Attacchi di Panico e Fobie - Associazione INSIEME Onlus
by user
Comments
Transcript
Attacchi di Panico e Fobie - Associazione INSIEME Onlus
UNIVERSITÀ DI MESSINA FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE Corso di Laurea in Scienze dell'Educazione e della Formazione Sede di Noto (SR) ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Attacchi di Panico e Fobie Tesi di Laurea di: Corradina Triberio Relatore: Chiar.mo Preside. Prof. Antonino Pennisi ANNO ACCADEMICO 2010-2011 I A San Giuseppe Moscati ed ai miei cari Genitori con tanto amore II INTRODUZIONE Inizio la mia Tesi di Laurea dal titolo: “ATTACCHI DI PANICO E FOBIE” raccontandovi il motivo della mia scelta per questo argomento: Io soffro di DAP. DAP,cosa significano questa tre lettere ? Significano: DISTURBO DA ATTACCO DI PANICO. Era una calda mattina afosa dell’estate dell’anno 2001 quando ad un tratto scendendo le scale di casa mia che dalla mia stanza portano in cucina chiamavo disperatamente mia madre in preda ad un malore improvviso e sconosciuto la cui vertigine, il senso di svenimento e la tachicardia mi stavano inghiottendo in un vortice immaginario con tanta paura di morire che si era impadronita di tutta me stessa. Per fortuna bastò la presenza amorevole di mia madre ed il susseguirsi di qualche interminabile minuto per ritornare alla realtà ed al benessere. Sì, proprio alla realtà; perché quando si ha un attacco di panico la realtà è soffocata dalla paura che si impadronisce di tutto te stesso: mente e corpo. Da quell’attacco di panico improvviso la mia vita cambiò. Ma cosa mi portò a stare così male ? Una notizia per me scioccante il cui protagonista era il cuore malato di una persona a cui volevo molto bene. Trasferì in modo psicosomatico la malattia cardiaca in me stessa fino a soffrire di DAP. Dopo quel primo attacco di panico ce ne furono tanti altri per un intero anno sedando il malore sporadicamente con un ansiolitico quando era necessario. Dopo quel periodo la mia vita ricominciò ad essere “normale” in quanto gli attacchi di panico si erano allontanati, ma gestivo la mia vita non facendo attività in cui sapevo che il mio cuore avrebbe accelerato il suo battito quindi non facendo più sport e spostandomi solamente con mezzi di trasporto a motore anche per brevi tratti di distanza. Vivevo la vita condizionata dal pensiero del cuore . I miei genitori erano ignari di tutto ed io ne ero poco consapevole per me la cosa principale ed più importante era non affaticare il mio cuore. Ero diventata cardiopatica nella mia mente benché il mio organo cardiaco fosse in perfetta salute. Passarono gli anni vivendo in questo modo. III Una sera dei Mondiali di Calcio dell’anno 2006 ero in casa da sola ed avrei dovuto raggiungere i mie genitori a casa di amici. Mi stavo preparando quando sentì il mio cuore battere più velocemente, il respiro affannato, il tutto sfociando in tachicardia ed in un attacco di panico improvviso. Riuscì a telefonare a mia madre che mi raggiunse in fretta e con amorevoli cure e l’intervento tempestivo del mio medico di famiglia riuscì a stare bene. La mia vita subì una trasformazione. Per tre lunghi mesi mi vennero attacchi di panico ogni giorno e spesso mi costringevano a recarmi al pronto soccorso. Sono arrivata quasi ad uno stato vegetativo: avevo paura a camminare, mangiavo solo imboccata da mia madre riuscendo ad inghiottire pochi bocconi di cibo, avevo paura ad uscire, avevo paura a lavarmi, avevo paura degli specchi, avevo paura a ridere, avevo paura quasi a parlare lo facevo sottovoce per non sforzarmi; la mia vita si svolgeva coricata a letto e dicendo in continuo solo una cosa : HO PAURA. I miei genitori erano disperati, ma nel frattempo non accettavano di portarmi da uno psichiatra perché i disturbi mentali sono visti come un qualcosa di cui ci si deve vergognare e di cui si ha paura ad affrontarli, ma poi vista la grave situazione l’hanno affrontata portandomi in ospedale da uno bravo psichiatra. Ero arrivata ad avere ventuno attacchi di panico nelle ore solari e durante le ore notturne era un susseguirsi di attacchi di panico anche mentre dormivo ed ero dimagrita più di dieci Kg, destando preoccupazione e molto timore ai miei genitori Nel novembre dell’anno 2006 i miei genitori mi hanno messa in macchina e portata in ospedale dal mio psichiatra di fiducia e dopo un colloquio e la visione di analisi cliniche e visite cardiologiche perfette ha diagnosticato il: DISTURBO DA ATTACCHI DI PANICO. Ho iniziato la cura farmacologica l’indomani del colloquio con lo psichiatra e da quel momento la mia vita è stata in ascesa perché il mio corpo ha avuto una riposta positiva farmacoterapia, invece alla psicoterapia non rispondevo in modo positivo ed ho dovuto abbandonare perché mi sentivo nervosa ed angosciata dopo il colloquio con lo psicoterapeuta. La mia cura risolutiva è stato l’amore di mia madre che mi ha strappata con forza e volontà alle mie fobie, la farmacoterapia che mi ha aiutata a non avere il malore degli attacchi di panico, la mia voglia di vivere che non mi è mai mancata. IV Adesso dopo molti anni sono qui a scrivere la mia testimonianza di vita, sto bene, ho ripreso la mia vita e mi metto in gioco anche se ancora continuo a curarmi con la farmacoterapia con dosi di mantenimento. Voglio puntualizzare per esperienza personale che per uscire dall’incubo del DAP non bastano le terapie ma si deve volere, si devono accettare le cure, si deve accettare di essere aiutati perché se non si è affiancati da tutto ciò è molto difficile uscirne si avranno sempre delle ricadute come l’ho avuta nel 2006. Consiglio a tutti coloro che ne soffrono di farsi aiutare da specialisti ed accettare le cure perché senza una cura è solo un cammino in discesa. La mia tesi si apre con una piccola dedica, seguono il frontespizio, l’introduzione, una poesia scritta da me dal titolo: “Attacco di Panico”, quindi i capitoli della tesi. I capitoli sono cinque, all’interno di ciascuno di esso ci sono i vari paragrafi che sviluppano l’argomento trattato in cadauno. Alla fine della tesi abbiamo la conclusione, l’indice e la bibliografia. Dedico la mia tesi principalmente a San Giuseppe Moscati il Medico Santo di cui sono diventata devota non appena l’ho incontrato nella cappella dell’ospedale dove lavora il mio psichiatra di fiducia ed ai miei meravigliosi genitori che mi hanno dato la vita e sostenuta sempre e che mi hanno dato la possibilità di studiare. Inoltre al mio amico che non c’è più di nome Davide ed al mio carissimo psichiatra il Dott.Orazio Antonuccio primario del reparto di Psichiatria all’Ospedale di Avola (SR). Ancora dedico la mia tesi in modo particolare alla Santissima Trinità, la Madonna, San Pio da Pietrelcina,San Giovanni Bosco, San Corrado, Santa Lucia, Santa Rosalia e Sant’Agata che ho pregato tanto ed invocato per aiutarmi negli studi universitari. Ringrazio tutti i miei professori del mio corso di Laurea in “Scienze dell’Educazione e Formazione”, i segretari e tutti coloro che mi sono stati vicini in questo percorso di studi. Ringrazio per ultimo, ma non per importanza, il mio relatore il Preside Professore Antonino Pennisi che mi ha dato la possibilità di scrivere la tesi sull’argomento che io desideravo. Concludo l’introduzione alla mia tesi con una poesia che ho scritto in cui descrivo uno dei mie tanti attacchi di panico improvvisi augurandovi una buona lettura. Corradina Triberio V Poesia: ATTACCO DI PANICO Inaspettatamente I secondi sembrano lunghi anni sono dentro un vortice mi gira la testa mi sento svenire sono fuori dalla realtà sento solo vertigini nel mio corpo la strada succhia mi agito tutta me stessa. non riesco a prendere le medicine sono lì dentro la borsa che ho tra le mani Il mio sguardo è alienato non riesco ad aprirla il sudore aumenta sempre più il mio corpo non risponde AIUTO il mio cuore è impazzito. nessuno mi aiuta mi sento svenire AIUTO cerco di camminare mi tremano le mani il mio respiro è sempre più affannato mi tremano le braccia il mio cuore è troppo agitato mi tremano le gambe sto perdendo i sensi non riesco a reggermi in piedi AIUTO lo grido forte ci sono riuscita la mia voce è inesistente ma, mi manca l'aria tutti si allontanano AIUTO hanno paura del mostro che si è impossessato di me sto impazzendo a stenti riesco a camminare mi trascino a passi lenti AIUTO ed arrivo alla soglia della porta amica che mi salva per l'ennesima volta sto morendo. dal pazzesco vortice che mi stava inghiottendo Corradina Triberio VI CAPITOLO 1 Premessa La salute della psiche è meno nota alle persone in quanto i mass media dedicano soprattutto rubriche di medicina informando quasi unicamente sulla salute del corpo e quindi le persone quasi ignorando l’universo dei disturbi mentali non comprendono l’importanza della salute mentale. I disturbi mentali evocano ancora tutt’oggi un senso di imbarazzo e di vergogna sia in chi ne soffre, sia nei familiari che nel contesto sociale in genere. La medicina si occupa del visibile e dell’oggettivo in quanto cura il corpo, ma l’invisibile cioè la psiche la cui parola deriva dal greco Psiche che significa “anima” viene curata dalla psicologia. Diceva Aristole: “ L’anima è ciò che un corpo può fare di un corpo naturale dotato di organi, essa costituisce l’attività primaria ed intenzionale”. La nozione di anima però non coincide con quella di mente. La mente è paragonata al software del computer cioè il programma ossia le giuste informazioni formate da una lista di istruzioni emanate dalla nostra rete neurale ed è stato scoperto che il corpo umano trasmette in codice binario; il cervello invece è paragonato all’hardware del computer cioè la parte organica del nostro corpo. La psicologia sfocia nella psicologia contemporanea o delle scienze cognitive in generale agli odierni orientamenti di studio e di comprensione delle malattie mentali cioè alla psicopatologia ed alla psichiatria. La psicopatologia si apre essenzialmente alla filosofia esistenziale di dare una interpretazione del malato e della malattia mentale quindi della comprensione e descrizione fenomenologica della modalità di esistenza e dei vissuti dei soggetti malati a svelarne le strutture ontologiche legate all’impossibilità di essere o sentirsi diversi. La psichiatria indaga i disturbi mentali seguendo un approccio clinico-nosologico con l’obiettivo della diagnosi e quindi l’attuazione dei protocolli per il trattamento. Il funzionamento mentale (la memoria, l’intelligenza, il linguaggio, il pensiero, la ragione, la creatività) si spiega facendo riferimento all’attività dei sistemi di connessione cioè le reti neurali ovvero all’attività del sistema nervoso centrale (SNC) e del sistema nervoso periferico (SNP) . Il cervello ed il midollo spinale costituiscono il sistema nervoso centrale, dai gangli del midollo spinale si originano le fibre nervose che innervano tutti i tessuti degli organi e degli apparati. Questa fitta rete di nervi costituisce il sistema nervoso periferico (SNP) . Quindi abbiamo due porzioni si sistema nervoso quello centrale e quello periferico. 7 Gli orientamenti della psicologia contemporanea o delle scienze cognitive in generale agli odierni orientamenti di studio e di comprensione delle malattie mentali cioè alla psicopatologia e alla psichiatria troviamo indizi interessanti a carico dei comportamenti. Si notano che nelle malattie mentali soprattutto quelle più gravi abbiamo evidenti riferimenti ai processi informazionali che riflettono nell’anomalia comunicativa dei fenomeni psicopatologici. Le psicopatologie sembrano oltre che disturbi delle comunicazioni anche disturbi delle relazioni intesi in duplice dimensione di personale ed interpersonale. L’aspetto personale è testimoniato dalla difficoltà dei soggetti ad individuarsi ed a riconoscersi come persone dotate di prerogative personali proprie oppure dall’eccessiva considerazione e focalizzazione su di sé. L’aspetto interpersonale si riflette nell’autoisolamento dei malati di mente e nella conseguente chiusura in sé ed all’alterità. Quindi le psicopatologie si caratterizzano come disturbi delle comunicazioni e delle relazioni . Nella neurobiologia del cervello il rapporto causale tra gli stati cerebrali e gli stati mentali e tra gli stati cerebrali e i disturbi mentali basta una minima perturbazione come stress,traumi, lesioni ecc… per determinare un cambiamento sia degli stati mentali che della personalità nel suo complesso. Negli ultimi 30 anni è stata apprezzata anche l’attività delle cellule della glia la cosiddetta materia bianca ritenuta per lungo tempo un tessuto di supporto alla materia grigia, ma adesso se ne apprezza la loro funzione di ausilio negli scambi sinaptici. Tutti gli eventi patologici che interessano il sistema nervoso prendono il nome di neuropatie e fondano l’oggetto della neurologia. Codeste come tutte le altre patologie organiche sono caratterizzate dalla presenza di una lesione accertata ed accertabile. Le neuropatie sono patologie del cervello. Abbiamo tesi innatiste sull’eziologia delle malattie mentali per quanto riguarda l’ereditarietà genotipica che l’ereditarietà ambientale, ma queste indagini al massimo possono dimostrare la familiarità o predisposizione allo sviluppo in determinate circostanze della malattia mentale. Le teorie organicistiche sull’eziologia delle malattie mentali più accreditate in ambito clinico individuano il danno nelle alterazioni biochimiche a carico di alcune proteine e aminoacidi nei neurotrasmettitori quali dopamina,serotonina,acido glutammico, gaba e negli altri di cui non sono ancora noti gli effetti, oltre che nei recettori sinaptici. I neurotrasmettitori e i recettori consentono il passaggio degli impulsi nervosi elettrochimici nel SNC con la funzione di eccitare o di inibire l’ attività dei neuroni , la presunta sede della 8 lesione si configurerebbe nel difetto della modulazione biochimica dei neurotrasmettitori e dunque nella costituzione di nuove connessioni sinaptiche neurali da cui deriverebbero i disturbi psicopatologici. Le psicopatologie non rispondono a tutt’oggi a una eziopatogenesi palese e condivisa cioè manca la presenza di una lesione accertata ed accertabile. Gran parte delle malattie sono diagnosticabili con l’ausilio di indagini strumentali che mettono in evidenza la localizzazione precisa e l’entità del danno come negli organi, negli apparati e nelle neuropatie. Le lesioni del cervello sono riscontrabili attraverso una serie di tecniche che prevedono le misurazioni elettriche o le misurazioni elettromagnetiche. Le misurazioni elettriche sono quelle ottenute attraverso esami come l’ElettroMioGrafia (EMG) o l’ElettroEncefaloGramma (EEG) ; esse rilevano e registrano la differenza di potenziale muscolo-tendineo o delle aree cerebrali e consentono di valutare l’attività elettrica di base ossia quella degli impulsi nervosi espressa in millivolt (mV) per millisecondi (ms). Le misure elettromagnetiche forniscono immagini elettroniche e digitali delle strutture anatomiche superficiali e profonde del cervello e sono la MagnetoEncefaloGrafia (MEG), la TomoGrafiaAssialeComputerizzata (TAC) , la Risonanza Magnetica Nucleare (MRI), Risonanza Magnetica Nucleare Funzionale (fMRI). I disturbi della mente in assenza di lesioni certe ed accertabili rendono vano l’ausilio di stumenti diagnostici l’unica soluzione è la metodica diagnostica del colloquio clinico strutturato con il DSM-IV. Il DSM è il Diagnostic and Statistical Manual for Mental Disorders (DSM), cioè il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali che viene prodotto dall’APA (Associazione degli Psichiatri Americani) dal 1952 è attualmente alla sua sesta versione. Il DSM è quindi il manuale ufficiale che viene usato negli Stati Uniti dagli psichiatri e da più di 400 mila operatori della salute mentale per effettuare diagnosi psichiatriche, ma che è largamente in uso anche altrove, Italia compresa. Il suo sistema di classificazione fornisce la tassonomia psichiatrica standard sulla base della quale possono essere diagnosticati, e di conseguenza curati, i disordini mentali. Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali è stato più volte modificato, includendo ed eliminando malattie. Consiste in una classificazione "nosografica ateorica assiale" dei disturbi mentali. I disturbi mentali vengono definiti in base a quadri sintomatologici e questi ultimi sono raggruppati su basi statistiche.[1] Il DSM-IV è la quarta revisione di un lavoro di ricerca di mezzo secolo da parte dell'American Psychiatric Association. Parte della popolarità del DSM-IV è dovuta al fatto che esso si basa su una vasta base empirica ed è ateoretico cioè si è limitato a identificare le tipologie più frequenti di disturbo psichico e a fotografarne 9 gli elementi associati. Il manuale, secondo gli intendimenti degli autori e dell'APA, dovrebbe essere: nosografico: i quadri sintomatologici sono descritti a prescindere dal vissuto del singolo, e sono valutati in base a casistiche frequenziali. ateorico: non si basa su nessun tipo di approccio teorico, né comportamentista, né cognitivista, né psicoanalitico, né gestaltico, etc. assiale: raggruppa i disturbi su 5 assi, al fine di semplificare e indicare una diagnosi standardizzata. su basi statistiche: si rivolge ad esse in quanto il sintomo acquista valore come dato frequenziale; i concetti statistici di media, frequenza, moda, mediana, varianza, correlazione, ecc. giungono ad essere essi stessi il "solco" mediante il quale si valuta la presenza o meno di un disturbo mentale. Si tratta di un manuale che raccoglie attualmente più di 370 disturbi mentali, descrivendoli in base alla prevalenza di determinati sintomi. Il problema della malattia mentale non è un problema esclusivamente biologico o organicista come si credeva in passato, l'approccio attuale è necessariamente un approccio “multidisciplinare”: la malattia mentale è in sé stessa multifattoriale e ciò comporta che si tenga conto di tutti i diversi paradigmi di spiegazione. Il disturbo mentale è il risultato di una “condizione sistemica” in cui, rientrano: il patrimonio genetico, la costituzione, le vicende di vita, le esperienze maturate, gli stress, il tipo di ambiente, la qualità delle comunicazioni intra ed extra-familiari, l'individuale diversa plasticità dell'encefalo, i meccanismi psicodinamici, la peculiare modalità di reagire, di opporsi, di difendersi. La struttura del DSM-IV segue un sistema multiassiale: divide i disturbi in cinque Assi, così ripartiti ASSE I: disturbi clinici, caratterizzati dalla proprietà di essere temporanei o comunque non "strutturali" e altre alterazioni che possono essere oggetto di attenzione clinica: lo psichiatra cerca la presenza di disturbi clinici che possono essere riconducibili non solo al cervello e al sistema nervoso, ma anche a qualsiasi condizione clinica significativa che il soggetto può avere (per esempio valuterà se il 10 soggetto è sieropositivo, malato cronico, etc.) ASSE II: disturbi di personalità e ritardo mentale. Disturbi stabili, strutturali e difficilmente restituibili ad una condizione "pre-morbosa"; generalmente, ma non necessariamente, si accompagnano a un disturbo di Asse I, cui fanno da contesto. Questo asse è divisa in sottoparagrafi corrispondenti ai diversi disturbi di personalità. ASSE III: condizioni mediche acute e disordini fisici ASSE IV: condizioni psicosociali e ambientali che contribuiscono al disordine ASSE V: valutazioni globali del funzionamento Generalmente il DSM richiede un cut-off cioè un numero minimo di sintomi raccolti per poter effettuare una corretta diagnosi. Di solito il DSM richiede un periodo minimo di presenza dei sintomi per poter effettuare una diagnosi. Altri criteri di esclusione sono l'età di insorgenza del disturbo ed una diagnosi differenziale rispetto a disturbi che potrebbero essere accomunati dagli stessi sintomi. Il DSM è al centro di numerose critiche, dal momento che non a tutti sembra uno strumento adeguato per valutare la situazione clinica di una persona. Opinioni difformi da quella dell'APA criticano la sua struttura rigidamente statistica, in particolar modo la scelta dei cut-off che porterebbero a diagnosticare un disturbo mentale ad una persona con tre delle caratteristiche richieste, allo stesso modo di una persona con sette di quelle caratteristiche e a scapito di chi ne raccoglie solo due. Inoltre l'approccio descrittivo del DSM impedisce di individuare qualche riferimento alle caratteristiche soggettive del paziente, agli effetti della sua esperienza e la sua storia personale.