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la fotografia - Loescher Editore
LA FOTOGRAFIA
Conoscenze
• aspetti tecnici
della fotografia
• fotografare
il paesaggio
La camera ottica
La fotografia è una tecnica per riprodurre la realtà su un supporto fotosensibile. Per molto tempo, però, gli uomini usarono tecniche che potremmo
definire “fotografiche” per ottenere delle immagini, pur non avendo ancora inventato materiali adeguati per fissarle.
Gli astronomi, ad esempio, si chiudevano in una stanza buia, detta «camera
ottica», per poter osservare le eclissi di sole. Le immagini del fenomeno passavano attraverso un minuscolo foro creato in una parete e andavano a proiettarsi, rovesciate e con i lati invertiti, su quella opposta (fig. 1). Allo stesso
modo procedevano alcuni pittori a partire dal XVI secolo: essi usavano infatti
una camera ottica da tavolo, ossia una scatola di legno dotata di una lente
frontale attraverso cui passavano le immagini dell’esterno; queste venivano
riflesse da uno specchio interno inclinato a 45° sulla parte superiore della scatola, composta da una lastra di vetro smerigliato. Appoggiando sul vetro un
foglio di carta oleata, i pittori potevano ricalcare ciò che vedevano, per averne una specie di “brutta copia” da riportare successivamente sulla tela. Ottenevano così prospettive precise fin nei dettagli e proporzioni esatte (fig. 2).
Le origini della fotografia
Nella prima metà dell’Ottocento le ricerche in campo chimico portarono
all’invenzione delle prime lastre fotosensibili e, in particolare, alla tecnica
fotografica chiamata dagherrotipia, inventata da Louis-Jacques Mandé
Daguerre e presentata a Parigi nel 1839. Marc-Antoine Gaudin, chimico
francese, racconta dell’affollatissima seduta tenutasi il 19 agosto di quell’anno durante la quale, davanti ai membri dell’Accademia delle Scienze e
dell’Accademia delle Belle Arti, lo scienziato François Arago illustrò la nuova tecnica: «Io arrivai con due ore di anticipo ma non potei entrare nella sala. […] A un certo punto uscì un uomo eccitato: raccontò che il segreto stava
nello iodio e nel mercurio. Finalmente la seduta ebbe termine, il segreto era
stato rivelato. Alcuni giorni dopo, i negozi di ottica erano affollati da dilet-
1 Un’illustrazione del 1545
che descrive la camera ottica
costruita l’anno precedente
per osservare l’eclissi
di sole (Austin, Texas,
Coll. Gernsheim).
L’immagine viene proiettata
rovesciata e con i lati
invertiti, come indicato dal
percorso dei raggi di luce.
1
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
2 Una camera ottica da
tavolo in un’illustrazione
di Georg Brander del 1769
(Austin, Texas, Coll.
Gernsheim). Il modello
qui raffigurato è molto
complesso e comprende una
serie di scatole scorrevoli
in grado di avvicinare
o allontanare il soggetto.
2
1
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tanti che smaniavano per avere l’apparecchio dagherrotipico». L’invenzione di Daguerre consisteva in una lastra di rame argentato esposta ai vapori
di iodio, così da creare ioduro d’argento sensibile alla luce. La lastra, così
preparata, veniva inserita in una fessura dell’apparecchio fotografico, dove
riceveva la luce dall’esterno attraverso un obiettivo. Essa veniva in seguito
esposta ai vapori di mercurio per rivelare l’immagine e quindi fissata con
una soluzione di sale marino, che ne bloccava il processo di sviluppo. Si otteneva in questo modo una sola fotografia positiva dalle venature metalliche. Fra i vantaggi del dagherrotipo c’era la precisione dei dettagli (fig. 3);
fra gli svantaggi, il lungo tempo di esposizione alla luce e la rapida degradazione, che imponeva di proteggerlo con un vetro all’interno di un astuccio.
Altri potevano vantare, negli stessi anni, l’invenzione di analoghi procedimenti fotografici: l’inglese Henry Fox Talbot dei calotipi (fig. 4), Hippolyte
Bayard dei positivi su carta, Nicéphore Niepce delle eliografie.
3 Louis-Jacques Mandé
Daguerre, Natura morta,
1837 ca., dagherrotipo,
16,5x21,5 cm (Parigi, Musée
National des Techniques).
È evidente la precisione
dei dettagli, che permette di
cogliere molto bene le forme
dei fossili e delle conchiglie
collocati sugli scaffali.
3
4 Henry Fox Talbot, Cappelli
nella vetrina di una modista,
1864, calotipo (Coll. Talbot).
La fotografia, che pure
ha un soggetto composto
in modo molto simile
a quello del dagherrotipo
della figura 3, risulta assai
meno precisa e dettagliata,
pur avendo una certa
bellezza. Non a caso,
il termine «calotipo» deriva
dal greco kalós, «bello».
4
2
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
LA FOTOGRAFIA
Solo nel 1851 Scott Archer inventò un procedimento positivo-negativo:
utilizzando lastre di vetro cosparse di collodio umido (densa soluzione di
nitrocellulosa in alcol ed etere) si poteva ottenere un «negativo» da cui ricavare quante stampe positive si desideravano.
Più recenti sono la diapositiva – che rappresenta il soggetto in positivo su
un supporto di vetro o celluloide trasparente – e la fotografia a sviluppo
immediato o «istantanea» ideata da Edwin Land nel 1947 e prodotta da
Polaroid.
Aspetti tecnici ed evoluzione della fotografia
In campo fotografico gli aspetti tecnici degli apparecchi (le caratteristiche
degli obiettivi, i tempi di otturazione e le dimensioni della macchina) e i
materiali utilizzati (il grado della loro sensibilità alla luce e i conseguenti
tempi di esposizione) sono di estrema importanza e hanno permesso, nel
corso del tempo, di ottenere risultati molto diversi.
Gli esponenti del Pittorialismo (corrente che si sviluppò tra la fine del XIX e
i primi vent’anni del XX secolo e fu animata dall’intento di portare la fotografia al livello dei procedimenti artistici; fig. 6) realizzavano immagini il
cui aspetto poco definito ricordava i dipinti impressionisti. Tuttavia, più
che da una scelta degli autori, ciò dipendeva dalla scarsa definizione che
poteva essere ottenuta con gli obiettivi del tempo. È curioso notare che oggi, pur potendo avere immagini molto nitide, alcuni fotografi preferiscono
usare obiettivi (i sistemi di lenti che catturano l’immagine e la mettono a
fuoco) desueti o filtri speciali per ottenere immagini sgranate come quelle
del passato.
Anche il tempo di esposizione alla luce del materiale fotosensibile ha sempre rivestito un ruolo importante. Le lastre del dagherrotipo erano poco sensibili e pertanto le pose di fronte all’obiettivo potevano durare anche molti
minuti. Questo spiega l’elevato numero di soggetti che, dovendo rimanere a
lungo immobili, erano ritratti seduti o appoggiati a una finta colonna (fig. 7).
