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La figura di Giuda Iscariota profili di un traditore

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La figura di Giuda Iscariota profili di un traditore
Numero
a
VIII
Athene Noctua
I nostri Saggi
La figura di Giuda Iscariota: profili di un traditore
di
Emanuela D’Eugenio
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1
Di Emanuela D’Eugenio
2
Indice:
Introduzione………………………………………………………………………….. 4
Vita e morte di Giuda………………………………………………………………… 7
Il Vangelo di Giuda………………………………….……………………………… 26
Il Giuda di Origene e Agostino …………………………………………………........35
Dalla leggenda nera al riscato…………………………………………………………51
Conclusione …………………………………………………………………………..63
Bibliografia…………………………………………………………………………...67
3
INTRODUZIONE
“Non si è più sicuri di nulla,
ma se non ne deve rimanere che uno solo, è lui: Giuda.”1
A distanza di più di venti secoli, “mentre la decristianizzazione avanza, mentre
libri male affastellati sognano non si sa quali amori morti tra Maria Maddalena e il Cristo
o Giuda”2, scrive lo studioso francese Pierre-Emmanuel Dauzat, rimane pressoché
inossidabile nella cultura occidentale un solo personaggio: Giuda Iscariota. Egli rimane
in un senso profondo, perché strettamente legato al collo dalla corda del suo tradimento,
macchiato di secolo in secolo dalla nascita di sempre nuove leggende nere, che lo hanno
visto diventare nel tempo traditore, deforme, parricida ed incestuoso. Giuda è una figura
avvolta nell’oscurità e nell’ambiguità, ma che viene continuamente illuminata da nuove
azioni immorali, orrori ma anche riscatti, in un gioco di luce ed ombra che gli è
connaturato; la sua porosità rende possibile una “profusione delle sue escrescenze
esteriori”, tanto da far scomparire il profilo reale dietro l’immagine mitica3. Se da un lato
è opportuno lasciare da parte la pretesa di tentare di storicizzare il personaggio di Giuda,
dall’altra si può risalire al “profilo biblico” dell’apostolo, con l’intento di riuscire a
ritracciarne al meglio le successive evoluzioni culturali.
Le fonti scritturistiche su cui basare il profilo originario dell’apostolo Giuda sono
solamente i vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni e gli Atti degli Apostoli; dunque
un numero ristretto di informazioni sull’uomo che tradì Gesù Cristo e si impiccò, che in
modo del tutto eccezionale ha generato leggende abissalmente distanti dal nucleo di
partenza. Egli diventa, subito dopo gli Atti, una sorta di modello mitico che verrà
declinato in maniera polimorfa e fluida, pervadendo tutta la storia culturale
dell’Occidente.
1
P.E Dauzat, Giuda. Dal Vangelo all’Olocausto, Edizioni Arkeios, Roma, 2007, p. 9.
Ibidem.
3
P.E Dauzat, Giuda. Dal Vangelo all’Olocausto, p. 12.
2
4
Da dove nasce l’interesse per Giuda e le sue infinite declinazioni? È suggestivo il
parallelismo indicato da Gustavo Zagrebelsky nel testo Giuda. Il tradimento fedele4:
Giuda, ai nostri occhi, ha le caratteristiche del protagonista delle Memorie del sottosuolo5
di Dostoevskij, l’abietto per eccellenza. L’uomo del sottosuolo è un essere umano
misero, senza risorse né protezioni, che viene relegato nel sottosuolo dalla durezza della
vita sociale; a questa situazione di pressione ed inadeguatezza reagisce vessando gli altri
e compiendo azioni turpi. Egli è “un mascalzone, il più abietto, il più ridicolo, il più
meschino, il più stupido, il più invidioso di tutti i vermi della terra”6.
L’uomo del sottosuolo è un anti-eroe che vive di contraddizioni e tensioni
spasmodiche nella sua intimità, proiettato nella sua infinita libertà ma incatenato dalla
sua incapacità di viverla. È l’uomo senza nome, senza un io definito che viene riempito e
caricato di elementi esterni; nella pluralità delle sue esperienze, viene ricondotta la
molteplicità degli individui. Egli vive in modo lacerante tutte le contraddizioni dello
spirito umano, “come se l’umanità intera fosse racchiusa in lui”7.
Giuda rimane indubbiamente l’apostolo traditore di Cristo, ma verrà fatto di lui
un compendio d’umanità che ne rappresenta tutte le sfumature, anche (e soprattutto)
quelle più nere; ed è proprio in una voragine di abiezione e meschinità che si trova il suo
profilo più diffuso e culturalmente consolidato. Forse è proprio questa oscurità che
spinge a guardare e riguardare dentro le “ragioni di Giuda”, perché in questa figura si
ritrovano tutte le ombre del cuore umano. Allo stesso tempo ci si può chiedere se
l’immagine che ne abbiamo ricevuto oggi sia omogenea ed unitaria, o se si tratti del
risultato del lungo lavorio di sedimentazione di leggende e storie. Da qui nasce
l’interesse per questo personaggio; se si indaga a fondo, si scopre che egli non ha solo la
celebre faccia del traditore; questo è solo uno dei tanti profili di Giuda, moltiplicati come
in uno specchio frammentato. In ogni singola scheggia si riflette una faccia, un volto
deformato.
4
G. Zagrebelsky, Giuda. Il tradimento fedele, Morcelliana, Brescia, 2007.
F. Dostoevskji, L’uomo del sottosuolo, Einaudi, Torino, 2014.
6
Ivi, p. 125.
7
G. Di Giacomo, Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento, Laterza, Roma-Bari,
2010, p. 176.
5
5
Di qui il bisogno di restituirne una panoramica composta di tanti elementi, mai
univoca e totalizzante. Si vedrà come la storia del personaggio biblico Giuda sia molto
scarna ed indefinita rispetto alla sua storia postuma; egli è una figura a malapena presente
nei quattro vangeli8 e negli Atti degli Apostoli9, che prenderà corpo successivamente, per
poi esplodere e propagarsi anche al di fuori dell’ambito strettamente teologico.
Giuda è anche il protagonista del Vangelo di Giuda, un testo gnostico del II
secolo d.C. riscoperto solo recentemente in cui diventa l’unico discepolo che comprende
il reale messaggio di Gesù. L’apostolo che tradisce è dunque il più intimo e agisce nella
piena consapevolezza di realizzare l’opera redentiva in conformità al volere divino.
Inevitabilmente il personaggio di Giuda, nella sua esistenza paradossale e
contraddittoria, induce anche a porsi delle questioni teologiche di fondamentale
importanza: il rapporto tra grazia divina e libertà umana, la condizione dell’uomo e la sua
tensione tra il bene e il male e in ultimo la domanda più paradossale: come può un intimo
di Gesù, uno dei dodici Apostoli essere un cuneo di tenebra nella comunità perfetta?
Questi temi di grande spessore vengono affrontati nell’analisi dei contrastanti impianti
teologici di Origene ed Agostino, che con grande impegno esegetico e sforzo speculativo
tenteranno di risolvere, ognuno a suo modo, la questione dell’enigma del male.
Oltre la riflessione prettamente teologica dello gnosticismo, di Origene ed
Agostino, la natura evanescente ed indefinita del personaggio permetterà anche lo
sviluppo e la metamorfosi di numerose leggende nere medievali, che renderanno Giuda
sempre più oscuro e malvagio. Le vite di Giuda si moltiplicheranno, riuscendo anche a
prendere una piega decisamente opposta rispetto alle demonizzazioni medievali; dal
Rinascimento in poi si riaprirà la questione di Giuda grazie ad un interesse più o meno
apologetico a seconda dei casi, aumentando il numero dei suoi profili. Egli può così
diventare l’ebreo patriottico descritto dall’inglese Thomas De Quincey e allo stesso
tempo il protagonista della teologia gnosticheggiante dell’argentino Jorge Luis Borges,
che tradisce per estrema umiltà e fedeltà al maestro, richiamando l’idea dell’apostolo
prediletto del Vangelo di Giuda.
8
9
Databili a partire da circa il 60 d.C. (Vangelo di Marco), fino al 90-100 d.C. (Vangelo di Giovanni).
Databili intorno al 80-90 d.C., assieme al Vangelo di Luca.
6
I.
VITA E MORTE DI GIUDA
“Diventino brevi i suoi giorni
e il suo ufficio lo prenda un altro”10
1. Sicario, mentitore, giudeo. Etimologie di un apostolo senza nome.
Il nome Giuda (traslitterazione dell’ebraico Jᵉhudha e poi Iúdas, in greco)
significa letteralmente lode11, e una traccia di questa etimologia si può ritrovare in Gen
29,3512. Nel testo biblico, Giuda è l’ultimo figlio di Lia e Giacobbe, dopo Ruben,
Simeone e Levi, e l’origine del suo nome è così spiegata: “[Lia] Concepì ancora e partorì
un figlio e disse: «Questa volta celebrerò il Signore». Per questo lo chiamò Giuda. Poi
cessò di partorire”13. Difatti il nome proprio Giuda era utilizzato per sottolineare la
purezza della stirpe o per augurare al nascituro l’eredità dello splendore dei tempi passati.
Giuda verrà lodato dai suoi fratelli e la sua sarà una delle più potenti tra le dodici tribù,
quella da cui, secondo la profezia di Mic 5,114, sarebbero provenuti i veri re d’Israele.
Se dunque è certa la linea di discendenza gloriosa che si identifica a partire dal
nome Giuda e la grande diffusione di questo nome nella zona della Palestina, altrettanto
non può dirsi dell’altro nome che caratterizza Giuda il traditore, l’epiteto Iscariota
(Ίσκαριώτης, Iskariotes)15. Giuda appartiene alla stessa stirpe di Gesù e di Davide ed è
l’unico giudeo tra i dodici apostoli; sembra allora che “Giuda sia nato per lodare, mentre
Iscariota […] sarebbe nato per tradire”16. Non si può essere sicuri circa il significato
esatto di questo nome che, seppur presente in tutti i testi evangelici17, rimane inspiegato
nella sua radice. Anche circa l’origine del nome, dunque, intorno al personaggio di Giuda
non fanno che addensarsi ombre indefinite e molteplici interpretazioni.
Un’ipotesi decisamente affascinante, ma non storicamente valida, sarebbe quella
secondo cui Iscariota deriverebbe dal latino sicarius. Il termine era utilizzato per indicare
i sicari, ossia quel gruppo di aggressivi rivoluzionari antiromani che furono attivi durante
10
Sal 109,8.
JHD=lodare.
12
Dizionario esegetico del nuovo testamento, c. 1736-1766 .
13
Gen 29,35.
14
“[…] da te uscirà per me colui che dovrà regnare sopra Israele”.
15
Dizionario esegetico del nuovo testamento, c. 1172-1175.
16
P.E. Dauzat, Giuda. Dal Vangelo all’Olocausto, p. 37.
17
L’epiteto Iscariota ricorre nel Nuovo Testamento undici volte, tra cui Mc 14,43; Mt 26,47; Lc 22,47; Gv
18,3. Il nome non è invece presente degli Atti degli Apostoli.
11
7
la Guerra Giudaica contro Roma del 66-74 d.C. La parola sicarius viene utilizzata anche
da Cicerone per indicare gli assassini in generale, ma assume un significato specifico
proprio in quest’epoca; i sicari colpivano sia i notabili romani, sia gli ebrei colpevoli di
collaborazionismo con le autorità, con l’obiettivo finale di scatenare la rivolta del popolo
contro gli oppressori. Secondo questa possibilità interpretativa, Giuda sarebbe stato un
componente del movimento ebraico dei sicari palestinesi, un assassino ed agitatore di
folle che aveva seguito Gesù nella speranza di una sollevazione popolare. La prima
testimonianza dell’esistenza di questo nucleo d’opposizione risale allo storico di origine
ebraica Giuseppe Flavio (37-100 d.C. circa), che narra di “una nuova forma di
banditismo, quella dei cosiddetti sicari, che commettevano assassinii in pieno giorno e
nel bel mezzo della città18”; questi operavano alla luce del sole, nascondendo sotto le
vesti dei piccoli pugnali con cui potevano uccidere senza esser visti. Queste armi
avevano forma simile alle scimitarre dei Persiani, ma avendo la lama curva risultavano
somiglianti al pugnale che i Romani chiamavano sica, spiegando dunque l’origine del
nome del gruppo. Giuda Iscariota assumerebbe dunque le sembianze di un assassino che
agisce tra la folla colpendo gli ebrei che collaboravano con le autorità romane.
Il problema fondamentale di questa interpretazione è di carattere cronologico:
Giuseppe Flavio afferma che tale movimento nacque intorno al 52 d.C., all’epoca del
procuratore Felice. Quindi pare non pare accertabile che al tempo di Gesù, e nello
specifico nel 20-30 d.C. già esistesse il movimento dei sicari; questo anche perché lo
stesso Nuovo Testamento non ne parla mai prima degli anni ’50 del primo secolo
(dunque ben dopo la morte di Gesù). Vengono infatti citati soltanto in occasione
dell’arresto di Paolo a Gerusalemme19, che dopo esser stato salvato dal linciaggio dal
tribuno Claudio Lisia e dai suoi soldati, viene scambiato per un egiziano che aveva
provocato giorni prima una sommossa popolare e condotto nel deserto “quattromila
sicari”.
Un’altra interpretazione è quella secondo cui Iscariota indicherebbe la
provenienza di Giuda, la località di Keriot20 (uomo -ish, in ebraico- di Keriot). Questa
località è però menzionata soltanto nel libro di Giosuè21 (Keriot-Chezron), e in Galilea
18
Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, 2, 254-256.
At 21,26-38.
20
In Gv 6,71 e Gv 13,26 l’epiteto “Iscariota” indicherebbe, dato il suffisso greco -otes, una origine;
significherebbe quindi Giuda di Keriot.
21
Gs 15,25.
19
8
non esiste alcuna città con quel nome. Inoltre, in Gv 6,71 e Gv 13,2 Giuda viene
chiamato “figlio di Simone Iscariota”, suggerendo che si tratti del soprannome distintivo
della famiglia. Un’altra interpretazione che tenta di rintracciare nel nome un luogo di
nascita, si ritrova nell’analisi di Girolamo (347-419/20 d.C), che nel Commento al
Vangelo di Matteo (10,4) precisa che il soprannome di Giuda è legato proprio dalla sua
città di nascita e dalla tribù di Issachar; Girolamo aggiunge che il nome della tribù
significa “salario”, richiamando l’associazione presente nel racconto di Gen 30,9-2122, in
cui Lia, che ha cessato di partorire, dà la sua schiava Zilpa in moglie a Giacobbe. Tra le
altre ipotesi si ha anche quella che vorrebbe identificare in Iscariota una derivazione
dall’aramaico šᵉqar ᵒ, šiqrai/šᵉ - qarjā’, “il mentitore”, ad indicare che la caratteristica
fondamentale in Giuda è di essere “il falso”.
Nemmeno l’origine ed il significato del nome Iscariota può essere dunque
definito con precisione. Dauzat arriva a dire, in seguito ad una breve analisi delle ipotesi
interpretative23, che ogni esegeta che si è confrontato col tema non ha mai avuto l’onestà
di invocare l’unico metodo valido in tempo di traduzioni laiche, il non possumus. Anche
dal punto di vista etimologico e delle parole, rimane solo ombra: “non possiamo tradurre
una parola che non esiste”24.
Iscariota è un nome che è inevitabilmente posto all’interno di un’equazione
insieme ai termini iniquità e tradimento. Il fantasma etimologico continua ad aleggiare
anche nel Medioevo, dove in Germania si farà derivare Iscariota da ist gar rot, “quello
che è tutto rosso”, il colore del diavolo e dell’inferno. Richiamando un’osservazione di
George Steiner, si vede come ben presto si è ricominciato a chiamare i bambini Adolf,
mentre non è affatto facile chiamarli Giuda.
22
Gen 30,18: “E Lia disse: «Dio mi ha dato il mio compenso, per aver dato la mia schiava a mio marito».
Perciò lo chiamò Issachar.”.
23
P.E Dauzat Giuda. Dal Vangelo all’Olocausto, pp.. 35-41.
24
Ivi, p. 37.
9
2. Il Giuda dei vangeli
Al di là di tutte le costruzioni mitiche successive, il personaggio di cui si sta
tendando una ricostruzione, risulta avere dei contorni indefiniti; Giuda infatti compare
solo in poche scene del Nuovo Testamento, ed è proprio a partire da queste informazioni
che bisogna indagare e tentare di procedere alla ridefinizione del suo profilo più
originario, per quanto sia possibile.
Analizzando il Nuovo Testamento, si individua che i passi degli evangelisti che
narrano la storia e l’operato di Giuda Iscariota sono ben pochi; egli infatti partecipa
soltanto all’episodio dell’olio profumato; alla denuncia ai sacerdoti; all’Ultima Cena; al
tradimento e arresto di Gesù; ed infine, chiaramente, alla sua stessa morte. L’ultimo
luogo in cui compare è negli Atti degli Apostoli, nelle primissime battute. Giuda è
presente in tutti i quattro vangeli ed è sempre collocato tra i dodici apostoli25, ma nello
svolgimento dei testi egli assume (o perde) alcune caratteristiche.
È condiviso dalle testimonianze di Matteo, Marco e Luca che egli sia tra i dodici
intimi e che sia stato scelto personalmente da Gesù, di cui condivide il messaggio e la
vita. In più, gli stessi pongono Giuda in fondo all’elenco completo degli apostoli,
annunciandone sempre il futuro tradimento. Lo stesso percorso non si ritrova nel vangelo
di Giovanni, che risulta distinguibile dai sinottici per motivazioni strutturali e
caratteristiche, e nello specifico nel modo di evidenziare alcuni aspetti peculiari che
entreranno poi nel bagaglio culturale dei profili di Giuda.
Per quanto riguarda i primi tre vangeli, è utile vedere come la forma di
esposizione della cerchia dei dodici sia molto simile:
Matteo (10, 1-4): “Chiamati a sé i dodici, diede loro il potere di scacciare gli
spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d’infermità. I nomi dei dodici
Apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di
Zebedèo e Giovanni suo fratello, Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo il
pubblicano, Giacomo di Alfeo e Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, che poi
lo tradì.”
25
Anche in At 1,17, in cui si dice che “egli era stato annoverato tra noi e ricevette la sorte di questo
ministero”.
10
Marco (3, 13-19) “Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi
andarono da lui. Ne costituì dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare
perché avessero il potere di scacciare i demòni. Costituì dunque i dodici: Simone, al
quale impose il nome di Pietro; Giacomo di Zebedèo e Giovanni fratello di Giacomo, ai
quali diede il nome di Boanèrghes, cioè figli del tuono; e Andrea, Filippo, Bartolomeo,
Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananèo e Giuda Iscariota,
quello che poi lo tradì.”
Luca (6, 12-16) “In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò
la notte in orazione. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai
quali diede il nome di Apostoli: Simone, che chiamò Pietro, Andrea suo fratello,
Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo d’Alfeo, Simone
soprannominato Zelota, Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota, che fu il traditore.”