[2] 1.1 L’encefalo L’encefalo è contenuto all’interno di una solida struttura ossea, la scatola cranica, che lo protegge dagli agenti esterni e da eventuali traumi. Il suo peso totale è di circa 1350 grammi nel maschio e 1200 grammi nella femmina, ovviamente ciò non deve far pensare che vi sia una differenza di capacità intellettiva fra i due sessi, si tratta solamente di uno sviluppo quantitativo diverso in rapporto a una diversa massa corporea totale. Quest’organo è responsabile del controllo e della regolazione di tutte le attività e funzioni del nostro corpo; 11 ad esso giungono gli stimoli (sensazioni e percezioni) raccolti dalla periferia dell’organismo e da esso partono tutte le risposte motorie trasmesse alla muscolatura. L’encefalo è il centro delle funzioni mentali superiori, come la memoria ed i processi di ragionamento. L’encefalo è diviso in tre parti connesse tra loro: - Cervello; - Cervelletto; - Tronco Encefalico; Il cervello non è una struttura tutta uniforme, ma è diviso in due parti simmetriche gli emisferi destro e sinistro la cui superficie è ricca di solchi e scissure disposti nell’uomo secondo un piano uniforme, malgrado una grande variabilità individuale, e sono connessi da una lamina di fibre nervose chiamata corpo calloso. La forma del cervello è grossolanamente simile a quella di un ovoide, più espanso posteriormente, convesso nella parte superiore e con la superficie inferiore appiattita. I due emisferi sono entrambi suddivisi in sottoparti, denominate lobi: il lobo frontale, il lobo occipitale, il lobo temporale e il lobo parietale. La corteccia cerebrale è costituita da materia grigia, quella bianca centralmente, costituita da fasce di fibre nervose, presenta nuclei di altra sostanza grigia che sono importanti centri nervosi. Il mantello cerebrale è suddivisibile dalle scissure, le più importanti sono: la scissura laterale o del Silvio, il solco centrale del Roland, la Scissura parieto-occipitale, il solco del cingolo e la scissura collaterale in otto lobi, cinque sulla superficie esterna degli emisferi, uno sulla superficie mediale, e due su quella inferiore. Nel cervello abbiamo pure i ventricoli cerebrali che sono quattro cavità comunicanti fra loro, i due laterali comunicano con il terzo attraverso i forami interventricolari di Monro. Il quarto ventricolo comunica con il terzo attraverso il l'acquedotto mesencefalico del Silvio. In essi viene prodotto e circola il liquido cerebrospinale questo viene prodotto per secrezione dai plessi corioidei. Il liquido dal quarto ventricolo si riversa nello spazio subaracnoideo attraverso fori: foro di Magendie e forami di Luschka. 12 Fig.1 L’encefalo Le informazioni al cervello e dal cervello vengono trasportate da strutture cellulari il cui prolungamento assonico entra nella costituzione del midollo spinale. Il midollo spinale è parte del sistema nervoso, è situato all'interno della colonna vertebrale ed è responsabile della trasmissione degli impulsi nervosi dal centro alla periferia e viceversa. Il talamo è il principale centro di comunicazione fra il midollo spinale e gli emisferi cerebrali. Al di sopra del tronco cerebrale si trova una struttura implicata nel coordinamento motorio, che si chiama cervelletto. Il cervelletto rappresenta, dopo gli emisferi cerebrali, la parte dell'encefalo più sviluppata. Al pari degli emisferi cerebrali esso appare grigio in superficie dove si trova uno spesso strato corticale reso irregolare da una serie di scissure che lo suddividono in diverse porzioni. L'insieme dei risultati sperimentali ottenuti nell'animale e nell'uomo sembra giustificare la tendenza attuale a non considerare più il cervelletto come organo esclusivamente dedicato al controllo dell'equilibrio o dei movimenti volontari. In base all'esistenza di cospicue connessioni anatomiche con le aree associative e paralimbiche della corteccia cerebrale, entrambe coinvolte nella organizzazione di funzioni nervose superiori, si è progressivamente consolidata l'ipotesi che il cervelletto rappresenti una parte importante del sistema distribuito di circuiti neurali dedicati alle funzioni cognitive. Il tronco encefalico di forma approssimativamente cilindrica, racchiuso in un canale contenuto all’interno della colonna vertebrale, contiene numerose strutture e vie nervose molto importanti e connette il cervello al midollo spinale. Lungo circa 45 cm, ha un diametro di un centimetro circa; è costituito da sostanza grigia (neuroni) all’interno e da fasci di sostanza bianca situati sulla superficie. La sua funzione principale è quella 13 di provvedere all’innervazione del tronco e degli arti; a tale scopo è collegato alla periferia mediante 33 paia di nervi, detti appunto nervi spinali. Sia l’encefalo sia il midollo spinale sono rivestiti e protetti da membrane connettivali: le meningi, che possiedono una propria rete di vasi, in cui circola un liquido detto liquor (o liquido cerebrospinale),che ha la funzione di sostenere e proteggere le strutture nervose; normalmente, il volume del liquor è di circa 150 cm3. Fig.2 Midollo spinale 1.2 Le funzioni fisiologiche dell’encefalo I due emisferi cerebrali non svolgono le stesse funzioni fisiologiche; quello di sinistra è coinvolto nel linguaggio articolato, nella scrittura, nella memoria delle parole note, nell’associazione tra l’espressione verbale e le immagini o le idee, quello di destra invece è coinvolto in attività non linguistiche e ha soprattutto la capacità di cogliere i messaggi visivi nel loro insieme tenendo conto delle valenze emotive. Un ponte di fibre nervose, che connettono le due metà del cervello, consente lo scambio di informazioni. Per quanto riguarda ciò che concerne l’attività intellettiva, allo stato attuale delle conoscenze, si ritiene che non esista un’aria specifica dove insorgano le idee o dove trovi localizzazione la memoria: tali capacità sono piuttosto ritenute diffuse a tutta la corteccia cerebrale e realizzate attraverso l’associazione tra i diversi centri nervosi superiori. 14 Per comprendere che le nostre facoltà sono localizzate in certe regioni specifiche del cervello ci sono voluti molti anni di studio. La prima persona a tentare ciò fu lo scienziato viennese Franz Joseph Gall. All'inizio del XIX secolo, attorno al 1800, egli fu il primo a cercare di descrivere nei dettagli le suddivisioni del cervello, basandosi su un approccio sperimentale che oggi si chiama frenologia. Gall era rimasto colpito dal fatto che i tratti intellettuali di certe persone sembrassero trovare una corrispondenza nella forma del loro cranio. Ad esempio, alcuni tra i più intelligenti dei suoi amici avevano una fronte particolarmente prominente. Gall aveva allora immaginato che tale prominenza fosse dovuta al fatto che l'intelligenza nel cervello fosse localizzata nella regione frontale, e che l'intensa attività intellettuale dei suoi amici avesse causato il maggiore sviluppo di questa regione del cervello, deformando così il cranio e rendendo la regione frontale più prominente. In secondo luogo Gall ha introdotto l'idea che le funzioni sono localizzate. Egli ha proposto localizzazioni di funzioni cerebrali in modo molto preciso, sostenendo che regioni specifiche controllassero funzioni molto elaborate, come la riservatezza, l'amore romantico, l'altruismo, la generosità eccetera, essendo ciascuna di esse associata a una parte diversa del cervello. Aveva costruito una cartografia del cervello nella quale le tendenze al possesso, a essere parsimoniosi o risparmiatori, tutte questi attributi collegati all'accaparrare, fossero raggruppati insieme, e che l'idealismo, l'esuberanza, la raffinatezza e il perfezionismo, tutti questi tratti di ordine superiore, fossero anch'essi localizzati nel cervello. Così fino a circa il 1860, quando un grande neurologo francese, Paul Broca, riaprì la questione della localizzazione nel contesto della neurologia del linguaggio. Broca si imbatté in un paziente con un insolito difetto di linguaggio. Questi problemi del linguaggio sono chiamati afasie. Sono delle malattie neurologiche che riguardano l'articolazione o l'espressione del linguaggio, generalmente dovute a incidenti di tipo vascolare. Questo paziente comprendeva perfettamente il linguaggio, ma era incapace di articolarlo, non riusciva a utilizzare il linguaggio per esprimersi. Aveva completamente perso la facoltà di esprimersi con il linguaggio, nonostante fosse rimasto capace di comprenderlo. Quando questo paziente morì e fu sottoposto ad autopsia, Broca scoprì che questo paziente aveva una lesione nel lobo frontale. In seguito Broca scoprì altri sette pazienti con un difetto simile: tutti avevano difficoltà a esprimersi con il linguaggio, ma tutti lo comprendevano perfettamente. Al loro decesso, l'autopsia dimostrò che ciascuno di essi presentava la stessa identica lesione e che in ciascuno di essi la lesione era localizzata nell'emisfero sinistro del cervello. Egli annunciò allora uno dei principi fondamentali delle neuroscienze e cioè che noi parliamo con il nostro emisfero sinistro. La nostra capacità di esprimerci in modo preciso con il 15 linguaggio è localizzata nel cervello sinistro. Broca denominò quest'area "area di Broca ", nome col quale viene tuttora chiamata. Qualche anno più tardi un neurologo tedesco, Karl Wernicke, compì una seconda scoperta. Scoprì un paziente che presentava una lesione dell'area parieto-temporale, proprio dove il lobo parietale incontra quello temporale. Questo paziente aveva un difetto di linguaggio diverso da quello di Broca: i pazienti di Broca capivano, ma non riuscivano a esprimersi. Questo paziente, invece, era in grado di esprimersi, ma non capiva niente; quindi quello che diceva aveva ben poco senso. Al momento dell'autopsia, Wernicke vide che la lesione si trovava ancora una volta nell'emisfero sinistro a livello del lobo parieto-temporale. Egli chiamò questa zona "area di Wernicke". Il merito più grande di Wernicke, tuttavia, non si limita a questa scoperta, ma al fatto di aver combinato le scoperte proprie e quelle di Broca nello sviluppo di una teoria del linguaggio. La corteccia occipitale è il luogo in cui l'informazione visiva entra nel cervello, mentre l'area temporale è il luogo d'entrata dell'informazione uditiva. Quando si sente qualcuno parlare, o quando si legge qualcosa, le informazioni entrano all'interno di sistemi sensoriali specifici e quindi vengono portate nell'area di Wernicke, dove sono tradotte in una sorta di codice neurale del linguaggio. Questo codice viene poi inviato all'area di Broca, attraverso una via nervosa nota come fascicolo arcuato. Successivamente, nell'area di Broca, le informazioni vengono tradotte in linguaggio, che può poi essere articolato e pronunciato. Wernicke ha dunque ripreso l'idea della localizzazione delle funzioni ed elaborandola sostenne che una funzione complessa come il linguaggio non è controllata da una sola regione, ma dalla combinazione di più regioni. Del cervello abbiamo una buona conoscenza dello sviluppo, abbiamo una buona conoscenza del modo in cui funzionano le cellule e dei sistemi di cellule, ma quello che ancora non si è riusciti a capire sono i processi della mente; le neuroscienze cognitive si domandano infatti quale sia la struttura della mente. Fig.3 Area di Broca e di Wernicke 1.3 Il sistema nervoso 16 Il sistema nervoso è costituito da un insieme complesso di organi centrali racchiusi all’interno della cavità cranica e del canale vertebrale e da organi periferici predisposti alla funzione di raccogliere gli stimoli interni ed esterni e di inviare gli impulsi alle cellule effettrici. Le attività degli organi del corpo umano sono regolate da un sistema di cellule dette neuroni. Il sistema nervoso è suddiviso in sistema nervoso centrale costituito dall’encefalo e dal midollo spinale e in sistema nervoso periferico che è costituito dai nervi cranici dai nervi spinali e dai gangli. Fig.4 Il sistema nervoso Il neurone è l’unità fondamentale del sistema nervoso, il più piccolo elemento capace di generare impulsi nervosi. Esso è costituito da un corpo centrale dalla cui superficie si dipartono i dendriti e l’assone. Dal punto di vista fisiologico, invece, rappresenta una cellula in grado di generare e trasmettere un impulso elettrico. Come tutte le cellule dell’organismo, il neurone, possiede un nucleo ed un citoplasma che gli permettono di svolgere la sua attività. Il sistema nervoso è formato da circa diecimila milioni di neuroni. 17 Fig.5 Il neurone I neuroni sono cellule specializzate che hanno come proprietà: l’eccitabilità e la conducibilità eccitabilità: è la capacità in seguito ad uno stimolo di modificare la differenza di potenziale transmembrana. conducibilità: è la capacità di condurre gli impulsi elettrici lungo le fibre nervose. I neuroni hanno forme e dimensioni diverse ma si possono classificare in 3 tipi principali: neuroni motore: trasmettono gli impulsi dal sistema nervoso agli organi periferici (effettrici) neuroni associativi: servono a collegare tra loro altri neuroni. neuroni sensoriali (o cellule bipolari o cellule T): hanno due prolungamenti rivestiti di mielina, uno dei quali conduce l’impulso verso il corpo cellulare (cioè verso l’interno) e l’altro dal corpo cellulare verso l’esterno( afferenti). Lo spazio di comunicazione fra neuroni e fra questi e le cellule effettrici è chiamato sinapsi. L’impulso per poter essere trasmesso ha bisogno di particolari sostanze chiamate: neurotrasmettitori. Vi sono diversi tipi di neurotrasmettitori: l’acetilcolina, l’adrenalina, la noradrenalina, ecc… 18 Fig.6 La sinapsi Il sistema nervoso è bipartito in sistema nervoso centrale e sistema nervoso periferico. Il sistema nervoso centrale è costituito dall’ encefalo e dal midollo spinale. Il sistema nervoso periferico comprende i nervi cranici che derivano dal cervello e i nervi spinali emergenti dal midollo spinale con i gangli. I nervi, cranici o spinali, svolgono una funzione di collegamento trasportano dal centro alla periferia gli stimoli originati dal sistema nervoso centrale necessari alla contrazione muscolare; in direzione opposta, ovvero dalla periferia al centro, portano avanti gli stimoli sensoriali raccolti dai recettori, e riguardanti, per esempio, la posizione del corpo nello spazio, il dolore, la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto, il tatto. Il Sistema Nervoso Periferico si suddivide in due parti principali: Sistema Nervoso Somatico, responsabile delle risposte volontarie; Sistema Nervoso Autonomo, o Vegetativo, responsabile delle risposte involontarie. Il Sistema Nervoso Somatico è costituito da fibre nervose periferiche che inviano informazioni sensitive al Sistema Nervoso Centrale e fibre nervose motorie che si portano ai muscoli scheletrici. 19 Il Sistema Nervoso Autonomo e' suddiviso in due parti ad azione antagonista: Simpatico (toracico - lombare); Parasimpatico (craniosacrale). Il Sistema Nervoso Autonomo è costituito dal sistema nervoso simpatico e dal sistema nervoso parasimpatico. Il Simpatico nasce nel midollo spinale. Stimola il cuore, dilata i bronchi, contrae le arterie e inibisce l'apparato digerente, prepara l'organismo all'attività fisica. Il Parasimpatico è antagonista al sistema simpatico ed è un sistema che promuove la digestione, la peristalsi, al sonno e al riposo. sono molto. Nel cuore, il Parasimpatico ha il compito di diminuire i battiti cardiaci, la pressione, e provocare una vasocostrizione delle coronarie.[3] 20 CAPITOLO 2 Premessa: che cosa è l’ ATTACCO DI PANICO L’ attacco di panico è un episodio di improvvisa ed intensa paura provocato da una forte ansia accompagnato da sintomi somatici e cognitivi come palpitazioni, tremore, sensazione di soffocamento, vertigini, dolore al petto, nausea, paura di morire, paura di impazzire, brividi, vampate di calore e nei casi più estremi svenimento. La durata dell’attacco di panico è di circa trenta minuti. Chiunque abbia provato un attacco di panico lo definisce come un’esperienza terribile, improvvisa, indescrivibile che lascia dentro di sè la paura di un nuovo episodio. L’episodio dell’attacco di panico può rimanere isolato o ripetersi nel tempo, nel secondo caso, possiamo parlare di disturbo di panico ( DAP ) .[4] 2.1 Il termine “panico” Il temine panico deriva dal Dio Pan, una divinità ellenica parte uomo e parte capra, che il mito lo vuole figlio di Zeus e della ninfa Callisto, mentre un’altra versione lo vuole figlio di Penelope e di tutti i suoi pretendenti, con cui avrebbe avuto rapporti durante l’attesa del marito. Pan era un Dio solitario non risiedeva sull’Olimpo, ma viveva specialmente nei boschi e con la sua voce spaventosa incuteva in chi la udiva una grande paura, infatti panico da Pan per questo motivo. Secondo Omero la versione più accreditata di Pan era che egli nacque dall’unione di Hermes e della ninfa Driope, ninfa della quercia; la madre lo abbandonò subito dopo la nascita poiché il suo aspetto era talmente brutto che ne rimase terrorizzata; Hermes allora lo raccolse e dopo averlo avvolto in una pelle di lepre, lo portò sull’Olimpo per far divertire gli dei, causando così l’ilarità di Dionisio, che lo accolse nel suo seguito. È raffigurato con gambe e corna caprine, con zampe irsute e zoccoli, mentre il busto è umano, con due corna in fronte, il naso schiacciato, il volto ornato da una barba caprina e dotato di un’espressione terribile, a dispetto della quale Pan è un dio gioviale e generoso, sempre pronto ad aiutare quanti chiedono il suo aiuto. 21 Fig.7 Dio Pan Racconta Plutarco che sotto il regno di Tiberio, un vascello romano si trovò a passare nei paraggi di un’isola del mar Egeo, quando il vento cessò improvvisamente e nel silenzio si udì una voce gridare: "Il Grande Pan è morto". A quella notizia da ogni parte dell’isola scoppiarono pianti, gemiti e singhiozzi di cui non si seppe mai la provenienza.[5] 2.2 Che cosa è il disturbo di panico Il disturbo di panico è incluso nel gruppo dei disturbi d’ansia, la caratteristica principale è la presenza di attacchi di panico ricorrenti ed inaspettati seguiti dalla preoccupazione persistente di avere un altro attacco di panico. In genere prima di rivolgersi ad uno psichiatra ci si rivolge a vari medici in primis al cardiologo per scongiurare problemi cardiaci, quindi al pneumologo e così via finché si arriva come ultima spiaggia allo specialista. Lo psichiatra dopo un colloquio ed una diagnosi differenziale diagnostica il tipo di problematica del paziente nel nostro caso si tratta del: disturbo di panico (DAP). Il soggetto affetto da DAP entra pian piano in un circolo vizioso perché ha sempre paura dell’arrivo di un nuovo attacco di panico, le relazioni sociali risultano compromesse,è incapace di uscire da solo, incapace di stare in casa da solo, incapaci di dormire da solo,diventa dipendente dagli altri. A stare male non è soltanto chi ha il disturbo di panico, ma anche i familiari del soggetto affetto da DAP perché non riescono in un primo momento a capirlo ed aiutarlo e successivamente devono modificare la loro vita di per aiutare la 22 persona che sta male. Il termine specifico della paura perenne di rimanere da soli, di spostarsi, cioè di tutti gli evitamenti è: agorafobia. È inevitabile il senso di frustrazione per il soggetto affetto da DAP e ciò deriva dal fatto di dipendere dagli altri, egli si sente depresso, scoraggiato, sfiduciato, apatico, pessimista, con sensi di colpa, infelice. Questi stati d’animo vengono definiti demoralizzazione secondaria perché non sono dovuti ad una depressione vera e propria, ma sono soltanto la conseguenza del fatto che il soggetto che soffre di attacchi di panico ha come conseguenza una limitazione del suo benessere psico-fisico e nelle relazioni sociali e con l’ambiente. Tutto ciò scompare quando si guarisce dal DAP ritornando ad essere di buon umore, attivi, fiduciosi, autonomi. C’è da precisare il significato di due termini cioè guarire ed eliminare. Guarire non significa eliminare del tutto un problema, ma riuscire a stare bene anche avendolo, convivere con esso, questa fase negli attacchi di panico è quando si sta bene ma si è ancora in terapia. Eliminare significa proprio il non avere più quel determinato problema in questo caso degli attacchi di panico quando non si è più in terapia di nessun tipo e non si hanno ricadute Esiste anche il DAP che sfocia in vera e propria depressione ed in questi casi la sofferenza e le difficoltà per chi ne è affetto sono maggiori, ma le terapie usate per il DAP aiutano anche per la depressione. 2.3 Differenza tra paura,ansia e panico La paura è uno stato d’animo giustificato da situazioni reali che costituiscono un pericolo, essa dipende da un fattore esterno che se non c’è questo elemento reale non c’è nemmeno essa. Se questa sensazione di paura si prova quando non c’è un elemento reale o il pericolo è inferiore a ciò che percepisce il soggetto si parla di ansia. L’ansia invece dipende da un fattore interno ed è molto difficile evitarla, essa è un’esperienza molto diffusa, ma non sempre patologica. Non tutte le persone che provano ansia si ammalano di questo disturbo o devono fare una terapia per eliminarla. In alcune situazioni l’ansia può essere utile per migliorare le proprie prestazioni, se invece essa è troppo bassa si può anche avere una prestazione inferiore alle proprie effettive capacità. Quando l’ansia invece è eccessiva siamo di fronte alla vera e propria patologia che compromette la propria vita provocando un forte disagio. Il soggetto ansioso si sente sempre in pericolo: è una percezione difficile da poter descrivere. Gli stati d’ansia comprendono anche gli attacchi di panico. Una crisi di ansia ha caratteristiche comuni in varie situazioni quali irrequietezza, indecisione, gesticolazione, tachicardia, aumento della pressione arteriosa, sudorazione eccessiva, tremore, apprensione, attesa di eventi spiacevoli. Il soggetto ansioso è sempre angosciato ed ha molta immaginazione e rimugina sempre sulle cose che gli accadono trasformando un evento reale in immaginario fonte di interrogativi e preoccupazioni. La persona ansiosa è pessimista e tutto ciò si ripercuote sulla sua visione del mondo e nel suo comportamento sfociando in ipervigilanza, sfiducia in sé e preoccupazione eccessiva ed ella è consapevole di tutto ciò. Tutto questo si 23 manifesta con un comportamento previdente, adotta precauzioni eccessive per tutto ciò che deve fare. La mente dell’ansioso è in continua “ebollizione” fin dal risveglio pensa agli eventi della giornata, se avrà abbastanza tempo, se avrà degli imprevisti, se avrà dimenticato a fare qualcosa. Egli per tranquillizzarsi in genere usa dei mezzi come amuleti, ricordi dell’infanzia, medaglioni o altri oggetti che gli trasmettono sicurezza e/o conforto. È fondamentalmente superstizioso, si affida a scongiuri, formule magiche, ogni cosa acquista un significato o diventa un segno. In famiglia l’ansioso si preoccupa eccessivamente per la salute ed il benessere di tutti. La persona con ansia patologica si abbandona spesso all’uso di alcool e/o stupefacenti perché egli si sente inadeguato alla realtà che lo circonda. Infatti sono persone facilmente suggestionabili, vulnerabili e dipendenti dagli altri. L’ansia è comune alla maggior parte degli uomini e delle donne in egual modo nel mondo, si manifesta nelle classiche forme di timore ed inquietudine ed è presente a tutte le età dai bambini, agli adolescenti, agli adulti. Così anche l’attacco di panico è in egual modo distribuito come patologia e ne soffre una buona percentuale della popolazione mondiale. L’età di insorgenza è in genere intorno ai 25 anni con casi di deviazioni intorno ai 6-9 anni. La persona colpita da un attacco di panico ne sa riferire l’inizio e la fine in modo facilmente individuabile, mentre l’ansia ha un inizio ed una fine non precisabili. Riconosciamo tre tipi di attacchi di panico caratteristici con differenti relazioni tra l’esordio dell’attacco di panico e la presenza o assenza di fattori scatenanti situazionali: Attacchi di panico inaspettati (non provocati) nei quali l’esordio non è associato con un fattore scatenante situazionale cioè si manifesta spontaneamente a “ciel sereno”. Attacchi di panico causati dalla situazione (provocati) nei quali l’esordio non è associato ad un fattore scatenante situazionale ma si manifesta subito durante l’esposizione o nell’attesa dello stimolo o del fattore scatenante situazionale. Attacchi di panico sensibili alla situazione che hanno più probabilità di manifestarsi in seguito all’esposizione allo stimolo o al fattore scatenante situazionale, ma non sono invariabilmente associati con lo stimolo e non si manifestano necessariamente subito dopo l’esposizione. 