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Sistemi aperti - Siti personali

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Sistemi aperti - Siti personali
Appunti di FISICA TECNICA
Capitolo 4 - Sistemi aperti
Premessa: ipotesi dell’equilibrio locale ......................................................1
Studio termodinamico dei sistemi aperti nell’ipotesi di moto unidimensionale 2
Equazione di continuità ............................................................................2
Primo principio della termodinamica per sistemi aperti ...............................4
Secondo principio della termodinamica per sistemi aperti ...........................8
Equazione dell’energia meccanica ...........................................................10
Laminazione ..........................................................................................13
Effetto Joule-Thomson ...........................................................................14
Regimi di moto di fluidi in condotti.........................................................16
Numero di Reynolds..........................................................................17
Calcolo delle perdite di carico nel moto di fluidi in condotti .....................19
Perdite di carico distribuite ..............................................................19
Determinazione del coefficiente λ: abaco di Moody ......................20
Perdite di carico concentrate ............................................................22
Esempi numerici.....................................................................................22
P REMESSA: IPOTESI DELL’EQUILIBRIO LOCALE
Fino ad ora ci siamo occupati dello studio dei sistemi chiusi, ossia quei sistemi che possono
scambiare, con il proprio ambiente, solo energia e non materia. Vogliamo invece passare allo studio
dei sistemi aperti, i cui confini sono permeabili, almeno parzialmente, anche alla materia.
La prima osservazione da fare è che nei sistemi aperti, il fluido non si trova
mai in condizioni di equilibrio termodinamico1, in quanto, in tali
sistemi, si hanno necessariamente dei gradienti di pressione
(indispensabili per far muovere il fluido stesso) e spesso anche
gradienti di temperatura, di concentrazione e così via.
Se mancano le condizioni di equilibrio termodinamico, sappiamo che, almeno teoricamente, non è
possibile definire alcuna proprietà interna per tali sistemi2. In realtà, questo ostacolo si supera
facilmente con la cosiddetta ipotesi dello stato locale (o anche ipotesi dell’equilibrio
locale): tale ipotesi consente di assumere, come proprietà termostatiche in un
punto, quelle che si avrebbero se, nell’intorno di tale punto, il
sistema fosse uniforme. In tal modo, per ogni punto si assumono valide le stesse equazioni
di stato esaminate nei capitoli precedenti a proposito dei sistemi in equilibrio termodinamico.
L’esperienza dimostra che l’ipotesi dell’equilibrio locale porta a risultati spesso in ottimo accordo
con i dati sperimentali: di conseguenza, essa è normalmente utilizzata e consente quindi di parlare di
1
Ricordiamo la definizione data a suo tempo: un sistema chiuso è in equilibrio termodinamico se le sue condizioni permangono
indefinitamente invariate qualora non si abbiano variazioni nelle condizioni dell’ambiente. Abbiamo anche visto che
l’equilibrio termodinamico presuppone l’esistenza, contemporanea, dell’equilibrio meccanico, chimico e termico.
2
Abbiamo infatti detto, a suo tempo, che proprietà interne (o termostatiche) come la massa, il volume, la temperatura, la
pressione, la viscosità e così via sono caratteristiche della materia in un sistema chiuso in equilibrio termodinamico
Appunti di “Fisica Tecnica - Capitolo 4
proprietà interne anche per i sistemi aperti, per i quali valgono anche tutte le relazioni tra le
proprietà interne esaminate per i sistemi chiusi (vale a dire equazioni di stato, relazioni tra calori
specifici, equazioni di Gibbs e così via).
Studio termodinamico dei sistemi aperti nell’ipotesi di moto unidimensionale
Lo studio termodinamico dei sistemi aperti si basa, oltre che sull’ipotesi dell’equilibrio locale, su
altre relazioni:
• equazione della continuità (bilancio di materia);
• primo principio della termodinamica (bilancio di energia);
• secondo principio della termodinamica (bilancio di entropia);
• equazione dell’energia meccanica (bilancio di forze o bilancio di quantità di moto o bilancio
di energia meccanica).
Queste relazioni, che tra un attimo saranno approfondite, andrebbero a rigore formulate nel caso
più generale di moto tridimensionale. Tuttavia, nei problemi di cui ci occupiamo, è spesso sufficiente
considerare, in prima approssimazione, il moto come unidimensionale: il moto si definisce
unidimensionale quando le proprietà del fluido sono uniformi in
ciascuna sezione normale alla direzione del moto e quindi variano
solo lungo la direzione del moto stesso.
Per concludere con questa introduzione, sottolineiamo che la quasi totalità dei sistemi di interesse
ingegneristico sono sistemi aperti.
E QUAZIONE DI CONTINUITÀ
Cominciamo l’analisi delle equazioni principali, elencate nei paragrafi precedenti, su cui si basa lo
studio termodinamico dei sistemi aperti.
Consideriamo perciò il sistema aperto della figura seguente:
1
2
Il sistema presenta, per semplicità, una sola sezione di ingresso (1) ed una sola sezione di uscita
(2).
Il bilancio di materia relativo al volume di controllo compreso tra le sezioni 1 e 2 e al generico
intervallo di tempo dθ, si può effettuare nel modo seguente:
Autore: Sandro Petrizzelli
2
Sistemi aperti
massa (o peso)
massa (o peso)
massa (o peso)
entrante
=
uscente
+
accumulata
nell'intervallo dθ nell'intervallo dθ nell'intervallo dθ
14442444
3 14442444
3 14442444
3
dm1
dm 2
dm V .C .
dove, ovviamente, con dmV.C . abbiamo indicato la massa o il peso del volume di controllo, che in
termini finiti è valutabile con la formula
m V .C. =
1
dV
v
V .C.
