...

Il bisogno di ossigeno del cervello è il fattore che limita

by user

on
Category: Documents
23

views

Report

Comments

Transcript

Il bisogno di ossigeno del cervello è il fattore che limita
Fisiologia
I limiti
dell’apnea
90 Le Scienze
Il bisogno di ossigeno del cervello è
il fattore che limita quanto
a lungo riusciamo a trattenere
il respiro. Studi recenti suggeriscono
però che le basi biologiche
dell’apnea sono più complicate
di Michael J. Parkes
Le Scienze 91
Michael J. Parkes è senior lecturer di fisiologia applicata alla School of Sport and Exercise
Sciences dell’Università di Birmingham. Lavora anche alla Wellcome Trust Clinical Research
Facility dello University Hospitals Birmingham NHS Foundation Trust.
L o s tat o d e ll’a r t e
L’innesco del punto di rottura
Inspirate profondamente
e trattenete il respiro.
In questo istante vi state impegnando in un’attività misteriosa. In media, l’essere umano respira automaticamente 12 volte al minuto, e questo ciclo, insieme al battito cardiaco, è uno dei nostri due ritmi
biologici vitali. Il cervello adegua la cadenza del respiro alle necessità del corpo senza un nostro sforzo consapevole. Eppure siamo anche in grado di trattenere il respiro per brevi periodi. Questa capacità è
vantaggiosa quando si tratta di impedire ad acqua o polvere di entrare nei polmoni, quando dobbiamo
stabilizzare il torace prima di un esercizio fisico e quando dobbiamo allungare il tempo durante il quale parliamo senza fare una pausa. Tratteniamo il respiro in modo così naturale e casuale che potremmo
stupirci nello scoprire che la scienza non ha ancora compreso le basi biologiche di questa capacità.
Determinare il punto di rottura
Nel 1959 il fisiologo Hermann Rahn, della School of Medicine dell’Università di Buffalo, ha usato una combinazione di metodi insoliti – rallentando il metabolismo, iperventilando, riempiendo
i polmoni con ossigeno puro e altro ancora – per trattenere il respiro per 14 minuti. Analogamente Edward Schneider, pioniere delle
ricerche sull’apnea all’Army Technical School of Aviation Medici-
ne di Mitchel Field, nello Stato di New York, e in seguito alla Wesleyan University, ha descritto un soggetto che negli anni trenta in
condizioni simili ha trattenuto il respiro per 15 minuti e 13 secondi.
Tuttavia, diversi studi e l’esperienza quotidiana suggeriscono
che la maggior delle persone, dopo aver dilatato al massimo i polmoni con aria a temperatura ambiente, non trattiene il respiro per
più di un minuto. Perché non più a lungo? I polmoni dovrebbero contenere abbastanza ossigeno da sostenerci per quattro minuti, eppure sono poche le persone che riescono a restare in apnea
per tutto questo tempo, o poco meno, senza allenamento. Tra l’altro l’anidride carbonica (il gas che espiriamo, prodotto dalle cellule
quando consumano cibo e ossigeno) non si accumula nel sangue
fino a livelli tossici con rapidità sufficiente a giustificare il limite
di un minuto.
Immerse in acqua, le persone possono trattenere il respiro addirittura più a lungo. In parte questo incremento potrebbe essere dovuto a una maggiore motivazione per evitare di affogare i polmoni
(non è chiaro se gli esseri umani abbiano il riflesso di immersione
tipico dei mammiferi acquatici e degli uccelli, che abbassa il tasso
metabolico durante l’apnea in immersione). Ma il principio resta
valido: gli apneisti sentono l’urgenza di prendere una boccata d’aria molto prima di aver veramente esaurito l’ossigeno.
Come ha osservato Schneider, «è impossibile per un uomo al livello del mare trattenere volontariamente il respiro fino a svenire».