5
5 Apparecchio fotografico
in uso alla fine del XIX secolo.
6 Robert Demachy, Ballerine, 1896,
stampa alla gomma bicromatata
(Parigi, Societé Française
de Photographie). L’atmosfera
leggermente indefinita,
l’inquadratura che permette
di usare con maestria la luce
proveniente dal palcoscenico
e la delicatezza dei gesti delle
ballerine non possono non
ricordare i dipinti di Edgar Degas.
D’altra parte Demachy era stato
un discreto pittore, prima di essere
considerato un grande fotografo
e il più importante esponente
del Pittorialismo.
7 William Edward Kilburn, Ritratto
di un ufficiale, 1853, dagherrotipo
colorato a mano, 6,3x8,8 cm
(Austin, Texas, Coll. Gernsheim ).
Il dagherrotipo, originariamente
in bianco e nero, è stato colorato
da un miniaturista per renderlo
più realistico.
6
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
7
3
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Chi voleva invece rappresentare il movimento doveva superare molte difficoltà. Nel 1878 l’inglese Eadweard Muybridge, per dimostrare che un cavallo al galoppo ha, in un certo momento, tutte e quattro le zampe sollevate
dal suolo, dovette utilizzare una batteria di macchine fotografiche. Ai bordi di una pista collocò ben 24 fotocamere collegate a fili metallici che il cavallo toccava e rompeva facendo scattare gli otturatori (fig. 8).
Quando la sensibilità dei materiali fu migliorata e gli otturatori (ossia i dispositivi che negli apparecchi fotografici regolano la durata dell’esposizione di lastre e pellicole alla luce) diventarono più rapidi, si poté iniziare a
scegliere se usare un tempo di esposizione breve per “congelare” l’istante,
immobilizzandolo (fig. 9), oppure scattare con tempi lunghi per vedere
sull’immagine il segno del mosso del soggetto ritratto (fig. 10).
La scelta del tipo di materiale fotosensibile è determinante. Le lastre e le
pellicole in bianco e nero, le uniche diffuse fino agli anni Trenta del Novecento, riproducono i colori trasformandoli in bianco, nero e sfumature di grigio.
Le pellicole a colori invece, nate per ottenere immagini più simili al vero, riproducono i colori che vediamo ogni giorno. Per tale ragione possiamo dire,
in linea generale, che il colore è maggiormente descrittivo rispetto al bianco
e nero, mentre quest’ultimo svolge una funzione interpretativa della realtà.
8 Eadweard Muybridge,
Cavallo al galoppo, 1878,
stampa su carta
all’albumina. Muybridge
si dedicò allo studio del
movimento analizzando
anche le posture degli atleti.
8
9
9 Jacques-Henri Lartigue,
Mia cugina Bichonnade
non cadrà…, 1905 (Parigi,
Association des Amis de
Jacques-Henri Lartigue).
Il soggetto sembra sospeso.
4
10
10 Jacques-Henri Lartigue,
Bobsleigh terrestre, part., 1911
(Parigi, Association des Amis
de Jacques-Henri Lartigue). Il
segno del mosso dipende dal
lungo tempo di esposizione.
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
LA FOTOGRAFIA
Occorre infine aggiungere che, sebbene la fotografia digitale abbia conosciuto negli ultimi anni un grandissimo sviluppo e una pressoché universale diffusione tra gli amatori, le pellicole tradizionali sono ancora utilizzate da molti fotografi, che le apprezzano per la nitidezza delle immagini che
consentono di ottenere.
Le dimensioni della fotocamera hanno sempre influito sulla scelta dei
soggetti e sul tipo di servizio fotografico che poteva essere eseguito. Le prime macchine fotografiche, ad esempio, erano piuttosto ingombranti e dovevano essere appoggiate su un treppiede: era pertanto molto difficile utilizzarle nei reportage giornalistici.
Nel 1924 il progettista Oskar Barnack presentò la Leica, un piccolo apparecchio che usava una pellicola formato 35 mm (fig. 11). La Leica era così maneggevole da consentire ai fotografi di muoversi liberamente, cercare inquadrature anche inconsuete e scattare con rapidità.
Le più moderne fotocamere sono di dimensioni così ridotte e hanno un peso così esiguo da poter essere inserite, ad esempio, nei telefoni cellulari.
Infine, per quanto riguarda gli obiettivi, dobbiamo distinguere fra quello
«normale» (da 50 mm), che equivale alla nostra visione naturale, i «grandangoli» (da 28, 24, 20, 18 mm), che hanno una focale (ossia la distanza tra le lenti e il piano della pellicola) più corta e pertanto allargano il campo visivo come se potessimo vedere anche con la coda dell’occhio, e gli obiettivi con una
focale più lunga o «teleobiettivi» (da 135, 200, 500 mm), che permettono di
evidenziare un particolare e sembrano avvicinarlo. Quindi scattare tre fotografie dallo stesso punto con un obiettivo da 50 mm, con un grandangolo e
un teleobiettivo permette di ottenere risultati diversi (fig. 12).
11
11 La prima macchina
fotografica Leica (1924).
12a
12b
12 Le tre fotografie
sono state scattate
dallo stesso punto
di ripresa
rispettivamente
con un obiettivo
normale da 50 mm
(a), con un obiettivo
grandangolare da
18 mm (b) e con
un teleobiettivo
da 200 mm (c).
12c
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
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La fotografia digitale
corpo macchina
Una rivoluzione radicale delle tecniche fotografiche è stata apportata dallo
sviluppo della tecnologia digitale. Negli ultimi anni, infatti, le fotocamere tradizionali a pellicola sono state quasi del tutto sostituite dalle fotocamere dotate di un sistema di codificazione informatica, che traduce l’immagine in impulsi elettrici. Tali impulsi vengono registrati in un file, che è archiviato nella memoria dell’apparecchio e può essere trasferito in un computer attraverso cavi o tramite connessioni wireless (termine inglese che significa «senza fili»).
13a
ghiera di regolazione
del diaframma
obiettivo
ghiera per la messa
a fuoco manuale
13b
Il funzionamento di una fotocamera digitale (fig. 13) è tuttavia molto simile a quello di una fotocamera tradizionale, poiché entrambe contengono un
obiettivo, un diaframma (il meccanismo che regola, in base al grado di
luminosità dell’ambiente, le dimensioni di apertura del foro da cui penetra
il fascio di luce) e un otturatore che controlla la durata dell’esposizione alla luce.