Giuda viene citato sempre per ultimo e viene detto “il traditore”. In Giovanni non
si ritrova l’elenco completo degli apostoli, ma comunque viene più volte esplicitato che
Giuda sarebbe stato il traditore di Gesù. Questa uniformità, come accennato, non è
presente però nella narrazione dei singoli episodi a cui egli partecipa; è necessario
analizzare nel dettaglio questi passi per individuare e mettere in luce quali siano gli
aspetti propriamente evangelici della figura di Giuda e quali siano invece caratteristici
del personaggio postumo
L’episodio dell’unzione di Betania riguarda il gesto che una donna compie nei
confronti di Gesù, ungendolo con dell’olio profumato ed è presente solo nei vangeli di
Matteo, Marco e Giovanni. In Mt 26, 6-9 non viene specificato il nome della donna che
raggiunge Gesù nella casa di Simone il lebbroso a Betania, recando con sé “un vaso
d’alabastro contenente un unguento prezioso che versò sulla testa di lui”26. Anche in Mc
14, 3 la donna porta con sé “un vaso di alabastro pieno di unguento di nardo genuino,
molto costoso” che viene infranto e versato sul capo di Gesù. Alla vista di questo gesto
di devozione totale, i presenti alla scena si indignano per lo spreco di denaro, che poteva
essere impiegato per aiutare i poveri; Matteo indica che sono “tutti” i discepoli a
lamentarsi, mentre in Marco sono solo “alcuni”. La narrazione della scena manca
totalmente in Luca, e in Matteo e Marco manca l’identificazione del personaggio con
Giuda.
26
Mt 26,7.
11
Invece, nel passo Gv 12, 1-6 si dice che la donna che reca la “libbra di profumo
di nardo autentico, molto prezioso”27 è Maria di Betania, sorella di Lazzaro; questa unge
i piedi di Gesù, asciugandoli poi con i suoi capelli. Inoltre viene esplicitamente detto che
è Giuda l’apostolo indignato, aggiungendo anche un ulteriore tratto che non è presente in
nessuna descrizione dell’Iscariota. In questo episodio infatti si trova uno dei pochi luoghi
in cui Giuda viene contraddistinto per la sua cupidigia: egli protesta per lo spreco di
denaro in olio profumato “non perché gli stavano a cuore i poveri, ma perché era ladro e
avendo la borsa, sottraeva ciò che vi veniva messo dentro”28; Giovanni imputa dunque le
cause del tradimento proprio nella natura maligna e avida di Giuda.
I passi che narrano dell’unzione sono immediatamente seguiti dall’episodio che
vede Giuda recarsi da sacerdoti, pronto a tradire Gesù. Matteo e Marco sembrano
indicare una consequenzialità tra l’indignazione di uno (o tutti) gli apostoli e il recarsi di
uno di loro al tempio, esplicitamente Giuda. Questo episodio è stavolta presente anche il
Luca (Lc 22,3-5), dove l’Iscariota va a “mettersi d’accordo con i capi dei sacerdoti e i
capi della guardia sul modo di consegnare Gesù nelle loro mani”; qui l’antecedente del
tradimento non risulta essere la delusione per lo spreco dell’olio prezioso, ma l’entrata di
Satana in Giuda29. Si vedrà in seguito come questo passo, assieme alla cena di Giovanni,
sia l’unico in cui si parla dell’irruzione di Satana nell’apostolo.
In Mt 26, 14-15 si dice che “Allora, uno dei dodici, quello chiamato Giuda
Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo
consegni?» Essi gli stabilirono trenta monete d’argento.” Analogamente, riporta in modo
concorde la versione di Mc 14, 10-11 che Giuda si reca dai sacerdoti per consegnarlo
nelle loro mani, ed “essi, all’udir ciò, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro”30;
si rallegrarono perché temevano di arrestare Gesù durante la festa di celebrazione della
Pasqua e scatenare una rivolta popolare.
Si evidenzia una certa continuità nelle narrazioni dei sinottici, sebbene il dettaglio
delle trenta monete sia solo in Mt 26, 1531. Nessun evangelista specifica le precise
trattative che avvennero tra Giuda e i sacerdoti, né le motivazioni reali che spinsero
27
Gv 12,3.
Gv 12,5-6.
29
Lc 22,3.
30
Mc 14, 11.
31
L’immagine dei trenta denari è presente prima di tutto in Es 21,32, in cui si dice che tale somma è il
compenso che un padrone deve ricevere per la morte di uno schiavo.
28
12
Giuda a recarsi al tempio. In Giovanni non è presente questo episodio, dal momento che
Giuda decide di tradire Gesù soltanto durante l’Ultima cena, dopo che il Diavolo ha fatto
totale irruzione nel suo cuore.
Nei vangeli sinottici sono presenti delle versioni abbastanza concordi delle fasi
salienti dell’episodio della Cena, sia nell’istituzione dell’eucaristia che nell’annuncio
dell’imminente tradimento di uno degli intimi di Gesù. In Mt 26, 20-25 Gesù afferma che
sarà tradito dall’apostolo che ha messo con lui la mano nel piatto; e Giuda, detto
nuovamente “il traditore” si interroga dicendo: “Sono forse io, Rabbi?”32. Similmente in
Mc 14, 17-21 dice che il colpevole sarà quello “che mangia con me”33, uno che siede a
tavola tra gli altri, ma non viene fatto il nome di Giuda. Allo stesso modo, Lc 22, 21-23
non indica esplicitamente l’Iscariota e dice che la mano del traditore è sulla mensa,
assieme a quella di Gesù.
Il vangelo di Giovanni risulta differente dagli altri, poiché se da un lato narra la
vicenda in modo analogo (escludendo però l’istituzione eucaristica), dall’altro rivela
ulteriori dettagli ed interpretazioni. La peculiarità del testo giovanneo è di carattere
teologico che comporta una complicazione del racconto della cena (Gv 13, 21-30)
rispetto ai sinottici. Giuda viene esplicitamente indicato come traditore dal gesto di Gesù
di porgergli il boccone di pane intinto; l’esegesi di questo brano sarà per Origene ed
Agostino un luogo d’analisi attraverso cui esporre le rispettive, contrastanti teologie.
Nella narrazione degli eventi pasquali, la scena successiva alla Cena è quella che
si svolge nell’Orto del Getsemani. Gesù si ritira in quel luogo e prega con apprensione
d’animo nell’oscurità del monte, finché non viene raggiunto dalle truppe ed arrestato. In
Mt 26, 47-50 si avvicina a Gesù una folla munita di spade e bastoni, inviata dai sommi
sacerdoti e dagli anziani del popolo; è presente Giuda che, come da accordo con i capi,
chiama il suo maestro “Rabbi”34 e con un bacio ne permette l’identificazione e l’arresto.
Gesù risponde al gesto dicendogli: “Amico, perché sei qui?”.
Lo stesso avviene in Mc 14, 43-46, in cui Giuda si avvicina a Gesù dicendogli
“«Maestro!», e lo baciava ripetutamente” e in Lc 22, 47-48, dove Gesù aggiunge
“«Giuda, con un bacio tradisci il figlio dell’uomo?»”.
32
Mt 26,25.
Mc 14,18.
34
Mt 26,49.
33
13
In Giovanni si ritrova una scena leggermente differente. Nei versetti di Gv 18, 1-9
si vede Giuda a capo della folla armata, e non solo come accompagnatore; egli prende e
guida la “coorte e le guardie dei sacerdoti capi e dei farisei”35, ricoprendo un ruolo più
attivo nell’arresto. Qui è assente il gesto del bacio, un elemento che aveva caratterizzato
le narrazioni dei sinottici e che è presente in tutte le rappresentazioni di Giuda. Questo
aspetto ha fortemente caratterizzato il futuro di Giuda, tanto da far dire che il suo bacio è
come il morso di uno scorpione, che avvelena e uccide; anche oggi, nel linguaggio
corrente il modo di dire “bacio di Giuda” indica la colpa infamante di chi fa del male ai
propri benefattori.
Nella narrazione giovannea si vede Giuda in testa al manipolo armato, ma è Gesù
in persona ad identificarsi davanti alle guardie, senza bisogno di alcun gesto:
“Gesù, sapendo tutto ciò che stava per accadergli, si fece avanti e disse loro: «Chi
cercate?». Gli risposero: «Gesù il Nazareno». Dice loro: «Io sono». Stava con
loro anche Giuda che lo tradiva. Quando ebbe detto loro: «Io sono»,
indietreggiarono e caddero a terra. Domandò allora di nuovo: «Chi cercate?». Essi
dissero: «Gesù il Nazareno». Gesù rispose: «Ve l’ho detto che sono io. Se dunque
cercate me, lasciate andare via costoro»”36.
Si vedrà in seguito come anche il Gesù rappresentato nel Vangelo di Giovanni sia
un personaggio decisamente attivo, in questo episodio come in quello dell’ultima cena.
3. La fine del traditore: Vangeli e Atti degli Apostoli
Dopo l’arresto di Gesù sul Monte degli Ulivi, la morte per impiccagione è
l’ultima scena in cui appare Giuda. Ma, in modo del tutto straordinario, è fatta menzione
della sua scelta suicida solo in Mt 27, 3-5:
“Quando Giuda il traditore seppe che egli era stato condannato, preso da rimorso,
riportò ai sommi sacerdoti e agli anziani le trenta monete d’argento e disse: «Ho
peccato tradendo sangue d’innocente!» […] Egli, gettate le monete d’argento nel
tempio, si allontanò e andò a impiccarsi.”
35
36
Gv 18,3.
Gv 18,4-8.
14
Giovanni invece tace del tutto il racconto della morte, e in Mc 14,21 si lascia solo
supporre una fine tragica di Giuda dove si dice “Guai, però, a quell’uomo dal quale il
Figlio dell’uomo è tradito! Sarebbe meglio per lui che quell’uomo non fosse mai nato”.
Solo in Matteo dunque si dice di Giuda che è afflitto da reale pentimento per
l’accaduto e tale preoccupazione si rende evidente nel tentativo di restituire i denari;
preso dal rimorso, si reca dai sacerdoti e ammette di aver peccato tradendo sangue di
innocente37. Usando una formula che in ebraico indica una pubblica confessione
necessaria per ottenere il perdono, Giuda evidenzia ed ammette la sua colpa, definendo
Gesù innocente; l’idea secondo cui l’apostolo non è realmente pentito per il tradimento
(o perlomeno non esplicitamente) deriva essenzialmente dalla tradizione successiva agli
Atti degli Apostoli. I sacerdoti gli rifiutano però ogni perdono, respingendolo e
liberandosi da ogni responsabilità dicendo: “Che c’importa? Te la vedrai tu!”38.
La scena della disperazione di Giuda è condensata nel dipinto di Rembrandt
Giuda rende i trenta denari (qui, p. 14). L’opera rappresenta Giuda nel momento della
restituzione del denaro, in ginocchio nel tempio. La scena è quasi teatrale e l’attenzione è
inevitabilmente catturata dalle monete al centro del quadro: lo scintillio dell’argento è la
luce profana del denaro che abbaglia e offusca. Giuda è ritratto nel momento di massima
disperazione, con le mani intrecciate e contorte nel dolore, in un commovente moto di
follia che ne deturpa i lineamenti. I sommi sacerdoti, in risposta a tale contrizione,
volgono lo sguardo altrove allungando le mani per evitare di vedere la deformità sul
volto di Giuda. Nei passi successivi di Mt 27, 6-10 vengono riportati i ragionamenti dei
sacerdoti circa il destino delle monete lasciate poco prima nel tempio da Giuda:
“I capi dei sacerdoti, prese le monete d’argento, dissero: «Non si possono mettere
nella cassa delle offerte, poiché è prezzo di sangue». Quindi decisero in consiglio
di comprare con quel denaro il campo del vasaio, destinandolo alla sepoltura degli
stranieri. Per questo quel campo si chiama fino ad oggi Campo del sangue. Allora
si adempì quando fu annunciato dal profeta Geremia che dice: Presero i trenta
pezzi d’argento, il prezzo di colui che è stato venduto secondo il volere stabilito
dai figli d’Israele, e li versarono per il campo del vasaio, come mi ordinò il
Signore.”
37
L’immagine del sangue innocente tradito a cui ci si rifà in questo passo è in Dt 27,25: “Maledetto chi
accetta un regalo per condannare a morte sangue innocente”.
38
Mt 27,4.
15
Matteo dice che si tratta della profezia di Geremia, e in effetti è in Gr 32, 6-939
che si parla dell’acquisto di un campo; ma la citazione, per l’altra sua metà, è
riconducibile a Zc 11,12-1340, in cui si trova il gesto di gettare le trenta monete d’argento
al vasaio.
L’immagine del campo, stavolta come luogo della morte di Giuda, si ritrova negli
Atti degli Apostoli (At 1, 15-18). Pietro è in piedi in mezzo ad un gran numero di fratelli,
ed annuncia la sostituzione di Giuda con un nuovo apostolo:
“Fratelli, era necessario che si adempisse la parola della Scrittura, predetta dallo
Spirito Santo per bocca di Davide, riguardo a Giuda, il quale si fece guida di
coloro che catturarono Gesù, dal momento che egli era stato annoverato tra noi e
ricevette la sorte di questo ministero. Costui dunque si comprò un campo con il
prezzo dell’ingiustizia, e precipitando si spaccò in mezzo e si sparsero le sue
viscere.”
È dunque Pietro che racconta la fine di Giuda alle persone riunite; egli dice subito
dopo, in At 1,19-20 che quel campo acquistato col denaro prezzo dell’ingiustizia venne
chiamato “Campo del sangue” (in dialetto Akeldamà), aggiungendo che tale terreno è poi
diventato deserto (“Divenga la dimora di lui deserta, e non vi sia chi abiti in essa”41) , in
accordo con la profezia di Sal 69,26.42 L’elemento aggiuntivo che si trova per la prima
volta negli Atti è una descrizione differente del momento della morte; come visto in
precedenza, solo Matteo dice che Giuda si è impiccato, in preda al rimorso. In At 1, 18 si
dice invece che Giuda è morto per una rovinosa caduta e l’esplosione del ventre.
Il Nuovo Testamento riporta solo queste informazioni sulla morte di Giuda, ma
operando un confronto tra queste testimonianze, quelle non evangeliche e quelle
veterotestamentarie si possono rintracciare alcuni punti di continuità. Nello specifico,
alcuni dei tratti che verranno poi condensati nei profili postumi di Giuda sono
rintracciabili anche in altri passi biblici che in qualche modo annunciano le azioni e la
morte dell’apostolo traditore.
39
“Io compresi che questa era la parola del Signore. Allora comprai il campo da Canamèl, figlio di mio zio,
che è in Anatòt e gli pesai il denaro: diciassette sicli d’argento” (Gr 32,8)
40
“Io dissi loro: «Se vi par giusto, datemi il mio salario; se no, lasciate stare!». Essi mi pesarono il mio
salario: trenta sicli d’argento. Il Signore mi disse: «Getta al vasaio il prezzo magnifico con cui sono stato
stimato da loro!». Allora presi i trenta pezzi d’argento e li gettai nella casa del Signore, al vasaio.”
41
At 1,20.
42
“Diventi un deserto il loro accampamento, non si trovi alcuno che abiti nelle loro tende”.
16
Rembrandt, Giuda rende i trenta denari
(1692)
Collezione privata
17
3.1 Le radici della morte di Giuda: Achitofel e Antioco Epifane
“Giuda è tanto più credibile
in quanto non manca di predecessori.
A forza di essere stato annunciato,
alla fine non poteva che esistere davvero.”43
Nell’Antico Testamento è presente la figura di Achitofel, un personaggio che
risulta vicino per alcuni aspetti al Giuda raccontato da Matteo. In 2Sam 16 si legge la
storia di come Achitofel, uno dei consiglieri fidati del re Davide, tradisca il suo padrone
passando dalla parte del figlio rivoltoso del re, Assalonne. Al tradimento segue la disfatta
militare di Assalonne stesso, e il consigliere si rende conto del suo errore:
“Achitofel, quando vide che il suo consiglio non era stato eseguito, sellò l’asino,
partì e andò a casa sua nella sua città; dette disposizioni per la sua casa e
s’impiccò: morì e fu sepolto nella tomba del padre”44
Achitofel e Giuda fanno allora la stessa tragica fine: davanti alla consapevolezza
del loro errore, si ritirano in solitudine e pongono fine alla loro vita, impiccandosi. È
stato piuttosto facile per gli interpreti cucire addosso a Giuda la veste dell’infame
traditore, se si considera anche che in Sal 41,10 si leggono le parole di Davide, che parla
con durezza dell’amico intimo che mangiava con lui lo stesso pane e che ha alzato il
calcagno contro di lui. Il calcagno di Achitofel è lo stesso calcagno di Giuda che viene
citato in Gv 13,17. “Il calcagno del fellone”45 è quello che si oppone alla purezza della
buona novella, perché il piede del traditore è fatto per calpestare la verità, non per essere
puro. Altri due passi di Sal 109 rafforzano il legame tra Giuda e Achitofel; è sempre
Davide che parla, pronunciando un’invocazione contro gli empi, contro coloro che hanno
appunto “spalancato bocca di empietà e di menzogna”, che lo hanno ricoperto di odio ed
“assalito senza ragione”46 ricambiando il suo amore col delitto, l’accusa e l’infamia.
43
P.E. Dauzat, Giuda. Dal Vangelo all’Olocausto, p. 33.
2Sam 17,23.
45
P.E. Dauzat, Giuda. Dal Vangelo all’Olocausto, p. 47.
46
Sal 109,2-3.
44
18
Sembra proprio che a livello veterotestamentario, l’idea di Giuda “preceda quindi la sua
esistenza sotto forma di profezia del tradimento”47.
Tutti e due si impiccano, morendo soli e maledetti. L’impiccagione sarà
soprattutto nell’immaginario romano una morte orribile ed infelice; questo perché gli
impiccati, morendo sospesi in aria (suspendiosi), non potevano esalare l’ultimo respiro a
contatto con la terra e ricongiungersi ad essa. Il destino delle loro anime era quello di
infestare l’aria nei pressi degli alberi da cui si erano impiccati, e la loro scelta di morte
era così esecrabile che ad essi venivano finanche vietati gli onori funebri, nonostante per
la legislazione romana il suicidio fosse in linea di massima legittimo48. L’arbor infelix49
sarebbe allora quell’albero sterile, che può al massimo dare frutti marcescenti ed essere il
supporto per il suicidio dei maledetti, come Giuda e Achitofel.
Le radici della morte di Giuda narrata in At 1,18 si possono ritrovare in un altro
passo nell’Antico Testamento, nel secondo libro dei Maccabei (2Mac 9,7-10). Questa
particolare e dettagliata descrizione sarà la materia fondamentale di una descrizione
successiva non evangelica, quella di Papia di Hierapolis.
