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Catalogo - Armanda Gori Arte
OMAR RONDA & PAOLO VEGAS COMPAGNI DI BIENNALE 14 ottobre/30 novembre 2011 Curatori: Armanda Gori Leonardo Marchi Progetto grafico: Luciana Badii Aldo Marchi Impaginazione e stampa: Tipografia Il Bandino In copertina: Omar Ronda Brigitte frozen 2011 cm. 50x120 Quarta di copertina: Paolo Vegas L’attesa cm. 100x150 collage su stampa lambda montata su leger 40mm. pezzo unico 1/1 - 2008 - archiviato 2 Organizzazione: Viale della Repubblica, 66 59100 Prato Fisso 0574 604801- 562890 Mobile 335 303142 - 338 5924449 Fax 0574 604901 e-mail: [email protected] www.armandagoriarte.com OMAR RONDA & PAOLO VEGAS: COMPAGNI DI BIENNALE Una delle cose più difficili del mondo è sicuramente quella di scegliere i compagni di viaggio… ed io generalmente sbaglio! Quando andavo in barca a vela c’erano gli amici o peggio le loro mogli che ai primi beccheggi si sentivano male e vomitavano, non parliamo delle gite a cavallo con ruzzoloni e piaghe al deretano, ai viaggi intelligenti nelle città d’arte e nei musei, un vero e proprio incubo, ore di attesa nelle hall degli alberghi e discussioni sulla scelta dei ristoranti… a qualcuno fa male l’aereo, ad altri la nave e ad altri ancora l’auto, e via di questo passo. Ma un viaggio è una parentesi che si chiude velocemente, mentre scegliere un compagno per una grande mostra o per un lavoro continuativo comporta dei rischi davvero enormi. Io ho sbagliato quasi sempre anche in queste occasioni, amici che credi fratelli non esitano a tradirti per un soldo bucato e sei fortunato se non ti rubano il portafogli. Ormai vado per i sessantaquattro ed i miei capelli sono biondi con tendenza all’argento, i miei baffi e la mia barba sono segni di saggezza e di esperienza, così che da tempo mi ero ripromesso di non viaggiare più con altri, “MEGLIO SOLI CHE MALE ACCOMPAGNATI” mi dicevo! Ma non si può cambiare la propria natura, non si può negare l’amicizia o non riconoscere la bravura e l’estro quando si presenta, ed è così che l’anno scorso alla Biennale di Venezia dell’Architettura del 2010 ho presentato un lavoro realizzato con un giovane e bravis- simo architetto: Filippo Chiocchetti ed alla Biennale di Venezia di quest’anno ho presentato una serie di opere realizzate in simbiosi con lo straordinario fotografo Paolo Vegas. Conoscevo Vegas fisicamente ma non avevo mai visto le sue intriganti invenzioni. Un giorno fui invitato nel suo studio per scoprire con grande piacere che Vegas non è un fotografo qualunque ma un ribelle della fotografia, un artista visionario che non si limita a documentare una situazione o a lasciarsi abbindolare dai chiari e scuri o dal tramonto sui monti o al mare dei Caraibi. Vegas le immagini le violenta, le assembla, le rielabora rendendole stupefacenti e surreali. Come un demiurgo tecnologico Paolo Vegas ribalta la realtà usando le figure che animano i suoi “Tableau Vivant” come pedine di una scacchiera cervellotica e metafisica. Molto spesso i protagonisti della scena vengono sdoppiati e clonati in un parallelismo che induce lo spettatore a riflettere e a pensare. È proprio questo costringermi ad immaginare che mi fa amare l’opera di Paolo Vegas; è questa sua ricerca non parassitaria che mi ha convinto ancora una volta a sceglierlo come compagno di viaggio per la mostra d’arte più importante del mondo: La Biennale di Venezia 2011 curata da Vittorio Sgarbi, nel padiglione Italia all’Arsenale e nella sua sezione più cara, Il Museo della Mafia di Salemi. Omar Ronda 3 4 Gibellina, Omar Ronda con il Cretto di Burri senza pale eoliche. OMAR RONDA Come teche di cristallo multicolori, le opere di Omar Ronda accolgono immagini e le trasformano in messaggi capaci di sfidare il tempo. Nella loro apparente leggerezza, queste opere sono dotate di un’insospettabile stabilità, frutto della sintesi chimica operata dalle alte temperature a partire da reagenti artificiali: polveri plastiche, forme primarie, elaborati digitali. Mescolando sapientemente questi