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IL POZZO NELLA BIBBIA a cura di suor Laura Grigis
IL POZZO NELLA BIBBIA a cura di suor Laura Grigis A. Il pozzo, luogo dove uno rientra in se stesso, prende conta=o con il sé profondo e vi scopre l’acqua che dà vita -‐ In Gn 16,4-‐9 si racconta che quando Agar rimane incinta, le relazioni tra le due donne si fanno difficili: Sara maltraAa la sua schiava e questa fugge. Sarai maltraAò tanto Agar che quella si allontanò. La trovò l’Angelo del Signore presso una sorgente d’acqua nel deserto, la sorgente sulla strada di Sur, e le disse: “Agar, schiava di Sarai, da dove vieni e dove vai?”. Rispose: “Vado lontano dalla mia padrona Sarai”. Le disse l’Angelo del Signore: “Ritorna dalla tua padrona e restale soAomessa”. * Come è difficile stare nella situazione senza fuggire! Maria “stava” soAo la croce. Le domande che l’Angelo rivolge ad Agar richiamano la domanda che Dio rivolse ad Adamo nel Paradiso terrestre dopo il peccato di disobbedienza. Adamo ed Eva si nascosero per paura di quel Dio con il quale erano abituaU a conversare ogni giorno, alla brezza del maVno: “Adamo, dove sei?”. “Dove sei o uomo?”. Agar sa da chi sta fuggendo. Non sa dove sta andando. L’Angelo le dice “Ritorna!”. Ritorna a te stessa, sta nella tua situazione! L’Angelo richiama Agar alla sua idenUtà di schiava, la aiuta a stare nel suo vissuto, ad assumerne le responsabilità. E lei si disseta all’acqua viva di sorgente. -‐ In Gn 21, 17-‐19 si racconta che Sara non sopporta che Ismaele giochi con il figlio Isacco e chiede ad Abramo che scacci la schiava e il ragazzo che si smarriscono nel deserto di Bersabea. Dio ascolta il pianto di Ismaele: Ma Dio udì la voce del fanciullo e un Angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: “Che fai Agar? Non temere, perché Dio ha udito la voce del fanciullo là dove si trova. AlzaU, prendi il fanciullo e Uenilo per mano perché io ne farò una grande nazione”. Dio le aprì gli occhi ed essa vide un pozzo d’acqua. * Dio viene incontro, raggiunge Agar là dove si trova. Dio ci raggiunge sempre là dove siamo. Egli dice ad Agar: “AlzaU!”, risorgi! Le dà occhi nuovi per vedere, nel segno del pozzo, la sua presenza fedele, le conferma la promessa dell’Angelo di fare di Isamele una grande nazione che potrà aVngere a questo pozzo l’acqua che dà vita, in una vita che è vissuta nel deserto. -‐ In Es 2,15 si racconta di Mosè che fugge dall’EgiAo dopo l’uccisione dell’egiziano. In realtà, sconvolto da ciò che ha faAo, fugge da sé e si ferma presso un pozzo. Poi il faraone sen` parlare di questo faAo (l’uccisione di un egiziano) e cercò di meAere a morte Mosè. Allora Mosè si allontanò dal faraone e si stabilì nel paese di Madian e sedeAe presso un pozzo”. * Sostando più volte al pozzo, Mosè ha modo di rientrare in se stesso, di elaborare il suo vissuto, anche dopo il uso matrimonio con Zippora. Ma non è al pozzo che egli sente la voce del Signore. Dio gli parlerà nell’esperienza del roveto che arde. Qui Mosè si accorgerà che il suo passato Dio l’ha trasformato in ricchezza per il futuro del suo popolo: nella sua appartenenza al popolo di Israele e nella sua esperienza di “egiziano” ha messo radice la chiamata di Dio e ha acquistato unicità la sua missione. Anche la donna samaritana vive nell’incontro con Gesù l’esperienza di essere cercata da Dio che si siede presso il pozzo, quasi fosse stanco di cercare l’umanità. In Gesù Dio si è faAo uomo, si è faAo prossimo e ci educa ad ascoltare le grandi domande che porUamo nel cuore e che rimangono inespresse, inascoltate. La samaritana ha paura di entrare in se stessa: questa discesa nella sua interiorità meAe a nudo senUmenU, angosce, gridi di protesta, interrogaUvi di senso rivolU a sé e a Dio. Ha paura di ascoltare il richiamo profondo della sorgente e bere a quell’acqua che