Il passo veterotestamentario in questione narra della morte del sovrano seleucide
Antioco IV Epifane, il re che aveva intenzione di fare di Gerusalemme “il cimitero dei
Giudei” marciando sulla città con le sue truppe. Egli viene allora punito dal Dio d’Israele
per la sua malvagità e superbia con una piaga incurabile ed invisibile, che gli causa “un
atroce dolore di viscere con crudeli tormenti di ventre”50. Al culmine del dolore, Antioco
non desiste dalla sua ferocia ed ordina di continuare la corsa, acceso d’ira contro i
Giudei:
“Gli capitò perciò di cadere dal carro trascinato con impeto e di rovinarsi tutte le
membra del corpo, contuse nella violenta caduta. Colui che fino ad allora aveva
creduto, nella sua arroganza, di comandare ai flutti del mare e s’immaginava di
pesare sulla bilancia le cime dei monti, stramazzato a terra veniva ora portato ora
in lettiga, dimostrando chiaramente a tutti la potenza di Dio. Dal corpo di
quell’empio infatti pullulavano vermi, e ancora vivo, le carni gli si staccavano tra
47
P.E. Dauzat, Giuda. Dal Vangelo all’Olocausto, p. 29.
Il suicidio diventa un atto illecito nel diritto canonico, poiché la vita viene considerata un bene
indisponibile per l’uomo, dono dell’amore assoluto di Dio.
49
E. Cantarella, I supplizi capitali, “Il supplizio all’albero infelice”, Milano, Bur, 2005, pp. 143-170.
50
2Mac 9,5.
48
19
spasimi e dolori, mentre a causa della putredine, l’intero esercito era oppresso
dal suo fetore. Sicché colui che poco prima credeva di toccare gli astri del cielo,
ora nessuno poteva sopportarlo a causa della pesantezza insopportabile del
fetore.”51
La descrizione dell’orribile sofferenza di Antioco è riconducibile al genere
letterario della morte dei persecutori, tra cui il De mortibus persecutorum di Lattanzio; in
quest’opera vengono raccontate le morti tragiche ed ingloriose dei persecutori dei
cristiani allo scopo di dimostrare la grandezza di Dio nell’infliggere giusti castighi agli
empi, vendicandosi dei nemici nel suo nome. Giuda e Antioco sono entrambi persecutori,
il primo di Gesù ed il secondo del popolo ebraico, e sono perciò degni di una morte
cruenta.
3.2 Papia di Hierapolis. Le carni fetide di Giuda
Si può trovare un parallelismo tra la morte di Antioco e quella di Giuda in un
frammento del vescovo Papia di Hierapolis (60/70-120/160 d.C.); il confronto è puntuale,
ed evidenzia una certa attenzione al particolare macabro. Nel processo di “creazione del
mito di Giuda” l’attenzione si è quasi inevitabilmente focalizzata su quegli elementi che
potevano essere estremizzati, quegli aspetti oscuri che sono stati iperbolizzati e resi
cruenti. L’archetipo del Giuda che è stato tramandato si è costruito piuttosto
velocemente, rendendosi presto autonomo dalle testimonianze evangeliche; Giuda non è
più soltanto l’apostolo che ha alzato il calcagno contro il maestro, ma inizia a diventare
un esempio di bassezza umana, meritando una morte orribile.
La testimonianza di Papia che narra della morte di Giuda è databile intorno al
110-120 d.C.52 ed era originariamente contenuta nell’opera in cinque libri Esposizione
degli oracoli del Signore53, oggi perduta. Tuttavia ne sono stati conservati alcuni
frammenti nelle opere di altri autori, tra cui Ireneo di Lione, Eusebio di Cesarea e
51
2Mac 9,7-10.
Le datazioni di nascita e morte dell’autore e di stesura dell’opera risultano incerte.
53
Papia di Hierapolis, Esposizione degli oracoli del signore, cur. Enrico Norelli, Ed. Paoline, Milano,
2005.
52
20
Apollinare di Laodicea54; nei frammenti pervenuti55 si trovano informazioni sugli
evangelisti e sulle redazioni dei loro testi, nello specifico Marco e Matteo.
Papia fu vescovo della comunità cristiana di Hierapolis, in Frigia e la sua opera
aveva lo scopo di raccogliere i detti di Gesù e di proporne al contempo un’esegesi, con
l’obiettivo di fornire una nuova presentazione della tradizione, e non un semplice
commento56. Questo perché le testimonianze che circolavano negli anni successivi alla
morte di Gesù (in larga parte orali57) erano state generate ed elaborate in gruppi anche
molto diversi tra loro, e Papia sentiva l’esigenza di ripercorrere una catena di maestri e
allievi fedele al messaggio originario: dai discepoli dei presbiteri, ai presbiteri, fino a
Gesù in persona.
Il frammento58 di Papia che ha come protagonista Giuda è riportato da Apollinare
di Laodicea, il quale evidenzia da subito l’intenzione di accordare l’impiccagione e lo
spargimento delle viscere (Mt 27,5 e At 1,18), restituendo l’immagine di un’unica morte
articolata in due fasi:
“Bisogna sapere di Giuda che non morì al capestro, ma sopravvisse, liberato dal
laccio prima di soffocare. Questo appunto mostrano gli Atti degli apostoli, che
cadendo a testa in giù si squarciò nel mezzo, e si sparsero tutte le sue viscere.”
Segue la citazione diretta del testo di Papia, che secondo Apollinare sarebbe una
spiegazione di At 1,18, ma che in realtà rappresenta una terza versione della morte, già
lontana dal testo evangelico:
“È quanto narra più chiaramente Papia, il discepolo di Giovanni59, dicendo così
nel quarto libro della spiegazione dei detti del Signore: «Grande esempio
d’empietà fu in questo mondo Giuda, le cui carni gonfiarono talmente, che, per
dove sarebbe facilmente passato un carro, non avrebbe potuto passare lui, anzi
54
Ireneo lo cita nell’opera Adversus Haereses (V, 33, 3-4). Inoltre sia Ireneo che Eusebio attribuiscono a
Papia dottrine di stampo millenaristico.
55
Nella raccolta curata da Norelli ne vengono riportati ventisei.
56
Papia di Hierapolis, Esposizione degli oracoli del signore, p. 95.
57
Papia considera le fonti orali ben più attendibili rispetto a quelle scritte; difatti tenta di fondare la sua
opera sull’autorità dei presbiteri, che è tradizione orale. Cfr. Papia di Hierapolis, Esposizione degli oracoli
del signore, pp. 139-153: “Papia nel processo di formazione del Cristianesimo”.
58
Il testo del frammento è tratto da una ricostruzione effettuata a partire da catene esegetiche, una sugli
Atti degli apostoli e l’altra sul Vangelo di Matteo.
59
Il Giovanni maestro di Papia non sarebbe il Giovanni evangelista, ma l’identità dei due sarà tramandata
come dato un storico acquisito già da Ireneo.
21
neppure la sola stessa mole del suo capo. Si dice infatti che anche le palpebre dei
suoi occhi si erano tanto gonfiate, che egli non vedeva più assolutamente la luce
(a), e che non si potevano vedere i suoi occhi neppure con l’aiuto di una sonda da
medico; tanto si erano infossati lontano dalla superficie esterna visibile. I suoi
genitali (b), apparivano ingrossati e più ripugnanti d’ogni deformità e da essi
uscivano umori putridi e vermi che da tutto il corpo affluivano, per ludibrio,
insieme agli escrementi (c). E una volta che fu morto, dopo molti tormenti e
supplizi, su di un terreno (d) che – dicono – gli apparteneva, appunto questo
terreno è rimasto sinora deserto e disabitato a causa del puzzo ed anche oggi
nessuno può nemmeno passare da quel luogo senza turarsi il naso con le mani.
Tanto fu grande lo scolo che dalle sue carni penetrò nella terra” 60
Il primo elemento importante è il rapporto tra gli occhi e la luce (a); Giuda
sarebbe ormai nelle tenebre, e i suoi occhi sono così gonfi e ciechi da non permettergli in
alcun modo di vedere la luce. È evidente l’eco del dualismo giovanneo tra tenebra
demoniaca e luce divina, che in Giuda si radicalizza nell’impossibilità fisica di ricevere
la luminosa potenza eccedente di Dio; un’immagine simile sarà recuperata da Agostino
nelle Confessioni, che oppresso a causa della ferita della superbia, dice di se stesso: “Ero
lontano da te; avevo il viso troppo gonfio, tanto che mi si chiudevano gli occhi.”61
Un altro punto su cui focalizzare l’attenzione è quello dei genitali (b), elemento
aggiuntivo rispetto al passo sulla morte di Antioco, in cui erano le carni tutte ad essere
putride. I genitali iniziano ad essere enfatizzati come elementi di ripugnanza in Giuda,
tanto che ogni parte del suo corpo testimonia l’orrore che ha compiuto, e così anche il
suo sesso. Ne è un esempio la raffigurazione pittorica nell’Altare di Herrenberg (1519)
del tedesco Jörg Ratgeb (qui, p. 22), in cui Giuda è rappresentato in piedi al lato della
mensa, nell’atto di ricevere il boccone da Gesù e nella sua posa scomposta lascia
intravedere il membro in erezione. L’attenzione sul particolare scabroso ha lo scopo di
incrementare l’oscenità che caratterizza Giuda, interessando anche l’ambito della
perversione sessuale; per quanto riguarda questo aspetto, si contano numerose
60
Apollinare di Laodicea, Frammento su Mt 27,5, ricostruito a partire da catene esegetiche (una sugli Atti
degli apostoli e l’altra sul Vangelo di Matteo), in Papia di Hierapolis, Esposizione degli oracoli del signore,
p. 337.
61
Agostino, Confessioni, Edizioni Paoline, Milano, 2006, libro VII, cap. 7.
22
interpretazioni letterarie moderne e contemporanee che fanno leva sull’infedeltà di Giuda
al precetto del celibato, sull’ermafroditismo e sulla sua natura femminile o transessuale.62
Tornando al testo di Papia, si ravvisano inoltre delle affinità con la versione di At
1,18 per quanto riguarda gli elementi delle viscere/escrementi che si spargono (c) e del
terreno destinato a rimanere deserto (d); tale somiglianza non autorizza però a supporre
l’intento di conciliare le due versioni della morte, né la lettura diretta da parte di Papia
del racconto neotestamentario di Luca (dal momento che egli non lo cita tra le sue fonti).
Si tratterebbe di elementi ricevuti dalla tradizione orale, e secondo l’analisi di Norelli
sarebbero due “sviluppi narrativi differenti a partire da un nucleo comune”63.
Essendo probabilmente due testi indipendenti, il riferimento all’immagine del
campo sarebbe da rintracciare nel passo veterotestamentario di Sal 69,26 (“Il loro
accampamento sia desolato, senza abitanti la loro tenda”); un ulteriore legame con
l’Antico Testamento è in Sal 109,18 (“Si è vestito della maledizione come di un manto,
come acqua è penetrata nel suo interno, come olio nelle sue ossa”); quest’ultimo contatto
è stato definito da Dauzat l’origine dell’interpretazione della morte di Giuda per
idropisia64, riuscendo anche a giustificare in altra maniera il rigonfiamento delle
palpebre.
Come segnalato in precedenza, gli elementi narrativi che compongono il passo di
Papia sono riconducibili al genere letterario tradizionale della morte dei persecutori; le
carni smembrate e putride di Antioco IV Epifane sono le carni fetide del Giuda papiano.
Il tormento che l’empio traditore deve subire è immondo ed infettivo, tanto da riempirne
il corpo e i genitali di vermi, secondo un’immagine frequente dei vermi divoratori e della
marcescenza delle carni come punizione dei malvagi nel giorno del giudizio finale.65 Il
testo di Papia pone al centro della scena Giuda e il suo rivoltante corpo, risultando
dunque una narrazione che assume i caratteri della leggenda personale: egli diventa il più
“grande esempio di empietà di questo mondo”.
62
P.E. Dauzat, Giuda. Dal Vangelo all’Olocausto, “Il sesso di Giuda”, p. 49-53.
Papia di Hierapolis, Esposizione degli oracoli del signore, pp. 345-346.
64
P.E. Dauzat, Giuda. Dal Vangelo all’Olocausto, p. 33.
65
Sir 7,17: “Umìliati profondamente, perché castigo dell’empio sono fuoco e vermi”; e anche Zc 14,12:
“Questa sarà la piaga con cui il Signore colpirà tutti i popoli che avranno mosso guerra a Gerusalemme:
imputridiranno le loro carni mentre saranno ancora in piedi; i loro occhi marciranno nelle orbite, e la
lingua marcirà loro in bocca”.
63
23
Giovanni Canavesio, Giudizio Universale, dettaglio di Giuda impiccato ed eviscerato
(XV secolo)
La Brigue, Abbazia di Notre Dame des Fontaines
Giotto, Giudizio Universale, dettaglio di Giuda impiccato ed eviscerato
(1306)
Padova, Cappella degli Scrovegni
24
Jörg Ratgeb, L’ultima cena66, tavola esterna sinistra dell’Altare di Herrenberg
(1519-1521)
Stoccarda, Staatsgalerie
66
Nella raffigurazione si vede Giuda in abiti gialli sul lato destro della mensa nell’atto di ricevere il pane
da Gesù (Gv 13,26-27); una mosca vola nella sua bocca, simbolo di Satana che entra in lui dopo il boccone
di pane e nella posa scomposta rovescia coi piedi una brocca ed una sedia. Inoltre è l’unico apostolo che
indossa dei sandali, in disaccordo con il precetto di Gesù in Mt 10,10 di non indossare calzature. È
interessante notare come si intravedano fra le vesti di Giuda il dettaglio del membro in erezione, segno
della sua oscenità morale e delle carte da gioco nelle tasche, ad indicare la sua tendenza allo sperpero di
denaro.
25
II.
IL VANGELO DI GIUDA
“Gesù disse loro: «Come mi conoscete?
In verità vi dico, non una generazione di quanti sono tra voi
mi conoscerà».”67
«[Gli gnostici Cainiti] dicono che Giuda aveva una conoscenza accurata di tutto
questo, che fu l’unico tra tutti i discepoli ad avere la conoscenza della verità, e
che compì perciò il mistero del tradimento […]. Essi presentano un’opera
costruita in questo senso cui danno il nome di Vangelo di Giuda»68
Questa testimonianza di Ireneo, tratta dall’opera Adversus Haereses e databile
intorno al 180 d.C., è stata ufficialmente fino al 2006 l’unica testimonianza dell’esistenza
di un vangelo che narrasse la vicenda di Giuda, probabilmente da un’altra, nuova
prospettiva. Dunque si tratterebbe di un testo prodotto in seno ad una setta gnostica, i
Cainiti, che vedeva in Giuda l’apostolo prediletto di Gesù, uno spirituale che al pari del
suo maestro doveva agire in una certa direzione per attivare un piano redentivo.
Queste stringate informazioni sono state confermate dopo il ritrovamento e la
travagliata pubblicazione di questo testo. Dunque, oltre l’indicazione di Ireneo, esisteva
realmente un Vangelo di Giuda, e difatti fu ritrovato insieme ad altri testi da un gruppo di
contadini nella località di El Minya, nel 1978. Dopo la scoperta, il papiro è stato per
decenni oggetto di numerose azioni di compravendita illegali, vittima di spostamenti e
tentativi di conservazione fallimentari fino al 2001, anno in cui venne in possesso della
mercante Frieda Nussberger Tchacos. Il testo completo, chiamato Codex Tchacos dal
nome della donna, fu affidato all’edizione degli studiosi Rodolphe Kasser e Gregor
Wurst e comprende, oltre al Vangelo di Giuda, anche altre opere dal contenuto
sostanzialmente già noto dai ritrovamenti di Nag Hammadi del 1945. Il Vangelo di Giuda
è il terzo trattato del codice ed è il più lungo in esso contenuto, componendosi di ventisei
pagine (33-58).
67
68
Vangelo di Giuda, 34, 14-17.
Ireneo di Lione, Adversus haereses, I,31, 1.
26
La mossa commerciale che ha accompagnato l’edizione di questo prezioso testo è
frutto di un sensazionalismo mirato a rendere questo testo una possibile chiave per una
totale rivoluzione del cristianesimo. Si è addirittura detto che in esso è contenuta “una
visione di Dio, del mondo, di Cristo e della salvezza, dell’esistenza umana – per non dire
di Giuda stesso – del tutto diversa da quella che fu incorporata nei credo e nei canoni
cristiani. Aprirà nuove vedute per comprendere Gesù e il movimento religioso che egli
fondò” o ancora che “offrirà un nuovo modo completamente diverso di comprendere il
messaggio di Gesù Cristo”69; il Vangelo di Giuda non è nulla di tutto ciò, ma rappresenta
un testo che si inserisce in un ben preciso ambito culturale, teologico e filosofico,
raccontando di Giuda un profilo così particolare, da risultare tutta un’altra storia,
rispondente in ogni sua parte ad esigenze e strutture teologiche peculiari.
1. Un vangelo gnostico perduto
Il contesto teologico di riferimento è, come detto, quello dello gnosticismo, la più
importante eresia della Chiesa cristiana antica che identifica un ben preciso fenomeno
storico che non risulta databile prima del 120-130 d.C. e che raggiunge il suo apice tra il
II ed il III secolo d.C. Il testo di Ireneo in cui viene citato il Vangelo di Giuda è di
fondamentale importanza per la ricostruzione dei tratti e delle caratteristiche del
movimento gnostico, tant’è che una parte decisiva dell’Adversus Haereses è dedicata
proprio alla confutazione dello gnosticismo; allo stesso modo anche le opere di Clemente
di Alessandria (gli Stromata e gli Excerpta ex Theodoto) ed Origene (Commento al
Vangelo di Giovanni, che contiene dei frammenti di testi dello gnostico Eracleone)
rappresentano degli strumenti ineliminabili per delineare il profilo dello gnosticismo70.
Questo anche perché fino agli inizi del XX secolo, le opere degli eresiologi cattolici
costituivano l’unica fonte informativa su questo movimento, ed è chiaro che si trattasse
di informazioni decisamente viziate. La scoperta archeologica di Nag Hammadi del 1945
fu di straordinaria importanza per gli studi sullo gnosticismo, perché i testi scoperti erano
principalmente opere gnostiche in copto, raccolte e rilegate intorno alla metà del IV
69
Bart D. Ehrman, Il Vangelo di Giuda, National Geographic Society, White Star, 2006, pp. 76-78.
Anche se è un autore più tardo che scrive in periodo dove lo gnosticismo non è più pericoloso, anche
Agostino può essere considerato un punto di riferimento in questo senso. Egli scrive contro il
manicheismo, religione di carattere dualistico che per certi aspetti eredita tematiche anche della tradizione
gnostica; in ogni caso si tratta di un dualismo, che viene rifiutato definitivamente con Agostino.
70
27
secolo; divennero così disponibili, negli anni ‘70 una serie inedita di testi non mediati
dalle fonti eresiologiche.
Lo gnosticismo risulta essere quel complesso movimento eretico interno al
Cristianesimo, composto di diverse correnti (le cui due principali sono i valentiniani e i
barbelognostici o sethiani) e fondato sul concetto di gnosis ovvero di conoscenza e di
pretesa di cogliere il cuore veritativo della rivelazione cristiana. La gnosis è la
conoscenza di misteri salvifici riservati ad un numero ristretto di eletti, i perfetti e
spirituali, consustanziali al divino e per questo capaci di vedere gli abissi di Dio. Per
comprenderne meglio le caratteristiche, la dottrina gnostica può essere ricondotta ad
alcuni elementi teologici essenziali.