La perdita dei sensi potrebbe verificarsi occasionalmente in circostanze anomale, per esempio in una gara di apnea estrema, e alcu-
In breve
Che cosa determina quanto a lungo
riusciamo a trattenere il respiro? Di
solito le persone hanno bisogno di
inspirare aria molto prima che il
cervello o il corpo esauriscano
l’ossigeno (l’ovvio fattore limitante).
92 Le Scienze
Studiare che cosa limita il nostro
controllo sull’apnea volontaria è stato
difficile, ma decenni di ricerche
suggeriscono che il diaframma abbia
un ruolo chiave, contraendosi per
gonfiare i polmoni.
Secondo la migliore spiegazione
che è possibile dare attualmente, il
diaframma invia segnali al cervello
comunicando quanto tempo è
rimasto contratto e come sta
reagendo dal punto di vista
biochimico alla diminuzione dei livelli
di ossigeno o all’aumento dei livelli di
anidride carbonica. All’inizio i segnali
provocano solo fastidio, ma alla fine il
cervello li giudica intollerabili e forza
la ripresa della respirazione.
526 giugno 2012
Matthew Lane (due pagine precedenti)
E ora espirate pure liberamente, se non l’avete ancora fatto.
Consideriamo una domanda apparentemente diretta: che cosa
determina quanto a lungo riusciamo a trattenere il respiro? Indagare a fondo il problema è difficile. Sebbene tutti i mammiferi siano
capaci di apnea volontaria, gli scienziati non hanno ancora trovato un modo per convincere gli animali da laboratorio a trattenere il respiro in modo volontario per più di pochi secondi. Di conseguenza l’apnea volontaria può essere studiata solo nell’uomo. Se il
cervello finisce l’ossigeno durante un’apnea troppo lunga, possono
verificarsi perdita di conoscenza, danno cerebrale e morte: tutti pericoli che potrebbero rendere molti esperimenti utili contrari all’etica. Oggi è impossibile ripetere alcuni studi di riferimento codotti
nei decenni passati, perché violerebbero le linee guida sulla sicurezza per volontari umani.
Eppure i ricercatori hanno trovato alcune soluzioni per cominciare a rispondere alle domande sulla capacità di trattenere il respiro. Oltre a fare chiarezza sulla fisiologia umana, le loro scoperte
potrebbero aiutare a salvare vite umane.
del North Carolina a Chapel Hill. Questi scienziati hanno dimostrato che né persone che avevano
subito un trapianto di polmone, alle quali quindi
erano state tagliate le connessioni nervose tra polmoni e cervello, né persone sottoposte ad anesteIl punto di rottura è l’istante in cui durante una fase di apnea diventa impossibile trattenersi
sia totale spinale, che dunque avevano i recettodall’inspirare. Allenarsi a trattenere il respiro può allungare il punto di rottura, per esempio
ri sensoriali dei muscoli toracici bloccati, potevano
con la meditazione, aumentando il contenuto di ossigeno nel corpo e riducendo quello di
trattenere il respiro per periodi insolitamente lunanidride carbonica (CO2). Scoprire che cosa realmente determini il punto di rottura si è riveghi. (È significativo, però, che quegli esperimenti
lato difficile e assai frustrante. Le ricerche hanno però permesso di escludere alcune possiin anestesia non abbiano interessato il diaframma,
bilità, e ora potremmo essere vicini a una spiegazione.
per ragioni che vedremo fra breve).
Ipotesi escluse
Le ricerche sembrano escludere anche il coinvolgimento dei sensori chimici conosciuti (chemoChemorecettori nel sangue: strutture che
reagiscono ai livelli di ossigeno si possono trovare solo
recettori) per ossigeno e anidride carbonica. Negli
nelle carotidi; sensori per la CO2 si trovano nelle
esseri umani, gli unici sensori noti in grado di ricarotidi e nel tronco encefalico. Lo scambio di questi
levare bassi livelli ematici di ossigeno si trovano
gas è essenziale per la respirazione, quindi questi
nelle arterie carotidi, proprio sotto l’articolazione
sensori sembravano i logici controllori del punto di
della mandibola, che trasportano il sangue al cerTronco
rottura. Se lo fossero, concentrazioni critiche di questi
vello. I chemorecettori sensibili a un incremento
encefalico
gas ematici dovrebbero determinare il punto di rottura,
di anidride carbonica si trovano nelle arterie caroma gli esperimenti hanno dimostrato che non è così.
