misericordia
a te che vivi e regni con il Padre e lo Spirito Santo
per tutti i secoli dei secoli. Amen.
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Preghiera del beato Papa Paolo VI per le Vocazioni
Illuminati e incoraggiati dalla tua Parola,
ti preghiamo, o Signore,
per coloro che hanno già seguito
e ora vivono la tua chiamata.
Sostienili nelle difficoltà,
confortali nelle sofferenze, assistili nella solitudine,
proteggili nella persecuzione, confermali nella fedeltà.
Ti preghiamo, o Signore,
per coloro che stanno aprendo
il loro animo alla tua chiamata,
o già si preparano a seguirla.
La tua Parola li illumini,
il tuo esempio li conquisti, la tua grazia li guidi.
Per tutti loro, o Signore,
la tua Parola sia di guida e di sostegno. Amen.
(Beato Paolo VI, XV GMPV, 1 febbraio 1978)
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DIOCESI DI BRESCIA
Ufficio per la Spiritualità e le Vocazioni
Il Volto della Misericordia
Ritiri spirituali per l’anno pastorale 2015-2016
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Presentazione
Si apre un nuovo anno di grazia: per Misericordia, sarà Giubileo.
Le ricorrenze giubilari delle singole vocazioni - come il 50° di
sacerdozio celebrato dal vescovo Luciano - sono occasioni per rinnovare la gratitudine a Dio e l’impegno di servire in nome Suo i fratelli;
sono spazio per rileggere nella trama dei giorni l’intreccio di vita e di
amore che la Provvidenza non si stanca di tessere attraverso l’“eccomi”
che quotidianamente ogni vocazione è chiamata a pronunciare.
L’anno giubilare di tutta la Chiesa, in particolare, si caratterizza per l’accoglienza della Misericordia che Dio costantemente non si
stanca di offrire ai suoi figli. È un’offerta costante, ma celebrarla insieme - come comunità - ci aiuta a sostenerci reciprocamente nell’accoglierla e nel ridonarla, nel farci carico delle situazioni in cui siamo
chiamati ad essere “Misericordiosi come il Padre”, questo il motto
dell’Anno Santo.
Papa Francesco invita nella Bolla di indizione a “fare l’esperienza di aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica”.
Per l’attualizzazione, il sussidio offre un richiamo alle opere di
misericordia corporale e spirituale, che il papa invita a riscoprire gioiosamente, perché “ci accompagnino le parole dell’Apostolo: «Chi fa
opere di misericordia, le compia con gioia» (Rm 12,8)”.
A immagine e somiglianza di Dio, accogliendo la grazia di essere figli nel Figlio, possa risplendere anche nei nostri volti, il Volto
della Misericordia.
don Alessandro Tuccinardi
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Hanno curato questo sussidio:
- Mons. Mauro Orsatti: testi per la preparazione personale;
- Don Pierino Boselli: testi eucologici e scelta dei canti;
- Mons. Angelo Bonetti e Attilio Vescovi: testi e preghiere di papa Paolo VI;
- Don Alessandro Tuccinardi e la Segreteria generale della Curia per la redazione e
la correzione delle bozze.
Per i testi biblici:
- Bibbia (la) di Gerusalemme, a cura della Conferenza Episcopale Italiana,
Ed. Dehoniane, Bologna 2009.
Per le pro-vocazioni:
- Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo
straordinario della Misericordia;
In copertina:
Longaretti, Cristo fra oriente ed occidente
Concesio – Collezione Paolo VI
In ultima di copertina:
Lello Scorzelli, Cristo sofferente, 1971
Concesio – Collezione Paolo VI
Stampa:
Finito di stampare nel mese di Agosto 2015.
ISBN: 978-88-6146-063-8
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Date e temi dei ritiri
2015
14-15 OTTOBRE
Rimasero in due: la misera e la misericordia (Gv 8,1-11)
11-12 NOVEMBRE
Prendersi cura: la parabola del buon Samaritano (Lc 10, 25-37)
9-10 DICEMBRE
Una donna che ama, perché amata (Lc 7,36-50)
2016
13-14 GENNAIO
Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù (Lc 7, 11-17)
11 e 17 FEBBRAIO
La misericordia innanzitutto:
la parabola del Padre misericordioso (Lc 15,11-32)
13-14 APRILE
La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35)
11-12 MAGGIO
Due donne cantano la misericordia divina:
Maria e Elisabetta (Lc 1,39-56)
8-9 GIUGNO
Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo (Lc 19,1-10)
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il volto
OTTOBRE
Rimasero in due:
la misera e la misericordia
(Gv 8, 1-11)
L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia.
Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla
tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e
della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore
misericordioso e compassionevole.
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Rimasero in due: la misera e la misericordia
dia».
La Chiesa «vive un desiderio inesauribile di offrire misericor-
Forse per tanto tempo abbiamo dimenticato di indicare e di
vivere la via della misericordia.
La tentazione, da una parte, di pretendere sempre e solo la giustizia ha fatto dimenticare che questa è il primo passo, necessario e indispensabile, ma la Chiesa ha bisogno di andare oltre per raggiungere
una meta più alta e più significativa.
Dall’altra parte, è triste dover vedere come l’esperienza del perdono nella nostra cultura si faccia sempre più diradata. Perfino la parola stessa in alcuni momenti sembra svanire. Senza la testimonianza
del perdono, tuttavia, rimane solo una vita infeconda e sterile, come
se si vivesse in un deserto desolato. È giunto di nuovo per la Chiesa
il tempo di farsi carico dell’annuncio gioioso del perdono. È il tempo
del ritorno all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli.
Il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il
coraggio per guardare al futuro con speranza.
Papa Francesco, Misericordiae Vultus,
Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 10
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OTTOBRE
Per la preparazione personale
«La verità senza la carità è crudeltà» aveva sentenziato Pascal.
Capita spesso che le due qualità, anziché essere sorelle gemelle, siano
rivali, producendo un deprecabile iato. Ciò si ottiene, malauguratamente, quando si dicono cose vere, ma solo per ‘infilzare’ e ferire l’altro, per fargli rimarcare le sue inadempienze, se non addirittura le sue
deficienze. La verità sprovvista di amore, è utilizzata come una spada
per inchiodare l’altro al legno della sua colpevolezza. Altre volte, sul
versante opposto, viene diffuso un amore non ammantato di verità
che, alla fine, finisce per essere di contrabbando, un surrogato di dubbia qualità. Nell’uno e nell’altro caso, l’obiettivo è mancato. Verità e
amore devono poter vivere insieme, in un felice, anche se non facile,
connubio.
Osserviamo ora, nell’episodio di Gv 8,1-11, la vicenda di Gesù
chiamato a dirimere il caso giuridico dell’adultera. Nell’intricata vicenda, Gesù è stato magistralmente capace di unire la chiarezza della
verità con la dolcezza dell’amore. Un ‘matrimonio’ difficile, eppure
possibile, che reca beneficio a tutti. In caso contrario, se questo matrimonio non si può fare, ne viene un’esistenza scomposta, lacerata,
addirittura schizofrenica.
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Rimasero in due: la misera e la misericordia
Tematica e dinamismo
Prima di procedere nell’analisi del brano, dobbiamo sostare sul
problema dell’attribuzione. Infatti, il brano è un vero busillis per gli
studiosi e su di esso grava l’ipoteca della paternità. Anche se inserito
nel IV Vangelo, quasi tutti concordano nel rifiutare la paternità giovannea per diversi motivi, sia per l’assenza in tanti manoscritti antichi, sia per questioni letterarie (collocazione, stile, vocabolario…).
Non pochi autori lo attribuiscono a Luca, per motivi di vocabolario e
di sensibilità teologica. Lasciando agli specialisti la ricerca dettagliata,
a noi basti ricordare che siamo comunque in presenza di un testo ispirato, cioè di un testo che veicola la rivelazione di Dio. Ci rasserena la
tranquilla certezza di essere in presenza di ‘vangelo’, di una stupenda
pagina che permette di vedere, quasi di ‘palpare’, la misericordia di
Dio, quella che si è concretizzata nella persona di Gesù.
La trama organizzativa risulta semplice ed essenziale. Dopo
una introduzione con indicazioni geografiche e cronologiche (vv.
1-2), la prima parte, più estesa, presenta il dialogo tra i Giudei e Gesù,
per nulla concordi circa il giudizio di una donna adultera sorpresa in
flagrante reato. La soluzione adottata da Gesù obbliga gli altri a mollare la ‘preda’ (vv. 3-9). Usciti di scena gli avversari, la seconda parte
riporta il dialogo tra Gesù e la donna (vv. 8-11). Qui raggiungiamo il
vertice teologico del brano e assaporiamo il succo del messaggio.
Breve commento
L’inizio ha tutto il sapore di un comune racconto. Troviamo
sobrie note informative circa il tempo (al mattino presto) e il luogo
(sulla spianata del tempio). Eppure, appena superata la soglia della
ovvietà narrativa, il lettore attento percepisce sotto la pellicola di alcuni particolari un sostanzioso messaggio. Si intravede una centralità
cristologica che sarà sviluppata nel corso di tutto il racconto.
14
OTTOBRE
Infatti, abbiamo un Gesù che insegna, e un popolo che accorre
ad ascoltarlo. C’è quindi un docente e ci sono persone disposte ad
accogliere la sua parola. Si potrebbe profilare qui una sottile polemica
con tutti coloro che, sapienti presuntuosi, non sentono il bisogno di
mettersi alla scuola dell’unico vero docente. Gesù sta seduto, espressione di autorità, ma altresì espressione di autorevolezza della sua
parola, non omologabile a tante altre che riempiono l’aria lasciando
vuoti i cuori. L’efficacia di tale parola e il piacere di ascoltarla sono
nascosti in quel «tutto il popolo andava da lui», minuscolo crittogramma di successo.
Possiamo intuire che quella parola combina il felice binomio di
verità e di amore: non sono ammessi sconti sulla verità, non patteggiamenti di comodo, ma tutto è condito sempre con il sale della comprensione e dell’accoglienza. Fin dalle prime parole veniamo quindi a
sapere che Gesù occupa il centro dell’interesse, è il Maestro che può
dire una parola verace.
L’annotazione di partenza è quindi molto più di un’informazione, perché diventa chiave di lettura per interpretare correttamente
quanto sta per accadere.
Narriamo dapprima il fatto e poi cerchiamo di interpretarlo.
Il fatto
Mentre Gesù sta insegnando nel tempio, gli è sottoposto un
caso da dirimere: una adultera, colta in flagrante reato, deve essere da
lui giudicata per il suo comportamento peccaminoso. La legge mosaica è ben conosciuta e sentenzia la lapidazione per simili donne. Tale
severità a noi sembra eccessiva, ma va ricordato che essa era intesa
come salvaguardia di un’istituzione fondamentale come la famiglia.
Del resto, un procedimento analogo è reperibile anche presso altri
popoli dell’antichità, come i babilonesi: lo documenta il Codice di
Hammurabi a partire dal paragrafo 129.
15
Rimasero in due: la misera e la misericordia
Alla severità della legge mosaica fa da contrappunto l’atteggiamento di bontà e di comprensione manifestato da Gesù per peccatori
ed emarginati. Che cosa fare? Far pendere il piatto della bilancia in
favore della legge o della misericordia?
Avvertiamo subito un difetto di procedura. Se la donna è stata
sorpresa mentre commetteva adulterio, con lei doveva esserci anche
un uomo. In questo caso la legge prevede che entrambi siano messi
a morte (cf Dt 22,22ss). Perché prendersela solo con la donna? Il
tutto appare ben orchestrato da scribi e farisei i quali, come esplicita
l’evangelista, vogliono tendere una trappola a Gesù: «La donna, posta in mezzo (v. 3) tra Gesù e la folla, diventa subito il simbolo della
controversia tra il Figlio di Dio e i suoi avversari. Essa rappresenta il
problema giuridico tra la legge di Mosè e quella di Gesù» (G. Zevini).
In modo subdolo la domanda degli avversari obbliga Gesù a prendere
posizione, o con una sentenza di condanna, o con una parola di assoluzione. In entrambi i casi la trappola era pronta a scattare. Nel caso
di assoluzione, egli sarebbe stato accusato di trasgredire la legge mosaica. Nel caso di condanna, egli sarebbe stato denunciato all’autorità
romana, perché avrebbe autorizzato una lapidazione, senza nulla osta
della competente autorità romana. Sappiamo infatti che Roma toglieva ai popoli vinti lo jus capitis, cioè il diritto di comminare la pena
capitale. Veramente sulla testa di Gesù pende una ‘spada di Damocle’.
In questa situazione Gesù deve decidere. Prende tempo scrivendo per terra. Sono attimi eterni di impacciante silenzio. Molti si sono
impegnati a decifrare quelle parole o quei segni tracciati sulla sabbia:
per qualche autore Gesù scriveva i peccati degli accusatori, per altri il
comandamento «non commettere adulterio» oppure «non uccidere».
Ha scarsa importanza il contenuto di quella scrittura, forse solo qualche scarabocchio. Meglio osservare che le fredde esigenze della legge
antica si scrivevano sulla pietra, la nuova legge dell’amore si traccia
sul terreno friabile del cuore. Il silenzioso gesto di Gesù che scrive per
terra è segno di imperturbabilità. Stupisce la sua tranquillità, quando
16
OTTOBRE
attorno c’è maretta, anzi aria di tempesta. Il Maestro non perde la
calma, non si lascia agitare da una fretta inconsulta.
Alla reiterata insistenza degli avversari è data una risposta carica di saggezza salomonica. Di fatto, Gesù squarcia il suo silenzio e
la sua parola è come una spada che si conficca nella profondità della
coscienza, colpendo implacabilmente tutte le miserie e le ipocrisie che
vi si annidano: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra
contro di lei». È come dire che solo chi ha la coscienza pulita può
scagliare per primo una pietra.
Il primo lancio tocca, secondo la normativa di Dt 17,7, al testimone oculare, il quale autorizza con il suo gesto tutti i presenti
maggiorenni a prendere parte alla lapidazione.
Nessuno vuole prendersi la responsabilità dell’iniziativa perché
nessuno ha la coscienza pulita. Anzi, gli accusatori si trovano ora sul
banco degli imputati e manifestano la loro colpa con un vergognoso
allontanamento.
Così la legge non è infranta, e l’autorità giudaica non ha nulla
da ridire. Nessuno è messo a morte, e l’autorità romana può starsene
tranquilla. Eluso il tranello, affiora il vero valore dell’atteggiamento di
Gesù, venuto a perdonare e a ridare fiducia: «Va’ e d’ora in poi non
peccare più».
Fin qui la trama del racconto. Tentiamo ora di dipanare il suo
messaggio più profondo.
Il significato del fatto
Gesù tratta con molta umanità la donna, mai dimenticando di
avere davanti una persona che, anche se degradata dal peccato, rimane meritevole di rispetto e, proprio perché peccatrice, destinataria di
profonda comprensione. Per gli accusatori invece la donna era solo
una ‘cosa’ che si poteva tenere o gettare, liberare o lapidare, secondo
il responso di Gesù.
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Rimasero in due: la misera e la misericordia
Ella costituiva un’opportuna esca per spingere Gesù ad una decisione che, nell’uno o nell’altro caso, si ritorceva contro di lui. Ella rimane un oggetto che rende un ottimo servizio agli avversari di Gesù.
Ora tocca a lui dipanare l’aggrovigliata matassa, distribuendo
in modo diverso dignità e responsabilità. Finora esistevano buoni e
cattivi nettamente ripartiti: gli accusatori da una parte e la peccatrice
dall’altra. I custodi scrupolosi della legge e i guardiani della moralità
pubblica si oppongono nettamente alla donna perversa. La divisione
appare agli occhi di Gesù semplicistica, sommaria e perfino falsa. Occorre rimescolare le carte e procedere per gradi.
La legge mosaica esiste e conserva il suo valore: infatti Gesù
non proibisce la lapidazione. Però se la legge c’è, deve essere uguale
per tutti, dentro e fuori: «Chi di voi è senza peccato (= chi osserva la
legge) getti per primo la pietra». A questo punto il mondo farisaico
scopre il suo tallone di Achille. Tutti, cominciando dai più anziani,
lasciano il campo. Non erano proprio irreprensibili come volevano far
credere, né vivevano nel culto della legge se tutti, proprio tutti, ritennero più prudente abbandonare quel luogo e la loro preda, diventata
scomoda esca. Con una semplice frase Gesù può ripartire equamente
le responsabilità, ponendo la donna, peccatrice e colpevole, insieme
ai suoi accusatori, non meno peccatori e colpevoli. Proprio questi non
reggono al confronto e trovano più conveniente andarsene. Rimane la
donna o, come commenta s. Agostino, rimangono in due, la misera e
la misericordia (Relicti sunt duo, misera et misericordia).
A questo punto è appianata la strada per un incontro, un incontro che farà storia o, meglio, farà ‘Vangelo’. Si apre tra i due un
dialogo, essenziale e decisivo. Solo a questo punto Gesù le rivolge la
parola e la chiama «donna», un titolo di deferente rispetto che darà
anche a sua madre. Chi gli sta davanti è una persona che egli non solo
rispetta, ma che pure riabilita. Gesù apre un angolo di cielo blu che
rischiara il cuore della donna. Un dialogo breve per non metterla in
imbarazzo, con risposta ovvia già inclusa nella domanda, prepara la
18
OTTOBRE
salvezza spirituale dopo la salvezza materiale. Gesù non la scusa, né la
giustifica per il suo operato, semplicemente ‘perdona’. E perdono, chi
l’ha provato lo sa, è riabilitazione, rinascita a vita nuova, aria fresca,
possibilità di essere diversi per iniziare un cammino nuovo.
A conclusione e coronamento dell’incontro viene una missione
di fiducia: «Va’ e d’ora in poi non peccare più». Quel «va’» racchiude
qualcosa di più di un semplice congedo e potrebbe essere equiparato
ad una missione profetica, a un annuncio che i tempi nuovi sono
iniziati. La donna si deve fare portavoce presso gli altri che Dio è misericordia e che lei lo ha incontrato visibilmente in Gesù di Nazaret.
Il perdono che ha ricevuto è una liberazione totale e, più di ogni altra
rigida giustizia, serve a creare nel cuore della persona peccatrice l’inizio di un genuino «non peccare più». Il messaggio trasmigra nei secoli
e raggiunge il lettore moderno «invitato egli stesso ad abbandonare le
sue paure, a non bloccarsi nel passato, che a volte è un altro cerchio
di morte, e a camminare nella libertà dei figli di Dio» (Léon Dufour).
Verità e amore
Tutti sono concordi, in linea di principio, a lasciare ampio spazio sia alla verità sia all’amore, due giganti che riempiono, e qualche
volta invadono, l’immaginario collettivo. Il difficile nasce quando si
vuole coniugare concretamente le due realtà. Non è raro assolutizzare
la verità e sconfinare nell’intransigenza e nell’intolleranza, come pure,
sul versante opposto, lasciare spazio all’amore così da atrofizzare la
verità. Logico quindi il divorzio tra verità e amore. Gesù ha insegnato
che i due possono stare sapientemente e felicemente insieme e ha pure
dimostrato il modo.
Stupendamente scandaloso è il messaggio racchiuso in questo
brano che descrive la maliziosa sfida degli accusatori e la sapienza
benigna del giudice, l’unico che potrebbe pronunciare una condanna
contro la peccatrice, peraltro ammonita con severa clemenza.
19
Rimasero in due: la misera e la misericordia
Gesù, il rivoluzionario pacifico, ha sfidato i suoi avversari sul
terreno della coscienza: «Chi di voi è senza peccato...». Egli valorizza
la verità, quella che si nasconde nelle pieghe recondite di ogni uomo.
Aiuta i suoi avversari a rendersene conto. Anche alla donna ricorda il
suo peccato, senza concedere ‘sconti’ assiologici o indebite depenalizzazioni. Non cede alla tentazione di confondere il vero con il falso.
Oggi è di gran moda giustificare tutto e tutti con espressioni del tipo:
«Che cosa c’è di male?... Lo fanno tutti... Non siamo più nel Medioevo». Così si diventa conniventi, complici, perché traditori della verità.
Accogliente non fa rima con connivente, né comprensivo è sinonimo di complice. Stabilita in modo inequivocabile e fermo la verità, occorre coniugarla con l’amore. La novità del messaggio cristiano
consiste nel riconoscere che nessuno è senza peccato e che ognuno
può non peccare più. Il peccato è il passato dell’uomo, la grazia divina
è il suo futuro. Gesù ha amato i suoi avversari perché li ha benevolmente avvisati di non lasciarsi stritolare dalla presunzione di impeccabilità, perché li ha aiutati a togliere quella patina di perbenismo che
spesso e volentieri si spalmavano addosso. Ha offerto loro la possibilità di guardarsi allo specchio della loro coscienza, quasi obbligandoli a
sentirsi bisognosi anch’essi della misericordia di Dio.
Più vistoso e facilmente comprensibile è l’amore dimostrato da
Gesù alla donna. Egli ha inaugurato un tempo nuovo per lei, ritenendola persona, restituendole la sua dignità, anzi, aumentandola con la
certezza del suo perdono e con la fiducia che dopo un incontro autentico con lui si può essere talmente diversi da essere considerati ‘nuovi’.
Il più grande e il più forte è colui che crede che l’avvenire, nonostante
tutto, si può ancora inventare, che il perdono comporta sempre l’avere fiducia in chi ha peccato. Ed è sempre così. La nostra miseria può
sempre incontrare la misericordia del Signore: solo allora siamo in
grado di uscire dalla nostra solitudine per entrare in comunione con
Colui che è l’Amore e la Vita nuova dell’uomo.
20
OTTOBRE
Celebrazione
Accoglienza
Introduzione
Il cammino dei ritiri spirituali dell’anno pastorale 2015-2016 è
ritmato dalle provocazioni evangeliche che nell’anno santo della Misericordia ci spingono a rendere nostro questo stile di vita espresso
dalle scelte e dai gesti evangelici di Cristo.
In questo ritiro ci viene ricordato che “la Misericordia è la via
che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati
per sempre, nonostante il limite del nostro peccato” (Mv n.° 2).
Invochiamo lo Spirito perché sani le nostre ferite con il balsamo
del suo amore.
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Rimasero in due: la misera e la misericordia
1 - Dio con tutto il cuore
Canto di inizio
VENI CREATOR SPIRITUS (AA, 251)
Veni, creátor Spíritus,
mentes tuórum visíta,
imple supérna gratía
quæ Tu creásti péctora.
Qui díceris Paráclitus,
Donum Dei altíssimi,
fons vivus, ignis, cáritas,
et spiritális únctio.
Tu septifórmis múnere,
dextræ Dei Tu dígitus,
Tu rite promíssum Patris,
sermóne ditans gúttura.
Accénde lumen sénsibus;
infúnde amórem córdibus;
infírma nostri córporis
virtúte firmans pérpeti.
Hostem repéllas lóngius,
pacémque dones prótinus:
ductóre sic Te prævio
vitémus omne nóxium.
Per Te sciámus da Patrem,
noscámus atque Fílium,
Te utriúsque Spíritum
credámus omni témpore. Amen.
22
OTTOBRE
Saluto
Pr.: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Ass.: Amen.
Pr.: Fratelli, eletti secondo la prescienza di Dio Padre mediante la
santificazione dello Spirito per obbedire a Gesù Cristo per essere aspersi nel suo sangue, grazia e pace in abbondanza a tutti
voi (MRI, p. 294).
Ass.: E con il tuo spirito.
Salmo preparatorio 125 (126)
Dio interviene in favore del suo popolo in difficoltà. Il passato (il male), il presente
(il perdono) e il futuro (la salvezza) si intrecciano con la certezza che tutta la storia
è segnata dalla misericordia di Dio.
Rit.:
Il Signore è la mia salvezza
e con Lui non temo più
perché ho nel cuore la certezza,
la salvezza è qui con me.
Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra lingua di gioia. Rit.
Allora si diceva tra le genti:
“Il Signore ha fatto grandi cose per loro”.
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia. Rit.
23
Rimasero in due: la misera e la misericordia
Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,
come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime
mieterà nella gioia. Rit.
Nell’andare, se ne va piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni. Rit.
Colletta salmica
Pr.:Preghiamo.
O Padre, tuo Figlio,
nostra Pasqua e nostro Liberatore,
ha seminato nel pianto sul cammino del Calvario
e ha mietuto nella gioia il mattino di Pasqua.
Rinnova questi prodigi per la Chiesa, nostra madre,
fa’ che siamo pronti a perdere la nostra vita in questo mondo,
come il seme di frumento che finisce sotto terra e muore,
e nel giorno del raccolto saremo con Gesù
nella gioia della tua casa.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
Ass.: Amen.
24
OTTOBRE
2 – Dio con tutta la mente
Disponiamoci all’ascolto della Parola di Dio.
Ant.: Alleluia, Alleluia, Alleluia. (AA, 62)
Ritornate a Me con tutto il cuore, dice il Signore,
perché Io sono misericordioso e pietoso.
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 8, 1-11)
1
Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò
di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette
e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero
una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero:
“Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora
Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa.
Tu che ne dici?”. 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere
motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito
per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse
loro: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di
lei”. 8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se
ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse:
“Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. 11Ed ella rispose:
“Nessuno, Signore”. E Gesù disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora
in poi non peccare più”.
Proposta di riflessione
Silenzio
25
Rimasero in due: la misera e la misericordia
3 – Dio con tutta l’anima
Canto di accoglienza dell’Eucaristia
ADORIAMO GESÚ CRISTO (CdP, 605)
(sulla musica di “Genti tutte proclamate”)
Corpo dato, Sangue sparso:
Egli al limite ci amò.
Se tu mangi, se tu bevi,
la sua sorte sceglierai:
è l’offerta della Croce,
qui la Chiesa nascerà.
Sangue ed acqua dono estremo:
si apre il cuore di Gesù.
Se ricevi questa linfa,
nello Spirito vivrai:
è il mistero delle nozze,
Sposo e Sposa in unità.
Ora canta! Spunta l’alba
che tramonto non vedrà.
Se ti svegli, splende il giorno
ed in Cristo brillerai:
è l’incontro col Signore
fino a quando apparirà.
Adorazione
26
OTTOBRE
Tutti:
Preghiera del beato Papa Paolo VI per le Vocazioni (vedi pag. 4)
Silenzio
Per la preghiera personale
Fissiamo la nostra attenzione su due punti fondamentali, nei
quali ci sembra convergere la topografia dottrinale del tema stesso;
due punti diversamente riassuntivi della complessa e immensa materia, in perfetta e corrispondente opposizione l’uno all’altro, quasi in
bilanciata simmetria. […] Questi due punti stanno alla base dell’annuncio evangelico, del Kerigma cristiano, cioè del nostro catechismo,
e sembra a noi che racchiudano in sé la sintesi drammatica della nostra salvezza. Quali sono? Ancora una volta sant’Agostino ci fornisce
la formula, che non è solo verbale, ma reale, umana e teologica, e che
si restringe nelle due formidabili parole: miseria e misericordia (Cfr
En. Ps. 32: PL 36, 287; e De Civ. Dei: PL 41, 636; ecc…). Dicendo
miseria intendiamo parlare del peccato, tragedia umana che si svolge
nella storia del male, abisso oscuro che precipita verso una paurosa
rovina. […] “La conseguenza del peccato è la morte”, afferma san
Paolo (Rm 6,23). Questa è la verità; questa è la sorte dell’uomo, che si
è staccato scientemente e volontariamente dalla sorgente unica e somma della vita, che è Dio. Ma un’altra verità succede; un’altra sorte è
riservata all’uomo per il sopraggiungere d’un gratuito, onnipotente e
ineffabile disegno di Dio: la misericordia. Alla miseria dell’uomo viene in soccorso la misericordia divina. E voi sapete con quale provvidenza: “dove abbondò il delitto, sovrabbondò la grazia” (Rm 5,20). E,
27
Rimasero in due: la misera e la misericordia
sapete, con imprevedibile amore: Cristo, il Verbo di Dio fatto uomo
ha assunto su se stesso la missione redentrice. “Lui, che non conosceva il peccato, si è fatto peccato per noi, affinché noi diventassimo in
lui giustizia di Dio” (2Cor 5,21). Cioè si è offerto vittima espiatrice in
nostra sostituzione, meritando per noi una restituzione allo stato di
grazia, cioè alla partecipazione soprannaturale alla vita di Dio. Non
avremo mai abbastanza esplorato questo piano redentore nel quale
si rivela l’infinita bontà di Dio, l’amore incomparabile di Cristo per
noi, la fortuna senza confini offerta al nostro eterno destino. Entrare
in questo piano significa per noi fare penitenza, cioè sapere accettare,
rivivere questa economia di salvezza. Che cosa v’è di più grande, di
più necessario, e, in fondo, di più bello e di più facile e di più felice?
Papa Paolo VI, Catechesi, 20 marzo 1974
Fratelli miei, […] predichiamo le verità che sono basilari. […]
Predichiamo le verità care a San Paolo: Cristo è necessario, Cristo è
sufficiente, e cioè, Cristo può veramente salvarci. Quel cristianesimo
che è tanto esigente e così fedele, diventa, ad un certo momento, il
cristianesimo della dolcezza, della bontà, della misericordia e della
grazia. Avete udito or ora il Vangelo di questa Messa (Gv 8,1-11),
il brano in cui si imputa di peccato, con una narrazione che sa di
dramma, una povera creatura; ed avete sentito come Cristo, senza
venir meno alle Sue inflessibili leggi morali e alle esigenze del bene e
del male, abbia detto: “Va’ in pace, che io non ti condanno”. Dobbiamo far sentire che la nostra predicazione possiede già in se stessa
virtù di vita, di consolazione, gioia, di perdono, di misericordia, di
recupero, di salvezza. Se così faremo, la nostra predicazione sarà veramente degna di una Missione come questa, così ben preparata, così
ben proclamata.
G.B. Montini, arcivescovo di Milano, omelia nella Basilica di S. Nicolò a Lecco
nell’apertura della missione cittadina 8 ottobre 1961
28
OTTOBRE
Canto di Benedizione
IL SIGNORE È IL MIO PASTORE (AA, 159)
1.
Il Signore è il mio pastore:
nulla manca ad ogni attesa;
in verdissimi prati mi pasce,
mi disseta a placide acque.
2.
È il ristoro dell’anima mia,
in sentieri diritti mi guida
per amore del santo suo nome,
dietro di Lui mi sento sicuro.
3.
Pur se andassi per valle oscura
non avrò a temere alcun male:
perché sempre mi sei vicino,
mi sostieni col tuo vincastro.
4.
Quale mensa per me Tu prepari
sotto gli occhi dei miei nemici!
E di olio mi ungi il capo:
il mio calice è colmo di ebbrezza!
5.
Bontà e grazia mi sono compagne
quanto dura il mio cammino:
io starò nella casa di Dio
lungo tutto il migrare dei giorni.
Intercessioni
Pr.: Il Signore ha mandato il suo Figlio nel mondo non per condannarlo, ma per salvarlo. A Lui rivolgiamo la nostra preghiera:
29
Rimasero in due: la misera e la misericordia
Ass.: Perdonaci, Signore, abbiamo peccato!
Pr.: Signore, siamo portati, sovente, a puntare il dito sui peccatori
dimenticando di evidenziare le cause che possono creare queste
situazioni negative.
Tu, nostra salvezza, sei venuto non per condannare, ma per salvare. Liberaci dalla tentazione del giudizio e rivestici della virtù
della compassione; noi Ti preghiamo:
Ass.: Perdonaci, Signore, abbiamo peccato!
Pr.: Signore, aiutaci a riconoscere e confessare a Te, ogni giorno, il
nostro peccato per esperimentare la grandezza del tuo amore.
Rendici convinti che solo riconoscendoci “perdonati” da Te sia
mo in grado di “perdonare” il nostro prossimo; noi Ti preghiamo:
Ass.: Perdonaci, Signore, abbiamo peccato!
Pr.: Signore, è sempre più difficile, nel nostro contesto, sentirci
spinti al perdono, alla tolleranza, alla misericordia.
Aiutaci a portare i pesi gli uni degli altri perché, riconoscendoci
tutti figli di Adamo, possiamo sentirci accolti e perdonati da Te;
noi Ti preghiamo:
Ass.: Perdonaci, Signore, abbiamo peccato!
Pr.: Signore, riconciliandoci con Te e con i fratelli ritroviamo la via
della vita. Fa’ che la gioia del perdono rinnovi in noi il desiderio
di riprendere l’impegno nel bene, la fedeltà alla Parola, la solidarietà con tutti i fratelli; noi Ti preghiamo:
Ass.: Perdonaci, Signore, abbiamo peccato!
Padre nostro.
30
OTTOBRE
Pr.: Dio di bontà, che rinnovi in Cristo tutte le cose,
davanti a Te sta la nostra miseria:
Tu che hai mandato il tuo Figlio unigenito
non per condannare, ma per salvare il mondo,
perdona ogni nostra colpa
e fa’ che rifiorisca nel nostro cuore
il canto della gratitudine e della gioia.
Per nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio…
(MRI, p. 972)
Ass.: Amen.
Benedizione
Canto di reposizione
SE TU MI ACCOGLI (AA, 192)
Se tu mi accogli, Padre buono,
prima che venga sera,
se Tu mi doni il tuo perdono,
avrò la pace vera:
Ti chiamerò, mio Salvatore,
e tornerò, Gesù, con Te.
Se nell’angoscia più profonda,
quando il nemico assale,
se la tua grazia mi circonda,
non temerò alcun male:
T’invocherò, mio Redentore,
e resterò sempre con Te.
31
Rimasero in due: la misera e la misericordia
4 – Dio con tutte le forze
Per l’attualizzazione e la condivisione
È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il
Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo
per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma
della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove
i poveri sono i privilegiati della misericordia divina.
La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come suoi discepoli. Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli
affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti.
E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare
i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare
gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone
moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti.
Papa Francesco, Misericordiae Vultus,
Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 15
-
Come vivere, insieme alle persone affidate alla nostra cura pastorale, le opere di misericordia?
Risonanze e condivisione
32
OTTOBRE
Conclusione
Tutti: Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo (vedi pag. 3)
Antifona Mariana
SALVE REGINA (AA,308)
Salve, Regína, mater misericórdiæ;
vita, dulcédo et spes nostra, salve.
Ad te clamámus, éxsules filii Evæ.
Ad te suspirámus, geméntes et flentes
in hac lacrimárum valle.
Eia ergo, Advocáta nostra,
illos tuos misericórdes óculos
ad nos convérte.
Et Jesum, benedíctum
fructum ventris tui, nobis
post hoc exsílium osténde.
O clemens, o pia,
o dulcis Virgo Maria.
33
il capo
NOVEMBRE
Prendersi cura:
la parabola del buon samaritano
(Lc 10, 25-37)
Ho scelto la data dell’8 dicembre perché è carica di significato
per la storia recente della Chiesa. Aprirò infatti la Porta Santa nel cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico
Vaticano II. La Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo quell’evento. Per lei iniziava un nuovo percorso della sua storia. I Padri radunati nel Concilio avevano percepito forte, come un vero soffio dello
Spirito, l’esigenza di parlare di Dio agli uomini del loro tempo in un
modo più comprensibile.
35
Prendersi cura: la parabola del buon samaritano
Abbattute le muraglie che per troppo tempo avevano rinchiuso
la Chiesa in una cittadella privilegiata, era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo. Una nuova tappa dell’evangelizzazione di sempre. Un nuovo impegno per tutti i cristiani per testimoniare
con più entusiasmo e convinzione la loro fede. La Chiesa sentiva la
responsabilità di essere nel mondo il segno vivo dell’amore del Padre.
Tornano alla mente le parole cariche di significato che san
Giovanni XXIII pronunciò all’apertura del Concilio per indicare il
sentiero da seguire: «Ora la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore… La
Chiesa Cattolica, mentre con questo Concilio Ecumenico innalza la
fiaccola della verità cattolica, vuole mostrarsi madre amorevolissima
di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i
figli da lei separati».
Sullo stesso orizzonte, si poneva anche il beato Paolo VI, che si
esprimeva così a conclusione del Concilio: «Vogliamo piuttosto notare come la religione del nostro Concilio sia stata principalmente la
carità… L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio… Una corrente di affetto e di ammirazione si è
riversata dal Concilio sul mondo umano moderno. Riprovati gli errori, sì; perché ciò esige la carità, non meno che la verità; ma per le persone solo richiamo, rispetto ed amore. Invece di deprimenti diagnosi,
incoraggianti rimedi; invece di funesti presagi, messaggi di fiducia
sono partiti dal Concilio verso il mondo contemporaneo: i suoi valori
sono stati non solo rispettati, ma onorati, i suoi sforzi sostenuti, le
sue aspirazioni purificate e benedette … Un’altra cosa dovremo rilevare: tutta questa ricchezza dottrinale è rivolta in un’unica direzione:
servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua
infermità, in ogni sua necessità ».
Con questi sentimenti di gratitudine per quanto la Chiesa ha
ricevuto e di responsabilità per il compito che ci attende, attraverseremo la Porta Santa con piena fiducia di essere accompagnati dalla forza
36
NOVEMBRE
del Signore Risorto che continua a sostenere il nostro pellegrinaggio.
Lo Spirito Santo che conduce i passi dei credenti per cooperare all’opera di salvezza operata da Cristo, sia guida e sostegno del Popolo di
Dio per aiutarlo a contemplare il volto della misericordia.
Papa Francesco, Misericordiae Vultus,
Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 4
Per la preparazione personale
Si è ‘prossimi’ perché si appartiene al genere umano che rimanda a un postulato di uguaglianza sostanziale: ‘Tutti gli uomini sono
uguali’. Tale principio, al pari di tutte le idee chiare e semplici, non
si impone facilmente; anzi, sembra che l’uomo ami spesso ricercare i cavilli per sentirsi esonerato dall’impegno concreto. Gesù con la
presente parabola offre in felice combinazione idee e azioni, teoria e
prassi, per mostrare come si diventa ‘prossimo’. Egli ricorda la necessità di ‘prendersi cura’ dell’altro, concetto contiguo, ma non identico a
quello di ‘curare’: il secondo è una professione, compito di specialisti,
il primo è atteggiamento interiore, con risvolto esteriore, che deve
interessare tutti. Il prendersi cura è epifania di misericordia.
37
Prendersi cura: la parabola del buon samaritano
Contesto e dinamica del brano
Il nostro brano è collocato nel contesto del grande viaggio che
aveva preso avvio a 9,51 e terminerà a 19,27 un’ampia sezione in cui
Luca colloca molto materiale che possiede in proprio, come appunto
la presente parabola. Un giorno a Gesù è richiesto di indicare la strada
che conduce alla vita eterna. Nella risposta addita la strada abituale,
quella che tutti conoscono e possono percorrere, l’osservanza della
legge. Non si devono cercare scorciatoie e altre strade. È lo stesso
teologo che aveva posto la domanda a Gesù a citare i passi della legge
dove si parla dell’amore a Dio e al prossimo.