ingredienti, l’artista avvolge l’immagine di polveri colorate e forme simboliche che, sottoposte all’impatto del calore, si fissano insieme dando luogo a quelle che appaiono quasi nubi di cristallo, tanto leggere quanto permanenti. Il processo naturalmente è rischioso, Omar Ronda non può controllarne completamente gli esiti, stabilendo a-priori il risultato. C’è, in altre parole, un’immancabile componente di casualità che concorre alla realizzazione di queste opere, attrice ormai tradizionale del processo creativo, apprezzata nelle migliori famiglie delle avanguardie storiche: dopo il “lancio di dadi” che cambia faccia all’esperienza artistica, si allineano sulla stessa tensione estetica e comunicativa Duchamp e i dadaisti, Breton e i surrealisti oltre che naturalmente gran parte degli action painters. Duchamp in particolare, come ben sappiamo, amava macchine, meccanismi e non considerava la sua intelligenza critica e operativa più affidabile dell’inter- vento di elementi esterni, casuali, aleatori: i tre “Rammendi tipo”, per esempio, sono il frutto di una compartecipazione di agenti e condizioni date; e così la nube della sposa del Grande Vetro; e molto altro ancora. Omar Ronda gioca con questi precedenti, esplorandone con curiosità il potenziale creativo ed estetico. A volte può essere una macchia d’umidità, altre volte un flusso di colore liquido che si sparge da una parte piuttosto che dall’altra; le varianti sono innumerevoli e soprattutto imprevedibili. L’artista ha deciso per prima cosa di non sottrarsi a nessuna delle sfide e delle risorse che il suo/nostro tempo gli propone e ha rinunciato da parecchio a tele e pennelli senza tuttavia abdicare affatto né al dipingere nè al piacere del colore in tutte le sue variazioni e possibilità espressive. Come pittore, Omar Ronda è versatile e ghiotto, curioso di nuances e effetti di ogni genere: dipinge con le plastiche, con i materiali sintetici, confezionando rilievi densi e solidi come la pietra dall’aspetto intensamente pop (anche qui, come non riconoscere il gusto che caratterizza le nostre società) che ha battezzato Genetic Fusion. Perché? perché in essi vengono rifusi insieme e rimescolati, nelle sostanze plastiche, vari rappresentanti del regno animale e vegetale e minerale, come sassi e granchi, conchiglie e pesci. Oggetti ibernati, finti (ça va sans dire) pronti per 5 una nuova ricombinazione generale. In questo momento in cui le sperimentazioni genetiche sono all’ordine del giorno, la brillante intuizione di Omar Ronda lo porta a parafrasare il ruolo e l’attività del biologo operando appunto alterazioni chimiche che corrispondono poi ad alterazioni formali, a deflagrazioni di senso e di colore e di materiali. Come saranno i microrganismi del futuro? e gli animali e gli uomini? tutte le specie sono in mutazione più accelerata che mai e risposte credibili non ce ne sono. Per questo potremmo paragonare quello di Ronda a uno sgargiante gioco di simulazione di un possibile futuro prossimo: al tempo stesso però il suo è un lavoro sulla memoria. Memoria delle cose, delle forme, dei volti e dei codici, appunto inscritti nelle eliche del DNA. Memoria di organismi e materiali che un tempo abitarono la terra. Le immagini, stabilizzate nel supporto sintetico, esibiscono fasto cromatico e brillantezza, appagano gli occhi, insinuano un’altra idea o un’altra varietà di natura, post-naturale, se mi si consente il gioco di parole. E trattengono qualche cosa della storia delle forme, della loro infinita varietà morfologica, alias della loro bellezza. Nel suo Manuale di zoologia fantastica (scritto insieme a Margarita Guerrero) Jorge Luis Borges esplora tradizioni popolari e mitologie, poemi classici, testi sacri e favole, inseguendo l’esigenza umanissima di trasformare, nella parole e, appena possibile, nei fatti, la realtà circostante. In parte mostro, in parte meraviglia, la creatura inventata popola l’im6 maginario umano e trova nelle letterature il suo habitat ideale. Setacciando Omero e il Talmud, le Mille e Una