Arteria
tidi e nel tronco encefalico, che controlla il ritmo
carotide
Sensori volumetrici nei polmoni: un altro
della respirazione e le altre funzioni autonomiche
determinante del punto di rottura potevano
(involontarie).
essere sensori per l’espansione della cassa
Se fossero i chemorecettori dell’ossigeno a cautoracica o dei polmoni. Ma esperimenti in
sare la sensazione urgente del punto di rottura, in
cui quei nervi erano stati recisi o
assenza di un loro feedback le persone dovrebbero
paralizzati non mostravano alcun effetto.
riuscire a trattenere il respiro fino a svenire. TuttaNervo frenico
via, studi condotti da Karlman Wasserman, dell’Università della California a Los Angeles, hanno diL’ipotesi migliore (per ora)
mostrato che questo non è possibile anche se sono
Segnali nervosi dal diaframma al cervello:
interrotte le connessioni nervose fra chemorecetla maggior parte delle prove suggerisce
tori delle arterie carotidi e tronco encefalico.
che il muscolo diaframmatico, che si
Inoltre, se il punto di rottura fosse determinato
contrae per riempire i polmoni, invia
solo da livelli più bassi di ossigeno o più alti di anisegnali di sofferenza al cervello,
dride carbonica, dovrebbe essere impossibile tratinformandolo sul tempo trascorso da
tenere il respiro oltre certi livelli soglia. Numerose
Diaframma
quando sta trattenendo il respiro.
(in
condizioni
ricerche hanno però dimostrato che questo non acIl cervello confronta in modo
di rilassamento)
cade. Potrebbe anche succedere che una volta che i
subconscio questa informazione
Diaframma
gas hanno innescato il punto di rottura sia imposcon altri fattori per determinare
(stato contratto; polmoni pieni)
il livello di disagio tollerabile.
sibile trattenere il respiro fino al ritorno alla normalità dei livelli, ma nemmeno questa previsione è
stata confermata, come osservato già all’inizio del
ni aneddoti raccontano rari casi in cui i bambini trattengono il re- XX secolo. Nel 1954 Ward S. Fowler, della Mayo Clinic, ha descritto
spiro abbastanza a lungo da svenire, anche se studi di laboratorio come alcuni volontari, dopo aver trattenuto il respiro al massimo,
confermano che normalmente gli adulti non possono farlo. Molto potevano ripetere l’operazione subito una seconda volta se inalavatempo prima che il cervello possa essere danneggiato dalla carenza no solo un gas asfissiante e addirittura una terza volta, nonostante i
di ossigeno o da un eccesso di anidride carbonica, qualcosa ci por- livelli ematici dei gas peggiorassero via via.
Ulteriori studi hanno verificato che questa capacità di ripetere
ta al punto di rottura (come lo chiamano i ricercatori), oltre il qual’apnea è indipendente dal numero o dal volume delle inspirazioni
le non resistiamo e boccheggiamo in cerca d’aria.
Una spiegazione logica e ipotetica per il punto di rottura è che del gas asfissiante. Nel 1974 John R. Rigg e Moran Campbell, ensensori specializzati rilevino cambiamenti fisiologici associati con trambi della canadese McMaster University, hanno dimostrato che
l’apnea, innescando un atto respiratorio prima che il cervello smet- questa capacità si manifesta anche quando i soggetti cercano di
ta di funzionare. Candidati ovvi sarebbero sensori che rilevano di- inspirare ed espirare con le vie aeree chiuse.
Nel complesso questi esperimenti che coinvolgono apnee ripelatazioni polmonari o toraciche troppo lunghe, o che registrano
bassi livelli di ossigeno o livelli elevati di anidride carbonica nel tute suggeriscono che la necessità di respirare sia collegata all’atsangue o nel cervello. Ma nessuna di queste idee sembra reggere. to muscolare di per sé, e non alle sue funzioni di scambio gassoso.