Gesù approva la risposta, cui imprime un vistoso carattere operativo: «Hai risposto bene; FA’ QUESTO e vivrai» (v. 28). La domanda iniziale verteva sul FARE («che cosa devo fare per...») e di
conseguenza la risposta indica come comportarsi.
Il teologo cerca di parare il colpo e di scansarsi dall’impegno
concreto, preferendo disquisire con un’altra domanda: «E chi è il mio
prossimo?». Gesù risponde proponendo la parabola del buon Samaritano e arrivando alla medesima conclusione: «Va’ e ANCHE TU FA’
così » (v. 37). Sul terreno della concretezza dell’esistenza quotidiana si
gioca la vita di fede.
Perché il lettore non si illuda che la vita cristiana sia solamente un fare e un fare qualunque, l’evangelista ha sapientemente fatto
seguire il brano di Marta e di Maria (10,38-42), dove si privilegia
l’ascolto rispetto al fare. Quindi, sembra suggerire Luca con questa
disposizione, si deve distinguere tra fare e fare. C’è un fare doveroso e
inderogabile come quello del buon Samaritano, e c’è un fare che, non
urgente, può essere rimandato per cedere il posto all’ascolto della parola di Gesù. Questi merita la precedenza rispetto a qualsiasi attività
e solo dopo un’attenzione a Lui per essere riempiti del suo amore si
potrà operare, riversando sugli altri quell’amore che è stato precedentemente ricevuto in dono. Solo così amore di Dio e amore del prossimo si saldano e portano a perfezione la vita del credente.
38
NOVEMBRE
Schematicamente (rapporto teoria-prassi):
DOMANDA TEORICA del teologo: v. 29
PARABOLA: vv. 30-35
-situazione concreta dello sventurato: v. 30
-reazione teorica del sacerdote e del levita: vv. 31-32
-reazione pratica del samaritano: vv. 33-35
DOMANDA di Gesù sulla PRASSI: v. 36
Risposta sulla prassi del teologo: v. 37a
CONCLUSIONE PRATICA di Gesù: v. 37b
Breve commento
La parabola che Gesù racconta prende le mosse dalla domanda
del teologo: «E chi è il mio prossimo?», domanda chiaramente capziosa, mirante a cogliere Gesù in fallo. Il termine italiano ‘prossimo’ deriva dalla forma superlativa del latino prope cioè il ‘vicinissimo’, colui
che è fatto segno di attenzione, di stima, di cura. In fondo, di amore.
Il mondo giudaico non riusciva a uniformarsi serenamente sul
concetto di prossimo. Certamente rientrava nel concetto ogni israelita
e poi il forestiero che aveva fissato la sua dimora in Israele, come prescrive Lv 19,34: «Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come
colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi
siete stati forestieri in Egitto. Io sono il Signore vostro Dio». E il forestiero di passaggio? Le scuole rabbiniche si dividevano su questo punto: chi era favorevole a riconoscerlo come prossimo e chi no. Tutte
erano poi concordi nell’escludere dal concetto di prossimo il nemico.
Poiché per gli Ebrei i peggiori nemici erano coloro che attentavano
all’integrità e alla purezza della loro fede, gli eretici samaritani erano
sicuramente esclusi dal concetto di prossimo. Mai un giudeo avrebbe
salutato, tanto meno prestato qualsiasi forma di aiuto a un samaritano.
39
Prendersi cura: la parabola del buon samaritano
Origine dei samaritani
I samaritani indicano propriamente gli abitanti di Samaria,
nome che designa sia la regione centrale della Palestina sia la capitale
della stessa regione. La loro notorietà evangelica non è legata a motivi
geografici, bensì a motivi religiosi. Ecco in breve la loro storia.
Nel 721 a.C. il re assiro Sargon II pone fine al regno del Nord e
distrugge la sua capitale Samaria. Secondo usanze militari del tempo,
parte della popolazione locale è deportata e alcune persone straniere
sono importate. Da questo momento, il gruppo locale, composto originariamente solo da ebrei, finisce per mescolarsi con i nuovi venuti
che introducono usi e costumi diversi, soprattutto favoriscono il culto
di divinità straniere. La popolazione che ne risulta si presenta ibrida
dal punto di vista etnico, culturale e religioso. Gli ebrei presenti sono
considerati eretici dagli altri ebrei e chiamati semplicemente ‘samaritani’ senza ulteriori specificazioni.
La situazione si acuisce quando i samaritani vedono rifiutata la
loro offerta di collaborazione agli Ebrei ritornati da Babilonia e impegnati per la costruzione del tempio e delle mura di Gerusalemme.
In seguito a questo rifiuto costruiscono verso il 330 a.C. sul monte
Garizim un tempio concorrenziale a quello di Gerusalemme. Distrutto nel 128 da Giovanni Ircano, il tempio fu prontamente ricostruito
per continuare a rivaleggiare con quello della Città Santa. I samaritani
rivendicavano di essere i veri adoratori di Dio, avevano il libro sacro,
simile al nostro Pentateuco, il cosiddetto Pentateuco Samaritano, che
ancora oggi mostrano con orgoglio in una sinagoga di Nablus. Sopravvive ancora ai nostri giorni una piccola comunità di samaritani
che conta circa cinquecento membri.
Al tempo di Gesù i rapporti con i samaritani erano molto tesi,
proprio ai ferri corti, soprattutto dopo che alcuni samaritani avevano
bruciato delle ossa sulla spianata del tempio di Gerusalemme con l’evidente intento di profanare il luogo sacro. L’odio era quindi viscerale
40
NOVEMBRE
e si evitavano al massimo i contatti. Il cammino che dal sud conduceva al nord del Paese passava necessariamente dalla regione centrale,
la Samaria; si preferiva tuttavia allungare il cammino prendendo la
strada oltre il Giordano piuttosto che venire a contatto con i samaritani. Lo stesso nome di samaritano era in bocca a un giudeo una grave
offesa che non fu risparmiata neppure a Gesù che si sentì dire un
giorno: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano
e un indemoniato?» (Gv 8,48).
Con queste premesse poco lusinghiere, si comprende l’audacia
di Gesù nel presentare la parabola del samaritano che soccorre e diventa esempio per un giudeo. Una chiara provocazione!
La parabola
Gesù racconta una parabola, inventata per comunicare un insegnamento. Sebbene fittizia, è realisticamente ambientata nella zona
del deserto di Giuda, nel tratto che da Gerusalemme (750 m) conduceva a Gerico (-300 m). Per coprire la trentina di chilometri si
impiegavano 5/6 ore passando in una zona inospitale, ricca solo di
anfratti e di luoghi scoscesi. Un luogo ideale per predoni, perseguitati
politici e tutti coloro che avevano i conti in sospeso con la giustizia.
Il colore rossastro del terreno e, più ancora, il copioso sangue versato dai viaggiatori assaliti e malmenati hanno fatto conservare ancora
oggi il nome di ‘Maalé adumin = salita del sangue’ a un insediamento
ebraico di recente costruzione. Gesù proponendo la parabola ai suoi
ascoltatori richiama loro un luogo tristemente famoso e permette loro
di ambientarsi facilmente nel racconto.
Il dato di partenza è la situazione di bisogno in cui versa lo
sventurato che, assalito e depredato, si trova «mezzo morto» lungo la
strada. Le persone che transitano sulla medesima strada sono tre, in
realtà si potrebbero ridurre a due personaggi, perché sacerdote e levita
sono riprodotti in fotocopia.
41
Prendersi cura: la parabola del buon samaritano
Il sacerdote è probabilmente diretto a casa dopo il servizio al
tempio, essendo Gerico una città ricca di sacerdoti. La vista del malcapitato, non lo spinge a intervenire e prosegue, e passa oltre, come se
nulla fosse. Comportamento analogo da parte del levita, membro cioè
di quella categoria molto affine a quella sacerdotale, con compiti di
custodia e di protezione del tempio. Entrambi vedono e passano oltre. Perché questo assurdo comportamento? Si è voluto parzialmente
giustificare i due ricordando la loro mentalità e formazione religiosa.
Per non contaminarsi era importante evitare scrupolosamente ogni
contatto con i cadaveri, secondo la prescrizione di Lv 21,1: «[...]Un
sacerdote non dovrà rendersi immondo per il contatto con un morto
della sua parentela, se non per un suo parente stretto[...]». La situazione dell’uomo «mezzo morto» poteva essere facilmente assimilabile
a quella di un cadavere.
Accettando pure come possibile questa interpretazione, la sostanza non cambia. Nella rappresentazione del sacerdote e del levita
Gesù polemizza con il ritualismo giudaico, tanto scrupolosamente
attento alla formalità quanto consapevolmente lontano da un vero
amore. Pur ammettendo una ‘impurità’ secondo il modo di pensare
giudaico, si sa che una serie di lavaggi rendeva la persona nuovamente
idonea alla preghiera e all’incontro con Dio. È riprovevole la coscienza professionale che ha soffocato in loro i sentimenti umanitari: i due
preferiscono conservarsi intatti davanti a Dio piuttosto che prestare
soccorso a un disgraziato. Proiettati verso il futuro, dimenticano il
presente. Si registra qui l’assurdità cui porta una religione senz’anima,
ormai non più religione, ma fanatismo, superstizione, pregiudizio,
alienazione. La teoria ha avuto la meglio sulla prassi.
Passa sulla medesima strada un samaritano. Lo spettacolo non
lo lascia insensibile. Con tutta probabilità il disgraziato che giace a
terra è un giudeo, un rivale quindi, ma ciò non blocca l’intervento
del soccorritore che agisce in nome del bisogno presente. Anche lui
«vede» e da questo vedere nasce un «ebbe compassione», sentimento
42
NOVEMBRE
che mette in moto tutta una serie di interventi operativi. Prima di
parlare di questi, occorre mettere a fuoco la causa che li ha generati. La compassione è affidata a quel ricco verbo greco splangnizomai,
attestato anche per l’intervento del Padre nella parabola del Padre
buono (cfr Lc 15,20). Il termine denota un’intima partecipazione
all’evento, una compassione che non nasce da commiserazione o da
istintiva solidarietà con gli sfortunati, ma proviene dalla radice più
pura dell’amore, dalla sorgente stessa della vita. Viene addirittura richiamata la tenerezza materna. Ancora più evocatore è questo termine
se teniamo presente che nella suddetta parabola era stato attribuito al
Padre, chiara rappresentazione di Dio stesso. Già qui si riconosce il
salto qualitativo del Samaritano al quale sono attribuiti nientemeno
che sentimenti divini!
È tanto forte e tanto vera questa nuova passione che nasce in
lui alla vista dello sventurato, che nemmeno pensa a fare spazio a possibili risentimenti o a vecchie ruggini. Non si sofferma a considerare
che è un odiato giudeo e interviene perché c’è un urgente bisogno.
Nemmeno lo trattiene il pensiero del viaggio intrapreso e di eventuali
impegni o appuntamenti che lo potrebbero sollecitare. Il momento
presente, tanto carico di sofferenza per il povero disgraziato, occupa
totalmente l’orizzonte dell’interesse. Tutto il resto passa in seconda
linea; se è un rancore, si dimentica, se è un impegno, si rimanda.
L’espressione «ebbe compassione» che potrebbe richiamare
solo un vago sentimento, produce in realtà una serie di azioni molto
concrete. Per questo è affiancato e illustrato da quel «gli si fece vicino», premessa dei successivi interventi operativi. Qui si capisce bene
il concetto di ‘prossimo’: colui che superando possibili e a volte anche ragionevoli ostacoli è pronto ad offrire generosa collaborazione.
Quindi PROSSIMO SI DIVENTA: prossimo non è necessariamente
colui che ha già dei rapporti di sangue, di razza, di affari con un altro.
Prossimo si diventa nel momento in cui, davanti ad un uomo - anche
al forestiero o al nemico - si decide di compiere quel passo che avvi43
Prendersi cura: la parabola del buon samaritano
cina. Farsi vicino è già farsi prossimo, rendersi attento e disponibile
all’altro, proprio come il Samaritano che modifica se stesso e i suoi
progetti in funzione dell’altro: prima la persona, poi i programmi e le
ideologie. Questa è misericordia incarnata.
Il Samaritano mette in atto una serie di interventi. Il narratore
si attarda fino nel dettaglio, quasi a ricordare che il vero amore fa appello all’intelligenza, alla volontà, al buon senso, alla fantasia, all’ingegnosità, insomma, a tutte le risorse della persona umana. Questo per
combattere ancora una volta la semplicistica equivalenza di amore e
sentimento, un’identificazione spesso reclamizzata e, altrettanto spesso, falsa. Il vero amore è una realtà complessiva, capace di attingere
a tutta la ricchezza della persona. Il nostro incomincia con l’improvvisarsi infermiere e interviene come meglio può, con i mezzi di cui
dispone, vino e olio. Poi, utilizzando la sua cavalcatura come autoambulanza, trasporta il poveretto ad un ‘pronto soccorso’ improvvisato.
Di lui si interessa e si interesserà. Si interessa sborsando due denari,
l’equivalente di due giornate lavorative: tanto più preziosi sono quei
denari quanto più si considera che non ogni giorno si poteva trovare lavoro. Rimane con lo sventurato un poco, forse quanto basta
per rendersi conto che la situazione va migliorando e solo «il giorno
seguente» riprende il viaggio impegnandosi a sborsare di più al ritorno, qualora fosse necessario. All’interessamento presente fa riscontro
l’interessamento futuro, creando una continuità che lo libera dalla
estemporaneità e dall’istintività.
Non si è trattato quindi di un aiuto sporadico, momentaneo,
affrettato, di un soccorso solo perché non si poteva fare a meno. L’aiuto contiene tutte le caratteristiche dell’amore: avvicinamento, attenzione all’altro, farsi carico dei suoi problemi, pagare di persona
sia per il denaro sia per il tempo, interessamento presente e futuro.
E notare, tutto questo senza che sia registrata una parola! Quante
volte, purtroppo, si fa un gran parlare, piani faraonici, progettazioni
pluriennali, discussioni e sedute-fiume, per arrivare spesso a nulla di
44
NOVEMBRE
fatto. Qui le parole non sono registrate, solo i fatti che hanno l’eloquenza della concretezza.
La domanda finale
Alla fine del suo racconto, Gesù pone la domanda al teologo.
È lui che ora interroga. Gesù sposta l’asse della discussione e non
risponde alla domanda teorica, astratta, del teologo su «Chi è il mio
prossimo?», preferendo dimostrare con un esempio COME SI DIVENTA PROSSIMO, che cosa si deve fare per diventare prossimi,
come ci si deve avvicinare all’altro, sia con i sentimenti sia con gli interventi concreti. Lo spostamento sta qui: non che cosa gli altri verso
di te, ma che cosa tu verso gli altri. Il punto saliente della parabola
sta nel concetto che se uno davvero ama, egli stesso sa trovare il suo
prossimo, quello che ha bisogno. Il bisogno è titolo sufficiente perché
si debba intervenire, come si può e con i mezzi a disposizione, senza
tentennamenti, rimpianti, proroghe o demandando agli altri.
Non solamente il dottore della legge ha imparato chi è il prossimo. Anche il lettore, il cristiano di tutti i tempi, non potrà esimersi
dai suoi impegni o sottrarsi alle sue responsabilità nascondendosi dietro una giustificazione ipocrita quale ‘non sapevo’ o ‘tocca agli altri’.
Chi ha ascoltato la parabola, deve passare all’azione. Sulla necessità
della prassi si era già espresso Gesù: «Perché mi chiamate: Signore, Signore e poi non fate ciò che dico?» (Lc 6,46). Solo chi ascolta e mette
in pratica è come l’uomo saggio che costruisce la sua casa sulla roccia,
sicuro che nulla riuscirà ad abbatterla.
La parabola si chiude con una rovente battuta, un duro colpo
per la presunzione farisaica. Dire a un dottore della legge e, attraverso
lui, a tutto il gruppo farisaico «Va’ e anche tu fa’ così» cioè «comportati bene come ha fatto il Samaritano» equivale ad una dichiarazione di
guerra. Come è possibile che un esperto della legge divina, un teologo
diremmo noi oggi, impari da un eretico? La scelta di Gesù del per45
Prendersi cura: la parabola del buon samaritano
sonaggio samaritano include pure la lezione che tutti sono potenziali
maestri che hanno qualcosa da insegnare, come pure tutti sono potenziali discepoli che hanno qualcosa da imparare. Le facili divisioni,
le discriminazioni fra buoni e cattivi, sono artifici umani che non
rispondono a verità. Gesù riabilita e promuove la poco invidiabile
categoria dei samaritani che ha nel personaggio della parabola il prototipo più illustre.
Dalla parte di Dio
La parabola non intende semplicemente proclamare una filantropia universale, un intervento comunque a favore dell’uomo. Troppo poco per essere ‘Vangelo’. Essa dimostra piuttosto che chi ama il
prossimo documenta di aver accolto in sé la stessa passione di bene
di Dio verso i suoi figli. Chi ama l’altro, si trova a essere, anche se lo
ignora, in sintonia con Dio perché ne condivide i sentimenti e i progetti. Partecipa della misericordia divina e entri nel raggio di azione
della beatitudine per i misericordiosi.
Questo spiega l’intima comunione fra il comandamento dell’amore a Dio e quello dell’amore al prossimo che sono in realtà due
facce dell’unica medaglia, perché non è possibile l’uno senza l’altro.
Come una medaglia con una sola faccia è falsa, così la mancanza di
uno dei due aspetti invalida l’altro. Non si può separare Dio dall’uomo e l’uomo da Dio. Per questo non si può prediligere l’uno e misconoscere l’altro. Ignorare l’uomo significa non aver conosciuto Dio e la
misura dell’amore a Dio è l’uomo che è la sua più perfetta immagine.
Per questo il concetto di filantropia non conviene alla presente
parabola, risulta totalmente sbiadito, anzi, addirittura estraneo al nostro testo. Qui si parla di amore teologale, quello che arriva all’uomo
partendo da Dio. Del resto, la parabola non è altro che la proiezione
dell’essere e dell’agire divino che si è rivelato e fatto visibile in Cristo.
46
NOVEMBRE
Celebrazione
Accoglienza
Introduzione
Siamo tutti convinti che Dio è amore, che l’amore ai fratelli
rende visibile l’amore di Dio per gli uomini. La liturgia stessa contiene testi e preghiere fecondati dalla ricchezza dell’amore di Dio.
Eppure non sempre è facile esprimere nella vita l’amore celebrato nel rito. Non basta applaudire i Samaritani di oggi, è necessario
assumere lo stile di vita di coloro che, avendo scelto Cristo, ne vanno
ricercando i lineamenti nei volti sofferenti del prossimo.
Lo Spirito è fuoco di carità: invochiamolo perché infiammi la
nostra vita col fervore del suo dono.
47
Prendersi cura: la parabola del buon samaritano
1 - Dio con tutto il cuore
Canto di inizio
TU SEI COME ROCCIA (AA, 255)
1.
Tu sei come roccia di fedeltà:
se noi vacilliamo, ci sosterrai,
perché Tu saldezza sarai per noi.
Certo non cadrà questa tenace rupe!
2.
Tu sei come fuoco di carità:
se noi siamo spenti, c’infiammerai,
perché Tu fervore sarai per noi.
Ecco: arderà nuova l’inerte vita!
3.
Tu sei come lampo di verità:
se noi non vediamo, ci guarirai,
perché Tu visione sarai per noi.
Di Te la città splende sull’alto monte!
Saluto
Pr.: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Ass.: Amen.
Pr.:
Ass.:
Lo Spirito del Signore,
che con la sua Parola feconda la storia dell’uomo
rendendola storia di salvezza, sia con tutti voi.
E con il tuo spirito.
48
NOVEMBRE
Salmo preparatorio 18 (19)
La lode alla legge divina dell’amore deve in noi unirsi profondamente alla nostra
vita perché i gesti concreti della carità diano testimonianza al nostro Dio che è
grande nell’amore.
Rit.: Ubi caritas et amor, ubi caritas Deus ibi est. (Taizé)
La Legge del Signore è perfetta,
Il timore del Signore è puro,
rinfranca l’anima;
rimane per sempre;
la testimonianza del Signore è stabile, i giudizi del Signore sono fedeli,
rende saggio il semplice. Rit.
sono tutti giusti. Rit.
I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi. Rit.
Più preziosi dell’oro,
di molto oro fino,
più dolci del miele
e di un favo stillante. Rit.
Colletta salmica
Pr.:Preghiamo.
O Dio, nostro Padre,
hai mandato a noi la tua Parola di luce,
il vero sole che manifesta a tutti gli uomini la tua gloria,
e con i messaggeri del Vangelo hai fatto giungere
la sua voce fino ai confini del mondo.
Apri i nostri cuori alla luce dei tuoi comandamenti,
concedici di gustare la dolcezza della tua Legge:
purificati da ogni peccato saliremo con Cristo
nella sommità dei cieli.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
Ass.: Amen.
49
Prendersi cura: la parabola del buon samaritano
2 – Dio con tutta la mente
Acclamazione al Vangelo
Ant.: Alleluia, Alleluia, Alleluia. (AA, 62)
Le tue parole, Signore, sono spirito e vita;
Tu hai parole di vita eterna.
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 10, 25-37)
25
Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. 26Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?”. 27Costui rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore,
con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente,
e il tuo prossimo come te stesso “. 28Gli disse: “Hai risposto bene; fa’
questo e vivrai”.
29
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: “E chi è mio
prossimo?”. 30Gesù riprese: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a
Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo
percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per
caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo
vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò
oltre.
33
Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto,
vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un
albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari
e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai
in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36Chi di questi tre ti sembra sia
stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?”. 50
NOVEMBRE
Quello rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli
disse: “Va’ e anche tu fa’ così”.
37
Proposta di Riflessione
Silenzio
3 – Dio con tutta l’anima
Canto di accoglienza dell’Eucaristia
TU FONTE VIVA (AA, 253)
Tu fonte viva: chi ha sete, beva!
Fratello buono, che rinfranchi il passo;
nessuno è solo se Tu lo sorreggi,
grande Signore!
Tu, pane vivo: chi ha fame, venga!
Se Tu lo accogli, entrerà nel Regno:
sei Tu la luce per l’eterna festa,
grande Signore!
Tu segno vivo: chi Ti cerca, veda!
Una dimora troverà con gioia:
dentro l’aspetti, Tu sarai l’amico,
grande Signore!
Adorazione
51
Prendersi cura: la parabola del buon samaritano
Tutti:
Preghiera del beato Papa Paolo VI per le Vocazioni (vedi pag. 4)
Silenzio
Per la preghiera personale
Domanderemo al Signore, per intercessione della Madonna,
che, come al Samaritano, dia anche a noi l’intelligenza dei bisogni
altrui, delle necessità che ci circondano, dei disagi profondi che la
nostra società, nonostante il benessere di cui gode, ha prodotto e non
ci lascia scorgere. Che il Signore ci apra gli occhi, e ci dia anche l’attitudine, il coraggio, la virtù di soccorrere il nostro prossimo, di far
nostre le pene altrui, di allargare il campo della nostra carità, di sentirci socialmente solidali con i fratelli che a noi chiedono aiuto. La
solidarietà cristiana, l’interessamento per il bene degli altri, la capacità
di vedere un fratello in ogni uomo, quali ne siano la provenienza,
lo stato, le condizioni, i meriti, è una caratteristica squisitamente ed
essenzialmente evangelica. Domandiamo al Signore la grazia di essere
cristiani veri, nella professione e nell’esercizio della carità per i fratelli.
Papa Paolo VI, dall’Angelus domenicale, 25 agosto 1963
Il vero e giusto sentimento è quello del Buon Samaritano, che
ha compassione di chi soffre. […] Il cristiano è un uomo compassionevole. “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia; beati
coloro che piangono perché saranno consolati”. Il Signore stabilisce,
instaura una solidarietà del dolore, destinata realmente al fiorire di
52
NOVEMBRE
una umanità buona, solidale, sorella nelle sue componenti, e idonea
a corrispondere a quanto Gesù ha fatto miracolosamente. […] Noi,
suoi seguaci, potremo imitare la prima parte in qualche misura, vale
a dire condividere il dolore dei nostri fratelli, pur non avendo sempre
la capacità di guarirlo, e non possedendo il potere di annullarlo e di
trasfigurarlo in gioia e in trionfo. Ma quel che ci è possibile basta perché la compassione derivata dal Vangelo risulti una tra le più belle e
consolatrici sorgenti di squisita carità e d’opere nobilissime. […] Ma
quel che notiamo in questa figura diventata tanto rappresentativa non
lo vediamo forse in tutti i Missionari. […] Cerchiamo di far davvero
della compassione che il Cristianesimo ci insegna una fonte di opere
egregie che vanno dalla gentilezza della parola, della condoglianza,
dell’amicizia, della trasfusione di affetti da cuore a cuore, all’amplissima possibilità di suscitare opere provvide per il conforto, il sollievo
dei fratelli, la loto serenità, la loro guarigione, fin dove è possibile, e
di partecipare al rimpianto, quando ci poniamo in ginocchio sulle
tombe dei cari trapassati alla vita eterna.
Papa Paolo VI, dall’Omelia del 19 settembre 1965
Canto di Benedizione
SEI TU SIGNORE IL PANE (AA, 147)
Sei Tu, Signore, il pane
Tu cibo sei per noi.
Risorto a vita nuova,
sei vivo in mezzo a noi.
Se porti la sua croce,
in Lui tu regnerai.
Se muori unito a Cristo,
con Lui rinascerai.
È Cristo il pane vero,
diviso qui fra noi:
formiamo un solo corpo
e Dio sarà con noi.
Verranno i cieli nuovi,
la terra fiorirà.
Vivremo da fratelli:
la Chiesa è carità.
53
Prendersi cura: la parabola del buon samaritano
Intercessioni
Pr.: Il nostro Dio non è un Dio lontano o straniero. È presente nelle
persone che soffrono. Preghiamo per tutti i figli di Dio che sono
ignorati, nella solitudine e nella sofferenza; diciamo:
Ass.: Rendici, Signore, attenti alle sofferenze del mondo
e samaritani che aiutano e perdonano.
Pr.: Signore, non ti stanchi mai di annunciare l’amore come l’architrave della vita cristiana.
Fa’ che la notte del dolore del nostro prossimo si apra alla luce
pasquale che promana da Te che sei il Crocifisso Risorto; noi Ti
preghiamo:
Ass.: Rendici, Signore, attenti alle sofferenze del mondo e samaritani che aiutano e perdonano.
Pr.: Signore, se posso aiutare qualcuno e non lo faccio io pecco contro un fratello.
Attorno a noi c’è una folla che aspetta: ammalati, anziani, gente incredula, persone stanche e tristi. Aiutaci a servire i fratelli
sofferenti; noi Ti preghiamo:
Ass.: Rendici, Signore, attenti alle sofferenze del mondo
e samaritani che aiutano e perdonano.
Pr.: Signore, il Samaritano non frequentava il tempio di Gerusalemme, certamente era considerato un infedele. Eppure ebbe
compassione del fratello bisognoso.
Fa’ che smettiamo di essere accusatori e rendici servitori convinti delle debolezze umane; noi Ti preghiamo:
Ass.: Rendici, Signore, attenti alle sofferenze del mondo
e samaritani che aiutano e perdonano.
54
NOVEMBRE
Pr.: Signore, se qualcuno ha bisogno del mio tempo: quello è il mio
prossimo! Se qualcuno ha bisogno della mia pace e della mia
serenità: quello è il mio prossimo!
Aiutaci ad accogliere il prossimo che Tu ci doni ogni giorno;
noi Ti preghiamo:
Ass.: Rendici, Signore, attenti alle sofferenze del mondo
e samaritani che aiutano e perdonano.
Padre nostro.
Pr.:
Ass.:
Padre misericordioso,
che nel comandamento dell’amore
hai posto il compendio e l’anima di tutta la Legge,
donaci un cuore attento e generoso
verso le sofferenze e le miserie dei fratelli,
per essere simili a Cristo,
buon samaritano del mondo.
Egli è Dio e vive e regna con Te,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Amen.
Benedizione
55
Prendersi cura: la parabola del buon samaritano
Canto di reposizione
PASSA QUESTO MONDO (CdP, 702)
Noi annunciamo la Parola eterna:
Dio è amore.
Questa è la voce che ha varcato i tempi:
Dio è carità.
Rit.: Passa questo mondo, passano i secoli,
solo chi ama non passerà mai. (2 volte)
Dio è luce e in Lui non c’è la notte:
Dio è amore.
Noi camminiamo lungo il suo sentiero:
Dio è carità. Rit.
Noi ci amiamo perché Lui ci ama:
Dio è amore.
Egli per primo diede a noi la vita:
Dio è carità. Rit.
4 – Dio con tutte le forze
Per l’attualizzazione e la condivisione
Non sarà inutile in questo contesto richiamare al rapporto tra
giustizia e misericordia. Non sono due aspetti in contrasto tra di loro,
ma due dimensioni di un’unica realtà che si sviluppa progressivamente fino a raggiungere il suo apice nella pienezza dell’amore.
56
NOVEMBRE
La giustizia è un concetto fondamentale per la società civile
quando, normalmente, si fa riferimento a un ordine giuridico attraverso il quale si applica la legge. Per giustizia si intende anche che a
ciascuno deve essere dato ciò che gli è dovuto.
Papa Francesco, Misericordiae Vultus,
Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 20
- Come richiamare al rapporto tra giustizia e misericordia nel nostro
servizio pastorale?
Risonanze e condivisione
Conclusione
Tutti: Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo (vedi pag. 3)
Antifona Mariana
SUB TUUM PRÆSIDIUM (AA, 309)
Sub tuum præsìdium confùgimus,
sancta Dei Génitrix;
nòstras deprecatiònes
ne despìcias in necessitàtibus,
sed a perìculis cunctis libera nos semper,
Virgo gloriosa et benedìcta.
57
il costato
DICEMBRE
Una donna che ama, perché amata
(Lc 7, 36-50)
Ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo
chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi
stessi segno efficace dell’agire del Padre. È per questo che ho indetto
un Giubileo Straordinario della Misericordia come tempo favorevole
per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei
credenti.
L’Anno Santo si aprirà l’8 dicembre 2015, solennità dell’Immacolata Concezione. Questa festa liturgica indica il modo dell’agire di
59
Una donna che ama, perché amata
Dio fin dai primordi della nostra storia. Dopo il peccato di Adamo ed
Eva, Dio non ha voluto lasciare l’umanità sola e in balia del male. Per
questo ha pensato e voluto Maria santa e immacolata nell’amore (cfr
Ef 1,4), perché diventasse la Madre del Redentore dell’uomo. Dinanzi
alla gravità del peccato, Dio risponde con la pienezza del perdono. La
misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato, e nessuno può
porre un limite all’amore di Dio che perdona. Nella festa dell’Immacolata Concezione avrò la gioia di aprire la Porta Santa. Sarà in
questa occasione una Porta della Misericordia, dove chiunque entrerà
potrà sperimentare l’amore di Dio che consola, che perdona e dona
speranza.
La domenica successiva, la Terza di Avvento, si aprirà la Porta
Santa nella Cattedrale di Roma, la Basilica di San Giovanni in Laterano. Successivamente, si aprirà la Porta Santa nelle altre Basiliche
Papali.
Nella stessa domenica stabilisco che in ogni Chiesa particolare,
nella Cattedrale che è la Chiesa Madre per tutti i fedeli, oppure nella
Concattedrale o in una chiesa di speciale significato, si apra per tutto
l’Anno Santo una uguale Porta della Misericordia.
A scelta dell’Ordinario, essa potrà essere aperta anche nei Santuari, mete di tanti pellegrini, che in questi luoghi sacri spesso sono
toccati nel cuore dalla grazia e trovano la via della conversione.
Ogni Chiesa particolare, quindi, sarà direttamente coinvolta a
vivere questo Anno Santo come un momento straordinario di grazia
e di rinnovamento spirituale. Il Giubileo, pertanto, sarà celebrato a
Roma così come nelle Chiese particolari quale segno visibile della
comunione di tutta la Chiesa.
Papa Francesco, Misericordiae Vultus,
Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 3
60
DICEMBRE
Per la preparazione personale
Dio perdona, io no non è solo l’ingenuo titolo di un film, bensì
lo spudorato atteggiamento che spesso accompagna e avvelena le relazioni dell’uomo verso i propri simili. È necessario mettersi alla scuola
dell’unico Maestro per apprendere, sia pure a fatica, una lezione la
cui applicazione nella vita rimane sempre difficile, per fortuna non
impossibile.
Un episodio, reperibile solo nel Vangelo di Luca, diventa il
punto di partenza della nostra riflessione: una persona condizionata
dal giudizio gelido e intransigente degli uomini sarà liberata e valorizzata dal giudizio benevolo di Gesù che, come sempre, preferisce
compiacersi del presente e del futuro, anziché congelarsi nel passato,
oggetto solo di ricordo.
Esistono diverse posizioni per osservare un oggetto: davanti,
di dietro, a lato, dentro, fuori... e ognuna mette in luce un aspetto.
Dovendo sceglierne una, si cercherà quella che valorizza al massimo
l’oggetto in questione. Esistono più modi per considerare un brano
evangelico e il titolo è rilevatore della prospettiva scelta. Accettando il
titolo abituale dato a Lc 7,36-50 – La peccatrice perdonata - si accoglie,
anche solo inconsciamente, la negatività del soggetto (peccatrice) e la
sua passività (perdonata). Preferiamo una prospettiva più luminosa,
aiutando il lettore a cogliere il dinamismo vitale che Gesù ha innescato con quell’incontro. Intitolando Una donna che ama, perché amata
visualizziamo il brano nella prospettiva positiva di un amore che, da
equivoco e inquinato, si purifica e giunge a maturità, quando risponde all’Amore.
61
Una donna che ama, perché amata
Contesto e dinamica del brano
Il brano è collocato tra il giudizio di Gesù sulla sua generazione e la presentazione di alcune donne al suo seguito. Dapprima è
dichiarata l’incapacità dei suoi contemporanei a cogliere la bontà del
momento presente, sempre pronti a desiderare qualcosa di diverso.
Non partecipano né alla gioia del ballo né al lamento del pianto, limitandosi a criticare ed estraneandosi sia dal messaggio del Battista sia
da quello di Gesù. Simile atteggiamento sarà continuato dal fariseo
che invita Gesù: lo accoglie come un estraneo e gli resta accanto come
un estraneo. Non così la donna che si avvicina a Gesù con sentimenti
di pentimento e ne partirà con la fragranza del perdono. L’incontro
con Gesù purifica, cambia, promuove a nuova vita. Il seguito del nostro racconto testimonia questa verità: alcune donne liberate dal male
o dalla cupidigia sono al servizio di Gesù, inaugurando il discepolato
al femminile.
L’episodio mette in scena tre personaggi: il fariseo, Gesù e la
donna peccatrice. All’interno dell’episodio si trova una parabola, i cui
protagonisti non sono altro che la controfigura dei tre appena nominati. La comparsa dei commensali verso la fine (v. 49) vale come voce
fuori campo per rilevare la centralità di Gesù, la figura chiave attorno
alla quale ruota tutta la narrazione. Il brano, analizzando più da vicino, è formato dalla presentazione dei personaggi, dal dialogo di Gesù
con il fariseo e dalla valutazione di Gesù sulla donna.
Abbiamo dapprima la presentazione dei personaggi (vv. 3638). Non si danno circostanze di luogo e di tempo e si inizia subito
presentando i personaggi nell’ordine: fariseo, Gesù e donna. Il fariseo
è presentato come colui che invita e Gesù come l’invitato. La donna
non è invitata dal fariseo, si autoinvita, compie dei gesti verso Gesù
e da lui è invitata ad andarsene in pace. L’operato della donna è ampiamente descritto perché Gesù vuole insegnare a quale banchetto si
deve prendere parte, al banchetto dove si dà e dove si riceve misericor62
DICEMBRE
dia. Segue il dialogo fra Gesù con il fariseo (vv. 39-47). Questa parte,
cuore di tutto il racconto, svela il significato del gesto compiuto dalla
donna ed è un vero saggio di pedagogia. Il lettore è messo a conoscenza del pensiero del fariseo che giudica male la donna e pone forti
ipoteche sul valore di Gesù. Questi accetta la provocazione e inizia a
parlare coinvolgendo il fariseo, lo interessa al dialogo e gli propone
una parabola che termina con un interrogativo. Il fariseo risponde,
ottiene l’approvazione di Gesù che porta a conclusione il suo dire
palesando il senso profondo della parabola. Infine, risuonano le parole di Gesù rivolte alla donna (vv. 48-50). È un monologo quanto a
parole, perché solo Gesù parla; nello stesso tempo è un dialogo perché
sono rimasti due personaggi: Gesù e la donna; il fariseo è scomparso
e conferma così una vecchia regola: chi sputa veleno si autodistrugge.
Di lui l’evangelista non si interessa più, non vale la pena, è un tipo
troppo comune, troppo meschino. Non fa storia.
Se ora consideriamo il racconto dalla prospettiva della donna,
otteniamo il seguente schema:
1. PRESENTAZIONE DI LUCA
considera:
- chi è (era): peccatrice
- che cosa fa: piange, unge... (sguardo al passato e al presente)
2. FARISEO
considera:
- chi è: peccatrice (sguardo al passato)
- non considera che cosa fa
3. GESÙ
considera:
- che cosa fa
- chi è (potrebbe essere o sarà) (sguardo al presente o al futuro)
63
Una donna che ama, perché amata
Excursus: il problema dell’identificazione
L’anonimato non piace. È come il negativo di una fotografia
che non permette di distinguere bene i soggetti ivi rappresentati. Per
questo si è voluto togliere dall’anonimato la donna di questo brano e
darle un volto, quello di Maria, sorella di Lazzaro, o quello di Maria
di Magdala. La titubanza nell’interpretazione testimonia la fragilità
degli argomenti addotti.
Si scarta l’identificazione con Maria di Magdala perché ella
compare esplicitamente pochi versetti più avanti (cf Lc 8,2-3) ed è
presentata come un soggetto nuovo. Del resto, gli argomenti a favore dell’identificazione sono alquanto labili, volendo far equivalere la
cacciata dei sette demoni da Maria con l’esistenza peccaminosa della
donna che unge i piedi a Gesù.
Qualche probabilità in più potrebbe avere l’identificazione con
Maria, sorella di Lazzaro. Leggiamo in Gv 11,2: «Maria era quella
che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato
i piedi con i suoi capelli». Questo potrebbe convalidare il racconto di Luca. Sappiamo che l’episodio di Giovanni è presentato anche
da Matteo e da Marco (Mt 26,6-7; Mc 14,3-4), sia pure con alcune
varianti. Matteo, Marco e Giovanni concordano nell’interpretazione
profetica del gesto compiuto, anticipo della sepoltura. Mentre però
Matteo e Marco parlano di profumo versato sulla testa di Gesù, Giovanni indica che a essere profumati furono i piedi, asciugati poi con
i capelli. Solo in Giovanni la donna riceve un’identità sicura: Maria,
sorella di Lazzaro.