Notte e la Bibbia, Il Milione, Erodoto e Plinio il Vecchio, Borges incontra esseri quasi metafisici e veri ibridi mostruosi, creature dell’aria, dell’acqua e della terra in cui l’immaginazione umana sembra aver raggiunto il suo apice: la Chimera e la Manticora, il Grifone e il Drago, il Garuda e il Centauro si ritrovano nelle tradizioni classiche e orientali, e altri esseri ancora scaturiscono dalla creatività di autori come Kafka, Poe, C.S. Lewis. Accanto a questi, volutamente senza altro ordine che quello alfabetico, troviamo esseri a metà tra il mondo vegetale e animale: la ben nota Mandragora il cui urlo porta la pazzia quando viene estratta dalla terra, e il Borametz, simile ad un agnello e divorato dai lupi, che produce un succo del colore del sangue. Animali puntuali, scaturiti da un sogno che l’umanità ha sognato una volta sola, in circostanze ben date e definite, oppure archetipi ricorrenti, che fioriscono simili in diverse latitudini e civiltà: per esempio del drago, lo scrittore argentino ci assicura che “c’è qualcosa, nella sua immagine, che s’accorda con l’immaginazione degli uomini; e così esso sorge in epoche e latitudini diverse”. Però non bisogna illudersi: “La zoologia dei sogni è più povera di quella di Dio”. E di conseguenza, gli animali fantastici sono in sostanza molti meno di quelli nati ad opera della Creazione. Forse è proprio da una riflessione come questa che Omar Ronda è partito nella costruzione delle sue invenzioni bioplastiche e artistico-sintetiche, trasformando genialmente in oggetti e in visioni quelle che erano nate come parole e costruzioni letterarie. E Borges non a caso: pubblicato in italiano da Einaudi per la prima volta nel 1979, il Manuale di zoologia fantastica era stato tradotto da Franco Lucentini, che Omar Ronda avrebbe frequentato qualche anno dopo nell’accogliente salotto di mio padre, dove i pomeriggi trascorrevano fra discettazioni letterarie e identificazioni di quadri difficili, opere minori di secoli lontani, in attesa di cene prelibate che avrebbero appagato anche i desideri più ardui e ricomposto provvisoriamente divergenze e opinioni contrastanti. In circostanze come quelle, forse, era nata in Omar Ronda l’esigenza di avventurarsi a sua volta, con i suoi mezzi visivi e visionarsi, in questi territori di confine fra immaginario e arte, fra scienza e apocalissi, anticipando così rischiose spe- rimentazioni scientifiche successive alla mappatura del DNA, clonazione in primis. Sono nati così ibridi e ritratti genetici, animali di plastica e fusioni chimico-pittoriche, insomma tutta quella lunga e fervida catena di opere realizzate dall’artista, conseguenti e coerenti l’una all’altra come perle di una collana. Così l’arte di Omar conferma il suo potere rabdomantico mentre le sperimentazioni scientifiche, guarda caso, per il momento confermano la sicura diagnosi di Borges sulla povertà relativa della fantasia umana. I cloni benché giovanissimi muoiono infatti prima e più gracili dei loro “originali”, le combinazioni genetiche sono ben più spesso nefaste e distruttive che provvide e buone. I giochi restano aperti, mentre quei pochi artisti che ancora sono cercatori d’acqua si rimettono al lavoro. Martina Corgnati 7 Biografia Omar Ronda nasce a Portula (Biella) Italia il 11 settembre 1947. Nel 1967 conosce Gian Enzo Sperone e Lucio Amelio e con loro organizza una serie di grandi mostre di Pistoletto, Kounellis, Penone, Zorio, Merz, Boetti, Paolini, Calzolari e più tardi di Paladino, De Maria, Chia. Nel 1973/74 passa un intero anno a New York dove conosce Leo Castelli ed Eleana Sonnabend e tramite loro Rauschenberg, Warhol, Dine, Wesselmann, Twombly, Lichtenstein, Indiana, Oldemburg, fino ai minimalisti Sol LeWitt, Carl Andre, Bob Morris ed altri. A New York in seguito conosce e frequenta Basquiat e Heit Haring con il quale si lega in un rapporto di vera amicizia. Collabora assiduamente con Giorgio Marconi a Milano e con Lucrezia De Domizio Durini a Pescara con lei organizza alcune conferenze e mostre di Joseph