Il coinvolgimento di sensori di volume nei polmoni sembrerebbe Quando il torace è estremamente dilatato tende a contrarsi, a meescluso da esperimenti condotti fra gli anni sessanta e novanta da no che i muscoli responsabili dell’atto inspiratorio non lo mantenHelen R. Harty e John H. Eisele, del laboratorio di Abe Guz al Cha- gano in uno stato espanso. Così, i ricercatori che studiano il punring Cross Hospital di Londra, e da Patrick A. Flume, dell’Università to di rottura hanno esaminato i controlli neurologici e meccanici
www.lescienze.it
Le Scienze 93
Esperimenti irripetibili
Il ritmo normale del respiro comincia quando il tronco encefalico invia impulsi lungo i due nervi frenici fino al diaframma che
si trova sotto i polmoni, comunicandogli di contrarsi e di gonfiare i polmoni. Quando gli impulsi si arrestano, il diaframma si rilassa, e i polmoni si sgonfiano. In altre parole, un certo schema ritmico di attività neurale – un ritmo respiratorio centrale – riflette
il ciclo dei nostri respiri. Negli esseri umani è ancora tecnicamente ed eticamente impossibile misurare questo ritmo in modo diretto
a partire dai nervi frenici o dal tronco encefalico. I ricercatori, però, hanno messo a punto diversi metodi per registrarlo in modo indiretto: monitorano l’attività elettrica nel diaframma, la pressione
nelle vie aeree o altri cambiamenti nel sistema nervoso autonomo,
come il ritmo cardiaco (noto anche con il nome di aritmia sinusale di tipo respiratorio).
Partendo da queste misurazioni indirette, nel 1963 Emilio Agostoni, dell’Università di Milano, ha osservato un ritmo centrale in
persone che trattenevano il respiro molto prima del punto di rottura. In esperimenti effettuati tra il 2003 e il 2004 all’Università
di Birmingham, con la dottoranda Hannah E. Cooper e l’anestesista Thomas H. Clutton-Brock, abbiamo usato l’aritmia sinusale respiratoria per dimostrare che il ritmo centrale non si interrompe
mai: è presente anche durante l’apnea, che quindi deve sopprimere
la capacità del diaframma di esibire questo ritmo, forse attraverso
una contrazione volontaria e continua di questo muscolo. (Diversi esperimenti avrebbero escluso il coinvolgimento di altri muscoli
e strutture con un ruolo nella respirazione). Analogamente, il punto di rottura potrebbe dipendere da un feedback sensoriale inviato
al cervello dal diaframma, che riflette, per esempio, un insolito stato di allungamento o di affaticamento.
Se questo è vero, paralizzare il diaframma per eliminarne il
feedback al cervello dovrebbe prolungare l’apnea di molto, se non
addirittura indefinitamente. Questo era anche il risultato atteso da
uno dei più allarmanti esperimenti di apnea di sempre, condotto alla fine degli anni sessanta da Campbell all’Hammersmith Hospital
di Londra. Due volontari avevano accettato di subire una paralisi
temporanea di tutti i muscoli scheletrici provocata da un’iniezione
di curaro, a eccezione di un avambraccio, con cui avrebbero segnalato le proprie necessità. I due temerari erano tenuti in vita con un
sistema di ventilazione meccanico e l’apnea era simulata spegnendo il sistema: dovevano indicare il punto di rottura segnalando di
mettere nuovamente in moto la ventilazione.
Il risultato è stato sbalorditivo. Entrambi i volontari hanno fatto a meno della ventilazione per almeno quattro minuti. A quel
punto però l’anestesista che assisteva all’esperimento è intervenuto
perché i livelli ematici di anidride carbonica erano saliti pericolosamente. Una volta terminati gli effetti del curaro, i due non hanno manifestato sintomi di soffocamento o di malessere.