24 L’attacco di panico può anche manifestarsi con modalità atipiche: l’attacco abortivo è caratterizzato da tutti i sintomi iniziali dell’attacco di panico tipico, la sintomatologia insorge e progredisce con la stessa modalità, ma si arresta poi in fase precoce, senza raggiungere il picco estremo di gravità che è un genere caratterizzato dalla paura di morire o di impazzire o di perdere il controllo. 2.4 Definizione dell’attacco di panico Nella quarta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-IV) l’attacco di panico viene definito come un periodo preciso di intensa paura o disagio durante il quale quattro o più dei seguenti sintomi si sono sviluppati improvvisamente ed hanno raggiunto il picco nell’arco di 10 minuti : 1. Palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia: le palpitazioni fanno temere al paziente di poter avere un infarto e questo aumenta la paura ed il bisogno di cercare un medico; in realtà il rischio di un infarto durante una crisi di panico è molto scarso. La tachicardia è provocata da una scarica di adrenalina che fa aumentare la quantità di sangue che arriva al cuore. 2. Sudorazione: la sudorazione, tipico sintomo ansioso, è abbondante soprattutto al palmo delle mani, ma anche in altre zone del corpo. 3. Tremori: fini o grandi scosse 4. Dispnea o sensazione di soffocamento: in forma più lieve questo sintomo si può manifestare come intolleranza per gli ambienti chiusi (claustrofobia), per le finestre chiuse, si ha sempre il bisogno di tenere un po’ la porta aperta, la finestra o il finestrino della macchina aperti. Anche l’intolleranza ai vestiti stretti ed attillati può essere interpretata come sintomo agorafobico. 5. Sensazione di asfissia o mancanza d’aria: la sensazione è quella di non riuscire a respirare profondamente, si tende perciò ad aumentare la frequenza del respiro (polipnea). 6. Dolore o fastidio al petto o sensazione di oppressione toracica: non è causato da un imminente infarto, ma dalla contrazione dolorosa dei muscoli intercostali. 7. Nausea o disturbi addominali. 8. Sensazione di vertigini, di instabilità, di testa vuota o di svenimento: sono sintomi legati alla polipnea . 9. Derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da sé stessi). 10. Paura di perdere il controllo delle proprie azioni o di impazzire. 11. Paura di morire. 25 12. Parestesie (sensazione di torpore o di formicolio): le parestesie soprattutto intorno alle labbra ed alle mani, sono provocate dall’aumento della frequenza respiratoria la cosiddetta “sindrome di iperventilazione”. Questo aggrava ancora di più l’ansia poiché si teme di poter avere una paralisi. E’ sufficiente respirare più lentamente e più profondamente o respirare per qualche secondo in un sacchetto di carta per far sparire il formicolio. L’ordine sopra seguito nel riportare i sintomi riflette la frequenza con cui vengono solitamente riferiti. L’attacco di panico è un sintomo aspecifico cioè può far parte di diversi disturbi. È il sintomo principale del DAP, ma non è esclusivo di questo. Dinanzi ad un paziente con un attacco di panico prima di concludere che soffre di DAP è bene fare una diagnosi, la cosiddetta diagnosi differenziale. Indipendentemente dall’età del soggetto o dai fattori di rischio deve essere raccolta una storia medica e devono essere eseguiti degli esami quali ECG ed esami di laboratorio di routine (esami delle urine, emocromo, glicemia, calcemia, ormoni tiroidei ecc..) per accertarsi dello stato di salute. Nell’esame delle urine è importante effettuare l’esame della presenza di sostanze psicoattive. Un disturbo d’ansia con attacco di panico legato ad una condizione medica generale comprende l’attacco di panico dovuto all’azione di una malattia medica. Esistono numerose malattie mediche che possono provocare un attacco di panico e questo non significa essere affetti da DAP. Infatti la diagnosi di DAP richiede che le crisi non siano provocate da una malattia fisica. Le malattie fisiche che possono scatenare un attacco di panico sono: L’epilessia temporale che provoca crisi improvvise di attacchi di panico, ma qui l’ECG è chiaramente alterato, invece nel DAP è normale. Malattie della tiroide tutte le malattie che provocano ipertiroidismo o ipotiroidismo. Feocromocitoma è un tumore caratterizzato da crisi improvvise di iperproduzione di adrenalina e quindi si avverte un sintomo simile ad un attacco di panico. Altri disturbi endocrinologici, come ad esempio l’ipoglicemia. Queste malattie fisiche vengono facilmente diagnosticate con gli esami di laboratorio. Un attacco di panico può essere provocato anche dall’assunzione di sostanze, ma queste non causano il DAP. Ciò significa che l’attacco di panico è correlato all’uso di una determinata sostanza. Il disturbo è dovuto all’assunzione o all’astinenza, ma scompare quando termina l’effetto della sostanza. Quindi si prende in causa l’assunzione e l’astinenza di sostanze. 26 Per quanto riguarda l’assunzione possono provocare un attacco di panico sostanze farmacologiche (cortisonici, tiroxina, insulina in dosi eccessive, broncodilatatori, pillole dietetiche ecc..), sostanze psicoattive (caffeina, bevande alcoliche, anfetamina e simili, cocaina, cannabis, allucinogeni, inalanti ecc…), sostanze tossiche (sostanze volatili come vernici, benzina ecc.., anidride carbonica, gas nervini, insetticidi organo fosforici che si usano in agricoltura). Invece, per quanto riguarda l’astinenza da quelle sostanze che provocano un attacco di panico si deve ricordare l’astinenza da sostanze farmacologiche ( sedativi, ipnotici e ansiolitiche) oppure dalle sostanze psicoattive (bevande alcoliche, cocaina ecc…). C’è da precisare che le sostanze farmacologiche provocano l’attacco di panico se sono assunte in dosi eccessive o errate, invece le sostanze psicoattive, il gruppo della caffeina e delle bevande alcoliche, possono provocare un attacco di panico, ma devono essere assunte a dosi eccessive. Le droghe possono provocare un attacco di panico anche a dosi non eccessive. Le sostanze tossiche raramente provocano un attacco di panico. 2.5 Fattori di rischio Un fattore di rischio importante nel DAP è rappresentato dai disturbi del sonno. Di per sé un disturbo di sonno non può causare il DAP, ma molte persone durante il sonno hanno attacchi di panico della stessa intensità di quelli diurni. La conseguenza è la difficoltà ad addormentarsi per la paura di avere degli attacchi di panico. L’insonnia e la deprivazione di sonno, indipendentemente dalla causa, possono provocare nei giorni successivi un aumento della frequenza e della gravità degli attacchi di panico. Un altro fattore di rischio per il DAP sono gli eventi stressanti. Essi non causano direttamente il DAP ma possono facilitarne l’esordio: in modo particolare i gravi eventi drammatici come la morte di una persona cara, oppure una grave malattia, un grave incidente ecc… Se questi eventi si verificano quando il soggetto è affetto da DAP la sintomatologia nella maggior parte dei casi aggrava, ma in molti casi pazienti affetti da DAP riescono a gestire meglio una situazione di un evento drammatico che quelle obiettivamente non pericolose, ma che essi vivono come tali. Gli eventi traumatici sono un altro fattore di rischio, come la perdita di un rapporto affettivo o di separazione. L’evento di separazione o perdita nei pazienti con il DAP non và inteso come evento traumatico, ma piuttosto come un evento significativo di insicurezza. I fattori ambientali climatici non causano in sé il DAP, ma può avvenire un attacco di panico in coincidenza con una determinata condizione climatica. Le possibilità dell’attacco di panico possono essere in coincidenza casuale o l’evento meteorologico viene vissuto in modo angosciante, capita che in base alla temperatura si verificano degli eventi corporei come ad esempio l’ipotensione se c’è troppo caldo. La persona accusando 27 malore comincia ad agitarsi ed ad avere timore finché non si controlla e si può verificare un attacco di panico. Invece se si verifica un attacco di panico quando c’è un evento climatico specifico come vento, fulmini, pioggia si parla di fobia specifica. Per un soggetto che presenta, oltre a queste situazioni altri attacchi di panico del tutto spontanei, si può parlare di DAP. Capita spesso che di fronte al DAP nelle famiglie si tende a darsi delle colpe a vicenda o ci si autocolpevolizza. Lo psichiatra dovrebbe far capire che non è colpa di nessuno quando si soffre di DAP, ma che è un disturbo, come per tutte le altre malattie. Questo per evitare sensi di colpa, in modo particolare da parte dei genitori. L’unica cosa che un passato burrascoso può provocare nella psiche di una persona è nella maggior parte dei casi è l’insicurezza. 2.6 Diagnosi differenziale psichiatrica Nella diagnosi differenziale psichiatrica è importante valutare se l’attacco di panico era inatteso o provocato da una particolare situazione. Ciò è necessario perché l’attacco di panico inatteso è il segno del DAP, invece l’attacco di panico legato ad una situazione indica una situazione differente come la fobia sociale, la fobia specifica, il disturbo ossessivo compulsivo, il disturbo post-traumatico da stress, i disturbi dell’adattamento, il disturbo depressivo maggiore. La fobia sociale è la paura di affrontare situazioni sociali come ad esempio una festa, un matrimonio, un’assemblea ecc… oppure di effettuare una prestazione in presenza di altri come parlare in pubblico, suonare, cantare ecc… . I sintomi sono come quelli del DAP solo che quando c’è questo disturbo avvengono sia in presenza di persone che quando si è da soli. Nella fobia sociale l’attacco di panico avviene solo in una determinata situazione quando ci sono persone e non quando si è da soli. Infatti, la persona che soffre di fobia sociale evita tutte le situazioni dove ci sono altre persone, invece chi soffre di DAP ha un duplice rapporto con le persone o le evita perché ha paura di stare con loro e di non poter essere aiutato oppure preferisce stare in compagnia perché si sente al sicuro ed in caso di malore di essere aiutato. La fobia specifica è la paura esagerata di un oggetto o una situazione specifica come ad esempio animali, luoghi, sangue, oggetti appuntiti ecc… . Questo disturbo può provocare attacchi di panico, ma evitando la causa che fa in modo specifico paura la persona non avrà mai un attacco di panico. Ciò non è così nel DAP. Il disturbo ossessivo-compulsivo è caratterizzato da ossessioni e compulsioni. Le ossessioni sono idee, pensieri, impulsi che ritornano o persistono nella mente del soggetto come ad esempio dei numeri, delle frasi, delle immagini ecc… . Le compulsioni invece sono dei comportamenti o azioni mentali che il soggetto si sente costretto a ripetere per innumerevoli volte nel tentativo di diminuire l’ansia o un disagio come, ad esempio, controllare il rubinetto del gas, controllare la serratura, lavarsi le mani spesso, ecc… . Questo disturbo può provocare nel suo decorso a livelli gravi degli attacchi di panico correlati a situazioni di ossessioni e/o compulsioni del soggetto. Non è comunque ciò che causa il DAP. 28 Il disturbo post traumatico da stress è un disturbo che si verifica in alcuni soggetti che hanno vissuto un’esperienza gravemente traumatica che non rientra negli eventi stressanti comuni come, ad esempio, traumi vissuti in guerra, eventi che hanno provocato la morte di una persona cara, catastrofi naturali ecc… . In seguito al trauma il soggetto ha una serie di sintomi come incubi, angoscia, ricordi, nervosismo, collera, disturbi del sonno e difficoltà a concentrarsi. Possono verificarsi in quest’ambito anche degli attacchi di panico, ma anche in questo caso non sono spontanei, né inaspettati come nel DAP, ma sono correlati alla situazione del grave evento traumatico. Il disturbo dell’adattamento è caratterizzato da una serie di disturbi contraddistinti da sintomi emotivi o comportamentali collegati ad eventi stressanti del soggetto come, ad esempio, incidenti, problemi lavorativi, problemi economici o di salute propri o dei familiari ecc… . Alcune persone reagiscono con sintomatologia depressiva, altri con ansia, altri con qualche attacco di panico di lieve entità ed isolato che non rientra nei criteri tipici del DAP. Per il disturbo depressivo maggiore l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito dei precisi criteri. Per fare diagnosi di Episodio Depressivo Maggiore secondo il DSM IV è quando ci sono contemporaneamente presenti, da almeno due settimane, cinque (o più) dei seguenti sintomi: umore depresso e marcata diminuzione di interesse o piacere per le attività svolte: il soggetto si sente svuotato e privo di energia; alterazione dell’appetito, più spesso nel senso della diminuzione, con significativa perdita di peso (5% del peso corporeo in un mese), oppure aumento dell’appetito e del peso; alterazione del sonno, più speso sotto forma d’insonnia, con risveglio mattutino precoce; agitazione o rallentamento psicomotorio; astenia, cioè senso di spossatezza non motivato da sforzi fisici; sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati; riduzione della concentrazione, attenzione e memoria; pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione suicidiaria senza un piano specifico o con un piano specifico per mettere in atto il suicidio. Quando sono quindi presenti almeno cinque dei suddetti sintomi per almeno due settimane, si può parlare di stato depressivo in fase acuta e si rende necessario l’intervento dello specialista. La possibilità che l’episodio depressivo si manifesti solo una volta costituisce un’evenienza piuttosto rara. Tuttavia è stato identificato un particolare sottogruppo di pazienti in cui la depressione maggiore è caratterizzata da un unico episodio ad esordio intorno ai 55-60 anni, circa dieci anni più tardi rispetto agli altri sottotipi, e decorso frequentemente cronico, superiore ai due anni. Spesso compare in relazione ad 29 eventi esistenziali di notevole impatto emotivo o a malattie fisiche. La diagnosi di depressione ricorrente si pone quando sono presenti almeno due episodi depressivi e sono invece assenti fasi maniacali. Le caratteristiche psicopatologiche e la gravità dei singoli episodi sono variabili e la gravità dei singoli episodi sono variabili da soggetto a soggetto. Anche in questi casi può verificarsi la presenza di attacchi di panico, ma questo disturbo non è la causa e non è il DAP. 2.7 Elenco dei nomi di alcuni tipi di fobia Acluofobia: intensa ed incontrollata paura del buio. Acrofobia: paura dell'altezza e dei luoghi alti. Ailurofobia: paura dei gatti. Anginofobia: paura di soffocare. Antropofobia: paura della gente e dei contatti sociali. Aviofobia: paura di volare in aereo. Brontofobia: paura dei tuoni. Cinofobia: paura dei cani. Criofobia: paura del freddo, del ghiaccio. Demofobia: paura della folla. Dismorfofobia: preoccupazione ossessiva per un difetto, vero o presunto, nel proprio corpo. Ecofobia: paura di rimanere in casa da soli. Emetofobia: paura di vomitare o di vedere altri farlo. Produce spesso restrizioni alimentari. Entomofobia: paura degli insetti. Equinofobia: paura dei cavalli. 30 Eritrofobia: paura di arrossire in pubblico. Gerontofobia: intensa ed incontrollata paura di invecchiare. Glossofobia: paura di parlare in pubblico. Idrofobia: intensa ed incontrollata paura dell'acqua. Può manifestarsi sotto forma di ripugnanza verso i liquidi in generale in soggetti affetti dalla rabbia. Misofobia: paura di rimanere "contaminati" attraverso il contatto con corpi estranei, o attraverso il contatto con altri esseri umani. Monofobia: paura della solitudine. Musofobia: intensa ed incontrollata paura dei topi. Ofidiofobia: paura dei serpenti. Omofobia: paura delle persone omosessuali, di diventare omosessuale o di essere considerato tale. Patofobia: intensa ed incontrollata paura delle malattie, di ammalarsi. Rupofobia: paura dello sporco e di ciò che non è igienico, dalla quale spesso deriva l'ossessione a pulire. Sessuofobia: intensa ed incontrollata paura dei contatti sessuali e di tutto ciò che comportano. Sociofobia: paura dei rapporti sociali. Tafofobia: intensa ed incontrollata paura di essere sepolto vivo. Tanatofobia: paura ossessiva della morte. Tomofobia: paura dei tagli, delle operazioni chirurgiche. Toxofobia: paura di essere avvelenati. 31 Xenofobia: intensa ed incontrollata paura di ciò che è estraneo, inteso come persona o cultura. Si usa comunemente per indicare odio fanatico verso tutto ciò che è straniero. Zoofobia: paura degli animali in genere. 2.8 Disturbi concomitanti al DAP Il soggetto affetto da DAP in molti casi soffre di ipocondria cioè la preoccupazione eccessiva per la propria salute e la paura o la convinzione di avere una grave malattia fisica. Al primo sintomo di malessere la persona ipocondriaca pensa al peggio come ad esempio per un mal di testa pensa ad un ictus o ad un tumore cerebrale; se avverte tachicardia o extrasistole pensa che gli stia venendo un infarto. Egli si sottopone a visite mediche ed accertamenti molto spesso. All’inizio si lascia rassicurare, ma dopo un po’ di tempo ricominciano gli stessi timori. 2.9 Effetti del DAP nella memoria La memoria subisce una lieve compromissione quando si soffre di DAP. Si hanno difficoltà di concentrazione, di apprendimento, di attenzione, ma quando l’ansia anticipatoria e gli attacchi di panico tendono a diminuire e quindi scomparire si ha un ripristino ottimale delle funzioni. 2.10 Diverse forme cliniche del DAP Esistono diverse forme cliniche del DAP il DSM-IV ne prende in considerazione due forme: disturbo di panico con agorafobia e disturbo di panico senza agorafobia, come spiegato in precedenza. Oltre a queste due forme classiche ne abbiamo altri tipi: Forme classiche di DAP : la sintomatologia è quella classica con attacchi di panico frequenti, ansia anticipatoria, ipocondria, demoralizzazione secondaria, agorafobia accentuata. Forme di DAP con attacchi sporadici: questo è il caso in cui sono avvenuti episodi di attacchi di panico, ma non si sono più ripetuti, sono scomparsi. Forme pure di DAP: di questo gruppo fanno parte i casi in cui la sintomatologia è caratterizzata da attacchi di panico ricorrenti e di intensità diversa con frequenza variabile, ma non sono associati ipocondria o agorafobia ed il soggetto non soffre di ansia anticipatoria. Forme di DAP con ansia anticipatoria prevalente: questo è il caso in cui il soggetto avverte sempre ansia anticipatoria ed è molto invalidante ed intensa e crea molto più disagio questo malessere che un attacco di panico. Gli attacchi di panico sono lievi, ma la paura di stare male compromette la vita del soggetto che ne soffre. 32 Forme di DAP con demoralizzazione secondaria prevalente: ci si riferisce a quei casi il cui sintomo predominante è la demoralizzazione secondaria. La persona che ne soffre si sente sempre triste, scoraggiata, senza iniziativa, si vergogna del suo disturbo e si sente in colpa per esso. Questo è il caso in cui si deve stare attenti a fare una diagnosi differenziale tra demoralizzazione secondaria e depressione maggiore. Forme di DAP con prevalente ipocondria: nel DAP la convinzione di avere una malattia fisica e la preoccupazione perenne per la propria salute è quasi sempre presente. Però quando l’ipocondria diventa accentuata e persistente da dominare la vita della persona il disturbo rientra in questo gruppo. Forme di DAP con agorafobia prevalente: chi ne soffre anche se ha avuto attacchi di panico in passato continua ad avere comportamenti evitanti, quindi l’agorafobia è prevalente compromettendo la vita sociale e lavorativa. Questo è il disturbo dell’agorafobia senza attacchi di panico. Forme fobico-sociali di DAP: in questo caso è prevalente l’evitamento di situazioni pubbliche però si distingue dalle fobie sociali perché sono presenti gli attacchi di panico inaspettati indipendentemente da dove si trova il soggetto. 