Nelle fotocamere digitali la pellicola è sostituita da un dispositivo elettronico chiamato «sensore di immagini» (figg. 14 e 15), sulla cui superficie si
trovano milioni di piccolissimi elementi fotosensibili detti photosite. I photosite sono porzioni di spazio contenenti un solo photodetector o tre photodetector, sensibili rispettivamente a una sola o a tutte e tre le componenti cromatiche fondamentali del sistema additivo RGB (Red, Green, Blue, ossia rosso,
verde e blu). Secondo il sistema additivo, infatti, ogni colore-luce è determinato dalla mescolanza delle tre componenti cromatiche fondamentali
(fig. 16). Ogni photodetector, che traduce l’impulso luminoso in impulso
elettrico relativo alla componente «R», «G» o «B», è quindi in grado di cattu-
display elettronico
13 Una macchina reflex
digitale è costituita da un
corpo macchina e da un
obiettivo. Su quest’ultimo
si trova la ghiera della messa
a fuoco manuale. Sul corpo
macchina si trovano invece
la ghiera di regolazione
del diaframma, i comandi
per lo scatto e un display
sul quale si possono
verificare il numero delle
fotografie scattate, l’apertura
del diaframma e il livello
di carica della batteria.
15
14
sensore di immagini
otturatore
14 Una fotocamera
15 Il sensore di
reflex digitale riceve
la luce dall’obiettivo
e la riflette verso l’alto
tramite un piccolo
specchio. Da qui un
pentaprisma rettifica
l’immagine e
la proietta fuori
attraverso il mirino.
Dietro lo specchio
si trova l’otturatore
meccanico che
copre il sensore
di immagini.
Al momento dello
scatto lo specchio
si solleva e l’otturatore
si apre permettendo
l’esposizione alla luce.
immagini è un
dispositivo costituito
da piccoli elementi
sensibili alle
componenti
cromatiche della luce.
Nelle macchine digitali
«compatte», dove
manca l’otturatore, il
sensore di immagini
viene attivato solo al
momento dello scatto.
specchio
6
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
LA FOTOGRAFIA
rare il colore e la luminosità di una minuscola porzione dell’immagine. In
genere, poiché il nostro occhio è particolarmente sensibile al colore verde,
il 50% dei recettori è sensibile a questo colore, il 25% al rosso e il restante
25% al blu.
L’immagine, tradotta in impulsi elettrici, viene così trasformata in un file
in cui è memorizzata la collocazione di milioni di punti colorati detti pixel
(picture element).
La qualità di un’immagine digitale, sia per quanto concerne la visualizzazione su uno schermo, sia per quanto riguarda la stampa, dipende in gran
parte dalla sua risoluzione, ossia dal numero di pixel contenuto in ogni
pollice (unità di misura in uso nel sistema anglossassone pari a 2,54 cm).
Anche la dimensione del file dipende dal medesimo fattore. La sua grandezza, infatti, può essere definita dal numero complessivo di pixel (ad esempio
3 milioni di pixel ossia 3 Megapixel) oppure dalla sua altezza e dalla sua larghezza calcolate in numero di pixel (ad esempio 1600x1800 pixel).
La realizzazione di immagini fotografiche digitali è molto semplice ed economica, poiché molte operazioni, come la messa a fuoco o la valutazione
delle condizioni di luce, sono automatiche. Tuttavia, per realizzare fotografie di grande qualità sarebbe opportuno ricorrere ad apparecchi che consentano di operare con interventi manuali.
Un altro notevole vantaggio offerto dalla fotografia digitale è quello di poter valutare immediatamente il risultato ottenuto, rivedendo l’immagine
nello schermo dell’apparecchio ed eventualmente eliminarla e scattarne altre per avvicinarsi maggiormente al risultato desiderato. Inoltre una quantità pressoché infinita di immagini può essere immagazzinata nel computer senza problemi di costo né di spazio.
Le fotografie digitali possono essere duplicate e modificate tramite un computer. Possono così venire alterate sul piano cromatico con l’uso di filtri; può
esserne variato il «contrasto», ossia la differenza tra i toni dei colori che le
compongono; possono venire trasformate in immagini dalle caratteristiche
pittoriche o grafiche o, ancora, possono essere ritagliate e sovrapposte.
16
16 I tre colori-luce
fondamentali rosso, blu
e verde danno origine,
se sovrapposti a coppie,
ai colori-luce secondari:
giallo (verde più rosso),
magenta (blu più rosso)
e blu-ciano (blu più verde).
Dalla sovrapposizione
di tutti e tre i colori-luce
fondamentali si ottiene
invece il colore bianco.
17 I software come
Photoshop® misurano
le dimensioni dei file
di immagine esprimendone
in pixel l’altezza e la
larghezza: la fotografia
aperta nella schermata
qui riprodotta è larga
2687 pixel e alta 1843 pixel.
La risoluzione dell’immagine
si riferisce invece ai pixel
contenuti in ogni pollice:
la fotografia dell’esempio
ha una risoluzione
di 300 pixel per pollice
o 300 PPI (Pixels Per Inch).
17
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
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Risorse online
Generi e temi principali della fotografia
La fotografia è un campo così vasto che non c’è settore in cui non sia stata capace di esprimersi. Fin dalla seconda metà dell’Ottocento si è misurata con i
generi classici della pittura – ritratto, paesaggio, nudo, natura morta –, perché
molti pittori, convertiti alla fotografia, hanno trovato naturale realizzare con
il nuovo mezzo quanto erano abituati a fare con la tela e i pennelli. Occorre
però tenere presente che esiste tra queste due discipline una differenza fondamentale: mentre è possibile dipingere una creatura immaginaria, si può fotografare solo quanto esiste. La fotografia si basa su uno strumento che riceve le immagini dall’esterno e ha quindi un rapporto con la realtà più stretto
delle altre arti. Questo non significa però che essa sia sempre improntata al
realismo. Nel caso del ritratto, ad esempio, i fotografi utilizzano spesso luci
e ombre per sottolineare i pregi e nascondere i difetti dei loro soggetti. Per
quanto riguarda il paesaggio, invece, il risultato dipende molto dalla luce del
momento e dalla capacità del fotografo di sfruttarla per ottenere gli effetti
che desidera. Senza dimenticare le infinite possibilità offerte dalla tecnologia
digitale, che permette di rendere più espressiva una fotografia già scattata. Alcune fotografie sono autentiche opere d’arte, proprio perché testimoniano
non solo un’alta qualità tecnica, ma anche la capacità dell’autore di esprimersi in modo personale. Le fotografie astratte, i paesaggi surreali e le distorsioni
dei corpi appartengono a questo genere di fotografia, che punta soprattutto
all’interpretazione della realtà, più che alla sua descrizione.
18
18 Grazie all’uso di una
pellicola a grana finissima,
a un lungo tempo
di esposizione e al
collegamento con un potente
telescopio, è stato possibile
realizzare questa bella
immagine della Luna di cui
è visibile la superficie con
i crateri e i vasti «mari».