Il primo elemento è che lo gnosticismo è un sistema teologico dualistico, che
prevede una divisione netta tra un Dio superiore, buono e perfetto padre di Cristo ed un
secondo Dio creatore, datore della Legge ed identificabile con il Dio dell’Antico
Testamento. Il secondo aspetto è che gran parte delle forme di gnosticismo fanno
dipendere l’origine del secondo Dio, detto Demiurgo, da un peccato infradivino, che
causa una caduta dalla pienezza pleromatica; la frattura da cui scaturisce l’alterità è
inserita dunque nel movimento generativo del Dio buono e perfetto, e nella maggior parte
dei sistemi gnostici il personaggio che ipostatizza la caduta è identificato in Sophia, la
sapienza. Sophia è madre del Dio demiurgico, prodotto abortivo del suo peccato, che
ritiene superbamente di essere l’unico Dio esistente e che governa il mondo materiale,
luogo di errore e peccato. Un terzo elemento fondamentale è che nel movimento di
caduta dalla pienezza, si ha l’alienazione di una parte del divino, che si disperde sotto
forma di seme divino, pneuma. Un altro aspetto, collegato alla caduta del seme, è la
rigida divisione in tre nature degli esseri creati: si hanno da un lato gli pneumatici (o
spirituali), che rappresentano l’elite gnostica figlia della scintilla divina decaduta, che
attraverso un itinerario di riconversione e liberazione dal corpo demiurgico in cui sono
intrappolati si ricongiungeranno al pleroma; dall’altro gli psichici, che sono identificati
con cristiani ed ebrei (imperfetti esseri demiurgici) e gli ilici (o materiali), i pagani di
natura inferiore. L’itinerario dello gnostico si concluderà con la riunificazione con il
primo Dio trascendente, che invia con uno scopo ben preciso il Cristo sulla terra: egli
deve recuperare i frammenti di spirito divino con la rivelazione, in vista di una
prospettiva escatologica di salvezza e liberazione dal mondo materiale. Il dominio del
demiurgo è alienato dalla dimensione trascendente, ed è originato dell’errore primordiale
28
di Sophia: sulla terra dominata dagli arconti tutto è ombra della verità teologica eterna,
che è accessibile solo ed esclusivamente agli gnostici spirituali. Anche gli eventi
rivelativi della vicenda terrena di Cristo sono dunque specchio di eventi precosmici71.
Al di là delle diverse declinazioni interne dell’impianto teologico, è importante
sottolineare come lo gnosticismo si nutra di una rappresentazione dilatata e paradossale
dell’affermazione giovannea secondo cui Gesù è il Logos preesistente presso Dio, quindi
unigenito figlio di Dio, dando vita ad una dottrina filosofica dell’elezione basata sulla
distinzione in nature.
La dottrina gnostica rappresenta un punto di raccordo tra cristianesimo e filosofia,
nascendo dalla ontologizzazione delle categorie della rivelazione e proponendo una
rilettura delle esperienze storico-rivelative come categorie dell’essere; l’eresia gnostica
rappresenta storicamente il fenomeno di contaminazione tra il platonismo e la rivelazione
cristiana, comportando il rischio di una de-storicizzazione e disprezzo della realtà
materiale dell’uomo e delle vicende di Gesù, che invece sono centrali nel cristianesimo.
Questo movimento inoltre non potrebbe esistere senza i vangeli canonici e soprattutto
quello di Giovanni; lo stesso vale nello specifico per il Vangelo di Giuda, che oltre a
fornire delle specifiche informazioni inedite, trae diverse scene dalle narrazioni dei
quattro vangeli.
2. Giuda, lo gnostico perfetto
Il Vangelo di Giuda rivela come l’apostolo peccatore sia in realtà l’unico
discepolo che conosce e comprende davvero Gesù. L’incipit indica che il contenuto sarà
la trattazione della spiegazione segreta che Gesù rivelò a Giuda conversando con lui per
una settimana, poco prima di celebrare la Pasqua, e narra presumibilmente (date le grandi
lacune del testo) gli ultimi tre o quattro giorni della vita di Gesù. Dopo l’incipit, si ha un
breve quadro del ministero terreno dello gnostico Gesù72:
71
Il battesimo, ad esempio, risulta essere l’evento (già definito in dimensione precosmica) più importante
in assoluto, anche più della passione: è essenziale infatti la discesa del divino sulla terra nel corpo mortale
di Gesù, che permetterà con la sua rivelazione la salvezza degli spirituali.
72
Vangelo di Giuda, 33, 6-21.
29
“Quando egli apparve in terra, compì miracoli e grandi meraviglie per la salvezza
dell’umanità. E poiché alcuni camminavano sulla via della rettezza mentre altri
andavano nelle proprie trasgressioni, i dodici discepoli furono chiamati”73
Segue poi il rito eucaristico degli altri apostoli, che viene celebrato nella credenza
di far cosa giusta; ma Gesù stesso ride di loro, rivelandogli che nessuno di loro conosce e
mai conoscerà la sua vera natura, e che il loro sacrificio è in onore del loro dio, non di
Gesù. Il riso di Gesù è denigratorio, ed indica la sua superiorità rispetto a chi viene
deriso, come anche avviene in altri testi gnostici74:
“«Maestro, perché ridi della nostra preghiera di ringraziamento? O che abbiamo
fatto? Questo è ciò che è giusto fare». Egli rispose e disse loro, «Io non rido di voi.
Voi non fate questo per volontà vostra, ma perché è per via di questo che il vostro
dio [riceverà] grazie.»”75
Si dice inoltre che Giuda è l’unico discepolo che conosce la reale identità del suo
maestro: “Giuda [disse] a lui, «So chi tu sei e donde sei giunto. Tu sei giunto dall’eone
immortale di Barbelo»”.76 Gesù sfida allora i dodici a stare eretti dinanzi a lui e a
guardarlo in volto, ma nessuno tranne Giuda trova la forza d’animo per farlo; Giuda in un
certo senso assume il ruolo del Pietro dei vangeli sinottici, nel proclamare la fede in Gesù
a nome del gruppo. Questo è il primo luogo in cui si dice la superiorità qualitativa di
Giuda rispetto agli altri apostoli77, in accordo con la divisione gnostica in nature.
Un altro punto in cui si ravvisa uno scontro tra Gesù e gli apostoli è nel racconto
di una visione78 di questi ultimi: essi vedono una grande casa con un altare, presso cui
dodici uomini che si autoproclamano sacerdoti presentano delle offerte. I sacrifici sono
immondi, sono i figli e le mogli dei sacerdoti stessi, i quali si macchiano di massacri,
concupiscenze ed illiceità di ogni genere. Gesù rivela loro che i sacerdoti che invocano il
suo nome presso quegli altari peccaminosi sono essi stessi, e che le loro turpi azioni sono
la venerazione del dio malvagio del mondo inferiore, il Demiurgo:
73
Ivi, 33,6-14.
“Il primo è Colui che afferrarono e rilasciarono, Colui che è allegro guarda coloro che gli fecero violenza
[…] Perciò Egli ride della loro intellettuale cecità: Egli sa che sono nati ciechi”, Apocalisse di Pietro. In
questo testo viene raffigurato anche un Gesù che ride per la sua incapacità di provare fisicamente il dolore
della crocifissione, dal momento che sulla croce sta morendo un suo sostituto.
75
Vangelo di Giuda, 34,4-11.
76
Ivi, 35, 15-18.
77
Infatti Gesù lo stima degno di ricevere la rivelazione segreta: “E sapendo che Giuda rifletteva su
qualcosa che era elevato, Gesù disse a lui «Pàrtiti dagli altri e io ti dirò i misteri del regno […]» (35,21-25).
78
Ivi, 38,1-26 e 39,1-24.
74
30
“Quello è l’iddio che servite, e voi siete i dodici uomini che avete veduto. E le
bestie che sono condotte dentro sono i sacrifici che vedeste – cioè le folle che
sviate”.79
Dopo una lacuna nel testo di molte righe, si vede Gesù esplicitare un punto
fondamentale della dottrina gnostica: le anime degli spirituali continueranno a vivere e
verranno innalzate, mentre “le anime di ogni generazione umana periranno”80 come semi
sparsi sulla roccia da cui non si può cogliere alcun frutto; la generazione di Sophia è
infatti destinata ad essere corruttibile.
Nel passo 44,15-53 si trova una lunga sezione in cui Gesù dialoga con il solo
Giuda, il quale racconta di una visione del suo stesso destino e di un luogo celeste a cui
non viene ammesso. Richiamando una riga di poco precedente (35, 24-26), in cui Gesù
dice a Giuda che gli svelerà i misteri del regno, senza potervi comunque entrare, gli
spiega che nessun umano è in grado di accedere a quel luogo e di legarsi alla forte e santa
generazione degli gnostici, e che il suo destino personale è di essere maledetto dagli altri
discepoli. Giuda, come annunciato, avrà “molto da soffrire”81 perché verrà sostituito da
un altro apostolo, e perché si avvererà la sua premonizione raccontata in 44, 24-26:
“Nella visione vidi i dodici discepoli lapidarmi e perseguitarmi duramente”. Giuda vede
se stesso lapidato82 dagli altri apostoli, ma alla fine Gesù gli garantisce che in ogni caso
prevarrà su di loro, perché è il “tredicesimo spirito” ed il suo seme non è sotto il potere
degli arconti. perché sarà l’unico che riceverà una personale ed esclusiva iniziazione alla
conoscenza che gli permetterà infine di accedere al luogo beato:
“Tu sarai il tredicesimo, e sarai maledetto dalle altre generazioni, e arriverai a
governarle”.83
La sezione successiva (da 47,5 a 53,7) esplicita una versione della cosmogonia
gnostica, indicando con il nome di El il dio dell’Antico Testamento e con gli angeli
Nebro e Saklas gli arconti malvagi che creano altrettante schiere di servitori demoniaci
per governare il mondo ed il caos da loro creati.
79
Ivi, 39,21-28.
Ivi, 43,15-16.
81
Ivi, 35,27.
82
L’immagine della lapidazione è comune nei testi gnostici, ed è presente anche nell’ Apocalisse di Pietro
e nella Seconda apocalisse di Giacomo.
83
Vangelo di Giuda, 46,19-23.
80
31
Nella parte finale del testo, dopo numerose lacune nel papiro, si vede Gesù
profetizzare a Giuda che supererà gli altri discepoli e i cristiani, sacrificando la prigione
carnale che ne riveste lo spirito gnostico; così gli permetterà di fuggire dal corpo e di
tornare nel pleroma divino da cui proviene. Anche questo è uno dei punti teologici
fondanti del sistema gnostico, ovvero la liberazione dalla gabbia di materia demiurgica
che affligge lo pneuma:
“Ma tu sarai il maggiore tra loro. Perché tu sacrificherai l’uomo che mi porta. Il
tuo corno è già levato, la tua collera accesa, e la tua stella è trascorsa, e il tuo cuore
s’è fatto forte”84
Giuda è colui al quale è stato detto tutto, cioè lo gnostico perfetto, che al termine
della rivelazione di Gesù viene avvolto da una nube teofanica, che lo glorifica:
“«Ecco, ti è stato detto tutto. Leva gli occhi e osserva la nube e la luce in essa e le
stelle intorno. E la stella che indica la tua via è la tua stella». Così Giuda levò gli
occhi e vide la nube lucente, ed entrò in essa.”85
Il Vangelo di Giuda si conclude con la narrazione (simile nei contenuti ai racconti
evangelici) del tradimento di Giuda e della sua remunerazione, entrambi aspetti che non
vengono taciuti nel testo; sono esplicitati perché proprio attraverso il tradimento egli
dimostra di essere l’apostolo perfetto e il vero conoscitore di Gesù e della sua missione:
“Ma alcuni degli scribi erano là, a osservare cautamente per arrestarlo in
preghiera. Perché temevano il popolo giacché era reputato da tutti un profeta. Ed
essi si fecero accosti a Giuda e gli dissero, «Che fai tu qui? Tu sei discepolo di
Gesù». Ed egli rispose loro come essi volevano. E Giuda ricevette denaro e lo
consegnò a loro.”86
84
Ivi, 56,18-24.
Ivi, 57,16-23.
86
Ivi, 58,19-26.
85
32
3.
La retorica del negativo: Giuda l’eroe
Il profilo di Giuda restituito dal Vangelo di Giuda è profondamente diverso da
quello desumibile dai vangeli, e si ritroverà in maniera molto simile nella letteratura di
finzione di Jorge Luis Borges: egli è il vero intimo di Gesù che riesce a stare davanti a
lui, che riceve e comprende la sua rivelazione, che infrange il numero dei dodici e si
impone come il Tredicesimo, il vincente su tutti nonostante l’odio, la persecuzione e la
lapidazione87.
La struttura del vangelo è articolata intorno ad una retorica del negativo, che
mette in contrapposizione gli apostoli da un lato e Giuda dall’altro, ricalcando la
distinzione tra esseri demiurgici ed esseri spirituali. Giuda non è qui il traditore, ma
assumendo la funzione di simbolo della comunità gnostica perseguitata dalla grande
Chiesa, risulta essere l’unico eroe giusto della storia. Il gioco di rovesciamento delle
figure bibliche (da negativo in positivo, e viceversa) è un’operazione tipica dei gruppi
gnostici, che selezionavano i personaggi negativi dell’Antico Testamento per farne degli
eroi positivi: è in questa logica inversa che Caino, Esaù e gli abitanti di Sodoma e
Gomorra vengono lodati ed elevati.
Lo stesso tipo di meccanismo si ritrova anche nel ribaltamento del tradimento di
Giuda in un atto positivo, che deve essere inserito nella caratteristica soteriologia
gnostica: questa dottrina della salvezza implica il disprezzo per il mondo materiale che si
è generato dal dramma cosmico di degradazione della realtà celeste; ne segue un bisogno
di salvezza che è rifiuto e negazione della materia, della carne e del corpo, in vista del
ritorno nella dimensione dello spirito. Giuda tradisce per liberare lo spirito di Gesù,
emancipandolo dalla sua carne; il motivo per cui il Gesù rappresentato nel Vangelo di
Giuda è radicalmente diverso da quello neotestamentario è proprio nella dinamica
dell’incarnazione. Il Gesù gnostico è un puro spirito imprigionato nella materia, mentre
quello cattolico rappresenta realmente l’incarnazione del Verbo “che per opera dello
Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”.
Il bisogno di porre una frattura così netta tra loro stessi e gli altri risulta essere un
tratto caratteristico della setta dei Cainiti, probabilmente l’alveo culturale di produzione
87
L’unico riferimento alla morte di Giuda è nella sua profezia, in cui viene colpito dalle sassate degli altri
apostoli.
33
del Vangelo di Giuda. Nonostante le scarse informazioni a riguardo88, sembrerebbe
essere un movimento minoritario e particolarmente aggressivo, ritenuto forse marginale
anche dallo stesso ricchissimo universo gnostico. Difatti, questo testo presenta alcuni
tratti inediti rispetto ad altre produzioni gnostiche, risultando per alcuni aspetti più duro e
radicale; un esempio è la dilatazione della dialettica del negativo al punto tale da definire
i dodici apostoli bestemmiatori, ottusi ed adoratori di un falso dio89. Mai nessun gruppo
gnostico era stato così polemico con la cerchia dei discepoli di Gesù, perché il loro
obiettivo era polemizzare con la Grande Chiesa, e non con gli intimi del maestro.
La dinamica dell’inversione è applicata sia ai personaggi dell’Antico che del
Nuovo Testamento, secondo un tipico procedimento gnostico del II secolo, e dunque
tardo; non si deve cedere alla tentazione di immaginare l’esistenza di un antico
“cristianesimo capovolto”, che ci è stato finora taciuto per preservare una tradizione che
casualmente andò a formare il canone neotestamentario.
È pertanto fuorviante rivendicare la veridicità “storica” di un testo come il
Vangelo di Giuda, che è e rimane un testo apocrifo di letteratura gnostica secondaria.
Dunque è certamente un tassello importante per lo studio dello gnosticismo del II secolo,
ma non ha alcun legame storico né dottrinale con la figura di Gesù né con il cristianesimo
apostolico; non si tratta di un testo che “capovolge la teologia cristiana tradizionale e
tutto ciò che credevamo della sua vera natura”.90
88
Le uniche ulteriori testimonianze circa la setta dei Cainiti derivano dallo Pseudo-Tertulliano e da
Epifanio di Salamina. Si dice che i Cainiti adorassero Caino perché in lui era operante una potente virtù,
che non era propria invece di Abele, dotato di virtù inferiore.
89
Vangelo di Giuda, 34,18-22. “E quando i discepoli udirono questo, presero ad arrabbiarsi e si adirarono,
e presero a bestemmiare contro di lui nei loro cuori.”.
90
Bart D. Ehrman, Il Vangelo di Giuda, p. 113.
34
III.
IL GIUDA DI ORIGENE E AGOSTINO
“Giuda, che dapprima appartenne a Gesù,
fu sua proprietà e suo apostolo”91
“Giuda mangiava il pane del Signore contro il Signore;
quelli mangiavano la loro vita, questi la sua condanna”92
La vita e la storia di Giuda sono per molti aspetti problematiche e rappresentano
dei nodi certamente indistricabili che vengono continuamente stretti o allentati da sempre
nuove trasfigurazioni mitiche e culturali. Giuda assume un valore emblematico perché
incarna l’oscillazione tra i poli opposti della dannazione e dell’elezione, essendo apostolo
ed insieme traditore, strumento dell’economia redentiva escluso dall’economia stessa;
risulta essere un personaggio tragico dilaniato dalla tensione tra grazia divina e libertà
umana, tra il vano pentimento e l’amara decisione del suicidio. Se non lo si considera
come un comodo capro espiatorio o come una leggenda folkloristica, la sua storia riesce a
sollevare molti dubbi e questioni, soprattutto dal punto di vista teologico ed escatologico.
In che modo si possono conciliare la grazia della rivelazione redentrice, l’unità in Cristo
dell’umanità con il Logos divino e il mistero storico del male e della resistenza
all’accoglimento di questo amore assoluto, che vede in Giuda il suo culmine?
Origene e Agostino, nelle loro opere di commento al Vangelo di Giovanni
(precisamente nei passi riferiti al capitolo XIII), dimostreranno di avere un atteggiamento
antitetico nei confronti di Giuda, rivelando l’inconciliabilità delle loro dottrine della
salvezza; in linea con le tensioni interne di cui vive Giuda, il personaggio riuscirà a
suscitare sempre, anche nell’analisi teologica, da un lato l’odio profondo e il rifiuto più
totale, dall’altro la sensibilità di rivederne il destino, fino ad immaginare una sua
redenzione finale.
Il quarto vangelo è caratterizzato da un carattere spiccatamente cristocentrico:
laddove in Marco, Matteo e Luca si ha una focalizzazione sulla predicazione di Gesù,
Giovanni è molto teologico ed approfondisce la questione sull’identità del messia,
91
92
Origene, Commento al Vangelo di Giovanni, XXXII, XIV, 168.
Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, Tractatus 59,1.
35
proponendo una cristologia alta. Il vangelo di Giovanni dichiara questa cristologia
esplicitamente sin dal prologo (Gv 1, 1-3), dove si loda la natura divina di Gesù, che si
comunica sotto forma di vita e luce; egli è detto Logos, Verbo presso Dio ed è
l’Unigenito fatto carne attraverso cui si realizza la pienezza della rivelazione.
La grazia viene ipostaticamente teologizzata nell’identità del Figlio, emancipando
e differenziando la cristologia rivoluzionaria giovannea da quelle precedenti, e
sottolineando con decisione l’azione dello Spirito Santo come potenza vivificatrice
donata da Cristo. L’interpretazione giovannea ha una portata teologica notevole: la parola
divina si è definitivamente attuata in Cristo, che è rivelato nella realtà della carne e
l’amore diviene il dono esclusivo di coloro i quali riescono a rimanere fedeli ad una
rivelazione straordinaria, in una oscillazione tra prospettiva settaria e dono
universalistico.93 Il messaggio appare quasi predestinazionistico; difatti è proprio questo
il vangelo prediletto dai gruppi gnostici, tanto che il primo commento redatto a Giovanni
è riconducibile allo gnostico valentiniano Eracleone. Questo perché il testo, date le sue
caratteristiche, poteva benissimo essere utilizzato per fondare la concezione cosmologica
ed antropologica dualistica gnostica, secondo cui l’uomo è prigioniero del mondo e deve
trovare attraverso Cristo la via per tornare al mondo divino.
Lo schema narrativo è condiviso con gli altri Vangeli, e in aggiunta quello di
Giovanni presenta questo carattere spirituale che riunisce e trascende le narrazioni
sinottiche, assieme a delle differenze nelle narrazioni di alcuni miracoli, molto più
presenti in Giovanni, di alcuni personaggi mancanti nei sinottici (ad esempio Nicodemo),
e anche nella diversa collocazione geografica94. Il quarto vangelo risulta essere dunque
un’opera che gode di una autonomia e fisionomia proprie, una sorta di altissimo
compimento delle narrazioni sinottiche, tanto che Origene lo definisce, per queste sue
caratteristiche peculiari, il “fiore dei vangeli”.
Il brano giovanneo più denso in cui si vedono agire insieme Giuda e Gesù, è il
racconto dell’annuncio del tradimento durante l’ultima cena, ed in particolare Gv 13, 2130. Dopo il prologo innico al Gesù-Logos-Luce, segue la parte narrativa del vangelo, e
nel capitolo XIII si raccontano gli episodi della lavanda dei piedi, dell’ultima cena e del
93
G. Lettieri, Il nodo cristiano, Carocci Editore, Roma, 2006, cap. II,4: “Il vangelo di Giovanni:
divinizzazione e mistica della grazia”.
94
I sinottici pongono l’attività pubblica di Gesù esclusivamente in Galilea, mentre Giovanni alterna nella
narrazione dei periodi in Giudea, come ad esempio gli ultimi episodi della sua vita.
36
rinnegamento di Pietro. L’attenzione va posta in particolare sull’interazione tra Gesù e
Giuda durante la cena: nei pochi versi di Gv 13, 21-30 si svolge il dramma dell’annuncio
del tradimento e della sua fuga nella notte. Al centro della scena si hanno due
protagonisti, Gesù e Giuda, insieme ad un altro attore indiretto, Satana.
“Dette queste cose, Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: “In verità, in verità
io vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardavano l’un l’altro, non
sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si
trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi
fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse:
«Signore, chi è?». Rispose Gesù: è colui per il quale intingerò il boccone e glielo
darò. E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota.
Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: «Quello che
devi fare, fallo presto». Nessuno dei commensali capì perché gli avesse detto
questo; alcuni infatti pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli
avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse
dare qualche cosa ai poveri. Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte.”
Satana è dunque, durante la cena, il terzo attore invisibile della scena. Lo si era
trovato solo nella narrazione lucana, come movente che spinge Giuda a sporgere
denuncia ai sacerdoti; nel vangelo di Giovanni assume un ruolo più definito e preciso,
influenzando con forze in tensione continua con quelle divine. Dopo l’annuncio del
tradimento, Gesù attivamente porge il boccone a Giuda, rivelando col suo gesto il nome
del traditore, pronunciando anche l’enigmatica frase “Quello che devi fare, fallo presto”.
Al termine del brano, è notte: la notte in cui fugge Giuda è la notte di Satana, il
regno delle tenebre che si oppone alla luce divina di Gesù e che inghiotte letteralmente
l’apostolo ormai perduto. Il dualismo luce/tenebra è costitutivo della produzione di
Giovanni, e rappresenta un cardine concettuale su cui ruota tutta l’opera riflettendo il
rapporto che oppone il principe di questo mondo a Cristo, fino a sfociare in una tensione
apocalittica di massimo livello, riscontrabile solo nell’Apocalisse di Giovanni95.
95
G. Lettieri, Il nodo cristiano, cap. II,4.
37
1. La dissonanza origeniana: il santo peccatore
Nel pensiero di Origene Giuda assume un valore notevole dal punto di vista
teologico. Nel Contra Celsum e nella raccolta post-origeniana Filocalia, si trova il primo
accostamento di Giuda alla figura di Edipo, ancor prima della trattazione di Jacopo da
Varagine nella Legenda Aurea (qui, p. 50). Il Giuda-Edipo di Origene è privo dell’idea
medievale dell’incesto (come invece sarà nella Legenda) perché la sua descrizione vira in
un altro senso. Per Origene, Giuda ed Edipo avrebbero potuto evitare di sottomettersi alla
necessità, in quanto entrambi erano stati preavvertiti della loro sorte, l’uno con il Salmo
10996 e l’altro con l’oracolo a Laio. Inoltre si ritrova una analisi dettagliata della figura di
Giuda nel Commento al Vangelo di Giovanni, scritto in funzione antignostica su
suggerimento di Ambrosio con l’intento di contrastare le interpretazioni gnostiche del
vangelo giovanneo. Origene cerca in qualche modo di “risparmiare” Giuda, inaugurando
una serie di tentativi volti a restituirgli la sua umanità e a preservarlo dall’incontrollata
mitizzazione iperbolica. Questa attenzione esegetica sarà un filo rosso che a partire dal
pensiero origeniano percorrerà la storia ed il tempo raggiungendo il suo apice nel periodo
rinascimentale, con il risultato di distruggere gli sforzi che miravano a restituire
l’immagine di un Giuda uniforme e totalmente malvagio.
Il supporto teologico dell’interpretazione origeniana è la relativizzazione del male
profondo che è rivelato dalla azione dell’apostolo, in vista di una escatologia
apocatastatica che ricomprenderà nella pienezza divina del Logos tutte le creature. Tutti i
malvagi, compreso il diavolo, verranno redenti in un’eterna vivificazione che trascende il
male storico.
La libertà di Giuda è la libertà di ogni singolo individuo creato, di ogni singola
intelligenza preesistente nel Logos che decade dalla pienezza; la dottrina della
preesistenza degli intelletti è tipica di Origene, e nonostante la sua posizione antignostica,
risulta essere un punto molto simile alla dottrina gnostica97. I soggetti hanno un’esistenza
protologica in Dio e la loro caduta dalla pienezza è, in Origene, causata dalla loro libera
scelta. Giuda è da questo punto di vista uguale a tutte le altre creature, poiché l’esercizio
96
Il salmo di maledizione contro gli empi e i traditori pronunciato da Davide.
La differenza tra le due posizioni è nel fatto che lo gnosticismo indica le creature spirituali come
consustanziali al divino stesso, generate all’interno della pienezza pleromatica, mentre per Origene le
creature non sono consustanziali. Dunque il peccato si genera a livello creaturale, e non infradivino.
97
38
stesso della libertà umana è imprescindibilmente legato al peccato98. Ogni uomo ha la
possibilità di coltivare in sé i semi della virtù che sono presenti in tutti, seppur
diversificati, e tale differenza è nell’ordine del maggiore o minore: qualunque sia il loro
peccato, le creature sono perfettibili e progredienti. Il punto fondamentale è la libera
scelta degli intelletti, e le pene subìte non hanno che un valore medicinale perché Dio
impedisce all’onda del male di espandersi, riducendolo di eone in eone.
Giuda rimane in ogni caso condannabile, esecrabile e colpevole del male storico,
ma quello che ha compiuto è un male contingente che verrà superato in una prospettiva
di progressiva redenzione; è questo il gioco che permette di tenere insieme la dottrina
della restaurazione universale con la condanna del male e dell’azione di Giuda, ossia il
pensare insieme una doppia prospettiva, da un lato storico-secolare e dall’altro
metastorica ed escatologica. Lo stesso dinamismo permette ad Origene di continuare a
sottolineare il dovere di scegliere storicamente il bene, nonostante la prospettiva
ottimistica escatologica dell’apocatastasi.
Il richiamo di Origene ad una libera scelta ha una funzione dichiaratamente
antignostica, e tale dottrina risulta essere quel punto di riferimento dialettico in relazione
al quale si sviluppa gran parte del pensiero dell’alessandrino. La sua opposizione è netta
nei confronti del determinismo delle dottrine gnostiche che implicavano un radicale
dualismo tra eletti e reietti, tra spirituali da un lato ed ilici e psichici dall’altra; Giuda
appare allora, nella sua tensione, come il simbolo della libertà umana e delle tragiche
conseguenze che questa può avere. La tendenza di Origene è di risolvere i rapporti in
chiave dinamica: in questo caso non si trova una staticità irreversibile nella scelta morale
(come invece è per Agostino), né una differenza costitutiva ed intrinseca di Giuda
rispetto agli altri apostoli.
Il problema di Origene è di riuscire a tenere insieme i due poli della questione:
come può un intimo di Gesù essere malvagio, essere un cuneo di tenebra nella comunità
luminosa? Giuda risulterà incarnare l’aspetto proprio di questa oscillazione drammatica
che ha luogo nella libertà umana.
98
L’unico logos che rimane radicato nel Logos è quello perfetto dell’uomo Gesù, mentre tutti gli altri logoi
si allontanano almeno minimamente dal fuoco eterno del Logos. La sua incarnazione non è frutto del
peccato ma è stabilita protologicamente, in quanto si realizza tra Gesù e il Logos un rapporto elettivo,
evidenziando la cristologia alta.
39
Origene incentra il XXXII libro del Commento al vangelo di Giovanni (composto
dopo il 235 d.C. e pervenutoci incompleto) all’esegesi del XIII capitolo del vangelo di
Giovanni, dedicando diversi passi di commento alle scene in cui è presente Giuda,
ovvero la lavanda dei piedi, la predizione del tradimento e infine nel pieno della cena, la
scena del boccone e della fuga nella notte.
In questa analisi, si riflette chiaramente la teologia origeniana e il suo tentativo di
“salvare” Giuda dalla dannazione eterna e consegnarlo nelle mani di Gesù, le mani che
sono capaci di contenere tutto99. Nel primo brano di commento, Origene spiega
l’esclusione ideale di Giuda dalla lavanda dei piedi con un’immagine suggestiva: se tutti
gli altri discepoli sono perfetti e necessitano di una purificazione solo parziale, Giuda non
lo è, perché ha il cuore trafitto dalle frecce ardenti del Diavolo100. Egli può essere ferito
dai dardi perché non ha l’“armatura di Dio per contrastare le ingegnose macchinazioni
del Diavolo”101 che gli permetta di proteggersi con un saldo scudo di fede; solo con
questo scudo si possono “spegnere tutti i dardi infuocati del maligno”102. Tutti gli uomini
possono essere colpiti da queste frecce, perché il diavolo diversifica le sue armi e tutti
sono liberi di scegliere di peccare. Giuda cede liberamente alla seduzione del Diavolo, e
decade.
Inoltre, Origene interpreta l’episodio della lavanda come la purificazione
spirituale operata da Gesù sui discepoli, e sugli uomini tutti; l’operazione inizia, ma non
è definitivamente completata, in esatto parallelismo con la redenzione universale: si
completerà in dimensione escatologica, quando tutta la creazione sarà lavata dal Logos,
progredita fino alla purificazione totale. Si chiede Origene a tal proposito: “Perché non
sta scritto, semplicemente, che «Gesù lavò i piedi dei discepoli», ma invece che cominciò
a lavare i piedi dei discepoli? […] Egli infatti li lavò ancora e portò a termine la lavanda
in seguito”.103 Anche il piede di Giuda e quello di tutti i malvagi, sarà lavato e redento
dall’opera continua di purificazione iniziata con l’incarnazione e che terminerà soltanto
99
Gv 13,3.
L’immagine delle frecce ardenti è evocata e tratta da Sal 7,14 “ha preparato i suoi strumenti di morte,
facendo roventi i suoi dardi”. Il Diavolo è detto da Origene il “malvagio arciere che scaglia le sue frecce
infuocate contro coloro che non custodiscono con ogni cautela il loro cuore” (Origene, Commento al
Vangelo di Giovanni, XXXII, II, 20).
101
Origene fa riferimento all’immagine di Ef 6,11; nel passo Ef 6,10-20 Paolo esorta la comunità degli
Efesini ad adottare un comportamento etico integerrimo, e ad “armarsi” spiritualmente nella lotta al male,
utilizzando un linguaggio di carattere militare.
102
Ef 6,16.
103
Origene, Commento al Vangelo di Giovanni, XXXII, IV, 51-53.
100
40
in dimensione escatologica; infatti, Origene non considera l’esclusione di Giuda come
assoluta, ma limitata all’evento storico.
A questo proposito, anche l’episodio della cena sarebbe da intendere come
un’interpretazione allegorica come storia della salvezza e del suo compimento
escatologico, che è reso possibile solo grazie all’infinito e continuo amore di Dio. Il
tradimento (e il male) non sono riconducibili alla storia e al destino di un unico
discepolo, ma in esso si può leggere il mistero del rapporto tra il male nel mondo e
l’infinita bontà divina. “Giuda non rappresenta una natura perversa, ma una libertà
fuorviata, che poteva essere propria di ognuno dei discepoli eletti”104. Quindi è solo una
maggior distanza che separa Giuda, in prospettiva escatologica, dal ricongiungimento
con il Logos; egli è certamente confinato negli ultimi posti, ma la sua anima progredisce
comunque.
Nel brano XIII del commento origeniano, l’attenzione è posta sul “Non parlo di
tutti voi” di Gv 13,18; nei versetti immediatamente precedenti Gesù aveva definito i suoi
apostoli “servi”, indicandogli la via da seguire e il modo di essere beati. Ma questo
appunto non vale per tutti, o almeno non vale per Giuda: egli, dopo esser stato trapassato
dalle frecce non è più apostolo e servo del Logos, ma diventa servo del peccato105. Colui
che mangia alla mensa con il suo maestro, ora alza il suo calcagno contro di lui,
diventando traditore.
Un'altra problematica che si solleva è quella della prescienza di Gesù, di cui
Origene parla; Gesù conosce quelli che ha eletto, come anche sa che Giuda ha in quel
momento, nel suo cuore, delle ispirazioni malvagie dirette contro di lui. Quando venne
scelto, era certamente un uomo di pace a cui era stato affidato lo stesso compito degli
altri apostoli di annunciare la dottrina nelle case visitate106. Inoltre, la bontà di Giuda
viene sottolineata, secondo Origene, dall’azione di Gesù di consegnargli la borsa col
denaro, nonostante fosse già stato detto ladro in Gv 12,6 e che Gesù sapesse in anticipo
del suo cambio di attitudine interiore, dal bene al male. Gesù ripone dunque delle
speranze in Giuda, tanto da volerne probabilmente e paradossalmente saziarne l’avidità
104
G. Lettieri, “Origene, Agostino e il mistero di Giuda”, in Lettura origeniana, Biblioteca scienze
religiose - 198, LAS, Roma, 2006, p. 95.
105
Origene, Commento al Vangelo di Giovanni, XXXII, XII, 148-149: “Giuda era servo del peccato,
perché egli l’aveva commesso, soprattutto dopo che il diavolo gli aveva messo in cuore di tradire il
salvatore. E se era servo del peccato, non era servo del logos di Dio”.
106
Lc 10,5-6.
41
di denaro affidandogli la borsa, agendo in questo senso per la salvezza dell’anima libera
di Giuda, detta “vigna fiorente”107. Per Origene, Giuda diventa malvagio in un secondo
momento, perché se lo fosse stato sin dall’inizio non sarebbe stato incluso tra gli
apostoli: “Giuda, che dapprima appartenne a Gesù, fu sua proprietà e suo apostolo, e che
poi ebbe tropologicamente il nome di «calcagno» perché divenne l’ultimo”.108
Origene dice esplicitamente che l’intenzione della sua esegesi è diretta contro
quelli che credono nella malvagità physei di Giuda, gli gnostici, ed evidenzia tutta
l’ambivalenza e la duplice essenza di Giuda: traditore di Cristo, uscito dalla cerchia dei
dodici servi del Logos ma al tempo stesso uomo di pace, foriero delle speranze di Gesù.
Il Giuda di Origene non appare dunque interamente cattivo, seppur trafitto dalle
frecce diaboliche: una minima parte di bontà rimane in lui, e lo si può vedere nel
momento dell’arresto di Gesù, nel pentimento e nel tentativo di restituire i denari ai
sacerdoti. Origene integra il testo giovanneo con Mt 27,3-5, in cui si dice la sincera
contrizione di Giuda nel suo lamento disperato “Ho peccato tradendo il sangue
innocente!”. In quest’ottica il gesto di tradire con un bacio ed il suo stesso affrettarsi al
suicidio sarebbe una conferma ulteriore della bontà residua in Giuda, come se con la sua
azione avesse attinto alla sazietà del male assoluto, tanto da richiedere immediatamente
una conversione al bene. Se Giuda fosse stato davvero totalmente malvagio si sarebbe
rallegrato del compenso ricevuto, non avrebbe avuto luogo in lui il pentimento e non
avrebbe avvertito alcuna urgenza di redenzione.109 “L’apostasia di Giuda non fu
completa, ed invenzioni le cose che egli fece dopo avere tradito il suo maestro, e che
invece è vero soltanto il fatto che uno dei discepoli lo tradì”.
I brani XX-XXIV riguardano l’analisi di Gv 13,23-29; nella prima parte si tratta
del discepolo prediletto che si poggia sul seno di Gesù, Giovanni, e poi nello specifico
(XXII-XXIV) della figura di Giuda. Giovanni viene stimato d’esser degno di un amore
speciale da parte di Gesù, che gli permette di aderire al Logos che è nel seno del Padre.