Per ovvie ragioni, un esperimento tanto pericoloso è stato eseguito raramente. Alcuni ricercatori hanno tentato, senza successo,
di replicare le scoperte di Campbell, ma i loro volontari hanno raggiunto il punto di rottura dopo un periodo così breve che i livelli di
anidride carbonica erano poco superiori al normale. Questo risultato suggerisce che i soggetti potrebbero aver scelto di terminare pre-
94 Le Scienze
Un regno tutto loro
la durata dell’apnea. Invece di una paralisi totale del corpo, Noble
ha sfruttato uno stratagemma assai meno rischioso: ha paralizzato
solo il diaframma anestetizzando i due nervi frenici. In questo modo ha raddoppiato la durata media dell’apnea dei volontari, riducendo le spiacevoli sensazioni da cui è accompagnata.
I segreti dei campioni
Le persone che eccellono nella capacità di trattenere il respiro si affidano in genere a quattro principi fondamentali. Prolungare i tempi dell’apnea, però, comporta un serio rischio di svenimento, danni cerebrali e
morte. L’assistenza medica dovrebbe essere sempre a disposizione.
Riempire realmente i polmoni: alcuni atleti gonfiano oltre misura i
polmoni, ben oltre il loro livello massimo, mediante una tecnica chiamata pompaggio boccale che consiste nel muovere ritmicamente il pavimento orale per inspirare una quantità extra di aria. Le pressioni elevate che di conseguenza si generano nei polmoni mettono la persona
a rischio di embolia gassosa arteriosa: la formazione di bolle gassose
nel sangue, che possono danneggiare il cervello o i capillari coronarici.
Rilassarsi per rallentare il metabolismo: A riposo, il metabolismo
umano consuma 0,36 litri di ossigeno al minuto. Digiunando per 12 ore
mentre ci si riposa in una condizione di veglia è possibile abbassare il
consumo di ossigeno fino ad appena 0,27 litri al minuto, e ciò fa sì che
l’aria resti nei polmoni circa un terzo in più del normale.
Inalare ossigeno puro: l’aria è composta da ossigeno al 21 per cento.
Secondo alcuni studi, inalando ossigeno puro al 100 per cento si può
raddoppiare la durata dell’apnea. Però si corre il rischio che alcune aree
dei polmoni collassino una volta che l’ossigeno è stato estratto.
Iperventilare: l’iperventilazione prima dell’apnea può ridurre i livelli di
anidride carbonica nel sangue, cosa che, come emerge da alcuni studi, a volte ha raddoppiato il tempo fino al punto di rottura. Eppure può
essere controproducente: accelera la velocità con cui il corpo consuma ossigeno e produce anidride carbonica. Inoltre limita il flusso di sangue al cervello e disattiva i riflessi che proteggono il cervello da un flusso inadeguato di ossigeno.
Record degni di nota*
1 minuto
Tempo medio dell’apnea fuori dall’acqua
8’06’’
Martin Štêpánek
3 luglio 2001,
Miami, Stati Uniti
9’04’’
Herbert Nitsch
13 dicembre 2006,
Hurgada, Egitto
10’12’’
Tom Sietas
7 giugno 2008,
Atene, Grecia
11’35’’
Stéphane Mifsud
8 giugno 2009,
La Crau, Francia
*O
ttenuti in condizioni di immobilità, con il volto immerso nell’acqua,
senza prima inalare ossigeno puro.
cocemente il test, forse a causa del disagio causato dai tubi di ventilazione che tenevano aperta la glottide (una misura di sicurezza
assente negli esperimenti di Campbell), e a causa di una maggiore
consapevolezza del rischio a cui andavano incontro.
Gli esperimenti eseguiti da Mark I. M. Noble, che negli anni settanta ha lavorato nel laboratorio di Guz al Charing Cross Hospital,
sembrano però confermare che la paralisi del diaframma prolunga
526 giugno 2012
Davies and Starr/Getty Images
di questi muscoli deputati all’inspirazione. Inoltre hanno cercato di
capire se il trattenere il respiro coinvolge un arresto volontario del
ritmo respiratorio automatico che guida questi muscoli, o se c’è un
ostacolo che impedisce ai muscoli respiratori di manifestare questo ritmo automatico.