Luca concorda con Giovanni nel fatto che sono i piedi a essere
profumati e asciugati, aggiunge però che la donna piange su quei piedi. Luca, al pari di Matteo e di Marco lascia la donna nell’anonimato.
Si distacca da tutti gli altri evangelisti nel collocare l’episodio lontano
dalla Pasqua, o almeno, senza diretto riferimento a essa.
Mentre l’Occidente ha facilmente identificato e confuso la pec64
DICEMBRE
catrice con Maria di Magdala, l’Oriente ha sempre mantenuto distinte le due figure. Senza poter dire una parola definitiva, la conclusione
più accettabile sembra la seguente: si tratta di un caso simile, ma diverso da quello narrato dagli altri evangelisti: la donna è lasciata volutamente nell’anonimato, per una squisita delicatezza di Luca.
Breve commento
Gesù non è nuovo a polemiche con i farisei: li scandalizza quando assicura il perdono dei peccati al paralitico calato dal tetto (cfr Lc
5,20), offre loro motivo di critica quando accetta di sedere a tavola
con chiunque (cfr Lc 5,30-32), li sorprende quando coglie spighe o
guarisce in giorno di sabato (cfr Lc 6,2.7). La polemica nasce da una
diversa visualizzazione della verità, unilaterale e sclerotizzata per i farisei, totale e dinamica per Gesù. Al di là della discussione, intesa da
Gesù come servizio alla verità, egli non conserva risentimenti, non ha
pregiudizi verso questi laici superimpegnati nella religione, tant’è che
accetta l’invito a tavola da uno di loro. Con tutta probabilità sono
invitati anche i discepoli, sempre a seguito di Gesù, anche se l’evangelista non li nomina, forse per far giocare la scena a tutto campo ai tre
personaggi: il fariseo, Gesù e la donna.
Il fariseo solo in seguito sarà identificato con Simone (v. 44);
per ora, a determinarlo bastano sia la sua appartenenza alla classe dei
farisei - un gruppo di ‘puri’, di ‘separati’ come attesta il loro stesso nome - sia il fatto che può permettersi di invitare Gesù e altri, i
commensali del v. 49. Per logica deduzione, doveva essere un fariseo
benestante.
In questo brano Gesù non ha né presentazione né qualifica: di
lui si dice semplicemente l’accoglienza dell’invito. Dunque, un uomo
disponibile all’incontro, al dialogo e, eventualmente, alla discussione.
Il terzo personaggio della scena, una donna, attira l’attenzione e
proprio su di lei si accendono i riflettori dell’interesse, fin dall’iniziale
65
Una donna che ama, perché amata
«Ed ecco», usato spesso per introdurre un elemento di novità o di
sorpresa. La donna è subito avvolta da luce negativa, è una peccatrice,
qualifica generica che vale per il termine più specifico di prostituta.
Conosciuta la donna per quello che è, il lettore la conosce per quello
che fa in questo momento. Avendo saputo della presenza di Gesù,
prende l’iniziativa, si reca nella casa del fariseo e osa compiere dei gesti
anche strani e compromettenti, descritti fin nel dettaglio. Ha preso un
vaso di profumo, certamente di grande valore se conservato in un vaso
di alabastro (la traduzione italiana «vaso» rende il greco «alabastro»).
Ella si colloca dietro a Gesù che, come tutti i commensali, più che
stare seduto come facciamo noi, era sdraiato sui divani (cfr il v. 36
«si mise a tavola», in greco «si sdraiò»), appoggiato su un lato e con
i piedi sul divano. Era quindi facile per lei toccare i piedi. Proprio i
piedi sono oggetto di tanta attenzione che si sprigiona dalla sequenza
dei verbi: bagnati, asciugati, baciati e profumati. L’uso dell’imperfetto
in greco esprime che queste azioni si protraggono nel tempo: nessuno
interviene e tutti lasciano fare, certo sorpresi da questa donna grintosa
ricca di originalità e di fantasia. Ci voleva del coraggio per entrare nella
stanza dove mangiavano gli uomini, solitamente distinti dalle donne.
Dal fariseo ospitante viene la prima, sommessa, reazione. Anziché cogliere il valore del gesto e l’originalità dell’azione, tanto più
sorprendente quanto più si pensa a quel mondo tendenzialmente maschilista, egli si attiene a un ferreo concetto: una donna di tal fatta,
‘contamina’ quelli che tocca rendendoli non idonei all’incontro con
Dio, proprio come quando si viene a contatto con un cadavere o qualcosa di marcio. La non reazione di Gesù vale per il fariseo come prova
della non conoscenza di Gesù, che non è allora il profeta tanto reclamizzato dalla folla. La logica religiosa non sembra fare una grinza.
Gesù non rivolge subito la parola alla donna e preferisce indirizzarsi dapprima al suo ospite. E questo non per un semplice dovere
di galateo, ma per impartire a tutti la lezione che gli altri devono
essere considerati nuovi quando offrono gesti nuovi.
66
DICEMBRE
Una parabola contraddittoria?
Gesù aggancia il discorso chiedendo di poter dialogare con il
suo ospite. In realtà si tratta di un monologo perché all’altro non resta
che approvare, senza nulla cambiare o aggiungere.
Gesù parte da un quadretto di condono: un creditore cancella
il debito di due debitori che gli dovevano rispettivamente 50 e 500
denari, un rapporto cioè di 1 a 10. La domanda «Chi di loro dunque
lo amerà di più?» non suona del tutto pertinente al lettore italiano
che distingue tra ‘riconoscenza’ ed ‘amore’. Bisogna però sapere che la
lingua ebraica non dispone di un termine proprio che esprima il ringraziamento e la riconoscenza e per questo affida al termine ‘amore’
di esprimere questo sentimento. La risposta arriva immediata e facile:
sarà più riconoscente quello che ha ricevuto un condono maggiore.
Solo ora la donna è chiamata in scena da Gesù. Il terreno è
pronto per additarla come esempio. Gesù richiama le azioni da lei
compiute: bagnare, asciugare, baciare, profumare, ponendole in un
contrasto di pronomi: «Tu non... lei invece». Il fariseo non porta certo
il grave peso di una colpa come la donna. Non per questo ha il diritto
di giudicare e di condannare. Diventa colpevole per un peccato di
omissione, quello di avere perso l’occasione di considerare la donna
per quello che stava facendo, anziché irrigidirsi nel considerare quello
che ella aveva compiuto nella sua vita trascorsa. La colpa del fariseo è
incisa nella sentenza: «Sono perdonati i suoi molti peccati poiché ha
molto amato. Invece quello al quale si perdona poco, ama poco» (v.
47). La frase fa difficoltà. Nella prima parte sembra invertire la logica
della parabola, riallacciarsi alla logica dell’episodio e seguire la successione amore-perdono; la seconda parte sembra contraddire la prima e
riallacciarsi alla logica della parabola nella successione perdono-amore. Proviamo a considerare la cosa con più attenzione.
Il brano si compone di due parti, un avvenimento (la donna e
Gesù) e una parabola raccontata da Gesù, che apparentemente non
67
Una donna che ama, perché amata
sembrano ben conciliarsi. La parabola aveva mostrato la sequenza
condono-riconoscenza secondo cui la riconoscenza o amore sarebbe
direttamente proporzionale al condono: più alto è questo, più grande
deve essere la riconoscenza. A questa logica risponde la seconda parte
della frase di Gesù: «Quello al quale si perdona poco, ama poco». Qui
il perdono precede l’amore che diventa una conseguenza. L’episodio
invece aveva presentato i termini invertiti: prima i gesti di amore della
donna e poi il perdono di Gesù, presentato come conseguenza.
Che cosa concludere? Il perdono di Gesù è causa (parabola) o
conseguenza (episodio)? La parabola contraddice forse il racconto?
La teoria di Gesù urta contro la prassi della donna? Il testo bisogna
riconoscerlo, offre qualche difficoltà di comprensione. Nel tentativo
di renderlo logico, non sono mancate proposte di armonizzazione con
traduzioni a dir poco bizzarre, oppure sono state tentate alcune integrazioni al testo.
Una soluzione viene dalla considerazione del nostro articolato
rapporto con la divinità. Gesù con le sue parole ripropone il contrasto
espresso nella parabola e più ancora nell’atteggiamento della donna. Il
perdono di Dio e l’amore della creatura si inseguono in una complessa articolazione di rapporti che non è facile definire: per amare Dio
bisogna essere perdonati (o almeno possedere una certa familiarità
con il divino, cfr Gv 6,44: «Nessuno può venire a me, se non lo attira
il Padre che mi ha mandato»), quindi il perdono precede l’amore.
D’altro canto, è altrettanto vero che gesti di amore favoriscono o ‘provocano’ il perdono, cosicché l’amore precede il perdono. Vediamo il
caso concreto.
Gesù e la donna
Gesù si rivolge alla donna dicendole: «I tuoi peccati sono perdonati» (v. 48). Il perdono di Gesù arriva dopo che ella ha compiuto
gesti d’amore nei suoi confronti. Quindi prima ci sono gesti d’amore
68
DICEMBRE
e poi il perdono. Però ci chiediamo subito: si sarebbe avventurata
questa donna in un rischio simile senza conoscere Gesù, senza sapere
della sua tenerezza per i peccatori, senza aver sentito la novità portata dalla sua predicazione? Certamente no. Quindi è pur vero che
una vaga idea, se non proprio di perdono, almeno di accoglienza e di
comprensione, precede i gesti di amore. Lo si può provare ricordando
che all’inizio sta scritto: «Saputo che si trovava nella casa del fariseo,
venne...» (v. 37). Gesù non è per lei uno sconosciuto. A lui può rivolgere la sua attenzione perché lui non è come gli altri uomini. Questa donna ama perché Gesù permette, favorisce, ha preparato questo
amore. È per questo che la donna ha osato tanto. In seguito all’amore
della donna, Gesù risponde con un amore più grande, il perdono che
è la forma di amore propria di Dio. Da qui la reazione incredula degli
astanti: «Chi è costui che perdona anche i peccati?» (v. 49). Si può
pertanto risolvere la apparente contraddizione del rapporto amoreperdono e perdono-amore dicendo che entrambi sono veri: la donna
riceve il perdono pieno dopo aver compiuto gesti di amore e questi
gesti sono permessi da una conoscenza almeno complessiva della bontà di Gesù. La donna ama, perché già è stata amata.
Alla fine Gesù la congeda: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace»
(v. 50). La frase suona quasi spaesata, avulsa dal suo contesto abituale
che è quello del miracolo. Eppure Luca sta raccontando un miracolo,
il più bel miracolo di Gesù, il miracolo dell’amore. Il racconto solo
alla fine trova la parola ‘fede’ mentre prima aveva usato il vocabolario
dell’amore (vv. 42.47). L’evangelista sembra dire: nei gesti di amore
della donna si è manifestata la sua grande fede che ha strappato a
Gesù il miracolo del perdono.
Per una società migliore...
Gesù non si schiera con le prostitute contro i farisei, nemmeno
sta dalla parte del disordine o della passione contro l’ordine e la legge.
69
Una donna che ama, perché amata
Ha invece fatto capire ciò che per lui è importante: la persona umana.
Sia essa uomo o donna, ciascuno riceve da lui attenzione. Viene incontro al fariseo accogliendo dapprima l’invito, e poi aiutandolo a capire la dimensione di Dio. Alla donna ha consentito di compiere dei
gesti e poi le ha parlato. Gesù non fa discriminazioni. Semmai sono le
persone che con le loro reazioni si discriminano davanti a lui. Nel momento in cui Gesù parla alla donna, anche il fariseo non è più quello
di prima: ha perso le sue sicurezze, i suoi giudizi sono stati frantumati
dal giudizio di Gesù. Per essere dei suoi non bisogna inchiodarsi al
passato, ma lasciarsi trasportare dal presente verso il futuro, la novità,
quella che il Vangelo propone nella persona di Gesù.
La lezione supera i confini storici dell’accaduto e arriva fino
ai lettori di oggi. Con il riferimento all’atteggiamento generoso di
Gesù, l’evangelista ricorda ai cristiani di tutti i tempi che non possono permettersi un regresso alla superbia farisaica. Il male si vince
non condannando le persone, tanto meno isolandole o ‘ghettizzandole’, ma facendo chiarezza sul peccato e aiutandole ad abbandonare
la sponda del vizio per approdare a quella del bene. Occorre star loro
vicini, incoraggiare, accogliere e far riecheggiare i segni luminosi che
trasmettono. La donna ha parlato nei gesti che ha compiuto, Gesù ha
capito il suo eloquente silenzio. Amore chiama amore.
70
DICEMBRE
Celebrazione
Accoglienza
Introduzione
Nel ritiro spirituale del mese scorso eravamo stati invitati a farci prossimi di quanti hanno bisogno di ascolto, di misericordia e di
perdono.
Oggi ci viene ricordato che sappiamo amare il prossimo nella
misura in cui riusciamo a fare una vera esperienza di amore.
La celebrazione penitenziale che siamo chiamati a vivere si fa
garante dell’amore preveniente di Dio, capace di renderci impegnati
nel perdono e nell’amore verso il prossimo.
Invochiamo lo Spirito perché, rendendo feconda la nostra esperienza dell’amore e del perdono del Signore, ce ne renda annunciatori
miti e forti alle nostre comunità.
71
Una donna che ama, perché amata
1 - Dio con tutto il cuore
Canto di inizio
NUNC SANCTE NOBIS SPIRITUS (LU)
1.
Nunc Sáncte nóbis Spíritus,
Unum Pátri cum Fílio,
dignáre prómptus íngeri
nóstro refúsus pectóri.
2.
Os, língua, mens, sénsus, vígor,
Confessiónem pérsonent :
Flamméscat ígne cáritas,
Accéndat árdor próximos.
3.
Praésta, Páter piíssime
Patríque cómpar Unice
Cum Spíritu Paráclito,
régnans per ómne saéculum. Amen.
Saluto
Pr.: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Ass.: Amen.
Pr.: Il Dio della speranza che ci riempie di ogni gioia e pace nella
fede per la potenza dello Spirito Santo, sia con tutti voi.
(MRI, p. 294)
Ass.: E con il tuo spirito.
72
DICEMBRE
Salmo preparatorio 31 (32)
Il Salmo mette l’accento più sulla misericordia di Dio che sulle nostre colpe di peccatori. Solo così possiamo manifestare la gioia di sentirci perdonati.
Rit.: Purificami, o Signore,
sarò più bianco della neve. (AA, 9)
Beato l’uomo a cui è tolta la colpa
e coperto il peccato.
Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto
e nel cui spirito non è inganno. Rit.
Ti ho fatto conoscere il mio peccato,
non ho coperto la mia colpa.
Ho detto: “Confesserò al Signore le mie iniquità”
e Tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato. Rit.
Tu sei il mio rifugio, mi liberi dall’angoscia,
mi circondi di canti di liberazione.
Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti!
Voi tutti, retti di cuore, gridate di gioia! Rit.
Colletta salmica
Pr.:Preghiamo.
O Dio, Padre pieno di compassione,
Tu hai mandato tuo Figlio a chiamare
Non quelli che si credono giusti,
ma quelli che si sentono peccatori;
73
Una donna che ama, perché amata
Ass.:
hai fatto pesare su di Lui, innocente,
il peso dei nostri peccati
e, accettando il suo sacrificio,
ci hai resi giusti in Lui.
Fa che riconosciamo i nostri peccati.
Per Cristo nostro Signore.
Amen.
2 – Dio con tutta la mente
Acclamazione al Vangelo
CANTO PER CRISTO (AA, 173)
Ant.: Alleluia, Alleluia, Alleluia, Alleluia, Alleluia. (2v)
Canto per Cristo che mi libererà, quando verrà nella gloria,
quando la vita con Lui rinascerà, Alleluia, Alleluia!
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 7, 36-50)
36
Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella
casa del fariseo e si mise a tavola. 37Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò
un vaso di profumo; 38stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo,
cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li
baciava e li cospargeva di profumo. 74
DICEMBRE
Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: “Se
costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna
che lo tocca: è una peccatrice!”. 40
Gesù allora gli disse: “Simone, ho da dirti qualcosa”. Ed egli
rispose: “Di’ pure, maestro”. 41”Un creditore aveva due debitori: uno
gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. 42Non avendo essi
di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque
lo amerà di più?”. 43Simone rispose: “Suppongo sia colui al quale ha
condonato di più”. Gli disse Gesù: “Hai giudicato bene”. 44E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: “Vedi questa donna? Sono
entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece
mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. 45Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato,
non ha cessato di baciarmi i piedi. 46Tu non hai unto con olio il mio
capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo . 47Per questo io
ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato.
Invece colui al quale si perdona poco, ama poco”. 48Poi disse a lei: “I
tuoi peccati sono perdonati”. 49Allora i commensali cominciarono a
dire tra sé: “Chi è costui che perdona anche i peccati?”. 50Ma egli disse
alla donna: “La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!”.
39
Proposta di Riflessione
Silenzio
75
Una donna che ama, perché amata
3 – Dio con tutta l’anima
Celebrazione della riconciliazione
Atto penitenziale
Pr.: Fratelli, in questo tempo liturgico dell’Avvento, risuona forte
la parola del Precursore, che invita a riscoprire il primato della
fede nella nostra vita, per rendere l’annuncio del Vangelo motivato, convinto e coinvolgente.
Con il canto tipico dell’Avvento chiediamo il dono della virtù della penitenza per vivere la consolazione con il Redentore,
contenuto nella nostra evangelizzazione.
Canto
RORATE CAELI (LU)
Rit.: Roráte, caeli, désuper et nubes pluant justum.
Ne iráscaris, Dómine,
Ne ultra memíneris iniquitátis :
Ecce cívitas sancti facta est
desérta : Sion desérta facta est,
Jerúsalem desoláta est,
domus sanctificatiónis tuae et glóriae tuae,
ubi laudavérunt Te patres nostri. Rit.
Peccávimus, et facti sumus
tamquam immundus nos,
et cecídimus quasi fólium univérsi:
76
DICEMBRE
et iniquitátes nostrae
quasi ventus abstulérunt nos.
Abscondísti fáciem tuam a nobis,
et allisísti nos in manu iniquitátis nostrae. Rit.
Vide Dómine afflictónem pópuli tui
et mitte quem missúrus es.
Emítte Agnum dominatórem terrae,
de petra desérti ad montem fíliae Sion,
ut áuferat ipse jugum captivitátis nostrae. Rit.
Consolámini, consolámini, pópule meus:
cito veniet salus tua:
quare maerore consuméris,
quia innovávit te dolor?
Salvábo te, noli timére:
ego enim sum Dóminus Deus tuus,
Sánctus Israel, Redémptor tuus. Rit.
Pr.: Ora, animati dallo Spirito del Signore e illuminati dalla sapienza del Vangelo, riconciliamoci fra di noi e invochiamo con fede
Dio Padre, per ottenere il perdono dei nostri peccati.
Padre nostro.
Pr.:
O Dio, che non ti stanchi mai di usarci misericordia,
donaci un cuore penitente e fedele
che sappia corrispondere al tuo amore di Padre,
perché diffondiamo lungo le strade del mondo
il messaggio evangelico di riconciliazione e di pace.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio…
77
Una donna che ama, perché amata
Silenzio
Per la preghiera personale
La pagina evangelica ancora ci invita a riflettere sul tema drammatico del peccato e su quello gaudioso del perdono. […] In questo
mistero è il nodo in cui si stringe ed in cui si scioglie ogni questione
delle sorti umane, lo sappiamo o no, lo crediamo o no; noi tutti vi
siamo coinvolti. Ora un’affermazione fondamentale s’impone: tutti
abbiamo bisogno di salvezza (Lumen Gentium, 53; 1Tm 2,4); nascendo, noi siamo naufraghi in questa inevitabile avventura; dimenticarla
è cecità; rifiutarla è perdizione. Dobbiamo salvarci. Ed allora un’altra
logica conclusione: noi dobbiamo avere coscienza di questo bisogno;
cioè dobbiamo avere coscienza del male; del male nostro, del male
che è nel mondo. […] Il nostro bene comincia dalla conoscenza del
nostro male. […] Il primo capitolo, ci riguarda tutti personalmente.
È quello del male supremo, il peccato. […] Il battesimo ci ha redenti
da questo fatale malanno, ma non ci ha del tutto guariti dalle sue
conseguenze, da cui derivano quegli altri mali. […] Noi moderni stiamo perdendo il senso del peccato. […] Perduto il senso di Dio e la
percezione del nostro rapporto con Lui, rapporto continuamente urgente (la legge morale) nel campo del nostro agire e perciò del nostro
comportamento responsabile in ordine a Lui, cade anche il senso del
peccato; l’uomo pensa d’essersi liberato, ma s’è in realtà liberato dalla
bussola direttiva del proprio divenire cosciente e vitale; rimane solo
e senza principi assoluti per distinguere il bene dal male e per dare al
dovere il suo vigore trascendente; senza Dio, tutto può diventare lecito (cfr Dostoevskij). Ma un senso oscuro ed inestinguibile d’indegnità
e d’incapacità subentra nello spirito di chi agisce senza più riferirsi a
Dio; e tanto dovrebbe bastare per non disdegnare, anzi per accogliere
con ineffabile gioia l’incontro con Cristo, che dà simultaneamente
78
DICEMBRE
la coscienza del peccato e quella della sua misericordiosa e vittoriosa
riparazione. […] Secondo capitolo di questa dolorosa sapienza: l’avvertenza, e con l’avvertenza la deplorazione, e, per quanta possibile, la
riparazione dei mali; che sono nel mondo. […] Come non possiamo
consentire con quelli che denunciano fieramente soltanto i mali fuori
delle loro persone e delle loro responsabilità, e dimenticano il «mea
culpa» per i propri peccati e per le loro proprie corresponsabilità,
così non possiamo approvare quelli che circoscrivono la sensibilità al
campo della loro personale coscienza, e si disinteressano dei mali, dei
dolori, dei bisogni, di cui soffre la società, anche se tali elementi negativi riguardano la sfera temporale, piuttosto che quella strettamente
religiosa. […] E il solo sguardo, che perciò siamo obbligati a posare
sopra i disordini e le sofferenze, che sono nel panorama storico e sociale di questa ora della vita moderna, ci riempie d’immenso dolore,
il quale però diventa per noi immenso amore per i nostri fratelli ed
immensa fiducia nei carismi redentori della morte e della risurrezione
del Signore Gesù.
Papa Paolo VI, Catechesi 25 marzo 1970
La Maddalena si è buttata ai piedi di Cristo, e ha cominciato
a piangere; ha bagnato con le sue lacrime, asciugato con i suoi capelli quei piedi benedetti di Cristo che le portavano il messaggio del
perdono e della pietà. E noi che facciamo? Ecco […] che ne pensate
dell’amore? Abbiamo sentito tante volte questo nome usato in tanti
sensi, e soprattutto vicino a tutti i piaceri e a tutti i vizi. È un nome
che è diventato equivoco, che nasconde tante cose diverse. Ma quando lo portiamo vicino a Gesù Crocifisso, o a Gesù che sta sull’altare
nascosto sotto quella apparenza di pane, allora sentiamo che amare
è un’altra cosa. […] Provate ad amare, e vedrete che è la cosa, si più
grande, ma anche la più difficile. È difficile: perché occorrerebbe trarre
dalla nostra anima, dal fondo del nostro cuore sentimenti immensi:
bisogna trovare qualche cosa di molto bello, bisogna saper cantare,
79
Una donna che ama, perché amata
cantare amantis est dice Agostino (Serm. 336,1), e l’Amore richiama il
canto. Bisognerebbe dire le parole più forti, le parole più belle, le parole più dolci, le parole più umili, le parole più vere, bisogna mettere
in questa espressione tutta la nostra anima, ed ecco perché è difficile.
Però sappiate che è proprio questo che noi dobbiamo fare a questo
mondo. Che cosa siamo qui a fare in questo mondo? Il Signore ce l’ha
detto: “Guarda, una sola cosa è importante e le riassume tutte: amare,
amare, amare”.
G.B. Montini, arcivescovo di Milano, Discorso in occasione della visita
all’ospizio “Sacra famiglia” di Cesano Boscone l’1 marzo 1957
Canto per l’accoglienza dell’Eucaristia
Accogliamo l’Eucaristia “farmaco d’immortalità” perché sostenga il
nostro impegno nel confessare il peccato e nel vivere riconciliati con
Dio e con i fratelli.
TU, QUANDO VERRAI (AA 160)
Tu, quando verrai, Signore Gesù,
quel giorno sarai un sole per noi.
Un libero canto da noi nascerà
e come una danza il cielo sarà.
Tu, quando verrai, Signore Gesù,
insieme vorrai far festa con noi.
E senza tramonto la festa sarà,
perché finalmente saremo con Te.
Tu, quando verrai, Signore Gesù,
per sempre dirai: “Gioite con Me!”.
Noi ora sappiamo che il Regno verrà:
nel breve passaggio viviamo di Te.
80
DICEMBRE
Confessione individuale
Preghiera comunitaria di ringraziamento
e benedizione eucaristica
Pr.: La grazia del Signore ha reso nuova la nostra vita. Nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore,
Gesù Cristo, manifestiamo la nostra gioia per il dono messianico del perdono offertoci da Cristo, Parola fatta carne.
Canto
VIENI, O RE, MESSAGGERO DI PACE (R.N.)
(sulla musica di “Il Signore è il mio pastore)
Vieni, o Re messaggero di pace,
reca al mondo il sorriso di Dio:
nessun uomo ha visto il suo volto,
solo Tu puoi svelarci il mistero.
Ora visiti noi nella fede
per donarci la vita di Dio:
Tu ci offri il tuo Corpo e il tuo Sangue
a salvezza del nostro peccato.
Noi crediamo che all’ultimo giorno
tornerai con potenza e splendore
per premiare in eterno gli eletti
nella lode e nel canto perenne.
Fa che allora guardiamo sereni
al tuo volto raggiante di gloria,
per seguirTi lassù dove regni
con il Padre e lo Spirito Santo.
81
Una donna che ama, perché amata
Pr.: O Cristo, stella radiosa del mattino, incarnazione dell’infinito
amore, salvezza sempre invocata e sempre attesa, tutta la Chiesa
ora Ti grida come la sposa pronta per le nozze: vieni Signore
Gesù, unica speranza del mondo.
Tu che vivi e regni per tutti i secoli dei secoli. (MRI, p. 1025)
Ass.: Amen.
Benedizione
Canto di reposizione
TI PREGHIAM CON VIVA FEDE (AA, 170)
1.
Ti preghiam con viva fede,
assetati siam di Te;
nella gioia di chi crede
vieni, amato Re dei re.
Rit.:
O Signore, Redentore,
vieni vieni, non tardar
o Bambino, Re divino,
dona pace ad ogni cuor.
2.
O Maria, dolce aurora,
tu che annunzi il Salvator,
rendi il cuore sua dimora,
cresca l’uomo nell’amor. Rit.
3.
T’invochiam, Sol d’Oriente,
trepidanti d’ansietà,
vieni, o luce della mente,
tutto il mondo attende già. Rit.
82
DICEMBRE
4 – Dio con tutte le forze
Per l’attualizzazione e la condivisione
Il Giubileo porta con sé anche il riferimento all’indulgenza.
Nell’Anno Santo della Misericordia essa acquista un rilievo particolare. Il perdono di Dio per i nostri peccati non conosce confini. Nella
morte e risurrezione di Gesù Cristo, Dio rende evidente questo suo
amore che giunge fino a distruggere il peccato degli uomini. Lasciarsi
riconciliare con Dio è possibile attraverso il mistero pasquale e la mediazione della Chiesa. Dio quindi è sempre disponibile al perdono e
non si stanca mai di offrirlo in maniera sempre nuova e inaspettata.
Noi tutti, tuttavia, facciamo esperienza del peccato. Sappiamo di essere chiamati alla perfezione (cfr Mt 5,48), ma sentiamo forte il peso del
peccato. Mentre percepiamo la potenza della grazia che ci trasforma,
sperimentiamo anche la forza del peccato che ci condiziona. Nonostante il perdono, nella nostra vita portiamo le contraddizioni che
sono la conseguenza dei nostri peccati. Nel sacramento della Riconciliazione Dio perdona i peccati, che sono davvero cancellati; eppure,
l’impronta negativa che i peccati hanno lasciato nei nostri comportamenti e nei nostri pensieri rimane. La misericordia di Dio però è più
forte anche di questo. Essa diventa indulgenza del Padre che attraverso
la Sposa di Cristo raggiunge il peccatore perdonato e lo libera da ogni
residuo della conseguenza del peccato, abilitandolo ad agire con carità, a crescere nell’amore piuttosto che ricadere nel peccato.
Papa Francesco, Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo
straordinario della Misericordia, n. 22
- Come aiutare a comprendere il valore dell’indulgenza?
Risonanze e condivisione
83
Una donna che ama, perché amata
Conclusione
Tutti:
Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo (vedi pag. 3)
Antifona Mariana
ALMA REDEMPTORIS (LU)
Alma Redemptóris Máter
quae pérvia caéli pórta mánes,
et stélla máris,
succúrre cadénti,
súrgere qui cúrat pópulo:
tu quae genuísti,
natúra miránte,
tuum sánctum Genitórem.
Vírgo prius ac postérius,
Gabriélis ab óre
súmens íllud Ave,
peccatórum miserére.
84
le scapole e le spalle
GENNAIO
Le lacrime di una madre strappano
la compassione di Gesù
(Lc 7, 11-17)
Con lo sguardo fisso su Gesù e il suo volto misericordioso possiamo cogliere l’amore della SS. Trinità.
La missione che Gesù ha ricevuto dal Padre è stata quella di
rivelare il mistero dell’amore divino nella sua pienezza.
«Dio è amore» (1 Gv 4,8.16), afferma per la prima e unica volta in tutta la Sacra Scrittura l’evangelista Giovanni. Questo amore è
ormai reso visibile e tangibile in tutta la vita di Gesù. La sua persona
non è altro che amore, un amore che si dona gratuitamente.
85
Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù
Le sue relazioni con le persone che lo accostano manifestano
qualcosa di unico e di irripetibile. I segni che compie, soprattutto
nei confronti dei peccatori, delle persone povere, escluse, malate e
sofferenti, sono all’insegna della misericordia. Tutto in Lui parla di
misericordia. Nulla in Lui è privo di compassione.
Gesù, dinanzi alla moltitudine di persone che lo seguivano, vedendo che erano stanche e sfinite, smarrite e senza guida, sentì fin dal
profondo del cuore una forte compassione per loro (cfr Mt 9,36). In
forza di questo amore compassionevole guarì i malati che gli venivano
presentati (cfr Mt 14,14), e con pochi pani e pesci sfamò grandi folle
(cfr Mt 15,37). Ciò che muoveva Gesù in tutte le circostanze non
era altro che la misericordia, con la quale leggeva nel cuore dei suoi
interlocutori e rispondeva al loro bisogno più vero. Quando incontrò
la vedova di Naim che portava il suo unico figlio al sepolcro, provò
grande compassione per quel dolore immenso della madre in pianto,
e le riconsegnò il figlio risuscitandolo dalla morte (cfr Lc 7,15).
Dopo aver liberato l’indemoniato di Gerasa, gli affida questa
missione: «Annuncia ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che
ha avuto per te» (Mc 5,19).
Anche la vocazione di Matteo è inserita nell’orizzonte della misericordia. Passando dinanzi al banco delle imposte gli occhi di Gesù
fissarono quelli di Matteo. Era uno sguardo carico di misericordia che
perdonava i peccati di quell’uomo e, vincendo le resistenze degli altri
discepoli, scelse lui, il peccatore e pubblicano, per diventare uno dei
Dodici.
San Beda il Venerabile, commentando questa scena del Vangelo, ha scritto che Gesù guardò Matteo con amore misericordioso e lo
scelse: miserando atque eligendo.
Mi ha sempre impressionato questa espressione, tanto da farla
diventare il mio motto.
Papa Francesco, Misericordiae Vultus,
Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 8
86
GENNAIO
Per la preparazione personale
Una madre, per definizione creatrice di vita, è ora muta testimone di morte. Il caso, notevolmente tragico per una serie di circostanze sfavorevoli, non possa inosservato allo sguardo premuroso di
Gesù. Egli interviene a far rifiorire una giovane vita prematuramente
stroncata. Il presente è uno dei tre casi di risurrezione operata da Gesù
nei racconti evangelici. Consideriamo questo, non tanto sotto l’aspetto di risurrezione, quanto piuttosto sotto l’aspetto di compassione di
Gesù verso una madre che, vedova, si vede privata anche dell’unico
figlio.
Contesto e dinamica del brano
L’episodio, che appartiene a Luca in esclusiva, è preceduto remotamente dal discorso della beatitudine e da alcune massime (6,2049) e immediatamente dalla guarigione del servo del centurione (7,110). Rispetto al suo immediato contesto, il nostro episodio mostra un
‘crescendo’: se prima si parla di guarigione, ora si parla di risurrezione;
se prima a beneficiare dell’intervento di Gesù è un servo, ora è un figlio; se prima il guarito è restituito al suo padrone, uomo, centurione,
ora il risuscitato è restituito alla madre, donna vedova.
Il contesto che segue riporta la domanda di Giovanni sul Messia e la relativa risposta di Gesù (7,18-23). Proprio in questa risposta
che contiene il riferimento ai morti che risuscitano (cfr v. 22) si trova
la spiegazione dell’inserzione dell’episodio a questo punto.
87
Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù
parti:
Se ora vogliamo articolare meglio il brano, notiamo le seguenti
INTRODUZIONE:
indicazione di luogo, circostanze, personaggi: vv. 11-12
INTERVENTO DI GESÙ:
- con la parola consolatrice alla madre: v. 13
- con la parola creatrice al morto: v. 14
RISULTATO DELL’INTERVENTO DI GESÙ:
il giovane risuscita ed è consegnato alla madre: v. 15
CONCLUSIONE:
commento dei presenti e diffusione della fama: vv. 16-17
Breve commento
Dopo il discorso che ha manifestato alcune esigenze del Regno
di Dio, Gesù riprende la sua attività missionaria, accompagnato dai
discepoli e da grande folla. La loro presenza svolgerà la preziosa funzione di testimoni oculari di quanto ora sta succedendo. Si avvicinano
a una città chiamata Nain, propriamente un villaggio, poiché dotato
di una sola porta, quindi di dimensioni ridotte. Ancora oggi il nome
è conservato da un piccolo centro a circa 10 Km da Nazaret, di fronte
al monte Tabor. Si può pensare che il miracolo sia stato operato proprio lì.
Il gruppo si imbatte in un funerale. Si tratta di un caso disperato perché il defunto è giovane, per di più figlio unico. Quasi la
situazione non si presentasse già complicata, si aggiunge che la madre era vedova. Ci sono tutti gli ingredienti per trasformare un caso
disperato in tragedia. Il figlio è unico, «unigenito» come dice il testo
88
GENNAIO
greco. L’indicazione accresce notevolmente l’intensità del dolore, per
i sottili riferimenti inclusi. La morte del figlio unico, quindi anche
primogenito, era considerata una grave disgrazia: «Ne faranno il lutto
come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange
il primogenito» (Zc 12,10b). La situazione si aggrava ulteriormente
ricordando lo stato di vedovanza della madre. Non raramente la vedova viveva nella vulnerabilità giuridica e in una precaria condizione
economica. Per questo una norma del codice legislativo ebraico intendeva proteggerla e perciò prescriveva: «Non maltratterai la vedova
e l’orfano» (Es 22,21); gli faceva eco il salmista che inneggiava a Dio
«Padre degli orfani e difensore delle vedove» (Sal 68,6) e, di rimando, la predicazione profetica insisteva: «Rendete giustizia all’orfano
e difendete la causa della vedova» (Is 1,17). Con la morte del figlio,
quella vedova rimane privata dell’unico sostegno che aveva. La folla numerosa che accompagna il funerale contribuisce a rendere più
drammatica la scena.
Era tanto importante partecipare al funerale che i rabbini potevano interrompere lo studio della legge per accompagnare il defunto al
cimitero. Se questo valeva sempre, a maggior ragione nel presente caso.
Presentando il funerale e il caso disperato della donna, nonché il cordoglio generale della popolazione, sono poste le premesse
dell’intervento miracoloso. Il caso colpisce anche Gesù che appena
vede la donna si muove verso di lei e interviene senza esserne richiesto. La cosa merita di essere rimarcata, perché è molto raro che Gesù
intervenga a vantaggio di qualcuno senza un’esplicita richiesta. La
motivazione sta tutta in quel verbo «fu preso da grande compassione»
che ritorna anche altrove («ebbe compassione» a 10,33 per il buon
Samaritano e a 15,20 per il Padre buono). Luca che aveva chiamato
Gesù il Signore (v. 13), titolo che esprime la potenza di Dio, presenta
ora un Gesù che si commuove. È la felice combinazione della divinità
e dell’umanità. Gesù è ‘Signore’, ma pure capace di avvicinarsi a chi
è nel bisogno per condividerne il dolore. Ancora più sorprendente è
89
Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù
questo intervento, se si pensa che è stato fatto a favore di una donna,
per di più vedova. Le categorie emarginate e a rischio, sono quelle
privilegiate da Gesù.
Egli vede la donna e si interessa di lei. Le si avvicina per dirle
«non piangere» o meglio, come si esprime l’originale greco, «cessa
di piangere». Qualcosa sta per accadere. Le lacrime di quella madre
disperata devono aver colpito Gesù che non invita la donna a rassegnarsi, a prendere tutto dalle mani di Dio per trovare pace. Egli si
preoccupa piuttosto di farle capire che Dio è presente, è all’opera.
Dalle parole passa all’azione e si avvicina alla bara, una semplice asse
su cui era adagiato il cadavere. Gesù tocca la bara e supera con questo
gesto la paura farisaica della contaminazione; egli si dimostra uomo
libero e il suo gesto sembra ricordare che la vera contaminazione proviene da un’altra sorgente, più esattamente dal cuore, cioè dall’interno
dell’uomo, come dirà in un altro contesto: «Dal di dentro, cioè dal
cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive, fornicazioni, furti,
omicidi, adulteri... Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo» (Mc 7,21-22).
Seguono le parole rivolte al morto che contengono la prorompente forza divina di Gesù: «Ragazzo, dico a te, alzati!». Il comando
è perentorio e realizza subito quanto dice. Il giovane si pone in posizione da seduto, segno che non è più morto, e soprattutto comincia
a parlare. Il linguaggio è strumento di comunicazione, espressione
di viventi, e il giovane riprende quel fascio di relazioni che la morte
aveva bruscamente interrotto.
Che la madre, più che il giovane, abbia attirato l’attenzione di
Gesù e lo abbia commosso, è ulteriormente confermato dal particolare «egli lo restituì a sua madre». Gesù in persona si prende cura di
restituire il figlio a questa donna che vede miracolosamente e inopinatamente rifiorire sotto i suoi occhi una vita che considerava ormai
definitivamente spezzata.