19 Macrofotografia di
20 Léon Foucault, Particelle
un ragno saltatore (Pelegrina
galathea). In evidenza
la serie di occhi semplici,
tipici degli aracnidi.
di lievito di birra, 1844,
dagherrotipo (Parigi, Societé
Française de Photographie).
La macchina è stata
collegata a un microscopio
che ha ingrandito il soggetto
400 volte.
Un campo molto particolare di applicazione della fotografia è quello scientifico: integrando un telescopio con un apparecchio fotografico si ottengono
fotografie astronomiche che descrivono bene i corpi a noi più vicini, come
il Sole e la Luna (fig. 18), o riproducono astri più lontani. Se si usano obiettivi o accessori speciali, si possono ottenere macrofotografie (chiamate anche «fotomicrografie») di piccoli oggetti, fiori o insetti (fig. 19). Dal collegamento con un microscopio nascono invece le microfotografie, che mostrano anche i particolari più minuti del soggetto (fig. 20).
19
20
8
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
LA FOTOGRAFIA
Forse il genere fotografico più noto è quello del reportage, un racconto per
immagini con caratteristiche molto precise: deve essere sintetico, deve avere uno svolgimento logico – con una breve premessa e quasi sempre una
conclusione – e deve essere immediatamente comprensibile anche senza
testi e didascalie.
Tra i tipi di reportage ci sono la fotografia di viaggio (il cui compito è descrivere le atmosfere di luoghi che l’osservatore non conosce o di evocarle
a quanti li hanno già visti), la fotografia teatrale (fig. 21), che deve puntare sulla spettacolarità, e quella sportiva, che deve mostrare il senso di ogni
impresa agonistica, sia essa una vittoria o una sconfitta (figg. 22 e 23).
Le fotografie pubblicitarie e di moda sono in genere immagini di grande
qualità destinate a giornali, riviste, cataloghi o, ingrandite, a manifesti per
affissioni e cartelloni illuminati.
Si può dunque affermare che esistono molti generi, ma che le divisioni non
sono così nette: si può infatti fare ritratti per inserirli in un servizio di moda o in un reportage, così come si può utilizzare una fotografia scientifica
in campo pubblicitario.
21
21 La fotografia riprende
uno dei momenti culminanti
del Giulio Cesare di William
Shakespeare, tragedia
portata in scena a New York
Non dimentichiamo, infine, che il genere fotografico più diffuso è quello della dimensione privata, con le migliaia di foto ricordo dei luoghi visitati, i ritratti degli amici, le foto di gruppo, quelle scolastiche o delle cerimonie.
22 Fotografia scattata da
Kazuhiro Nogi durante una
gara di salto dal trampolino
con gli sci tenutasi nel 2001
ad Hakuba, in Giappone.
La ripresa dell’atleta nel
pieno del volo suggerisce
una forte sensazione
di movimento e velocità.
22
23 L’immagine congela
una brutta caduta avvenuta
nella finale di ciclismo su
pista durante le Olimpiadi
di Sydney nel 2000.
23
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
9
dalla compagnia teatrale
«The Aquila Theatre
Company» nel 2007.
La fotografia è stata scattata
da Richard Termine.
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Le principali funzioni comunicative
dell’immagine fotografica
Si afferma, giustamente, che siamo circondati dalle immagini. Tuttavia, a
dispetto del loro numero e della loro familiarità, non siamo sempre in grado di comprenderne l’esatta funzione.
Le fotografie più diffuse sono finalizzate all’informazione: le immagini dei
reportage ci raccontano quanto avviene ogni giorno, i ritratti ci fanno conoscere le fattezze di persone più o meno note, le illustrazioni dei dépliant descrivono le caratteristiche di una località. Con il passare del tempo queste
immagini possono acquisire anche un valore storico, divenendo una testimonianza degli avvenimenti passati. Vi è infine un’informazione che mostra quanto non fa parte della nostra quotidianità (fotografia geografica o di
viaggio) o non si può vedere (fotografia microscopica o astronomica).
Altrettanto comuni sono le immagini che, in modo più o meno diretto,
creano dei modelli di riferimento e di comportamento. Le fotografie di
moda indicano quali sono gli abiti, gli accessori o i colori condivisi in un
certo periodo da una certa società (fig. 24), mentre le fotografie pubblicitarie enfatizzano le caratteristiche di determinati prodotti o indicano il modo di utilizzarli.
24
24 Copertina del mensile
Un ruolo completamente diverso rivestono le immagini che intendono far
riflettere chi le osserva (fig. 25): la fotografia di un incidente automobilistico può indurre a una maggior prudenza nella guida; quella dei morti e dei feriti di un conflitto cerca di diffondere una cultura di pace; quella di un mare
limpidissimo vuole far comprendere la necessità di una tutela ambientale.
Un settore particolare è quello della fotografia artistica, che si propone di
condividere, proprio come succede alle opere di grafica, pittura o scultura,
il piacere del bello, che può risiedere nel soggetto ripreso ma anche nelle
caratteristiche dell’immagine, nella qualità della stampa o nell’originalità
della ripresa (fig. 26).
«Vogue Italia». L’immagine
comunica che per la
primavera saranno di moda
i tessuti fantasia.
La fotografia è stata scattata
da Steven Meisel.
25
25 Campagna pubblicitaria
26 Philippe Halsam,
di United Colors of Benetton.
Il fotografo Oliviero Toscani,
invece di mostrare gli abiti
della nota marca di
abbigliamento, ha ripreso
due uomini di razze diverse
ammanettati assieme per
sensibilizzare i fruitori contro
ogni forma di razzismo.
Dalì Atomicus, 1948.
26
10
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
LA FOTOGRAFIA
La fotografia come documento storico
La fotografia, nata nell’Ottocento, ha descritto solo un secolo e mezzo di
storia. Sarebbe stato interessante, ad esempio, avere un reportage sulla Rivoluzione francese o il ritratto fotografico dei suoi protagonisti: dobbiamo
invece “accontentarci” delle opere di pittura che li raffigurano. Sebbene
queste ultime abbiano talvolta un valore artistico straordinario, non possiamo considerarle come autentiche fonti storiche, mentre la fotografia da
questo punto di vista è assai più attendibile.
Nella seconda metà dell’Ottocento la fotografia era spesso usata per documentare l’inaugurazione di una nuova linea ferroviaria o di un ponte. Così
faceva, ad esempio, Gioacchino Altobelli (1814-1879 ca.), «fotografo ufficiale delle Opere d’Arte per le Ferrovie Romane» con una vera passione per la
storia. Nel settembre del 1870, dopo essere stato testimone dei combattimenti della «breccia di Porta Pia», riprese la scena il giorno successivo usando come figuranti gli stessi bersaglieri (fig. 27): l’immagine divenne famosissima.