può saziare il bisogno infinito di bene che porta nel cuore, quel bisogno di felicità che nulla riesce a soddisfare, ma che cerca in qualche modo di colmare. Spesso inuUlmente. Cercare Dio, che vuole la nostra felicità, ci richiede il coraggio di meAerci in gioco, di rileggere con giudizio criUco le nostre esperienze. Richiede consapevolezza, autocoscienza, capacità di analisi di sé; onestà sopraAuAo quando il vissuto è doloroso e sanguinante; umiltà per accorgerci, per acceAare ed esaltare Dio, come Maria nel Magnificat, quale vero protagonista della nostra storia. Il contaAo quoUdiano con la Parola, come la donna che ogni giorno va al pozzo, ci porta a capire che la nostra sete non va saziata ad “altre acque” e ci fa incontrare il Signore Gesù nell’autenUcità e nella verità: solo il nostro vero “io” può incontrare il vero Dio. E qui dissetarsi all’acqua che dà vita. Frequentando la ScriAura, sacramento efficace della presenza di Dio, possiamo fare una rileAura sapienziale delle nostre personali esperienze e di famiglia, della Chiesa e del mondo, e scorgervi quel filo rosso con il quale Dio ci conduce nella nostra storia. Le domande di fondo sono le stesse: Da dove vieni? Dove sei? Dove stai andando? La vita ci aAraversa con i suoi evenU e ci chiede di “stare” in essi. Ma come? La samaritana sembra dirci: è Cristo Gesù, l’unico che disseta! Lui che è Parola faAa carne, roccia da cui sgorga l’acqua viva, è la soluzione. Se frequenUamo il pozzo e ci disseUamo all’acqua delle ScriAure, impariamo a cogliere il posiUvo in ogni situazione perché la Parola rischiara le nostre ombre, ci aiuta a non fuggirle, ci dà la forza di stare nelle situazioni, ci insegna a valorizzare ogni vissuto come ricchezza che contribuisce alla nostra felicità, come pane che possiamo meAere a servizio della nostra missione. B. Pozzo: luogo dell’incontro sponsale a) uomo – donna b) Pozzo dell’esilio c) Dio – popolo di Israele d) Gesù – Samaritana e) Gesù – Chiesa a) uomo – donna Nella Bibbia l’incontro al pozzo è un classico, una scena Upo che diventa occasione di un fidanzamento. Scorrendo la storia dei patriarchi più volte si sente il racconto di uomini giunU da terre straniere che, presso un pozzo, incontrano una ragazza. L’incontro conosce aAenzioni e gesU, la donna corre ad annunciare a casa l’avvenuto incontro, allo straniero è offerta ospitalità. Segue il fidanzamento e poi il bancheAo. Gn 24,10-‐28 racconta la scelta della moglie di Isacco, il figlio della promessa: Il servo di Abramo si mise in viaggio e andò nel paese dei due fiumi, alla ciAà di Nacor per scegliere una moglie per Isacco. Fece inginocchiare i cammelli fuori della ciAà, presso un pozzo d’acqua, nell’ora della sera, quando le donne escono ad aVngere. “Signore del mio padrone Abramo, concedimi un felice incontro quest’oggi e usa benevolenza verso il mio padrone Abramo. … la ragazza alla quale dirò: Abbassa l’anfora e lasciami bere e che mi risponderà: Bevi! Anche ai tuoi cammelli darò da bere, sia quella che tu hai desUnata al tuo servo Isacco”. … Rebecca era molto bella di aspeAo, era vergine …. Il servo le corse incontro e disse: “Fammi bere un po’ d’acqua dalla tua anfora”. Rispose: “Bevi, mio Signore”. In freAa calò l’anfora sul braccio e lo fece bere e poi disse: “Anche per i tuoi cammelli ne aVngerò, finché finiranno di bere”. Quell’uomo prese un pendente d’oro del peso di mezzo siclo e glielo pose alle narici e le pose sulle braccia due braccialeV del peso di dieci sicli d’oro. La giovineAa corse ad annunciare a casa di sua madre tuAe queste cose … * Nel grande discernimento che il servo di Abramo doveva fare, egli chiede a Dio il segno della “sovrabbondanza”: sa che Dio, nella sua risposta, va sempre “oltre”. Gn 29, 2 e ss racconta di Giacobbe che sceglie Rachele: Giacobbe si mise in viaggio e arrivò nel paese di