90
GENNAIO
La conclusione è una celebrazione corale della potenza di Dio
manifestata in Cristo. Per Luca il miracolo è un gesto della misericordia di Gesù verso gli umili, verso i sofferenti e, non ultimo, verso
una donna. Un tema tanto caro a Luca, l’attenzione alle donne, si arricchisce con questo episodio di un nuovo, luminoso paragrafo. Dio,
sembra sussurrare la teologia di Luca, non è poi tanto lontano, non
è insensibile a chi è nel bisogno e la sua ‘visita’ è sempre portatrice di
salvezza, che qui si chiama vita nuova, tanto per il figlio risuscitato,
quanto per la madre che lo riceve come dono di Dio.
Celebrazione
Accoglienza
Introduzione
L’incarnazione del Signore ha manifestato l’amore di Dio che,
attraverso il suo Figlio, entra in rapporto con tutti i limiti umani per
redimerli e trasformarli in segni efficaci della presenza di Dio nella
storia degli uomini. Per questo i ciechi vedono, i sordi odono, gli
storpi camminano, i lebbrosi sono risanati.
In questo ritiro il Signore ci consegna il segno più grande: richiama in vita un ragazzo e libera dall’esasperazione del dolore sua
madre. L’evangelista Luca chiama, per la prima volta, Gesù “il Signore” riconoscendo in Lui la maestà onnipotente di Dio.
Invochiamo lo Spirito perché la compassione del Dio che vince
la morte ci aiuti a vivere in pienezza la nostra esistenza cristiana.
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Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù
1 - Dio con tutto il cuore
Canto di inizio
VIENI, SPIRITO DI CRISTO (CdP, 570)
Vieni, vieni, Spirito d’amore
ad insegnar le cose di Dio.
Vieni, vieni, Spirito di pace
a suggerir le cose che Lui ha detto a noi.
Vieni, o Spirito, dai quattro venti
e soffia su chi non ha vita
vieni, o Spirito, e soffia su di noi
perché anche noi riviviamo.
Insegnaci a sperare, insegnaci ad amare,
insegnaci a lodare Iddio.
Insegnaci a pregare, insegnaci la via,
insegnaci Tu l’unità.
Saluto
Pr.: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Ass.: Amen.
Pr.: Fratelli, Dio che aveva parlato per mezzo dei profeti, in questi
giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio. Innalziamo a Lui la
nostra lode riconoscente.
Ass.: Benediciamo il Signore, a Lui onore e gloria nei secoli.
92
GENNAIO
Salmo responsoriale 39 (40)
Il salmista ha sperimentato personalmente la bontà di Dio: è stato salvato dalla
morte. Canta la sua riconoscenza e ci invita a lodare il Signore perché la sua compassione fa prevalere lo splendore della vita sulla morte.
Rit.:
Noi Ti lodiamo e Ti benediciamo. (CdP)
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,
non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.
Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,
mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa. Rit.
Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
della sua santità celebrate il ricordo,
perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera ospite è il pianto e al mattino la gioia. Rit.
Ascolta, Signore, abbi pietà di me,
Signore vieni in mi aiuto!
Hai mutato il mio lamento in danza,
Signore, mio Dio, Ti renderò grazie per sempre. Rit.
Colletta salmica
Pr.:Preghiamo.
O Dio, che sei sempre buono con noi,
Tu non hai mai permesso che tuo Figlio finisse nella tomba,
ma hai voluto che, dopo la sera della passione,
Egli esultasse nel grido di gioia il mattino di Pasqua.
93
Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù
Ass.:
Fa’ che comprendiamo che la nostra attuale sofferenza
è poca cosa
e ci prepara una vita gloriosa che non ha l’eguale
e che durerà per sempre.
Per Cristo, nostro Signore.
Amen.
2 – Dio con tutta la mente
Acclamazione al Vangelo (AA, 68)
Ant.: Alleluia, Alleluia, Alleluia, Alleluia, Alleluia,
Alleluia, Alleluia!
Passeranno i cieli e passerà la terra,
la sua Parola non passerà! Alleluia, Alleuia!
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 7, 11-17)
11
In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui
camminavano i suoi discepoli e una grande folla. 12Quando fu vicino
alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era
con lei. 13Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per
lei e le disse: “Non piangere!”. 14Si avvicinò e toccò la bara, mentre
i portatori si fermarono. Poi disse: “Ragazzo, dico a te, àlzati!”. 15Il
morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua
94
GENNAIO
madre. 16Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo:
“Un grande profeta è sorto tra noi”, e: “Dio ha visitato il suo popolo”. 17Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta
la regione circostante.
Proposta di riflessione
Silenzio
3 – Dio con tutta l’anima
Canto di accoglienza dell’Eucaristia
SIGNORE SEI VENUTO (CdP, 728)
Signore, sei venuto fratello in mezzo a noi.
Signore, hai portato amore e libertà.
Signore, sei vissuto nella povertà:
noi Ti ringraziamo, Gesù.
Rit.: Alleluia, alleluia, alleluia, alleluia! (2v)
Signore, sei venuto fratello nel dolore.
Signore, hai parlato del regno dell’amore.
Signore, hai donato la tua vita a noi:
noi Ti ringraziamo, Gesù. Rit.
Signore, sei risorto e resti in mezzo a noi.
Signore, ci hai chiamati e resi amici tuoi.
Signore, Tu sei via alla verità:
noi Ti ringraziamo, Gesù. Rit.
95
Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù
Adorazione
Tutti:
Preghiera del beato Papa Paolo VI per le Vocazioni (vedi pag. 4)
Silenzio
Per la preghiera personale
Il racconto dell’Evangelista Luca è semplice, limpido, commovente. Ci sentiamo tutti spettatori dell’avvenimento, nel quadro di un
umile villaggio della Galilea. […] Avviene una cosa straordinaria, imprevista. Gesù interrompe il funerale, il corteo della morte, e compie
il prodigio. Gesù si commuove. […] Specialmente nelle contingenze
negative, quale la sofferenza, l’occhio di Cristo, Figlio di Dio, si volge
all’umanità dolorante. Egli ben la conosce, e perciò il suo sguardo non
si chiude sulle manifestazioni della pena e della tristezza; i suoi passi
non si allontanano dall’epilogo dell’esistenza terrena, la sepoltura, appunto; e ora arresta -si potrebbe parlare d’uno scontro- il corteo della
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GENNAIO
morte con il corteo della vita. Gesù, ripetiamo, si commuove. Manifesta pietà e compassione per il dolore. […] “Non piangere” […]
“Ragazzo, dico a te: risorgi”: “Adolescens, tibi dico, surge”. Due comandi di letizia e di vita. Basterebbe sostare nel riflettere e contemplare queste divine parole per essere beati; e ritornare alle nostre case con
l’anima piena di forza, luce, gioia, conforto, sollievo: un risultato ben
duraturo, dall’incontro domenicale, che la Chiesa ci offre, con Cristo.
[…] Gesù ha avuto compassione del dolore umano, lo ha valutato, ha
rivolto l’animo suo verso il dolore nostro. […] Il cristiano ha il genio
della compassione, il cristiano ha la capacità e l’attitudine a vedere, a
scoprire, a cercare, a rincorrere l’uomo sofferente. […] Nella società
moderna, sembra regola di buona condotta il non farsi mai vedere
troppo commossi: piangere non è più di moda […] E allora ecco
che l’istinto di sottrarsi al contagio del dolore, tramuta addirittura
in disprezzo. […] La pietà è debolezza; non è degna dell’uomo; bisogna svincolare l’uomo da questo influsso del dolore altrui, e mostrarsi
insensibili. […] Sappiamo quanto è avvenuto con questa educazione alla fierezza, al crudele e glaciale atteggiamento, all’aridità verso
i dolori altrui. […] È il dolore che diventa cattivo. Il vero e giusto
sentimento è quello del Buon Samaritano, che ha compassione di chi
soffre. Proprio tale misericorde umanità Gesù ha canonizzato, fatto
sua, e ha portato ad altezze ed espressioni divenute fondamentali per
la civiltà cristiana. Il cristiano è un uomo di cuore sensibile in ogni
momento propenso a cogliere le necessità dei fratelli che gli stanno
accanto, specie quando sono nella sofferenza, nel dolore, nel pianto.
Il cristiano è un uomo compassionevole. “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia […] beati coloro che piangono perché
saranno consolati”.
Papa Paolo VI, dall’Omelia in san Pietro, 19 settembre 1965
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Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù
Canto di Benedizione
MISTERO DELLA CENA (AA, 148)
Mistero della Cena è il Corpo di Gesù.
Mistero della Croce è il Sangue di Gesù.
E questo pane e vino è Cristo in mezzo ai suoi,
Gesù risorto e vivo sarà sempre con noi.
Mistero della Chiesa è il Corpo di Gesù.
Mistero della pace è il Sangue di Gesù.
Il pane che mangiamo fratelli ci farà.
Intorno a questo altare l’amore crescerà.
Intercessioni
Pr.: Il Signore Gesù, inviato dal Padre, ha compassione della vedova di Nain e si manifesta come nostra risurrezione e nostra
vita. Rivolgiamogli la nostra preghiera perché dia a ciascuno di
noi la possibilità di fare cose grandi nel suo nome: condividere
la sofferenza dei malati, consolare i sofferenti, condividere gli
spazi del nostro tempo con chi è tormentato dalla solitudine,
riportare alla fede i lontani.
Preghiamo insieme dicendo:
Ass.: Signore, Tu sei il Salvatore della nostra vita.
Pr.: Signore, la vedova di Nain che piange la morte dell’unico figlio
è l’immagine di tutto il dolore umano.
Anche noi, Signore siamo visitati dal nostro dolore. Rispondici
perché Tu solo sei la verità; noi Ti preghiamo:
Ass.: Signore, Tu sei il Salvatore della nostra vita.
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GENNAIO
Pr.:“Donna non piangere”. Signore, la tua risposta è un invito a
sperare perché il peccato non Ti ha fermato. Rendici convinti
che esiste un Cielo, esiste una vita eterna, c’è speranza oltre il
dolore; noi Ti preghiamo:
Ass.: Signore, Tu sei il Salvatore della nostra vita.
Pr.: Tu, Signore, richiamasti alla vita il figlio della vedova di Nain.
Questo miracolo è una profezia. Rendici convinti che il vero
miracolo è la Risurrezione, è il mondo in cui spariranno il dolore e la morte perché questo mondo è già dentro di noi con la
fede; noi Ti preghiamo:
Ass.: Signore, Tu sei il Salvatore della nostra vita.
Pr.: Signore, Tu sei il Dio della vita e non vuoi la morte delle tue
creature. Noi cerchiamo di strappare tempo alla morte, ma
questa è un’illusione. Soltanto Tu, Signore, puoi salvarci perché
Tu visiti sempre il tuo popolo affinché abbia la vita; noi Ti preghiamo:
Ass.: Signore, Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.
Padre nostro.
Pr.:
Ass.:
Preghiamo (MRI, p. 989)
O, Dio, consolatore degli afflitti,
Tu illumini il mistero del dolore e della morte
con la speranza che splende sul volto del Cristo;
fa’ che nelle prove del nostro cammino
restiamo intimamente uniti alla passione del tuo Figlio,
perché si riveli in noi la potenza della sua risurrezione.
Egli è Dio, vive e regna con Te…
Amen.
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Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù
Benedizione
Canto di reposizione
QUANTA SETE (AA 144)
Quanta sete nel mio cuore:
solo in Dio si spegnerà.
Quanta attesa di salvezza
solo in Dio si sazierà.
L’acqua viva che Egli dà
sempre fresca sgorgherà.
Il Signore è la mia vita,
il Signore è la mia gioia.
Se la strada si fa oscura,
spero in Lui: mi guiderà.
Se l’angoscia mi tormenta
spero in Lui: mi salverà.
Non si scorda mai di me,
presto a me riapparirà.
Il Signore è la mia vita,
il Signore è la mia gioia.
Nel mattino io T’invoco:
Tu, mio Dio, risponderai.
Nella sera rendo grazie:
Tu, mio Dio, ascolterai.
Al tuo monte salirò
e vicino Ti vedrò.
Il Signore è la mia vita,
il Signore è la mia gioia.
100
GENNAIO
4 – Dio con tutte le forze
Per l’attualizzazione e la condivisione
Il pellegrinaggio è un segno peculiare nell’Anno Santo, perché
è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. La
vita è un pellegrinaggio e l’essere umano è viator, un pellegrino che
percorre una strada fino alla meta agognata. Anche per raggiungere la
Porta Santa a Roma e in ogni altro luogo, ognuno dovrà compiere,
secondo le proprie forze, un pellegrinaggio. Esso sarà un segno del fatto che anche la misericordia è una meta da raggiungere e che richiede
impegno e sacrificio. Il pellegrinaggio, quindi, sia stimolo alla conversione: attraversando la Porta Santa ci lasceremo abbracciare dalla
misericordia di Dio e ci impegneremo ad essere misericordiosi con gli
altri come il Padre lo è con noi.
Il Signore Gesù indica le tappe del pellegrinaggio attraverso cui
è possibile raggiungere questa meta: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete
perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale
misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc 6,37-38). Dice anzitutto
di non giudicare e di non condannare.
Se non si vuole incorrere nel giudizio di Dio, nessuno può diventare giudice del proprio fratello. Gli uomini, infatti, con il loro
giudizio si fermano alla superficie, mentre il Padre guarda nell’intimo.
Quanto male fanno le parole quando sono mosse da sentimenti di gelosia e invidia! Parlare male del fratello in sua assenza equivale a porlo
in cattiva luce, a compromettere la sua reputazione e lasciarlo in balia
della chiacchiera. Non giudicare e non condannare significa, in positivo, saper cogliere ciò che di buono c’è in ogni persona e non permettere che abbia a soffrire per il nostro giudizio parziale e la nostra
101
Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù
presunzione di sapere tutto. Ma questo non è ancora sufficiente per
esprimere la misericordia. Gesù chiede anche di perdonare e di donare.
Essere strumenti del perdono, perché noi per primi lo abbiamo ottenuto da Dio. Essere generosi nei confronti di tutti, sapendo che anche
Dio elargisce la sua benevolenza su di noi con grande magnanimità.
Papa Francesco, Misericordiae Vultus,
Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 14
-
Come vivere e far vivere il pellegrinaggio della misericordia?
Risonanze e condivisione
Conclusione
Tutti: Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo (vedi pag. 3)
Antifona Mariana
VIRGO DEI GENITRIX (LU)
Virgo Déi Génitrix, quem tótus non càpit òrbis:
in túa se cláusit viscera fáctus hómo.
Véra fides Geniti purgávit crímina múndi,
et tíbi virgínitas invioláta manet.
Te mátrem pietátis, ópem te clámitat órbis:
subvénias fámulis, o benedicta, túis.
Glória mágna Pátri, cómpar sit gloria Náto,
spirítui Sáncto glória mágna Déo.
Amen.
102
gli avambracci e le mani
FEBBRAIO
La misericordia innanzitutto:
la parabola del Padre misericordioso
(Lc 15, 11-32)
La Quaresima di questo Anno Giubilare sia vissuta più intensamente come momento forte per celebrare e sperimentare la misericordia di Dio. Quante pagine della Sacra Scrittura possono essere
meditate nelle settimane della Quaresima per riscoprire il volto misericordioso del Padre! Con le parole del profeta Michea possiamo
anche noi ripetere: Tu, o Signore, sei un Dio che toglie l’iniquità e
perdona il peccato, che non serbi per sempre la tua ira, ma ti compiaci
103
La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso
di usare misericordia. Tu, Signore, ritornerai a noi e avrai pietà del tuo
popolo. Calpesterai le nostre colpe e getterai in fondo al mare tutti i
nostri peccati (cfr 7, 18-19).
Le pagine del profeta Isaia potranno essere meditate più concretamente in questo tempo di preghiera, digiuno e carità: «Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere
i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?
Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre
in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua
ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la
gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”. Se toglierai di mezzo a
te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo
cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le
tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio. Ti guiderà
sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa;
sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non
inaridiscono» (58, 6-11).
L’iniziativa “24 ore per il Signore”, da celebrarsi nel venerdì e sabato che precedono la IV domenica di Quaresima, è da incrementare
nelle Diocesi. Tante persone si stanno riavvicinando al sacramento
della Riconciliazione e tra questi molti giovani, che in tale esperienza
ritrovano spesso il cammino per ritornare al Signore, per vivere un
momento di intensa preghiera e riscoprire il senso della propria vita.
Poniamo di nuovo al centro con convinzione il sacramento della Riconciliazione, perché permette di toccare con mano la grandezza della
misericordia. Sarà per ogni penitente fonte di vera pace interiore.
Non mi stancherò mai di insistere perché i confessori siano un
vero segno della misericordia del Padre. Non ci si improvvisa confessori. Lo si diventa quando, anzitutto, ci facciamo noi per primi
penitenti in cerca di perdono. Non dimentichiamo mai che essere
104
FEBBRAIO
confessori significa partecipare della stessa missione di Gesù ed essere
segno concreto della continuità di un amore divino che perdona e
che salva. Ognuno di noi ha ricevuto il dono dello Spirito Santo per
il perdono dei peccati, di questo siamo responsabili. Nessuno di noi è
padrone del Sacramento, ma un fedele servitore del perdono di Dio.
Ogni confessore dovrà accogliere i fedeli come il padre nella parabola del figlio prodigo: un padre che corre incontro al figlio
nonostante avesse dissipato i suoi beni. I confessori sono chiamati a
stringere a sé quel figlio pentito che ritorna a casa e ad esprimere la
gioia per averlo ritrovato. Non si stancheranno di andare anche verso
l’altro figlio rimasto fuori e incapace di gioire, per spiegargli che il suo
giudizio severo è ingiusto, e non ha senso dinanzi alla misericordia del
Padre che non ha confini. Non porranno domande impertinenti, ma
come il padre della parabola interromperanno il discorso preparato
dal figlio prodigo, perché sapranno cogliere nel cuore di ogni penitente l’invocazione di aiuto e la richiesta di perdono. Insomma, i confessori sono chiamati ad essere sempre, dovunque, in ogni situazione e
nonostante tutto, il segno del primato della misericordia.
Papa Francesco, Misericordiae Vultus,
Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 17
105
La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso
Per la preparazione personale
È diffusa e comune usanza definire questo brano «la parabola
del figlio prodigo», sebbene quasi tutti oggi sappiano che non spetta
al «figlio prodigo» il ruolo di personaggio principale né dal punto di
vista letterario né dal punto di vista teologico. Seguendo un lodevole
esempio che già trova non pochi sostenitori, si suggerisce caldamente di abbandonare questa fuorviante denominazione per accoglierne
un’altra, per esempio «la parabola del Padre misericordioso (o buono)», che restituisce alla figura del padre la sua centralità letteraria e
teologica. Non si tratta di un’inutile o pedante mania perfezionistica,
bensì di un aiuto per indicare fin dal titolo il vero protagonista e
orientare in tal modo verso la corretta interpretazione della parabola.
Contesto e dinamica del brano
Qualcuno si crede diverso e migliore degli altri e crea subito
due categorie, quella dei buoni e quella dei cattivi. Gesù ricorda che
non spetta all’uomo determinare simili classificazioni perché l’uomo
vede solo le apparenze, Dio invece legge nel profondo del cuore. E capita spesso che la lettura attenta e spassionata della realtà documenti
il contrario di ciò che sembrava a prima vista, che cioè i buoni non si
rivelano poi così buoni come essi vorrebbero far credere e che i cattivi
lasciano trapelare atteggiamenti e sentimenti contrari al primo e sommario giudizio emesso contro di loro. Nei confronti di tutti, effettivi
o presunti buoni ed effettivi o presunti cattivi, Dio manifesta la sua
paterna comprensione sempre accompagnata dal pressante invito al
ravvedimento e alla conversione.
La dialettica tra buoni e cattivi costruisce anche lo scenario
e lo sviluppo della nostra parabola che deve essere letta e compresa
nel suo contesto di polemica che accende gli animi di scribi e farisei,
incapaci di comprendere l’atteggiamento di Gesù con i peccatori, così
106
FEBBRAIO
lontano e contrario alle «buone regole» di un maestro ebreo (cfr Lc
15,1-3). Gesù risponde con la presente parabola lasciando facilmente capire che il suo comportamento altro non è che il fedele riflesso
dell’amore di Dio, il Padre misericordioso che si rivolge in modi diversi agli uomini, sempre però con lo stesso fine, quello di attrarli
nell’orbita della sua bontà. Come diversi sono gli uomini e le situazioni che vivono, così diversi sono gli atteggiamenti di Gesù nell’andare
loro incontro: si comporta proprio come il Padre della parabola che
tratta i figli secondo le esigenze di ciascuno. Un prezioso paradigma
da considerare come “appunti di pedagogia divina”.
Dopo una introduzione che mette in scena i personaggi (vv.
11-12), la parabola si articola in due atti di due scene ciascuno, il
primo dominato dal padre e dal figlio minore (vv. 13-24), il secondo
dal padre e dal figlio maggiore (vv. 25-32); nel secondo atto si rivelerà
molto importante, addirittura decisiva, la relazione fratello-fratello,
resasi necessaria dall’amoroso intervento del padre.
Breve commento
Introduzione: Il padre e due figli (vv. 11-12)
«Un uomo aveva due figli»: con un inizio sobrio ed essenziale
sono presentati i personaggi che animeranno la più bella parabola
evangelica, il padre e i suoi due figli. Questi tre personaggi creano due
tipi di relazioni, la prima quella di padre-figlio sdoppiata in padrefiglio minore e padre-figlio maggiore, e la seconda quella di fratellofratello, relazione non espressa se non verso la fine del racconto e
tuttavia di capitale importanza.
Dopo i personaggi, ecco l’antefatto che causa e motiva tutto il
seguito: «Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte
di patrimonio che mi spetta”». Il minore si affaccia sulla scena con i
tratti dell’arrogante e del prepotente, esigendo ciò che un giorno po107
La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso
trà essere suo, ma che ora appartiene ancora al padre. Questi poteva
reagire in molti modi; ne ipotizziamo alcuni:
- rifiutare adducendo la giustizia e il suo diritto vigente contro
il diritto del figlio ancora latente e futuro;
- convincere dell’inutilità o della pericolosità di tale richiesta,
prevedendo un poco oculato uso di tanta ricchezza affidata a mano
inesperta;
- rispondere duramente alla insolenza e tracotanza del figlio minore che richiedeva qualcosa fuori dal normale; se dura era la richiesta, dura poteva suonare la risposta.
Nessuna di queste possibilità è presa in considerazione dal
padre. Di lui non conosciamo la reazione immediata e nemmeno i
sentimenti, perché il testo si esprime molto laconicamente con la frase: «Ed egli divise tra loro le sue sostanze». Il padre sceglie una strada
lontana dalla logica comune, la strada di una sconcertante arrendevolezza: non una obiezione, non una parola, non un estremo tentativo
di impedire questo dissennato progetto del figlio più giovane.
Cerchiamo di metterci dalla parte del padre e di capirlo. Il
figlio è giovane e quindi non più bambino e neppure adolescente, il
che significa che possiede una sua definita personalità che va rispettata. Trattenere in casa uno che trova pesante l’aria che respira e non
più arricchente il rapporto con quelli di famiglia, equivale a rompere
un rapporto di sintonia interpersonale e di comunione che la forzata
permanenza non riesce più a riparare. E poi, quanto tempo sarebbe
durata questa vita considerata, dopo un eventuale rifiuto del padre,
come una vita da schiavo, perché limitata dalla catena della dipendenza paterna? Questo padre che volesse ad ogni costo tenere il figlio in
casa sarebbe forse mosso da amore, ma in fondo vorrebbe premunirsi
contro il rischio dell’incognita. Educare significa lavorare con un buon
margine di rischio e di incognita, educare significa rispettare la libertà dell’altro, soprattutto quando l’altro è un adulto, anche se si può
prevedere un non corretto uso di tale libertà. Fare uso della propria
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FEBBRAIO
autorità o della propria superiorità per vincolare l’altro ai propri desideri o punti di vista potrebbe creare un continuo gioco a rimpiattino,
spingendo ad una codificazione dell’imbroglio e salvando forse le apparenze, non certo la sostanza.
Il padre si presenta come colui che ha e colui che dà. Il seguito
del racconto mostrerà che il suo agire non nasce dall’indifferenza o
dalla leggerezza, bensì dalla capacità di rischiare e di sperare nel valore
del bene. Per il momento il racconto prosegue senza offrire alcun sentimento del padre, nessuna reazione alla decisione del figlio, accondiscendendo alla insolita richiesta di dividere il patrimonio.
Atto primo: il Padre e il minore (vv. 13-24)
Tutta la prima parte della parabola mette in scena l’attività del
figlio minore, il suo allontanamento dal padre e il ritorno. Sebbene
il giovane sia il soggetto della maggior parte delle azioni e dei sentimenti qui descritti, si nota subito che la figura del padre domina quasi
sempre e finisce per imporsi come la figura principale che motiva
e determina molti sentimenti o azioni del figlio, cosicché il padre e
non il figlio rimane il soggetto logico, anche se non grammaticale, di
questo primo atto.
Prima scena:
il minore si allontana e ritorna da Padre (vv. 13-20a)
L’autore della parabola racchiude la prima scena tra un partire
(v. 13) e un tornare (v. 20a), due verbi che esprimono un opposto
movimento fisico, ma che riveleranno pure due momenti contrastanti
nell’animo del giovane.
«Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue
cose, partì per un paese lontano». La scelta di un paese lontano vuole
significare la distanza fisica dal padre, ma più ancora la sottrazione ad
109
La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso
una sua possibile influenza. Come ricorderà più avanti la parabola,
questo «lontano» equivale al superamento della frontiera del paese,
perché si parlerà di allevamento di porci, animali che gli ebrei non
potevano mangiare e che quindi non allevavano. La partenza avviene
all’insegna delle più lusinghiere prospettive, perché il figlio minore
possiede quegli elementi che in tutti i tempi sono considerati come gli
ingredienti indispensabili della felicità: giovinezza, ricchezza e libertà.
La giovinezza è un grande valore come ricordò san Giovanni
Paolo II nella sua lettera apostolica ai giovani del mondo: «La giovinezza di per se stessa (indipendentemente da qualsiasi bene materiale)
è una singolare ricchezza dell’uomo [...]. Il periodo della giovinezza
infatti, è il tempo di una scoperta particolarmente intensa dell’«io»
umano e delle proprietà e capacità ad esso unite [...]. È questa la ricchezza di scoprire ed insieme di programmare, di scegliere, di prevedere e di assumere le prime decisioni in proprio». Per Giovanni Papini
i segni della giovinezza sono tre: la volontà di amare, la curiosità intellettuale e lo spirito aggressivo, tutti elementi che rendono invidiabile
questa stagione della vita.
La ricchezza materiale, intesa come continua possibilità di
soddisfare i bisogni e come garanzia di successo, rimane un ideale
continuamente perseguito da molti che per esso spendono sogni, speranze e energie. Chi veramente riesce ad averla è invidiato in quanto
ritenuto in grado di avere la felicità a portata di mano.
La libertà viene considerata come la condizione per fruire della giovinezza e della ricchezza.
Quindi il nostro giovane si allontana dal padre con la presunta sicurezza di possedere la chiave che apre tutte le porte della felicità,
proprio perché giovane, ricco e libero.
Con una frase lapidaria il testo continua: «Là sperperò il suo
patrimonio vivendo in modo dissoluto». In questa mezza riga si ricorda una verità che l’osservazione della realtà ha più volte confermato: una ricchezza, sia pure faraonica, si esaurisce presto quando
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FEBBRAIO
non saggiamente amministrata. Il nostro giovane appartiene alla lunga schiera di persone che nel gioco, nel vizio e nei bagordi hanno
dilapidato in breve tempo una fortuna che altri avevano accumulato
con impegno e sacrificio. Questo fatto determina un cambiamento
nel corso degli avvenimenti, aggravati da una situazione imprevista
come la carestia: «Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno». Nella
logica del racconto la carestia rappresenta l’imprevisto, componente
indeterminata quanto ad entità e tempo, ma sempre da considerare
nella vita. Le persone sagge ed avvedute si premuniscono per affrontare l’imprevisto; le persone insipienti invece vivono all’insegna della
spensieratezza, come se la vita dovesse sempre obbedire alla logica dei
loro sogni.
Alla mancanza di denaro e all’imprevisto che qui prende il
nome di carestia, il giovane della parabola reagisce cercando lavoro:
«Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci». Non è facile
passare da una spensierata vita di gozzoviglie all’impegno del lavoro
materiale, però il giovane si adatta perché è un ebreo e non un greco o
romano. Nel mondo pagano il lavoro manuale era riservato agli schiavi, in Israele, invece, era stimato come attività caratteristica dell’uomo
(cfr Gn 2,15), a tal punto che anche chi si dedicava allo studio della Torah doveva vivere del lavoro delle proprie mani. Lavorare non è
quindi degradante per un ebreo. Ma non tutti i lavori erano accettabili
dalla mentalità ebraica e tra questi la custodia dei porci, animali immondi la cui carne non si poteva mangiare né toccare. All’umiliazione
di tale lavoro si aggiunge quella del disinteresse degli altri per la sua
persona: «Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i
porci, ma nessuno gli dava nulla», ovviamente perché il padrone era
più interessato a ingrassare i suoi porci che non a sfamare questo avventuriero di passaggio. Davvero brusco il cambiamento da giovane
galante con tanti soldi a guardiano di porci, cui contendere le ghiande!
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La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso
L’incresciosa situazione fa scattare un meccanismo di ripensamento: «Allora ritornò in sé». Perché questo «ritornò»? Che cosa
significa? Rientrare in se stesso significa che prima era uscito da se
stesso; si credeva libero e invece si riconosce solo un dissociato mentale, uno schizofrenico che aveva inseguito una chimera come se si trattasse della realtà. Ora ricompone la dissociazione lasciando riemergere
il mondo sommerso della casa paterna, del padre, dell’abbondanza:
«Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui
muoio di fame!». Il bisogno fisico, cioè la fame, ha sbiadito i colori
che dipingevano la vita di facile quanto inconsistente felicità, riproponendo una realtà sobria ma essenziale: una casa, una protezione, un
lavoro e un sicuro sostentamento.
Il bisogno materiale motiva due meccanismi, responsabili di
due tipi di ritorno, uno morale e l’altro fisico:
- Il ritorno morale fatto di riconoscimento del proprio errore e
di coscienza di aver perso il rapporto padre-figlio: «Padre, ho peccato
verso il Cielo e davanti di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati». Qui troviamo la
grandezza morale di chi è capace di riconoscere e di ammettere il
proprio sbaglio, con lucidità e senza reticenze; è lo slancio sincero e
umile del giovane che si assume tutta la propria responsabilità; è l’umile ammissione del suo errore che fa da contrappunto alla sfacciata
presunzione che lo aveva spinto ad allontanarsi.
- Il ritorno materiale: «Si alzò e tornò da suo padre», fatto di
risoluta decisione, maturata alla luce di una riflessione rileggeva la vita
in modo meno miope.
Come sono diversi la partenza e il ritorno! Era partito ricco e
ritorna povero, era partito baldanzoso e sicuro di sé e ritorna umiliato e con tutte le sue sicurezze infrante; era partito giovane e ritorna
invecchiato dal lavoro e dalle esperienze, se è vero ciò che sostiene F.
Mauriac: «Noi abbiamo l’età dei nostri peccati»; era partito figlio e
ritorna non figlio; era partito libero dal padre, ritorna libero da sé,
112
FEBBRAIO
dalla sua sprezzante autosufficienza. Ha perso tutto, però ha trovato
la capacità di riflettere e di apprezzare qualcosa della casa del padre, il
cibo. Solo il cibo? No, non solo il cibo. Con esso c’è la segreta speranza di una possibile accoglienza del padre; spera di trovare accoglienza
come domestico, certamente non come figlio. Se fosse stato sicuro di
un totale rifiuto del padre o di una sua reazione inconsulta, non sarebbe ritornato. Il giovane possiede una certa immagine e conoscenza
di suo padre che motiva il suo ritorno. Questo è da collocare vicino
al bisogno del pane. Il ritorno quindi ha il nutrimento come causa
specifica, ma un certo concetto di padre coma causa efficiente. In
fondo il giovane confida e spera che il padre non gli neghi un tetto
e un lavoro. La prima scena termina con questo ritorno alle persone
e alle cose abbandonate, anche se con la coscienza di non possederle
più come prima. Il ritorno motivato dal bisogno materiale rivela un
atteggiamento di fiducia nel padre, nella speranza che lo accolga come
un salariato, garantendogli il sostentamento.
Pur con tutto il bagaglio di esperienze negative e di sbagli che
il giovane porta con sé, egli dimostra un aspetto non consueto che lo
rende grande, in quanto è disposto a riconoscere il proprio errore e
ad assumere tutte le conseguenze, prima fra tutte la perdita del suo
rapporto di figlio. Con questi sentimenti il giovane, che pure ha sbagliato molto, è liberato dal grande peccato: «Il grande peccato, l’unico
peccato dell’uomo, è di credere alla propria sufficienza» (P. Claudel),
idea similmente espressa da Pio XII: «Il più grave peccato attuale è che
gli uomini hanno cominciato a perdere il senso del peccato». Quindi
non tutto risulta marcio in questo giovane, anzi, i sentimenti di riconoscimento della propria colpa e l’umile gesto del ritorno alla casa
paterna lo rendono un giovane che ha pure qualcosa da insegnare. È
soprattutto un figlio che, nonostante tutto, afferma con il suo ritorno
che la fiducia del padre non è stata completamente tradita.
113
La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso
Seconda scena.
Incontro tra padre e figlio minore (vv. 20b-24)
La figura di un padre apparentemente indifferente e insensibile
che lascia partire il figlio senza una parola o un estremo tentativo per
trattenerlo, rivela ora la sua infondatezza, perché il testo mostra tutta
la sollecitudine di questo padre. «Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo
e lo baciò». Il padre era in attesa, segno che l’amore non si arrende
mai, che crede nella vittoria del bene sul male, che spera nel fiorire di
buoni principi insegnati. Solo a questo punto inizia a svelarsi la vera
attitudine del padre. Il suo correre incontro al figlio indica che viveva
in perenne attesa, che sperava sempre e perciò scrutava di continuo
l’orizzonte. Il ritorno del figlio è la risposta all’arte educativa del padre che non aveva mai abbattuto un ponte di fiducia che lo legava al
figlio, anche se la fiducia era stata momentaneamente tradita. Il padre
raccoglie i frutti del suo rischio, avvenuto in contesto di amore e di
speranza: la speranza è premiata dal ritorno del figlio alla casa paterna,
l’amore si concretizza in una serie di gesti che il padre riserva al figlio.
Gli corre incontro, lo bacia, lo accoglie. Solo ora il testo parla dei
sentimenti del padre e lo fa con una parola caratteristica. Il termine
tradotto in italiano con «ebbe compassione» ricorre qui e in due altri
contesti dell’evangelista Luca: a 7,33 quando Gesù si commuove davanti al defunto figlio unico della vedova di Nain e a 10,33 quando
il buon samaritano ha compassione dello sventurato caduto in mano
dei ladroni. Il termine indica una commozione profonda che interessa
tutta la persona, quasi uno sconvolgimento interiore. Poiché il vangelo non ama indulgere freudianamente ad analisi psicologiche, là dove
sono registrati dei sentimenti si deve prestare particolare attenzione,
perché caratterizzano le persone e determinano la retta comprensione
del racconto. Infatti questo primo atto è dominato dalla commozione
del padre mentre il secondo riporterà l’ira del fratello.
114
FEBBRAIO
A questo punto il giovane si esprime con le parole che aveva preparato e manifesta la sua convinzione che, dopo quello che è
successo, non è più degno di essere chiamato figlio. Il padre rimane
padre, forse lo è ancora di più in questo momento di accoglienza,
ma lui non può rimanere figlio perché il suo passato grava su di lui
come un’onta incancellabile. Egli vive più di passato che di presente
o futuro.
Il padre lascia parlare il figlio perché la confessione che esprime
il pentimento fa bene, ha benefico effetto liberatorio. Non accetta
però le conclusioni proposte dal figlio e non lo lascia terminare con
quel «Trattami come uno dei tuoi salariati»: questo è veramente impensabile per il padre, attento più al presente e al futuro che non
al passato, ora cancellato dal pentimento. Egli non rimprovera, non
richiama il passato, perché sarebbe un’inutile riacutizzazione di una
ferita non ancora rimarginata. Se il figlio ha maturato e dimostrato
il suo pentimento, che bisogno c’è di insistere? Rievocare il passato sarebbe sadismo, oppure una inconscia rivincita, magari con un
sarcastico «Hai voluto andar via, ora che sei nei pasticci ritorni?». La
punizione più grave e il rimprovero più severo se li è dati il figlio che
accetta di essere non-figlio. Il padre si rivela di atteggiamento giovanile perché attento al presente e al futuro, quasi dimentico del passato
che rimane invece per il figlio come unica realtà da considerare, proprio come quei vecchi che, privi ormai di prospettiva, ritornano alle
nostalgie, ai rimpianti o ai rimorsi del tempo trascorso.
Alle parole del figlio, il padre risponde con una serie di gesti che
valgono assai di più delle parole. Si rivolge ai servi perché si prendano
cura del figlio, come avveniva per il passato, anzi, ancora di più. Il
vestito più bello (la veste lunga come dice il testo greco) indica la situazione di straordinarietà, i calzari che in quel tempo portavano solo
poche persone, la dignità, l’anello sul quale era impresso il sigillo di
famiglia, l’autorità e infine l’uccisione del vitello e lo stare insieme a
mensa la gioia della festa e della condivisione.
115
La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso
Un’accoglienza a dir poco trionfale necessita una spiegazione,
data puntualmente dal padre: «Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». Il padre ha lasciato
partire il «figlio» e ora riceve tra le braccia «questo mio figlio»; aveva
visto partire un giovane presuntuoso e arrogante e ora vede ritornare
un uomo maturato dal dolore, dalla lontananza e dal pentimento. Il
momento del pentimento è il momento dell’inizio e anche di più: è
il mezzo con il quale si cambia il passato. Mentre i Greci ritenevano questo impossibile e spesso ripetevano nei loro aforismi gnomici:
«Gli dèi stessi non saprebbero cambiare il passato», san Gregorio di
Nissa affermava: «Quaggiù si va sempre di inizio in inizio fino all’inizio senza fine», quasi a ricordare la bellezza e la necessità di saper
ricominciare. Nel padre si sprigiona la gioia per il figlio ‘cresciuto’ e
la festa che segue valorizza la nuova maturità raggiunta, il nuovo rapporto tra padre e figlio. In questa scena la parola del figlio ritorna tre
volte e sempre in crescendo: al v. 21 «figlio» appartiene al racconto,
poi diventa «non tuo figlio» sulla bocca del giovane, per trasformarsi
infine in «questo-mio-figlio» nelle parole del padre. Forse non del tutto comprensibile risulta il comportamento del padre, ma a lui Pascal
presterebbe il suo celebre pensiero: «Il cuore ha delle ragioni che la
ragione non riesce a comprendere».