Beuys. Nel 1990/91 realizza installazioni estreme sulla vetta del Monte Bianco e nelle grotte di Is Zuddas in Sardegna dove vive sei giorni e sei notti in una piramide vegetale sotto al reattore del Cracking Catalitico della raffineria Saras Petroli di Moratti. Nel 1993 fonda un gruppo con altri artisti e con questi organizza mostre e installazioni utilizzando animali in plastica: Epocale a Milano nel 1993, curata di Tommaso Trini e Luca Beatrice, 1994 Chiostro del Brunelleschi, Santa Maria degli Angeli (Firenze) - S.O.S. Maremuore, Mole Vanvitelliana (Ancona) - 1996 Mille delfini a Milano, Piazza del Duomo, Arengario di Palazzo Reale, Assessore alla Cultura Philippe Daverio - 1998 La Posteria (Milano) e Galleria Pananti (Firenze) - 1999 - 2001 Invito ufficiale e partecipazione alla 49ª Biennale Internazionale d’Arte di Venezia curata da Harald Szeemann, cataloghi a cura di Lucrezia De Domizio Durini, Maurizio Sciaccaluga e Alessandro Riva - Città di Arezzo per il Twin Tower Found di Rudolph Giuliani, Ambasciata Americana in Italia - Tutto l’odio del mondo, Palazzo Reale (Milano) a cura di Alessandro Riva - Città di Vilnius, Istituto Italiano di Cultura (Lituania) - 2002 inaugurazione del Centro Studi e Documentazioni (Biella) - Denaro e Valori (Bienne Svizzera) a cura di Harald Szeemann - 2003 Beaufort Triennale D’arte del Belgio, a cura di Willy Van den Bussche, Klaus Bussmann, Rudi Fuchs, Jean Hubert Martin Plastica d’Artista, Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica (Milano) a cura di Tommaso Trini - Guy Pieters Gallery, a cura di Willy Van den Bussche - 2004 Arte stupefacente, edizioni Mazzotta, testi di Philippe Daverio. 2005 Sul filo della lana (Biella) a cura di Philippe Daverio - Museo di Santa Apollonia (Venezia) in occasione della 51ª Biennale di Venezia, catalogo Mazzotta a cura di Mar9 tina Corgnati ed Elena Forin - Galleria Civica d’Arte Contemporanea Palazzo Collicola (Spoleto) a cura di Martina Corgnati - Fondazione delle Stelline (Milano) a cura di Martina Corgnati - Museo d’Arte Moderna di Louisville Ketucky Centre d’Art Villa Tamaris, La Sein sur Mer (Tolon) Beaufort 2006, UFO Gallery (Ostenda) 2007 SOMA Museum, (Seul - Korea) - Chiostro del Bramante (Roma) - Arte Tornabuoni (Firenze) Fondazione Antonio Mazzotta (Milano) Catalogo a cura di Piero Adorno, Claude Lorent e Francesco Santaniello - Una Mostra Bestiale, (Orio al Serio, Bergamo) interventi di Philippe Daverio e Vittorio Sgarbi - Old Port Sea (Tel Aviv - Israele) 2008 Iniziano le collaborazioni con le Gallerie Tornabuoni Arte Moderna, Orler e Opera Gallery - Chiesa di San Gallo 10 e Caffè Florian, Omar Ronda e Luca Missoni, conferenze di Martina Corgnati, Philippe Daverio e Francesco Santaniello (Venezia) - 2010 Metamorfosi di Primavera, Firenze, Palazzo Medici Riccardi e Museo del Territorio di Biella Catalogo Skira a cura di Francesco Santaniello e Giovanna Lazzi XII Biennale di Venezia dell’Architettura spazio Thetis L’albero della Kimere con Filippo Chiocchetti a cura di Fortunato D’Amico - 3ª Biennale d’Africa (Malindi) a cura di Achille Bonito Oliva - Roma Campidoglio, premio alla carriera e personalità europea 2010 - Biennale di Venezia 2011 curatore Vittorio Sgarbi. Centinaia sono i libri e i cataloghi pubblicati dai principali editori Italiani e migliaia i testi critici e gli articoli divulgati in tutto il mondo. Brad frozen 2011 cm. 70x70 11 12 Angelina frozen 2011 cm. 50x120 Angelina frozen 2011 cm. 50x50 13 14 Elvis frozen 2011 cm. 50x120 Claudia frozen 2011 cm. 70x70 Brigitte frozen 2011 cm. 100x100 15 Marlon frozen 2011 cm. 50x120 17 18 Audrey frozen 2011 cm. 50x120 Audrey frozen 2011 cm. 50x50 19 20 Paolo Vegas PERSONE, IMMAGINI E OGGEttI: LE fOtOGRAfIE DI PAOLO VEGAS Nella molteplicità dei linguaggi artistici contemporanei, che talvolta rasenta la confusione, le opere di Paolo Vegas si caratterizzano per una chiarezza di significati e di soggetti raffigurati. Si tratta di una serie di fotografie – o meglio collage – su stampa Lambda, montate su