Labano, fratello di Rebecca. Vide nella campagna un pozzo e tre greggi accovacciaU vicino perché la pietra sulla bocca del pozzo era grande. Quando tuV i greggi si erano radunaU là, i pastori rotolavano la pietra dalla bocca del pozzo e abbeveravano il besUame. …. Quando Giacobbe vide Rachele, figlia di Labano, fratello di sua madre, si fece avanU, rotolò la pietra dalla bocca del pozzo e fece bere le pecore di Labano. Poi Giacobbe baciò Rachele, pianse ad alta voce e le rivelò che egli era parente del padre di lei perché figlio di Rebecca. Allora Rachele corse a riferirlo al padre …. Es 2,15-‐21 raccontata che anche Mosè visse una simile esperienza al pozzo di Madian: Le seAe figlie del sacerdote vennero ad aVngere acqua per riempire gli abbeveratoi e far bere il gregge del padre. Ma arrivarono alcuni pastori e le scacciarono. Allora Mosè si levò a difenderle e fece bere il loro besUame. Tornate dal loro padre Reuel … dissero: “Un Egiziano ci ha liberate dalle mani dei pastori, ha aVnto per noi e ha dato da bere al gregge”. … Mosè acceAò di abitare con quell’uomo che gli diede in moglie la propria figlia Zippora. b) Pozzo dell’esilio: il pozzo di Miriam, luogo della presenza e della profezia Il tema dell’acqua è un tema fondamentale nell’esperienza dell’esodo vissuta dal popolo di Israele nei 40 anni di vita nel deserto. Leggendo i libri dell’Esodo e dei Numeri ci si imbaAe spesso nella mormorazione del popolo che soffre la sete e nei numerosi intervenU di Dio che non gli fa mancare l’acqua che dà vita in una realtà fisica e spirituale dove la presenza o l’assenza dell’acqua è quesUone di vita o di morte. Il “pozzo dell’esilio” che accompagna Israele sempre e ovunque è, negli scriV del Talmud, il pozzo di Miriam. Miriam è chiamata la profetessa (Es 15,20) al pari di Mosè e di Aronne, entrambi “profeU”, con i quali ella condivide il carisma spirituale e poliUco (cfr Nm 12). Una condivisione la sua che le costa la lebbra contraAa nel momento in cui lei e Aronne rivendicano di essere staU strumenU della rivelazione divina al pari di Mosè. L’intercessione di Aronne con Mosè e di Mosè con Dio la fanno guarire e dopo una seVmana di isolamento per la purificazione, il popolo che non aveva voluto riprendere il cammino senza di lei, riparte. Miriam sembra uscire perdente da questa contestazione. In realtà è perdente alla maniera di Giacobbe che, anche lui colpito nel suo stesso corpo nella loAa con l’angelo, oVene la benedizione di Dio. Miriam infaV sarà confermata nel suo ruolo di profetessa. E’ sorprendente che negli evenU dell’esodo una donna sUa accanto a Mosè, che parlava con Dio faccia a faccia, e ad Aronne, sommo sacerdote condividendo il carisma a un tempo poliUco e spirituale. Vari sono gli episodi narraU nelle ScriAure in cui c’è un legame tra Miriam e l’acqua: * Es 2. Miriam sorveglia da lontano il neonato Mosè abbandonato in una cesta sulle acque del Nilo e interviene perché gli sia affidata come nutrice la sua vera madre. Miriam appare come pre-‐veggente il desUno del fratello minore. * Es 15, 20-‐21. Miriam intonerà il canUco della viAoria e guiderà “i cori di danze” dopo il passaggio tra le acque divise del mare: “Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato: ha geAato in mare cavallo e cavaliere”. Ella interpreta gli avvenimenU da profetessa che manUene viva tra il popolo la presenza di Dio nel difficile cammino dell’esodo e la fiducia nelle sue promesse. Subito dopo si parla della località di Mara (nome associato a Miriam) dove le “acque sono amare” e il popolo rischia di morire di sete. Un “legno” le renderà dolci. * Nm 20,1-‐11. “I figli di Israele, l’intera comunità, giunsero nel deserto di Zin nel primo mese; il popolo si fermò a Cadesh. E là morì Miriam e colà venne sepolta. E la comunità non ebbe più acqua e si radunò contro Mosé e Aronne. Il