Ben presto i fotografi cominciarono a scattare immagini nel vivo degli avvenimenti e, come dimostrano i fatti del 1898 a Milano, a dispetto di divieti e censure. In quell’anno una terribile crisi economica aveva portato all’aumento del prezzo del pane con conseguenti manifestazioni popolari cui
il Governo oppose la forza. Il 6 maggio venne impedito ai fotografi professionisti di seguire gli scioperi e il giorno seguente scoppiarono tumulti che
contrapposero ai manifestanti 20 000 soldati. Il generale Bava Beccaris, che
comandava le truppe, fece cannoneggiare la folla inerme. Luca Comerio,
giovane fotoamatore che abitava proprio nei pressi della zona degli scontri,
realizzò straordinarie fotografie dal suo balcone e dalle strade sottostanti
(fig. 28). Egli le pubblicò poi su «L’Illustrazione Italiana»: servirono a denunciare le brutalità contro i manifestanti.
27
27 Gioacchino Altobelli,
28 Luca Comerio,
Assalto alle barricate di Porta
Pia, 1870. La scena appare
rigida, con i soldati immobili
in posa di fronte alla
macchina del fotografo.
I bersaglieri occupano
una barricata in via della
Moscova, 1898. Si tratta
di una fotografia ripresa
dall’alto, presumibilmente
dal balcone di casa:
questo ha consentito
al fotografo di scattare
senza essere visto, come
dimostra il risultato molto
spontaneo.
28
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
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Risorse online
Negli anni Sessanta del Novecento diversi fotografi inviati a riprendere la
guerra del Vietnam, pur essendo partiti convinti della bontà dell’impresa,
finirono per denunciare, con le loro immagini che mostravano la crudeltà
degli eventi, la «sporca guerra», contribuendo così alla nascita di un movimento pacifista.
29 Alberto Korda, Ernesto
30 Stuart Franklin, Tien
Che Guevara, 1960.
Realizzata dal fotografo
cubano durante un breve
reportage, la fotografia
venne utilizzata in Italia
per la copertina di alcune
pubblicazioni. Tutti la
conoscono, ma pochi sanno
che, non esistendo a Cuba il
diritto d’autore, Korda non ha
mai guadagnato nulla dallo
sfruttamento dell’immagine.
An Men, Pechino, 1989.
La mattina del 4 giugno
1989, appostato su una
terrazza del suo albergo,
il fotografo dell’agenzia
Magnum riprese una scena
incredibile: uno studente
cinese impediva con il suo
corpo il passaggio del carro
armato. Di lì a poche ore
la rivolta degli studenti fu
tuttavia soffocata nel sangue.
La fotografia aiuta quindi a ricordare la storia: il miliziano colpito a morte
fotografato da Robert Capa è il simbolo della guerra civile spagnola, il ritratto che Alberto Korda fece a Ernesto Che Guevara richiama la rivoluzione
cubana (fig. 29), il giovane studente cinese ripreso da Stuart Franklin mentre fronteggia inerme i carri armati evoca la rivolta del 1989 di piazza Tien
An Men (fig. 30).
Non mancano, tuttavia, le manipolazioni: la fotografia di Lenin che arringa la folla il 5 maggio 1920 è stata ritoccata negli anni Trenta per far sparire dal palco Lev Trotzkij e Lev Kamenev, leader caduti in disgrazia e fatti in
seguito uccidere da Stalin (fig. 31).
29
30
31 Nell’immagine a, che
ritrae Lenin il 5 maggio 1920
mentre parla a Mosca di
fronte a una folla assiepata
sotto il suo palco di legno,
sono presenti sulla scala
anche Kamenev e Trotzkij.
L’immagine b è il frutto
dell’intervento di un abile
manipolatore che, anni
dopo, fece scomparire le
figure degli altri due leader,
caduti in disgrazia e fatti
uccidere rispettivamente
nel 1936 e nel 1940.
31a
12
31b
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
LA FOTOGRAFIA
La fotografia come forma d’arte
I rapporti fra fotografia e arte sono sempre stati molto stretti, ma anche difficili. Ai suoi esordi la fotografia contò molti entusiastici seguaci e altrettanti nemici: di fronte al nuovo mezzo alcuni gridarono allo scandalo, temendo un abbassamento del gusto del pubblico, e contrapposero la complessità della tecnica pittorica alla (supposta) facilità di quella fotografica.
Poi, come sempre accade di fronte alle novità, anche i più perplessi dovettero ammettere che il mezzo poteva raggiungere risultati pregevoli, ovviamente se maneggiato da un autore capace di coniugare tecnica e fantasia,
conoscenze pratiche e creatività. Da allora la fotografia si confronta con le
forme artistiche tradizionali, avvicinandosi ad esse in un rapporto diretto o
allontanandosene per trovare un proprio linguaggio espressivo.
Man Ray (1890-1976), artista statunitense, diceva di voler fotografare quanto non poteva dipingere e dipingere quanto non sapeva fotografare (fig. 32).
In tal modo egli riconosceva alla fotografia sia un valore pari a quello della
pittura sia una sua specificità irriducibile. Infatti ci sono fotografi che sono
definiti artisti per la loro bravura e artisti che decidono di usare la fotografia
come mezzo espressivo.
È difficile dire quando si possa definire artistica una fotografia. Si può però affermare che alcuni fotografi sanno andare con le loro opere oltre la pura descrizione per interpretare la realtà, così da trasmettere emozioni e consentirci di guardare il mondo in modo diverso e inaspettato (figg. 33 e 34).
32
32 Man Ray, Donna, 1931.
La fotografia è stata ottenuta
con la tecnica della
«solarizzazione», che si basa
su una doppia esposizione
della carta fotosensibile
al momento della stampa.
Tale tecnica determina
l’inversione dei toni in alcune
zone dell’immagine.
33 Robert Doisneau,
34 Alessandro Bavari,
Verso la posteria dei pioppi,
Parigi, 1934.
La progenie di Lot, Ritratto
di ragazza in gogna, 2000,
stampa da file digitale.
34
33
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
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Risorse online
La fotografia pubblicitaria
La fotografia pubblicitaria, oggi molto diffusa, nasce come alternativa all’illustrazione ed è strettamente legata al messaggio che intende lanciare: il
suo compito è, infatti, quello di accompagnare le parole e ribadire il concetto che si vuole esprimere. Per questa ragione è sempre molto accattivante e
intensa (fig. 35), perché deve servire a colpire l’immaginazione: può quindi
essere di volta in volta divertente, seria o semplicemente descrittiva, ma ha
l’obbligo implicito di essere sempre fantasiosa.
La fotografia pubblicitaria vive un rapporto ambiguo con la realtà perché
per un verso la deve descrivere e per l’altro la deve idealizzare. Se si progetta, ad esempio, un’immagine pubblicitaria per un’automobile, questa
dovrà sicuramente mostrarne le forme ma anche alludere a un mondo in
un certo senso “ideale”, per cui l’automobile non verrà mostrata impolverata, imbottigliata nel traffico, guidata da un proprietario nervoso e distratto
o posteggiata in una strada di periferia. Sarà invece presentata mentre scivola veloce in una strada immersa nella natura, lucida e brillante, ammirata da qualche bella ragazza e presentata come simbolo, a seconda dei casi,
di comodità, ricchezza o sportività (fig. 36).