supporto Leger o alluminio di varie misure; alcune di esse sono conservate in una teca in plexiglas. Possiamo raggruppare i suoi lavori in tre categorie: la prima costituita da venti fotografie che riproducono altrettanti disegni di Egon Schiele, una seconda categoria di venticinque opere in cui prevale la “ricostruzione d’ambiente” e in fine un ultimo gruppo dove emerge con chiarezza il tema del doppio o clonazione di un soggetto. Spesso nel corso dei secoli gli artisti si sono idealmente ispirati o hanno preso spunto o talvolta copiato opere dei loro predecessori; conosciamo infatti oramai una opera come la Sagra di Masaccio dipinta al Carmine solo attraverso le copie parziali cinquecentesche, tra le quali figura all’Albertina di Vienna un disegno di Michelangelo1. Tutto ciò non deve essere stato casuale né costituisce una diminuzione della figura del Buonarroti il fatto che uno degli artisti d’oro del Rinascimento italiano abbia di fatto copiato 1 J. Spike, Masaccio, Milano 1995, p. 204. Il disegno di Michelangelo si conserva a Vienna, Graphische Sammlung Albertina, SR 150. un’opera ai suoi occhi evidentemente eccelsa. In fondo si pensi a quanti artisti durante il Quattrocento e il Cinquecento si sono fermati a raffigurare opere della classicità, lasciandoci fogli sparsi o taccuini pieni di disegni o quanta importanza ebbe la riscoperta della Domus Aurea per la diffusione della grottesca2. Ancora si potrebbe citare la copia di Van Dyck dell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci in Santa Maria delle Grazie3, o lo studio di mani di Edgard Degas da un disegno dello stesso Leonardo ora alla Royal Library di Windsor4. Anche in questo caso si tratta di un vero e proprio omaggio da parte di Vegas ad Egon Schiele: in particolare vengono scelti venti disegni, che si conservano oggi per la maggior parte in collezione privata, in cui ben si evidenzia la componente sensuale ed erotica tipica del pittore austriaco5. 2 N. Dacos, La découverte de la Domus Aurea et la formation des grotesques à la Renaissence, Londra-Leida 1969. 3 M. Diaz Padron, Scheda 136, in Il Genio e le Passioni Leonardo e il Cenacolo. Precedenti, innovazioni, riflessi di un capolavoro, Milano 2001, pp. 346-347. 4 P.C. Marani, scheda 175, in Il Genio e le Passioni Leonardo e il Cenacolo. Precedenti, innovazioni, riflessi di un capolavoro, Milano 2001, p. 402-403. 5 Si possono vedere riprodotti in Schiele, catalogo della mostra di Martigny, Martigny 1995, nn. 55, 74, 80-81, 83, 84-85, 87, 100, 111-112, 115116, 126-127, 129-132, 134. 21 Le fotografie sono rigorosamente fedeli agli schizzi del pittore, e tuttavia appaiono modificate proprio da una aggiunta coloristico-cromatica nuova e personale, da un tono meno espressionistico e dall’applicazione di un oggetto sulla stampa, su cui torneremo tra breve. Mi sembrano sull’argomento particolarmente importanti ed appropriate le parole di Josef Brodskij: “La paura dell’influenza, la paura della dipendenza è la paura di un barbaro, non della cultura che è tutta continuità, è tutta un’eco”6. Forse sono maggiori di quello che si pensi le analogie tra la Vienna d’inizio secolo, – fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale e al conseguente ridimensionamento dell’impero austriaco sullo scacchiere europeo –, e la realtà contemporanea. Basti pensare al ruolo che oggi occupa la sensualità, o forse la sessualità, nella società e nelle sue infinite espressioni, come la pubblicità, la vendita di giornali, scandalistici o meno, e le trasmissioni televisive spesso di livello culturale non troppo elevato, ma invece seguitissime dal pubblico. Passando al secondo gruppo di opere, come Look and touch, La dolce vita e il guardone, L’attesa, What’s for dinner, solo per fare qualche esempio, ci troviamo di fronte ad una serie di fotografie originali dell’artista, dove colpisce in maniera immediata la collocazione di persone in una ri- costruzione d’ambiente pensata e ben definita. Anche in questo caso si rischia di scivolare in un ambito piuttosto