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La psicoterapia del paziente con attacchi di panico

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La psicoterapia del paziente con attacchi di panico
Psichiatria e Psicoterapia Analitica (2002), 21, 2: 120-127
Psicoterapia Analitica
LA PSICOTERAPIA NEL DISTURBO DA ATTACCHI DI PANICO
Luigi Pavan, Francesca Maria Gambaro
La psicoterapia del paziente con attacchi di panico
Le linee guida dell’APA sottolineano l’importanza dell’alleanza terapeutica e prevedono
una psicoterapia a indirizzo cognitivo-comportamentale, senza trascurare l’approccio
psicodinamico.
Altri autori sottolineano l’importanza del sostegno psicoterapico e, solo secondariamente, in
casi particolari consigliano una psicoterapia strutturata:
I casi particolari previsti sono:
1. persistenza di gravi condotte di evitamento;
2. preferenze del paziente;
3. scarsa adesione al trattamento farmacologico;
4. terapia cognitivo-comportamentale;
5. persistenza di comportamenti di disadattamento correlati alla gravità del disturbo.
A ogni modo le terapie più specifiche e adottate sono quelle a indirizzo cognitivo-comportamentale.
I primi tentativi di trattamento del DAP con psicoterapia risalgono a Gelder (1967) e sono
fondati sulla “desensibilizzazione sistematica”, ossia sul far immaginare al paziente sintomi
agorafobici partendo da una situazione meno ansiogena per giungere alla più ansiogena, insegnando a rispondere ai sintomi con il rilassamento muscolare.
Successivamente sono state elaborate delle varianti tecniche, in particolare:
1. flooding: esposizione del paziente alle situazioni ansiogene a un livello immaginario,
passando da quelle di minore a quelle di maggior livello ansiogeno al fine di consentire da parte
del paziente l’acquisizione di una certa sicurezza nel dominare i sintomi;
2. implosion: il paziente cerca di immaginare la situazione in cui si è verificato l’evento
condizionante.
L’efficacia di questi metodi sembra essere discreta, ma i dati in proposito sono discordanti:
• Marks: 4,6% (1971);
• Jansson: 10-20% (1986).
Per questo negli anni settanta e ottanta sono state elaborate nuove metodiche.
Si passa progressivamente all’esposizione in vivo, ove il paziente affronta direttamente
un’esposizione reale alle situazioni fobiche (Watson et al. 1971, Stern et al. 1973).
Questo passaggio dal condizionamento “all’esposizione in vivo” come focus terapeutico
viene considerato da Fava (2000) la tecnica più interessante per la cura dell’agorafobia consistente in “un’esposizione progressiva programmata”.
Secondo Fava, questa tecnica dà risultati equivalenti alla farmacoterapia e più duraturi e
cita lo studio di Marks et al. (1993) su 154 pazienti che conferma la superiorità della psicoterapia sulla farmacoterapia. Le strategie per incoraggiare l’esposizione sono diverse e vanno da
una spiegazione razionale, sino ad accompagnamento e sostegno, anche telefonico, nei mo120
La psicoterapia nel disturbo da attacchi di panico
menti critici. A volte è previsto il coinvolgimento del partner, degli amici o della famiglia
(Cerny 1987).
Una tecnica più specifica per il DAP è quella di Barlow (1989), denominata Panic Control
Treatment, basata sul riconoscimento da parte del paziente dei sintomi in grado di predire l’episodio critico (sintomi cardiaci, respiratori, vestibolari, derealizzazione, depersonalizzazione).
Si articola in tre tipi di approccio:
1. rieducazione del respiro;
2. terapia cognitiva che mira a correggere la tendenza a sovrastimare il pericolo e a considerarlo catastrofico;
3. esposizione sistematica ai sintomi fisici che scatenano le crisi d’ansia.
L’efficacia della terapia cognitivo-comportamentale è supportata oramai da un gran numero
di evidenze cliniche (Barlow 1989, Beck 1992, Michelson 1990) ma non è ancora chiaro se alcuni
elementi della terapia siano più efficaci su alcuni specifici quadri sintomatologici piuttosto che su
altri. È però ormai generalmente accettata l’associazione di un trattamento psicoterapico, quando, dopo 6-8 settimane di trattamento farmacologico, non si registrano significative variazioni
della sintomatologia.