35
35 Il profumo è da sempre
legato all’idea di seduzione.
In questo caso l’immagine
riprende una donna
affascinante dalla sensualità
aggressiva: l’abito, il trucco e
i gioielli hanno gli stessi colori
del flacone pubblicizzato.
Dovendo rappresentare il mondo che ci circonda, la fotografia pubblicitaria è indotta a riprodurlo in tutti i suoi aspetti e a ribadirne gli schemi: le
mamme sono giovani e belle, i bambini sono affettuosi e obbedienti, le famiglie sono riprese mentre fanno allegre colazioni. Ovviamente queste fotografie sono molto legate all’attualità, e divengono utili, dopo qualche anno, come testimonianze di un’epoca: il panettone Motta rappresenta
l’Italia dell’immediato dopoguerra; la Fiat 600, che contiene un’intera famiglia, è lo specchio del boom economico (fig. 37); i jeans sono l’immagine di
un Paese che ha ormai raggiunto il benessere.
Esiste inoltre una differenza di stile. Le riviste più raffinate pubblicano fotografie complesse e, talvolta, di difficile interpretazione; quelle più popolari, invece, sono ricche di immagini molto più semplici e dirette.
36
36 All’automobile, ferma
37 Immagine pubblicitaria
davanti a una donna
elegante che la osserva,
fa da sfondo uno scenario
bianco quasi surreale. In
tal modo viene sottolineato
il messaggio pubblicitario:
questo modello «fa
impallidire ogni altra cosa».
della Fiat 600. Il piccolo
modello di utilitaria,
prodotto dal 1955 al 1969,
poteva contenere
comodamente le spese
e i bagagli di tutta
la famiglia.
37
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E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
LA FOTOGRAFIA
Il paesaggio fotografico
Sin dagli esperimenti pionieristici, il paesaggio è uno dei soggetti principali della fotografia. Nel 1826 Nicéphore Niepce impresse su una placca di
peltro ricoperta di materiale fotosensibile ciò che si vedeva da una finestra
di casa sua (fig. 38). Tuttavia solo con i primi dagherrotipi si ottennero paesaggi fotografici di grande precisione (fig. 39).
È possibile individuare diversi modi di intendere la fotografia di paesaggio, veri e propri sottogeneri che si distinguono in base alle intenzioni
espressive, alle motivazioni dell’autore, alle esigenze di chi richiede e utilizza l’immagine.
38 Nicéphore Niepce,
Veduta dalla finestra di Gras,
1826, eliografia. L’immagine
è impressa su una placca
di peltro ricoperta di bitume
di giudea fotosensibile.
Per ottenerla sono occorse
otto ore di esposizione.
38
39 Louis-Jacques Mandé
39b
39a
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
15
Daguerre, Boulevard
du Temple, dagherrotipo,
16,5x21,6 cm (Monaco,
Bayerisches Museum,
l’originale è andato
distrutto). È davvero
straordinaria per quell’epoca
la precisione dei dettagli.
Un uomo e il suo
lustrascarpe (b) sono i soli
personaggi della scena:
i lunghi tempi di esposizione
hanno fatto sì che coloro
che erano in movimento
(passanti e carrozze)
non risultassero
nell’immagine, che consegna
alla storia le uniche due
persone rimaste pressoché
immobili per alcuni minuti.
Risorse online
I sottogeneri della fotografia di paesaggio
Il più diffuso sottogenere della fotografia di paesaggio è quello che si propone di realizzare una descrizione il più possibile realistica e obiettiva:
ad esso appartengono i reportage di viaggio, le immagini utilizzate per le
cartoline, le fotografie che sono destinate a documentazioni scientifiche,
le riprese aeree, che creano una visione d’insieme, e quelle che riproducono luoghi molto particolari come gli ambienti montani o i fondali sottomarini (fig. 40).
Vi sono poi autori che intendono la fotografia di paesaggio come forma di
espressione. Le loro immagini, molto personali, talvolta fanno emergere
un’armonia tra la natura e l’uomo (fig. 41). In altri casi propongono paesaggi idealizzati, dove le forme o i colori servono a creare atmosfere sospese, visioni surreali, prospettive poetiche (fig. 42) fino ad arrivare, in alcuni casi,
a esiti astratti. Invece, la fotografia del paesaggio urbano, che si confronta
con un ambiente in cui la presenza dell’uomo è preponderante, mostra sia
la bellezza delle architetture sia gli esiti contraddittori dello sviluppo delle
metropoli.
40
40 Immagine naturalistica
41 Paul Fusco, Finca el
di un ambiente marino.
Encanto, 1994. Il gioco di
luci e ombre trasmette lo
stato d’animo del fotografo.
41
42 Mario Cresci, Basilicata,
1982. Il particolare tipo di
ripresa e la luce che illumina
la facciata della casa hanno
permesso di ottenere una
fotografia quasi surreale.
42
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E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
LA FOTOGRAFIA
La ripresa frontale
La tecnica più immediata di ripresa del paesaggio è,
in genere, quella frontale: è una caratteristica tipica
della fotografia più semplice e prevedibile, che ha il
vantaggio di inserire tutti i particolari che saltano subito all’occhio, ma lo svantaggio di appiattire su un
solo piano la composizione. In questo caso, i migliori
risultati si ottengono con macchine di formato panoramico che propongono una visione molto più ampia di quella consueta. Si può però anche sfruttare
questo appiattimento in funzione creativa: i vari elementi tendono a sovrapporsi o accostarsi con un forte effetto geometrico che cancella la prospettiva.
43 Franco Fontana, Paesaggio immaginario,
Puglia, 1995.
43
La ripresa sulla diagonale
Per ottenere immagini dinamiche di un paesaggio si
ricorre a un tipo di ripresa impostata sulla diagonale,
che accentua i punti di fuga: in questo caso occorre però che il soggetto abbia le caratteristiche adatte (lunghe file di alberi, l’ansa di un fiume o una siepe).
44 Ansel Adams, Fattoria all’interno
del campo di concentramento di Manzanar,
California, 1943.
44
La ripresa di elementi a diversa distanza
Per avere immagini che suggeriscono una forte sensazione di tridimensionalità, occorre fare in modo
che siano a fuoco non solo gli elementi in primo piano, ma anche quelli posti tendenzialmente all’infinito. Questa tecnica, che fissa soggetti collocati a grande distanza l’uno dall’altro, dà spesso esiti molto
spettacolari.
45 Josef Koudelka, Praga, 1968.
La fotografia è stata scattata nel momento
in cui le truppe del Patto di Varsavia
stavano entrando nella città.