La scena appare dominata dalla commozione iniziale che diventa prima un abbraccio e poi festa di famiglia. Colui che si professava «non figlio» viene accolto e amato come «questo mio figlio»: la
situazione risulta esattamente capovolta. Qui giganteggia la figura del
padre che il figlio ha modo di scoprire con caratteri inediti di misericordia.
Termina il primo atto che ha visto come protagonisti il figlio
minore e il padre; quest’ultimo nel ruolo più importante, perché condiziona lo sviluppo di tutta la scena. È lui il personaggio che polarizza
l’attenzione e l’interesse di questa prima parte della parabola, come
pure - è facile supporlo - sarà al centro della seconda parte.
116
FEBBRAIO
Atto secondo: il padre e il maggiore (vv. 25-32)
Fa la sua comparsa l’altro figlio, il maggiore, che movimenta
tutto il secondo atto rivelando i suoi sentimenti verso il padre e verso
il fratello. Tuttavia anche in questo atto, come nel precedente, il ruolo
principale spetterà al padre.
Prima scena:
Il ritorno a casa del maggiore (vv. 25-28)
Anche il maggiore ritorna a casa, ma il suo è un ritornare abituale e scontato, quello del rientro quotidiano dopo il lavoro nei
campi. Nell’avvicinarsi sente un’insolita e non preventivata festa con
musica e danze; è logico quindi che si informi presso un servo da cui
viene a sapere: «Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il
vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo». La notizia, lungi dal
procurargli gioia come era avvenuto per il padre, lo stizzisce: come
è possibile che per quello scapestrato spendaccione si organizzi una
festa? E più ancora, come è possibile che per lui sia stato ammazzati il
vitello che era ingrassato per qualche grande occasione, in molti casi
per le nozze del primogenito? Non solo non capisce il motivo di quella festa, ma addirittura si sente in qualche modo defraudato di un suo
diritto e posposto al minore. «Egli si indignò e non voleva entrare».
Incontriamo ora la seconda annotazione psicologica, l’ira del maggiore, che contrasta con la commozione del padre nel riavere il figlio
minore. Lo stesso fatto, il ritorno del giovane, provoca due reazioni
contrastanti. Ira, sdegno e dissociazione vengono ad abbattersi sulla
festa che voleva essere momento di comunione, di intimità gioiosa
per un nuovo rapporto che si era instaurato tra padre e figlio e, si presumeva, all’interno di tutta la famiglia ora ricomposta. Invece no. La
famiglia rimane ancora frantumata dal sentimento di isolamento e di
rifiuto del maggiore che non intende prendere parte alla festa.
117
La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso
Seconda scena:
incontro tra padre e figlio maggiore (vv. 28-32)
«Suo padre allora uscì a supplicarlo». Il padre va incontro a lui
come era andato incontro al minore. È sempre il padre a prendere
l’iniziativa e a muovere il primo passo per raccorciare le distanze. Il
figlio risponde rivendicando i suoi diritti: «Ecco, io ti servo da tanti
anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai
mai dato un capretto per far festa con i miei amici». Il maggiore rivendica i suoi diritti proprio come il minore che chiedeva la parte
di patrimonio per andarsene. Nelle sue parole si legge l’orgogliosa
sicurezza del suo perbenismo, la sua incondizionata e assoluta fedeltà
al padre, con un non troppo velato rimprovero al padre considerato
come ‘padrone’ dal pesante verbo «ti servo», tipico degli schiavi. Il
lavoro, più che collaborazione e compartecipazione, è vissuto come
servile dipendenza. Anche lui intende far festa, però con i suoi amici,
con gli altri e non con quelli di casa. Ma la festa deve essere sempre
di tutti e per grandi motivi, altrimenti si degrada a orgia, a gozzoviglia. Nella sua dura accusa al padre, dimentica un fatto importante:
il padre, nel dividere il patrimonio, ha dato anche a lui la parte spettante, perché si era detto che «Il padre divise tra loro le sue sostanze»
(v. 12). Ovviamente la fruizione del patrimonio paterno prima della
morte del padre non è considerata: si lamenta del capretto non avuto,
dimenticando di essere in possesso del patrimonio che il padre gli ha
lasciato prima del tempo. In fondo, il minore ha ‘fatto la figura’ di
chiedere e il maggiore ha goduto il beneficio derivato dall’arroganza
del fratello. Tutto questo, nel momento delle recriminazioni, è tralasciato e inspiegabilmente ‘dimenticato’.
Dopo l’accusa al padre, il discorso prosegue attaccando duramente il minore: «Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale
ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il
vitello grasso». Egli parla al padre di «questo tuo figlio», incapace di ri118
FEBBRAIO
conoscere l’altro come fratello che demolisce agli occhi del padre ritornando a un passato ormai sepolto per il padre e riaprendo quella ferita
che il padre si era rifiutato di far nuovamente sanguinare. Mentre il
padre aveva festosamente salutato il ritorno del minore e nella sua
grande bontà non ritornava al passato proprio perché «l’amore copre
una moltitudine di peccati» (1Pt 4,8), il maggiore sembra conoscere
solo l’aspetto negativo del fratello, incapace di vedere e valorizzare lo
sforzo e la voglia di novità espressi dal ritorno e dal pentimento.
Il padre riconosce le ragioni del maggiore: quanto egli afferma
non è né falso né esagerato, perché egli ha sempre lavorato presso il padre e l’altro invece ha egoisticamente vissuto all’insegna di una riprovevole spensieratezza che lo ha portato a dilapidare il patrimonio. Le
ragioni ci sono, d’accordo, ma che non diventino un comodo pretesto
per alzare palizzate di divisione o per creare facili categorie. Il padre lo
ascolta e poi gli rivolge la parola chiamandolo «figlio», ricordandogli
così quella relazione di comunione che il maggiore ha sempre vissuta,
forse senza capirla pienamente, sicuramente senza apprezzarla se ora,
in un momento di tanta gioia per il padre, egli si estranea e mai si
rivolge al padre chiamandolo con questo nome. Il padre riprende nel
termine figlio quella relazione che il maggiore aveva indicato solo tra
padre e figlio minore e gli ricorda che anche lui è figlio: «Figlio, tu sei
sempre con me»: il padre difende la posizione privilegiata del maggiore che non consiste in un freddo rapporto di «dare e avere»: io presto
la mia opera e tu mi ripaghi, bensì in un rapporto di indissolubilità,
cioè di impossibilità di separazione, di comunione interpersonale, a
cui segue la comunione dei beni: «Tutto ciò che è mio è tuo».
Proprio questo rapporto interpersonale e la sua valorizzazione
fanno difetto nel maggiore che «[...] fa valere la sua prolungata fedeltà
al padre, ma che in quel momento così importante per il padre si rivela incapace di condividerne i sentimenti. Anche lui, non meno del
minore, ha bisogno di capire e scoprire suo padre» (V. Fusco). Le parole del padre hanno smantellato la pretesa sicurezza del figlio, hanno
119
La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso
messo a nudo che neppure lui ha compreso il padre, perché non ne
condivide i sentimenti e si estranea alla festa della comune riconciliazione. Le sue ragioni valgono, ma nel momento e nel modo in cui
sono rivendicate, manifestano la intrinseca debolezza di relazione con
il padre.
Il padre ricorda che la vera festa, l’unica, è quella che vede
riuniti tutti insieme: «Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo
tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato
ritrovato». La festa autentica ci sarà quando il maggiore riconoscerà
e accetterà l’altro non come «questo tuo figlio», bensì come questo
mio fratello. Finché rifiuterà il titolo di fratello non potrà rivolgersi al
padre chiamandolo padre e resterà come una monade che vive isolata
dagli altri. Capire il padre è capire il fratello; capire il fratello è capire
il padre. Le sue sicurezze sono infrante e anche lui si trova al palo di
partenza, invitato a celebrare con tutti gli altri la festa, quella della
gratuità. La festa vale se vissuta con il padre e con tutti gli altri. Non
basta essere sempre rimasti nella casa del padre per partecipare al banchetto; non basta neppure non aver fatto nulla di riprovevole: occorre
compiere un passo più avanti del semplice buon senso umano o della
logica di elementare compassione. Perdonare, accettare l’altro che ha
sbagliato, ridargli fiducia e possibilità di ricominciare, tutto questo
equivale a passare dalla logica umana alla logica divina, a passare da
quello che tutti capiscono a ciò che attuano solo coloro che stanno
dalla parte di Dio.
Una parabola aperta
Non esiste una conclusione che informi sulla decisione del
maggiore. Avrà capito il padre dopo che questi gli ha parlato? Avrà
accolto l’altro come suo fratello e non solo come figlio dello stesso
padre? Sarà entrato alla festa? La parabola fissa su questi sottintesi
interrogativi la sua attenzione e la risposta alle pretese del maggiore e
120
FEBBRAIO
dei farisei di tutti i tempi: costoro sono tutti quelli che si reputano irreprensibili solo perché non hanno alle spalle un passato di tradimenti
e di infedeltà, ma che tuttavia non conoscono un generoso slancio di
autentico e disinteressato amore. Sono tutti coloro che non conoscono e non praticano la misericordia, mantenendosi alla periferia della
beatitudine: Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia (Mt
5,7).
Alcune considerazioni retrospettive aiutano a dar solido fondamento all’invito iniziale che raccomandava di chiamare la presente
pagina evangelica non «la parabola del figlio prodigo», bensì «la parabola del padre misericordioso». Il lettore si sarà facilmente accorto
che la figura del padre domina tanto il primo quanto il secondo atto.
Proprio lui va incontro al minore prima e al maggiore poi, ascoltando
le parole di pentimento dell’uno e le parole di rimostranza dell’altro.
Dopo aver ascoltato, interviene in modo diverso secondo le esigenze proprie di ognuno: al minore non risponde con parole, ma con
una serie di gesti che esprimono la calorosa accoglienza e la rinnovata integrazione nella comunione familiare; al maggiore che richiede
la spiegazione di quello che egli vive come torto personale risponde
aiutandolo a superare la frontiera di un miope individualismo per
convincerlo a valorizzare la vita che era fiorita sull’albero secco dell’esperienza negativa e del pentimento.
Potremmo dire che il padre si trova al centro dell’interesse letterario e teologico mentre i due figli sono equamente distanti, gravati
da due esperienze diverse, ma entrambe negative, nei confronti del
padre. Questi muove il primo passo per andare incontro ai due con
amorosa pazienza che sa capire, accogliere e promuovere.
Un padre così grande e così buono non può essere che il Padre
nei cieli che Gesù ci ha fatto conoscere, il vero prodigo della parabola,
prodigo del suo immenso amore verso tutti.
121
La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso
Spunti per una revisione di vita
IO COME IL MINORE
1. 2. 3. 4. 5. Vivo la dimensione triangolare: io - Dio - gli altri? Mi manca
forse qualche lato?
Mi trovo a mio agio nella casa del Padre, nella mia comunità, oppure respiro un’aria pesante, un clima di disagio? Cerco
di conoscere le cause e di combatterle? Mi illudo forse che un
cambiamento risolva tutti i problemi?
Quali sono per me gli ingredienti della vera felicità? Ritengo
anch’io giovinezza, libertà e denaro valori assoluti o di primaria
importanza? Quali sono i valori del mio ambiente familiare e
sociale? Posso definirli valori evangelici? In che cosa mi adeguo
e come reagisco?
Come e quanto mi lascio interpellare dai ‘segni dei tempi’ per
ripensare la mia vita, esaminare le mie scelte e il mio operato?
Quando l’ultima volta? Cosa è cambiato in seguito?
Ho il coraggio di riconoscere la mia colpa, di presentarmi a Dio
senza giustificazioni e attenuanti? Sono capace di ricono­scere i
miei sbagli anche davanti agli altri? Ricordo l’ultimo caso? Fu
debolezza o forza d’animo?
IO COME IL MAGGIORE
6. 7. Quali sono le pretese che avanzo nei confronti di Dio e degli
altri (salute, riconoscimento dei miei meriti[...])? Sono forse
arrogante? Ricordo qualche caso di cui non posso vantarmi?
Mi illudo anch’io di costruire un autentico rapporto con il Padre senza impegnarmi per costruirlo anche con il fratello?
122
FEBBRAIO
8. Mi sforzo di adattarmi agli schemi del Vangelo (quelli del Padre), o voglio incapsulare il Vangelo entro quelli della logica
umana (il figlio maggiore)? Sono capace di dialogo e di accoglienza? Quando l’ultimo esempio?
IO COME IL PADRE
9. Il Padre perdona, guarda avanti. E io? Fin dove il passato altrui
mi blocca o mi condiziona? A chi ho concesso il perdono l’ultima volta? A chi l’ho negato? Che cosa ho provato e che cosa
provo ora? Che cosa imparo dalla parabola?
10. Ho capacità di adattamento e di elasticità mentale per le situazioni diverse? Abbino la diversità con l’amore o solo con il mio
interesse e il mio comodo?
11. Gioisco con chi gioisce e soffro con chi soffre?
12. Vivo la novità della grazia che trasforma l’uomo vecchio in
uomo nuovo? La mia presenza è portatrice di vita o di morte?
Di novità o di vecchiume?
123
La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso
Celebrazione
Accoglienza
Introduzione
Meditare davanti all’icona del Padre misericordioso in questo
tempo liturgico della Quaresima comporta il riconoscere la misericordia di Dio che ci fa incontrare con il suo perdono legato alla conversione dell’uomo. L’uomo che si perde e si converte vale più della
massa.
Tutti noi, in questa Quaresima, più che sertirci cercatori di Dio
dobbiamo sentirci cercati da Lui anche perché Lui ci attende prima
ancora che noi abbiamo mosso i nostri passi.
Al termine della Quaresima celebreremo i misteri della nostra
salvezza. Invochiamo lo Spirito perché in questo cammino impegnativo della fede sia per noi voce amica, rugiada feconda, compimento
del perdono.
124
FEBBRAIO
1 - Dio con tutto il cuore
Canto di inizio
TU SEI VIVO FUOCO (AA, 248)
Tu sei fresca nube
che ristori a sera,
del mio giorno sei rugiada.
Ecco, già rinasce di freschezza eterna
questo giorno che sfiorisce.
Se con Te, come vuoi,
cerco la sorgente,
sono nella pace.
Tu sei sposo ardente
che ritorni a sera,
del mio giorno sei l’abbraccio.
Ecco, già esulta
di ebbrezza eterna
questo giorno che sospira.
Se con Te, come vuoi,
mi consumo amando,
sono nella pace.
Tu sei voce amica
che mi parli a sera,
del mio giorno sei conforto.
Ecco, già risuona
d’allegrezza eterna
questo giorno che ammutisce.
Se con Te, come vuoi,
cerco la Parola,
sono nella pace.
Saluto
Pr.: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Ass.: Amen.
Pr.: La grazia e la pace del Signore, che ci chiama alla conversione
del cuore, sia con tutti voi.
Ass.: E con il tuo spirito.
125
La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso
Salmo preparatorio 50 (51)
Questo Salmo è una commovente richiesta di perdono.
Il peccatore chiede la conversione del cuore e si apre al rendimento di grazie.
Rit.: Sorgi Signore salvaci,
nella tua misericordia
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro. Rit.
Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo Santo Spirito. Rit.
Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio;
un cuore contrito e affranto Tu, o Dio, non disprezzi. Rit.
Colletta salmica
Pr.:Preghiamo.
O Dio, pieno di amore e di misericordia,
contemplando la Croce
dove tuo Figlio si è caricato del nostro peccato,
comprendiamo che Tu vuoi sempre perdonare e rendere santi.
Guarda il nostro spirito pentito e il nostro cuore umiliato.
126
FEBBRAIO
Ass.:
Tu, che sei buono, purificaci interamente dai nostri peccati,
donaci lo Spirito che ci fa diventare tuoi figli
e le nostre labbra canteranno la tua lode.
Per Cristo nostro Signore.
Amen.
2 – Dio con tutta la mente
Acclamazione al Vangelo (AA, 71)
Gloria a Cristo, splendore eterno del Dio vivente!
Gloria a Te, Signor!
Gloria a Cristo, che muore e risorge per tutti i fratelli!
Gloria a Te, Signor!
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 15, 11-32)
11
Disse ancora: “Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane
dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi
spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il
figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano
e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando
ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed
egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi
campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di
cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in
sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e
io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di
essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si
alzò e tornò da suo padre.
127
La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio
gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono
più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi:
“Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso,
ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio
era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E
cominciarono a far festa.
25
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando
fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli
domandò che cosa fosse tutto questo.27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha
riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti
servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu
non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma
ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze
con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è
tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello
era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
Proposta di riflessione
Silenzio
128
FEBBRAIO
3 – Dio con tutta l’anima
Celebrare la riconciliazione significa rimanere nella speranza, che
sgorga dalla certezza che il Signore, avendoci amati sino alla fine, ricompone la piena e perfetta comunione con Lui e con i fratelli.
Aspersione dell’acqua benedetta (MRI, p. 1034)
Pr.: Fratelli carissimi, invochiamo la benedizione di Dio, nostro Padre, perché questo rito di aspersione ravviva in noi la grazia del
Battesimo, per mezzo del quale siamo stati immersi nella morte
redentrice del Signore per risorgere con Lui a vita nuova.
Tutti pregano in silenzio
Pr.: O Dio creatore, che nell’acqua e nello spirito hai dato forma e
volto all’uomo e all’universo:
Ass.: Purifica e benedici la tua Chiesa.
Pr.: O Cristo, che dal petto squarciato sulla croce hai fatto scaturire
i sacramenti della nostra salvezza:
Ass.: Purifica e benedici la tua Chiesa.
Pr.: O Spirito Santo, che dal grembo battesimale della Chiesa ci hai
fatto rinascere come nuove creature:
Ass.: Purifica e benedici la tua Chiesa.
Pr.: O Dio, che raduni la tua Chiesa, sposa e corpo del Signore, benedici il tuo popolo e ravviva in noi, per mezzo di quest’acqua,
il gioioso ricordo e la grazia della prima Pasqua nel Battesimo.
Per Cristo nostro Signore.
Ass.: Amen.
129
La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso
Pr.: Ed ora, mentre veniamo aspersi con l’acqua benedetta, riconosciamo e confessiamo, con il canto, i nostri peccati davanti a
Dio e alla comunità.
ATTENDE DOMINE (LU)
Atténde Dómine, et miserére,
quia peccávimus tibi.
Ad Te, Rex summe, ómnium redémptor,
óculos nostros sublevámus flentes :
exáudi, Christe, supplicántum préces.
Déxtera Pátris, lápis anguláris,
Via salútis, iánua cæléstis,
áblue nostri máculas delícti.
Rogámus, Deus, tuam majestátem:
áuribus sacris gémitus exáudi :
crimina nostra plácidus indúlge.
Tibi fatémur crìmina admíssa:
contríto corde pándimus occúlta:
tua, Redémptor, piétas ignóscat.
Innocens cáptus, nec repúgnans ductus,
téstibus fálsis pro impiis damnátus :
quos redemísti, Tu consérva, Christe.
Pr.: Concludiamo la preghiera chiedendo perdono e impegnandoci
a perdonare.
Padre nostro.
130
FEBBRAIO
Pr.: O Padre, per la tua benevolenza la creazione continua e sorge il
sole sui buoni e sui cattivi: libera l’uomo dal peccato che lo separa da Te e lo divide in se stesso; fa che, nell’armonia interiore
creata dallo Spirito, diventiamo operatori di pace e testimoni
del tuo amore. Per Cristo nostro Signore.
Ass.: Amen.
Canto di accoglienza dell’Eucaristia
Pregare l’Eucaristia significa riconoscere che la carne di Cristo immolata sulla croce è segno efficace del perdono e della redenzione.
O CRISTO REDENTORE (AA, 199)
Con la sua morte lavò le nostre colpe (dalla liturgia)
1.
O Cristo Redentore
per noi dal ciel disceso,
di questa carne il peso
vestisti nel dolor:
su dura croce esanime
scontasti i nostri errori.
Rit.:
Gesù noi t’adoriamo
dalla croce pendente;
noi Ti benediciamo
per le genti redente.
2.
Perdona, o Dio d’amore,
dall’alto della croce:
preghiamo con la voce
degli umili, o Signore:
perdona a noi colpevoli
d’avere agito mal. Rit.
131
La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso
Adorazione
Tutti:
Preghiera del beato Papa Paolo VI per le Vocazioni (vedi pag. 4)
Silenzio
Per la preghiera personale
Dice il Vangelo, cioè Gesù, il Maestro, narrando la storia del figliol prodigo, nella sua fase più infelice e al tempo stesso più salutare,
che il povero protagonista della triste avventura, ritornò in se stesso,
in se autem reversus (Lc 15,17). Ricordiamo questa semplicissima frase; essa è come l’ago di scambio per la traiettoria d’un convoglio fuori
strada. Ritornò in se stesso: ma aveva bisogno di ritornare in se stesso
un giovane pieno di vita, che non aveva altro cercato che se stesso,
cioè di godersi la propria vita, mediante le esperienze della libertà e
del piacere, le quali sembrano rivelare a un cercatore della vita la sua
pienezza, la sua autenticità, la sua felicità?
Era così uscito da se stesso, dalla propria coscienza, dalla propria
vera personalità, e giunto al fondo d’una disperata e ignobile miseria
che ritornò là donde era fuggito: ritornò in se stesso. È drammatico, è
stupendo. È sommamente istruttivo.
132
FEBBRAIO
Questo atto di riflessione solitaria, coraggiosa, personale sta alla
radice soggettiva (non senza certamente un imponderabile, ma decisivo aiuto divino) del ricupero della vera e nuova vita dell’uomo.
L’esame di coscienza, la verità su se stessi, la classifica secondo giustizia della propria condotta, il coraggio di piangere senza disperazione,
eccetera, potrebbero condurci alle magnifiche analisi del male voluto
e vissuto, e già sotto il peso d’un’auto-condanna piena di straordinaria ricchezza, non solo passionale e letteraria, ma sapiente ed umana,
bisognosa, diremmo quasi fin d’ora, meritevole di compassione e di
riabilitazione.
Basti quest’unico pensiero: in se autem reversus. Quante lezioni
ne potremmo ricavare! Sul silenzio, sulla vita interiore, sulla capacità
di autometamorfosi, sulla fortuna di ritrovare il proprio vero io, e con
esso, domani, Dio, il Padre! Il quadro clinico spirituale vale per tutti.
Pensiamoci.
Papa Paolo VI, Catechesi 13 marzo 1974
La questione perciò è intricata e ardua, ma vale la pena di studiarla e di cercarne le vie di soluzione. Il bisogno, il desiderio, l’attesa di Cristo vegliano in tanti cuori lontani. Molti aspetti della vita
moderna si possono interpretare come predisposizioni provvidenziali
al messaggio evangelico: basta saper intuire i “segni dei tempi”(Mt
16,4). E poi nel mondo vi sono sempre riserve di innocenza, di povertà, di rettitudine, di speranza, con le quali l’apostolo può venire a
colloquio. Se il pastore si muove, esce, cerca, chiama, soffre, non resta
senza fortuna. Se pur talvolta ha successo, al sua attesa paziente del
figliuol prodigo, che torna da sé, più spesso tocca a lui a muoversi, a
prendere l’iniziativa della ricerca, fuori dall’ovile, specialmente se non
una pecora manca alle cento fedeli, ma novantanove all’unica rimasta.
133
La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso
Questo uscire è tremendo, anche se ancora è un restare: nell’impegno
al proprio ufficio pastorale, nella certezza del solo ovile di verità, nella
fedeltà al proprio gregge (cercare non è cedere, è amare), perché poi è
un tentativo di novità, una fatica non prevista, uno sforzo snervante,
un rischio immancabile: nella solitudine forse, nell’oscurità dei pericoli… dove, dove si va? Come si cerca?
G.B. Montini, arcivescovo di Milano,
dal Messaggio per la VII Giornata di Aggiornamento Pastorale
del 31 maggio 1958
Confessione individuale
Preghiera comunitaria di ringraziamento
Signore Gesù Cristo,
mite e umile di cuore, re di giustizia e di pace,
modello di povertà e di pazienza,
Agnello immolato per la nostra salvezza,
Tu che, attraverso la croce, salisti alla gloria
per indicarci la via che conduce al Padre;
donaci di accogliere con gioia
il messaggio evangelico
e di vivere secondo il tuo esempio,
per divenire coeredi del tuo Regno.
Per tutti i secoli dei secoli.
Amen.
134
FEBBRAIO
Canto di Benedizione
APRI LE TUE BRACCIA (AA 195)
1.
Hai cercato la libertà lontano,
hai trovato la noia e le catene,
hai vagato senza via
solo con la tua fame.
Rit.: Apri le tue braccia
Corri incontro al Padre,
oggi la sua casa sarà in festa per te.
2.
Se vorrai spezzare le catene
troverai la strada dell’amore,
la tua gioia canterai:
questa è libertà. Rit.
3.
I tuoi occhi ricercano l’azzurro,
c’è una casa che aspetta il tuo ritorno
e la pace tornerà:
questa è libertà. Rit.
Pr.:
Ass.:
O Padre, Tu non vuoi la morte dei peccatori,
ma la loro conversione:
riconosciamo di avere sbagliato e desideriamo ritornare a Te.
Ascolta la nostra preghiera
e sostieni il nostro impegno quaresimale di conversione.
Per Cristo nostro Signore.
Amen.
135
La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso
Benedizione
Canto di reposizione
TI SALUTO O CROCE SANTA (Repertorio nazionale)
Per mezzo di Cristo siamo stati salvati (dalla Liturgia)
Rit.:
Ti saluto o Croce santa,
che portasti il Redentor:
gloria, lode, onor Ti canta
ogni lingua ed ogni cuor.
1.
Sei vessillo glorioso di Cristo,
sua vittoria e segno d’amor:
il suo sangue innocente fu visto
come fiamma sgorgare dal cuor. Rit.
2.
O Agnello divino, immolato
sulla croce crudele, pietà!
Tu, che togli dal mondo il peccato,
salva l’uomo che pace non ha. Rit.
136
FEBBRAIO
4 – Dio con tutte le forze
Per l’attualizzazione e la condivisione
Nella Quaresima di questo Anno Santo ho l’intenzione di inviare
i Missionari della Misericordia. Saranno un segno della sollecitudine
materna della Chiesa per il Popolo di Dio, perché entri in profondità
nella ricchezza di questo mistero così fondamentale per la fede. Saranno sacerdoti a cui darò l’autorità di perdonare anche i peccati che
sono riservati alla Sede Apostolica, perché sia resa evidente l’ampiezza
del loro mandato. Saranno, soprattutto, segno vivo di come il Padre
accoglie quanti sono in ricerca del suo perdono. Saranno dei missionari
della misericordia perché si faranno artefici presso tutti di un incontro
carico di umanità, sorgente di liberazione, ricco di responsabilità per
superare gli ostacoli e riprendere la vita nuova del Battesimo. Si lasceranno condurre nella loro missione dalle parole dell’Apostolo: «Dio
ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso
tutti» (Rm 11,32). Tutti infatti, nessuno escluso, sono chiamati a cogliere l’appello alla misericordia. I missionari vivano questa chiamata
sapendo di poter fissare lo sguardo su Gesù, «sommo sacerdote misericordioso e degno di fede» (Eb 2,17).
Chiedo ai confratelli Vescovi di invitare e di accogliere questi
Missionari, perché siano anzitutto predicatori convincenti della misericordia. Si organizzino nelle Diocesi delle “missioni al popolo”, in modo
che questi Missionari siano annunciatori della gioia del perdono. Si
chieda loro di celebrare il sacramento della Riconciliazione per il popolo, perché il tempo di grazia donato nell’Anno Giubilare permetta a
tanti figli lontani di ritrovare il cammino verso la casa paterna. I Pastori, specialmente durante il tempo forte della Quaresima, siano solleciti
nel richiamare i fedeli ad accostarsi «al trono della grazia per ricevere
misericordia e trovare grazia» (Eb 4,16).
Papa Francesco, Misericordiae Vultus,
Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 18
137
La misericordia innanzitutto: la parabola del Padre misericordioso
-
Come essere e aiutare altri ad essere Missionari
della Misericordia?
Risonanze e condivisione
Conclusione
Tutti:Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo (vedi pag. 3)
Antifona Mariana
AVE REGINA CÆLORUM (AA, 307)
Ave Regína cælorum,
ave Dómina angelórum:
Salve, radix, salve, porta,
ex qua mundo lux est orta.
Gaude, Virgo gloriósa
super omnes speciósa.
Vale, o valde decóra
et pro nobis Christum exóra.
138
le gambe
APRILE
La misericordia del Risorto:
i discepoli di Emmaus
(Lc 24,13-35)
Un Anno Santo straordinario, dunque, per vivere nella vita di
ogni giorno la misericordia che da sempre il Padre estende verso di
noi. In questo Giubileo lasciamoci sorprendere da Dio. Lui non si
stanca mai di spalancare la porta del suo cuore per ripetere che ci
ama e vuole condividere con noi la sua vita. La Chiesa sente in maniera forte l’urgenza di annunciare la misericordia di Dio. La sua vita
è autentica e credibile quando fa della misericordia il suo annuncio
convinto. Essa sa che il suo primo compito, soprattutto in un momento come il nostro colmo di grandi speranze e forti contraddizioni,
è quello di introdurre tutti nel grande mistero della misericordia di
139
La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus
Dio, contemplando il volto di Cristo. La Chiesa è chiamata per prima
ad essere testimone veritiera della misericordia professandola e vivendola come il centro della Rivelazione di Gesù Cristo. Dal cuore della
Trinità, dall’intimo più profondo del mistero di Dio, sgorga e scorre
senza sosta il grande fiume della misericordia. Questa fonte non potrà
mai esaurirsi, per quanti siano quelli che vi si accostano. Ogni volta
che ognuno ne avrà bisogno, potrà accedere ad essa, perché la misericordia di Dio è senza fine. Tanto è imperscrutabile la profondità del
mistero che racchiude, tanto è inesauribile la ricchezza che da essa
proviene.
In questo Anno Giubilare la Chiesa si faccia eco della Parola di
Dio che risuona forte e convincente come una parola e un gesto di
perdono, di sostegno, di aiuto, di amore. Non si stanchi mai di offrire misericordia e sia sempre paziente nel confortare e perdonare. La
Chiesa si faccia voce di ogni uomo e ogni donna e ripeta con fiducia
e senza sosta: «Ricordati, Signore, della tua misericordia e del tuo
amore, che è da sempre» (Sal 25,6).
Papa Francesco, Misericordiae Vultus,
Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 25
140
APRILE
Per la preparazione personale
L’evangelista Luca possiede in esclusiva il brano proposto, prima apparizione del Risorto a due discepoli privilegiati che lo incontrano prima che si manifesti ai suoi apostoli. I due compiono un cammino trasferendosi da un luogo all’altro e, nello stesso tempo, fanno
un cammino spirituale e maturano un nuovo modo di rapportarsi
a Cristo, spostando l’asse del loro interesse. Passano dalla presunta
conoscenza di Cristo, così come la loro miope esperienza l’aveva pensato, a una conoscenza autentica che si costruisce in loro progressivamente grazie all’intervento personale di Gesù. Si spostano dalla zona
d’ombra dell’Antico Testamento alla zona di luce
del Nuovo Testamento. Dei due discepoli, l’uno è ben identificato e porta il nome di Cleopa, mentre l’altro rimane senza nome:
ogni lettore del vangelo potrà porre il proprio nome e non tarderà
a identificarsi, perché ognuno deve compiere il cammino che i due
hanno tracciato con il misterioso compagno di viaggio.
Divideremo l’episodio in quattro parti: dopo la presentazione
dei personaggi e delle circostanze (vv. 13-16) si osserverà un primo
tempo nel quale i due discepoli si rivelano uomini dell’AT per l’immagine che si erano fatti di Gesù (vv. 17-24); in un secondo tempo,
camminando con lo sconosciuto viandante, si aprono ad un orizzonte
nuovo e diventano uomini del NT (vv. 25-32); la parte finale indica i
risultati e le conseguenze del cammino (vv. 33-35).
141
La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus
Breve commento
Personaggi e circostanze (vv. 13-16)
Siamo nel giorno di Pasqua, nel pomeriggio. «Due di loro»,
cioè due del gruppo di coloro che avrebbero dovuto essere diversi
perché credenti, lasciano Gerusalemme per recarsi ad Emmaus, un
villaggio distante circa 12 Km dalla città santa, probabilmente loro
paese d’origine. Questo allontanamento ha il sapore amaro di una
sconfitta, la atroce delusione del “tutto finito”, il crollo rovinoso di
una speranza coltivata con passione per qualche tempo. Eppure non
possono troncare nettamente con il passato che non si cancella dalla
propria vita con un colpo di spugna perché «conversavano tra loro
di tutto quello che era accaduto», di tutto ciò di cui erano restati in
qualche modo vittime, cioè spettatori passivi anziché collaboratori
intelligenti e attivi.
Se il ritorno ad Emmaus equivale alla fine dell’avventura con
Cristo, non è vero che tutto ritorni alla normalità senza scossoni. Non
si può stare con Cristo e poi lasciarlo, come se nulla fosse accaduto.
Tutto è finito, ma Cristo continua ad occupare il loro interesse; di
più, Cristo continua ad essere un interrogativo. Tutto è finito, ma non
tutto è chiaro e Cristo continua a fare notizia, anzi, a fare problema.
Per questo conversano e il loro dialogo è animato, tanto che la conversazione si trasforma in discussione, cioè in presentazione di opinioni
divergenti, di dubbi insoluti.
Gesù si unisce a loro perché il cammino materiale diventi un
cammino di fede che li porti ad essere persone attive che trovano
risposta ai loro interrogativi. Gesù cammina insieme per aiutarli a
crescere, ad aprirsi a orizzonti nuovi e dare senso pieno alla loro esistenza. Gesù è lì, vicino ai due, «Ma i loro occhi erano impediti a
riconoscerlo». Questa affermazione suona strana e merita una parola
esplicativa. Come è possibile non ricono­scere una persona che non si
142
APRILE
vede da pochi giorni, forse solo da 72 ore? Gesù si presenta forse mimetizzato, così da rendere impossibile il riconoscimento? Certamente
no. E allora perché questo succede spesso nelle apparizioni, tanto che
i discepoli temono di vedere un fantasma e la Maddalena nel giardino
non riconosce Gesù e lo scambia per il giardiniere? La risposta a questi
legittimi interrogativi sta nel mistero della risurrezione di Gesù che,
per essere un poco compresa, deve essere posta in relazione con le altre
risurrezioni del vangelo.
Il vangelo riferisce tre miracoli di risurrezione operati da Gesù:
la risurrezione di Lazzaro (Gv 11,1-44), la risurrezione del figlio della
vedova di Nain (Lc 7,11-17) e la risur­rezione della figlia di Giairo (Mc
5,21-43). Questi tre casi presentano persone che, grazie all’intervento
di Gesù, ritornano in vita, riprendono cioè la vita che la morte aveva
brusca­mente interrotto ma, dopo un certo tempo, ritornano a morire,
perché tale è il destino del nostro corpo che invecchia, deperisce e si
consuma.
La risurrezione di Gesù si distingue nettamente dalle altre - anche se queste possono essere lette come un segno anticipatore - perché
Gesù risorge per non morire più. Egli non riprende la vita di prima
interrotta dalla morte, ma entra in una condizione nuova, la condizione dello Spirito. Il corpo, reale, vive in una situazione che non gli
permette di soffrire, di invecchiare, una situazione che non richiede le
normali cure del corpo: questo non ha più bisogno di mangiare, di riposarsi, di occupare spazio (Gesù si presenta ai discepoli senza passare
dalla porta). Il corpo di Gesù è il corpo glorificato, il corpo della vita
nuova, dono di Dio. Esiste quindi diversità tra il corpo dei due discepoli e il corpo di Gesù che cammina con loro: appartengono a due
realtà diverse, l’uno al mondo terreno, l’altro al mondo divino. Ora,
non si può accedere alla realtà divina, se Dio stesso non lo rende possibile; i due non possono riconoscere Gesù perché gli occhi del corpo umano non sono in grado di ricono­scere il corpo trasfigurato del
Cristo risorto. L’uomo non può con le sue sole forze trovare l’identità
143
La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus
tra il crocifisso di ieri e il risorto di oggi. Tale identità è possibile solo
a coloro che sono abilitati da Cristo: nel mondo del divino si accede
solo per grazia che è dono di Dio. Soltanto chi riceve questo dono
può riconoscere Gesù. E il dono è dato a chi cammina, a chi procede
nella fede. Gesù con la sua presenza aiuta proprio a far progredire i
due disce­poli che devono passare da una conoscenza veterotestamentaria a una conoscenza neotestamentaria del Messia Gesù.
PRIMO TEMPO:
Quello che noi pensavamo e speravamo in Lui
Uomini dell’Antico Testamento (vv. 17-24)
È facile e quasi normale costruirsi un Cristo su misura, capace di entrare senza troppi sforzi nei nostri schemi. Un Cristo così
non disturba affatto e lo si può anche accettare tranquillamente. Ma
questo non è il Cristo autentico, quello che ci aiuta a penetrare nella
novità della vita, a camminare sulla strada della scoperta. Occorre
prima abbattere questo Cristo che non è Cristo, ma il comodo idolo
che abbiamo fatto per noi, a nostra misura e somiglianza.
A questa tentazione hanno ceduto anche i due discepoli che in
questa fase del loro cammino sono invitati a manifestare le loro idee.
Il dialogo inizia con una provocazione di Gesù che mira proprio a
demolire l’idolo che i due si sono fatto. Gesù prende l’iniziativa per
entrare in dialogo con loro: «Che cosa sono questi discorsi che state
facendo fra voi lungo il cammino?» La prima risposta, immediata e
irriflessiva, rivela meraviglia stizzosa: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?» Con il «Che
cosa?» di Gesù è posta la premessa perché i due si aprano allo sconosciuto viandante, manifestando i loro sentimenti e la concezione che
si erano fatta di Gesù. È un modo, pedagogicamente molto opportuno, di permettere ai due di confidarsi, di sfogarsi, di presentare quel
groviglio di dubbi che rende opaca e inquieta la loro coscienza. Nel
144
APRILE
frattempo, il discorso sugli avvenimenti recenti crea un ponte di solidarietà tra i due e il viandante. Il cammino si carica di appassionato
interesse.
I due conservano per Gesù un’ammirazione ormai diventata
nostalgia. Espongono in un quadro sintetico, ma completo, l’immagine che si era progressivamente delineata nelle loro vita. Ne risulta il
seguente quadro storico e teologico:
- Nei confronti di Gesù nutrivano una grande stima perché lo
ritenevano profeta, qualificato titolo attribuito ai grandi uomini della
storia di Israele. La sua grandezza era legata sia alla parola sia all’attività (miracoli); la sua opera era mirabile e lo accreditava tanto presso
Dio quanto presso il popolo.