difficile e complesso e dove già esistono maestri affermati come David Lachapelle7. Tuttavia più che sottolineare le analogie col fotografo americano, mi pare siano da evidenziare le differenze. Vegas infatti si contraddistingue per una maggiore aderenza al dato reale mentre in Lachapelle le scene si permeano di un surrealismo per un certo verso più aderente allo sviluppo artistico d’oltreoceano. Ma la peculiarità dell’opera del fotografo italiano è certamente la applicazione di un oggetto presente nell’immagine sulla fotografia stessa. A differenza della pittura, dove possono essere dipinti oggetti o persone nate dalla fantasia dell’artista, una fotografia dovrebbe raffigurare qualcosa che è presente fisicamente davanti ad un obiettivo, e quindi si dovrebbe contraddistinguere per una maggiore adesione alla realtà. Oggi tutto ciò può essere falsato dalla tecnologia e dall’informatica, grazie alla quale le forme e le figure vengono ritoccate o addirittura ricostruite ex novo, ma ciò esula dal nostro discorso. Tornando alle opere di Vegas, ci si trova quindi di fronte ad una sorta di ambiguità voluta, dove l’oggetto raffigurato (reale) ne è una semplice “raffigurazione” rispetto a quello applicato sulla 6 7 Traggo la citazione da T. Kustodieva, I leonardeschi nelle collezioni dell’Ermitage, in Leonardeschi. Da Foppa a Gianpietrino dipinti dall’Ermitage di San Pietroburgo e dai Musei Civici di Pavia, Milano 2011, p 19. 22 Si veda come esempio dell’opera di Lachapelle David Lachapelle, catalogo della mostra di Milano, Firenze 2007; Lachapelle. Cofanetto, Colonia 2010. stampa, che possiamo toccare fisicamente. In un mondo dove sempre maggiore trova posto la confusione tra ciò che è reale e ciò che è virtuale, queste grandi fotografie esprimono al meglio questa ambiguità, che talvolta diviene vero e proprio disagio visivo8. Questa “tragica ambiguità” è stata per altri versi lucidamente messa a fuoco nel film Matrix, dove i protagonisti – gli uomini appunto – vivono in una realtà fittizia creata ad arte dalle macchine. Analizzando in modo più dettagliato il linguaggio che tali fotografie esprimono, non ci si può esimere dal ritrovare tangenze con l’onnipresente comunicazione pubblicitaria9 , tuttavia proprio l’intersezione di linguaggi differenti e di varie culture sarà la caratteristica dell’arte del ventunesimo secolo, e mi pare opportuno aggiungere che già oggi gli artisti si esprimono in modo variegato e molteplice, tanto che proprio uno spot pubblicitario o un video musicale, se di qualità, può indubbiamente essere considerato a tutti gli effetti una opera d’arte, se a questo termine si dà una accezione ampia. Caratteristica peculiare del terzo gruppo di opere è invece la rappresentazione multipla di un soggetto, nella fattispecie 8 Di “gioco di prestigio” parla giustamente G.A. Farinella, Babel o dello stato dell’arte, in Babel linguaggi e forme del contemporaneo, Torino, 2009, s.i.p. 9 La cosa è sottolineata da F. Santaniello, Cavour e Mazzini. Icone di un’Italia giovane, in Cavour e Mazzini due protagonisti del Risorgimento rivisti da artisti contemporanei, Catalogo della mostra Biella, Biella 2011, p. 13. una o più persone in atteggiamenti e pose differenti. Esempi significativi sono le due fotografie intitolate Cloning girls dove in un caso le due ragazze danzanti sono viste dall’alto e poi dal basso in due ambienti differenti, mentre nel secondo caso ancora due ragazze sono ritratte in differenti pose, quasi due frame di una stessa scena di un film, così come in Nel cantiere lavori in corso, o ancora in Cloning dance. In Cloning on the terrace e Cloning lolita invece una sola ragazza è fotografata in vari atteggiamenti e pose riunite in un’unica scena. Allo stesso modo ne L’Illusionista, lo stesso personaggio è colui che effettua il gioco di prestigio e l’oggetto di tale illusione, racchiuso in un cubo di vetro, tanto che appare una sorta di magico inganno su se stesso. Si può continuare ricordando Cloning shopwindow, dove le due figure che osservano la