45
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
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Risorse online Analisi dell’opera
Il paesaggio in bianco e nero di Ansel Adams
In questo scatto il grandioso scenario dello Yosemite National Park è riprodotto in tutta la sua monumentalità e ricchezza tonale, grazie all’eccezionale padronanza della tecnica fotografica e al perfetto equilibrio che Adams è riuscito a conferire alla composizione.
46 Ansel Adams,
Dopo una tempesta
invernale, 1944.
46
47 Le linee orizzontali
evidenziano la composizione
dell’immagine basata sulla
«regola dei terzi».
47
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E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
LA FOTOGRAFIA
Dopo una tempesta invernale
Si tratta di un’immagine scattata nel 1944 allo Yosemite National Park (Stati Uniti), un luogo che il fotografo conosceva molto bene e frequentava dal 1919, quando aveva cominciato a lavorarvi durante l’estate come guardiano. Ansel Adams è considerato uno dei grandi maestri della fotografia naturalistica,
che realizzava unicamente in bianco e nero e quasi esclusivamente con macchine di grande formato. Queste scelte gli consentivano di usare una metodologia basata sul controllo totale dell’immagine, dal momento della progettazione a quello
dello scatto e della stampa finale. L’aspetto tecnico è indispensabile per comprendere ogni suo lavoro, perché Adams era un
grande esperto e si dedicò a sperimentazioni che gli permisero di ottenere i risultati desiderati.
1. Come sono disposti gli elementi della composizione?
Adams ha realizzato l’immagine cercando un equilibrio fra i
vari elementi della composizione: i fitti alberi che occupano la
parte inferiore dell’immagine, le montagne che si stagliano su
quella centrale e il cielo su quella superiore. Osservando la fotografia si nota che sia il punto più basso della valle, sia quello più alto del monte sulla destra, non dividono lo spazio a
metà ma in tre parti (fig. 47), in base alla «regola dei terzi»
(chiamata anche «sezione aurea»). Tale regola consiste appunto nel dividere idealmente lo spazio in tre sezioni vertica-
li od orizzontali uguali tra loro, in modo da non avere mai il
soggetto principale esattamente al centro della fotografia. Ciò
conferisce maggiore dinamismo all’insieme.
2. Com’è ottenuta la profondità dell’immagine?
Il senso di profondità è ottenuto con un accorgimento tecnico, chiudendo cioè al massimo il diaframma dell’obiettivo, in
modo da poter avere perfettamente a fuoco e ben dettagliati
sia gli elementi più vicini all’osservatore, sia quelli posti all’infinito.
3. La stampa è di grande qualità?
La bellezza dell’immagine di Adams risiede nell’eccezionalità
della stampa che lui stesso ha realizzato con lo zone system, un
metodo di sua invenzione che permette di stampare singole
porzioni di immagine ottenendo un rapporto fra luci e ombre
molto aderente alla realtà.
4. Quando è stata scattata la fotografia?
La fotografia è stata scattata alla fine della tempesta: in tal modo il vento ha scosso gli alberi, che completamente coperti di
neve non avrebbero mostrato tutti i dettagli dei rami; ha spazzato le pareti della montagna, creando un bell’effetto di rilievo fra le zone più innevate e quelle meno innevate; ha mosso
le grandi nubi che, come sua abitudine, il fotografo ha messo
in risalto inserendo un filtro giallo, arancione o rosso davanti
all’obiettivo.
Ansel Adams
Ansel Adams (1902-1984) nacque in una casa che il padre aveva costruito sulle colline in una località isolata, a ovest di San Francisco, da dove si
godeva uno straordinario panorama sulla baia. Modesto studente di scuola media, divenne un ottimo pianista e un autentico maestro della fotografia, un’arte che aveva cominciato a praticare nel 1916 da dilettante e, dieci anni dopo, da professionista. Influenzato dalla filosofia della natura di
Edward Carpenter e dalla poesia di Walt Whitman, alla fine degli anni
Venti Adams era già un profondo conoscitore della Yosemite Valley, che riprendeva con grande perizia. Nel 1932 fondò con altri cinque fotografi il
Gruppo f/64, il cui nome si riferiva alla più piccola apertura di diaframma, ossia quella che dà grande profondità di campo e massima nitidezza.
Nella sua vita Ansel Adams si distinse come fotografo e stampatore, ma fu
anche il fondatore della casa editrice Aperture e un ottimo divulgatore
della tecnica fotografica grazie ai corsi, alle lezioni e ai libri da lui scritti.
Fu inoltre direttore di due gallerie, contribuì ad aprire il dipartimento di
fotografia del Museum of Modern Art di New York e difese di fronte al
Congresso la causa dei parchi nazionali.
48 Ansel Adams, Luna e Half Dome, Yosemite Park, 1960.
48
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
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Risorse online Analisi dell’opera
Il paesaggio a colori di Luigi Ghirri
Il paesaggio di Ghirri, a prima vista semplice, a uno sguardo più attento rivela una sottile ambiguità, determinata dalla raffinata cura compositiva e dal forte contrasto cromatico tra i toni caldi dell’interno e i toni freddi dell’orizzonte.
49
49 Luigi Ghirri, Ponza, 1986. Quello
che subito colpisce delle immagini del
fotografo modenese è la sua capacità
di cogliere le atmosfere: in questo
caso è evidente il richiamo alla
dolcezza del clima mediterraneo, con
il suo paesaggio affascinante, al vicino
rumore creato dal movimento delle
onde, all’odore del mare e alla
piacevole attesa dei commensali.
50 La linea orizzontale evidenzia
il limite della veranda, che coincide
con la sezione aurea dell’immagine.
50
20
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
LA FOTOGRAFIA
Ponza
Tratta dalla serie Paesaggio italiano e realizzata nel 1986, Ponza
è un’immagine che illustra in modo efficace la visione solo apparentemente semplice di questo autore. Ghirri è stato tra i fotografi italiani che maggiormente hanno influito sulla riflessione intorno al paesaggio: era solito affermare, infatti, che
«dobbiamo imparare a guardare le cose in modo più percettivo se non vogliamo che il nostro rapporto con il mondo diventi come un viaggio in autostrada». Fotografava solo a colori
nel formato 6x7 cm, usando un linguaggio molto personale e
raffinato che lo ha reso un artista unico, ma che ha anche influito notevolmente sulle ricerche degli autori delle nuove generazioni.
1. Com’è organizzata la composizione?
L’immagine è il frutto di una grande cura compositiva: la parte superiore della veranda cade sulla sezione aurea (fig. 50),
mentre i pali di sostegno creano le cornici di tre situazioni
che, isolate, potrebbero dar luogo ad altrettante immagini
(fig. 51). Inoltre, il leggero mosso (dovuto al lungo tempo di
esposizione) conferisce al tutto un ulteriore dinamismo.
2. Quali fattori suggeriscono una divisione dell’immagine in due
parti?