popolo liUgò con Mosè”. Nel deserto l’acqua manca appena Miriam muore e al nome di lei è legato il miUco pozzo che accompagnerà Israele fino all’ingresso della terra promessa. La morte di Miriam infaV segna una crisi drammaUca: la sete che non può essere soddisfaAa per mancanza di acqua e che richiederà un intervento divino, quando Mosè baAerà con il suo bastone sulla roccia e dalla roccia zampilleranno acque abbondanU. Miriam morì e il suo pozzo si riUrò (si nascose), ma tornò, (riapparve) per merito di Mosè e di Aronne, come se fosse lei a garanUre l’acqua potabile alla comunità. * Nm 21, 17-‐18. Quando il popolo dopo il faAo del serpente di bronzo riprende il cammino verso la Transgiordania, il pozzo è celebrato e cantato con due verseV di giubilo: “Sorgi o pozzo! Celebratelo! Il pozzo che scavarono i principi (i patriarchi) e che i nobili (Mosè ed Aronne) avevano perforato con la verga del comando, con bastoni di appoggio”. L’imperaUvo “sorgi” rivolto al pozzo e dunque all’acqua, richiama il faAo che alla morte di Miriam quel pozzo sarebbe scomparso o meglio si sarebbe nascosto, e che l’invocazione e la celebrazione da parte di tuAo il popolo, aveva resUtuito pozzo e acqua ai figli di Israele. Il Talmud però aAribuisce il dono del pozzo di Miriam non a Miriam ma ad Abramo stesso: “come ricompensa per l’offerta di acqua ai tre viandanU che Abramo ospitava, i figli di Israele riceveAero il pozzo di Miriam. Questo perché i meriU dei padri ricadono sui figli nel corso delle generazioni”. Il mito rabbinico che parla del pozzo di Miriam ed eleva la profetessa a simbolo dell’ubiquità e perennità dell’acqua che dà vita nasce dall’episodio delle acque di Meriba dove “gli israeliU contesero con il Signore”. Quest’acqua si fa presente non solo sul cammino di Israele nel deserto, ma anche lungo la loro storia fino ai tempi messianici, come un miracolo permanente, nel nome della profetessa Miriam: “Esso è il pozzo dal quale usciranno in futuro le acque da soAo la soglia del Tempio e che nel deserto a volte spariva per poi riapparire di nuovo”. L’acqua che sgorga simbolicamente dal pozzo di Miriam è l’acqua della profezia, simbolo della Torà, dono fondamentale per la vita spirituale e poliUca di Israele, un dono incarnato da Miriam, guida spirituale e poliUca di un popolo che doveva ancora crescere e imparare a servire Dio e nessun altro dio all’infuori di lui. Questo è il senso vero del “pozzo dell’esilio”, il pozzo di Miriam, la Torà che accompagna ovunque Israele, ma anche la saggezza dei sapienU, alla quale aVngere per sopravvivere in quanto ebrei finché si resta in esilio. Di questo simbolismo fa abbondante uso l’evangelista Giovanni che colloca presso un pozzo l’incontro tra Gesù e una donna samaritana in conversazione teologica sul valore del Tempio, e che narra come dal fianco del Crocefisso sia sgorgata non solo sangue ma anche acqua, (Gv 19,34), un chiaro rimando all’acqua scaturita dalla roccia (Es 17 e Nm 20). c) Dio – popolo di Israele Nella Bibbia l’immagine delle nozze è usata dai profeU per raccontare l’amore che Dio ha per Israele, sua sposa. In Is 54,5-‐7 leggiamo: Poiché tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciU il suo nome; tuo redentore il Santo di Israele, è chiamato Dio di tuAa la terra. Come una donna abbandonata e con l’animo affliAo, U ha il Signore richiamata. Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù? Dice il tuo Dio: Per un breve istante U ho abbandonata, ma U riprenderò con immenso amore. Nella persona della samaritana, Dio cerca la sua sposa più abbandonata: l’umanità allo sbando. Gesù, al pozzo di Sicar, compie un vero corteggiamento a una donna, non più vergine, che nella vita aveva già conosciuto il corteggiamento, l’inaridimento, il fallimento. Aveva conosciuto l’andare avanU e indietro al pozzo dell’acqua e dell’amore per aVngere, ma ritrovandosi poi con la brocca vuota. Il perdurare nella frequentazione del pozzo le ha permesso però di incontrarsi con Gesù, il Figlio di Dio raccontato dai profeU, che parla al suo cuore, o meglio, le parla sul cuore. La donna entra piano piano nel gioco dell’Amore e accoglie l’IMPREVEDIBILITÀ di Dio L’incontro con la sposa perduta è fissato a Sicar, luogo carico di storia. Sicar, o Sichem, era una ciAà “vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio. Qui c’era il pozzo di Giacobbe”. Giovanni ci vuol dire che la scelta di Gesù si concreUzza nella conUnuità con l’Alleanza. A Sichem Abramo aveva sostato ed aveva edificato un altare (Gn 12,6-‐7) dopo che il Signore gli era apparso e gli aveva promesso: Alla tua discendenza darò questo paese. A Sichem Giacobbe aveva acquistato una porzione di campagna (Gn 33,18-‐20) che poi darà a Giuseppe (Gen 48,22). A Sichem furono sepolte le ossa di Giuseppe, portate dall’EgiAo, (Giosuè 24,32). A Sichem Giacobbe aveva soAerrato gli idoli portaU dalla Mesopotamia (Gn 35,2-‐4) e Dio conferma il cambio del nome e la benedizione che già aveva promesso ad Abramo e ad Isacco (Gn 35,9-‐12). A Sichem Giosuè radunò tuAe le tribù di Israele che si presentarono davanU a Dio. La fede in Iahve, propria del gruppo guidato da Giosuè, è proposta da lui ad altri gruppi che non ne avevano ancora senUto parlare perché non sono staU in EgiAo e non hanno goduto delle meraviglie dell’Esodo e della rivelazione del Sinai. Essi non sono cananei. Hanno un’origine comune con il gruppo di Giosuè: con questo paAo acceAano la fede in Iahve e diventano così parte integrante del popolo di Dio. Giosué 24 racconta la grande Assemblea di Sichem, in cui viene riconfermata l’Alleanza. Si svolge in tre punU: a) Il Signore, lo sposo, RICORDA al popolo, la sposa, i prodigi che lui ha compiuto fin dal tempo di Abramo. Racconta la storia come una storia di salvezza. “Che potevo fare per te che io non abbia faAo?” Lo Sposo seduce la sua sposa facendo memoria dell’amore e della misericordia. “GuardaU dal dimenUcare!”. b) Il popolo risponde confermando l’amore di Dio che l’ha proteAo “per tuAo il viaggio e in mezzo a tuV i popoli”. Giosuè ricorda il Signore è un Dio santo, è un Dio geloso e chiede di scegliere OGGI chi servire. Il popolo conferma il suo impegno a vivere con fedeltà l’alleanza sponsale: “Noi serviremo il Signore nostro Dio e obbediremo alla sua voce!”. c) Giosuè in quel giorno concluse un’alleanza con il popolo e gli diede una legge a Sichem. d) Gesù – Samaritana A Sicar, presso il pozzo di Giacobbe, Il Figlio di Dio faAo uomo, corteggia la sposa infedele nella persona della Samaritana e la prepara a una nuova alleanza. Gesù la aiuta a ripercorrere le tappe della sua storia, così simili a quelle della storia del popolo di Israele, e lei, come il popolo dell’Alleanza al pozzo di Sicar, si lascia accompagnare da Gesù: il suo “fare memoria” è un pellegrinaggio che la porta a incontrarsi in profondità con il vero di se stessa, acqua amara di un amore più volte tradito ma risanata dall’incontro con la misericordia di Dio che le sta di fronte nella persona di Gesù. Il coraggio di toccare l’acqua amara che porta in sé le regala la gioia di scoprire nel suo cuore un’acqua nuova zampillante perché proviene dalla sorgente dell’acqua viva, Gesù, Parola di Dio faAa carne. Si incontra con l’imprevedibilità di Dio: Gesù ha scelto proprio lei per annunciare agli abitanU della ciAà di Sicar la buona noUzia. La donna si lascia “sedurre” da quell’uomo che le offre un amore tanto diverso da quello finora sperimentato e abbandona la sua brocca per correre al villaggio. Anche la sua gente deve potersi dissetare all’acqua viva del Messia che si è rivelato essere il nuovo Tempio dove adorare Dio in spirito e verità. “Levate i vostri gli occhi