Poi si esamina il gesto di Gesù di offrire il boccone al traditore. In questa scena il terzo
attore, oltre a Gesù e Giuda, è il Diavolo e si instaura un’interazione attiva e particolare
fra i tre; Origene sottolinea che il Diavolo è entrato pienamente in Giuda solo dopo che
Gesù gli ha dato il boccone, indicando quindi che fino a quel momento le frecce
107
G. Lettieri, “Origene, Agostino e il mistero di Giuda”, n. 29, p. 102.
Origene, Commento al Vangelo di Giovanni, XXXII, XIV, 168
109
G. Lettieri, “Origene, Agostino e il mistero di Giuda”, pp. 105-106.
108
42
demoniache erano certamente nel suo cuore, ma che l’irruzione del male nell’apostolo
non era ancora totale (“Allora, dopo il boccone, entrò in lui Satana”110). Il gesto di Gesù
è centrale in questo passo, perché è per mezzo di esso che Giuda perde qualcosa di sé: in
un movimento dialettico, il dare è insieme un perdere ed è Gesù col boccone che causa
questa perdita. Il boccone materiale di Gesù fa perdere a Giuda qualcosa di immateriale,
“quanto di meglio c’era in lui, cioè forse la pace”111, allo stesso modo in cui in 2Cor 8,14
i destinatari della lettera partecipano materialmente alla colletta per la chiesa di
Gerusalemme, ricevendo in cambio l’immateriale eccezionalità dello spirito cristiano.
Per Origene il Diavolo agisce due volte su Giuda; in un primo tempo scaglia le sue
frecce, che l’apostolo non riesce a spegnere per la mancanza dello scudo di fede, e
successivamente attende l’attimo giusto per irrompere nel suo cuore. Il kairòs per
l’azione è fornito dal gesto di Gesù, che porgendogli il boccone imbevuto di Logos, in
cui sono immersi gli apostoli, permette l’abbandono da parte di Giuda della dimensione
apostolica.
La frase enigmatica, che compare in Gv 13,27 (“Quello che devi fare, fallo presto”)
non viene compresa dagli apostoli presenti, tanto che sono portati a pensare che si tratti
di un invito ad acquistare l’occorrente per la festa; Origene ipotizza che la frase possa
esser stata rivolta da Gesù sia a Satana che a Giuda. Nel primo caso, si tratterebbe di una
vera e propria provocazione rivolta da Gesù al suo nemico; nel secondo, potrebbe
indicare una sollecitazione al suo apostolo ormai perduto, affinché compia la sua azione e
presti il suo nuovo servizio all’economia redentiva, evitando ogni ulteriore ritardo o
differimento.
L’ultimo brano dedicato alla figura di Giuda è il XXIV e analizza Gv 13,30 (“Così,
preso il boccone, quello uscì subito. Ed era notte.”). Origene solleva diverse ipotesi
interpretative degli eventi che accadono in questi ultimi passaggi, primo di tutti il fatto
che l’uscita di Giuda dalla sala sia nello stesso tempo un simbolo di obbedienza
all’esortazione di Gesù, della separazione ormai certa tra maestro ed apostolo e del fatto
che “Satana, […] non potesse sopportare di rimanere nello stesso luogo insieme con
Gesù, perché non può esserci armonia tra Cristo e Belial”.112
110
Gv 13,27.
Origene, Commento al Vangelo di Giovanni, XXXII, XXII, 284.
112
Ivi, XXIV, 302.
111
43
L’attenzione viene successivamente posta da Origene sulla questione del boccone,
e se Giuda l’abbia mangiato o meno, dato che non si trova nel testo giovanneo la
precisazione “e mangiatolo”. Nel primo caso, Origene ipotizza che quello stesso pane che
per gli apostoli è santo, risulta nocivo per Giuda; questo perché il boccone di Gesù è
come il pane nutritivo per i malati, che a volte risulta loro pericoloso piuttosto che
salutare. Qualora invece Giuda non avesse preso il boccone intinto nel Logos, questo
sarebbe da imputare nuovamente a Satana, poiché ha impedito a Giuda di partecipare al
dono divino, temendo che potesse modificarne la malvagia disposizione interiore.
Nell’ultima scena in cui è presente Giuda, è notte. Origene, ricalcando il dualismo
giovanneo, la intende come la “notte che s’era fatta nell’anima di Giuda”, nel momento
in cui Satana aveva fatto irruzione nel suo cuore. Da un lato c’è il giorno fulgentissimo
degli apostoli a cui Gesù ha lavato i piedi, di Giovanni sul seno di Cristo e di Pietro che
pronuncia la professione di fede113, dall’altro l’isolamento oscuro di Giuda. Da quel
momento in poi la tenebra affliggerà l’apostolo traditore, perché nemmeno nel suo grido
di pentimento dinanzi ai sacerdoti del tempio potrà fargli afferrare di nuovo la luce
dell’”uomo che ha nome Oriente”114.
Giuda è in quel momento ormai totalmente servo del diavolo, e “Satana che era in
lui lo condusse, quasi per mano, fino al cappio e ve l’appese. E allora si prese anche la
sua anima, perché Giuda non era da tanto che di lui si dicessero quelle parole che il
Signore dice a diavolo a proposito di Giobbe: «Non toccare però la sua anima».”115
L’attenzione che Origene mostra nel sottolineare il ruolo decisivo di Satana nella
perdizione di Giuda rivela l’intento di restituirgli una certa umanità e il tentativo di
attenuarne in qualche modo le terribili colpe. In Giuda quindi agiscono forze opposte che
operando in lui lo deformano, assieme anche all’irrinunciabile libera scelta dell’apostolo,
che permette che il suo cuore venga ferito. L’interpretazione proposta da Origene porta a
considerare Giuda non solo come l’attore unico del male, ma anche come quello
strumento di salvezza di cui Gesù si avvale e a cui riserva un nuovo ruolo nel quadro
dell’economia redentiva. Scrive Origene: “Gesù quindi, vedeva che la sua economia
113
Ivi, 14,315. Per Pietro sarà momentaneamente notte nell’atto della rinnegazione, ma comunque tornerà
ad essere nella luce divina.
114
Zac 6,12.
115
Origene, Commento al Vangelo di Giovanni, XXXII, XXIV, 317.
44
volgeva ormai al suo fine buono, perché «il diavolo aveva messo in cuore a Giuda
Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo»”.116
Solo così può essere risolto, per Origene, il mistero di Giuda, in un dinamismo di
forze e libertà di scelta. In tale dimensione si permette anche il superamento di una delle
diverse questioni problematiche che si sollevano, ossia quella della paradossale
coincidenza di responsabilità ed irresponsabilità in Giuda; egli sceglie liberamente
Satana, e questo prende possesso di lui conducendone le azioni, dal tradimento fino al
suicidio. Difatti, nella teologia di Origene uno degli obiettivi è di tenere insieme la
provvidenza divina, che alla fine convertirà tutti al bene, e la libertà umana, che deve
rimanere responsabile delle sue scelte. Non ha luogo alcuna deresponsabilizzazione,
perché la morte e la punizione del singolo individuo sono reali, sullo sfondo della
naturale vocazione della creatura verso il progresso.
Giuda infine, viene detto non solo “uomo di pace”, ma addirittura santo (άγιος, in
19,247), perché un tempo aveva amato realmente Gesù ed ne aveva avuto lo stesso
animo. Tuttavia nello specifico Origene non esplicita la futura beatitudine di Giuda, né
che la sua vita continuerà in un altro eone, allo scopo di non scandalizzare i semplici e
per evitare di correre il rischio che fraintendano la sua teologia “nella direzione di
un’apologia dell’impunità del malvagio.”117
Il “paradigma origeniano” verrà invocato successivamente dagli autori che
tenteranno un approccio differente al personaggio di Giuda, che in un’epoca totalmente
nuova tenteranno anche di discolparlo. Questa strada verrà ribattuta nel XVII secolo,
inaugurata dall’immagine del Giuda disperato che rende i denari di Rembrandt. Tra gli
altri che attingeranno da questa fonte di rinnovamento si possono indicare il poeta inglese
John Donne, che sosterrà l’intelligenza del suicidio di Giuda e il suo essere uno
strumento peccaminoso di un’opera misericordiosa, e il filosofo tedesco Gottfried
Wilhelm von Leibniz, che riflette su come Dio abbia considerato positiva l’esistenza di
Giuda nel quadro del migliore dei mondi possibili, in cui la sua azione, seppur
peccaminosa, è a vantaggio di un bene più grande, ovvero la mirabile economia
redentiva. “In termini leibniziani, il suicidio di Giuda […] è l’inizio di un amore”.118
116
Ivi, XXXII, III, 34.
G. Lettieri, “Origene, Agostino e il mistero di Giuda”, p. 110.
118
P.E. Dauzat, Giuda. Dal Vangelo all’Olocausto, pp. 87-95.
117
45
2. L’eredità del nodo scorsoio: Agostino
L’approccio di Agostino al tragico personaggio di Giuda risulta profondamente
diverso da quello di Origene, e lascia ben intendere le loro divergenti concezioni
soteriologiche; le opere agostiniane che si occupano della questione sono quelle
essenzialmente predestinazionistiche, in particolare quelle più tarde scritte in relazione
alla polemica antipelagiana119 (De gratia et libero arbitrio e De correptione et gratia,
scritti tra il 426 e il 427) e alcuni trattati del Commento al Vangelo di Giovanni dal
numero 17 al 124, composti e predicati tra il 418 e il 423.
Se si è visto come il filo origeniano riesca ad attraversare diametralmente la storia
dell’Occidente, per disegnare la sua trama più fitta nel rinascimento, lo stesso vale per
quello agostiniano, che corre insieme al primo, intrecciandosi ad esso e tessendo
interpretazioni del tutto opposte. Secondo questo punto di vista, è la disperazione di
Giuda a rendere la sua anima irredimibile e il suo destino non è più ambiguo e
drammatico, come in Origene, ma decisamente tragico.
È necessario chiarificare alcuni punti salienti della teologia agostiniana allo scopo
di comprendere il destino di Giuda in questa prospettiva. Partendo dal presupposto che la
produzione del primo Agostino risulta decisamente platonizzante e in difesa del libero
arbitrio, si può identificare una svolta sostanziale del suo pensiero con la stesura dell’Ad
Simplicianum (396-397), l’opera che frattura il pensiero agostiniano in due blocchi. Il
primo, definibile per certi versi “umanistico”, è quello della parte del De doctrina
christiana anteriore all’interruzione rappresentata da AdSimpl I,2, ed è in continuità con
il pensiero platonizzante origeniano, con cui il primo Agostino viene in contatto. Questa
fase della sua teologia è ottimistica e razionale, dal momento che intende il cristianesimo
(e l’ermeneutica biblica) come sintesi razionalmente credibile del sistema metafisico
platonico, continuando quindi a sostenere l’ontoteologia origeniana; inoltre concede
all’uomo di intraprendere grazie al libero arbitrio un itinerario ascensivo dal sensibile al
sovrasensibile, nella piena possibilità di una conoscenza intellettuale di Dio.120
La frattura in direzione di una nuova e radicalmente inversa prospettiva teologica
è generata dalla scoperta della dottrina della grazia indebita e predestinata, che vede uno
119
La dottrina pelagiana, duramente attaccata da Agostino, sostiene l’integrità e bontà del mondo creato e
vede nella natura razionale il vero dono di grazia, in modo tale che l’uomo possa realizzare il bene con le
sue capacità e con le possibilità della sua libera scelta.
120
Cfr G. Lettieri, L’altro Agostino, “L’ermeneutica del libero arbitrio in Ddch-A”, pp. 23-64.
46
dei suoi fondamenti scritturistici nel passo paolino 2Cor 3,6121. Tale scoperta, centrale
nella successiva determinazione del pensiero cristiano, lo porta a confessare
l’onnipotenza di Dio e il suo imperscrutabile volere, davanti ai quali il libero arbitrio non
può che essere irresistibilmente persuaso e a ritrattare la possibilità di una ontoteologia
accessibile alla ragione umana senza la mediazione misteriosa della grazia.
Già nel primo Agostino la vicinanza ad Origene era intesa come conservazione
dell’elemento mistico-spirituale e rifiuto delle sue teorie filosofiche: venivano difatti
precocemente respinte sia la dottrina del prolungarsi della vita in eoni successivi,
accentuando l’importanza determinante della storia singolare di ogni creatura; sia la
dottrina della preesistenza degli intelletti e del loro differente grado di peccato, in favore
della concezione dell’unico peccato universale adamitico radicato in tutti gli uomini, sin
dalla nascita, negando così la teoria secondo cui i singoli destini individuali siano
originati da colpe e meriti antecedenti; sia la dottrina dell’apocatastasi, sostituita nella
seconda fase del pensiero agostiniano da una netta e definitiva divisione tra eletti e
reietti; e infine, come già accennato, viene affermata la negazione della dottrina della
libera volontà dell’uomo di determinarsi autonomamente, che dunque dipende totalmente
dall’intervento della grazia persuasiva di Dio.
Il libero arbitrio si trova in una nuova condizione: la predestinazione non è più
legata alla prescienza, che presuppone a sua volta l’esistenza di una libertà autonoma, ma
è assoggettata in una tensione dialettica alla violenza dirompente della grazia, che è
assolutamente irresistibile e piega dunque a sé ogni volontà, eccedendo la ragione
naturale e l’ontoteologia. La grazia, per poter esser detta tale e non essere snaturata nella
sua forza dirompente, deve essere grazia e dunque mai preceduta dal merito, ma unica
origine del merito stesso. Agostino, sostenendo l’esistenza di una sola ed imperscrutabile
volontà divina che è capace di eleggere e salvare gli uomini indipendentemente dalle loro
azioni, indica di conseguenza la fede unicamente come dono di grazia indebitamente
ricevuto122.
121
“La nostra capacità viene da Dio che ci ha resi ministri idonei della nuova Alleanza, non della lettera,
ma dello Spirito; la lettera uccide, lo Spirito vivifica”.
122
Gv 6,44: “Nessuno può venire a me se il Padre che mi ha mandato non lo attira”.
47
Alla luce della prospettiva teologica dell’Agostino maturo, ben differente da
quella origeniana, si comprende il giudizio totalmente negativo di Agostino su Giuda:
egli segue Gesù solo col corpo, e mai col cuore. Quindi l’apostolo traditore risulta essere
radicalmente malvagio e mai inserito realmente nella cerchia apostolica, laddove Origene
ne sottolineava invece l’esser stato un uomo di pace; la sua infedeltà non è solo frutto
della sua naturale predisposizione (umana) ad essere ostile a Dio, ma è legata anche alla
stessa volontà di Dio, che non lo ha voluto credente e non lo ha visitato con la sua grazia.
A questo proposito, nel Commento al Vangelo di Giovanni123 Agostino instaura
un confronto tra Pietro e Giuda (Tractatus 27,9), nel loro essere visitati da Satana in due
modi antitetici. Pietro viene chiamato da Gesù “Satana” (Mt 16,23), ma in ogni caso la
tenebra che lo avvolge nel momento del rinnegamento non è definitiva: l’intenzione di
Dio è di tenere con sé Pietro, che nonostante sia peccatore vede la sua volontà
riconvertita ed diventa, assieme a Paolo l’eletto, per eccellenza. Nel suo cuore è stata
operata l’indebita conversione della grazia, che gli ha permesso di disporre del dono della
fede, e insieme a Pietro anche gli altri apostoli che sono nella luce divina. Giuda, nella
radicale
riproposizione
del
dualismo
giovanneo,
invece
viene
abbandonato
volontariamente nelle tenebre, perché non è predestinato da Dio ad essere tra i vasi di
misericordia, ma tra quelli d’ira destinati al giudizio.
Nel trattato 55 Agostino inizia a commentare il capitolo XIII del vangelo di
Giovanni, indicando nella cena il momento del passaggio124 di Gesù alla morte come
simbolo della sua resurrezione e di quella degli eletti. Il passaggio che avviene è dalla
instabilità tenebrosa del mondo al regno dei Cieli ed è detto “salutare”; il destino degli
infedeli sarà invece un altro: essi anche passeranno, ma dal mondo alla dannazione125 e
insieme a loro sarà anche Giuda, il falso fedele che mai è stato realmente unito a Cristo
col cuore. Nell’analisi di Gv 13,2-3 (55,4) Agostino ribadisce l’idea di una grazia
salvifica che elegge misteriosamente; il Diavolo prende possesso di Giuda e gli mette nel
cuore il proposito di tradire Gesù perché le sue inclinazioni sono volte al male, e questo
intervento esterno viene accolto ed assecondato dal traditore. Gli spiriti buoni o cattivi
condizionano segretamente il cuore, a causa dell’intervento della grazia o a causa della
sua assenza: “Il diavolo aveva dunque operato già nel cuore di Giuda […] non avendo
123
Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, Bompiani, Milano, 2010.
Agostino individua una similarità linguistica tra le parole “passaggio”, “Pasqua” e “passione” (55,1).
125
Ibidem. “Anche gli egiziani infatti passarono il mare, ma non lo attraversarono per giungere al regno,
bensì per trovare nel mare la morte”.
124
48
saputo riconoscere Dio in lui” (55,4). Anche l’idea di predestinazione viene sottolineata
attraverso il riferimento alle mani di Gesù e l’esserne escluso di Giuda: nelle mani non ci
sono più origenianamente tutte le creature con l’obiettivo di essere redente, ma si trovano
il bene ed il male già (e per sempre) distinti. Giuda è dunque un eletto, ma in un senso
opposto: egli è eletto ad essere lo strumento, in sé radicalmente malvagio, dell’opera
buona di Dio, perché quest’ultimo ha il potere di disporre, a vantaggio dei suoi, delle
opere di chi gli è ostile. Nella misteriosa opera divina Giuda assurge al ruolo di “ignaro e
dannato mezzo di salvezza”, le cui azioni malvage sono a sua insaputa convertite in
bene126. Durante la cena un segno della predestinazione è anche nel momento in cui Gesù
ribadisce la separazione di coloro i quali che beneficiano della sua operazione di grazia
redimente, nel momento in cui Giuda viene detto “figlio della perdizione”127 e Giovanni,
il discepolo amato, si accosta al petto-Sapienza di Gesù ricevendo la rivelazione del
nome del traditore (61,3-4).
Anche Agostino, come Origene, indaga nel trattato 62,1-2 la relazione tra il
boccone intinto e l’ingresso di Satana nel cuore di Giuda: qui il tutto è causato dalla
cattiva disposizione dell’apostolo, che converte in male la bontà di cui è intinto il pane;
lo stesso boccone giova al buono e nuoce al malvagio, e il gesto di Gesù indica l’essere
indegno di Giuda di ricevere la grazia interiore ed operante128. Il diavolo era già entrato
in Giuda quando si era recato dai sacerdoti per stabilire il compenso del suo tradimento,
tanto che Agostino dice che “Satana entrò in lui, non per tentare un estraneo, ma per
prendere definitivamente possesso di ciò che era già suo”. L’invito di Gesù ad agire in
fretta è interpretato qui come diretto esplicitamente a Giuda, ed indica la sua serena
volontà di apprestarsi alla morte prevedendo il bene che sarebbe derivato dal delitto
dell’apostolo.
L’interpretazione agostiniana di Giuda si comprende al meglio mettendo in
relazione l’uscita di Giuda nelle tenebre e la frase immediatamente successiva (Gv
13,31): “Quando fu uscito Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato e Dio è
stato glorificato in lui»”. Sempre riproponendo il dualismo giovanneo tenebra/luce,
Cristo è il giorno e viene glorificato nella luce, mentre Giuda viene reso alla notte,
126
Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, 55,5: “Il signore infatti sapeva molto bene cosa doveva
fare per gli amici, egli che pazientemente si serviva dei nemici; e il Padre gli aveva dato in mano tutte le
cose, in modo che si servisse di quelle cattive per mandare ad effetto quelle buone”.