2.11 Approfondimento del termine agorafobia La caratteristica essenziale dell’agorafobia è l’ansia relativa all’essere da soli in luoghi o situazioni dai quali potrebbe essere difficile o imbarazzante allontanarsi o nei quali potrebbe non essere disponibile aiuto nel caso di un attacco di panico o sintomi tipo panico (es. paura di avere un attacco improvviso di vertigini). Situazioni tipiche che suscitano timori agorafobici sono: l’essere fuori casa da soli o lo stare a casa da soli, l’essere in mezzo alla folla o in coda, dover passare sotto un tunnel o sopra un ponte, il dover prendere l’ascensore, viaggiare in autobus, in metropolitana, in aereo, in treno o automobile, l’essere comunque lontani da casa. L’ansia, dunque, determina tipicamente l’evitamento della situazione temuta. Alcune persone sono in grado di esporsi a tali situazioni, ma le sopportano con paura e disagio o comunque viene richiesta la presenza di un accompagnatore. L’evitamento delle situazioni temute da parte della persona può compromettere la sua capacità di recarsi a lavoro o di portare avanti le incombenze domestiche, creando secondariamente peggioramenti o rotture delle sue relazioni interpersonali. Queste persone possono chiedere insistentemente di essere accompagnati ogni volta che escono da casa e chi ne è affetto gravemente può anche rifiutarsi di uscire dalla propria casa ed alle volte nella stessa casa trascorrono il loro tempo in una sola stanza dove si sentono al sicuro. Nonostante l’evidente compromissione della funzionalità psicosociale, spesso questi soggetti non richiedono un aiuto professionale e ne consegue un netto e progressivo deterioramento della qualità di vita in quanto l’agorafobia può diventare la più disabilitante tra le fobie. 2.12 DAP e Psicosi 33 Il DAP non può mai trasformarsi in una psicosi, cioè in un disturbo psichiatrico caratterizzato da deliri, allucinazioni ecc…. La paura di impazzire, una diffusissima preoccupazione di chi soffre di DAP è del tutto infondata. Il problema della psicosi c’è soltanto quando è già presente in un soggetto ed a questo si associa il DAP. Nessun soggetto che soffre solo di DAP potrà mai impazzire, ma se il disturbo non viene curato adeguatamente o non curato affatto può solo peggiorare. Il DAP si può curare in due modi: con la farmacoterapia o con la psicoterapia; è consigliato che entrambe viaggiare si affiancassero per potenziare l’efficacia delle terapie.Il decorso del disturbo è lungo da un minimo di 5 anni circa, nella maggior parte dei casi, fino ad arrivare anche a 20 anni. Quando si inizia la terapia farmacologica gli attacchi di panico spariscono in qualche settimana, ma rimane in genere l’agorafobia. La durata della terapia è comunque soggettiva per ogni persona. Ci sono persone, in casi molto rari, che riescono a guarire anche senza terapie. Purtroppo le ricadute sono sempre dietro la porta per il DAP, ma non si deve ricominciare tutto da capo, perché già il soggetto sa come comportarsi, sa gestire in qualche modo il suo disturbo dall’esperienza precedente. Certamente il percorso verso la totale guarigione o eliminazione è lungo e laborioso.[6] 34 CAPITOLO 3 Premessa: eziopatogenesi del DAP Con il termine eziopatogenesi si definisce l'analisi delle cause e dello sviluppo di una patologia o di una condizione anomala. Il termine deriva dall'unione di "eziologia" e "patogenesi" che in campo medico indicano i fattori causali (eziologia) e il conseguente sviluppo di un processo patologico (patogenesi). 3.1 Fattori biologici Nella comprensione della patofisiologia del disturbo di panico hanno avuto grande importanza gli studi effettuati attraverso stimolazioni biochimiche sperimentali. Nella maggior parte dei pazienti con disturbo di panico si è visto la presenza di alcune sostanze in proporzione maggiore rispetto ai soggetti senza tale disturbo, queste sostanze sono dette panicogene in quanto esse sono in grado di scatenare degli attacchi di panico. Le sostanze che causano panico respiratorio sono l’anidride carbonica, il lattato sodico e il bicarbonato. L’attacco di panico può essere scatenato anche attraverso l’iperventilazione. Le sostanze neurochimiche che inducono panico, le quali agiscono attraverso specifici neurotrasmettitori comprendono la yohimbina, la dfenfluramina che è un agente rilasciante la serotonina, la m-clorofenilpiperazina che è una sostanza con molteplici effetti serotoninergici, il flumazenil che è un antagonista benzodiazepinico, la colecistochinina e la caffeina. Anche l’isoprotenerolo è una sostanza che induce il panico. Queste sostanze esplicano presumibilmente i loro effetti primari direttamente sui recettori centrali noradrenergici, serotoninergici e GABAergici.[7] 3.2 Fattori genetici Il disturbo di panico ha una determinante genetica e appare il più ereditabile tra i disturbi di ansia. Gli studi sui gemelli finora condotti hanno dimostrato che i gemelli monozigoti hanno più probabilità di concordanza per disturbo di panico rispetto ai dizigoti. Diversi studi inoltre hanno dimostrato un’elevata predisposizione familiare: il rischio di ammalarsi è di 4-8 volte superiore nei parenti di primo grado dei pazienti con disturbo di panico. Le forme ad esordio precoce, in età inferiore ai 20 anni, hanno una più elevata familiarità ed il rischio di ammalare è alto. 3.3 Fattori psicosociali L’ansia, secondo la teoria cognitivo-comportamentale, è una risposta appresa attraverso il comportamento dei genitori o attraverso il processo di condizionamento classico. Nell’approccio al disturbo di panico e 35 all’agorafobia basato sul condizionamento classico, uno stimolo nocivo (attacco di panico) che compare assieme ad uno stimolo neutro (un viaggio in autobus) può determinare l’evitamento dello stimolo neutro. Le teorie cognitivo-comportamentali possono aiutare a spiegare lo sviluppo dell’agorafobia o l’aumento della gravità degli attacchi di panico non provocati e inaspettati che un paziente affetto dal disturbo di panico presenta. Invece le teorie psicoanalitiche considerano gli attacchi di panico come la conseguenza dell’insuccesso di una difesa nei confronti di impulsi che provocano ansia che, inizialmente modesta e con la funzione di segnalare questi impulsi, diventa poi una sensazione opprimente di apprensione associata a sintomi somatici. Nell’agorafobia le teorie psicoanalitiche mettono in rilievo la perdita di un genitore in età pediatrica e una storia di ansia da separazione. Le separazioni traumatiche durante l’età pediatrica, influenzando lo sviluppo del sistema nervoso del bambino, lo renderebbero suscettibile all’ansia infantile del sentirsi abbandonato. Nonostante molti pazienti descrivono gli attacchi di panico come se comparissero dal nulla, l’esplorazione psicodinamica spesso rivela l’importante ruolo che fattori ambientali e psicologici hanno nello scatenare il disturbo di panico. Le ricerche indicano che la causa degli attacchi di panico coinvolge, probabilmente, il significato inconscio attribuito agli eventi stressanti e che la loro patogenesi può essere correlata a fattori neuropsicologici scatenati dalle reazioni psicologiche.[8] 3.4 Fattori eziopatogenetici: possibile modello unificatore Nel tentativo di trovare un possibile filo conduttore per collegare l’evidenze neurobiologiche a quelle psicosociali riguardanti il disturbo di panico, Pancheri, ha proposto un modello in grado di spiegare l’insorgenza e l’evoluzione di tale disturbo come un continuo di una serie di eventi concatenanti fra loro. Sulla base di un determinato assetto genetico, la storia naturale del disturbo si articolerebbe in quattro fasi successive. Nella prima fase, definita di sensibilizzazione, un importante ruolo rivestono le esperienze precoci di vita: lo sviluppo nel bambino di un attaccamento di tipo “ansioso”, come definito da Bolwby, nei confronti delle figure significative che ostacolerebbero l’acquisizione di una propria autonomia per un’adeguata esplorazione dell’ambiente. Bolwby infatti nella teoria dell’attaccamento spiega quanto sia fondamentale per l’istaurarsi di rapporti “sicuri” nel corso della vita il modello offerto dalla prima relazione significativa per un bambino: quello che con la propria madre. In questo primo rapporto di attaccamento, per lo sviluppo del bambino e per le sue future relazioni, sarebbe l’armoniosa coesistenza del bisogno di sicurezza e di protezione da una parte e la ricerca di autonomia attraverso l’esplorazione dell’ ambiente dall’altra. In Separazione (1973) Bolwby proponeva una teoria dell’agorafobia, o la fobia scolare, come un esempio di angoscia di separazione e suggeriva tre pattern interattivi sottostanti alla malattia: l’inversione dei ruoli fra genitore e figlio, paura nel 36 paziente che qualcosa di terribile possa avvenire al paziente quando si trova lontano dalla protezione dei genitori. Bolwby riteneva che nei disturbi fobici, i sentimenti dolorosi e le esperienze terrorizzanti venivano soppressi ed evitati piuttosto che affrontati e padroneggiati. L’uso della negazione non permette al bambino di fare esperienza dell’elaborazione emotiva di affetti dolorosi. Inoltre, non elaborando, il bambino attribuisce significato agli eventi e quando una volta adulti questi individui sperimentano shock o conflitti essi si focalizzano puramente sui sintomi del panico e non sugli eventi che li hanno scatenati. L’attacco di panico sarebbe l’esplosiva conseguenza di un lungo e difficile tentativo di controllare e di tenere lontane le emozioni mai elaborate. Nella fase successiva di latenza l’ansia di separazione verrebbe adeguatamente compensata attraverso l’instaurarsi di nuovi rapporti di attaccamento. L’adolescente, tuttavia, cresce senza la spinta all’esplorazione e all’autonomia. Nella terza fase, di richiamo, si verifica un evento acuto di separazione-perdita (che solitamente si verifica nei 6-12 mesi precedenti l’esordio del disturbo) , talvolta eventi implicanti cambiamenti che derivano da nuovi “attaccamenti” come il matrimonio o l’aggiunta di nuovi membri alla famiglia. Tali eventi potrebbero essere responsabili della up-regolation dei recettori noradrenergici, già resi instabili durante la prima fase. Questo comporterebbe un aumento del senso di vulnerabilità individuale e dello stato di allarme. A questo punto, fondamentale, appare la capacità di elaborazione di tali eventi da parte del soggetto, a sua volta strettamente legata all’assetto cognitivo individuale. Le teorie cognitive, a tal proposito, enfatizzano la tendenza, nei soggetti con disturbo di panico, ad interpretare gli eventi come catastrofici. Nell’ultima fase, definita di scatenamento, si ha esordio clinico del panico.[9] 37 CAPITOLO 4 Premessa: trattamento del DAP Il disturbo di panico è una psicopatologia curabile, in molti casi guaribile e spesso eliminabile. I trattamenti più efficaci sono la farmacoterapia, la psicoterapia e/o la loro integrazione. Gli obiettivi del trattamento sono quelli di contenere e migliorare non solo gli attacchi di panico, ma anche i livelli d’ansia, l’evitamento fobico e la funzionalità sociale e lavorativa del soggetto cercando di effettuare la migliore scelta terapeutica possibile per poter mantenere nel tempo i risultati terapeutici ottenuti. Il trattamento farmacologico del DAP è volto al controllo degli attacchi di panico e molto spesso il miglioramento di questa componente del disturbo determina una catena di rinforzi postivi in grado di ridurre l’ansia e le condotte di evitamento . In alcuni casi invece il controllo delle crisi di panico non garantisce la risoluzione delle condotte di evitamento e appare utile affiancare al trattamento farmacologico uno di tipo psicoterapeutico che in un primo momento può essere un percorso parallelo e poi la psicoterapia può sostituire il trattamento farmacologico. Nella scelta terapeutica devono essere considerati i limiti di entrambi i trattamenti. Ci sono infatti diverse situazioni che limitano la proposta di un intervento psicoterapeutico: la disponibilità, il livello di motivazione del paziente, la presenza di terapeuti preparati, la lunghezza delle liste di attesa, la distanza dalla propria abitazione che nei casi di attacchi di panico non è da sottovalutare, il costo delle sedute. Spesso succede che viene abbandonata la psicoterapia dal paziente perché non riesce a mettersi in esposizione e quindi diventa insopportabile a differenza della terapia farmacologica che ha un’azione più rapida e non richiede sforzi particolari o disagi da parte del paziente. 4.1 La farmacoterapia La farmacoterapia è una terapia a base di farmaci e quella per i disturbi mentali è una delle aree in più rapida evoluzione della medicina clinica. Le basi biologiche del comportamento stanno diventando sempre più chiare, in gran parte grazie all'uso di agenti farmacologici che modificano il comportamento e l'umore. La psichiatria clinica continua a presentare enormi cambiamenti a seguito dell'introduzione di nuovi farmaci e delle nuove indicazioni per sostanze già esistenti. I medici devono conoscere a fondo gli usi dell'ampio spettro di sostanze disponibili. Le capacità che stanno alla base del successo di una terapia psicofarmacologica sono l’ osservazione clinica per giungere a un'appropriata diagnosi, la formulazione di un piano terapeutico basato sulle conoscenze e le preferenze del medico, la capacità di presentare i rischi e i benefici di una particolare terapia e lo stretto monitoraggio degli esiti. 38 A causa dell'incompleta conoscenza della relazione tra cervello e comportamento, il trattamento farmacologico dei disturbi psichiatrici è empirico. I farmaci devono essere usati alla dose efficace per periodi di tempo sufficienti, determinati da precedenti studi clinici. Lo psichiatria non dovrebbe somministrare dosi subterapeutiche e cicli incompleti solo perché teme eccessivamente l'insorgenza di effetti collaterali. Si devono monitorare strettamente la risposta al trattamento e l'insorgenza di effetti collaterali. La dose del farmaco deve essere adattata di conseguenza e si dovrebbero istituire il più presto possibile appropriati trattamenti per gli effetti collaterali che eventualmente si manifestino. Per il trattamento farmacologico del DAP i farmaci approvati dalla FDA ( Food and Drug administration) sono tre: alprazolam, sertralina, paroxetina. Gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) e la clomipramina si stanno dimostrando più efficaci e meglio tollerabili rispetto alle benzodiazepine, agli inibitori delle monoaminoossidasi (IMAO) e ai farmaci triciclici e tetraciclici. Secondo delle linee guida, gli SSRI, sono considerati di prima scelta, seguiti dai triciclici, dalle BDZ e dagli IMAO. Un approccio è quello di iniziare con paroxetina, sertralina o fluvoxamina nel disturbo di panico isolato. Associando agli SSRI un breve ciclo di alprazolam, cha va poi sospeso gradualmente al fine di non creare delle crisi di astinenza da farmaco. Se il paziente non risponde ad una delle tre classi di farmaci più usate si dovrebbero provare i farmaci di un’altra classe. Però si deve sempre tenere presente che un paziente può non rispondere ad un SSRI , ma può giovarsi di un’altra molecola della stessa classe. Quindi prima di passare ad un’altra classe è consigliabile fare ciò. È possibile poi tentare l’associazione di un SSRI o di un farmaco triciclico con una benzodiazepina, oppure di un SSRI con il litio o con un farmaco triciclico. Nel caso di una risposta terapeutica inadeguata o assente è possibile ipotizzare l’aggiunta di una tripla terapia con tre farmaci appartenenti alle tre classi diverse. Altri dati presenti in letteratura suggeriscono l’associazione di altri tipi di farmaci: moclobemide (IMAO reversibile), fluvoxamina, valproato, clonazepam. Gli IMAO irreversibili sono considerati farmaci rischiosi da gestire per il loro pericolosi effetti collaterali. Alcuni autori riportano l’utilità di associare due classi di farmaci per poter così utilizzare dosi inferiori rispetto a quelle normalmente utilizzate e per limitare quindi gli effetti collaterali. La prima fase del trattamento è caratterizzata da una personalizzazione e da un continuo aggiustamento del dosaggio del farmaco e non deve durare meno di 12-16 settimane. Se al termine di questo periodo il paziente manifesta una riduzione-scomparsa della sintomatologia è possibile iniziare una fase di mantenimento di circa 6-8 mesi durante la quale il paziente deve continuare ad assumere il farmaco a dosaggio pieno per consolidare il risultato positivo ottenuto per indurre una remissione completa della malattia ed evitare recidive. Al termine di questo periodo, permanendo il miglioramento, è possibile iniziare a diminuire 39 gradualmente il dosaggio e alla fine arrivare alla sospensione del trattamento in un periodo di 4-6 mesi circa. Nei casi di DAP rispondenti al trattamento, la durata della cura non deve mai scendere al di sotto di 18-24 mesi perché c’è il rischio elevato di una recidiva. Nonostante l’alta percentuale di efficacia che i farmaci dimostrano nel trattamento iniziale del disturbo di panico (vicina al 70-80% nel breve e medio termine), il vero problema è costituito dall’alto tasso di ricadute alla sospensione del farmaco, questo problema è ancora più accentuato quando i pazienti sono trattati con benzodiazepine. 4.2 Analisi del farmaco SSRI: sulla base della letteratura esistente, gli SSRI sono considerati i farmaci di prima scelta nel disturbo di panico. Tutti gli SSRI, a dosi terapeutiche, risultano essere ugualmente efficaci nel trattamento del disturbo di panico, ma le significative differenze riguardo gli effetti avversi rendono la paroxetina la sostanza meglio tollerata. La paroxetina, inoltre, per il suo pronto effetto sedativo, migliora la compliance del paziente. Anche la fluvoxamina e la sertralina sono discretamente tollerate. I pazienti con disturbo di panico si dimostrano particolarmente sensibili agli effetti di attivazione degli SSRI, in particolare della fluoxetina, alcuni dei pazienti all’inizio del trattamento può avvertire un aumento di ansia, agitazione, irrequietezza ed insicurezza. È opportuno quindi iniziare con bassi dosaggi da aumentare poi gradualmente: per un periodo di 7-10 giorni risulta sufficiente utilizzare un quantitativo di farmaco pari alla metà o ad un terzo del dosaggio consigliato. Il dosaggio terapeutico dei farmaci serotoninergici, nel trattamento del disturbo di panico, varia da moleca a molecola e oscilla tra i 20 ed i 60 mg per la paroxetina e il citalopram; fra 20 e 80 mg per la fluoxetina, fra 100 e 300 mg per la fluvoxamina e fra 50 e 200 mg per la sertralina. I principali effetti collaterali degli SSRI consistono in cefalea, irritabilità, nausea ed altri disturbi intestinali, insonnia, disfunzioni sessuali, aumento dell’ansia, sonnolenza e tremori. Benzodiazepine: l’attività terapeutica delle benzodiazepine nel panico consisterebbe nella riduzione dell’ipertono noradrenergico. Esse sono molecole ad azione molto rapida nel controllo acuto dei sistemi ansiosi. Possono essere usate per un lungo periodo senza lo sviluppo di assuefazione agli effetti antipanico. Le BDZ nel DAP vengono utilizzate principalmente per ridurre l’intensità e la frequenza degli attacchi di panico e per ridurre l’ansia anticipatoria. 