e guardate i campi che già biondeggiano”, dirà Gesù ai discepoli che lo raggiungono al pozzo. Il corteggiamento ha raggiunto il suo scopo: la sposa infedele, rinnovata dall’incontro con lo Sposo è pronta per la nuova Alleanza che Gesù sUpulerà con il suo Sangue, sulla croce. e) Gesù – Chiesa In Gv 19,30 leggiamo che al momento della morte Gesù “chinato il capo, emise lo Spirito”. Subito dopo Giovanni racconta che uno dei soldaU colpì con la lancia il fianco di Gesù dal quale uscì sangue ed acqua. Il cuore squarciato di Gesù sulla croce, è il nuovo pozzo, ferita sempre aperta nella terra della sua umanità, sorgente dalla quale sgorga acqua che dà vita, simbolo dello Spirito che Gesù ha trasmesso spirando. Un vero parto durante il quale viene liberata la Chiesa, la Sposa rinnovata, il popolo nuovo, il tempio dello Spirito Santo. E’ dunque la Chiesa il pozzo dal quale anche oggi zampilla acqua viva, perché ora che l’acqua dello Spirito è stata donata dal cuore ferito di Cristo, si avvera la parola di Gesù: Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la ScriAura: fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno. Gesù sulla croce è innalzato e glorificato. Coloro che dovranno ricevere lo Spirito che fluisce dal suo cuore come un fiume d’acqua viva, sono i credenU, e in primo luogo Maria e il discepolo che, ai piedi della croce, sono l’immagine della Chiesa. Così ai piedi della croce, la Chiesa riceve dal Crocifisso lo Spirito Santo per essere cosUtuita madre dei fedeli soAo il simbolo di Maria divenuta madre del discepolo predileAo. Per primi essi sono ricolmi dello Spirito Santo, per primi bevono di quell’acqua, Chiesa nascente che mai smeAerà di essere pozzo dal quale zampilla l’acqua della Parola e dei SacramenU. Questo mosaico di Rupnik riproduce bene questo legame tra Gesù sull’albero della Croce, ma già glorificato e risorto, e Maria con Giovanni uniU a lui quasi a formare un unico corpo. Maria accoglie l’acqua e il sangue nelle sue mani, mentre Giovanni, rivesUto della tunica, avvicina le sue labbra a quel cuore ferito, ma anche alle mani di Maria nella sua missione di madre. Ogni carisma beve quest’acqua che è lo Spirito Santo, acqua che, abitando le profondità del cuore del discepolo fedele, zampilla arricchita del dono della sua unicità. Madre Gérine ha bevuto all’acqua del “desiderio di salvezza del Padre per l’umanità” sgorgata dal cuore di Cristo: l’ha arricchita con la contemplazione della Pietà, con la sua umiltà ed audacia, con la semplicità della sua vita, ed è diventata ella stessa cuore traboccante compassione al quale noi pure aVngiamo. Cost. n. 1: Il desiderio di salvezza del Padre per l’umanità, rivelato da Gesù con la sua incarnazione, raggiunge il cuore di Madre Gérine Fabre, terziaria domenicana, facendolo traboccare, di una vita che, per l’azione dello Spirito Santo, si manifesta in compassione per tuV. La provocazione più forte che mi è nata da questo lavoro, è la necessità vitale di sedersi al pozzo delle ScriAure, in una frequentazione quoUdiana, e lì fare una leAura sapienziale degli evenU della nostra storia personale, di famiglia, di Chiesa, del mondo in cui viviamo. Al pozzo delle ScriAure, presenza sacramentale di Dio, segno vivo ed efficace, si viene per aVngere acqua viva e lasciare che la Parola in esse contenuta ci trasformi per una rinascita personale e per una rinascita di popolo. E si va, e si ritorna, in obbediente ascolto, pronU ad accogliere l’imprevedibilità di Dio che ci coinvolge nel condurre la storia perché sia per noi e per tuV storia di salvezza. Cost. n. 28, primo capoverso: La Parola che ci convoca per essere “un cuor solo e un’anima sola” in Dio, plasma in noi un cuore compassionevole e, sull’esempio di Madre Gérine, ci insegna nella quoUdianità ad amare come Gesù. Cost. n. 65: L’obbedienza ci richiede un aAeggiamento di discepole in ascolto della Parola di Dio, della Chiesa e degli evenU del mondo, come luoghi nei quali Dio ci parla. Insieme accogliamo la chiamata dello Spirito a discernere le sfide e gli impegni da assumere nella missione, affinché venga il Regno di Dio. 1. Luogo in cui una persona rientra in se stessa, entra in contaAo con il sé più profondo e con l’acqua viva della Parola. Qui compie un discernimento della sua situazione e giunge a delle decisioni. 