127
Gv 17,12.
128
Egli infatti non riceve la grazia interiore e non viene salvato da essa, ma è partecipe solo di quella
esteriore poiché fa parte solo apparentemente della Chiesa degli eletti.
49
all’alienazione nelle mani del Diavolo. Agostino interpreta l’uscita di Giuda nella notte
come l’abbandono definitivo della comunità santa da parte dell’uomo perfido, che
diventa così il simbolo della massa damnationis, proiezione in dimensione escatologica
dell’oscurità del peccato. Nel trattato 105 non si menziona esplicitamente Giuda, ma
viene ripetuta l’opposizione, spiegando che nella clarificatio di Dio in Cristo hanno
luogo nello stesso momento i misteri dell’incarnazione e della grazia predestinata. Questa
apparente doppia predestinazione al bene e al male non deve far supporre la presenza in
Agostino della dottrina manichea secondo cui Dio compie il male: Giuda pecca con la
sua volontà, e il male, ribadisce Agostino nelle Confessioni, è proprio questo
“pervertimento della volontà che si allontana dall’essere sommo […] e si volge alle
creature più basse; è come un rigettare le proprie interiora e all’esterno gonfiarsi
tutto”.129
In Agostino quindi l’uomo non può prescindere dall’esercizio della sua unica
libertà, quella di compiere il male e di radicarsi in esso. Lo stesso accade in Giuda, dove
è la sua volontà perversa a condurlo al suicidio, e non la presenza di Satana in lui, come
riteneva Origene. Il suicidio segna definitivamente la sua chiusura ed ostinazione nel
male, perché proprio la contrizione e la disperazione sono i suoi peccati più grandi dal
momento che non lasciano alcuno spazio alla misericordia di Dio; non essendo degno di
tale misericordia, negli attimi finali della sua esistenza non si è rivolto al perdono, ma ha
sancito volontariamente la sua perdizione. Giuda fa al suo corpo ciò che era avvenuto già
alla sua anima, siglando definitivamente la sua condanna; egli incarna l’essenza e il
mistero del male in modo assoluto, senza che vi sia alcuna lode (in senso gnostico) per la
sua azione.
Il durissimo destino che Agostino riserva a Giuda contribuirà costituire una vera e
propria “eredità del nodo scorsoio”, che ha dominato tutto il Medioevo. La corda si
stringerà sempre più al suo collo, tanto da soffocarlo in un’immagine di totale perdizione
e dannazione. Sul filone agostiniano saranno i suoi esegeti Lutero e Calvino e tutti quelli
che sosterranno il predestinazionismo. Giuda è la tenebra totale e non vedrà alcuna
redenzione né tentativo di analisi delle sue ragioni. Si tratta di “una porta che rimane
chiusa, da Agostino in poi”130.
129
130
Agostino, Confessioni, Edizioni Paoline, Milano, 2006, libro 7, cap 16
P.E. Dauzat, Giuda. Dal Vangelo all’Olocausto, p. 83.
50
IV.
DALLA LEGGENDA NERA AL RISCATTO
“Anche il suo viso era doppio:
uno dei profili, con l’occhio vivo e penetrante […]
si piegava volentieri in innumerevoli risate distorte, […]
l’altro era liscio come un volto di cadavere, piatto e fisso”131
Tutto quello che ufficialmente sappiamo di Giuda è nei Vangeli e negli Atti degli
apostoli; il resto è analisi teologica, costruzione ed interpretazione di miti che prendono
forma nel periodo immediatamente successivo alla morte di Gesù, fino a raggiungere il
nostro secolo declinati in un gran numero di testimonianze artistiche, letterarie e
filosofiche. È evidente la sproporzione tra la persona Giuda e il personaggio che è
diventato in seguito; la continua metamorfosi di questo mito ne ha reso possibile la
conservazione e il sempre vivo reinventarsi in ogni epoca.
È importante accennare al rapporto che si è instaurato tra Giuda ed il popolo
ebraico. La relazione etimologica e concettuale tra Giuda e Judaeus ha portato ad un
atteggiamento ostile nei confronti dei Giudei, perché faceva supporre un legame fra il
tradimento personale di Giuda e il rifiuto della rivelazione di Cristo da parte dell’intero
popolo ebraico. All’interno del pensiero teologico cristiano si è sviluppata, tra le altre, la
dottrina della teologia della sostituzione secondo la quale Dio avrebbe sostituito l’antica
elezione degli ebrei con quella nuova dei cristiani per mezzo dell’avvento di Cristo.
Infatti, sin dal pensiero delle origini, gli ebrei sono spesso indicati come idolatri e
colpevoli di deicidio. Uno dei segni di questa associazione può essere riscontrata nel
Vangelo di Giovanni, in cui Gesù dice ai Giudei:
“Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non siete capaci di ascoltare la
mia parola. Il diavolo è il padre da cui voi siete e volete compiere i desideri del
vostro padre. Quello è stato omicida fin dal principio e non si mantenne nella
verità, perché la verità non è in lui. Quando dice la menzogna, dice ciò che è suo,
perché è menzognero e padre della menzogna”132
131
132
P.E. Dauzat, Giuda. Dal Vangelo all’Olocausto, p. 45.
Gv 8,43-44.
51
I Giudei vengono esplicitamente detti da Giovanni figli del diavolo, coloro che
operano seguendo la falsa verità della Lettera giudaica e rifiutando la verità spirituale
annunciata da Gesù. Allo stesso modo, Giuda è sottomesso a Satana ed agisce piegato dal
suo potere: in questo modo tutti gli ebrei vengono così considerati collettivamente
colpevoli del rifiuto del messaggio di Cristo e della sua uccisione. L’identificazione è
presente ad esempio nella riflessione teologica di Giovanni Crisostomo (334-407 d.C.),
che con l’intento di contrastare il filogiudaismo di alcuni cristiani, evidenzia e rafforza il
legame suggerito dal vangelo giovanneo tra gli ebrei e il diavolo, affermando che le
sinagoghe erano le dimore del diavolo, colme di ladri e bestie sanguinarie; o anche in
Girolamo (347-419/20 d.C.), che definisce gli ebrei “serpenti la cui immagine è Giuda e
la cui preghiera è un raglio d'asino”.
La storia di Giuda si confonde con quello di un popolo intero, riflettendosi anche in
ambito artistico: in molte rappresentazioni iconografiche medievali l’apostolo verrà
rappresentato con i tratti stereotipati dell’ebreo, ovvero i capelli rossi del “color di
Giuda”, il naso aquilino e le labbra sporgenti; nel XX secolo la tendenza antigiudaica
virerà in un antisemitismo biologico e razziale, che si servirà in modo pretestuoso anche
dell’opera di Giovanni Crisostomo. Nell’ideologia nazista la “feccia ebraica” è ricondotta
a Giuda, e il potere è nelle mani di Ponzio Pilato, il romano-ariano intellettualmente e
razzialmente superiore; l’epiteto “Giuda” viene inoltre utilizzato come un insulto
equivalente a “traditore” ed “ebreo”. Un altro passaggio successivo nella costruzione
delle leggende nere è stato quello di assimilare Giuda all’usuraio (ebreo o cristiano)
avido di denaro e sempre pronto a tradire per trenta denari; dal momento che nei Vangeli
non si parla mai del quantitativo di denaro che Giuda chiede come compenso (ad
eccezione di Mt 26,14-16, in cui i trenta denari vengono offerti dai sacerdoti), è qui
evidente il segno lasciato dall’indicazione giovannea del Giuda ladro, che si indigna per
lo spreco di denaro e sottrae i fondi dalla cassa comune. Giuda si è ormai incarnato
nell’ebreo traditore ed interessato unicamente al denaro.
Si vedranno altri tre esempi di come la figura di Giuda, nella sua oscurità, abbia
dato origine a dei profili ben diversi tra loro; l’apostolo traditore può essere ciò che ogni
autore vuole, nel tentativo di demonizzare la sua figura, ma anche di riabilitarla.
52
1. La Legenda Aurea: il Giuda-Edipo e il Medioevo
All’incirca nel 1265 il domenicano e vescovo di Genova Jacopo da Varagine
scrive la sua raccolta di vite dei santi, la Legenda Aurea; questo fu uno dei testi più
diffusi dell’epoca, secondo solo alla Vulgata; si tratta dell’esempio più ragguardevole
dell’arricchimento della leggenda nera di Giuda nel Medioevo, subito dopo le narrazioni
dei Padri della Chiesa e agli apocrifi. L’opera iniziò a perdere di prestigio (come
d’altronde tutto il genere dei leggendari medievali) solo nel XVII secolo, quando si
metterà in dubbio la storicità delle fonti dell’opera, in larga parte orali e non verificabili
secondo i criteri della metodologia storico-filologica moderna.
L’aspetto interessante dell’opera di Jacopo da Varagine che riguarda la figura di
Giuda, è la consacrazione letteraria di un nuovo profilo, quasi del tutto inedito133: il
Giuda-Edipo, parricida ed incestuoso. I mitemi edipici vanno ad arricchire questa
versione della vita di Giuda, allo scopo di denigrarne ulteriormente la figura e rendere più
indegno il suo crimine, al punto da fargli conquistare suo malgrado una biografia dai
caratteri molto definiti. Nel capitolo 45 della Legenda Aurea134, prima di narrare la
biografia di Mattia, l’apostolo che entrò nella cerchia dei dodici dopo il suicidio di
Giuda, si parla infatti in modo dettagliato della vicenda di quest’ultimo.
Giuda è figlio di genitori ebrei che lo abbandonano in mare in una cesta, a causa
di un sogno premonitore di sua madre secondo cui avrebbe partorito un rampollo terribile
che sarebbe stato la rovina della razza ebraica. Il bambino viene recuperato e salvato
dalla regina di Iscariota, donna senza figli che desiderava ardentemente un erede al trono;
questa lo alleva come un futuro principe fino alla nascita del figlio legittimo dei reali.
Mosso dalla gelosia nei confronti del nuovo nato, il principe Giuda vessa
incessantemente il bambino, fino al momento in cui la donna, disperata per il
comportamento del figlio adottivo, gli svela la sua storia e la sua provenienza. Accecato
dall’ira e dalla vergogna, Giuda uccide l’infante innocente e si imbarca su suggerimento
della regina verso Gerusalemme.
A questo punto, la storia di Giuda diventa quella di Edipo, allungando la catena
delle declinazioni del mito greco; Giuda viene preso come allievo dal malvagio Pilato,
133
Si è visto come l’accostamento tra Giuda ed Edipo fosse stato esplicitato in primo luogo nella raccolta
post-origeniana Filocalia, ma con un’intenzione decisamente differente.
134
Jacopo da Varagine, Legenda Aurea, Einaudi, Torino, 1995.
53
che un giorno lo istiga a rubare delle mele dagli alberi di un giardino privato. La dimora
appartiene al padre biologico di Giuda, Ruben, ma egli non ne è a conoscenza e
dall’intrusione nella proprietà scaturisce un litigio che porterà Giuda ad uccidere il padre
con una sassata sul capo. Subito dopo Pilato rileva tutte le proprietà del defunto e fa
prendere in sposa a Giuda la vedova, Ciborea. Il dramma viene rivelato a Giuda solo in
seguito, quando la donna, infelice del proprio destino e per perdita del marito e dell’unico
figlio, gli racconta la storia di come in passato avesse abbandonato il suo bambino; solo
allora Giuda comprende di essere l’assassino di suo padre, e su consiglio della madre si
reca da Gesù per trovare conforto nel suo messaggio misericordioso. Egli riesce ad
ottenere il perdono per i suoi peccati e diventa uno dei dodici apostoli. Tutto questo
prima che la sua natura malvagia ed avida135 prendesse di nuovo il sopravvento,
portandolo a tradire Gesù.
L’assimilazione nella leggenda cristiana di Giuda ad Edipo interessa anche la
figura di Caino, assassino di Abele, proiettando sull’apostolo traditore l’immagine della
totalità del male che l’essere umano può compiere: in questa narrazione Giuda è
l’incestuoso compagno della madre, l’assassino del fratello e del padre, e il traditore del
figlio di Dio. Inoltre l’intrusione nel giardino non può non richiamare il tema del
paradiso terrestre: il Giuda-Adamo è tentato dal Pilato-Eva a raccogliere il frutto proibito,
rendendo così possibile che “dopo essere stato un trovatello come Zeus, Telefo, Edipo,
Romolo e Remo […] fratricida come Caino, Giuda diventi il nuovo Adamo”136.
In Giuda nel Medioevo si sono condensate anche tutte la caratteristiche fisiche
ignobili dell’uomo, assurgendo anche a modello di disumanità e deformità.
Nell’iconografia le sue labbra diventano nere e gonfie a causa del bacio che aveva
insozzato la purezza del Cristo, i suoi abiti sono diversi da quelli degli altri apostoli e
spesso sul suo viso vengono raffigurate espressioni contorte di dolore; talvolta viene
rappresentato con la barba caprina, simile a quella del diavolo. Inoltre, le scene in cui si
ritrae la sua morte sono caratterizzate, dalla presenza di demoni che ne invadono il corpo
e da deformità fisiche che ne rispecchiano l’anima nera: gli occhi vomitati fuori dalle
orbite e il volto attraversato da spasmi. Un ulteriore esempio è l’affresco di Giotto Il
135
Nella Legenda Aurea, Jacopo da Varagine fa riferimento al vangelo giovanneo, dicendo che Giuda era
ladro e che sottraeva il denaro dalla borsa comune affidatagli da Gesù.
136
P.E. Dauzat, Giuda. Dal Vangelo all’Olocausto, p. 70.
54
bacio di Giuda (o Cattura di Cristo)137, in cui il volto di Giuda è trasfigurato in una
maschera bestiale e dai tratti scimmieschi. “Bisognerà attendere l’Ultima Cena di
Leonardo da Vinci per vedere un primo strappo a questa regola”138: difatti solo negli anni
a cavallo tra il XV e il XVI secolo si vedrà tornare Giuda in mezzo agli altri apostoli,
dopo esser stato per secoli dall’altra parte della tavola, diametralmente opposto a Gesù.
Leonardo lo raffigura invece nella parte sinistra, accanto a Pietro e Giovanni; egli tiene
stretta la borsa col denaro e ha una mano protesa verso il pane, vicinissima a quella di
Gesù139: “La mano di colui che mi tradisce è con me, sulla mensa” ed è quella che intinge
il boccone nel suo stesso piatto.
Jacopo da Varagine scriverà anche della morte di Giuda, manifestando anch’egli
il comune desiderio di uniformare le versioni della morte, l’impiccagione e lo
spargimento delle viscere. A partire dalla sua Legenda Aurea e ben oltre l’accostamento
con Edipo, nel Medioevo ci sarà un’esplosione del mito, al pari del ventre di Giuda:
“Ma alla sua bocca non venne concesso di vomitare; infatti, non era giusto che
venisse insozzata in modo tanto abietto una bocca che ne aveva toccata un’altra
gloriosa, quella del Cristo. Ed era giusto che le sue viscere, le quali avevano
concepito il tradimento, fossero squarciate e si spargessero a terra, e che la gola
da cui era uscita la parola del tradimento fosse strangolata da una corda. Ed egli
morì sospeso in aria, inoltre, affinché colui che aveva offeso gli angeli in cielo e
gli uomini in terra fosse separato dalla sfera degli angeli e da quella degli uomini,
e venisse associato ai demoni dell’aria”140
2. Un’interpretazione storico-politica: Thomas de Quincey
Dopo la demonizzazione medievale operata nei confronti di Giuda, si è cercato di
caratterizzare la vicenda del tradimento dal punto di vista politico, nel tentativo di
inserirla in un terreno più certo e meno mitizzante,. È chiaro ormai come si possa
avanzare qualsiasi interpretazione e congettura circa le motivazioni che spinsero Giuda al
tradimento, data l’immagine sfocata che i Vangeli ne restituiscono.
137
Giotto, Il bacio di Giuda (o Cattura di Cristo), 1303-1305, Cappella degli Scrovegni, Padova
Ivi, p. 62.
139
La rappresentazione di Leonardo è ispirata al vangelo di Giovanni, in cui manca il vino ed è presente il
dialogo tra Pietro e Giovanni sull’identità del traditore (Gv 13,23-25).
140
Jacopo da Varagine, Legenda Aurea, Vita di San Mattia.
138
55
Una particolare lettura in chiave politica della questione è avanzata dall’inglese
Thomas De Quincey (1785-1859), nell’opera Giuda Iscariota141 del 1853. Secondo lo
studio dello scrittore e teologo, Giuda sarebbe stato un componente della frangia
estremista dei Farisei, gli Zeloti, che speravano di accelerare il tempo della venuta del
regno di Dio e gli esiti della rivolta politica contro le autorità romane, fomentando gli
animi ad insorgere, con un moto di violenza sacra. Giuda, lo “zelota deluso”, sarebbe
stato mosso al tradimento da una profonda insoddisfazione politica nei confronti del suo
maestro Gesù; nella sua vicenda dunque si intrecciano saldamente da un lato le
aspirazioni storico-politiche dei gruppi ebraici antiromani, e dall’altro la spinta
innovativa e sovversiva del messaggio religioso del Cristo.
L’intento che muove l’analisi “storica” di De Quincey è dichiarato esplicitamente:
si tratta di respingere tutte quelle “ipotesi pericolose che imputano il tradimento di Giuda
alla cupidigia”142, come invece è detto in primo luogo nel Vangelo di Giovanni.
Considerarlo semplicemente ladro sarebbe la “solita ricostruzione”, mentre l’opera di De
Quincey rientra in quel filone esegetico che tenta un’analisi diversa della vicenda di
Giuda; attraverso originale percorso, l’autore inglese intende restituire all’apostolo la sua
onestà e la sua sincerità, vedendo in lui certamente un uomo su cui grava un tragico
errore, ma anche uno spirito passionale che voleva forzare il destino ed accelerare gli
eventi. Dopo l’ingresso di Gesù a Gerusalemme i tempi per la reazione erano sembrati
maturi e Giuda si dimostrò bisognoso di azione politica, manifestando di volere che Gesù
restaurasse al più presto il trono di Davide. Giuda risulta qui animato sostanzialmente da
un profondo spirito patriottico e da una fede politica più che religiosa, che alla fine lo
porta, suo malgrado, a fraintendere il messaggio di Gesù.
Secondo De Quincey, la cecità spirituale appartenne a tutti i dodici apostoli nel
momento in cui si dimostrarono inquieti davanti alle parole enigmatiche di Gesù:
“Nella loro mente, come nella sua, non si era ancora fatta strada l’intuizione della
vera grandezza del progetto cristiano. Solo in una cosa andò oltre i suoi fratelli: pur
condividendone la cecità, li superò in presunzione. […] Non era affatto la religione
quello che, prima della crocifissione, ritenevano l’oggetto dell’insegnamento di
Cristo; per loro era la preparazione di un progetto di espansione terrena. Tuttavia
141
142
T. De Quincey, Giuda Iscariota, Ibis, Como, 2007.
P.E. Dauzat, Giuda. Dal Vangelo all’Olocausto, p. 110.