Salvare vite
Una migliore conoscenza di che cosa limiti la capacità di trattenere il respiro ha applicazioni in medicina. Nell’ambito del trattamento per il tumore al seno, per esempio, le pazienti sono sottoposte a radioterapia, il cui obiettivo è annientare il cancro con una
dose letale di radiazioni senza danneggiare i tessuti che lo circonLa migliore spiegazione attuale
dano. Questa terapia richiede un’esposizione di diversi minuti alle
Considerate le diverse prove, la bilancia pende a favore dell’i- radiazioni, durante i quali una paziente deve cercare di mantenere
potesi secondo cui una contrazione volontaria e prolungata del il torace immobile. Dato che trattenere il respiro così a lungo non è
diaframma permetta di trattenere il respiro, mantenendo il tora- realistico, si usano brevi impulsi di radiazione sincronizzati in moce espanso. Il punto di rottura potrebbe dipendere da stimoli che do da farli cadere negli intervalli fra i respiri della paziente, quando
dal diaframma in questo stato di prolungata, insolita contrazione il torace si muove meno. Tuttavia, a ogni respiro il petto si muove, e
raggiungono il cervello. Durante una simile contrazione, il cervel- può anche non tornare nella posizione di partenza. Insieme al fisico
lo potrebbe percepire a livello subconscio i segnali anomali prove- medico Stuart Green, all’oncologo clinico Andrea Stevens e all’anenienti dal diaframma, catalogandoli inizialmente come sgradevo- stesista Thomas Clutton-Brock stiamo iniziando una serie di esperili per poi trovarli insopportabili, provocando il punto di rottura. A menti finanziati dalle University Hospital Birmingham Charities per
capire se sia possibile aumentare la durata dell’apnea per un tempo
quel punto, il ritmo automatico riacquista il controllo.
Questa ipotesi non è stata approfondita, ma si adatta bene sia al- abbastanza lungo da aiutare la radioterapia.
Una conoscenza dei meccanismi dell’apnea potrebbe essere imle osservazioni di Fowler (ogni sospensione dell’apnea, che avviene
necessariamente rilassando il diaframma, consente un altro atto), portante anche per le forze dell’ordine, quando è necessario trattenere un sospettato con la forza. Ogni anno in tutto
sia agli effetti dell’aumento dei volumi dei polmoUna migliore
il mondo alcune persone in stato di contenimento
ni e della manipolazione del gas ematico sulla dufisico possono morire accidentalmente. Aumenrata dell’apnea. Rilassare il diaframma anche solo
conoscenza
tare il tasso metabolico, comprimere il torace, riun po’ ed espirare un minimo dovrebbe ritardare il
della fisiologia durre il livello di ossigeno nel sangue e aumentare
punto di rottura, attenuando i segnali provenienti
quello dell’anidride carbonica sono eventi che acdai sensori di allungamento nel diaframma. L’audell’apnea
corciano la durata dell’apnea. Così chi è arrabbiamento del livello di ossigeno e la diminuzione del
è importante
to, sta lottando o è trattenuto a terra con la forza
livello di anidride carbonica nel sangue dovrebbeanche per
può aver bisogno di respirare molto prima di qualro anche aumentare la capacità di restare in apnea,
cuno che si trova in condizioni di relax.
riducendo gli indicatori biochimici di fatica nel
la medicina
Nel 2000 Andrew R. Cummin e colleghi del
diaframma. Qualsiasi evento impedisca al cervello
di monitorare un’informazione del genere – per esempio il blocco Charing Cross Hospital hanno studiato che cosa è accaduto a otdei nervi fra diaframma e cervello – estenderà la durata dell’apnea. to soggetti che espiravano tutta l’aria e trattenevano il respiro dopo
La tolleranza del cervello verso segnali di sofferenza dipenderà an- una pedalata moderata di un minuto: la durata massima dell’apnea
che dall’umore, dalla motivazione e dalla capacità di essere distrat- è scesa a soli 15 secondi, la quantità media di ossigeno ematico è
diminuita parecchio e due volontari hanno addirittura manifestato
ti, diciamo, da calcoli mentali.