2. Luogo della presenza di Dio e della profezia: l’acqua è il simbolo della Torà, il dono fondamentale per la vita spirituale e poliUca del popolo di Israele, ma anche la saggezza dei sapienU alla quale aVngere per sopravvivere in quanto ebrei finché si resta in esilio. 3. Luogo dell’incontro sponsale: a) Uomo-‐donna: Isacco-‐Rebecca, Giacobbe-‐Rachele, Mosè-‐Zippora b) Pozzo dell’esilio: il pozzo di Miriam, luogo della presenza di Dio e della profezia c) Dio-‐popolo di Israele: Assemblea di Sichem d) Gesù-‐Samaritana: Dio corteggia la sposa infedele e la prepara a una nuova Alleanza e) Gesù-‐Chiesa: dal cuore trafiAo esce sangue e acqua Il nostro carisma Talmud: raccolta di discussioni avvenute tra i sapienU e i maestri dell’ebraismo circa i significaU e le applicazioni dei passi della Torah scriAa. Dopo il pozzo di Madian? Mi si dice: una persona come te ha il dovere di meAersi in salvo, hai tanto da fare nella vita, hai ancora tanto da dare. Ma quel poco o molto che ho da dare, lo posso fare comunque, che sia qui in una piccola cerchia di amici, o altrove in un campo di concentramento. E mi sembra una curiosa sopravvalutazione di se stessi, quella di ritenersi troppo preziosi per condividere con gli altri un desUno di massa. Se Dio decide che io abbia tanto da fare, bene, allora lo farò, dopo essere passata per tuAe le esperienze per cui possono passare anche gli altri. E il valore della mia persona risulterà appunto da come saprò comportarmi nella nuova situazione. E se non potrò sopravvivere, allora si vedrà chi sono da come morirò. Non si traAa più di tenersi fuori da una determinata situazione, cosU quel che cosU, ma da come ci si comporta e si conUnua a vivere in qualunque situazione. Pozzo di Miriam? 28 seAembre 1942. Mi aveva faAo proprio impressione senUrmi dire da quell’internista galante dagli occhi malinconici: lei ha una vita spirituale troppo intensa, le fa male alla salute, è troppo per la sua cosUtuzione. Ho ruminato a lungo su queste parole e sono sempre più convinta del contrario. E’ vero che vivo intensamente, ma ogni giorno mi rinnovo alla sorgente originaria, alla vita stessa, e di tanto in tanto mi riposo in una preghiera. E chi mi dice che vivo troppo intensamente, non sa che ci si può riUrare in una preghiera come nella cella di un convento, e che poi si prosegue con rinnovata pace ed energia. Se dopo un laborioso processo che è andato avanU giorno dopo giorno, riusciamo ad aprirci un varco fino alle sorgenU originarie che abbiamo dentro di noi, e che io chiamerò “Dio”, e se poi facciamo in modo che questo varco rimanga sempre libero, “lavorando a noi stessi”, allora ci rinnoveremo in conUnuazione e non avremo più da preoccuparci di dar fondo alle nostre forze. 17 seAembre, giovedì maVna, le oAo. Non basta predicarU, mio Dio, non basta disseppellirU dai cuori altrui. Bisogna aprirU la via, mio Dio, e per fare questo bisogna essere un gran conoscitore dell’animo umano: rapporU con padre e madre, ricordi giovanili, sogni, sensi di colpa, complessi di inferiorità, insomma tuAo quanto. In ogni persona che viene a me io mi meAo ad esplorare, con cautela. E U ringrazio per questo dono di poter leggere negli altri. Ognuno di noi deve raccogliersi nei propri territori interiori e distruggere in se stesso ciò per cui riUene di dover distruggere gli altri. Dal Diario di EAy Hllesum