Tra l’interno – la veranda del ristorante – e l’esterno – la costa
sul mare – c’è una forte differenza cromatica: l’una ha i colori
caldi delle canne delle pareti e del tetto illuminati dalle lampadine, mentre l’altra è immersa nella luce bluastra del crepuscolo. Tale differenza è però anche compositiva, perché l’interno si caratterizza per il senso di profondità sottolineato dal tavolino in primo piano, mentre l’esterno si estende in linea
orizzontale. C’è inoltre una differenza di atmosfere: intima
quella delle tre coppie sedute ai tavoli apparecchiati, che già
costituiscono, per l’osservatore, un paesaggio tipicamente italiano; quasi asettica quella dell’esterno, che sembra uno schermo posto di fronte a loro. Ghirri ha così creato un’ambiguità
visiva e, infatti, per un attimo potremmo immaginare che la
sala del ristorante sia chiusa e la marina sia solo un manifesto
o un trompe l’oeil dipinto sulla parete di fondo.
51 Le tre scene, pur facendo parte
dell’insieme, costituiscono anche
situazioni distinte, poiché i pali
di sostegno sembrano racchiuderle
come cornici.
51a
51b
51c
Luigi Ghirri
Luigi Ghirri (1943-1992) iniziò relativamente
tardi l’attività di fotografo, nel 1970, dopo aver
lavorato come geometra e come grafico a Modena.
Proprio questa formazione lo indirizzò a scelte
estetiche originali (le ricerche in rapporto con l’architettura di Aldo Rossi), in netto contrasto con gli
stereotipi culturali e visivi che inseriva in contesti
ironici. Si segnalò per alcune mostre di alto livello,
come la collettiva Viaggio in Italia, che nel 1984
fu considerata una pietra miliare della riflessione
sul paesaggio italiano. Fra i suoi lavori più significativi, Atlante (1974), Kodachrome (1979),
Paesaggio italiano e Il profilo delle nuvole
(1989). Nel 1977 fondò la casa editrice Punto e
Virgola, che nel corso di tre anni pubblicò ben dodici volumi fotografici.
52
52 Luigi Ghirri, Rimini, 1982 (Parma, Centro Studi e Archivio della Comunicazione
dell’Università di Parma).
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
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Risorse online
Abilità
saper modificare una fotografia digitale
LABORATORI
Le possibilità offerte dai programmi di manipolazione delle
immagini digitali consentono di ottenere effetti impensabili
con le tecniche fotografiche tradizionali. In realtà anche con
le tecniche tradizionali è comunque possibile avere colori insoliti grazie a particolari trattamenti chimici (fig. 1) o ad altri
tipi di intervento, ma queste operazioni richiedono una grande abilità e una conoscenza particolarmente approfondita dei
processi di sviluppo dei negativi e della stampa su carta.
Gli attuali editor (dall’inglese, «software che consentono l’elaborazione di un file») di immagini, come Corel Photo-Paint®
e Adobe Photoshop®, consentono interventi praticamente illimitati, tutti realizzabili direttamente con il computer. Tali
interventi possono avere due finalità principali: migliorare le
qualità tecniche di una fotografia restando fedeli all’immagine originaria oppure trasformarla radicalmente al fine di renderla più espressiva.
La rielaborazione può intervenire su tutti i parametri del file
o su una parte di esso: il software di ritocco permette infatti di
selezionare alcune aree della fotografia e di lavorarle separatamente. Gli interventi principali che possono essere operati
per migliorarne la qualità riguardano i colori, la regolazione
della luminosità e del contrasto, la modifica delle forme e la
sfocatura, che può essere utile per evidenziare meglio una figura rispetto allo sfondo. Inoltre è possibile cancellare un particolare o selezionarlo per copiarlo e aggiungerlo a un’altra
immagine (fig. 2).
LA RIELABORAZIONE DELLE
FOTOGRAFIE DIGITALI
vedi pp. 6-7
1
Modifica una fotografia digitale
Usando un programma di fotoritocco modifica una fotografia
digitale al fine di accentuarne l’espressività.
1 Florence Di Benedetto, Underground, 2001. La fotografia è stata ottenuta
manipolando la pellicola polaroid durante lo sviluppo.
• Dopo aver salvato sul computer l’immagine di partenza, sperimenta diversi tipi di manipolazione e registrali in modo da poterne valutare, alla fine del lavoro, gli effetti ottenuti e l’espressività
dei risultati.
2 Con i programmi di fotoritocco è possibile selezionare un particolare
dell’immagine (b), copiarlo e «incollarlo» su un’altra immagine (c).
2a
22
2b
E. Tornaghi, La forza dell’immagine e Il linguaggio dell’arte. Seconda edizione – © Loescher editore, 2010.
2c
Referenze iconografiche
p.1: Collezione Gernsheim, Austin, Texas; p.2: (c) Musée National des
Techniques, Parigi; (b) Science Museum, Londra; p.3: (ad) © Jupiterimages, 2010; (bs) Societé Française de Photographie, Parigi; (bd) Collezione Gernsheim, Austin; p.4: (c) George Eastman House, Rochester; (bs) Association des Amis de Jacques-Henri Lartigue, Parigi; p.5:
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O.Terser, 2008; (bd) Societé Française de Photographie, Parigi; p.9: (ad)
R.Termine, 2007 / www.shakespeare-festival.de; (cs) K.Nogi / Agence
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li, Milano; p.12: (cs) A.D.Korda; (cd) S.Franklin, 1989; (b) The Granger
Collection, New York; p.13: (ad) M.Ray / Schirmer / Mosel, Monaco,
1980; (bs) R.Doisneau; (bd) A.Bavari, 2000; Dior; (bs) Verba Milan /
V.Gitto / F.Guerrera / Winkler & Noah / Audi; (bd) www.checker-motors.co.jp; p.15: (c) Collezione Gernsheim, Austin; (b) Bayerisches Museum, Monaco; p.16: (cs) www.backgroundsarchive.com; (cd) P.Fusco
/ Magnum Photos; (bd) M.Cresci / Gruppo Editoriale Fabbri, 1983;
p.17: (ad) F.Fontana, 1995; (cd) A. Adams, 1943 / Library of Congress,
Washington; (bd) J.Koudelka / Magnum Photos; p.18: A.Adams, 1944;
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Torino; p.21: L.Ghirri / Centro Studi e Archivio della Comunicazione
dell'Università di Parma / Gruppo Editoriale Fabbri, 1983; p.22: (as)
F.Di Benedetto / Open Mind, 2003; (b) G.Evangelisti, 2010.
© Loescher Editore S.r.l. – 2010
Realizzazione editoriale: Vittoria Napoletano, Coming Book Studio Editoriale, Novara
Redattore responsabile: Maria Alessandra Montagnani
Ricerca iconografica: Manuela Mazzucchetti, Giorgio Evangelisti
Fotolito: Graphic Center, Torino
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