40 L’alprazolam è stata la BDZ più largamente studiata ed utilizzata per il DAP. Molti studi hanno dimostrato l’efficacia clinica nel trattamento delle crisi di panico, dell’ansia anticipatoria ed anche dell’agorafobia. Risulta efficace con una dose giornaliera di 5-6 mg fino ad un massimo di 10 mg. Altri studi hanno dimostrato che risultano efficaci anche lorazepam 7-12 mg e il clonazepam 3-5 mg . In genere le BDZ si usano in concomitanza con i SSRI e poi vengono eliminati dopo 4-12 settimane gradualmente, mentre il farmaco SSRI viene continuato, alcuni pazienti usano le benzodiazepine in caso di necessità quando si trovano a contatto con uno stimolo fobico. Riguardo l’utilizzo delle benzodiazepine nel disturbo di panico, tenendo presente gli elevati dosaggi richiesti in questo disturbo, c’è il rischio di dipendenza, di sedazione, di alterazioni cognitive e psicomotorie e di abuso soprattutto dopo un uso protratto. Il paziente dovrebbe essere avvisato di non guidare e di non utilizzare macchinari pericolosi durante l’assunzione di BDZ. Le benzodiazepine suscitano un senso di benessere, mentre la loro interruzione provoca la sindrome di astinenza, i cui sintomi dovrebbero essere spiegati al paziente. Esse dovrebbero essere ridotte in modo graduale. Triciclici e tetraciclici: fra i triciclici la clomipramina e l’imipramina, si sono dimostrati efficaci nel trattamento del DAP. Molti dubbi però nell’efficacia sull’ansia anticipatoria e sull’ agorafobia. Il beneficio clinico richiede il dosaggio massimo e può non essere conseguito per 8-12 settimane. Il dosaggio di imipramina è di 150-300 mg al giorno. Per quanto riguarda la clomipramina il dosaggio è di 100-150 mg al giorno. È consigliabile iniziare con dosi molto basse ed arrivare al dosaggio terapeutico. Il paziente deve assumere il farmaco per almeno 6 settimane di cui le ultime 2 settimane a dosaggio pieno, in caso di risposta positiva è bene continuare a trattare il paziente per altri 2-3 mesi. La durata ottimale della terapia di mantenimento per i triciclici la letteratura suggerisce 12 mesi. Gli effetti collaterali dei farmaci triciclici sono vari infatti vengono utilizzati solo in casi estremi di DAP dopo aver tentato gli altri farmaci consigliati dalla letteratura. I SSRI alle dosi necessarie per il DAP hanno gravi effetti collaterali come effetti anticolinergici (secchezza delle fauci, stipsi, ritenzione urinaria, tachicardia e disturbi visivi), aumento della sudorazione, disturbi del sonno, ipotensione ortostatica (rischio di cadute nei soggetti anziani) e vertigini, affaticamento ed astenia, disturbi cognitivi, aumento dipeso, disfunzioni sessuali. Questi effetti però sono destinati a sfumare e a ridimensionarsi durante il proseguimento della terapia. L’utilizzo di questi farmaci è controindicata in soggetti affetti da ipertrofia prostatica e da glaucoma per gli effetti anticolinergici e nei pazienti affetti da disturbi della conduzione cardiaca per il rischio dell’insorgenza di gravi aritmie. Inibitori delle monoaminoossidasi (IMAO): per questa classe di farmaci ha efficacia la fenelzina da 15 a 90 mg al giorno e meno efficace è la tranilcipromina da 15 a 60 mg al giorno, nel controllo del DAP. 41 Gli IMAO determinano meno frequentemente una sovra stimolazione rispetto agli SSRI e ai triciclici, ma è possibile che sia necessaria una dose completa per almeno 8-12 settimane perché essi siano efficaci. Gli effetti collaterali degli IMAO sono l’ipotensione, disfunzioni sessuali, disturbi del sonno, aumento dipeso, secchezza della fauci. Però possono accadere anche episodi di crisi ipertensive dovute all’interazione con alcuni cibi che contegono la tiramina, come ad esempio in formaggio, o se vengono associati a farmaci antidepressivi triciclici. Tra gli inibitori del DAP la brofaromina è la molecola più efficace. La terapia con gli IMAO non è consigliata perché con il passare del tempo l’efficacia del farmaco diminuisce. Altri farmaci : Alcuni studi hanno dimostrato l’utilità, in alcuni casi, di utilizzare come farmaco aggiuntivo venlafaxina (50-150 mg) e nefazodone (200-600 mg). La venlafaxina è un inibitore della noradrenalina, il nefazodone è meno efficace della venlafaxina, ma per entambi la letteratura non si pronuncia come farmaci antipanico. I Beta-bloccanti come ad esempio il propranolo non si sono dimostrati efficaci nel DAP. Altri farmaci sono stati sperimentati, ma con nessun effetto curante per il DAP. 4.3 Le tappe della terapia farmacologica Le tappe più importanti della terapia farmacologica sono le seguenti fasi: Fase preliminare Fase iniziale Fase intermedia Fase finale La fase preliminare va dal momento in cui si lo psichiatra ha il primo contatto con il paziente al momento in cui inizia la terapia farmacologica. Questo è un momento che caratterizzerà tutto il percorso della terapia e l’efficacia del trattamento dipenderà sia dall’abilità del terapeuta sia dalla collaborazione del paziente. La terapia farmacologica viene somministrata dopo la diagnosi differenziale psichiatrica. Il trattamento farmacologico è sempre personalizzato ed è basato su criteri scientifici e la terapia è sempre calibrata per le caratteristiche del paziente.La durata di questa prima fase è breve dura generalmente solo pochi giorni, ma ci sono delle eccezioni quando il paziente non riesce a collaborare o il terapeuta ha difficoltà nella diagnosi. Gli 42 obiettivi quindi sono una valutazione generale del caso ed avere una diagnosi corretta, elaborare un programma del percorso terapeutico e stabilire l’alleanza da parte del terapeuta con il paziente. La fase iniziale va dal momento in cui il paziente inizia a prendere il farmaco al momento in cui scompaiono i sintomi più acuti ed urgenti e ciò si aggira intorno ai tre mesi circa. L’obiettivo di questa fase è quello di eliminare tutti gli attacchi panico, l’ansia e successivamente l’ansia anticipatoria e l’agorafobia. Il problema principale di questa fase sono gli effetti collaterali del farmaco all’inizio dell’assunzione che tendono poi gradualmente a scomparire oppure spesse volte il fastidio è tale da dover sospendere la terapia perché difficile il proseguimento. Gli effetti collaterali possibili sono vari e sono sempre indicati nel foglietto illustrativo del farmaco. Gli antidepressivi triciclici sono quelli che creano più effetti collaterali quelli più frequenti sono ipotensione ortostatica, stipsi, secchezza della bocca, diminuizione del desiderio sessuale, difficoltà nell’eiaculazione e nell’orgasmo, sedazione, sonnolenza e rallentamento dei riflessi. Gli antidepressivi serotoninergici anche loro nella sfera sessuale con diminuizione del desiderio, ritardo dell’eiaculazione e difficoltà nell’orgasmo ma sono temporanei e reversibili; nausea sei il farmaco è preso a stomaco vuoto altri effetti possono essere inappetenza e variazioni del peso corporeo; può capitare di avere irrequietezza e tremori e quindi va associato un ansiolitico. Gli ansiolitici come effetti collaterali in genere si avvertono a livello del sistema nervoso con diminuzione della vigilanza e prontezza dei riflessi ciò in genere è dovuto all’errore della dose che può essere eccesiva e quindi va modificato il dosaggio oppure se vengono associati con altri farmaci o sostanze come stupefacenti o alcool. La fase intermedia và dal momento in cui sono stati eliminati i sintomi più importanti del DAP al momento in cui si ottiene la scomparsa di tutti i sintomi e la durata si aggira intorno agli otto mesi. L’obiettivo di questa fase è la guarigione ed il ritorno alla situazione preesistente e se questa era caratterizzata da qualche disagio al passaggio di una fase di vita migliore di quella di prima. In questa fase quindi si deve eliminare l’agorafobia e tutti i tipi di evitamento che ci sono quando si hanno gli attacchi di panico. Si cerca di mantenere questa situazione per raggiungere la stabilizzazione del paziente, si cerca di evitare le ricadute e riottenere una vita sociale soddisfacente. Alle volte sia il paziente che i familiari in questa fase sono preoccupati dell’assunzione dei farmaci ancora al dosaggio iniziale e chiedono se si potesse eliminare la farmacoterapia dato che si è guariti, ma questa è una fase molto delicata dove un piccolo errore può fare ricadere è stato placato ed avere una recidiva degli attacchi di panico in quanto non è stato eliminato, ma il sintomo dalla farmacoterapia. Il farmaco si riduce gradualmente e con molto cautela all’inizio della fase successiva. La fase intermedia è quella ideale per poter iniziare una psicoterapia in quanto il paziente non ha malessere. La fase finale è quella terminale del percorso, quella che condurrà alle vera guarigione e quindi gradualmente si eliminerà il farmaco evitando ricadute con l’adattamento delle dosi e quindi dopo un periodo la 43 sospensione del farmaco. I controlli continuano costanti anche dopo la sospensione dei farmaci dilazionando sempre più gli appuntamenti dallo psichiatra perché ci possono essere delle ricadute e quindi si riprende la terapia farmacologica, ma se non succede si è arrivati al recupero delle funzionalità raggiungendo quindi la vera guarigione. La durata della fase iniziale è di circa sei mesi e non inizia prima del primo anno di trattamento farmacologico. 4.4 La psicoterapia La psicoterapia è una modalità di trattamento in cui lo psicoterapeuta e il paziente lavorano insieme per cambiare una situazione di sofferenza psicologica. E’ un processo interpersonale ideato per provocare cambiamenti nelle emozioni, pensieri, atteggiamenti, comportamenti e relazioni che arrecano disagio alla persona che ha chiesto aiuto. Nella pratica clinica attuale è più facile che una persona richieda una psicoterapia lamentandosi per la qualità delle sue relazioni piuttosto che per una precisa sintomatologia, come avveniva invece ai tempi di Freud. Differenziamo infatti la psicoterapia dalla psicoanalisi.[10] 4.5 La differenza tra la psicoterapia e la psicanalisi La psicoterapia si occupa della cura di disturbi psicopatologici di diversa gravità che vanno dal modesto disadattamento all'alienazione profonda e possono manifestarsi in sintomi nevrotici tali da nuocere al benessere di una persona fino ad ostacolarne lo sviluppo causando fattiva disabilità; a tal fine si avvale di tecniche applicative della psicologia come la : psicoterapia cognitivo-comportamentale, psicoterapia della Gestalt , ecc. In Italia professionalmente la psicoterapia è una specializzazione sanitaria riservata a Medici e Psicologi iscritti ai rispettivi Ordini professionali e si consegue mediante un percorso formativo presso scuole di specializzazione universitarie. Questo approccio "sanitario" è peculiare del sistema italiano che con la legge c.d. Ossicini n.56/1989 ha voluto riservarne l'esercizio solo a medici e psicologi specializzati in psicoterapia in questo modo discostandosi da quanto avviene in tutto il resto del mondo dove la psicoterapia come la psicoanalisi costituisce disciplina e attività a sé. i La parola psicoterapia significa "cura dell'anima" riconduce alle terapie della psiche realizzate con strumenti psicologici quali la parola, l'ascolto, il pensiero, la relazione, nella finalità del cambiamento consapevole dei processi psicologici dai quali dipende il malessere o lo stile di vita inadeguato e connotati spesso da sintomi come ansia, depressione, fobie, etc. La psicanalisi innanzitutto è una teoria dell'inconscio. Nell'indagine dell'attività mentale umana essa si rivolge soprattutto a quei fenomeni psichici che risiedono al di fuori della coscienza. La psicanalisi è il risultato del lavoro svolto da Sigmund Freud tra 1856 ed il 1939, egli sviluppò dei principi basilari che si 44 discostavano parecchio dai precedenti metodi di cura; infatti prima dell'arrivo di Freud l'isteria e le nevrosi erano trattate con l'ipnosi o addirittura con l'elettroshock. Freud introdusse il metodo di cura basato sulla parola egli permetteva che i pazienti, dopo essersi distesi e rilassati su un divano, divenuto poi il famoso lettino dell'analista, dessero libero sfogo alle parole e al flusso dei propri pensieri. Si tratta del metodo delle libere associazioni, il quale prevede che i pensieri scorrano liberamente, senza alcuna logica razionale, trasformando in parole ciò che è presente nel profondo. Questa parte profonda, denominata da Freud inconscio, rappresenta la parte più difficilmente accessibile della nostra mente, quella che nasce e continua a costituirsi nel corso della vita attraverso l'azione della rimozione. La rimozione è un meccanismo di difesa che agisce sui pensieri dolorosi e inaccettabili, talmente insopportabili che la psiche li confina nell’inconscio. In questo modo la persona perde la consapevolezza di tali pensieri e la sua mente non viene più perturbata da essi, almeno temporaneamente. Tuttavia può accadere che i traumi rimossi, pur non direttamente disponibili alla coscienza, ma comunque presenti nell'inconscio, generino ansia e sentimenti negativi, i quali esercitano un'azione patologica sul comportamento umano. Freud introdusse il concetto di transfert, ovvero quel vincolo emotivo che si stabilisce tra paziente e analista, con il quale il paziente sposta sentimenti e pensieri relativi ad una relazione significativa della sua vita sull'analista. Nella concezione di Freud il transfert era indispensabile alla guarigione del paziente, in quanto lo rendeva parte attiva del processo terapeutico, aiutandolo a scoprire da sé il modo migliore per risolvere il suo trauma. Questo era un concetto nuovo e stupefacente per il tempo, in quanto fino a quel momento il paziente veniva considerato come parte passiva del processo terapeutico. Il modello della mente umana sviluppato da Freud è costituito da tre parti fondamentali, dette istanze: Io: rappresenta il substrato cosciente, ovvero ciò di cui si ha consapevolezza. L'Io ha la funzione di intermediario tra Es, Super-Io e la realtà esterna; Es: è la parte inconscia, la quale raccoglie e mantiene un enorme numero di informazioni che vengono rimosse dalla prima infanzia sino alla morte. L'Es è anche il serbatoio delle pulsioni sia sessuali che aggressive; Super-Io: è il "censore" della mente umana. È razionale e contiene tutte le norme morali; si oppone aspramente ai contenuti dell'Es che sono al contrario irrazionali e istintuali. In una situazione di normalità i ricordi rimossi che stazionano nell'Es vengono bloccati dal Super-Io e non sono in grado di raggiungere l'Io. Quando invece un qualsiasi elemento cosciente riesce a risvegliare un oggetto rimosso si sviluppa un conflitto tra il ritorno del rimosso e le resistenze del Super-Io, Freud chiama tale situazione nevrosi. 45 Nella nevrosi d’angoscia Freud elenca una serie di caratteristiche basate su forme di irritabilità generica quali l’ipersensibilità ai rumori spesso causa di insonnia, sul nervosismo e sull’attesa angosciosa di un evento nelle specie della mania del dubbio e dell’ipocondria. Le manifestazioni disfunzionali rispecchiano un disturbo fisico con sintomi quali sudorazione , tachicardia, nausea, dolori addominali, disturbi digestivi, fame d’aria, impressione di soffocamento, tremori e scosse; ma anche senso di irrealtà, depersonalizzazione ed impressione di trovarsi sul punto di impazzire. Un ruolo importante in questa concezione dell’angoscia lo rivestiva il non soddisfacimento libidico tanto che Freud prendeva come esempio di attività atte a provocare la nevrosi d’angoscia una serie di pratiche nocive nell’area della vita sessuale. L’idea fondamentale concerne la trasformazione diretta della libido non giunta ad adeguato soddisfacimento; si forma allora un sovraccarico che si tramuta in angoscia, ma se lo stimolo viene soddisfatto si ha l’abbassamento del grado di tensione mediante la scarica di godimento sessuale. Quindi la fantasia erotica sotto la rimozione permane nell’inconscio tanto da agire come spinta propulsiva per il soggetto tramutandosi in angoscia. Il rimosso sussiste inalterato nell’inconscio, invece l’angoscia permane a livello conscio ed il soggetto risulta consapevole della sua angoscia che avverte a livello corporeo con varie sensazioni somatiche di timore, paura di impazzire, di morire. Le tematica dell’angoscia è stata studiata nella psicoanalisi che l’ha riconosciuta come parente stretta del panico anche se abbiamo elementi di distinzione. Alcuni autori vedono nelle crisi di panico il nome contemporaneo dell’angoscia, altri invece percepiscono nelle crisi di panico il declino epocale del padre. Nel tardo 1800 quando Freud elaborò la sua teoria sull’ esistenza dell’inconscio e sul valore di appagamento del desiderio di esso la società era repressiva. La funzione del padre consisteva innanzitutto nel proibire il godimento, il NO al piacere sessuale. Il padre nell’epoca freudiana era colui che deteneva lo scettro del potere e l’ultima parola in famiglia, era il padre forte della tradizione ebraica; i diritti delle donne erano inferiori ad oggi e quindi pure la funzione della madre. I casi clinici in genere erano provenienti da contesti sociali quale l’aristocrazia e l’alta borghesia. Attualmente il ruolo paterno risulta in declino in una società che vede sempre più bilanciate le posizioni fra madre e padre, fra uomo e donna. La leadership in famiglia può venire gestita in modo paritario e quindi può risultare un appannaggio del padre. Quindi il padre forte della teoria dei casi clinici di Freud viene sempre più soppiantato dal padre carente, fragile, vulnerabile e dal padre che ha timore di questo tipo di responsabilità quindi impacciato nel suo ruolo 46 di genitore. Nella storia delle persone con attacchi di panico infatti si trovano quasi sempre persone con padri piuttosto deboli e non a caso i pazienti tendono ad avere come figura di riferimento tra i due genitori la madre con cui hanno più confidenza e complicità. Non tutti i casi clinici però sono uguali. La figura del padre però non viene vista come figura esclusivamente del genitore, ma come riferimento simbolico, quindi tutti quei punti fermi che un soggetto può avere in un contesto sociale e culturale come la chiesa, la religione, le ideologie politiche, lo stato, ecc.. Quindi il panico costituisce una degenerazione dell’angoscia in quanto non si hanno più dei punti fermi di riferimento perché vanno sempre più in declino lasciando il soggetto allo sbaraglio, indifeso davanti al proprio terrore, soverchiato dai suoi timori che lo travolgono fino ad avere paura di impazzire, di morire, quindi il soggetto in quel momento è quando si rende conto dei suoi limiti nell’illimitato. Infatti nell’epoca del declino del padre e degli ideali si evidenzia un marcato conformismo, fà notare Lacan , anche se siamo in un periodo in cui nel contesto socio-culturale abbiamo vasta libertà e possibilità di espressione l’individuo si trova spesso in un vuoto di valori, di interessi e di desideri incapace di elaborare la propria posizione di soggetto e sfociando la società in una certa omogeneità. Ritornando al problema della differenza tra psicoanalisi e psicoterapia ciò è stato oggetto di infiniti dibattiti fin dai tempi di Freud, ed è di estrema importanza perché riguarda l’ identità stessa della psicoanalisi. Si è incominciato a parlare di psicoterapia psicoanalitica solo dopo la nascita della psicoanalisi, dato che Freud affermò che alcune patologie più gravi non erano trattabili con la psicoanalisi in quanto i pazienti secondo lui erano incapaci di sviluppare un transfert sull'analista, divenne presto comune l'uso del termine psicoterapie psicoanalitiche per quelle terapie derivate in un qualche modo dalla psicoanalisi, le quali venivano applicate a questi disturbi più gravi. A livello storico, il problema si è fatto più sentire mano a mano che la psicoanalisi veniva tentata per diverse forme cliniche, quando cioè un numero sempre crescente di terapeuti incominciarono a sperimentare il metodo psicoanalitico con pazienti che non erano i classici nevrotici, andando contro la direttiva freudiana secondo la quale la psicoanalisi non era applicabile alle forme più gravi. Tra i primi che tentarono la psicoanalisi in quadri precedentemente esclusi fù Sullivan, il quale lavorò con gli psicotici e da qui la 47 tendenza fu quella di parlare di psicoterapia e non di psicoanalisi. Questo nuovo approccio comportò necessariamente una diversa tecnica, in cui venne legittimata una modificazione della tecnica classica a partire da questa nuova impostazione teorica, secondo la quale non erano più i pazienti quelli che dovevano essere selezionati per la tecnica psicoanalitica, ma era la tecnica quella che doveva essere adattata ai pazienti, prendendo quindi questi ultimi, non la tecnica, come variabile indipendente. Si può dire che questi studi sull'Io e sul punto di vista dello sviluppo fornirono le basi concettuali di quello che poi diventò il dibattito sulla psicoterapia psicoanalitica, cioè sulla possibilità di modificare la tecnica standard a seconda delle condizioni dell'Io del paziente A seconda di quale di queste due opzioni teoriche noi seguiamo, possiamo parlare rispettivamente di psicoterapie psicoanalitiche oppure di psicoanalisi declinata in diverse tecniche:psicoanalisi breve, psicoanalisi agli psicotici, psicoanalisi di gruppo, ecc.; intendendo con queste ultime accezioni l'applicazione di una teoria generale a diverse situazioni cliniche a seconda del campo di intervento (istituzioni, gruppi, emergenze, ecc.), del materiale umano a disposizione (pazienti più o meno gravi), o degli scopi che ci prefiggiamo (cambiamenti più o meno profondi del paziente).[11] 4.6 Tipologie di psicoterapia Gli approcci psicoterapici utilizzati nel trattamento del disturbo di panico sono molteplici e tra loro differenti per base dottrinale, modalità e tecniche operative, frequenze delle sedute e durata del trattamento. Una differenza fondamentale consiste nel fatto che alcune, come la terapia cognitivo-comportamentale, focalizzano il loro obiettivo sui sintomi correlati al disturbo di panico, mentre altre, come le terapie psicodinamiche, sono orientate prevalentemente sulla storia passata e sulla vita attuale del paziente. Tra le psicoterapie, quelle che si sono dimostrate maggiormente efficaci e pratiche nel trattamento del disturbo di panico, sono le terapie cognitive-comportamentali. Molti studi hanno dimostrato la loro superiorità, rispetto ai soli psicofarmaci, nell’indurre una remissione a lungo termine dei sintomi. Terapia cognitivo-comportamentale Le terapie ad orientamento cognitivo-comportamentale sono terapie strutturate a breve termine che utilizzano la collaborazione attiva fra il paziente e il terapeuta. Sono orientate verso i problemi correnti e la loro soluzione. Al momento attuale sono almeno tre i modelli che possono essere 48 individuati nell’ambito dei vari programmi psicoterapeutici messi a punto per il trattamento del DAP. La storia della psicoterapia cognitivo-comportamentale è molto lunga; infatti non è nata come orientamento teorico a sé stante, ma ha fatto propri concetti eterogenei fra loro provenienti da approcci diversi appartenenti a periodi storici differenti. La seconda parte del nome (comportamentale) deriva dal comportamentismo, una prospettiva teorica sviluppata agli inizi del ventesimo secolo grazie agli studi di John B. Watson e I.P. Pavlov. Tale disciplina studiava il comportamento osservabile, ovvero le risposte delle persone a determinati stimoli ambientali, e come tali risposte potevano essere modificate introducendo dei condizionamenti. Gli studi svolti in questo ambito si sono rivelati particolarmente fruttuosi nel campo delle fobie, introducendo tecniche molto efficaci per desensibilizzare un individuo verso un oggetto o una situazione temuti. Il cognitivismo, da cui deriva la prima parte del nome, si è invece sviluppato negli anni sessanta, e il suo interesse è rivolto ai processi mentali che permettono di strutturare le proprie esperienze, di dare loro un senso e di metterle in relazione le une con le altre. Secondo tale prospettiva alla base di ogni disturbo psichico vi sono delle distorsioni di pensiero, le quali generano assunti sbagliati e convinzioni irrazionali. Tali distorsioni si trasformano nel tempo in veri e propri schemi di pensiero relativamente stabili, che portano l'individuo ad entrare in un circolo vizioso che si autoalimenta. Un primo approccio, che viene definito psicoeducazionale si basa sulla corretta decodifica dei fenomeni fisiologici normalmente misinterpretati dal paziente affetto da DAP. I due principali obiettivi nel disturbo di panico sono le istruzioni a proposito delle false opinioni del paziente e le informazioni sugli attacchi di panico. L’istruzione sulle opinioni errate s’incentra sulla tendenza del soggetto ad interpretare erroneamente le lievi sensazioni somatiche come indicative del sopragiungere di un attacco di panico, di qualcosa di predestinato o della morte. L’informazione sugli attacchi di panico include spiegazioni sul fatto che gli attacchi di panico, quando si manifestano, sono di natura limitata e non pericolosi per la vita. La riattribuzione del giusto significato agli stimoli vissuti dal paziente porta frequentemente al miglioramento dei sintomi. Un secondo approccio psicoterapeutico in grado di dare soddisfacenti risultati è quello ad impronta cognitivista pura. La terapia cognitiva, secondo il suo ideatore Aaron Beck, si basa sul fondamento teorico che la percezione e il comportamento di un individuo sono largamente determinati dal modo in cui egli struttura il mondo, la strutturazione del mondo si basa su processi cognitivi individuali a loro volta basati su delle assunzioni. In questo modello quindi l’intervento è basato essenzialmente sul rimodellamento delle convinzioni irrazionali che sono alla base delle errate interpretazioni che il paziente dà del proprio stato psichico e dei propri sintomi somatici. 