vetrina come possibili clienti di un negozio di abbigliamento, si “rispecchiano” nei modelli (manichini?) esposti nella vetrina stessa. Vale la pena ancora di soffermarsi sulla La tenera Italy Italy 1861-2011, opera eseguita per il centocinquantenario dell’Unità d’Italia, dove una seducente e giovane Italia, ammicca a Mazzini, e allo stesso tempo però con uno scettro in mano è osservata con soddisfazione da Cavour: come sia andata a finire è cosa nota ed è testimoniato dalla figura centrale. Ora scorrendo le varie forme di arte occidentale, si incontra spesso il tema del doppio, a partire per esempio dalla commedia di Plauto intitolata Menecmi. I due gemelli figli di un mercante di Siracusa vengono portati al mercato di Taranto, ma uno 23 dei bimbi si smarrì. Dopo la perdita del padre Menecmo II, rimasto a Taranto, si mise alla ricerca del fratello e giunse a Epidamno dove viveva Menecmo I, dando luogo ad una serie di equivoci nei confronti dell’amante Erozia, del servo Spazzola solo per citarne alcuni, e tuttavia la commedia si conclude con il ricongiungimento dei due fratelli. Un clima più cupo e angosciante invece caratterizza il romanzo Il sosia di Fëdor Dostoevsky, poiché il consigliere titolare Jakov Petrovich Goljadkin cadrà in un degrado psicologico progressivo. Egli è innamorato di Klara Olosufevna, senza esserne corrisposto, ed è cacciato da una festa da ballo dal palazzo di lei, incontrando in seguito una inquietante figura che somiglia in tutto e per tutto a se stesso, che ha il suo stesso nome e proviene dallo stesso paese. Il finale del romanzo appare chiaro: il sosia acquisterà il rispetto di tutti, mentre Goljadkin, ormai ridicolizzato dai membri della società pietroburghese sarà rinchiuso in un istituto di igiene mentale. Mi piace ancora ricordare il caso di un film di Mario Monicelli del 1981, cioè il Marchese del Grillo, dove appunto Onofrio del Grillo trascorre le giornate nell’ozio, frequentando bettole e osterie romane, e ingegnandosi a progettare scherzi, prendendosi gioco anche del pontefice. Ma proprio quando sarà condannato a morte, sul patibolo salirà non lui, bensì un suo perfetto sosia, il povero Gasparino il carbonaio, che avrà salva la vita solo in virtù della grazia concessa dal Papa, (il quale naturalmente pensa di aver salvato il Marchese !!). 24 Limitando il nostro campo di indagine alla pittura del Novecento, un esempio affine alle opere di Vegas è La bambina che corre sul balcone di Giacomo Balla, conservata alla Galleria d’Arte Moderna di Milano del 1912, dove la figura è dipinta in sequenza e in movimento nello spazio, o possono essere citati ancora esempi tratti dal Realismo Magico di Cagnaccio di San Pietro, come Dopo l’orgia (collezione privata, 1928) dove la donna distesa a terra sembra ruotata tre volte attorno ad un asse centrale immaginario e dipinta però in tre posizioni differenti tra loro. Cercando esempi più vicini ai nostri tempi si possono menzionare le Tre bandiere di Jasper Johns (Meriden, Mr and Mrs Burton Tremaine collection 1958), le varie raffigurazioni di Marilyn Monroe o di Jacqueline Kennedy da parte di Andy Warhol, e per finire La mano ubbidisce all’intelletto di Carlo Maria Mariani (collezione privata, 1983) dove due figure speculari di giovani laureati sono intenti a dipingersi a vicenda. Gli sviluppi tecnologici e scientifici della società contemporanea sono stati molti e in particolare nel campo della medicina e dell’ingegneria genetica, tanto che si intravvedono possibilità concrete di cura per pazienti affetti da malattie fino a poco tempo fa ritenute incurabili. Tuttavia si manifestano anche ricerche più discutibili come quelle che hanno portato alla clonazione animale e alla nascita della pecora Dolly, di cui fu data comunicazione il 14 febbraio 1997. La recente mappatura del genoma umano apre interessanti prospettive e al tempo stesso inquietanti interro- gativi sulla possibilità della clonazione umana, della quale non siamo in grado di valutare con precisione vantaggi e svantaggi, e che