- I due esprimono la dissociazione dai fatti che hanno permesso
il precipitare della situazione, perché i responsabili sono «i capi dei
sacerdoti e le nostre autorità». La passione e la morte sono considerate
un incidente non previsto e tanto meno desiderato, una tragica fatalità di cui Gesù è rimasto vittima.
- La morte, e tanto più la morte in croce, ha gettato un’ombra
sulla persona di Gesù e ha incrinato, se non proprio spezzato, la ferrea fiducia riposta in lui. Nessun ebreo poteva dimenticare la severa
condanna della Legge: «Colui che è appeso è una maledizione di Dio»
(Dt 21,23).
- «Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele» (v. 21): è la frase chiave, rivelatrice della mentalità veterotestamentaria dei due, per i quali Gesù doveva essere il Messia politico, il
liberatore nel senso umano, colui che tutti potevano vedere e capire,
colui che tutti attendevano per restituire a Israele il suo prestigio di
un tempo, liberandolo dall’assoggettamento ai Romani. Il verbo greco usato per indicare la liberazione (lytroomai) esprime bene l’attesa
politico-messianica che circolava tra gli Ebrei, anche tra molti seguaci
di Gesù. A ciò si aggiunga la inconciliabilità per la mentalità ebraica
della sofferenza/morte con la potenza/vita di Dio: se Gesù era l’in145
La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus
viato di Dio, doveva necessariamente partecipare della sua potenza e,
quindi, non poteva né soffrire, né morire. Quanto queste idee veterotestamentarie fossero profondamente radicate lo dimostra il fatto che
la novità non viene accolta e tanto meno vissuta: il sepolcro vuoto,
la testimonianza delle donne, la conferma dei discepoli, tutto accade
senza poter incidere minimamente. Impermeabili e refrattari a qualsiasi novità che non entri nei loro schemi, i due lasciano cadere tutto
nel vuoto della indifferenza o, al massimo, del turbamento momentaneo. I due, al pari degli altri, si ostinano a voler vedere un cadavere,
un «lui» che sia solo una delle tante vittime della morte. Sono fermi
e stagnanti nelle loro concezioni, nel limitato orizzonte di uomini
dell’Antico Testamento.
Simile atteggiamento di chiusura, di non disponibilità ad una
realtà che pure orienta verso qualcosa di nuovo, ha come conseguenza
di creare una desolazione interiore che si riflette all’esterno con la tristezza del volto. Sono uomini dell’Antico Testamento, sono uomini
tristi.
SECONDO TEMPO:
Quello che Gesù aiuta a pensare e a sperare in lui.
Uomini del Nuovo Testamento (vv. 25-32)
Si richiede un cambiamento radicale. Ora non sono più i due
discepoli a parlare, a dire ciò che pensano di Gesù, ma è lui a rivelare
quello che devono pensare per mettersi in cammino ed accogliere il
messaggio e la novità della risurrezione. I due si lasciano coinvolgere,
accettano di farsi istruire dalle parole e dai gesti dello sconosciuto e,
quasi senza rendersene perfettamente conto, maturano le conclusioni
che da soli non avrebbero mai trovato. Accettano il dinamismo di un
movimento che, prima di essere fisico, interessa lo spostamento del
baricentro teologico.
146
APRILE
Il pellegrino che prima aveva provocato il discorso e che fino
a questo punto era rimasto in ascolto, prende ora la parola. L’inizio
è duro perché deve frantumare una resistenza frapposta tra la realtà
e i due: si è «stolti» (= non capaci di comprendere) e «lenti di cuore»
(ostinati, riluttanti davanti alla testimonianza) quando, davanti ad
una parola autorizzata e autentica com’è la parola profetica, non ci si
mette in viaggio alla ricerca di un orizzonte nuovo. Lo si è quando,
cocciutamente, non si vogliono leggere i segni dei tempi - parola di
Dio scritta negli avvenimenti - e si rimane prigionieri di schematismi
propri, frusti e obsoleti.
Gesù inizia per i due e con i due un entusiasmante viaggio attraverso la parola profetica che si innerva tutta sulla frase «Non bisognava che Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» (v. 26). È annunciata la croce come strumento di redenzione
e di salvezza, è presentata la morte come germe di vita. Scrive san
Giovanni Paolo II nella sua enciclica Dives in misericordia: «La croce è
il più profondo chinarsi della Divinità sull’uomo e su ciò che l’uomo
chiama il suo infelice destino. La croce è come un tocco dell’eterno
amore sulle ferite più dolorose dell’esistenza terrena dell’uomo». Qui
si trova il cuore del cristianesimo, il centro propulsore del Nuovo Testamento. Anche la struttura del brano ruota attorno a questa frase
come intorno al suo perno. Da esso si muovono in forma uguale e
simmetrica tutte le altre parti.
Quali brani della Legge o dei profeti ha citato Gesù? Il testo
evangelico non si esprime e a noi non resta che fare congetture. Forse
ha ricordato il salmo 22 da lui stesso citato in croce: «Dio mio, Dio
mio, perché mi hai abbandonato?». La prima parte del salmo è molto
tenebrosa, carica di sinistra luce di abbandono e di morte. La seconda
parte, invece, si apre nella fiducia ad una speranza piena di attesa,
rigurgitante di vita. Non è il grido strozzato di un morente disperato,
bensì l’anelito sofferto di colui che rimette tutto all’imperscrutabile
volontà divina.
147
La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus
Molto probabilmente Gesù ha citato i canti del Servo di JHWH,
soprattutto il quarto, che tratta dell’espiazione vicaria: uno soffre e
muore a vantaggio di altri. Per la prima volta è affermato in modo
inequivocabile che la sofferenza può avere valenza redentiva: «Egli è
stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il
castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi
siamo stati guariti» (Is 53,5). La comunità primitiva, istruita dal suo
Maestro, imparerà a stabilire l’identità tra il Gesù di Nazareth e il Servo di JHWH, come farà, tra gli altri, il diacono Filippo (cfr At 8,35).
Poiché proprio la sofferenza, morte inclusa, faceva difficoltà,
dobbiamo supporre che Gesù abbia insistito su questo punto. Si trattava di far vedere come la sofferenza non era necessariamente segno
della lontananza di Dio e marchio di infamia, ma poteva assurgere a
impensato strumento di salvezza. Gesù non è venuto a spiegare la sofferenza in forma astratta, né a sopprimerla, ma a riempirla con la presenza della sua croce e da allora «tutta la sofferenza che c’è nel mondo
non è la sofferenza dell’agonia, ma il dolore del parto» (P. Claudel).
Con un improvvisato mini corso esegetico Gesù ha cercato di spiegare questa sublime verità ai due discepoli. Si trattava, insomma, di
porre la luce dell’amore e il vigore della vita là dove sempre regnava la
sinistra potenza delle tenebre, dell’odio e della morte. Gesù insegna a
capire il mistero della vita (risurrezione), partendo dalla sofferenza e
dalla morte. Fa questo aprendo la loro intelligenza alla comprensione
delle Scritture e camminando con loro; li aiuta a compiere quel passo
decisivo che porta al di là del semplice fatto della morte per scorgere
la luce della vita. Gesù esegeta ha inaugurato un modo nuovo di fare
scuola: è la scuola della vita, la scuola del maestro che cammina con i
discepoli verso orizzonti inesplorati e impensabili, oltre i quali fiorisce
la vita nella eterna primavera di Dio.
Hanno compreso i due la lezione? Il tentativo di Gesù di andare
più lontano (cfr v. 28) ha la funzione di un mini esame, appendice del
mini corso biblico che si è appena concluso. Spontaneo e logico arriva
148
APRILE
il «Resta con noi». La presenza di Gesù non solo non dà fastidio, ma
piace. Il misterioso viandante ha aperto prospettive nuove, ha aiutato
a leggere la realtà in profondità e con occhi nuovi. Come d’incanto,
tutto ha preso un senso, e perfino la sofferenza e la morte sono valorizzate nel piano di Dio. Il desiderio di trattenere l’ospite significa che
le sue parole sono state comprese e accettate. L’esame è brillantemente
superato.
Gesù accetta l’invito a restare, perché la sua missione non è ancora conclusa. Egli vuole ricordare che il cammino inizia con la Scrittura e termina, anzi, culmina nell’azione sacramentale dello spezzare
il pane. «Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro». Ha celebrato l’eucaristia, oppure ha
semplicemente ripetuto i gesti che il padre di famiglia compiva prima
del pasto? Gli studiosi sono divisi al riguardo: per alcuni si tratta di
vera consacrazione eucaristica, per altri di una semplice benedizione.
Una cosa però trova tutti concordi: Luca nel riportare questo brano
usa la terminologia «spezzare il pane» che nel libro degli Atti degli
Apostoli designa, come termine tecnico, la celebrazione dell’eucaristia
(cfr At 2,42). Data questa affinità di vocabolario, possiamo ritenere
che Luca presenti il gesto di Gesù come azione sacramentale. Avremmo così la Scrittura e l’Eucaristia come elementi indispensabili per
l’incontro, l’accettazione e il riconoscimento di Cristo.
A questo punto «Si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma
egli sparì dalla loro vista» (v. 31). Prima lo vedevano e non lo riconoscevano, ora lo riconoscono, ma non lo vedono più. Non desiderano
neppure vederlo, perché l’essere entrati nel suo mondo attraverso la
comprensione e l’adesione, non esige più un contatto materiale e l’apporto dei sensi. Quando hanno accettato l’idea della sofferenza (un
morire per amore) hanno potuto capire qualcosa del mistero della Pasqua. Sollecitati dal misterioso viandante, hanno percorso quel cammino che li ha portati ad abdicare all’idea di un messia politico per
far propria l’idea di un messia che nella sofferenza e nella morte vince
149
La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus
il peccato e libera l’uomo. Ora sono uomini del Nuovo Testamento,
perché accettano il Cristo che soffre, muore e risorge. Solo in questo
momento, dopo che Cristo li ha preparati e li ha abilitati a entrare
nella sfera della vita nuova nello Spirito, possono stabilire l’identità
tra il crocifisso di ieri e il risorto di oggi.
Emmaus, luogo iniziale di destinazione e tomba delle speranze, si colora di fiducia. Il cammino non termina, ma ad Emmaus
si è rischiarato l’orizzonte e la vita ha ripreso a pulsare. Il battito è
stato avvertito quando si leggevano e comprendevano le Scritture in
modo nuovo: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli
conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?» (v.
32). Quando permanevano nella limitatezza dell’Antico Testamento, dubbi e incertezze si dipingevano sul loro volto con i tratti della
tristezza, della opacità, della incapacità a collegare in un insieme armonico gli elementi che la realtà offriva. Ora, al contrario, è di casa
la gioia ardente ed esplosiva, la comprensione luminosa che permette
di integrare tutto nel piano di Dio, realizzato dal Messia Gesù e preannunciato dalle Scritture: «La Bibbia è un unico grande libro, dove
tutto viene in forza del tutto» (M. Buber). Solo ora appartengono al
Nuovo Testamento e sono uomini con il cuore traboccante di gioia. Il
cammino ha toccato un traguardo importante, ma non ha raggiunto
ancora la meta definitiva.
Il risultato del cammino (vv. 33-35)
Giusto il tempo per scambiarsi i sentimenti, giusto il tempo per
rendersi conto che hanno camminato davvero e che ora sono trasformati in uomini nuovi e poi, via, di corsa a Gerusalemme a comunicare la loro esperienza. La scoperta di Cristo rende necessariamente
annunciatori, missionari. Non valgono le motivazioni, pur vere, della
stanchezza e dell’ora tarda. Ripartono per compiere con il cuore colmo quel cammino che poche ore prima avevano percorso tristi e in ri150
APRILE
tirata. Ritornano a Gerusalemme ad annunciare che il loro cammino
verso Emmaus li ha fatti incontrare con uno strano pellegrini che ha
avuto misericordia della loro miopia spirituale e li ha aiutati ad aprirsi
alla più esaltante novità.
Un atroce dubbio potrebbe invalidare il cammino e rituffare i
due nel baratro della disperazione. Sarà proprio vera l’esperienza di
Emmaus o i due sono forse vittime di un’allucinazione? Non potrebbero essere vittime innocenti e impotenti di una speranza frustrata
che ora si presenta sotto l’ombra di realtà? Non potrebbe essere un
modo per continuare nel tempo un’illusione che aveva dato vita a
una meravigliosa avventura? È vero che sono in due e arrivano alle
stesse conclusioni, però si conoscono anche le allucinazioni collettive,
l’infatuazione di massa. Può essere capitato loro qualcosa di analogo?
Il testo non si addentra in problematiche psico-patologiche,
dice semplicemente che i due «Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che
erano con loro». I due ritornano tra gli amici di un tempo, da coloro
che condividevano la stessa fiducia in Gesù, da coloro che avevano
vissuto la tragedia del Venerdì e il conseguente crollo delle speranze. I
due sono accolti dagli amici scoraggiati di ieri con il grido trionfante:
«Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone» (v. 34). Prima
di parlare, ascoltano. Il messaggio che sentono concorda pienamente
con la loro esperienza che, pertanto, non è fasulla o illusoria. L’annuncio del Signore risorto apparso a Simone diventa il sigillo di garanzia
dell’autenticità della loro esperienza. Ubi Petrus, ibi ecclesia (dove sta
Pietro, lì si trova la Chiesa): la presenza di Simone Pietro conferisce
unità organica ed ecclesiale al gruppo degli amici di Gesù; l’esperienza
di Pietro diventa elemento normativo per la esperienza degli altri che
si riconoscono nella Chiesa di Gesù. Nella comunità ecclesiale presieduta da Pietro i due sono accolti e ascoltati: la loro esperienza vale
come ricchezza carismatica che porta ulteriore luce nella comunità
ecclesiale; la comunità ecclesiale accoglie e certifica come reale e au151
La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus
tentica la loro esperienza. Il Cristo risorto fa dono della sua presenza
e del suo riconoscimento all’autorità come ai sudditi, al centro come
alla periferia, perché tutti insieme arrivino all’identità del Crocifisso
di ieri con il Risorto di oggi e tutti insieme, come comunità che accoglie e segue Cristo, siano capaci di annunciarlo sempre e ovunque
sulle strade del mondo.
Tutti gli uomini che leggono la mirabile pagina del racconto
dei due discepoli di Emmaus sono invitati a ripercorrere la stessa strada che porta ad una conoscenza sempre più completa e personale
di Cristo: conoscerlo per annunciarlo e testimoniarlo. Così ha fatto
Cleopa, così fa ogni cristiano che intende identificarsi con l’anonimo
compagno di Cleopa.
Celebrazione
Accoglienza
Introduzione
Il tempo pasquale che stiamo vivendo, ci invita a contemplare
il Risorto. Il gesto dello “spezzare il pane” offertoci dal Vangelo ci
rimanda sulle strade degli uomini per incontrare, nei gesti misericordiosi del Signore, il dono della vita pasquale proposta a tutti gli
uomini.
Invochiamo lo Spirito perché anche a noi sia dato di trovare nel
gesto dello spezzare il pane il segno efficace della sua salvezza offerta
a tutti gli uomini.
152
APRILE
1 - Dio con tutto il cuore
Canto di inizio
LO SPIRITO DI DIO (AA, 245)
Lo Spirito di Dio dal cielo scenda
e si rinnovi il mondo nell’amore:
il soffio della grazia ci trasformi
e regnerà la pace in mezzo a noi.
La guerra non tormenti più la terra
e l’odio non divida i nostri cuori.
Uniti nell’amore,
formiamo un solo corpo nel Signore.
La carità di Dio in noi dimori
e canteremo, o Padre, la tua lode:
celebreremo unanimi il tuo nome,
daremo voce all’armonia dei mondi.
Viviamo in comunione vera e santa,
fratelli nella fede e la speranza.
Uniti nell’amore,
andremo verso il Regno del Signore.
Lo Spirito di Dio è fuoco vivo,
è carità che accende l’universo.
S’incontreranno i popoli del mondo
nell’unico linguaggio dell’amore.
I poveri saranno consolati,
giustizia e pace in Lui si abbracceranno.
Uniti nella Chiesa,
saremo testimoni dell’amore.
153
La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus
Saluto
Pr.: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Ass.: Amen.
Pr.: La grazia e la pace del Signore risorto sia con tutti voi.
Ass.: E con il tuo spirito.
Salmo preparatorio 15 (16)
Il salmista proclama la propria fede in Dio. Invita noi a consegnargli
la nostra vita nella certezza che il Risorto la rende nuova con il dono
del suo corpo offerto in sacrificio per noi.
Rit.: Cantate al Signore un canto nuovo, Alleluia!
Egli ha fatto meraviglie. Alleluia!
Proteggimi, o Dio: in Te mi rifugio.
Ho detto al Signore: “Il mio Signore sei Tu”.
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita. Rit.
Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;
anche di notte il mio animo mi istruisce.
Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare. Rit.
Per questo gioisce il mio cuore
ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa. Rit.
154
APRILE
Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra. Rit.
Colletta salmica
Pr.:Preghiamo.
O Dio nostro Padre,
nei tuoi misteriosi piani di amore e di salvezza
hai offerto al tuo Figlio il calice di una morte amara,
ma non hai lasciato finire nella fossa Colui che Ti ha amato
e Gli hai mostrato la via che porta alla vita.
Concedici di non avere altro bene fuori di Te
e di gustare davanti a Te pienezza di gioia
e vicino a Te felicità senza fine.
Per Cristo nostro Signore.
Ass.: Amen.
2 – Dio con tutta la mente
Acclamazione al Vangelo
NEI CIELI UN GRIDO (AA, 236)
Nei cieli un grido risuonò: alleluia!
Cristo Signore trionfò: alleluia!
Alleluia, alleluia, alleluia!
Cristo ora è vivo in mezzo a noi: alleluia!
Noi risorgiamo insieme a Lui: alleluia!
Alleluia, alleluia, alleluia!
155
La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 24, 13-35)
13
Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino
per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da
Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona
si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a
riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: “Che cosa sono questi discorsi che
state facendo tra voi lungo il cammino?”. Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: “Solo tu sei forestiero a
Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?”. 19Domandò loro: “Che cosa?”. Gli risposero: “Ciò che riguarda Gesù, il
Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio
e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo
hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele;
con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono
accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono
recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo,
sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali
affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba
e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno
visto”. 25Disse loro: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che
hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. 27E, cominciando da Mosè e da
tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. 28
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece
come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: “Resta con
noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”. Egli entrò per
rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò
la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli
occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero
l’un l’altro: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli con156
APRILE
versava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?”. 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono
riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano:
“Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!”. 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto
nello spezzare il pane.
Proposta di riflessione
Silenzio
3 – Dio con tutta l’anima
Canto di accoglienza dell’Eucaristia
VICTIMÆ PASCHÁLI (AA, 227)
1.
2.
3.
4.
5.
Víctimæ pascháli laudes
ímmolent christiáni.
Agnus redé mit oves:
Christus ínnocens Patri
reconciliávit peccatóres.
Mors et vita duéllo
conflixére mirándo:
dux vitæ, mórtuus, regnat vivus.
Dic nobis María:
quid vidísti in via?
Sepúlcrum Christi vivéntis
et glóriam vidi resurgéntis.
157
La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus
6.
7.
8.
Angélicos testes, sudárium
et véstes.
Surréxit Christus spes mea:
præcédet suos in Galiléam.
Scimus Christum surrexísse
a mórtuis vere.
Tu nobis, victor Rex, miserére.
Adorazione
Tutti:
Preghiera del beato Papa Paolo VI per le Vocazioni (vedi pag. 4)
Silenzio
Per la preghiera personale
Sembra ancora a noi che “ci arda il cuore nel petto” mentre
ascoltavamo le parole ispirate della Scrittura, le parole stesse di Gesù
che ancor oggi risuonano alte nel mondo, annunziate dalla Chiesa.
[…] La scena di Emmaus, anzitutto. Troppo nota perché, al solo risentirla, non ci sollevi in cuore immagini e ricordi ormai familiari,
che l’arte cristiana di tutti i tempi ha fatto oggetto privilegiato delle
sue mirabili, trepide, luminose variazioni. Non ci pare forse che il
dubbio dei due discepoli sia stato talvolta anche nostro? Non ci pare
forse che la nostra fede sia stata talvolta troppo scarsa e debole, e materiale, come quella di quegli uomini sfiduciati che si attendevano “la
liberazione d’Israele” (Lc 24,21) in una prospettiva unicamente terrena, senza capire che il Cristo “doveva sopportare queste sofferenze
158
APRILE
per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,26). Quei discepoli di Emmaus
siamo noi! Ma, solo che anche noi abbiamo orecchi per ascoltare, e
cuore per seguire la Parola di Cristo, ecco che Egli viene con noi, si
accompagna a noi, si fa nostro amico, nostro sodale lungo la strada,
nostro commensale alla tavola della carità fraterna e alla comunione
eucaristica […] Fratelli! la fede e l’amore vi facciano riconoscere e
seguire Cristo, sempre. […] Cristo ci accompagna per la via della vita
[…] non temete, Cristo è con voi!
Vicino a voi per trasfigurare il vostro amore, per arricchirne i
valori già così grandi e nobili con quelli tanto più mirabili della sua
grazia; vicino a voi per sostenervi in mezzo alle contraddizioni, alle
prove, alle crisi, immancabili certo nelle realtà umane, ma non certo
[…] insuperabili, non fatali, non distruttive […] …con Gesù seduto
alla tavola del vostro pane quotidiano… possiate fare della vostra esistenza una luce, una missione, una benedizione.
Papa Paolo VI, Omelia in S. Pietro,
13 aprile 1975
Canto di Benedizione
CRISTO È RISORTO. ALLELUIA! (R.N.)
Si, ne siamo certi, Cristo è davvero risorto (dalla Liturgia)
Rit.: Cristo è risorto, alleluia!
Vinta è ormai la morte, alleluia!
1.
Canti l’universo, alleluia,
un inno di gioia al nostro Redentor. Rit.
2.
Con la sua morte, alleluia,
ha ridato all’uomo la vera libertà. Rit.
3.
Segno di speranza, alleluia,
luce di salvezza per questa umanità. Rit.
159
La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus
Intercessioni
Pr.: Il Signore risorto condivide il nostro cammino di fede e, come
ai discepoli di Emmaus, ci apre alla comprensione delle Scritture. Lo preghiamo e diciamo:
Ass.: Gesù, resta con noi: tutto è buio senza di Te.
Pr.: Signore, quanto cammino s’è fatto da quella sera in cui Ti facesti conoscere ai discepoli di Emmaus! Parlaci ancora e spezza
con noi l’Eucaristia affinché possiamo riconoscerTi; preghiamo:
Ass.: Gesù, resta con noi: tutto è buio senza di Te.
Pr.: Signore, i discepoli di Emmaus non potevano vederTi perché
il loro cuore era ostile alla speranza. Spesso ritroviamo in noi
stessi gli atteggiamenti di questi discepoli; Ti preghiamo:
Ass.: Gesù, resta con noi: tutto è buio senza di Te.
Pr.: Signore, lungo la strada di Emmaus Tu rimproverasti la durezza
dei discepoli. Quante volte meritiamo lo stesso rimprovero. Tu,
però, cammini nella nostra strada e non Ti stanchi di cercarci
con misericordia infinita; Ti preghiamo:
Ass.: Gesù, resta con noi: tutto è buio senza di Te.
Pr.: Signore, mentre Tu parlavi si accese il cuore dei discepoli. Ogni
domenica è Emmaus per le nostre comunità. Infiamma il cuore, spezza il pane per noi; Ti preghiamo:
Ass.: Gesù, resta con noi: tutto è buio senza di Te.
Padre nostro.
160
APRILE
Pr.:
Ass.:
Preghiamo (MRI p. 974)
O Dio, che ogni domenica, memoriale della Pasqua,
raccogli la tua Chiesa pellegrina nel mondo,
donaci il tuo Spirito,
perché nella celebrazione del mistero eucaristico
riconosciamo il Cristo crocifisso e risorto,
che apre il nostro cuore all’intelligenza delle Scritture,
e si rivela a noi nell’atto di spezzare il pane.
Egli è Dio, e vive e regna con Te,
nell’umiltà dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Amen.
Benedizione
Canto di reposizione
ALLELUIA! LA SANTA PASQUA
(Repertorio nazionale)
Gesù, mia speranza, è risorto (dalla Liturgia)
Rit.: Alleluia, Alleluia, Alleluia!
1.
La santa Pasqua illumini
di viva fede gli uomini
redenti e fatti liberi, alleluia! Rit.
2.
Non lutto, non più lacrime,
il pianto ceda al giubilo:
sconfitte son le tenebre, Alleluia. Rit.
161
La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus
4 – Dio con tutte le forze
Per l’attualizzazione e la condivisione
La misericordia possiede una valenza che va oltre i confini della
Chiesa. Essa ci relaziona all’Ebraismo e all’Islam, che la considerano uno degli attributi più qualificanti di Dio. Israele per primo ha
ricevuto questa rivelazione, che permane nella storia come inizio di
una ricchezza incommensurabile da offrire all’intera umanità. Come
abbiamo visto, le pagine dell’Antico Testamento sono intrise di misericordia, perché narrano le opere che il Signore ha compiuto a favore
del suo popolo nei momenti più difficili della sua storia. L’Islam, da
parte sua, tra i nomi attribuiti al Creatore pone quello di Misericordioso e Clemente. Questa invocazione è spesso sulle labbra dei fedeli
musulmani, che si sentono accompagnati e sostenuti dalla misericordia nella loro quotidiana debolezza. Anch’essi credono che nessuno
può limitare la misericordia divina perché le sue porte sono sempre
aperte.
Questo Anno Giubilare vissuto nella misericordia possa favorire
l’incontro con queste religioni e con le altre nobili tradizioni religiose;
ci renda più aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci;
elimini ogni forma di chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di
violenza e di discriminazione.
Papa Francesco, Misericordiae Vultus,
Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 23
-
Ci sono possibilità di dialogo nelle nostre comunità per favorire
l’incontro e non la discriminazione?
Risonanze e condivisione
162
APRILE
Conclusione
Tutti: Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo (vedi pag. 3)
Per l’attualizzazione e la condivisione
Antifona Mariana
REGINA CÆLI (AA, 228)
Regína cæli, laetáre, allelúja:
quia quem meruísti portáre, allelúja,
resurrexít, sicut dixit, allelúja.
Ora pro nobis Deum, allelúja.
163
il piede destro
MAGGIO
Due donne cantano la misericordia divina:
Maria e Elisabetta
(Lc 1,39-56)
Il pensiero ora si volge alla Madre della Misericordia. La dolcezza del suo sguardo ci accompagni in questo Anno Santo, perché tutti
possiamo riscoprire la gioia della tenerezza di Dio. Nessuno come
Maria ha conosciuto la profondità del mistero di Dio fatto uomo.
Tutto nella sua vita è stato plasmato dalla presenza della misericordia
fatta carne. La Madre del Crocifisso Risorto è entrata nel santuario
della misericordia divina perché ha partecipato intimamente al mistero del suo amore.
165
Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta
Scelta per essere la Madre del Figlio di Dio, Maria è stata da
sempre preparata dall’amore del Padre per essere Arca dell’Alleanza
tra Dio e gli uomini. Ha custodito nel suo cuore la divina misericordia in perfetta sintonia con il suo Figlio Gesù. Il suo canto di lode,
sulla soglia della casa di Elisabetta, fu dedicato alla misericordia che
si estende «di generazione in generazione» (Lc 1,50). Anche noi eravamo presenti in quelle parole profetiche della Vergine Maria. Questo
ci sarà di conforto e di sostegno mentre attraverseremo la Porta Santa
per sperimentare i frutti della misericordia divina.
Presso la croce, Maria insieme a Giovanni, il discepolo dell’amore, è testimone delle parole di perdono che escono dalle labbra di
Gesù. Il perdono supremo offerto a chi lo ha crocifisso ci mostra fin
dove può arrivare la misericordia di Dio. Maria attesta che la misericordia del Figlio di Dio non conosce confini e raggiunge tutti senza
escludere nessuno. Rivolgiamo a lei la preghiera antica e sempre nuova della Salve Regina, perché non si stanchi mai di rivolgere a noi i
suoi occhi misericordiosi e ci renda degni di contemplare il volto della
misericordia, suo Figlio Gesù.
La nostra preghiera si estenda anche ai tanti Santi e Beati che
hanno fatto della misericordia la loro missione di vita. In particolare il pensiero è rivolto alla grande apostola della misericordia, santa
Faustina Kowalska. Lei, che fu chiamata ad entrare nelle profondità
della divina misericordia, interceda per noi e ci ottenga di vivere e
camminare sempre nel perdono di Dio e nell’incrollabile fiducia nel
suo amore.
Papa Francesco, Misericordiae Vultus,
Bolla di indizione del Giubileon straordinario della Misericordia, n. 24
166
MAGGIO
Per la preparazione personale
Un giorno un cronista intervistò Madre Teresa di Calcutta ed
esordì: «Lei che ha fatto la scelta dei poveri…». Fu subito bloccato dall’interessata che reagì prontamente dichiarando: «Io ho scelto
Gesù Cristo». Ovviamente ella non condivideva la priorità assegnata
ai poveri. Occorre invertire l’ordine. L’amore incondizionato a Lui
porta ad interessarsi del prossimo, senza condizionamenti o controlli
del colore della pelle, ceto sociale, appartenenza religiosa o altre classificazioni umane. Ancora una volta è confermata un’antica regola, più
volte collaudata e divenuta poi un pilone portante della spiritualità
cristiana: il credente che aderisce a Dio trova spazio e slancio anche
per il prossimo. Amore a Dio e amore al prossimo sono due facce
della stessa medaglia, come si evince dal grande comandamento proclamato da Gesù e riformulato da Giovanni: «Chi non ama il proprio
fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4, 20). La
vita con Dio non isola la persona in uno sterile misticismo, ma la apre
al prossimo in uno slancio più maturo e più consapevole. La vera fede
si ammanta di provvida carità.
Maria ne è un esempio vivente. Anziché appartarsi a contemplare il mistero che sta vivendo, preferisce aprirsi al prossimo bisognoso. Si reca dalla parente Elisabetta a portare il suo aiuto. L’incontro
di due donne e, più precisamente, di due madri, diventa un’icona del
servizio reciproco, della gratitudine a Dio e agli uomini, un “messale”
per la preghiera quotidiana. Insomma, un episodio che gronda umanità e spiritualità.
167
Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta
Tematica e dinamismo
Il lettore ha già avuto l’opportunità di conoscere Elisabetta e
Maria, perché di loro Luca ha tracciato un itinerario umano e religioso nelle pagine che precedono la nostra. Sono due donne accomunate
dall’essere madri, rese tali da uno speciale favore divino. Il presente
brano ha una funzione unificante: le due donne, finora relazionate a
distanza, vengono a trovarsi insieme, si scambiano confidenze, si arricchiscono reciprocamente, attingendo entrambe alla comune fonte
dello Spirito Santo.
Il brano è quindi la diretta conseguenza del precedente che narrava l’annuncio della nascita di Gesù. Maria, informata dall’angelo del
concepimento dell’anziana parente, si incammina verso di lei. Due
unità minori compongono il tutto: i vv. 41-45 riportano “il cantico di
Elisabetta”, le solenni parole che ella avrà nei confronti di Maria; i vv.
46-55 sviluppano la preghiera di Maria, più conosciuta come Magnificat, dalla prima parola del testo latino. Dal confronto delle due parti,
vediamo che la prima è dominata dalle parole di Elisabetta, la seconda
dalle parole di Maria. Sono due madri che, ciascuna a proprio modo,
cantano un inno alla vita e celebrano la misericordia divina. Il tutto è
preceduto dall’incontro delle due donne, con annotazioni geograficocronologiche (vv. 39-40). A conclusione, il v. 56 vede Maria ritornare
a casa, dopo un soggiorno di circa tre mesi. Tutto l’episodio è sigillato
da una partenza e da un ritorno, dopo aver esaltato il prezioso gesto
di carità, distribuito nell’arco di circa novanta giorni.
Breve commento
Nell’AT, uomini e donne si abbeverano ad una comune convinzione: l’importanza della generazione. I figli sono il loro futuro. Non
a caso il «Crescete e moltiplicatevi» appare come il primo comandamento che si incontra aprendo la Bibbia. Un modo particolare della
168
MAGGIO
benedizione divina è la prole, tanto meglio se numerosa, come suggerisce la promessa di Dio ad Abramo: «Renderò molto numerosa la tua
discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del
mare (Gn 22,17). In caso contrario, la sterilità equivale a umiliazione
e a punizione.
L’incontro di Maria con Elisabetta (vv. 39-40 )
Dopo la stupenda esperienza di Nazaret che la promuoveva a
ruolo di «Madre di Dio», Maria non appare una creatura beata in se
stessa, isolata nella sua intimità divina, bensì un essere corporeo, fatto
di concretezza, di sensibilità e di disponibilità. Ella lascia la mistica
tranquillità della sua casa e si mette in strada.
Maria che va da Elisabetta dà vita ad un incontro, conosciuto
spesso con il titolo di Visitazione, reso famoso dall’iconografia e dall’agiografia. La scena, come la precedente dell’annuncio della nascita di
Gesù, ha catalizzato l’attenzione degli artisti e della devozione popolare. Rimane fissata nel secondo mistero gaudioso del Rosario.
Due donne diverse per età e per situazione, sono accomunate
nel magico gioco della vita, chiamate in quest’ora solenne della storia
della salvezza ad essere lo strumento docile e intelligente del Signore
della vita. Due madri si incontrano, ciascuna portando dentro di sé
una vita fecondata in modo sorprendente, fuori dalla logica biologica.
Due storie diverse, eppure accomunate da un unico disegno e tessute
dalla mano silenziosa della Provvidenza che fa incontrare i due concepiti, portati dalle rispettive madri.
All’inizio c’è un movimento spaziale. Maria lascia Nazaret, collocata al nord della Palestina, per recarsi «verso la regione montuosa,
in una città di Giuda», a circa centocinquanta chilometri a sud. La
località è stata individuata dalla tradizione nell’attuale Ain Karem, a
9 km da Gerusalemme. Lo spostamento fisico testimonia la sensibilità interiore di Maria, non chiusa a contemplare in modo privato il
169
Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta
mistero della divina maternità che si compie in lei, ma proiettata sul
sentiero della carità. Il viaggio, non privo di fatica e di disagi, favorirà
la bella immagine di «Maria pellegrina».
Si muove per portare aiuto alla sua anziana parente. Anche se
qualcuno parla di «cugina», il termine greco synghenís del v. 36 rimane
abbastanza vago nel determinare il grado di parentela, e quindi va preferito il più generico «parente». Lo spostamento di Maria è corredato
dall’aggiunta «in fretta» che sant’Ambrogio interpreta così:
«Maria si avviò in fretta verso la montagna, non perché fosse incredula della profezia o incerta dell’annunzio o dubitasse della prova,
ma perché era lieta della promessa e desiderosa di compiere devotamente un servizio, con lo slancio che le veniva dall’intima gioia... La
grazia dello Spirito Santo non comporta lentezze».
Sebbene il testo evangelico non esprima chiaramente il motivo del viaggio, siamo in grado di scoprirlo, collegando logicamente
alcune informazioni. L’annuncio angelico aveva notificato a Maria la
gravidanza di Elisabetta, arrivata già al sesto mese (cf v. 37). L’informazione di Luca che Maria si fermò per tre mesi (cf v. 56), permette
di trovare la somma di nove mesi, quelli necessari per la nascita. La conclusione si impone da sola: Maria non compie una visita di
cortesia, tanto meno un viaggio turistico, ma reca aiuto alla futura
mamma. Ella si muove e va là dove la chiama l’urgenza di un bisogno,
dimostrando fine sensibilità e concreta disponibilità. Ancora più preziosa è questa giovanile presenza, se pensiamo all’età matura di Elisabetta e alla sua inesperienza di maternità. Se è già piacevole ricevere
una risposta positiva alla richiesta di un bisogno, è ancora più bello
essere aiutati, pur senza averne espresso il desiderio. Possiamo parlare
di carità “sopraffina” o carità d’oro, perché previene la richiesta di
aiuto, segno di una fine sensibilità e di delicata attenzione agli altri.
Maria si mette in cammino. Grazie a lei anche Gesù, prima
ancora di nascere, è in movimento verso gli altri, profetico anticipo
della sua missione itinerante che lo vedrà portatore a tutti della parola
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MAGGIO
che aiuta e che salva. Questo brano, al pari dei precedenti, è prima
di tutto cristologico, e ha lo scopo di fissare lo sguardo su di Lui. A
prima vista, sembrerebbe una scena dominata dalle due donne che
si incontrano e si parlano. Un supplemento di attenzione aiuterà a
capire che il centro dell’interesse sta nei concepiti, che le due madri
portano in grembo.
La Visitazione è l’occasione propizia perché si incontrino i loro
bambini, a questo punto ancora allo stadio di feti.
Il cantico di Elisabetta (vv. 41-45)
La prima scena è dominata da una loquace Elisabetta che parla
quando Maria giunge da lei. In analogia al cantico di Maria che segue
subito dopo, identifichiamo queste parole come “cantico di Elisabetta”. Due eventi lo causano e spiegano. Il primo, apparentemente ordinario, è l’ingresso di Maria nella casa di Zaccaria con il conseguente
saluto rivolto a Elisabetta. È una felice “provocazione”. Il saluto origina il secondo evento, il sussulto del bambino che sembra riconoscere
la voce di Maria e, più ancora, sembra relazionarsi a Colui che ella
porta in grembo. Luca usa un verbo greco particolare, skirtáo, che
significa propriamente «saltare», «sussultare». Lo potremmo tradurre,
un po’ liberamente, con «danzare», per distinguerlo dal naturale movimento fisiologico che provano tutte le madri in attesa. Qui è qualcosa di diverso, di straordinario. È la percezione del piccolo Giovanni
in presenza del piccolo Gesù, una forma di “omaggio” che il primo
rende al secondo, inaugurando, non ancora nato, quell’atteggiamento
di rispetto e di sudditanza che avrà poi in tutta la vita.
Tocchiamo qui il cuore teologico del racconto. Sebbene la scena
sia dominata solo dalle due donne, in realtà esse si presentano come
“ostensori” o “arche sante” che portano il frutto del concepimento.
L’incontro delle due madri è l’occasione per l’incontro dei due figli
che portano in grembo, Giovanni e Gesù. Il brano, più che l’incon171
Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta
tro delle due madri, è lo straordinario rapportarsi dei due nascituri.