49 Un terzo approccio terapeutico di tipo più squisitamente comportamentale si basa sull’ esposizione in vivo. Essa è caratterizzata da un’esposizione, graduale o massimale (floonding), allo stimolo ansiogeno temuto, in modo tale che, con il tempo, il soggetto diventa desensibilizzato all’esperienza. Nell’esposizione graduale il terapeuta lavora con il paziente per identificare una gerarchia di situazioni che evocano paura al paziente viene successivamente chiesto di affrontare le situazioni, di solito partendo da quelle che si trovano al livello più basso della gerarchia, con una frequenza regolare fino a che la paura si attenua. Nel floonding invece non si procede in modo graduale, l’esposizione iniziale è quella agli stimoli più intensi. Questa tecnica è quella prevalentemente utilizzata nei pazienti agorafobici. In ogni caso la tecnica terapeutica prevede l’insegnamento di tecniche di coping dei sintomi normalmente costituite da esercizi di respirazione e di rilassamento. La terapia cognitivo-comportamentale quindi punta soprattutto sulle capacità relazionali dell’uomo, partendo da una psicoeducazione sul disturbo e da una ristrutturazione cognitiva orientata a modificare l’interpretazione catastrofica delle proprie sensazioni corporee o desensibilizzando il paziente allo stimolo temuto, ha come obiettivo principale quello di modificare i comportamenti e le reazioni patologiche, come gli attacchi di panico e gli evita menti, utilizzando meccanismi di apprendimento comportamentale di vario tipo: - Rilassamento applicato. Lo scopo del rilassamento applicato è quello di permettere al paziente di poter sperimentare un senso di controllo rispetto alle proprie manifestazioni ansiose. Il rilassamento produce effetti fisiologici opposti a quelli che accompagnano uno stato ansioso: attraverso un buon rilassamento, il battito cardiaco rallenta e aumentano la circolazione periferica e la stabilità neuromuscolare. Attraverso l’uso di tecniche standardizzate per il rilassamento muscolare e l’immaginazione di situazioni rilassanti, i soggetti apprendono tecniche utili per superare un attacco di panico. - Addestramento respiratorio. L’iperventilazione accompagna gli stati ansiosi, ed è responsabile di alcuni sintomi che si manifestano negli attacchi di panico, come vertigini e lipotimie. Questa tecnica, quindi, insegna al paziente un controllo volontario sulla respirazione per poter limitare lo stimolo ad iperventilare durante un attacco di panico. L’efficacia clinica delle diverse tecniche di terapia cognitivo-comportamentale è supportata da un buon numero di ricerche cliniche, a breve termine l’efficacia clinica della terapia cognitivo-comportamentale è risultata essere globalmente equivalente a quella farmacologica; sebbene alcuni lavori abbiano documentato di volta in volta una superiorità della terapia comportamentale su quella farmacologica e viceversa. Le terapia cognitivo-comportamentale, può essere condotta singolarmente o in gruppo, mediamente una seduta ogni settimana per circa 12 settimane e con l’assegnazione di esercizi da fare a casa. La terapia 50 cognitivo-comportamentale è considerata una terapia ben tollerata e sicura. Tuttavia l’esposizione a stimoli fobici può aumentare l’ansia e questo risultato potrebbe essere considerato come una reazione avversa. Circa il 10%-30% dei pazienti non è in grado di affrontare lì esposizione a stimoli fobici fino ad arrivare al droupout dal programma terapeutico.[12] Terapia familiare e di gruppo. L'approccio sistemico familiare non ha un punto di origine preciso; le sue radici possono essere fatte risalire alla fine degli anni '40 e agli anni '50, quando iniziano a sorgere gruppi di lavoro, non necessariamente coordinati fra loro, che si interessano al rapporto tra malattia mentale e famiglia. Questo interesse si sviluppa in seguito ad un certo livello di insoddisfazione registrato da alcuni psicologi nell'applicazione del modello psicanalitico ortodosso nella trattamento dei bambini. Chi lavorava nell'ambito infantile sentiva la necessità di coinvolgere maggiormente i genitori, cosa non praticabile con la psicanalisi classica che si basa su un rapporto di tipo paziente-terapeuta. In questa prospettiva la famiglia viene vista come un sistema, ossia come un'entità che possiede caratteristiche, regole e norme proprie; diviene così possibile comprendere i meccanismi e le dinamiche di tale sistema nel momento in cui si analizzano e rendono chiari i criteri alla base del suo funzionamento. Questo è lo stesso principio che sta alla base della società organizzata all'interno della quale ogni persona possiede un suo posto, un suo ruolo e interagisce con gli altri. La famiglia, che a sua volta è inserita in un contesto più ampio che è quello della società, possiede dunque una sua struttura di regole e meccanismi che la portano ad evolvere in un certo modo e, ogni suo membro, contribuisce al suo sviluppo.[13] Terapia psicodinamica Questo tipo di psicoterapia prevede come suo obiettivo primario quello di svolgere un lavoro psicologico su di sé che permetta una maggior comprensione delle dinamiche psichiche interiori e delle conflittualità interne che si esprimono attraverso il sintomo e la malattia. Tale lavoro deve essere conseguente alla consapevolezza di una sofferenza interiore che necessita di una risoluzione. È indispensabile quindi svolgere prima un lavoro preparatorio e motivazionale a questo tipo di trattamento La frequenza tipica delle sedute è di una o due sedute per settimana e la durata del trattamento può essere fissata a priori oppure mantenuta aperta per un periodo di valutazione iniziale. La tecnica psicodinamica contemporanea è in una certa misura differente da quella formulata da Sigmund Freud cento anni fa. In letteratura è possibile rintracciare sette focus intorno a cui si sviluppa la psicoterapia psicodinamica: 51 1) Il focus sugli affetti e sull'espressione delle emozioni; 2) L'esplorazione dei tentativi di gestione dei pensieri e delle emozioni disturbanti (difese); 3) L'identificazione dei temi ricorrenti e dei pattern caratteristici; 4) Discussione dell'esperienza passata (dal punto di vista dello sviluppo); 5) Il focus sulle relazioni interpersonali; 6) Il focus sulla relazione terapeutica; 7) L'esplorazione delle fantasie e della vita immaginativa. Il trattamento è volto ad aiutare il paziente a capire il significato inconscio ipotizzato dell’ansia, il simbolismo delle situazioni evitate, il bisogno di reprimere gli impulsi e i guadagni secondari legati ai sintomi. Si ipotizza che la risoluzione dei conflitti della prima infanzia ed edipici sia correlata con la risoluzione degli stress attuali. L’evidenza dell’efficacia di terapie ad orientamento psicodinamico è in letteratura piuttosto scarsa di dati provenienti da studi controllati.[14] Terapia della Gestalt La psicologia della Gestalt (dove la parola tedesca Gestalt significa forma) detta anche psicologia della forma è una corrente psicologica che nacque agli inizi del XX secolo in Germania e continuò poi negli USA quando i suoi autori si trasferirono a causa di persecuzioni naziste. Il fondatore della psicologia della Gestalt fù Kurt Koffka, il fondatore della psicoterapia della Gestalt fù Fritz Perls. Dopo la laurea in medicina Perls si era trasferito a Francoforte, centro di fermento intellettuale nell’Europa degli anni '20 del Novecento. Qui venne in contatto con alcuni dei maggiori psicologi della Gestalt di quel tempo, filosofi esistenzialisti e psicoanalisti. Qui incontrò anche Laura Posner, sua futura moglie, che molti ritengono essere la cofondatrice della terapia della Gestalt. In seguito alle persecuzioni naziste essendo lui un ebreo, emigrò in Sud Africa dove, insieme alla moglie Laura Posner, fondò l'Istituto Sudafricano di Psicoanalisi. Rimase in Sud Africa fino al 1946 circa, dopo di che si trasferì a New York e nel 1952 fondò il Gestalt Institute of New York. Le ricerche della psicologia della Gestalt in particolare, dimostrarono che ogni individuo è costantemente bombardato da una serie di stimoli, ma il sistema percettivo ne seleziona solo alcuni e li organizza. 52 In termini psicologici questo significa che come individui percepiamo noi stessi e il mondo, come il risultato di un insieme di stimoli selezionati dal nostro sistema percettivo, che costruisce una figura definita rispetto ad uno sfondo indifferenziato; gli stimoli quindi non vengono percepiti in modo disgiunto gli uni dagli altri, ma vengono ordinati in una unità che risponde al bisogno umano di costruire significati sulla base dell’esperienza percettiva dell’ambiente. Isolare alcuni elementi di un sistema e attribuirgli un significato costituisce pertanto un processo di osservazione interpretativa parziale, che non tiene conto dell’interazione che esiste tra i vari elementi e tra l’individuo e l’ambiente. La terapia consiste quindi nell’analisi della struttura interna dell’esperienza reale al fine di accrescere la consapevolezza di questo processo. Nel testo fondamentale della psicoterapia della Gestalt: Teoria e pratica della terapia della Gestalt di Pearls, Hefferline e Goodman, il panico viene considerato un un sano e normale adattamento creativo che l organismo attua in particolari condizioni. Questi autori hanno affermato che durante un attacco di panico accade un’improvvisa perdita dello sfondo ossia il ground . Il ground scontato è quello familiare che ci appartiene e ci sentiamo in modo scontato di appartenere. Nell’attacco di panico precipita il ground e si hanno i sintomi di malessere sia fisico che psicologico un attacco di panico. Cioè che un terapeuta deve fare dall’inizio della psicoterapia è aiutare a ricostruire il ground ad un soggetto, in primis il terapeuta deve sapere la storia del ciclo vitale del paziente e quindi procedere nella psicoterapia portando l’attenzione del paziente alla percezione di sé e del suo ruolo nei vari ambiti della sua vita. La percezione di sé sostenendo l’assimilazione delle esperienze attraverso la narrazione di sé. In questo modo la trama della vita del paziente diventa sempre più chiara possedendo senso e continuità nel tempo e tutto ciò diventa una storia che appartiene al soggetto, un racconto che viene abitato dal paziente in quanto individuo avente un ruolo nel suo ciclo vitale. Affinchè ciò accada deve esserci un ascolto da parte del terapeuta senza distorcere l’esperienza narrata e di cogliere e nominare i vissuti che emergono nel racconto. In questo modo può avvenire la distinzione dei ruoli, dell’aggiornamento a “chi sono” e “chi sono diventato” attraverso le esperienze di vita, ma molto importante è anche il “chi sarò”. Infatti non è solo la storia trascorsa che costruisce il ground ma anche il futuro cioè il next che è il punto verso cui si muovono le intenzione del paziente. Il dispiegarsi dell’intenzionalità nel futuro avviene con la progettualità con la previsione, con la fantasia, con l’attesa, con la speranza, con il sogno e con la possibilità. L’uscita dal panico avviene anche attraverso la costruzione o ricostruzione del futuro ed in particolare attraverso la progettualità e l’appartenenza verso cui la persona si sta muovendo. Il paziente dopo un trattamento di psicoterapia quando il terapeuta capisce che il ground è formato si inizia ad allentare l’appartenza terapeutica del paziente per fargli affrontare da solo la propria vita, ma tutto ciò avverrà in 53 modo graduale regolando le sedute di psicoterapia a distanza di tempo maggiore fino a scemare del tutto la psicoterapia e quindi eliminarla.[15] Terapia integrata L’integrazione del punto di vista biologico con quello psicosociale, sia nella diagnosi che nella terapia, rappresenta per la psichiatria una notevolissima sfida. Considerando i vantaggi e i limiti relativi di entrambi i tipi di trattamento, spesso il miglior piano di trattamento psichiatrico per un dato paziente comporta una combinazione sinergica di farmaci e psicoterapia. Le terapie combinate tendono a colmare le difficoltà che entrambe i singoli tipi di trattamento possono presentare. L’integrazione dei trattamenti non va vista però come l’aggiunta di una terapia ad un’altra con l’aspettativa di ottenere così un maggior beneficio. Il termine terapia integrata dovrebbe indicare la necessità di un’attenta connessione delle due condizioni terapeutiche (psicoterapia e farmaci) e non solo la loro associazione. Per fare questo è necessario superare le dicotomie rigide mente/cervello prendendo come teoria di riferimento un principio organizzatore comune sia della psicoterapia che della farmaco terapia. Le opinioni riguardanti la terapia integrata sono fra di loro contrastanti: secondo alcuni psicoterapeuti è inopportuno impiegare l’impiego contemporaneo di farmaci in quanto ritengono che essi possano interferire con il lavoro psicoterapeutico. Secondo altri invece i farmaci antipanico permettendo una psicoterapia, infatti i farmaci riducendo la frequenza degli attacchi di panico a sua volta è più facile mettere in atto la psicoterapia. Attualmente la terapia integrata ha una diffusa accettazione, non esiste la possibilità di risposte definitive, ma ci sono alcuni studi studi suggeriscono che sia un buon trattamento per superare il DAP. Ci sono quindi pareri di pro e pareri di contro. Nella terapia integrata i due tipi di terapia, psicologica e farmacologica, possono essere somministrate o da un solo psichiatra o da due distinte figure professionali, in questo ultimo caso però è importante non isolare le due figure professionali ma possibilmente che facciano parte di una stessa èquipe in modo che i professionisti si possono confrontare e che la terapia integrata viaggi in un unico senso senza pareri discordati riguardanti il disturbo del soggetto affetto dal DAP, tutto ciò per prevenire un’azione fallimentare del trattamento.[16] La terapia di gruppo Le terapia di gruppo è il gruppo auto-mutuo-aiuto. E’un gruppo composto da persone accomunate dal desiderio di superare lo stesso disagio psicologico. Tale disagio viene affrontato ed elaborato in prima persona attraverso il confronto, la condivisione e lo scambio di informazioni, emozioni, esperienze e problemi. Nel gruppo di auto-mutuo-aiuto si ascolta e si è ascoltati, senza pregiudizi, in un clima armonioso in cui si scoprono e si potenziano le proprie risorse interiori. Tale gruppo si autogestisce ma all’interno c’è la figura del facilitante: l'helper. L’helper è un membro del gruppo, con un 54 percorso di terapia significativo alle spalle, che ha seguito una specifica formazione, finalizzata a fornire gli strumenti di gestione della comunicazione, ed ha solo la funzione del facilitatore della comunicazione stessa. Con questo patrimonio conoscitivo ed esperienziale ed essendo, in più, portatore dello stesso problema degli altri, l'helper può permettersi di portare, all'interno del gruppo, il proprio vissuto emotivo e di utilizzare l'esperienza gruppale per la sua personale crescita. Il gruppo segue un sistema condiviso di obiettivi, regole e valori rivolge una particolare attenzione alle origini sociali dei problemi senza però trascurare i fattori individuali, incrementando le capacità relative alla sfera emotiva e interpersonale. Un gruppo di auto-mutuo-aiuto è un gruppo terapeutico offre sostegno emotivo attraverso la rottura dell’isolamento e la condivisione reciproca. Permette una crescita personale e l’adattamento a quelle condizioni della nostra vita che percepiamo emotivamente stressanti. Rende chi vi partecipa protagonista attivo della ricerca del proprio benessere e di quello degli altri membri del gruppo, perché ognuno mette a disposizione degli altri le proprie capacità ed esperienza di vita. Aumenta il potere e il controllo su sè stessi e sugli altri perché negli incontri di gruppo si ha la possibilità di scoprire risorse che non si crede di possedere e quindi di attivarle. Inoltre il gruppo di auto-mutuo-aiuto è un’esperienza altamente coinvolgente che aumenta la propria autostima, attiva l’emotività e fornisce gli strumenti per utilizzarla al meglio nei rapporti con gli altri, favorendo anche la nascita di nuove amicizie. Frequentare un gruppo di auto-mutuo-aiuto è un’opportunità per stravolgere e modificare la tendenza all’isolamento e alla sensazione di imbarazzo e soggezione diventando un’occasione ed una risorsa terapeutica.[17] 4.7 Le tappe della psicoterapia e personalità dei pazienti affetti da panico La psicoterapia risulta efficace nel trattamento del DAP riducendone le ricadute. La modalità con cui è formulata la prima richiesta di consulenza ed il primo colloquio con il paziente affetto da DAP sono di estrema importanza per focalizzare i problemi di personalità ed i meccanismi difensivi del soggetto. La richiesta di appuntamento fatta da altre persone in genere dalla madre o dal partner rimanda alla deresponsabilizzazione, al distacco emotivo dalle proprie problematiche o dalla dipendenza emotiva da queste figure ed è statisticamente il 45% che il primo appuntamento non viene richiesto dall’interessato ed il psicoterapeuta già inizia a poter capire la personalità del soggetto affetto da DAP. In questi casi lo psicoterapeuta chiede un contatto direttamente col soggetto affetto da DAP , ma non per atteggiamento formale, ma proprio come atto terapeutico per sollecitare il paziente a responsabilizzarsi e vedere la realtà. 55 La maggior parte dei soggetti risponde alla richiesta in modo positivo mettendosi d’accordo sul primo appuntamento. Il primo colloquio è molto importante in quanto rappresenta l’incontro psicologico e fisico tra due entità diverse che stanno rispettivamente organizzando un rapporto terapeutico. Generalmente i pazienti presentano due principali tipologie di personalità adulta e realista oppure infantile e regressiva. Nella personalità adulta e realista il paziente collabora consapevolmente con lo psicoterapeuta ritenendo la psicoterapia un’ulteriore sviluppo personale in modo da potersi aiutare in modo autonomo. Invece il paziente con personalità infantile e regressiva il soggetto si comporta come un bambino buono ed ubbidiente nella speranza che magicamente lo psicoterapeuta lo possa guarire ed in più queste persone comprendono scarsamente la terapia collaborando in modo inadeguato perché illusi dai poteri magici attribuiti da loro allo psicoterapeuta. Alla prima seduta è importante che lo psicoterapeuta noti la postura e l’espressione del viso che la persona manifesta sia in sala d’attesa che quando entra nello studio dove c’è il terapeuta. Una postura con gambe e braccia serrate sul corpo ad esempio comunica chiusura, timore della circostanza o aggressività mentre altre posture più aperte possono comunicare consapevolezza, ma anche mascherare la sofferenza. Chi entra nello studio dello psicoterapeuta con titubanza dimostra una serie di tratti caratteriali introvertivi, al contrario tipo entrate plateali con mega sorrisi evidenziano la messa in atto di sistemi difensivi. Nello studio del terapeuta in genere ci sono due poltroncine ed è di fondamentale importanza quale il paziente sceglie, non deve essere il terapeuta ad indicare dove sedersi; se il paziente chiederà dopo varie sedute di cambiare posto significa che sta iniziando un cambiamento. Un’altra importante condizione per il silenzioso reperimento di informazioni è la modalità che il paziente usa nell’esporre i propri problemi. Si definiscono due modalità di esposizione giornalistica e personalizzata. Nell’esposizione dei problemi da parte del paziente in modalità giornalistica il soggetto descrive tutto in modo chiaro e coinciso dall’esordio del panico alle successive vicissitudini senza coinvolgimento emozionale. Infatti questo stile comunicativo fà notare la distanza emotiva che il paziente ha messo tra sé e le proprie problematiche ed è testimonianza della messa in atto di meccanismi difensivi di negazione e razionalizzazione e sono questi soggetti in genere che si illudono di un potere magico del terapeuta. Nella modalità personalizzata i pazienti hanno il desiderio di mettersi in discussione e di collaborare con il terapeuta, ma è una minoranza dei pazienti .