ha acceso nuove polemiche tra laici e cattolici. Viene da chiedersi infatti, al di là delle proprie convinzioni, quanti sarebbero felici di vedersi “riprodotti in serie” come un bell’oggetto di design, ma a quel punto privo della unicità che contraddistingue nel bene e nel male ogni essere umano. Nelle fotografie di Vegas mi pare che questi interrogativi vengano posti in essere, seppur con un linguaggio colorato, divertente e lieve, ed un atteggiamento distaccato da parte dell’autore, il quale non pare trovare una risposta definitiva a questi che sono in fondo i quesiti del nostro futuro. Simone Riccardi 25 Biografia Paolo Vegas, diplomato all’Istituto Europeo di Design nel 1992, inizia la sua attività di fotografo a Milano dove collabora dal 1993 con diversi fotografi e agenzie pubblicitarie. Nel novembre del 1997 a Milano presenta i suoi lavori in una mostra intitolata People and Things. Nel dicembre ‘97 prende parte ad una iniziativa di beneficenza, collaborando ad una realizzazione fotografica per Emergency. Ha collaborato come assistente per fotografi internazionali come Giac Casale, Joe Oppedisano, Giovanni Gastel alla realizzazione di campagne pubblicitarie per Barbour (con Piero Chiambretti, in Scozia nel ‘96), Peugeot ‘98, Algida ‘99, Pagine Gialle, Richard Ginori, Irge e al calendario Same. In questi anni continua a collaborare con diverse aziende quali Bosch, Sep, Filatura di Crosa, Diva Cravatte, Ritmonio, Inab Dekonab, Maio Group, NextEvent e altri. Il percorso personale di Paolo Vegas come artista è stato fortemente influenzato da questo periodo. Nel mondo della pubblicità ciò che viene ritratto è un’emozione costruita ad hoc affinché essa venga trasmessa al fruitore. Nel 2010 nasce il “Progetto clonazioni”, ove nella stessa immagine il medesimo soggetto è ritratto almeno due volte 26 creando dei veri e propri cloni. In questi esempi Vegas ha effettuato più scatti della medesima ripresa mantenendo invariate le distanze focali per ottenere un’uniforme profondità di campo; la macchina ferma, posizionata al centro e semplicemente ruotata a seconda della inquadratura che doveva essere fotografata. Ogni inquadratura, ogni ripresa andava a costituire un frammento dell’immagine finale. Ha partecipato a diverse mostre tra le quali, 2009 “Look and touch”, mostra nonsolofotografica presso “Il cantinone”, Palazzo della Provincia di Biella, 2009 collettiva “Babel” forme e linguaggi del contemporaneo, alla Torre della Filanda di Rivoli, 2010 Settimana della Fotografia di Rivanazzano Terme, 2010 “PEOPLE AND THINGS” noi biellesi, 2010 “Don’t be Yourself” Artisti Mangiati con gli Occhi (A.M.O) Milano, 2011 “Cavour e Mazzini: due protagonisti del Risorgimento rivisti da artisti contemporanei” Museo del Territorio Biellese, 2011 54ª Biennale Internazionale di Venezia COSA NOSTRA SACRO SANTO NOSTRA COSA Padiglione Italia – Museo della Mafia, Arsenale – Tesa delle Vergini, Direttore – Vittorio Sgarbi, 2011 Museo della Mafia, città di Salemi, Fondazione Sgarbi. Cloning on the terrace cm. 100x100 collage su stampa lambda montata su leger 40mm. pezzo unico 1/1 2011 - archiviato 28 Cloning dance cm. 80x120 collage su stampa lambda montata su leger 40mm. pezzo unico 1/1 - 2011 - archiviato What’ s for dinner cm. 100x150 collage su stampa lambda montata su leger 40mm.pezzo unico 1/1 - 2008 - archiviato 29 30 La dolce vita e il guardone cm. 100x150 collage su stampa lambda montata su leger 40mm. pezzo unico 1/1 - 2008 - archiviato Cloning Lolita cm. 80x120 collage su stampa lambda montata su leger 40mm. pezzo unico 1/1 - 2011 - archiviato 31 Gold woman cm. 150x100 collage su stampa lambda montata su leger 40mm. pezzo unico 1/1 2008 - archiviato 34 Cloning maind cm. 85x155 collage su stampa lambda montata su leger 40mm. pezzo unico 1/1 - 2011 - archiviato Cloning shopwindow cm. 80x120 collage su stampa lambda montata su leger 40mm. pezzo unico 1/1 - 2011 - archiviato 35 Finito di stampare nel mese di settembre 2011 presso la Tipografia Il Bandino srl - Bagno a Ripoli (FI)