Si instaura ancora a livello di feto quella dipendenza gerarchica, un
misto di servizio incondizionato e di gioia piena, che caratterizzerà la
vita di Giovanni. Egli, da adulto, testimonierà: «Chi possiede la sposa
è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di
gioia alla voce dello sposo: Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve
crescere e io invece diminuire» (Gv 3,29-30). Al presente, c’è solo una
percezione che si riverbera in un sussulto di gioia.
Commenta ancora sant’Ambrogio: «Elisabetta udì per prima la
voce, ma Giovanni percepì per primo la grazia».
Luca utilizza l’episodio per mettere alla luce quanto si era compiuto nell’intimità di Nazaret. Solo ora, grazie al dialogo con un’interlocutrice, il mistero della divina maternità lascia la sua segretezza e
la sua dimensione individuale, per diventare un fatto noto, oggetto di
apprezzamento e di lode.
Le parole di Elisabetta documentano che lo spessore teologico
attraversa il “concepito” più che la madre: «Benedetta tu fra le donne
e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del
mio Signore venga da me?» (vv. 42-43). Con un’espressione semitica
che equivale ad un superlativo («fra le donne»), Maria è celebrata per
la sua funzione o carisma e per la sua adesione incondizionata a tale
vocazione. Maria è grande perché è «Madre del Signore», theotokos,
come formulerà nel 431 il concilio di Efeso. Elisabetta sa esattamente
quanto è avvenuto, perché parla «colmata di Spirito Santo». Il mistero
della divina maternità rende grande Maria, e a lei sono riservate una
benedizione («benedetta tu») e una beatitudine («beata»).
La benedizione è un dono che ha relazione con la vita; possiamo affermare che la ricchezza fondamentale della benedizione è quella della vita e della fecondità: questo vale tanto per la terra, quanto
per le persone (cfr Dt 28,1-14). Lo vediamo bene nel nostro passo,
quando alla benedizione per Maria è affiancata quella per il figlio: «e
benedetto il frutto del tuo grembo!». Maria è celebrata proprio per la
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MAGGIO
sua maternità. Così la benedizione è da Dio e a lui ritorna ora sotto
forma di invocazione e di preghiera. È il riconoscimento di ciò che
egli ha fatto.
La beatitudine del v. 45, la prima del vangelo di Luca, certifica
l’adesione di Maria alla volontà divina. Ella quindi non è solo destinataria privilegiata di un arcano disegno che la rende benedetta, ma
pure persona responsabile che accetta e aderisce. Maria non è una
creatura che sa, ma una creatura che crede, perché si è aggrappata
ad una parola nuda che ella ha rivestito di amore. Ora Elisabetta le
riconosce questo amore, espresso come credere «nell’adempimento di
ciò che il Signore le ha detto», e la celebra come la prima di tutte le
donne. Maria va da Elisabetta per un servizio domestico, Elisabetta
le restituisce il servizio liturgico della lode, riconoscendola benedetta
come madre e beata come credente.
Il mistero di quella singolare visita è il mistero della comunicazione di due donne, diversificate per età, ruoli, ambiente, caratteristiche, eppure accomunate nel costruire la storia della salvezza. Entrambe portano un figlio nel grembo e anziché parlare di sé, parlano
di Dio, della sua grandezza, dei suoi interventi prodigiosi. Sono madri
capaci di lodare, di ringraziare, di esultare. Grazie a loro, l’incontro di
due madri in attesa, diventa l’incontro del frutto che hanno in grembo. Il passaggio, delicatamente accennato, assume grande spessore
teologico: Giovanni percepisce la presenza del suo Signore ed esulta,
esprimendo con il suo sussultare la gioia a contatto con la salvezza. Di
tale salvezza si farà interprete Maria nel canto che segue.
La preghiera di Maria: il Magnificat (vv. 46-55)
Finora Luca ha “dipinto” Maria come madre in cammino per
un servizio di carità, riconosciuta e celebrata da Elisabetta per la divina maternità. Ora Maria, che senza aver detto una parola si sente
compresa, riconosciuta, accettata ed esaltata, risponde. La sua è una
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Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta
parola abbondante, la più lunga di tutto il Vangelo. Più che parola, è
preghiera.
Ci accontentiamo di una presentazione sommario del cantico.
Sono ravvisabili due parti. La prima, narrativa, con l’esplosione dei
verbi mostra la gioia incontenibile di Maria (vv. 46-50), la seconda,
descrittiva, con l’uso del parallelismo antitetico presenta in concreto
l’azione salvifica ed escatologica di Dio (vv. 51-55).
La prima parte inizia con la voce solista di Maria che parla in
prima persona: «L’anima mia (= io) magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore». Se vogliamo individuare un possibile centro di aggregazione di tutte le idee, lo potremmo trovare nel
concetto teologico di “salvezza”, registrato fin dalle prime battute nel
titolo dato a Dio: «mio salvatore». La salvezza ha in Dio la sua causa,
nell’individuo (o nel gruppo) il suo destinatario. Dall’«io» di Maria
al «Tu» divino, passando attraverso il «noi» comunitario, la salvezza
è cantata nella sua origine (Dio) e nei suoi destinatari (Maria e popolo). Maria interpreta la storia di Israele, racchiusa nella formula di
Dt 26,7: «Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il
Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra
miseria e la nostra oppressione». Partendo dalla sua storia personale,
Maria dà voce alla storia di Israele, spingendo lo sguardo più avanti, abbracciando idealmente tutti gli uomini. La sua vicenda diventa
prototipo di quella della comunità ecclesiale e di ogni cristiano. Come
suggerisce sant’Ireneo, qui Maria «profetizza per la Chiesa».
Perciò la comunità cristiana ha, da secoli, la bella abitudine di
inserire il cantico nella preghiera serale. Maria ha intonato un canto,
le cui note si propagano nel tempo e nello spazio.
La persona che ha fatto l’esperienza di Dio salvatore impara
a celebrarlo nella lode e nel ringraziamento. Il Magnificat è la risposta orante alla presenza di Dio nella vita della sua creatura. E Maria
riconosce questo legame particolare: «Grandi cose ha fatto per me
l’Onnipotente» (v. 49). Nel corso della storia Dio ha ripetutamente
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MAGGIO
dispiegato la sua grazia, intervenendo in favore del popolo. All’inizio,
e come modello esemplare delle «grandi cose», si pone l’esperienza
dell’esodo egiziano, archetipo di ogni liberazione (cfr Sal 106,21-22);
poi si sperimenta il secondo esodo, quello da Babilonia (cfr Gl 2,21);
il terzo, ultimo e definitivo, sarà la redenzione messianica, epilogo
delle «grandi cose». Maria è cosciente di segnare il tornante della storia della salvezza; celebra nel canto l’intervento di Dio che dispiega la
sua onnipotenza manifestandosi amorevole verso le sue creature.
Sarebbe ovvio obiettare che il testo non lascia trapelare nessun
riferimento a Gesù o alla maternità divina. Il contesto di Luca aiuta a
superare la difficoltà: il Magnificat, inserito dopo il racconto dell’annunciazione e dopo la “pubblicità” fatta da Elisabetta, lascia intendere
che tra le «grandi cose» compiute da Dio sia da annoverare, in primis,
la presenza del Figlio di Dio nel grembo della Vergine, «la serva» su cui
si è posato lo sguardo compiacente e compiaciuto dell’Onnipotente.
A partire da quest’ora solenne e decisiva della storia, la salvezza
assume un nuovo contenuto. Come in passato non fu una chimerica
illusione, bensì la celebrazione di un evento reso tangibile con la liberazione dalla schiavitù egiziana, così oggi prende concretezza nella
persona del Messia. La celebrazione di Maria è quindi per la salvezza,
un tempo rappresentata dagli interventi di Dio e ora condensata nella
persona di Gesù.
L’esperienza personale tende a irradiarsi in un’esperienza universale. Nella seconda parte del Magnificat Maria amplia l’orizzonte
e coinvolge il coro dei fedeli: «di generazione in generazione la sua
misericordia per quelli che lo temono». Vede la salvezza operata attraverso sostanziosi ribaltamenti. Si tratta della metodologia divina che
ritorna puntualmente nella storia come scelta “estrosa”, riecheggiata
anche nelle beatitudini. Ben otto verbi scandiscono solennemente l’agire divino con il gioco del contrasto: «ha disperso i superbi… ha rovesciato i potenti… ha innalzato gli umili…». Chi appariva in vantaggio, si trova rovinosamente perdente, chi sembrava emarginato, gode
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Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta
una insperata superiorità. Il ribaltamento lascia trasparire la theologia
crucis, quando uno strumento di morte diventerà vessillo di vita.
I verbi del cambiamento sono al passato, perché riferiscono una
liberazione storica già avvenuta. Gli studiosi chiamano la forma verbale greca aoristo gnomico perché ha una valenza anche per il presente
e il futuro, descivendo una situazione che si ripete. Perciò il Magnificat è «storia e profezia, ricordo e attesa, evento e annuncio» (Ortensio
da Spinetoli).
È un modo sorprendente di usare il tempo al di là del tempo.
Il cantico scivola dal temporale verso l’atemporale, cioè verso l’essere
stesso di Dio. Lo dimostrano i participi («coloro che lo temono»),
l’infinito («ricordarsi»). Anche il vocabolario, con le sue immagini
semitiche contrapposte l’una all’altra, vorrebbe esprimere l’inesprimibile. Più che uno sconquasso, si tratta di un ordine per rimettere a
posto ciò che gli uomini hanno scompaginato con il peccato. La condizione di morte è ora superata dalla nuova situazione che ristabilisce
la priorità e l’eccellenza della vita. Il beneficio divino raggiunge gli
‘anawim, i «poveri di spirito» che ripongono in Dio la loro fiducia,
aprendogli il loro cuore e permettendogli di ripristinare nel creato il
marchio originale del «tutto buono».
Il cantico esalta le scelte estrose di Dio, che Paolo formulerà
così alla comunità di Corinto: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è
debole per confondere i forti, ciò che è ignobile e disprezzato e ciò che
è nulla per ridurre a nulla le cose che sono» (1 Cor 1,27).
Il Magnificat, perla della letteratura degli ‘anawim’, è pure il
manifesto dei diritti di tutti coloro che aspettano un giusto riconoscimento. Vale come promessa di Dio: Lui che non ha doveri verso
nessuno, si impegna con se stesso, con una fedeltà inossidabile. La
conclusione, «ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto
ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre», è lo
scrigno che contiene l’impegno di Dio a continuare l’opera salvifica,
ristabilendo ordine, giustizia, dignità di tutti. La nascita di Gesù, ora
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MAGGIO
presente nel seno di Maria, segna l’inizio del compimento.
Perciò vale il suggerimento di Martin Lutero:
«Questo santo cantico della Madre di Dio dovrebbe essere ben
imparato e ritenuto da tutti».
Novità perenne: Inno alla vita e alla misericordia divina
Finito di leggere il Magnificat, può sorgere l’impressione di essere in presenza di una composizione poco originale, una specie di
calco di testi biblici, con parecchie reminiscenze di salmi. L’impressione è fondata. Non per questo possiamo declassarlo, riducendolo ad
una sbiadita fotocopia. Le parole e le espressioni si possono copiare,
i sentimenti no. Richiamiamo il principio generale secondo cui la
novità attinge alle segrete sorgenti del cuore e della vita. Quante volte
la comunissima frase «Ti amo» suona originale e nuova, anche se da
molti ripetuta e da tutti conosciuta. La sintonia affettiva di due cuori
o la forte carica di amore rende nuovo agli occhi e agli orecchi di qualcuno ciò che sembra banale ad altri.
Maria ripropone temi antichi, eppure carichi di novità, avvalorando il principio secondo cui Dio non fa cose nuove, ma fa nuove
le cose (cf Ap 21,5). Si tratta di arricchire di novità le parole antiche,
proprio come il battesimo fa nuova una creatura già esistente, trasformandola dall’interno.
Alla fine, siamo grati a Maria ed Elisabetta, due madri che ci
hanno regalato due preghiere diventate patrimonio della comunità
ecclesiale orante: le parole di Elisabetta entrano a far parte dell’Ave
Maria; le parole di Maria costituiscono il Magnificat.
Siamo sollecitati a metterci in viaggio come Maria per portare Gesù, a lasciarci riempire dello Spirito Santo per cantare, come
Elisabetta, il miracolo della vita, a lodare il Signore, in un infinito
Magnificat. Due donne ci insegnano a riconoscere e a celebrare la
misericordia divina.
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Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta
Celebrazione
Accoglienza
Introduzione
La gioia della Pasqua viene esaltata in questo ritiro da Elisabetta
e Maria che gioiscono in Dio Salvatore perché ha realizzato le promesse consegnate alla storia dell’umanità. Anche noi siamo chiamati
a unirci a loro nel riconoscere che “di generazione in generazione la sua
misericordia si manifesta per quelli che lo temono”.
Lo Spirito del Signore risorto ci aiuti a riconoscere nel nostro
ministero i segni efficaci della presenza del Signore.
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MAGGIO
1 - Dio con tutto il cuore
Canto di inizio
O FONTE DELL’AMORE (AA, 124)
O fonte dell’amore, o immensa carità,
o Spirito che regni per sempre in ogni età.
A Te con gioia canti che vive e crede in Te;
innalzi lodi e inni che T’ama e spera in Te.
Tu sei pastore e guida di questa umanità:
i popoli del mondo raccogli in unità!
A Te con gioia canti chi vive e crede in Te;
diffonda la Parola chi T’ama e spera in Te.
Tu reggi la tua Chiesa, le doni verità:
i figli tuoi eletti conduci a santità.
A Te con gioia canti chi vive e crede in Te;
sia sempre sale e luce chi T’ama e spera in Te.
Saluto
Pr.: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Ass.: Amen.
Pr.: Lo Spirito del Signore che riempie l’universo, che tutto unisce
e conosce ogni linguaggio, sia con tutti voi.
Ass.: E con il tuo spirito.
Salmo preparatorio 44 (45)
Siamo chiamati a lodare il Signore perché in Elisabetta, in Maria, in
noi realizza, per il bene dell’umanità, il suo disegno di salvezza.
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Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta
Rit.: Tutte le genti vedranno, o Signore, (AA, 10)
la tua salvezza.
Figlie di re fra le tue predilette;
alla tua destra sta la regina, in ori di Ofir. Rit.
Ascolta, figlia, guarda, porgi l’orecchio:
dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre. Rit.
Il re è invaghito della tua bellezza.
È lui il tuo signore: rendigli omaggio. Rit.
Dietro a lei le vergini, sue compagne,
condotte in gioia ed esultanza,
sono presentate nel palazzo del re. Rit.
Colletta salmica
Pr.:Preghiamo.
Signore Gesù, Messia di Dio e re degli uomini,
pieno di grazia e di verità,
diventando un uomo hai sposato la natura umana
per ornarla della tua divina bellezza
e introdurla nel palazzo celeste.
Concedi che, ascoltando la tua Parola,
dimentichiamo la casa terrena dei nostri padri,
e così possiamo partecipare con gioia alla festa
delle nozze dell’Agnello.
Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.
Ass.: Amen.
180
MAGGIO
2 – Dio con tutta la mente
Acclamazione al Vangelo (AA, 70)
Ant.: Alleluia, Alleluia, Alleluia, Alleluia, Alleluia.
Sei Parola di vita eterna, con la tua presenza per noi è festa.
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1, 39-56)
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione
montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il
bambino sussultò nel suo grembo . Elisabetta fu colmata di Spirito
Santo 42ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del
mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai
miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo . 45E
beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le
ha detto”.
46
Allora Maria disse: 39
“L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
48
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
49
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
50
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
47
181
Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
52
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
53
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
54
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
55
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre”.
51
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
56
Proposta di riflessione
Silenzio
3 – Dio con tutta l’anima
Canto di accoglienza dell’Eucaristia
ADORO TE DEVOTE (AA, 325)
1.
Adóro te devóte, látens Déitas,
quæ sub his figúris, vere látitas:
tibi se cor meum totum súbjicit,
quia, te contémplans, totum déficit.
182
MAGGIO
2.
Visus, tactus, gustus, in te fállitur,
sed audítu solo tuto créditur:
credo quidquid díxit Dei Fílius;
nihil hoc verbo veritátis vérius.
3.
In cruce latébat sola Déitas,
at hic látet simul et humánitas:
ambo támen crédens átque cónfitens,
peto quod petívit latro pœnitens.
4.
O memoriále mortis Dómini,
panis vivus, vitam præstans hómini,
præsta meæ menti de Te vívere,
et Te illud semper dulce sápere.
5.
Plagas, sicut Thomas, non intúeor,
Deum támen meum te confíteor.
Fac me tibi sémper mágis crédere,
in te spem habére, te dilígere.
6.
Pie pellicáne, Jesu Dómine,
me immúndum munda tuo sánguine,
cujus una stilla salvum fácere,
totum mundum quit ab ómni scélere.
7.
Jesu, quem velátum nunc aspício,
oro fíat illud, quod tam sítio:
ut, te reveláta cernens fácie,
visu sim beátus tuæ glóriæ. Amen.
Adorazione
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Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta
Tutti:
Preghiera del beato Papa Paolo VI per le Vocazioni (vedi pag. 4)
Silenzio
Per la preghiera personale
Nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore. La grande gioia annunciata dall’angelo, nella notte di Natale, è davvero per tutto il
popolo (Lc 2,10). […] Per prima la Vergine Maria ne aveva avuto l’annunzio dall’angelo Gabriele e il suo Magnificat era già l’inno d’esultanza di tutti gli umili. […] Disponibile all’annuncio venuto dall’alto,
la serva del Signore, la sposa dello Spirito Santo, la Madre dell’eterno
Figlio, fa esplodere la sua gioia dinanzi alla cugina Elisabetta, che ne
esalta la fede: “L’anima mia magnifica il Signore”. […] Essa, meglio di
ogni altra creatura, ha compreso che Dio compie azioni meravigliose: santo è il suo nome, egli mostra la sua misericordia, egli innalza
gli umili, egli è fedele alle sue promesse. Non che l’apparente corso
della vita di Maria esca dalla trama ordinaria: ma essa riflette sui più
piccoli segni di Dio, meditandoli nel suo cuore. Non che le sofferenze
184
MAGGIO
le siano state risparmiate: essa sta in piedi accanto alla croce. […] Ma
essa è anche aperta senza alcun limite alla gioia della risurrezione. […]
Prima creatura redenta, immacolata fin dalla concezione. […] Essa è
il tipo perfetto della Chiesa terrena glorificata. […] Vicina al Cristo,
essa ricapitola in sé tutte le gioie, essa vive la gioia perfetta promessa
alla Chiesa: “Madre piena di santa letizia”. È lo Spirito di Pentecoste
che porta oggi moltissimi discepoli di Cristo sulle vie della preghiera,
nell’allegrezza di una lode filiale, e verso il servizio umile e gioioso dei
diseredati e degli emarginati dalla società. Poiché la gioia non può dissociarsi dalla partecipazione. In Dio stesso tutto è gioia poiché tutto
è dono.
Papa Paolo VI, dall’Esortazione Apostolica
«Gaudete in Domino», 9 maggio 1975
“Beatam me dicent omnes generationes”. Tutte le genti mi
chiameranno beata. Con che slancio ci uniamo alle processioni umane di tutti i secoli per cantare, con Maria, il suo privilegio e la sua incomparabile vocazione! Perché - possiamo chiederci - devo onorare la
Madonna così? La risposta è facile. È il Signore ad onorarla per primo.
[…] La risposta - ecco un primo fondamento - è connessa essenzialmente con il mirabile rapporto di luce e di grazia fra l’Onnipotente e
l’Immacolata. L’ingente numero e varietà di omaggi che sgorgano dal
cuore della Chiesa per celebrare degnamente Maria, indicano molto
bene le linee che devono guidarci e che, sicuramente, non sminuiscono, ma ravviveranno ognor più la nostra pietà. Tutti riconosciamo – e
proprio oggi dobbiamo in maniera accentuata proclamarlo a noi e
agli altri - che a Maria si deve un culto eccezionale, singolare […] per
cui non potremo mai soddisfare appieno il nostro dovere di venerazione a Maria, il cui diritto a tali onori oltrepassa i nostri confini ed
ogni nostra possibilità.
Papa Paolo VI, Omelia, 15 agosto 1964
185
Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta
Canto di Benedizione
UBI CARITAS (AA, 211)
Rit.: Ubi caritas est vera, Deus ibi est.
Congregávit nos in unum Christi amor.
Exultemús et in ipso iucundémur.
Timeamus et amémus Deum vivum.
Et ex corde diligámus nos sincéro.
Simul ergo cum in unum congregámur:
Ne nos mente dividámur, caveámus.
Cessent iúrgia malígna, cessent lites.
Et in médio nostri sit Christus Deus.
Simul quoque cum beátis videamus
gloriánter vultum tuum Christe Deus:
gáudium quod est imménsum atque probum,
saécula per infiníta saeculórum. Amen.
Intercessioni
Pr.: Maria ed Elisabetta hanno incontrato e cantato la misericordia
del Signore. Sul loro esempio anche noi magnifichiamo il Signore dicendo:
Ass.: L’anima mia magnifica il Signore, misericordioso e fedele.
Pr.: Signore, il dialogo fra Maria ed Elisabetta è un messaggio di
eternità. Aiutaci a leggere questo segno della fede con un umile
e fiducioso abbandono alla tua volontà; Ti preghiamo:
Ass.: L’anima mia magnifica il Signore, misericordioso e fedele.
186
MAGGIO
Pr.: Signore, facciamo nostra la preghiera di Maria: Tu fai veramente grandi cose nella vita dei piccoli. Per questo Maria ed Elisabetta, piccole agli occhi del mondo, sono grandi davanti a Te.
Rendici come loro umili e disponibili; Ti preghiamo:
Ass.: L’anima mia magnifica il Signore, misericordioso e fedele.
Pr.: Signore, in Maria si sono compiute le parole di Elisabetta: “Beata te, perché hai creduto”! Rendi tutti noi conformi al capolavoro della tua bontà; Ti preghiamo:
Ass.: L’anima mia magnifica il Signore, misericordioso e fedele.
Pr.: Signore, in Maria il futuro è già cominciato. Affretta il nostro
passo verso il cielo e facci sentire pellegrini verso la terra promessa; Ti preghiamo:
Ass.: L’anima mia magnifica il Signore, misericordioso e fedele.
Padre nostro.
Pr.:
Ass.:
Preghiamo (MRI 512)
Dio onnipotente ed eterno,
che nel tuo disegno di amore
hai ispirato alla beata vergine Maria,
che portava in grembo il tuo Figlio,
di visitare santa Elisabetta,
concedi a noi di essere docili all’azione del tuo Spirito,
per magnificare con Maria il tuo santo nome.
Per Cristo nostro Signore.
Amen.
187
Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta
Benedizione
Canto di reposizione
CON TE GESÙ (CL, 249)
1
Con Te, Gesù, raccolti qui sostiamo;
crediamo in Te che sei la Verità.
Per Te, Gesù, rendiamo grazie al Padre;
speriamo in Te, immensa bontà.
In Te, Gesù, abbiamo la salvezza;
amiamo Te, o Dio con noi.
2
Un giorno a Te verremo, o Signore,
l’eternità germoglierà in noi.
Verremo a Te, provati dalla vita,
ma Tu sarai salvezza per noi.
Sia lode a Te, Signore della Vita,
sia lode a Te, o Dio con noi.
188
MAGGIO
4 – Dio con tutte le forze
Per l’attualizzazione e la condivisione
In questo Anno Santo, potremo fare l’esperienza di aprire il
cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che
spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica. Quante situazioni di precarietà e sofferenza sono presenti nel mondo di oggi!
Quante ferite sono impresse nella carne di tanti che non hanno più
voce perché il loro grido si è affievolito e spento a causa dell’indifferenza dei popoli ricchi. In questo Giubileo ancora di più la Chiesa sarà
chiamata a curare queste ferite, a lenirle con l’olio della consolazione,
fasciarle con la misericordia e curarle con la solidarietà e l’attenzione
dovuta. Non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà
che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo
che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci
provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano
le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità. Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso
regna sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo.
Papa Francesco, Misericordiae Vultus,
Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 15
-
Come aiutare le nostre comunità a “uscire” verso le periferie
esistenziali?
Risonanze e condivisione
189
Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta
Conclusione
Tutti: Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo (vedi pag. 3)
Antifona Mariana
TOTA PULCHRA (RN, 222)
Tota pulchra es María,
et mácula originális
non est in te.
Tu glória Jerusalém,
Tu lætitia Israel,
Tu honorificéntia
Pópuli nostri.
Tu ad vocáta peccatórum.
O María, o María
virgo prudentíssima,
mater clementíssima.
Ora pro nobis.
Intercéde pro nobis,
ad Dóminum, Jesum Christum.
190
il piede sinistro
GIUGNO
Un uomo avvolto di misericordia:
Zaccheo
(Lc 19,1-10)
Il pellegrinaggio è un segno peculiare nell’Anno Santo, perché
è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. La
vita è un pellegrinaggio e l’essere umano è viator, un pellegrino che
percorre una strada fino alla meta agognata. Anche per raggiungere la
Porta Santa a Roma e in ogni altro luogo, ognuno dovrà compiere,
secondo le proprie forze, un pellegrinaggio. Esso sarà un segno del fatto che anche la misericordia è una meta da raggiungere e che richiede
impegno e sacrificio.
191
Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo
Il pellegrinaggio, quindi, sia stimolo alla conversione: attraversando la Porta Santa ci lasceremo abbracciare dalla misericordia di
Dio e ci impegneremo ad essere misericordiosi con gli altri come il
Padre lo è con noi. Il Signore Gesù indica le tappe del pellegrinaggio
attraverso cui è possibile raggiungere questa meta: «Non giudicate e
non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata,
colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura
con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc 6,37-38).
Dice anzitutto di non giudicare e di non condannare. Se non si vuole
incorrere nel giudizio di Dio, nessuno può diventare giudice del proprio fratello. Gli uomini, infatti, con il loro giudizio si fermano alla
superficie, mentre il Padre guarda nell’intimo. Quanto male fanno le
parole quando sono mosse da sentimenti di gelosia e invidia! Parlare
male del fratello in sua assenza equivale a porlo in cattiva luce, a compromettere la sua reputazione e lasciarlo in balia della chiacchiera.
Non giudicare e non condannare significa, in positivo, saper
cogliere ciò che di buono c’è in ogni persona e non permettere che
abbia a soffrire per il nostro giudizio parziale e la nostra presunzione
di sapere tutto. Ma questo non è ancora sufficiente per esprimere la
misericordia. Gesù chiede anche di perdonare e di donare. Essere strumenti del perdono, perché noi per primi lo abbiamo ottenuto da Dio.
Essere generosi nei confronti di tutti, sapendo che anche Dio elargisce
la sua benevolenza su di noi con grande magnanimità.
Misericordiosi come il Padre, dunque, è il “motto” dell’Anno
Santo. Nella misericordia abbiamo la prova di come Dio ama. Egli
dà tutto se stesso, per sempre, gratuitamente, e senza nulla chiedere
in cambio. Viene in nostro aiuto quando lo invochiamo. È bello che
la preghiera quotidiana della Chiesa inizi con queste parole: «O Dio,
vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio aiuto» (Sal 70,2). L’aiuto
che invochiamo è già il primo passo della misericordia di Dio verso di
noi. Egli viene a salvarci dalla condizione di debolezza in cui viviamo.
192
GIUGNO
E il suo aiuto consiste nel farci cogliere la sua presenza e la sua vicinanza. Giorno per giorno, toccati dalla sua compassione, possiamo
anche noi diventare compassionevoli verso tutti.
Papa Francesco, Misericordiae Vultus,
Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 25
Per la preparazione personale
Tra le tante figure simpatiche e inedite del Vangelo di Luca privilegiamo quella di Zaccheo. Piace un po’ a tutti: ai ragazzi per la sua
aria di monello che sale sulla pianta per vedere senza essere visto, agli
adulti per la sua determinatezza e per il suo coraggio ai limiti dell’eroismo. Ha un fisico piccolo eppure è di grande statura morale perché
addita all’uomo di ogni tempo la possibilità di ribaltare una vita. Tutto questo, ovviamente, dopo aver incontrato Cristo, averlo ascoltato
ed essere stato preso al liberante laccio del suo amore.
193
Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo
Contesto e dinamica del brano
Il racconto è collocato alla conclusione del grande viaggio che
porta Gesù a Gerusalemme, la città santa che lo vedrà morire e risorgere. Questo bipolarismo di luce e di tenebre è espresso nel contesto
che abbraccia il nostro brano: esso è collegato con la parabola delle
mine (cfr Lc 19,11-27) perché esprime la possibilità di trafficare bene
i doni ricevuti. Ancora più vistoso il parallelismo con l’episodio del
cieco di Gerico che precede immediatamente il nostro (cfr Lc 18,3543). Si parla di un cieco che chiede a Gesù di poter recuperare la vista
e proprio in forza della sua fede ottiene la guarigione. L’identità di
luogo, Gerico, ha forse favorito la vicina collocazione dei due episodi:
questi sono affini soprattutto per il comune itinerario, dalle tenebre
alla luce, dalla passività al dinamismo, dalla lontananza da Cristo alla
comunione con Lui.
Per quanto concerne la struttura, balzano evidenti due blocchi:
un avvenimento (vv. 1-6) e la valutazione del medesimo (vv. 7-10). In
modo più dettagliato:
A. L’avvenimento
1. Introduzione (vv. 1-2): indicazione del luogo e presentazione
dei personaggi, Gesù (solo nome) e Zaccheo (nome, professione, condizione sociale);
2. Uno cerca e l’altro è cercato: i due sono a distanza (v. 3)
3. Colui che cerca si impegna a superare la distanza (v. 4)
4. Colui che è cercato diventa colui che cerca: inversione dei
ruoli (v. 5)
5. La distanza è superata: i due si incontrano (v. 6)
B. La valutazione
1. La valutazione degli avversari: l’incontro è criticato dai benpensanti che da esso prendono le distanze (v. 7)
194
GIUGNO
2. La valutazione di Zaccheo: l’incontro diventa per lui motivo di cambiamento di vita; incontro fisico, ma anche incontro
spirituale (v. 8)
3. La valutazione di Gesù: l’incontro con tutti, soprattutto con
i peccatori, appartiene alla sua missione:
- con Zaccheo, caso concreto (v. 9)
- con tutti, prospettiva generale (v. 10).
Breve commento
Gesù passa attraverso Gerico. La città, posta a 250 m. sotto il
livello del mare e a circa 10 Km dal Mar Morto è un’oasi subtropicale
stupenda, un fiore in mezzo ad un desolato paesaggio di deserto. La
natura lussureggiante fa da coreografia all’incontro di due persone.
Gesù è di passaggio. Sicuramente è transitato da qui tante volte,
tutte le volte che doveva salire a Gerusalemme. Egli è quindi conosciuto, tanto più che siamo verso la conclusione della sua vita apostolica, e di sé avrà fatto parlare sia per i suoi interventi prodigiosi sia
per i suoi discorsi di ben altro impasto rispetto a quelli dei maestri
abituali.
A Gerico si trova un uomo chiamato Zaccheo. Il suo nome,
abbreviazione di Zaccaria, significa ‘il giusto’, ‘il puro’ - noi tradurremmo Innocenzo - una vera beffa del destino perché egli è capo dei
pubblicani e ricco, due qualifiche che gravano sulla sua reputazione
come una spada di Damocle. In quanto pubblicano era un peccatore
per i giudei; in quanto ricco era ‘un caso difficile’ anche per Gesù
che aveva detto: «quant’è difficile per coloro che possiedono ricchezze
entrare nel Regno di Dio» (Lc 18,24). Che la sua ricchezza non sia
pulita lo si apprenderà in seguito dalla pubblica confessione dell’interessato. Gliela garantiva la sua professione che poteva esercitare con
profitto a Gerico, città di esportazione del balsamo, e perciò serbatoio
di facile business dei pubblicani. Avendo Luca aggiunto che egli è capo
195
Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo
dei pubblicani, ci ha offerto una precisa caratterizzazione sociologica
dandoci un quadro a tutto tondo. Cerchiamo di conoscere meglio
questa professione.
Il mestiere di pubblicano
Pubblicano è un nome comune che designa genericamente un
esattore di tasse, uno che riscuote denaro. Per maggior precisione occorre distinguere tra impresari doganali e semplici impiegati doganali.
Gli impresari concludevano con l’amministrazione romana degli accordi per la esazione delle tasse. Pagavano anticipatamente l’appalto e
durante i dodici mesi che seguivano - tanto durava l’appalto - cercavano di trarre il massimo profitto. Potevano arrivare a una vera e propria
fortuna. Probabilmente Zaccheo appartiene a questo gruppo perché
di lui si dice che era «capo dei pubblicani» e l’aggiunta «ricco» denota
che aveva fatto fortuna.
L’impresario affidava poi il lavoro vero e proprio di dogana ad
altri che lo svolgevano come impiegati. Questi costituivano un gruppo fluttuante, socialmente indifeso, e difficilmente arrivavano a una
consistente ricchezza. Il loro lavoro consisteva essenzialmente nella
riscossione di dazio - il cosiddetto portorium - tassa che si pagava per
l’introduzione di merci in una città o in un particolare territorio, per
l’esportazione, per pedaggi, e altro ancora. Le tasse dirette stabilite
dai romani (imposta fondiaria, imposta personale, ecc.) erano riscossa
non dai pubblicani ma dai magistrati giudei che agivano sotto il controllo del procuratore romano.
Le irregolarità commesse dai pubblicani erano numerose. A
partire da Nerone vi fu l’obbligo di esporre presso le stazioni di dogana le tariffe in vigore (cfr Tacito, Annali, XIII, 51). Come spesso
accade, fatta la legge, trovato l’inganno: poiché il dazio era calcolato
percentualmente in base al valore della merce, bastava ai pubblicani
‘gonfiare’ il valore della merce per aumentare l’incasso. L’iniquo pro196
GIUGNO
fitto non finiva tuttavia nelle loro tasche, bensì in quelle dell’impresario.
Superfluo ricordare il disprezzo che circondava questo mestiere
già detestato perché visto come collaborazione con l’occupante romano e poi, soprattutto, perché si trattava di un autentico strozzinaggio. Ecco perché il nome di pubblicano, etimologicamente ‘colui
che riscuote il denaro pubblico’, da nome designante una professione
finì per classificare una disprezzata categoria di persone che tutti temevano. I farisei poi, cultori della purità legale, nutrivano nei loro
confronti una cordiale antipatia e li tenevano lontano da sé.
Zaccheo, capo dei pubblicani, si porta addosso l’odio rancido
di tutti e il disprezzo, quindi l’isolamento, dei benpensanti.
L’incontro con Gesù
Con queste premesse c’è poco di buono da sperare da quest’uomo che può essere facilmente etichettato. Il seguito del racconto di
Luca documenterà invece proprio il contrario. Le etichette si incollano sulle bottiglie di vino o sui libri per riconoscerli, non agli uomini
che possono cambiare vita a tal punto da essere ‘irriconoscibili’.
Zaccheo offre con il suo comportamento una prima nota positiva perché «cercava di vedere chi era Gesù», voleva cioè vederlo in
faccia, non accontentandosi del ‘sentito dire’. Il suo desiderio non si
può dire estemporaneo o fugace perché «cercava», tempo imperfetto,
denota un’azione che si prolunga nel tempo. Lo dimostrano le difficoltà della bassa statura e della numerosa folla che, da iniziale handicap, sono superate con l’ingegno e la ricerca di mezzi idonei. Quando
si vuole, molte difficoltà cessano di essere tali perché vinte con la tenacia, con l’intuito e l’aguzzare l’ingegno, versione più elegante del
popolare ‘sapersi arrangiare’.
Il suo desiderio è vivo, forse bruciante se lo spinge a tanto.
Dove attecchisce questo desiderio? Su un fondo di pura curiosità?
197
Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo
Sulla gratificazione di poter dire: “Anch’io l’ho visto, anch’io c’ero?”,
su qualcosa di più profondo? Il testo tace sulla motivazione e, di conseguenza, ogni conclusione non supera lo stadio dell’illazione. Del
resto avviene spesso così e l’incontro con Gesù nasce da un desiderio
difficilmente identificabile nella sua radice ultima. Sappiamo poi che
Luca non intende descrivere la psicologia dei suoi personaggi, preferendo mostrare le grandi tappe di un cammino che può servire ai suoi
lettori.
Zaccheo corre avanti per precedere il corteo che sta attraversando la città e trova rifugio su un albero. In quel momento non pensa
alla sua dignità, alla ridicolaggine cui si espone davanti a quelli che
lo conoscevano. A Gerico egli è di casa perché qui lavora e, con tutta
probabilità, qui abita. Non pensa a questo e sale come un monello su
un albero, specificato come sicomoro. Si tratta di una pianta mediterranea che ha il frutto simile a un fico e foglie larghe come quelle di un
gelso e da qui il nome sicomoro (sico = fico e moro = gelso). L’albero
permette una facile ascesa perché ha un tronco basso; le foglie larghe
garantiscono a Zaccheo un sicuro rifugio. La postazione è quindi ottima per vedere.
Lascia che Gesù si avvicini a lui senza che lui stesso avvicinarsi
a Gesù. In questo caso il movimento è solo da una parte, quella di
Gesù. Si riflette qui la logica umana utilizzata spesso anche in campo
religioso, quando si pretende la vicinanza di Dio, la gioia del cuore,
l’armonia della vita, senza contemporaneamente offrire a Dio la disponibilità nell’andare a Lui con l’obbedienza del cuore e della vita.
Un gioco egoistico che non può durare a lungo.
Gesù passa sotto l’albero, è visto da Zaccheo e soddisfa il suo
desiderio. Contemporaneamente gli rivolge la parola e lo invita a
compiere quel movimento che Zaccheo non voleva o non poteva fare.
Non voleva perché occorreva scomodarsi da una vita che, tutto sommato, aveva rivestito come un abito, o non poteva perché ibernato dal
giudizio glaciale dei benpensanti che spesso bloccano molto di più di
198
GIUGNO
una catena di ferro. Gesù lo invita in due modi, prima con lo sguardo e poi con la parola. Lo sguardo si differenzia dal semplice vedere
quanto la volontà dall’istinto. Vedere è un fatto esterno, meccanico,
tipico di tutti gli animali. Guardare invece coinvolge anche la volontà
ed è proprio della persona. Per questo lo sguardo possiede spesso una
carica tale da sostituire bene un fiume di parole. Con lo sguardo si
esprimono i propri sentimenti di approvazione o di disapprovazione,
con uno sguardo si può ferire o amare, con uno sguardo si può tenere a bada una scolaresca. Lo sguardo è un mezzo di comunicazione.
Lo sguardo di Dio possiede inoltre la possibilità di trasformazione.
Dio ha osservato la miseria del suo popolo e interviene (cfr Es 3,7-8);
Gesù guarda attentamente il ricco interessato alla strada per il Regno
dei cieli e gli comunica il suo amore: «Gesù, fissatolo, lo amò» (Mc
10,21). Lo sguardo è il primo elemento di comunicazione usato da
Gesù per Zaccheo, il primo segno per dirgli che si interessa di lui.