[18] 56 4.8 La resistenza ed i meccanismi di difesa del paziente affetto da DAP La resistenza in terminologia freudiana è una opposizione che può essere conscia o inconscia. Può manifestarsi come imbarazzo o diffidenza all’inizio della terapia oppure come ansia alla prospettiva di finire il trattamento. Freud nel 1937 distingue due tipi di resistenza: resistenza di transfert connessa al rapporto fra paziente e terapeuta e resistenza di rimozione riferita a particolari aspetti della struttura psichica del paziente che si oppone alla consapevolezza di impulsi o derivati di essi che si manifestano in forma di ricordi o fantasie avvertendoli come fonti di dolore o di pericolo. Freud afferma che il secondo tipo di resistenza è quella più difficile da superare nel trattamento, ma l’interpretazione pone il soggetto in condizioni di poter collaborare con il terapeuta. Per i meccanismi di difesa è utile definire il concetto di difesa: le difese rappresentano meccanismi e funzioni che l’apparato psichico può utilizzare per tenere lontani dalla consapevolezza contenuti psichici spiacevoli e desideri istintuali o loro derivati che l’Io riconosce come contenuto patologico come estraneo e disturbante. Quindi le difese sono dirette contro le emozioni spiacevoli quali la collera, l’umiliazione, il senso di inferiorità, la dipendenza, la paura dell’abbandono. Tra le resistenze e le difese esiste uno stretto legame, infatti, Freud spesso usa i termini come sinonimi. Sia le difese che le resistenze possono essere conscie o inconscie, cioè il paziente ne può essere consapevole o meno di attuare una resistenza o una difesa. I meccanismi difensivi si strutturano nelle primissime fasi della vita in quanto legati all’indifferenziazione psicosomatica e alla mancanza di differenzazione tra soggetto e realtà; ma durante la crescita le difese diventano più articolate quali la razionalizzazione e la sublimazione. Quindi è fondamentale nella terapia individuare il modo in cui sono organizzate le difese e le probabili aree che hanno suscitato il segnale di pericolo, ma l’identificazione dei meccanismi di difesa durante il colloquio è un’impresa molto difficile. 4.9 I principali meccanismi difensivi dell’Io utilizzati dal paziente con DAP I principali meccanismi difensivi maggiormente utilizzati dal paziente affetto da DAP sono: proiezione, negazione, razionalizzazione, onnipotenza ed idealizzazione. Nel meccanismo di proiezione l’individuo affronta conflitti emotivi e fonti di stress interne o sterne attribuendo erroneamente ad altri i propri sentimenti, impulsi o pensieri non riconosciuti, il soggetto rinnega i propri sentimenti, le proprie intenzioni ed esperienza attribuendoli agli altri. Nel meccanismo di negazione il soggetto lo usa per risolvere un conflitto emotivo e per alleviare l’ansia tramite il rifiuto di riconoscere consapevolmente gli elementi del conflitto interiore. Attraverso questo processo è possibile negare un pensiero, un atto, un desiderio ecc… 57 Nel meccanismo di idealizzazione , l’idealizzazione è una difesa operante al di fuori della coscienza attraverso la quale una persona o un oggetto sono sopravvalutati ed emotivamente ingranditi raggiungendo una posizione irreale. Nel meccanismo di onnipotenza il soggetto si comporta come se fosse superiore agli altri, come se possedesse speciali poteri o capacità. Questa difesa protegge il paziente da una perdita di autostima. Nel meccanismo di razionalizzazione il soggetto fornisce una ragione fittizia, ma plausibile per un determinato impulso ciò può avvenire sia in modo conscio che inconscio. Dal momento che il compito principale della psicoterapia del DAP è il progressivo aumento di consapevolezza circa le ragioni che hanno portato l’individuo alla costruzione di un’immagine idealizzata di sé, la sua sostituzione con le parti vere dell’identità e meccanismi difensivi più adattivi ci sarà da parte del paziente una resistenza che opporrà inconsciamente al lavoro terapeutico facendo assumere alla figura del terapeuta una fisionomia minacciosa ostacolando una collaborazione terapeutica ed un beneficio. Il soggetto quindi deve essere messo di fronte alla scarsa consapevolezza che dimostra nei confronti delle proprie problematiche. Il paziente si difenderà in ogni modo con resistenze e difese e può capitare che abbandoni la terapia. Per questo il tragitto della psicoterapia è difficoltoso e lungo ed il terapeuta per non subire delle frustrazioni deve tenere in conto tutto ciò.[19] 58 CAPITOLO 5 Premessa: la paura in età evolutiva Le paure sono episodi frequenti e comuni nella vita dei bambini. Esse accompagnano la loro crescita, iscrivendosi nel normale sviluppo psichico: anche i bambini più protetti, più accuratamente tenuti al riparo da ogni pericolo o informazione traumatizzante, nel corso dello sviluppo possono manifestare qualche paura, per esempio, di un animale, del buio, dei mostri, delle streghe o del temporale Nei bambini le paure cambiano in base all’età: se nell’infanzia ci si trova di fronte a paure di tipo “irrazionale”(i mostri o i fantasmi), con la crescita esse divengono sempre più complesse ed articolate, interessando più da vicino la sfera relazionale e sociale (paura di apparire inadeguati o di essere giudicati).L’atteggiamento dei bambini di fronte alle paure è variabile: possono esprimersi esplicitamente, lamentarsene violentemente ottenendo sostegno e consolazione da parte dei genitori oppure tentare di dissimularle come se si vergognassero. Di norma, con il semplice passare del tempo, le paure tendono a svanire gradualmente infatti si acquisiscono competenze emotive e cognitive che consentono di superare le paure limitando il loro effetto negativo. Il bambino crescendo apprende ad affrontare le paure in modo autonomo impara che i genitori possono allontanarsi, ma ritornano sempre, che i fantasmi e i mostri non sono reali. La recessione di una paura necessita però anche del sostegno e dell’ascolto degli adulti: genitori, insegnanti ed educatori, sostenendo il bambino con parole e gesti d’affetto. Non possono essere condivisi atteggiamenti di indifferenza, negazione,derisione o l’uso di mezzi coercitivi o intimidatori che contribuiscono, invece,ad un rafforzamento della paura stessa. Se la maggior parte delle paure dei bambini possono definirsi “fisiologiche”,quindi transitorie e tipiche di un normale sviluppo psicologico, alcune possono trasformarsi in “patologiche”, quando assumono dimensioni e intensità tali da impedire una vita normale e divengono un ostacolo alla maturazione del bambino, intralciandone lo sviluppo 5.1 Lo sviluppo delle paure La presenza delle paure in età evolutiva è stata studiata in numerose ricerche empiriche, le quali hanno evidenziato come alcune tipologie di paure siano più rappresentative in determinate fasce d’età. Muris e Merckelbach (2000), oltre ad aver trovato che un nucleo familiare ansioso, aumenta nel bambino il senso di paura, hanno visto che nei primi anni di vita, è difficile riconoscere le rappresentazioni sottostanti una paura: solo a partire dai due o tre anni, infatti, i bambini ne comunicano più frequentemente il contenuto. In effetti, le paure si evolvono insieme allo sviluppo cognitivo e corrispondono per lo più alla percezione di cambiamenti repentini nell’ambiente in cui si trovano come i rumori, i movimenti improvvisi, una luce intensa o il rapido avvicinarsi di un oggetto, oltre che la perdita del conforto materno. Le reazioni di paura di questo tipo si attenuano progressivamente nel corso degli anni, fino a scomparire verso i tre anni. 59 In età prescolare, a partire dal terzo anno d’età, il bambino, si mostra spesso intimorito al momento della separazione dai suoi genitori. In questa età, le paure possono essere alimentate da alcuni rimproveri, di cui è un tipico esempio: “se non fai il bravo ti porterà via l’uomo nero”. Il bambino può anche credere alle fiabe, attribuendo le caratteristiche dei personaggi ad animali e persone sconosciute, iniziando ad avere paura dei piccoli animali, degli animali che mordono come il lupo, dell’orco,dei fantasmi o di una signora con i capelli neri che assomiglia alla strega raffigurata sul libro. Le paure nei più piccoli sono spesso irrazionali ed il bambino può non essere in grado di descriverne il contenuto. Verso i quattro anni sono tipiche le paure per i piccoli animali come rospi, scarafaggi, topi, con vissuti di ribrezzo e di repulsione; altre paure infantili riguardano l’ambiente naturale come lampi, tuoni, vento e oscurità, e le persone come la paura dell’estraneo che è una delle prime a comparire. De Ajuriaguerra nel 1989 sostiene che verso i quattro anni è molto presente la paura del buio; l’oscurità sembra essere il fattore che causa molte paure, dato che l’oscurità è spesso l’equivalente della solitudine. Durante gli anni prescolari, afferma l’autore, vi è un aumento progressivo delle paure per gli animali, inizialmente di quelli che mangiano e mordono, più tardi, di animali molto potenti e distruttivi. Un gran numero di paure in questa età, è collegata a possibili annegamenti, incendi e incidenti dovuti al traffico. In età scolare, si riesce meglio a distinguere tra fantasia interiore e la realtà esterna e si hanno paure più specifiche e realistiche come la paura scolastica Sempre in tale età è molto frequente la paura per animali quali serpenti, ragni, uccelli, topi, gatti e cani e può essere vissuta con senso di vergogna, affievolendosi quando l’animale scompare dalla vista del bambino. La paura per grossi animali come il cavallo o il cane, è frequente dai cinque anni. Il bambino immagina di essere inseguito o aggredito; contenuti questi che popolano gli incubi notturni e le fantasie infantili e può svegliarsi in preda al terrore ed aver bisogno della rassicurazione di un genitore per addormentarsi. Altre paure sono legate ad esperienze reali, in particolare verso gli otto anni, in seguito all’affinarsi dei processi cognitivi e relazionali, può comparire la paura della morte, talvolta accompagnata dal timore di malattie ed incidenti. In questo periodo, come afferma De Ajuriaguerra è comune ai bambini una sorta di crisi esistenziale, dietro la quale si ritrova l’ansia di separazione; la paura principale è quella della morte della mamma, successivamente la paura si presenta come una separazione o piuttosto come un abbandono e più tardi essa viene personificata in una figura temibile che porta via la persona amata. L’ottavo anno crea una zona di confine tra il bambino egocentrico, con le sue tendenze magiche, animistiche associate a una modalità di pensiero precausale, pre-logico, ed il bambino operazionale che vede il mondo in modo logico e razionale. A partire dal nono anno si possono manifestare paure legate al proprio ruolo sociale e alle situazioni nelle quali si viene valutati. 60 Ciò continua anche durante l’adolescenza, dove le paure sono in rapporto alle imperfezioni e asimmetrie fisiche, inadeguatezza intellettuale e di funzionamento sessuale. Nel periodo adolescenziale, emerge con forza il timore di un insuccesso personale o scolastico, la paura di essere derisi o rifiutati dai coetanei, di sentirsi imbarazzati in relazione alle prime esperienze affettive e amicali. Con lo sviluppo si modificano non solo i contenuti delle paure, ma anche le modalità per farvi fronte infatti se inizialmente i bambini richiedono il sostegno dall’adulto e manifestano il bisogno di essere rassicurati, crescendo acquisiscono capacità cognitive che consentono loro di gestire e dominare una paura in maniera autonoma. Marks nel 1987 sostiene che le paure sono date dalla relazione con un passato di ansia da separazione e inoltre, dai contatti con genitori molto ansiosi. Le paure infantili quali l’oscurità o gli animali, diminuiscono con l’età, eccetto la paura dell’estraneo che persiste insieme alla paura sessuale, al fallimento e all’agorafobia le quali giungono nell’adolescenza. Le due paure che si ritrovano negli adulti e hanno un’ origine infantile sono la paura del sangue e delle ferite, mentre le paure animali sono spesso associate a traumi come il morso di un cane ed iniziano a sette anni. L’autore ha notato che i genitori riportano paure attribuite ai loro figli, infatti nello sviluppo delle paure è importante una componente genetica che interagisce con quella ambientale. Alcune paure possono emergere da situazioni innate come l’altezza,l’estraneo, la separazione, ma possono essere modificate dalla normale esperienza, altre possono essere apprese dall’ambiente come la paura di essere schiacciato da un trattore per i bambini che vivono in paesi rurali. Lane e Gullone nel 1999 hanno compiuto uno studio sulle paure comuni nell’infanzia. Gli autori ribadiscono che la paura è l’esperienza dei normali livelli di sviluppo nel pensiero, promuovendo l’impulso di evitamento del pericolo con la fuga da circostanze stressanti di vita. Hanno, inoltre, notato una differenza di genere per i tipi di paure emerse, quelle dei bambini sono: le bombe, essere invasi, cadere da posti alti, essere puniti dal papà, essere sgridati, essere bruciati, essere schiacciati da una macchina, i germi, le malattie, non riuscire a respirare, morire e la morte dei genitori. Le paure delle bambine sono: essere punite dal papà, germi e malattie, morire e morte dei genitori, i serpenti, essere sole in un posto, il fuoco ed essere bruciate. Elbedour e colleghi nel 1997 parlano dell’importanza dei fattori culturali nello sviluppo delle paure. Il contesto nel quale il bambino vive influenza le sue paure; è stato osservato che i bambini urbani hanno meno paure rispetto a quelli rurali. Lo studio è stato condotto a Israele con un gruppo di Beduini e un gruppo di Jewish. I primi vivono in una regione arida, in una società patriarcale, il valore e l’obbedienza e il rispetto ai genitori è massimo; il secondo gruppo vive in Israele, città industrializzata, i valori più importanti sono l’autonomia e le personali competenze, la società promuove l’individualità tra i cittadini. Quest’ultimo che ha sviluppato una elevata competenza personale, ha riportato bassi livelli di paura rispetto al primo. Le paure comuni indagate tra i bambini da otto a dodici anni sono per i Beduini: i serpenti, essere puniti da papà, 61 malattie, fantasmi e fallire una prova; per i Jewish: essere schiacciati da una macchina, non riuscire a respirare, i serpenti, i ladri e le malattie. E’ emerso che la paura può essere una misura adattiva alla cultura, infatti, la natura e i cambiamenti delle paure dipendono non solo dallo sviluppo, ma riflettono la capacità per i bambini di capire il mondo e la cultura nella quale essi vivono. 5.2 Le paure più frequenti in età evolutiva Le paure più frequenti in età evolutiva sono: La paura del buio è certamente una tra le più frequenti nell’infanzia e può manifestarsi in relazione alla paura di addormentarsi o comparire in maniera indipendente. Il bambino può iniziare a piangere nel momento in cui si spegne la luce, chiedendo ai genitori di lasciare la luce accesa per favorire l’addormentamento. Può capitare che il bambino sviluppi la paura di avere paura, anticipando gli elementi che, in condizioni di scarsa illuminazione, potrebbero spaventarlo come i vestiti su una sedia possono evocare una persona. La paura per gli animali come serpenti, ragni, uccelli, topi, gatti e cani, essa può essere vissuta con senso di vergogna e può scomparire quando l’animale si allontana. Tra i tre e i cinque anni si sviluppa la paura dei grandi animali che potrebbero mordere, verso i quattro anni sono tipiche anche le paure per i piccoli animali come rospi, scarafaggi e topi con vissuti di ribrezzo e repulsione. Le paure infantili riguardano l’ambiente naturale come lampi, tuoni, vento e oscurità, e le persone come la paura dell’estraneo che compare attorno agli otto mesi. La paura della morte compare verso gli otto anni a seguito di un lutto in famiglia o in occasione della morte di un animale domestico, i bambini di età inferiore percepiscono l’evento come una separazione temporanea dalla persona cara. La paura delle malattie è abbastanza frequente, cui può accompagnarsi la paura del dottore. Quest’ultima può essere meglio spiegata se si pensa che una visita medica può comportare una separazione dai propri genitori e risvegliare il timore di essere abbandonato oppure il medico, associato a un estraneo, viene associato a un vissuto di dolore fisico come nel caso di esami medici invasivi con la conseguenza di provare paura anche delle punture. In età evolutiva è diffusa anche la paura della scuola. Molti bambini, soprattutto all’inizio del percorso scolastico, possono piangere lungo la strada o aggrapparsi ai genitori al momento della separazione, alcuni poi, una volta entrati in classe, sembrano inconsolabili e non partecipano alle attività proposte . 62 E’ noto anche il disturbo d’ansia da separazione che viene diagnosticato quando i bambini sviluppano un’ansia intensa ed estrema se vengono separati da un genitore, può ledere la vita quotidiana del bambino rifiutandosi di uscire di casa solo. Se il disturbo persiste, può sfociare in quella che viene chiamata fobia scolastica. Un’altra paura nell’infanzia è la paura sociale. Caplan e colleghi nel 2004 hanno compiuto uno studio dividendo la paura sociale in due tipologie: una basata sul conflitto di timidezza come paura di intraprendere relazioni, l’altra basata sul disinteresse sociale teso a non dare una motivazione alla persona per impegnarsi nelle relazioni interpersonali. Dopo aver analizzato il campione di bambini dai tre ai cinque anni con le loro madri è emerso che la paura sociale è legata alla paura per l’estraneo, il timore di creare situazioni imbarazzanti, di essere valutato e alla forte timidezza che i bambini così piccoli nutrono nei confronti del mondo esterno a loro. Sono da annoverare anche paure specifiche quali: la paura dell’acqua,dell’altezza, degli incidenti stradali, la paura claustrofobica, la paura di vomitare, delle malattie, la taijin-kyofu-sho, la paura di volare e la paura degli spazi chiusi. La paura dell’acqua appare dopo i cinque anni, essa può diminuire con l’età oppure può portare la persona al rifiuto di lavarsi. In età adulta, la negazione a fare attività sportive e sociali è il primo sintomo. Si può affermare che tale paura deriva dal nucleo familiare all’interno del quale è mantenuta, infatti, la paura dell’acqua, delle altezze, dei ragni sono date dall’assenza di esperienze negative. L’esperienza familliare è importante e vi è una relazione tra l’intensità delle paure della mamma e quelle dei figli, ma non con il papà. La paura delle altezze comprende il timore di salire sui grattacieli, ponti, ascensori e viaggi in aereo. Inizia a svilupparsi attorno ai sette mesi, dove si assiste ad un aumento del battito cardiaco del neonato a seguito di un percorso su posti alti. La causa di questa paura può essere una predisposizione innata. Le paure degli incidenti stradali normalmente si sviluppano ai sopravvissuti di incidenti in macchina. Questa paura sembra essere molto razionale rispetto alle altre e l’ansia può manifestarsi negli anni. La paura degli spazi chiusi racchiude quella di rimanere chiusi al supermercato, nelle stanze, paura dei tunnel, ascensori, treni sotterranei, posti affollati. Possono esserci state esperienze traumatiche passate, le componenti di tali paure sono riferite al timore del piccolo spazio e la paura di soffocare. La paura di vomitare si riferisce o all’imbarazzo di vomitare in pubblico o alla paura di dover affrontare una situazione spiacevole, ossia, molte persone si inducono il vomito quando devono lasciare la propria casa o quando devono separarsi dai genitori. La paura delle malattie induce la persona ad evitare situazioni nelle quali potrebbe essere esposta a serie malattie. La paura eccessiva può portare all’ipocondria, ossia la paura totalizzante che germi e 63 malattie possano contagiare, si assiste, inoltre, alla presenza di elementi ossessivi e compulsivi e di rituali .La Taijin-kyofu-sho, è una sindrome studiata in Giappone caratterizzata dalla paura delle persone alte e il timore di avere un comportamento che potrebbe imbarazzare oppure offendere tali persone. La paura inizia in adolescenza e si sviluppa fino ai quaranta anni. La paura di volare, assieme alla paura degli spazi chiusi e quella dell’altezza, è una tra le più frequenti nell’infanzia, può essere seguita da attacchi di panico per la perdita del controllo. La paura degli spazi si riferisce al timore di trovarsi in enormi spazi con una assenza di supporto visuo-spaziale e con la paura di trovarsi disorientato 5.3 Approfondimento della fobia scolare nel bambino Un certo grado di ansia e di paura della scuola è normale nei bambini, ma quando è eccessiva può sfociare in un rifiuto a frequentare la scuola. La fobia scolare è un disturbo caratterizzato da difficoltà di andare a scuola, ansia e depressione causando al bambino ed ai genitori molto stress, ma nel bambino può provocare tutto ciò uno sviluppo emotivo e sociale a rischio per la salute mentale adulta. In letteratura spesso si usa l’etichetta diagnostica fobia scolare, ma alcuni autori come Kearney e Silverman nel 1996 suggerivano di utilizzare il temine rifiuto della scuola per identificare il rifiuto a frequentare la scuola o le difficoltà a rimanervi per un’intera giornata. Questa definizione include ragazzi che sono completamente assenti da scuola, ragazzi che si recano al mattino a scuola ma poi la lasciano nel corso della giornata. Nel 1975 Bowlby quando di riferiva al rifiuto della scuola intendeva un disturbo caratterizzato non solo dal rifiuto a frequentare la scuola, ma anche della presenza di uno stato di angoscia che si insiste se si costringe il bambino a recarsi ad essa. Bowlby sosteneva che quello che un bambino teme non è quello che succederà a scuola, ma il fatto di lasciare la casa quindi l’espressione fobia scolare non era esatta. Infatti nel 1956 Jonhson affermava che la fobia scolare era un’ansia da separazione dalla propria casa e dai propri genitori da parte del bambino. 