La disponibilità da parte del paziente a portare a termine tutto il trattamento, anche se di
lunga durata, rappresenta un fattore terapeutico essenziale (Chambless et al. 1993; Clum et al.1993).
Dati recenti (Hofmann 1997) sottolineano il vantaggio nell’applicare nello stesso paziente
tecniche cognitive e comportamentali.
Alcuni recenti lavori (Barlow 1989, Beck 1992, Magraf 1990, Ost 1995) si sono occupati di
una revisione di studi randomizzati e controllati. Una valutazione generale dei risultati ha così
permesso di individuare strategie specifiche di trattamento.
Le indagini considerate erano rivolte allo studio di pazienti con diagnosi di DAP con o senza
agorafobia, per un periodo che variava da 4 a 16 settimane; l’efficacia della PTCC, nei vari studi,
era valutata nei confronti di interventi di supporto e sostegno, di interventi centrati su tecniche di
rilassamento e infine del placebo.
L’analisi dei risultati raggiunti indica che i fattori in grado di determinare l’efficacia di un
intervento sono:
1. lunghezza del trattamento;
2. specificità della tecnica.
I risultati di follow up (negli studi analizzati compresi fra i sei e gli otto anni) indicano che la
percentuale di pazienti che non presenta attacchi di panico nell’arco di 24 mesi si aggira attorno
al 50% e il 21% circa dei restanti pazienti presenta uno stato di funzionamento caratterizzato da
una bassa severità della sintomatologia, al cui interno sono inclusi ansia anticipatoria e sintomi
fobici, e dalla persistenza di episodi di panico limitati.
Nel restante 29% la remissione della sintomatologia è stata considerata insoddisfacente (Clark
et al. 1994, Craske et al. 1991, Telch et al. 1993, Van de Hout et al. 1994, Fava et al. 1995, Brown
et al. 1995).
Un dato da segnalare, per le ricadute nella pratica clinica, è che i risultati raggiunti, in termini di riduzione dei sintomi specifici e della disabilità connessa, persistono da quattro a otto anni
dall’interruzione del trattamento.
Problematiche connesse alla PTCC:
1. aumento dell’ansia con l’iniziale esposizione agli stimoli interpretata dal paziente come
effetto collaterale, il che può comportare interruzione precoce e perdita di motivazione al trattamento;
2. stato di dipendenza dal terapeuta;
3. non c’è spazio per altre problematiche psicologiche.
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Luigi Pavan, Francesca Maria Gambaro
Psicoterapia psicodinamica
Più autori se ne sono occupati: Nemiah 1981, Cooper 1985, Gabbard 1990, Schear 1993 e tra
gli italiani: Infrasca 2000. Vi sono molti case reports (Sifneos 1984, Bash 1995, Shear 1995), ma
una carenza di studi controllati. Recentemente alcuni studi più organizzati evidenziano un miglioramento degli esiti a lungo termine della farmacoterapia associata alla psicoterapia
psicodinamica (Milrod et al. 2000).
Alleanza terapeutica
Per tutti gli autori, uno dei problemi centrali rimane la scarsa collaborazione dei pazienti
affetti da DAP, e questo riguarda sia la terapia farmacologica che la psicoterapia: si stima infatti
che più del 20% abbandona la terapia. Lo stabilire un’alleanza terapeutica rimane uno dei compiti
fondamentali. La pratica clinica fa rilevare l’importanza di un intervento che sin dall’inizio tenga
presenti alcune peculiarità del funzionamento mentale di questi soggetti.
Tale rilievo è stato recentemente confermato da Dyckman (2001) in pazienti con attacchi di
panico visitati in Pronto Soccorso.
Nella nostra esperienza è necessario attivare sin dall’inizio una gestione del rapporto che sia
adeguata alle caratteristiche del funzionamento mentale di questi pazienti (Pavan et al. 1998).