Poi arriva la parola che, preparata dallo sguardo, non giunge
più forestiera.
La parola di Gesù
La prima parola che risuona è ZACCHEO, il nome proprio,
quello che identifica una persona e la distingue da un’altra. Zaccheo si
sente chiamato per nome, conosciuto personalmente nella sua identità più vera. Forse gli altri lo chiamano ‘pubblicano’, ‘strozzino’, ‘quello
là’ o con qualche altro nome generico o con un nomignolo. Gesù, un
estraneo, uno di passaggio, lo conosce e lo chiama per nome. Chiamato per nome, Zaccheo è posto nella condizione di rispondere e, ben
più, di entrare in dialogo con Gesù, da persona a persona, da eguali.
La seconda parola è un imperativo: «SCENDI SUBITO». Gesù
invita Zaccheo a lasciare il suo rifugio per mettersi allo scoperto, lo
invita a compiere quel passo che prima non voleva o non poteva fare.
Se prima Gesù si era avvicinato a Zaccheo, tocca ora a Zaccheo avvici199
Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo
narsi a Gesù. È la logica del dialogo: guardare in faccia, parlarsi, compiere ciascuno un passo verso l’altro. L’imperativo non è una violenza
nei confronti dell’altro, quanto piuttosto la garanzia che avvicinarsi
non è proibito, anzi desiderato e richiesto. I farisei e tutti i benpensanti rifuggivano dalla compagnia dei pubblicani e dei peccatori perché era gente ‘sporca’ che contaminava. Con il suo imperativo Gesù
dichiara che non teme nessun contagio, che non mantiene le distanze
dell’indifferenza o del disprezzo. È un imperativo che avvicina, che
crea uguali.
Questo imperativo è accompagnato, quasi rinforzato, dall’avverbio «subito» per aiutare Zaccheo a rompere ogni indugio, a superare eventuali perplessità che possono insorgere come elementi frenanti.
Proprio perché l’imperativo non suoni come violenza sull’altro e per
mostrare la nuova situazione di rapporto, Gesù aggiunge la motivazione che vale quanto un concentrato di teologia: «OGGI DEVO
FERMARMI A CASA TUA».
Consideriamo le singole parole.
OGGI. L’avverbio può essere letto in modo atono o tonico:
atono se inteso come semplice precisazione temporale, nel senso di
oggi e non di domani; tonico se prende più rilievo di quello che gli
compete per il suo valore grammaticale. Conoscendo Luca e il suo
modo di scrivere si deduce il valore tonico. Esaminiamo alcuni testi,
tutti teologicamente densi di significato.
Lc 2,10-11: «[...]Ecco vi annunzio una grande gioia[...] OGGI
vi è nato nella città di Davide un Salvatore». È il momento in cui la
salvezza a lungo profetizzata e attesa prende corpo con la nascita di
Gesù.
Lc 4,21: «OGGI si è adempiuta questa Scrittura che voi avete
udito con i vostri orecchi». Luca fa diventare questo discorso tenuto a
Nazaret l’inizio pubblico e ufficiale dell’attività di Gesù che si presenta come il profeta atteso.
200
GIUGNO
Lc 5,26: «Tutti rimasero stupiti e levavano lode a Dio; pieni
di timore dicevano: OGGI abbiamo visto cose prodigiose». Dopo le
parole, eco i fatti prodigiosi. Gesù conferma con essi la salvezza annunciata e promessa e si qualifica come il vero inviato di Dio.
Lc 23,43: «In verità ti dico: OGGI sari con me in Paradiso». Il
crocifisso Gesù garantisce al crocifisso ladrone l’accesso alla salvezza.
Luca colloca il termine ‘oggi’ sempre in contesto di salvezza e
soprattutto di salvezza che si realizza: nella nascita, nella profezia, nel
miracolo, nella morte. Anche nel nostro caso l’oggi è collegato con la
salvezza, come confermato dalle successive parole di Gesù: «Oggi la
salvezza è entrata in questa casa» (v. 9a).
Si conclude quindi per il valore tonico dell’avverbio e della
sua rilevanza teologica.
DEVO. Il verbo esprime la volontà divina, il piano salvifico e
la sua urgenza. Gesù intende arrivare a tutti, nessuno escluso, soprattutto a coloro che il fanatismo religioso giudaico aveva emarginato.
Il modo più completo per arrivare a tutti sarà il dono della sua vita.
Intanto si manifesta nell’annuncio a tutti del Vangelo che è la rivelazione dell’amore di Dio per l’uomo. Gesù aveva già espresso questa
sua obbedienza al piano divino quando aveva detto: «Bisogna (devo)
che io annunzi il Regno di Dio anche alle altre città, per questo sono
stato mandato» (Lc 4,43).
FERMARMI. Non è il verbo della fretta, del salutino e poi via
di corsa perché ‘c’è molto da fare’. È il verbo della calma, dell’indugio,
del tempo prolungato, tanto che in greco ha spesso il valore di ‘dimorare’, ‘abitare’. È il verbo della residenza. Nel IV Vangelo questo verbo
si colora ancor più teologicamente ed esprime la comunione interpersonale, il legame intimo e profondo fra due persone che si amano.
201
Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo
A CASA TUA. Voler entrare in casa è una manifesta provocazione, uno strappo irrimediabile nel tessuto della teologia farisaica che
disdegnava ogni contatto con i peccatori. Soggiornare in casa di uno
di questi era il colmo della vergogna. Come sempre accade fra Gesù e
i farisei, questi considerano la persona da una posizione di fissità: ciò
che è stata, rimane e sempre sarà. Gesù, al contrario, la considera da
una posizione di movimento, almeno possibile: nonostante un passato rovinoso, si può, anzi, si deve cambiare, progredire e migliorare. La
persona può diventare diversa da quello che è stata.
Queste le dense parole di Gesù. Zaccheo raccoglie la felice provocazione, reagisce facendo quanto Gesù ha richiesto e scende in fretta. Il desiderio di vedere Gesù è finalmente appagato. Non sa che cosa
l’aspetta, non aveva preventivato - e non poteva certo preventivarlo
- ciò che ora prova e decide. Accoglie Gesù con gioia. È registrato
il primo, nuovo ed inatteso sentimento che nasce dall’incontro con
Gesù: la gioia. Gioia che nasce, tra l’altro, dalla possibilità offertagli di
compiere quel passo che prima non voleva o non poteva compiere. La
parola di Gesù l’ha messo in condizione di effettuarlo. Ora però deve
giocare a carte scoperte e non gli è più consentito di mimetizzarsi, sia
pure dietro le foglie di un albero. La gioia ha la sua sorgente intima
nel cuore dell’uomo, però si travasa facilmente all’esterno. L’affermazione della sua frettolosa discesa dall’albero implica un dinamismo interiore, esplicitato dall’annotazione «[...] lo accolse pieno di gioia». In
fondo, Zaccheo è stato l’oggetto di un interessamento che si chiama
attenzione all’altro, riabilitazione, non timore di contagio; insomma,
in una parola, Zaccheo è stato amato da Gesù, avvolto dalla sua misericordia. La gioia è sempre figlia primogenita dell’amore.
Il v. 6 conclude l’avvenimento che costituiva la prima parte del
racconto. Inizia ora una serie di reazioni che partono da un generico
«tutti» che raccoglie in pratica la valutazione degli avversari di Gesù,
segue poi la reazione operativa di Zaccheo e, alla fine, la valutazione
di Gesù che suggella il brano.
202
GIUGNO
In stridente contrasto con la gioia di Zaccheo si colloca la mormorazione prolungata (ancora il tempo all’imperfetto) degli altri,
conglobati in quell’indistinto «tutti». Si tratta dell’altra parte, quella
diversa e in opposizione a Gesù, quella che raccoglieva i maggiori suffragi del pensiero dominante, quello che faceva testo. È la parte che
non conosce il dinamismo innescato da Gesù nel cuore di Zaccheo,
di cui non capisce e non apprezza la gioia. Prova esattamente il sentimento opposto, una specie di disgusto, di irritazione nei confronti di
un comportamento che l’ortodossia giudaica non poteva che biasimare: «È entrato in casa di un peccatore». Inaudito! Uno scandalo! Questo dicono loro. Noi diciamo: la solita musica dei farisei che sanno
strimpellare solo lo strumento della critica, del distacco, del disprezzo,
emettendo unicamente note stonate (cfr Lc 5,30; 15,2). Certo, nella
loro logica il comportamento di Gesù appare tanto anomalo, addirittura offensivo nei confronti della teologia dominante, da diventare
causa scatenante di quella valanga di critiche e di rampogne che si
riversano come un fiume in piena su Gesù e sul povero Zaccheo. Anche questo è un dato abbastanza comune: la volontà salvifica di Dio
inciampa nella fredda incomprensione e nell’acerba critica. Gesù si
era premunito ricordando ai suoi discepoli e a tutti: «Beato è chiunque non sarà scandalizzato da me» (Lc 7,23). Chi rimane fermo nel
passato, perde il treno dell’aggiornamento, della novità, della vita. La
naftalina può proteggere, ma se non ben usata, finisce per avvelenare.
In tale condizione sono i farisei che non accolgono il messaggio e lo
stile nuovo di Gesù.
Le critiche dei benpensanti non raggiungono Gesù, non sfiorano neppure Zaccheo. Questi si alza in piedi, quasi a rendere più
solenni le sue parole, e fa una promessa. Quello che egli dice dimostra
la sua intima contrizione e blocca la reazione della gente. Alle parole
vuote e denigratorie oppone dei fatti sostanziosi. Sono soprattutto
questi a documentare la sincerità della sua conversione e la serietà del
suo distacco dal denaro.
203
Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo
Un atteggiamento giusto, genuino, coraggioso: anziché torturarsi nella sua mente con morbosità masochista si riconosce semplicemente colpevole e tenta di riparare. Segue due vie. La prima è quella
di dare la metà dei propri beni ai poveri. Già la predica sociale del
Battista aveva orientato in tal senso: «Chi ha due tuniche ne dia una
a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto» (Lc 3,11). È
una sollecitazione alla ‘capacità contributiva’ del peccatore chiamato al ravvedimento. Per Zaccheo gioca anche un altro fattore. Molti
defraudati non sono più rintracciabili, altri non sono neppure identificabili. Dare la metà ai poveri, a fondo perduto, ha il valore di una
restituzione. Si tiene l’altra metà per riparare il danno di persone conosciute. In che misura? La legge contemplava la restituzione dell’intero valore, più 1/5 per indennizzo (cfr Lv 5,20-24), percentuale che,
secondo i rabbini, doveva essere aumentata a 1/4.
Zaccheo decide di restituire il quadruplo. In questo si allinea o
con la legge romana - a tanto obbligava il ladro sorpreso ‘con le mani
nel sacco’- o con la legge di Es 21,37: «Quando un uomo ruba un
bue o un montone e poi lo scanna o lo vende, darà come indennizzo
cinque capi di grosso bestiame per il bue e quattro capi di bestiame
minuto per il montone». Allineandosi con la legge più severa, con il
caso estremo, Zaccheo dimostra di essere diventato un altro. Assistiamo con questo al salto acrobatico dal nulla al tutto, da una vita
grigia di una professione disprezzata all’esultanza dell’incontro con
Gesù, dall’attaccamento schiavistico al denaro alla gioiosa liberazione
da esso. Sembra un preludio delle beatitudini, quando gli ultimi e i
disprezzati riceveranno, gratuitamente, la pienezza della felicità.
Il suo comportamento appare un po’ strano. Eppure le cose di
Dio non sono fatte per essere capite intellettualmente, ma per essere
vissute, e quando si vivono, tutto comincia a essere capito. Il presente
di Zaccheo è il punto nel quale il futuro si trasforma in passato. Non
è più l’uomo di ieri, è già l’uomo di domani, quello che Gesù vuole
rendere con il suo annuncio.
204
GIUGNO
Questo è confermato dalla parola conclusiva di Gesù: «Oggi
per questa casa è venuta la salvezza». La salvezza è un termine morale,
politico. C’è l’idea di vittoria, di salvataggio da una condizione negativa e la restituzione della pienezza o dell’integrità. Parlando di Dio
o di Cristo, la salvezza è liberazione dal peccato, stato di alienazione
da Dio e, positivamente, partecipazione e integrazione in una novità
di rapporto con Dio, grazie a Cristo. È, in fondo, il dono di poter
partecipare alla stessa vita divina.
Alla fine, con un detto proverbiale per la sua missione, Gesù
ricorda che Zaccheo non è che l’applicazione di qualcosa che per lui è
costitutivo, cioè andare in cerca di ciò che è perduto per salvarlo (cfr
Ez 34,16; Mt 15,24). È come dire che finché c’è Gesù, nulla è definitivamente perduto. Brilla sempre un barlume di speranza, quella che
Gesù ha acceso come un rogo dalla fiammella del desiderio insito in
Zaccheo.
Un uomo nuovo
Abbiamo in Zaccheo il tracciato della conversione. Gesù passa
e mette in moto in Zaccheo il desiderio di vederlo. Il desiderio si profila con una serie di azioni che cercano di raggiungere il loro intento,
ma a senso unico, vedere senza essere visto, ricevere senza dare. Gesù
fa compiere a questo desiderio un salto di qualità e, incontrando Zaccheo, gli permette di trovare in se stesso le energie di bontà che ogni
uomo conserva nel profondo del proprio essere.
La gioia di Zaccheo è grande. La sua riconoscenza senza limiti.
Con la sua promessa testimonia l’avvenuto cambiamento e si presenta
come uno che ama perché pensa agli altri rompendo il circuito dell’egoismo. Non è semplice giustizia, restituzione di un bene rubato, è
piuttosto l’inizio di una vita nuova, radice di vita eterna. Questa è la
salvezza di Gesù. Se Gesù si avvicina all’uomo e questi si lascia avvicinare da Gesù, da questa distanza ravvicinata nasce una comunione
205
Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo
che è condizione di vita, comunione che è già vita eterna.
Come dimostrato dall’incontro con Zaccheo, Cristo si è fatto
pellegrino di ogni uomo, assicurandogli stima e restituendogli dignità, avvolgendolo di misericordia. Con lui parte una nuova evangelizzazione. Se l’uomo è peccatore, bisogna dirgli o fargli capire che sbaglia: la solidarietà non è mimetismo e tanto meno menzogna. Questo
non deve intaccare l’accoglienza, il perdono, la fiducia, anzi, favorirlo
affinché possa ripartire da capo. Occorre aiutarlo a sentirsi accolto da
Dio come padre universale, a scoprire il suo volto luminoso che risplende nella persona di Gesù. Grazie a lui è restituita quell’immagine
che il peccato aveva deturpato. L’idea che Dio, in Cristo, con amore
imperituro cerca ogni uomo che si è smarrito, conferisce all’individuo
umano un valore eterno e una dignità senza precedenti; per questo la
liturgia fa pregare nel giorno di Natale: «O Dio, che in modo mirabile
ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e
redenti, fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio che
oggi ha voluto assumere la nostra natura umana». Così la lieta notizia
del Regno fa scaturire un duplice stupore: da un lato l’immensità
dell’amore di Dio per l’uomo e dall’altro la grandezza dell’uomo per
Dio.
206
GIUGNO
Celebrazione
Accoglienza
Introduzione
Concludiamo il percorso dei ritiri spirituali illuminati dal dono
della misericordia che questo anno santo, in forme molteplici, ha
consegnato a noi e alle nostre comunità.
La figura di Zaccheo testimonia che là dove la debolezza umana
si apre al Signore, Lui, con gesti di misericordia, si manifesta come
salvezza e liberazione.
Invochiamo lo Spirito perché invada nell’intimo i nostri cuori
così da raddrizzare ciò che in noi è sviato.
207
Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo
1 - Dio con tutto il cuore
Canto di inizio
VENI, SANCTE SPIRITUS (AA, 252)
Veni, Sancte Spíritus,
et emítte caélitus
lucis tuæ rádium.
Sine tuo númine,
nihil est in hómine,
nihil est innóxium.
Veni, pater páuperum,
veni, dator múnerum,
veni, lumen córdium.
Lava quod est sórdidum,
riga quod est áridum,
sana quod est sáucium.
Consolátor óptime,
dulcis hospes ánimæ
dulce refrigérium.
Flecte quod est rígidum,
fove quod est frígidum,
rege quod est dévium.
In labóre réquies,
in æstu tempéries,
in fletu solátium.
Da tuis fidélibus,
in Te confidéntibus,
sacrum septenárium.
O lux beatíssima,
reple cordis íntima
tuórum fidélium.
Da virtútis méritum,
da salútis éxitum,
da perénne gáudium. Amen.
Saluto
Pr.: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Ass.: Amen.
Pr.: Il Signore sia con voi.
Ass.: E con il tuo spirito.
208
GIUGNO
Salmo preparatorio 144 (145)
Il Salmo ci invita a lodare la bontà del Signore nella consapevolezza
che “ci ha fatti per Lui e che il nostro cuore è inquieto finché non trova
riposo in Lui”
Rit.:
A Te, Signore, innalzo l’anima mia. (AA, 4)
O Dio, mio re, voglio esaltarTi,
e benedire il tuo nome in eterno e per sempre.
Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno e per sempre. Rit.
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature. Rit.
Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e Ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo Regno
e parlino della tua potenza. Rit.
Fedele è il Signore in tutte le sue parole
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore sostiene quelli che vacillano
e rialza chiunque è caduto. Rit.
209
Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo
Colletta salmica
Pr.:Preghiamo.
Padre buono e misericordioso
per mezzo del tuo Figlio Gesù, nostro Signore,
ci hai fatto conoscere quello che fin dal principio
generosamente avevi deciso di realizzare
per mezzo di Lui a favore di tutti gli uomini.
Gradisci la lode e il ringraziamento della Chiesa
per la tua fedeltà alle promesse
e per la misericordia con cui perdoni;
donaci oggi il pane necessario e quello che dà la vita eterna
e fa’ che siamo sempre in attesa
della piena realizzazione del tuo Regno
quando con tutti i tuoi fedeli Ti renderemo grazie per sempre.
Per Cristo, nostro Signore.
Ass.: Amen.
2 – Dio con tutta la mente
Acclamazione al Vangelo
Ant.:Alleluia. (AA, 61)
Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito;
chi crede in Lui ha la vita eterna.
210
GIUGNO
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 19,1-10)
Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, 2quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, 3cercava
di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché
era piccolo di statura. 4Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì
su un sicomòro, perché doveva passare di là. 5Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché
oggi devo fermarmi a casa tua”. 6Scese in fretta e lo accolse pieno di
gioia. 7Vedendo ciò, tutti mormoravano: “È entrato in casa di un peccatore!”. 8Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io do
la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. 9Gesù gli rispose: “Oggi per questa casa
è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. 10Il Figlio
dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.
1
Proposta di riflessione
3 – Dio con tutta l’anima
Canto di accoglienza dell’Eucaristia
PÁNGE LINGUA (AA, 322)
1.
Pánge, lingua, gloriosi
Córporis mystérium
Sanguinísque pretiósi,
quem in mundi prétium
Fructus ventri generósi
Rex effúdit gentium.
2.
211
Nobis datus, nobis natus
ex intácta Virgine,
et in mundo conversátus,
sparso verbi sémine,
sui moras incolátus
miro clausit órdine.
Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo
3.
In suprémæ nocte cœnæ,
recúmbens cum frátribus,
observáta lege plene
cibis in legálibus,
cibum turbae duodénæ
se dat suis mánibus.
4.
Verbum caro panem verum
Verbo carnem éfficit,
fitque sanguis Christi merum,
et si sensus déficit,
ad firmándum cor sincérum
sola fides sùfficit.
Adorazione
Tutti:
Preghiera del beato Papa Paolo VI per le Vocazioni (vedi pag. 4)
Silenzio
Per la preghiera personale
Una casa di Dio in mezzo alle case degli uomini è una gran
cosa! […] Non di solo pane ha bisogno la vita umana. Perché davvero
siamo uomini, abbiamo l’anelito alla vita, una vita dell’anima, dello
spirito. […] Abbiamo tanti bisogni, tante voglie, tante aspirazioni.
[…] Noi abbiamo bisogno di pensare, di amare, di essere felici. Che
cosa ci potrà fare felici? A questa domanda ha risposto sant’Agostino:
“Signore, Tu ci hai fatti per Te e il nostro cuore non troverà pace fintanto che non si riposi in Te”. Perché è questa la verità: noi siamo degli esseri proporzionati a Dio come l’occhio è proporzionato alla luce
immensa del cielo, così la nostra anima. E anche quando crediamo di
212
GIUGNO
essere felici noi andiamo inconsciamente in cerca di qualche cosa di
immensamente bello e buono, che si chiama Dio e la nostra vita lo
cerca e lo trova qui [nella Chiesa] in questo luogo, perché questa è la
dimora di Dio. […]
Voi desiderate una vita più piena e più grande e qui la trovate.
Qualcuno che vi aspettava con una misteriosa attesa. Il Vangelo narra
di un uomo che aveva desiderio di vedere Gesù e per questo era andato in cima ad un albero. Gesù lo vede e si ferma. Quell’uomo si chiamava Zaccheo. Gesù gli dice: “Vieni giù perché io voglio quest’oggi
alloggiare nella tua casa”. Gesù era il Figlio di Dio fatto uomo! E si
ripete questa parabola: io voglio abitare con voi per soddisfare il desiderio vostro di incontrarvi con Dio. Qui ci si incontra con Dio.
Gesù vi aspetta, vi chiama, vi ama, corrisponde al vostro desiderio col Suo reale e immenso amore. È un punto focale l’incontro
dell’uomo con Dio. E per voi questo è il luogo della pace, della preghiera, delle speranze, della felicità.
G.B. Montini, arcivescovo di Milano, dall’Omelia per l’Inaugurazione
della chiesa della Madonna dei poveri, Milano, 31 maggio 1955
Canto di Benedizione
TANTUM ERGO (AA, 322)
Tantum ergo sacraméntum
venerémur cérnui,
et antìquum documéntum
novo cedat rìtui;
præstet fides suppleméntum
sénsuum deféctui.
Genitòri Genitòque
laus et iubilàtio,
salus, honor, virtus quoque
sit et benedìctio ;
procedénti ab utròque
compar sit laudàtio. Amen
213
Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo
Intercessioni
Pr.: Il Vangelo ci ha ricordato che il Signore è buono verso tutti.
È disposto ad accogliere le nostre intenzioni e di quanti sono
alla ricerca del suo volto. Invochiamolo perché chiami alla gioia
dell’incontro i cristiani che cercano i valori del Vangelo dicendo:
Ass.: Signore, vieni e porta la pace nella nostra casa.
Pr.: Signore, la storia di Zaccheo rivela la magnanimità del tuo cuore che aspetta e perdona. Vieni, Signore, a visitarci. Vieni nelle
nostre comunità e dona la gioia della tua salvezza; noi Ti preghiamo:
Ass.: Signore, vieni e porta la pace nella nostra casa.
Pr.: Signore, Zaccheo era un uomo deluso dalle sue ricchezze. Egli
cercava e sperava d’incontrare una luce. Metti nel nostro cuore
la stessa attesa, la stessa speranza perché oggi possiamo incontrarTi noi; Ti preghiamo:
Ass.: Signore, vieni e porta la pace nella nostra casa.
Pr.: Signore, per Zaccheo arrivò l’ora straordinaria in cui Tu gli passasti accanto. E fu pronto, perché aveva capito la sua povertà e
il suo fallimento. Fa, o Signore, che anche noi abbiamo la forza
di rischiare tutto per Te; Ti preghiamo:
Ass.: Signore, vieni e porta la pace nella nostra casa.
Pr.: Signore, Tu entrasti nella casa di Zaccheo: e fu festa in quella
casa. Oggi Tu, Signore, aspetti che anche noi entriamo nella
casa di tanti lontani, che facciamo un passo verso di loro, che
offriamo segni di misericordia. Solo così ci farai dono di una
grande pace; Ti preghiamo:
Ass.: Signore, vieni e porta la pace nella nostra casa.
214
GIUGNO
Padre nostro.
Pr.: Preghiamo (MRI, p. 1010)
O Dio, che nel tuo Figlio
sei venuto a cercare e a salvare chi era perduto,
rendici degni della tua chiamata:
porta a compimento ogni nostra volontà di bene,
perché sappiamo accoglierTi con gioia nella nostra casa
per condividere i beni della terra e del cielo.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio
per tutti i secoli dei secoli.
Ass.: Amen.
Benedizione
Canto di reposizione
SE QUALCUNO HA DEI BENI (AA, 141)
Rit. Se qualcuno ha dei beni in questo mondo,
e chiudesse il cuore agli altri nel dolor,
come potrebbe la carità di Dio rimanere in lui?
1.
Insegnaci, Signore, a mettere la nostra vita
a servizio di tutto il mondo. Rit.
2.
La nostra Messa sia l’incontro con Cristo
la comunione con quelli che soffrono. Rit.
215
Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo
4 – Dio con tutte le forze
Per l’attualizzazione e la condivisione
L’Anno giubilare si concluderà nella solennità liturgica di
Gesù Cristo Signore dell’universo, il 20 novembre 2016.
In quel giorno, chiudendo la Porta Santa avremo anzitutto
sentimenti di gratitudine e di ringraziamento verso la SS. Trinità per
averci concesso questo tempo straordinario di grazia. Affideremo la
vita della Chiesa, l’umanità intera e il cosmo immenso alla Signoria
di Cristo, perché effonda la sua misericordia come la rugiada del mattino per una feconda storia da costruire con l’impegno di tutti nel
prossimo futuro. Come desidero che gli anni a venire siano intrisi di
misericordia per andare incontro ad ogni persona portando la bontà
e la tenerezza di Dio! A tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia come segno del Regno di Dio già presente in
mezzo a noi.
Papa Francesco, Misericordiae Vultus,
Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, n. 15
-
Quale “segno” può lasciare nelle nostre comunità la conclusione dell’Anno Giubilare?
Risonanze e condivisione
Conclusione
Tutti: Preghiera di Papa Francesco per il Giubileo (vedi pag. 3)
216
GIUGNO
Antifona Mariana
LIETA ARMONIA (AA, 297)
1.
Lieta armonia nel gaudio del mio spirito si espande:
l’anima mia magnifica il Signor:
Lui solo è grande, Lui solo è grande!
2.
Umile ancella degnò di guardarmi dal suo trono
e grande e bella mi fece il Creator:
Lui solo è buono, Lui solo è buono!
3.
E me beata dirà in eterno delle genti il canto.
Mi ha esaltata per l’umile mio cuor:
Lui solo è santo, Lui solo è santo!
217
APPENDICE
Rito della Benedizione eucaristica
secondo il Rituale Romano
Canto e orazione
Benedizione con l’ostensorio o la pisside
Acclamazioni possibili
1.
Dio sia benedetto.
Benedetto il suo santo nome.
Benedetto Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.
Benedetto il nome di Gesù.
Benedetto il suo sacratissimo Cuore.
Benedetto il suo preziosissimo Sangue.
Benedetto Gesù nel santissimo sacramento dell’altare.
Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.
Benedetta la gran madre di Dio, Maria santissima.
Benedetta la sua santa e immacolata Concezione.
Benedetta la sua gloriosa Assunzione.
Benedetto il nome di Maria, Vergine e Madre.
Benedetto san Giuseppe, suo castissimo sposo.
Benedetto Dio nei suoi Angeli e nei suoi Santi.
219
2. Anima di Cristo, santificami.
Corpo di Cristo, salvami.
Sangue di Cristo, inebriami.
Acqua del costato di Cristo, lavami.
Passione di Cristo, confortami.
O buon Gesù, esaudiscimi.
Entro le tue piaghe nascondimi.
Non permettere che io mi separi da Te.
Dal maligno nemico difendimi.
Nell’ora della mia morte chiamami.
E fa che io venga a Te, per lodarTi con i tuoi Santi,
nei secoli dei secoli.
Amen.
3. Supplica eucaristica
(dalla Didaché)
Noi Ti benediciamo, Padre nostro,
per la santa vite di Davide, tuo servitore,
che ci hai rivelato per mezzo di Gesù, tuo Figlio;
a Te gloria per sempre.
Amen.
Noi Ti benediciamo, Padre nostro,
per la vita e la conoscenza che ci hai rivelate
per mezzo di Gesù, tuo Figlio;
a Te la gloria per sempre.
Amen.
220
APPENDICE
Come questo pane spezzato,
prima disperso sulle colline,
raccolto è diventato uno,
così anche la tua Chiesa
si raccolga dalle stremità della terra nel tuo Regno;
poiché tua è la gloria
e la potenza per sempre.
Amen.
4.
Sole che non tramonta
O Cristo, pane vivo disceso dal cielo,
o grande Sole che mai tramonta
all’orizzonte della Chiesa e del mondo,
rendici capaci di rimanere con Te
in silenzio di amore e di adorazione.
Esposti ai tuoi raggi divini
saremo pienamente trasformati in Te,
anche tutto il creato divenga Eucaristia
e l’inno cosmico di rendimento di grazie al Padre,
Amore che Ti ha donato,
diventi pura lode nel silenzio.
Canto di reposizione
221
222
APPENDICE
CANTI ALTERNATIVI
223
CANTI ALTERNATIVI
COM’È BELLO (AA, 268)
Rit.: Come è bello, Signor, stare insieme
ed amarci come ami Tu: qui c’è Dio, alleluia!
La carità è paziente, la carità è benigna,
comprende, non si adira e non dispera mai.
La carità perdona, la carità si adatta,
si dona senza sosta, con gioia ed umiltà.
La carità è la legge, la carità è la vita,
abbraccia tutto il mondo e in ciel si compirà.
PADRE PERDONA (CdP, 499)
Venite acclamiamo alla roccia della nostra salvezza (Sal 95,1)
Rit.: Signore, ascolta: Padre, perdona!
Fa’ che vediamo il tuo amore.
A Te guardiamo, Redentore nostro,
da Te speriamo gioia di salvezza:
fa’ che troviamo grazia di perdono.
Ti confessiamo ogni nostra colpa,
riconosciamo ogni nostro errore
e Ti preghiamo: dona il tuo perdono.
O buon pastore, Tu che dai la vita,
Parola certa, roccia che non muta,
perdona ancora, con pietà infinita.
225
DA OGNI LUOGO, O DIO
Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo (Ger 31,33)
Da ogni luogo, o Dio, raccogli i figli tuoi;
ti sveli nel mistero, nel Cristo parli a noi.
Lodiamo, a Lui uniti, la sua maestà:
risplenda ai nostri cuori l’eterna verità.
Fedeli al tuo invito noi stiamo innanzi a Te.
Mirabile è il tuo nome, Signore, nostro re.
Vediamo alla tua luce le nostre infedeltà:
siam popolo che implora l’immensa tua bontà.
HAI DATO UN CIBO
Hai dato un cibo a noi, Signore,
germe vivente di bontà.
Nel tuo Vangelo, o buon Pastore,
sei stato guida e verità.
Rit.: Grazie diciamo a Te, Gesù!
Resta con noi, non ci lasciare;
sei vero amico solo Tu!
Alla tua mensa accorsi siamo
pieni di fede nel mister.
O Trinità, noi T’invochiamo:
Cristo sia pace al mondo inter.
226
CANTI ALTERNATIVI
ADORE TE DEVOTE (AA, 325)
Adoro te devote, latens Deitas,
quae sub his figuris vere latitas:
tibi se cor meum totum subicit,
quia te contemplans totum deficit.
Visus, tactus, gustus in te fallitur,
sed auditu solo tuto creditur:
credo quidquid dixit Dei Filius:
nil hoc verbo veritatis verius.
In cruce latebat sola Deitas,
at hic latet simul et humanitas:
ambo tamen credens atque confitens,
peto quod petivit latro pœnitens.
Plagas, sicut Thomas, non intueor
Deum tamen meum te confiteor:
fac me tibi semper magis credere,
in te spem habere, te dirigere.
O memoriale mortis Domini,
panis vivus vitam praestans homini,
praesta meae menti de te vivere,
et te illi semper dulce sapere.
Pie pellicane Jesu Domine,
me immundum munda tuo sanguine,
cuius una stilla salvum facere
totum mundum quid ab omni scelere.
227
Jesu, quem velatum nunc adspicio,
oro fiat illud quod tam sitio:
ut te revelata cernens facie,
visu sim beatus tuae gloriae. Amen.
VENITE AL SIGNORE CON CANTI DI GIOIA (CdP, 123)
Salmo 99
Ant. Venite al Signore con canti di gioia!
O terra tutta acclamate al Signore,
servite il Signore nella gioia,
venite al suo volto con lieti canti!
Riconoscete che il Signore è il solo Dio:
egli ci ha fatto, a lui apparteniamo,
noi, suo popolo, e gregge che egli pasce.
Venite alle sue porte nella lode,
nei suoi atri con azione di grazie;
ringraziateLo, benedite il suo nome!
Sì, il Signore è buono,
il suo amore è per sempre,
nei secoli è la sua verità.
Sia gloria al Padre onnipotente,
al Figlio, Gesù Cristo, Signore,
allo Spirito Santo. Amen.
228
CANTI ALTERNATIVI
CREDO IN TE, SIGNOR (AA, 273)
Credo in Te, Signor, credo in Te:
grande è quaggiù il mister, ma credo in Te.
Rit.: Luce soave, gioia perfetta sei,
credo in Te, Signor, credo in Te.
Spero in Te, Signor, spero in Te:
debole sono ognor, ma spero in Te.
Amo Te, Signor, amo Te:
o crocifisso Amor, amo Te.
Resta con me, Signor, resta con me:
pane che dai vigor, resta con me.
INVOCAZIONE ALLO SPIRITO
Rit.: Vieni Santo Spirito,
manda a noi dal cielo un raggio,
un raggio di luce.
Vieni Padre dei poveri, vieni datore dei doni
luce dei cuori, luce dei cuori.
Consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima
dolcissimo sollievo, dolcissimo sollievo.
Nella fatica riposo, nel calore riparo
nel pianto conforto, nel pianto conforto.
229
Luce beatissima, invadi i nostri cuori
senza la tua forza nulla, nulla è nell’uomo.
Lava ciò che è sordido, scalda ciò che è gelido
rialza chi è caduto, rialza chi è caduto.
Dona ai tuoi fedeli, che in Te confidano
i sette santi doni, i sette santi doni.
Dona virtù e premio, dona morte santa
dona eterna gioia, dona eterna gioia.
LA CREAZIONE GIUBILI (CdP, 668)
Tutte le cose sono state create per lui e in vista di lui (Col 1,16)
La creazione giubili insieme agli angeli.
Ti lodi, Ti glorifichi, o Dio altissimo.
Gradisci il coro unanime di tutte le tue opere:
Rit.: Beata sei tu, o Trinità, per tutti i secoli.
Sei Padre, Figlio e Spirito e Dio unico.
Mistero imperscrutabile, inaccessibile.
Ma con amore provvido raggiungi tutti gli uomini.
In questo tempio amabile ci chiami e convochi,
per fare un solo popolo di figli docili.
Ci sveli e ci comunichi la vita tua ineffabile.
230
CANTI ALTERNATIVI
COM’È BELLO (AA, 268)
Rit.: Com’è bello, Signor, stare insieme
ed amarci come ami Tu; qui c’è Dio, alleluia!
La carità è paziente, la carità è benigna,
comprende, non si adira e non dispera mai.
La carità perdona, la carità si adatta,
si dona senza sosta con gioia e umiltà.
La carità è la legge, la carità è la vita,
abbraccia tutto il mondo e in ciel si compierà.
Il pane che mangiamo, il corpo del Signore,
di carità è sorgente e centro di unità.
IL PANE DEL CAMMINO (AA, 153)
Rit.:
Il tuo popolo in cammino
cerca in Te la guida.
Sulla strada verso il Regno
sei sostegno col tuo Corpo:
resta sempre con noi, o Signore!
È il tuo Corpo, Gesù, che ci fa Chiesa,
fratelli sulle strade della vita.
Se il rancore toglie luce all’amicizia,
dal tuo cuore nasce giovane il perdono.
È il tuo Sangue, Gesù, il segno eterno
dell’unico linguaggio dell’amore.
Se il donarsi come Te richiede fede,
nel tuo Spirito sfidiamo l’incertezza.
231
SOMMARIO
SOMMARIO
Presentazione7
Date e temi dei ritiri9
14-15OTTOBRE
Rimasero in due: la misera e la misericordia11
Per la preparazione personale13
Celebrazione21
1. Dio con tutto il cuore
22
2. Dio con tutta la mente
25
3. Dio con tutta l’anima26
4. Dio con tutte le forze
32
11-12NOVEMBRE
Prendersi cura: la parabola del buon samaritano 35
Per la preparazione personale37
Celebrazione47
1. Dio con tutto il cuore
48
2. Dio con tutta la mente
50
3. Dio con tutta l’anima51
4. Dio con tutte le forze
56
9-10DICEMBRE
Una donna che ama, perchè amata 59
Per la preparazione personale61
Celebrazione71
1. Dio con tutto il cuore
72
2. Dio con tutta la mente
74
3. Dio con tutta l’anima76
4. Dio con tutte le forze
83
233
13-14GENNAIO
Le lacrime di una madre strappano la compassione di Gesù
85
Per la preparazione personale87
Celebrazione91
1. Dio con tutto il cuore
92
2. Dio con tutta la mente
94
3. Dio con tutta l’anima95
4. Dio con tutte le forze
101
11 e 17 FEBBRAIO
La misericordia innanzitutto: la parabola del
Padre misericordioso103
Per la preparazione personale106
Celebrazione124
1. Dio con tutto il cuore
125
2. Dio con tutta la mente
127
3. Dio con tutta l’anima129
4. Dio con tutte le forze
137
13-14 APRILE
La misericordia del Risorto: i discepoli di Emmaus
139
Per la preparazione personale141
Celebrazione152
1. Dio con tutto il cuore
153
2. Dio con tutta la mente
155
3. Dio con tutta l’anima157
4. Dio con tutte le forze
162
234
SOMMARIO
11-12MAGGIO
Due donne cantano la misericordia divina: Maria e Elisabetta 165
Per la preparazione personale167
Celebrazione178
1. Dio con tutto il cuore
179
2. Dio con tutta la mente
181
3. Dio con tutta l’anima182
4. Dio con tutte le forze
189
8-9GIUGNO
Un uomo avvolto di misericordia: Zaccheo
191
Per la preparazione personale193
Celebrazione207
1. Dio con tutto il cuore
208
2. Dio con tutta la mente
210
3. Dio con tutta l’anima211
4. Dio con tutte le forze
216
Appendice219
Canti alternativi223
Sommario233
235
ISBN 978-88-6146-063-8
978-88-6146-054-6
€ 12,00
Edizioni Opera Diocesana San Francesco di Sales
Lello Scorzelli, Cristo sofferente, 1971 - Concesio – Collezione Paolo VI
Iconografo Carlo Richiedei - Icona al fonte battesimale di Concesio (BS)
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