Questa ipotesi è solo la spiegazione più semplice che unifica le un ritmo cardiaco irregolare. I ricercatori hanno concluso che smetvarie osservazioni sperimentali. Alcuni di questi esperimenti han- tere di respirare per brevi periodi durante un contenimento energeno coinvolto un numero troppo piccolo di volontari, e non posso- tico potrebbe spiegare i decessi inattesi in queste circostanze. Le auno dunque essere una base per generalizzazioni affidabili; inoltre torità di polizia hanno stilato linee guida sull’uso del contenimento,
le autorizzazioni dei comitati etici per la loro ripetizione potrebbe- che dovrebbero essere osservate in modo scrupoloso.
Le ricerche sulla capacità di trattenere il respiro aprono nuoro non arrivare mai. A questo puzzle, tra l’altro, potrebbero ancora
ve prospettive su aspetti fondamentali della fisiologia umana. Ci
mancare tasselli chiave.
C’è n’è uno, in particolare, che non si adatta proprio a questa aspettano ancora scoperte fondamentali, in particolare sul diaspiegazione, ed è stato ottenuto da un’altra serie sensazionale (ed framma. E questo lascia fin d’ora alcuni di noi senza fiato.
n
eticamente irripetibile…) di esperimenti di apnea eseguiti da Noble e
Guz. Questi due ricercatori hanno triplicato la durata dell’apnea in
per approfondire
tre volontari sani anestetizzando loro due coppie di nervi cranici (i
nervi vaghi, che si dipartono dal cervello e arrivano agli organi che Diaphragm Activity during Breath Holding: Factors Related to Its Onset.
si trovano nel torace e nell’addome, e i nervi glossofaringei, che ar- Agostoni E., in «Journal of Applied Physiology», Vol. 18, n. 1, pp. 30-36, 1963.
Behavioural and Arousal-Related Influences on Breathing in Humans.
rivano a glottide, laringe e altre parti della gola).
Shea S.A., in «Experimental Physiology», Vol. 81, n. 1, pp. 1-26, 1996.
Questo risultato sarebbe stato raggiunto senza interessare il dia- CO -Dependent Components of Sinus Arrhythmia from the Start of Breath
2
framma, tranne per il fatto che è possibile il trasporto di alcuni se- Holding in Humans. Cooper H.E., Parkes M.J. e Clutton-Brock T.H., in «American
gnali inviati dal diaframma anche da parte dei nervi vaghi. Sembra Journal of Physiology-Heart and Circulatory Physiology», Vol. 285, n. 2, pp.
meno probabile il fatto che la laringe contenga un muscolo coin- H841-H848, 2003.
volto nella capacità di trattenere il respiro: nel 1993, grazie a una Contribution of the Respiratory Rhythm to Sinus Arrhythmia in Normal Un­an­es­
sonda che si inserisce in una narice, Martyn Mendelsohn, un chi- the­tized Subjects during Positive-Pressure Mechanical Hyperventilation.
­Cooper H.E., Clutton-Brock T.H. e Parkes M.J., in «American Journal of Physiologyrurgo di Sydney, ha osservato che spesso la glottide rimane aperta Heart and Circulatory Physiology», Vol. 286, n. 1, pp. H402-H411, 2004.
durante l’apnea. Anche questa scoperta sembra confermare l’ipote- Breath-Holding and Its Breakpoint. Parkes M.J., in «Experimental Physiology»,
si secondo cui la chiave di tutto sia il ruolo del diaframma.
Vol. 91, n. 1, pp. 1-15, 2006.
www.lescienze.it
Le Scienze 95
Fly UP