Gestione psicoterapica
Indichiamo come “gestione psicoterapica” un insieme di modalità che dovrebbero essere
tenute presenti sin dalla prima visita, e che vengono a costituire un intervento di psicoterapia di
crisi, di breve durata e concomitante con l’inizio del trattamento farmacologico. Nell’esperienza
di tutti gli autori queste persone chiedono aiuto con urgenza, ma sul versante di un’esclusione di
malattia, di rassicurazione e di negazione. Non sono disponibili a parlare di sé, né ad alcun approfondimento personale che non sia strumentale. Accettano con difficoltà il trattamento farmacologico
perché anche questo esprime una condizione di bisogno e di debolezza che per loro è così difficile
da accettare e tollerare. Si potrebbe dire che non riescano ad affrontare l’angoscia della dipendenza (dal terapeuta) proprio perché la dipendenza è in loro negata in quanto bisogno.
Una visita medica, che si limiti a escludere una patologia organica, collude con gli aspetti
più regressivi del paziente e fornisce una rassicurazione che sarà smentita da un nuovo attacco.
Il necessario trattamento farmacologico è per lo più accettato con difficoltà, solo in via
provvisoria e con poca speranza di essere assunto in maniera corretta. Ancora più spesso un’indicazione a un trattamento psicoterapico appare del tutto inaccettabile perché ritenuta ingiustificata.
Le difficoltà, pertanto, si pongono innanzitutto nel favorire un’adesione al trattamento
farmacologico e nel far nascere interesse per una psicoterapia; secondariamente, nel cercare di
evitare che il trattamento, se accettato, sia finalizzato esclusivamente alla scomparsa dei sintomi
e tenda all’interminabilità, invece di essere un’occasione di sviluppo e cambiamento. Infatti, può
avvenire che il farmaco, dando un immediato benessere favorisca il ricomporsi dell’equilibrio
precedente e dell’immagine falsa e idealizzata di sé. Per superare questo è necessario pensare e
attuare una gestione del rapporto che sia, sin dall’inizio, adeguata alle caratteristiche del funzionamento mentale di questi pazienti.
Indichiamo come gestione psicoterapica un insieme di modalità che dovrebbero essere tenute presenti sin dalla prima visita e che si strutturano in tre fasi.
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La psicoterapia nel disturbo da attacchi di panico
Già da quando si comunica la diagnosi, con l’esclusione di patologie internistiche, si dovrà
specificare che si tratta di “un disturbo psichico” che ha un nome, è conosciuto e si può curare.
Si dovrà descrivere il quadro clinico, la sua possibile evoluzione e le eventuali complicanze,
dare notizie precise sulla terapia necessaria e su quella possibile. La terapia farmacologica dovrà
essere precisa e illustrata in dettaglio come fondamentale, descrivendo anche eventuali effetti
collaterali, usando dosi gradatamente crescenti.
Vanno dati consigli pratici e qualche prescrizione di vita, sull’uso del caffè, sul ritmo sonnoveglia e sull’attività fisica.
Assumono rilievo, quindi, aspetti rassicurativi e pedagogici anche per correggere opinioni
errate, favorendo così una “riorganizzazione cognitiva”.
Dato che domande sulle vicende della vita e sugli affetti sono spesso rifiutate come non
pertinenti si dovrà rispettare questo atteggiamento, ma si dovrà, per quanto possibile, anche usando l’anamnesi, incoraggiare la narrazione del passato e del presente. È indispensabile, in tale fase
fornire molta disponibilità personale, specie nei primi giorni e programmare visite per verificare
l’andamento ciclico e l’efficacia dei farmaci (TAB.1).
GESTIONE PSICOTERAPICA FASE – I
Prima visita
CONTENITIVA – RASSICURATIVA – PEDAGOGICA
Diagnosi descrittiva, notizie sulla terapia, consigli di vita (riorganizzazione cognitiva)
Prescrizione farmacologica
Sdrammatizzare senza banalizzare o negare
Dare disponibilità personale
Negli incontri di controllo l’obiettivo esplicito è il controllo dei sintomi, ma l’attenzione si
può gradatamente spostare sulle vicende esterne e interne, sulla storia e gli affetti. Spesso lo
spostamento di attenzione è estremamente difficile e, per entrare in contatto con il mondo interno
dei pazienti, è necessario procedere per gradi, anche utilizzando strumenti intermedi. A tale proposito può essere utile il ricorso al rilassamento, di per sé controindicato nel DAP, ma che, se
usato come mezzo transizionale, può essere un modo per accedere, attraverso le esperienze corporee, al collegamento delle emozioni con il corpo, gettando così un ponte che permetta il passaggio dal sintomo alla fantasia, al linguaggio e alla simbolizzazione. In particolare, evitando
qualsiasi atteggiamento interpretativo si favorisce il dubbio, l’incertezza, la ricerca di cause che
non siano saturate immediatamente con una risposta biologica.