64 Il DSM-IV non fornisce una diagnosi formale per questo disturbo, ma ha assunto questo comportamento sotto altre diagnosi: il rifiuto scolare è un disturbo dell’ansia di separazione, mentre l’assenza ingiustificata da scuola è uno dei sintomi del disturbo di condotta. I problemi associati al rifiuto della scuola sono vari come i disturbi dell’apprendimento (dislessia, disgrafia, ecc..) che portando a ripetuti insuccessi scolastici il bambino di conseguenza ha un comportamento di evitamento nei confronti della scuola che lo protegge dalla svalutazione di sé e dall’ansia di prestazione scolastica. Sovente ci sono bambini che non riescono a tollerare le regole scolastiche perché hanno disturbi di comportamento e quindi evitano la situazione scolastica. L'ansia da separazione fa riferimento ad uno stadio dello sviluppo infantile durante il quale il bambino sperimenta ansia quando viene separato dalla principale figura che si prende cura di lui (in genere la madre).Il periodo in cui questo accade normalmente è collocabile tra gli otto mesi e può durare fino ai quattordici mesi. Nei bambini, la riluttanza a lasciare un genitore o un'altra persona di riferimento è il segnale che l'attaccamento tra bambino e caregiver è avvenuto. Essi stanno cominciando a comprendere che ogni oggetto (incluse le persone) che si trova nell'ambiente è diverso e permanente. Non possono ancora comprendere il concetto di tempo, tuttavia non sanno quando, e se, chi se ne sta andando tornerà. I bambini, a questo stadio, stanno lottando tra i sentimenti di voler esplorare da soli e contemporaneamente di stare al sicuro sotto l'ala protettrice di un genitore o del caregiver. Sebbene le ansie da separazione siano normali tra gli infanti o i bambini ai primi passi, non sono invece appropriate per fanciulli più grandi o adolescenti e potrebbero rappresentare sintomi del disturbo d'ansia da separazione. Per raggiungere la soglia diagnostica per questo disturbo, l'ansia o la paura deve causare stress o disagi di tipo sociale, scolastico, lavorativo e tali sintomi devono durare almeno un mese. I bambini con ansia da separazione possono letteralmente aggrapparsi ai propri genitori e avere difficoltà ad addormentarsi da soli durante la notte. Quando si trovano soli, potrebbero mostrare terrore che i propri genitori siano stati coinvolti in un incidente o stiano male, o in ogni modo che l'abbiano abbandonato per sempre. Hanno bisogno di stare sempre vicini ai propri genitori o a casa e potrebbero avere difficoltà a frequentare la scuola o partecipare a un campeggio, stare a casa di amici o in una stanza da soli. La paura della separazione può condurre a senso di vertigine, nausea o tachicardia. L'ansia da separazione è spesso associata a sintomi della depressione, come tristezza, isolamento, apatia, difficoltà di concentrazione e paura che i propri familiari muoiano. Spesso soffrono di incubi o terrore durante la notte. Il tasso di remissione del disturbo d'ansia da separazione è alto. Tuttavia si alternano periodi in cui il disagio diventa più grave e periodi in cui diminuisce. 65 Talvolta, tale condizione può durare anche molti anni e diventare un precursore del disturbo da attacchi di panico con agorafobia. Gli individui adulti, che soffrono di tale disturbo, potrebbero avere difficoltà a spostarsi o sposarsi e, a loro volta, potrebbero essere terrorizzati dalla separazione dai loro stessi bambini e dal partner. I sintomi e i modi in cui il disturbo si manifesta sono i seguenti: - Eccessivo disagio quando il bambino viene separato dalla figura di riferimento che si prende cura di lui - Preoccupazione rispetto alla perdita del caregiver o danni al suo ritorno - Ricorrente riluttanza ad andare a scuola o in altri luoghi a causa del terrore della separazione - Riluttanza ad andare a dormire senza avere vicino il genitore - Incubi - Disturbi fisici - Sintomi per almeno quattro settimane o più - Inizio dei sintomi databile prima dei 18 anni di età - Difficoltà scolastiche, nel funzionamento individuale o interpersonale come risultato dell'ansia La causa del disturbo d'ansia da separazione non è conosciuta, sebbene alcuni fattori di rischio siano stati identificati. I genitori dei bambini che presentano tale disturbo sono fortemente invischiati. Il disturbo potrebbe svilupparsi in seguito a un evento traumatico e stressante, come la morte o la malattia di un familiare o un trasferimento. Talvolta è presente in più familiari, ma il preciso ruolo della genetica o dei fattori ambientali non è ancora stato stabilito. La remissione totale dell'ansia da separazione dipende dallo sviluppo di un adeguato senso di sicurezza e fiducia nelle persone che non fanno parte del nucleo familiare, nell'ambiente, e nel ritorno dei propri genitori dopo l'allontanamento. Anche dopo che il bambino ha con successo superato questo stadio dello sviluppo, l'ansia da separazione potrebbe far ritorno durante periodi di stress. La maggior parte dei bambini sperimenteranno un qualche grado d'ansia quando si troveranno in situazioni poco familiari. Quando i bambini si trovano in determinate situazioni (come l'ospedale), in cui sperimentano stress (come per la malattia o il dolore), ricercano il senso di sicurezza, la consolazione e la protezione dei propri genitori. Quando questi ultimi non possono essere presenti con il bambino in questo tipo di situazioni, il bambino sperimenta profondo disagio. È utile, ove possibile, che il genitore accompagni il bambino durante le visite mediche o il trattamento. Qualora ciò non sia possibile, è utile una anteriore esposizione alla situazione. 66 Per i bambini più grandi, trattamenti efficaci possono comprendere sostegno psicologico e trattamento psicoterapeutico per il bambino e i propri genitori e sviluppo del cambiamento nelle tecniche educative. Per i bambini più piccoli, esistono una serie di azioni che un genitore o il caregiver possono intraprendere. - Dal momento che il bambino è più suscettibile ai sintomi dell'ansia da separazione, quando è stanco, affamato o ammalato, è utile che il genitore programmi i suoi allontanamenti dopo l'ora dei pasti o i sonnellini. - È utile che il genitore prepari il bambino prima di separarsi da lui e lo rassicuri sul fatto che farà presto ritorno. Trattare l'ansia con serietà e reagire ad essa con comprensione, pazienza e sicurezza ("so che non vuoi che me ne vada, ma tornerò dopopranzo), invece di canzonare il bambino ("sei così sciocco quando piangi così) o mostrare irritazione ("tu mi fai diventare matta quando piangi così). Mantenere la calma ed essere realistici e comprensivi. "So che sei a disagio per il fatto che devo andare in cucina, ma è necessario che io tagli le carote per preparare la cena". Se si rende necessario, andare ugualmente in cucina con il bambino attaccato alle gambe. - Suscitare sentimenti di sicurezza per il bambino, offrendogli molto amore e molte attenzioni. I bambini imparano più velocemente quando ricevono l'affetto necessario piuttosto che quando i genitori assumono stili di educazione severi e duri. - Effettuare "separazioni a breve termine", all'interno della casa. È utile che il genitore, appena va in un'altra stanza fuori dalla vista del bambino, dica "Dove è andata mamma?". Quando poi ritorna, potrebbe dire "Eccomi! Sono qui!". Queste brevi separazioni ripetute potrebbero aiutare il bambino ad imparare che l'allontanamento del proprio genitore è solo temporaneo. - Non allontanarsi di nascosto o furtivamente dal bambino. Questo modo di approcciare il problema può solo avere come risultato il fatto che il bambino sia più guardingo e opponga maggiore resistenza alla successiva separazione. - Mantenere il controllo delle proprie ansie; se il bambino percepisce o nota il disagio del proprio genitore nel momento in cui egli si allontana, arriverà alla conclusione che ci deve essere in questo qualcosa di sbagliato o che non va. 5.4 Chi è il Caregiver ? Caregiver è un termine inglese che indica coloro che si occupano di offrire cure ed assistenza ad un'altra persona. Il caregiver può essere un familiare, un amico o persone con ruoli diversi, che variano a seconda delle necessità dell'assistito. 67 5.5 Manifestazione del disturbo del rifiuto della scuola Le manifestazioni del disturbo di rifiuto della scuola sono vari: - Presenza di una reazione di ansia al momento dell’uscita di casa o all’ingresso della scuola il bambino si agita, piange, ha nausea, scappa, vomita e promette che andrà a scuola il giorno successivo. - Se accetta di lasciarsi condurre a scuola sarà colto da panico e si agiterà insistendo di ritornare a casa - I sintomi somatici sono: dolori addominali, inappetenza, cefalea, dolore agli arti. - Presenza dei sintomi somatici e/o di angoscia alla sera precedente - Al di fuori del contesto scolare i disturbi fobici scompaiono ed il bambino appare sereno. 5.6 Le cause ed i fattori scatenanti del rifiuto della scuola Le cause del rifiuto della scuola sono varie e molteplici la letteratura riporta una notevole variabilità di situazioni familiari senza che ci sia un fattore comune per questo disturbo. Tra le cause annoveriamo la dipendenza del figlio dalla madre che è la riluttanza a crescere, relazioni conflittuali intrafamiliari, incoerenza educativa tra i genitori, scarsa intimità nei rapporti familiari, antecedenti ansiosi con crisi di panico e/o agorafobia, depressione nei genitori in particolare nella madre. Il problema del figlio frequentemente influenza l’equilibrio familiare con conseguente conflittualità all’interno del nucleo passando quindi ad un circolo vizioso. Trai i fattori scatenanti del rifiuto della scuola di trovano eventi di vita stressante che causano l’esordio di difficoltà a frequentare la scuola come la malattia propria del bambino o di un familiare, momentanea separazione dalla famiglia, ripresa scolastica dopo un’interruzione, cambio di residenza, incontro con un insegnante particolarmente rigido e vincolante. 5.7 Lo sviluppo del rifiuto scolare Lo sviluppo del rifiuto scolare colpisce il 5% dei soggetti in età scolare ugualmente ripartito tra maschi e femmine. Il disturbo può comparire lungo per tutto l’ arco degli anni scolastici o con periodi di picchi e fasi di transizione. Esso può comparire già in età prescolare, ma è da distinguere dall’ansia di separazione che è passeggera nei bambini ed esperiscono quando vengono inseriti per la prima volta alla scuola materna. 68 Tendenzialmente le difficoltà a frequentare la scuola tende a cronicizzarsi in presenza di cambiamenti all’interno della frequenza scolastica come il cambio della scuola, cambio dell’insegnante o l’introduzione di un argomento didattico complesso. 5.8 L’assessment, la psicoterapia ed il trattamento Prima di una terapia è bene eseguire nel bambino un assessment psicologico. L’assessment psicologico è la raccolta e l’integrazione di dati ai fini di una valutazione, decisione o indicazione per l’intervento Nell’età evolutiva, permette l’individuazione di disturbi dello sviluppo, di presenza di ritardo mentale o di un disagio comportamentale o emotivo che il bambino (o l’adolescente) può manifestare a scuola o in famiglia. Se l’assessment è precoce, è spesso possibile attivare interventi educativi e terapeutici efficaci. Strumenti di assessment sono questionari e scale psicometriche, schede di osservazione, test proiettivi interviste strutturate rivolte a genitori, insegnanti e care-giver. Un esempio di assessment è l’intervista diagnostica semistrutturale nella versione per bambino, l’intervista viene condotta prima al bambino e poi ai genitori prendendo in considerazione tutto l’anno precedente all’esordio del disturbo; una sezione è dedicata alla raccolta di informazioni con il bambino e con i genitori circa la storia scolastica ed il rifiuto scolastico. In questa seconda sezione le domande fatte al bambino sono: - Tu vai a scuola? - Ti piace la scuola? - Quali sono i tuoi voti? - Sei molto nervoso o spaventato quando devi andare a scuola? - Sei terrorizzato o molto nervoso quando sei a scuola? Ai genitori si può anche richiedere di compilare un diario quotidiano del comportamento problematico del figlio, con particolare attenzione all’esordio ed alle manifestazioni del disturbo, l’intensità, la frequenza e la durata. Un buon lavoro di assessment deve essere realizzato anche con la scuola, attraverso sia un colloqui di approfondimento che con la proposta di compilazione di un diario quotidiano del comportamento del problematico del bambino. La valutazione diagnostica è utile nel focalizzare il disturbo clinico specifico associato al comportamento di rifiuto della scuola, al termine di questo processo deve essere stipulato con entrambi genitori, che devono essere d’accordo ed in sintonia tra loro, una terapia per il loro figlio. 69 La terapia usata come intervento psicologico per i bambini con rifiuto da scuola è generalmente la: terapia cognitivo-comportamentale con due tipi di tecniche esposizione graduata e desensibilizzazione. - L’esposizione graduata da parte del psicoterapeuta viene negoziata con il bambino e consiste in un approccio step-by-step per ripristinare gradatamente il ritorno a scuola del bambino. Durante la prima sessione del trattamento viene costruita una gerarchia delle paure del bambino e degli evita menti usando le informazioni fornite dal bambino e dai suoi genitori. All’inizio si parte dal livello più basso della gerarchia per aumentare progressivamente la difficoltà. Il terapeuta mantiene un contatto con il bambino ed i genitori anche telefonicamente in modo da monitorare nel migliore dei modi il progresso del piccolo paziente. Durante la seconda sessione il bambino deve identificare i suoi pensieri mal adattivi che anticipano o si sviluppano di fronte a situazioni che producono ansia e devono rimpiazzarli con un fronteggia mento maggiormente adattivo. Tutto ciò per aiutare il bambino a ridurre l’ansia anticipatoria e decrescere sempre più il rifiuto della scuola con lo scopo dell’inserimento scolastico. - La desensibilizzazione sistematica invece implica la presentazione di immaginazione di stimoli provocanti l’ansia, partendo da quello che ne provoca meno allo stimolo più disturbante. Quando abbiamo un rifiuto della scuola è l’esposizione ripetuta come fare una domanda in classe, telefonare ad un compagno di classe, unirsi ad un piccolo gruppo della classe per giocare insieme, fargli vedere del materiale scolastico illustrato per aiutare il bambino. Lo scopo finale è l’inserimento scolastico. Quando il bambino però rifiuta la scuola allo scopo di ottenere attenzioni fisiche e verbali dagli altri in modo particolare dalla madre da cui non riesce a separarsi, deve essere utilizzato specificamente un approccio basato sul trattamento con i genitori. Lo scopo è quello di incrementare le abilità dei genitori in comandi, regole, routine di casa, privilegi, ricompense per la frequenza scolastica da parte del bambino se la frequenza è normale. I genitori in generale vorrebbero risolvere il disturbo in modo veloce ma è un processo lento e ci vuole pazienza. Il terapeuta agisce da mediatore tra il bambino ed i genitori. Lo scopo finale è sempre quello della frequenza regolare scolastica da parte del bambino. Le due tecniche di trattamento nella pianificazione del trattamento terapeutico sia come frequenza sia come ritorno a scuola da parte del bambino non ha particolari differenze, il terapeuta deve capire quale è più confacente alla situazione.[20] 70 CONCLUSIONE a) Curiosità da Panico !!! Anche le star come i comuni mortali soffrono di molte fobie e di attacchi di panico Matthew Mcconaughey ha il terrore delle porte girevoli. David Beckham invece soffre di ataxofobia. Pamela Anderson ha la fobia dello specchio. Britney Spears, Federica Pellegrini, Jessica Simpson, Karina Cascella e Madonna soffrono di attacchi di panico. Soffrivano di attacchi di panico anche Alessandro Manzoni e Luigi Pirandello. La celebre cantante Madonna in un’intervista ha confessato di soffrire di attacchi di panico con queste parole: “Ci sono momenti in cui mi sento incredibilmente invincibile e sono capace di tenere il pubblico in pugno. So che tutto è assolutamente perfetto. Poi ci sono momenti in cui sono presa da attacchi di panico, mi manca l’aria, ho paura di non essere all’altezza e mi sento morire in scena. A quel punto dò la schiena al pubblico, faccio un bel respiro e ricordo a me stessa che è tutta una sensazione passeggera. E’ difficile da descrivere. Quando hai un attacco di panico non riesci ad essere razionale. Mi sento soffocare, ovviamente so che c’è abbastanza ossigeno per tutti ma è come se la gente mi rubasse l’aria. Mi sento claustrofobica.” b) Concludendo Concludo la mia tesi ringraziando ancora una volta il mio Relatore, il Preside Professore Antonino Pennisi e tutto il personale docente e non docente dell’ Università degli Studi di Messina e coloro che mi sono stati vicini : GRAZIE. 71 INDICE Pag Introduzione …………………………………………………………………… I Poesia: “Attacco di Panico” di Corradina Triberio ……………………………. IV CAPITOLO 1 Pag Premessa: Universo Psiche ………………………………………………………… 1 1.1 L’Encefalo ……………………………………………………………………… 6 1.2 Il Sistema Nervoso ……………………………………………………………… 12 CAPITOLO 2 Pag Premessa: Che cosa è l’Attacco di Panico …………………………………………. 16 2.1 Il termine “Panico” ……………………………………………………………... 16 2.2 Che cosa è il disturbo di panico ………………………………………………… 17 2.3 Differenza tra paura, ansia e panico ……………………………………………. 18 2.4 Definizione dell’attacco di panico ……………………………………………… 20 2.5 Fattori di rischio ………………………………………………………………… 23 2.6 Diagnosi differenziale …………………………………………………………... 24 2.7 Elenco dei nomi di alcuni tipi di fobia ………………………………………….. 26 2.8 Disturbi concomitanti al DAP ………………………………………………….. 29 2.9 Effetti del DAP nella memoria …………………………………………………. 29 2.10 Diverse forme cliniche del DAP ………………………………………………. 29 Pag 2.11 Approfondimento del termine agorafobia ……………………………………. 30 2.12 DAP e Psicosi ………………………………………………………………… 31 72 CAPITOLO 3 Pag Premessa: Eziopatogenesi del DAP ……………………………………………….. 32 3.1 Fattori biologici ……………………………………………………………….. 32 3.2 Fattori genetici ………………………………………………………………… 32 3.3 Fattori psicosociali ……………………………………………………………. 33 3.4 Fattori eziopatogenetici: possibile modello unificatore ………………………. 33 CAPITOLO 4 Pag Premessa: Trattamento del DAP …………………………………………………… 35 4.1 La Farmacoterapia ……………………………………………………………… 35 4.2 Analisi del farmaco …………………………………………………………….. 37 4.3 Le tappe della terapia farmacologica …………………………………………… 40 4.4 Psicoterapia …………………………………………………………………….. 42 4.5 La differenza tra la psicoterapia e la psicanalisi ………………………………... 42 4.6 Tipologie di psicoterapia ……………………………………………………….. 47 4.7 Le tappe della psicoterapia e personalità dei pazienti affetti da panico ………… 55 4.8 La resistenza ed i meccanismi di difesa del paziente affetto da DAP …………... 56 4.9 I principali meccanismi difensivi dell’Io utilizzati dal paziente con DAP ……… 57 CAPITOLO 5 Pag Premessa: La paura in età evolutiva ……………………………………………….. 59 5.1 Lo sviluppo delle paure ………………………………………………………… 59 5.2 Le paure più frequenti in età evolutiva ………………………………………… 62 73 5.3 Approfondimento della fobia scolare nel bambino …………………………….. 65 5.4 Chi è il Caregiver ........................................................................................... 69 5.5 Manifestazione del disturbo del rifiuto della scuola ……………………………. 69 5.6 Le cause ed i fattori scatenanti del rifiuto della scuola ………………………… 69 5.7 Lo sviluppo del rifiuto scolare …………………………………………………. 70 5.8 L’Assessment, la psicoterapia ed il trattamento ………………………………... 70 CONCLUSIONE Pag a) Curiosità da PANICO !!! …………………………………………………… 73 b) Concludendo ………………………………………………………………… 74 INDICE …………………………………………………………………………….. 76 BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA………..……………………………………………………………… 79 74 BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA [1] Antonino Pennisi; Antonino Bucca; Alessandra Falzone. Trattato di Psicopatologia del Linguaggio. Edizioni Edas 2004 [2] DSM-IV°. Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali. Masson Editore [3] Castano P; Donato R.F. Anatomia dell’Uomo. Edizioni Ermes 2006 [4] Nicola Ghezzani. Uscire dal Panico. Ansia, fobie, attacchi di panico, Nuove strategie nella gestione e nella cura. Edizioni Franco Angeli 2009 [5] www.wikipedia.org/wiki/Pan [6; 9;10;16] Vittorio Cei. Disturbo di Panico e Agorafobia. Volumi 1 e 2. Edizioni Pharmacia & Upjohn 1999 [7] Letteratura Mondiale. Attacchi di Panico. News Letter 1-2000. Edizioni Mosby-Italia. [8;12;19] Roberto Infrasca. Il disturbo da Attacchi di Panico. Dalla comprensione alla Terapia. Edizioni Franco Angeli 2006 [11;14;18] Roberto Infrasca. DAP. Inquadramento psicopatologico e approccio psicoterapeutico nel disturbo da Attacchi di Panico. Edizioni Magi 2006 [13;17] Gabriella Ba. Strumenti e Tecniche di riabilitazione psichiatrica e psicosociale. Edizioni Franco Angeli 2010 [15] Gianni Francesetti. Attacco di Panico e Postmodernità. La Psicoterapia della Gestalt fra clinica e società. Edizioni Franco Angeli 2009 [20] Giovannella Guasco; Paolo Meazzini. Le Paure Infantili. Edizioni Bulzoni 20 ottobre 1988 ÷21 marzo 1989. Trimestrale di Terapia del Comportamento. Giornale Italiano di Scienza e Terapia del comportamento. Il meglio della Terapia del comportamento : italiana ed internazionale. [Figure 1;2;3;4;5;6] Immagini dal web. 75 76