56
mentre gli altri apostoli semplicemente non avevano capito il loro maestro, Giuda
aveva presuntuosamente creduto di averlo davvero capito. […] Il suo obiettivo era
estremamente audace ma (secondo la teoria che sto esponendo) proprio per questa
ragione, niente affatto proditorio. Quanto più Giuda fu incline all’audacia, tanto
meno può essere sospettato di malvagità”143
L’autore pone anche l’attenzione sulle discordanze dei racconti evangelici che
narrano la morte di Giuda, tentando di ricondurre la sua duplice morte (impiccagione e
rottura degli intestini con fuoriuscita delle viscere) ad una sola. A questo proposito viene
citato proprio il resoconto di Papia, definito “un orribile mucchio di sciocchezze”144, e
viene analizzata la descrizione della morte in At 1, 18: “Precipitando si spaccò in mezzo
e si sparsero tutte le sue viscere”. De Quincey propone una lettura in senso metaforico
del precipitare, del rovinare a testa in giù come simbolo della caduta estrema di colui che
si è affrettato alla morte piuttosto che dedicarsi ad un percorso di redenzione.
Analizzando il significato della parola viscere, viene poi richiamata dall’autore
un’accezione greca e latina del termine, che veniva impiegato in fraseologie simboliche
per indicare gli affetti domestici e sociali. Anche il cuore è tra i visceri145, ed è sede di
nobili sentimenti: Giuda si spacca nel mezzo e sparge i suoi visceri perché il suo cuore è
spezzato, oppresso dal dolore per aver causato la rovina di Gesù. Secondo questa analisi,
la descrizione di una morte per eviscerazione è del tutto mendace e fuorviante rispetto al
significato più autentico della Scrittura; sono la disperazione, la contrizione e lo
sgomento a portare Giuda alla sua unica morte, il suicidio.
Il merito del tentativo esegetico di De Quincey sta nell’evidenziare le zone
d’ombra della narrazione evangelica, preservandole ed evitando che si imponga una sola
interpretazione; “La vita di Giuda e la morte di Giuda, considerate separatamente o
insieme […] sono aperte a dubbi o perplessità. […] Vi è sempre stata una certa oscurità,
e anche dell’imbarazzo, riguardo alla morte di Giuda”.146 Laddove le Scritture stesse
invitavano a sospendere il giudizio, arrivò l’azione chiarificatrice della Chiesa che tentò
143
T. De Quincey, Giuda Iscariota, pp. 15-16.
Ivi, p. 38.
145
Ivi, p. 42: “I romani hanno indicato la sede della sensibilità più generosa e nobile (cioè della morale)
con queste tre parole indifferentemente: pectus, præcordia, viscera.”
146
Ivi, pp. 22 e 24.
144
57
di conciliare le espressioni contraddittorie della “cronaca ufficiale dell’unica memorabile
tragedia domestica nell’infanzia della storia cristiana”147.
Il Giuda di De Quincey risulta essere quell’uomo che aveva scatenato una serie di
conseguenze che non aveva mai calcolato né ritenuto possibili ed è questo il motivo per
cui egli si pente sinceramente, per cui il suo cuore è spaccato e spasimante. Non fu
l’uomo che aveva progettato la rovina di Gesù per avidità o infamia, ma solamente
l’apostolo che aveva tentato nel modo più arrogante e terreno di rendere grande il suo
maestro.
3. Borges, teologo immaginifico di Giuda
L’ultimo racconto della raccolta Finzioni148 (1944) dell’argentino Jorge Luis
Borges (1899-1986) è intitolato Tre versioni di Giuda e rappresenta un’ulteriore
declinazione della figura dell’apostolo traditore. L’opera è di carattere metafisico e
teologico “immaginifico”; l’autore gioca letteralmente con gli specchi, i labirinti e i miti,
narrando storie di duplicazioni e smarrimenti inquietanti, miracoli ed eresie. La finzione
su Giuda si rivela decisamente consapevole della profondità del mistero di questo
personaggio, ovvero l’oscillazione tra un’intimità profonda con Cristo e un
allontanamento solitario, e come tutta la letteratura di Borges si muove sul confine tra
realtà ed immaginazione.
Borges ambisce esplicitamente ad una finzione teologica e narra che il
protagonista, il teologo svedese Nils Runeberg, prende come punto di partenza per la sua
analisi lo stesso assunto che aveva mosso l’interpretazione “storica” di De Quincey: tutto
ciò che la tradizione attribuisce a Giuda è falso. È in quest’ottica che Runeberg rilegge la
vicenda nelle sue opere Kristos och Judas e Den hemlige Frälsaren, ed espone le sue tesi
teologicamente ardite e al limite della bestemmia; l’obiettivo è interrogare uno dei
misteri teologici centrali della religione cristiana, nel tentativo di dare una soluzione
all’”enigma di Giuda” ed arrivando a restituirne tre profili differenti.
La prima questione che Runeberg solleva in Kristos och Judas è la superfluità del
tradimento di Giuda; infatti osserva come Gesù fosse molto conosciuto all’epoca, dal
147
148
Ivi, p. 29.
J.L. Borges, Finzioni, Einaudi, Torino, 2007.
58
momento che frequentava quotidianamente gli ambienti della sinagoga ed aveva
compiuto miracoli in presenza di un gran numero di persone. Non risultava dunque
necessaria la denuncia ai sacerdoti del tempio, né gesto di indicarlo con il bacio: il
tradimento di Giuda fu perciò un evento prestabilito, che ebbe il suo luogo misterioso
all’interno dell’economia della redenzione.
“Incarnandosi, il Verbo passò dall’ubiquità allo spazio, dall’eternità alla storia,
dalla beatitudine senza limiti al mutamento e alla morte; per rispondere a un
simile sacrificio, era necessario che un uomo, in rappresentanza di tutti gli
uomini, facesse un sacrificio adeguato. Quest’uomo fu Giuda Iscariota. Egli solo
tra gli apostoli intuì la segreta divinità e il terribile intento di Gesù. Il Verbo si era
abbassato alla condizione di mortale; Giuda, discepolo del Verbo, poteva
abbassarsi alla condizione di delatore […]”149
Giuda non agisce per pura casualità e né tantomeno per il turpe movente della
cupidigia, ma per una affinità intima e reale con Gesù e la sua missione; da buon
discepolo decide di tradire il maestro per glorificarlo ed insieme annichilire se stesso.
Runeberg indaga questo secondo aspetto della figura di Giuda nella sua seconda opera
(Den hemlige Frälsaren) dopo che le sue tesi erano state rigettate dai teologi di ogni
confessione. L’apostolo ha agito per “gigantesca umiltà”150, poiché non si reputava
degno di essere buono e felice, dal momento che riteneva che questi attributi dovessero
essere riservati alla sfera divina e non a quella umana. Runeberg in questa versione di
Giuda riprende anche alcune considerazioni già presenti nella trattazione origeniana:
l’apostolo traditore sarebbe stato realmente buono e per questo fu scelto tra i dodici, e al
pari degli altri aveva il compito di risanare gli infermi, ed annunciare la pace.151
Questo Giuda è mosso da una sorta di ascetismo iperbolico ed illimitato a
prendere su di sé tutti i peccati del mondo, più di Gesù stesso, fino ad arrivare a
macchiarsi di infamia e abnegazione: “Giuda cercò l’Inferno, perché la felicità del
Signore gli bastava”152. Giuda ha avvilito così il suo spirito, come l’asceta mortifica le
149
J.L. Borges, Finzioni, p. 143-144.
Ivi, p. 145.
151
Cfr. Mt 10,7-8: “Guarite gli infermi, risuscitate i morti, mondate i lebbrosi, scacciate i demoni.
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”; Lc 10,5-6: “Quando entrerete in una casa, dite per prima
cosa: «Pace a questa casa». Se c’è qualcuno che ama la pace, riceverà la pace che gli avete augurato”.
152
Ivi, p. 145.
150
59
sue carni, e si è stimato indegno di essere buono allo scopo di esaltare la divinità di Gesù
per mezzo della sua infelicità.
Infine, nell’ultima delle tre versioni di Giuda, emergono i tratti di un nuovo
profilo, quello del Giuda-Gesù: è l’apostolo traditore il vero figlio di Dio, perché è
l’unico personaggio che permette realmente al Verbo di farsi carne fino in fondo, nel
destino dell’uomo più infimo153. I due sono immagini della stessa anima e la delazione
viene intesa come specchio della redenzione: i trenta denari ed il bacio sono la
controparte terrena dell’economia del riscatto e le morti di Cristo e Giuda sono la prima
il perfezionamento dell’opera divina mentre la seconda è il tragico consumarsi della
riprovazione umana. Giuda rispecchia in qualche modo Gesù, come le macchie della
pelle sono una carta delle costellazioni incorruttibili; infatti si dice che il testo di
Runeberg si apre con la citazione evangelica di Gv 1,10, che viene riferita a Giuda. I due
erano nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di loro, ma il mondo non li riconobbe; il
nome segreto e terribile di Dio sarebbe proprio “Giuda” e l’indifferenza dinanzi alla
scoperta del teologo svedese ne è la conferma:
“Invano le librerie di Stoccolma e di Lund proposero questa rivelazione. Gli
increduli la giudicarono, a priori, un insipido e laborioso gioco teologico; i teologi
la disdegnarono. Runeberg intuì in questa indifferenza ecumenica una quasi
miracolosa conferma. Dio ordinava questa indifferenza: Dio non voleva che si
propalasse sulla terra il suo terribile segreto.”154
Runeberg aveva scoperto il nome segreto di Dio, e lo aveva rivelato nella sua
opera, attirando su di sé antiche maledizioni divine:
“Ricordò Elia e Mosè, che sulla montagna si coprirono il volto per non vedere:
Isaia che atterrì quando i suoi occhi videro Colui la cui gloria riempie la terra, Saul
che restò cieco sulla via di Damasco […]. Non era egli stesso, forse, colpevole di
questo crimine oscuro? Non sarebbe questa la bestemmia contro lo Spirito, quella
che non sarà perdonata?”155
153
Ivi, p. 147: “Dio interamente si fece uomo, ma uomo fino all’infamia, uomo fino alla dannazione e
all’abisso.”
154
Ibidem.
155
Ibidem.
60
Il breve racconto di Borges si conclude infatti con la morte di Runeberg,
sopraggiunta poco dopo la pubblicazione del suo secondo trattato, dopo aver vagato per
la città “ebbro d’insonnia e di vertiginosa dialettica”.
Nell’opera mitica di Borges si ritrovano gli elementi di un dualismo cosmico che
vede in relazione oppositiva il mondo terreno ed una realtà altra, celeste ed incorruttibile,
e che rimandano in modo iperbolico ai sistemi gnostici. Egli scrive infatti che se
Runeberg fosse vissuto nel II secolo, nel tempo in cui “Basilide annunciava che il cosmo
è una temeraria o malvagia improvvisazione di angeli imperfetti” avrebbe potuto dirigere
con “singolare passione intellettuale una delle conventicole gnostiche”.156 Nell’ultima
versione di Giuda, Borges riesce a superare le idee propriamente gnostiche
iperbolizzandole, arrivando ad identificare il Dio buono nel destino dell’uomo più basso.
Una delle idee che sottendono l’analisi di Giuda (e in generale la letteratura di Borges) è
quella dell’inesauribilità del mistero, che è per sua natura eccedente qualsiasi soluzione e
porta sempre a nuovi interrogativi ed analisi di ogni storia che pare sia siglata dalla
parola fine:
“[Nils Runeberg] Morì della rottura di un aneurisma, il primo marzo 1912. Gli
eresiologi forse, ne faranno cenno: aggiunse al concetto di Figlio, che sembrava
esaurito, le complessità del male e della sventura.”157
Giuda sarebbe allora qui un simbolo, il più eclatante, di una necessaria e continua
revisione della storia e dei suoi personaggi, di un continuo addentrarsi in labirinti
indistricabili, e non solo un pretesto ironico per ribaltare la scala etica cristiana; dal punto
di vista letterario questo sguardo rinnovato e questo continuo attingere al segreto è
sempre possibile.
156
157
Ivi, p. 142.
Ivi, p. 148.
61
James Tissot, Judas hangs himself, dalla serie The life of Jesus Christ
(1886-1894)
Brooklin Museum, New York
62
CONCLUSIONE
La trattazione teologica di Origene ed Agostino è un cardine centrale in questo
breve e di certo non del tutto esaustivo itinerario nella storia di Giuda, anzi nelle sue
innumerevoli storie e profili. Si è partiti dalla restituzione del profilo più genuinamente
bilico, per passare a quello gnostico del Vangelo di Giuda, rispondente a tutt’altro
impianto teologico, passando per la teologia patristica fino alla diffusione artistica e
letteraria di una leggenda che si propaga in modo autonomo nel Medioevo ed oltre.
Le analisi di Origene ed Agostino racchiudono il nucleo profondo dell’interesse
per questo personaggio perché, seppur profondamente divergenti circa il suo destino,
vedono in Giuda la stessa essenza: egli rappresenta la drammatica condizione umana,
nella sua tensione continua tra libero arbitrio e onnipotenza divina. In Origene incarna
l’ambigua medietas umana, in oscillazione continua tra bene e male; in Agostino invece,
la peculiarità umana di essere irresistibilmente piegata ad operare perversamente, a causa
del peccato adamitico che ha gettato l’ombra del male su tutta la creazione. L’arbitrio di
Giuda è in questo caso servum e senza l’intervento della grazia può agire solo in questa
direzione. Dal punto di vista teologico, per entrambi lo studio di questo personaggio
rappresenta lo sforzo speculativo di spiegare lo scandalo del male al cospetto dell’amore
di Dio; è questo l’unico modo per comprendere il mistero, altrimenti inspiegabile, della
frattura tra mondo e Dio.
Inoltre è stata constatata la grande diffusione della figura di Giuda in Occidente
ed è per questo che nonostante la sua morte nelle tenebre e la dannazione continua di cui
è stato fatto oggetto, egli rimane saldamente nella nostra cultura. In ogni storia o
leggenda in cui figura Giuda egli rimane sempre associato al tradimento anche al di fuori
dell’ambito teologico; si avvierà un meccanismo di universalizzazione del mito
propriamente cristiano, che permetterà a Giuda di diventare anche il simbolo laico del
tradimento. Per poter essere trapiantato in altri contesti culturali e diventare l’archetipo
del traditore, Giuda deve perdere quegli elementi tipici dell’originaria cornice cristiana,
ovvero l’intimità del gesto del bacio che accompagna la consegna, la tensione tra volontà
umana e adempimento del volere di Dio e i concetti di pentimento, conversione e
dannazione. In questa nuova forma, Giuda conoscerà addirittura metamorfosi orientali,
inserendosi tra i rari miti che da Occidente sono migrati in Oriente; è il caso della
63
letteratura di Shûsaku Endo, giapponese convertito al cattolicesimo, e in particolare del
suo romanzo Silenzio (1966). La migrazione di Giuda nella cultura orientale comporterà
anche un’inversione di paradigma: in Silenzio, l’apostata cristiano Kichijiro-Giuda può
diventare anche una figura degna di compassione, ossia quell’uomo che viene sempre
confessato e perdonato dal padre portoghese Sebastian Rodrigues-Gesù, nonostante i
ripetuti tradimenti che compirà nei suoi confronti durante la missione attraverso i villaggi
del Giappone anticristiano.
Il “nodo scorsoio” che soffoca continuamente Giuda rimane confinato in Occidente
e la sua dannazione non verrà esaurita con lo spargimento di viscere del Medioevo, ma
ritornerà nel XX secolo con l’aggressivo antisemitismo nei confronti del popolo ebraico e
del suo simbolo, Giuda. Spesso egli rimane tutt’oggi la “trama implicita dei nostri
risentimenti”158, un capro espiatorio su cui riversare tutte le colpe e l’odio possibili;
nonostante la riabilitazione del XVII secolo e di una certa letteratura moderna e
contemporanea può ancora essere inteso “agostinianamente” come l’individuo totalmente
malvagio che muore solo e disperato nella notte. È questo il Giuda dipinto alla fine del
XIX secolo dal francese James Tissot (1836-1902): un impiccato vestito di rosso con il
volto deformato da un ghigno diabolico, su cui aleggiano demoniaci corvi neri (qui, p.
59). Questa tarda rappresentazione ha molte affinità con la tipica iconografia medievale,
e rimanda alla Desperatio dipinta da Giotto nella cappella degli Scrovegni circa 500 anni
prima, nel 1306, in cui si vede una donna impiccata con le mani contratte da spasmi e un
diavolo nero simile a un uccello che le graffia la testa; similmente, nel suo Giudizio
universale Giotto dipinge un Giuda impiccato e sventrato, subito sotto il fiume infernale
che travolge gli usurai e vicino ad un Lucifero a due bocche. (qui, p. 21)
Nel tentativo di evitare affermazioni troppo radicali, come ad esempio che “il
microbo dell’”odio necessario” è stato nel Cristianesimo l’odio per Giuda, e si hanno
buone ragioni per pensare che questo spauracchio sia stato inventato per assicurare un
posto all’odio, come in sostituzione della tomba vuota dell’amore”159, in questo percorso
si è cercato di affermare prima di tutto la capacità di questo mito di adattarsi fluidamente
a ogni epoca e ad ogni intento (apologetico e non), assumendo profili sempre nuovi.
158
159
Ivi, p. 203.
Ivi, p. 207.
64
Data l’attenzione che è stata posta nell’indagare alcune delle declinazioni medievali
del mito e delle macabre sorti di Giuda, è doveroso in ultimo richiamare una delle più
celebri rappresentazioni del suo supplizio, quella dantesca. Nella Divina Commedia
Giuda è l’uomo che usa l’arma del tradimento per colpire Gesù (“la lancia / con la qual
giostrò Giuda”160), e che viene confinato nella Giudecca (che deve il suo nome proprio a
Giuda Iscariota), assieme ai traditori dei benefattori. Bruto e Cassio sono ingoiati dalle
bocche laterali del Lucifero a tre teste a partire dalle gambe, mentre il corpo di Giuda è
implacabilmente masticato nella bocca rossa dell’Odio:
Oh quanto parve a me gran meraviglia
quando vidi tre facce alla sua testa!
L’una dinanzi, e quella era vermiglia;
[…]
A quel dinanzi il mordere era nulla
verso ‘l graffiar, che talvolta la schiena
rimanea de la pelle tutta brulla.
«Quell’anima là sú c’ha maggior pena»,
disse ‘l maestro, «è Giuda Scarïotto,
che ‘l capo ha dentro e fuor le gambe mena»161
160
161
Dante Alighieri, Divina Commedia, Purgatorio, canto XX, vv. 73-75.
Inferno, canto XXXIV, vv. 37-39 e 58-63.
65
Coppo di Marcovaldo, Giudizio Universale, (Inferno)
(1260-1270)
Battistero di San Giovanni, Firenze
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