Si favorirà l’espressione consapevole dei sentimenti, soprattutto depressivi e aggressivi,
che si confronteranno con un vissuto doloroso centrale che è quello di non essere invulnerabili.
Si darà rilievo alla necessità di vivere una perdita, accettandola prima ed elaborandola poi,
consistente in un lutto che riguarda la loro immagine idealizzata e, sostanzialmente, un bisogno
di senso, là dove per il soggetto è assente. Si avvia così un lavoro psichiatrico in cui, oltre la
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Luigi Pavan, Francesca Maria Gambaro
cura farmacologica e prima di un’indicazione psicoterapica, si viene a creare uno spazio
relazionale più vasto e più complesso, senza che il paziente si spaventi. (TAB. II). La terza fase
è un’ulteriore fase possibile qualora il paziente sia interessato e motivato ad affrontarla. Oltre
al mantenimento controllato dei farmaci, si accede a uno specifico trattamento psicoterapico
(TAB. III).
GESTIONE PSICOTERAPICA – FASE II
Visite di controllo ravvicinate per qualche mese
DIRETTIVA – RELAZIONALE
Controllo clinico e farmacologico
Favorire la narrazione
Attenzione alle vicende interne ed esterne della vita
Spostare la focalità dai sintomi alle emozioni
Promuovere la consapevolezza che non si è invulnerabili,
anzi forse “deboli” in certi settori delle esperienze
GESTIONE PSICOTERAPICA – FASE III
Nella fase di miglioramento clinico
e di mantenimento
FARMACOTERAPIA
continua il trattamento, sotto periodico e distanziato controllo
PSICOTERAPIA
eventuale inizio di un trattamento specifico con altro specialista,
di tipo cognitivo, psicodinamico, relazionale
Riassunto
È opinione prevalente che nella terapia del Disturbo da Attacchi di Panico (DAP) ci siano indicazioni
per una psicoterapia.
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La psicoterapia nel disturbo da attacchi di panico
Il modello più usato, la cui efficacia è stata provata, è l’intervento cognitivo comportamentale, in
particolare nella forma dell’esposizione in vivo. Anche la psicoterapia psicodinamica comincia a portare
studi sulla sua efficacia.
Il problema per tutti gli interventi psicoterapici è quello della collaborazione e delle difficoltà nello
stabilire un’alleanza terapeutica. Viene rivalutata l’importanza che deve assumere fin dall’inizio la gestione di questi pazienti per ottenere una collaborazione sia al trattamento farmacologico che a quello
psicoterapico. Si propone a tal fine, una specifica modalità relazionale designata come “gestione psicoterapica”.
Summary
Key words: DAP - Psychotherapy - Psychotherapic Management
It is prevalent opinion that there are indications for psychotherapy on DAP. The most used model,
whose efficacy has been tested is the cognitive-behavioral-therapy especially with living-exposure. Psychodynamic Psychotherapy also started to provide studies on its efficacy. The main problem in most of the
psychotherapic interventions is that of collaboration and difficulties in establishing a therapeutic alliance.
The importance that the management of patient with DAP must assume from the beginning in order to
obtain the collaboration in both pharmacological and psychotherapic treatments is emphasised. For this
purpose, a specific relational mode, defined as “psychotherapic management”, is suggested.
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Luigi Pavan, Francesca Maria Gambaro
Dipartimento di scienze neurologiche e psichiatriche, Clinica Psichiatrica, Università di Padova
Corrispondenza
Dott.ssa Francesca Maria Gambaro
Clinica Psichiatrica di Padova
Via Giustiniani 2, 35100 Padova
e-mail: [email protected]
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