∫
Abbiamo dunque che
dm1 = dm 2 + dm V.C.
Se, adesso, dividiamo per dθ sia il primo sia il secondo membro di questa equazione, abbiamo che
dm 1 dm 2 dm V.C .
=
+
dθ
dθ
dθ
dm 1
dm 2
e
sono due portate massiche (quantità di massa che fluisce nell’unità di
dθ
dθ
tempo): in particolare, esse rappresentano, rispettivamente, la portata massica attraverso la sezione
di ingresso e la portata massica attraverso la sezione di uscita del sistema (ossia la quantità di massa
che attraversa, rispettivamente, la sezione di ingresso e quella di uscita nell’intervallo dθ): indicando
& 1 ed m
& 2 , abbiamo dunque che
tali portate, rispettivamente, con m
Le quantità
&1 =m
&2+
m
dm V.C.
dθ
Ovviamente, nel caso ci sia più di una sezione di ingresso e più di una sezione di uscita, la
relazione appena ottenuta può essere immediatamente generalizzata:
∑ m&
i
IN
=
∑ m&
j
+
OUT
dm V.C.
dθ
Questa è dunque l’ equazione di continuità per un sistema aperto avente un numero generico
di sezioni di ingresso e di uscita.
Un caso particolare si ha quando sussistono condizioni di regime stazionario (detto anche
regime permanente): in questo caso, tutte le proprietà del sistema sono costanti nel tempo, per cui
è nullo l’accumulo di massa all’interno del sistema e quindi l’equazione di continuità si riduce a
& TOT, IN = ∑ m
&i =
m
IN
∑ m&
j
& TOT ,OUT
=m
OUT
Se consideriamo il caso di una sola sezione di ingresso ed una sola sezione di uscita, otteniamo
&1 =m
& 2 e questa relazione, data l’arbitrarietà della scelta delle due sezioni,
evidentemente m
3
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Fisica Tecnica - Capitolo 4
rappresenta un concetto fondamentale: in un sistema aperto in regime
stazionario, la portata massica (o ponderale) ha lo stesso valore
qualunque sia la sezione che si considera. Vediamo qualche dettaglio in più a
questo proposito.
Tra le ipotesi fondamentali sotto cui analizziamo i sistemi aperti c’è quella di moto unidimensionale
del fluido: allora, scelta una generica sezione perpendicolare alla direzione del moto e di area A,
possiamo scrivere, per tale sezione, che
& =
m
Aw
v
dove w e v sono, rispettivamente, la velocità ed il volume specifico del fluido nella sezione
considerata.
& = Aw rappresenta la cosiddetta portata volumetrica, per cui la portata massica si
Il prodotto V
&
V
& = .
può anche scrivere nella forma m
v
Adesso, supponiamo di essere in regime stazionario, per cui, come dimostrato prima, la quantità
Aw
& =
m
è costante qualche che sia la sezione considerata. E’ evidente che la costanza della portata
v
massica non comporta, necessariamente, né la costanza della portata volumetrica né la costanza della
& è costante, può non esserlo il volume specifico. Possiamo perciò
velocità: infatti, anche se m
affermare due cose:
• in primo luogo, in regime stazionario, la costanza della portata
volumetrica richiede la costanza del volume specifico, il che si
verifica per le sostanze a comportamento incomprimibile;
• in secondo luogo, se volessimo anche la costanza della velocità, è ovvio che ci vorrebbe, oltre
alla costanza del volume specifico, anche la costanza dell’area A della sezione: abbiamo
cioè costanza della velocità solo nei sistemi a sezione costante
attraversati da fluido a comportamento incomprimibile.
P RIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA PER SISTEMI APERTI
Per i sistemi aperti, essendo possibile uno scambio di materia tra il sistema e l’ambiente, il
primo principio della termodinamica, che rappresenta un bilancio di
energia, deve necessariamente comprendere anche i termini relativi
al flusso di massa. Il discorso da fare non è molto diverso da quello fatto poco fa per il
bilancio di massa, nel senso che dobbiamo considerare l’energia che entra nel sistema, quella che esce
e quella che vi si accumula.
Consideriamo allora nuovamente il sistema aperto del paragrafo precedente e, in particolare,
concentriamoci sulla generica sezione di ingresso/uscita:
Autore: Sandro Petrizzelli
4
Sistemi aperti
1
2
& θ
Vogliamo calcolare l’energia connessa ad un generico elementino di fluido di massa dm = md
che, nell’intervallo di tempo dθ, entra nel sistema o esce dal sistema. Questo elemento di fluido
possiede energia legata a vari fattori:
• in primo luogo, possiede una energia interna dipendente dal suo stato termodinamico:
& θ;
nell’ipotesi di moto unidimensionale, tale energia è valutabile come de INT = umd
• in secondo luogo, possiede una energia potenziale dovuta all’esistenza del campo
gravitazionale: se indichiamo con z la quota del baricentro della sezione attraversata, misurata
rispetto ad una superficie equipotenziale di riferimento, possiamo valutare tale contributo come
& θ , dove g è chiaramente l’accelerazione di gravità;
de POT = zgmd
• abbiamo anche una energia cinetica dovuta alla sua velocità: sempre nell’ipotesi di moto
w2
& θ;
unidimensionale, possiamo valutare questo contributo come de CIN =
md
2
• infine, c’è anche una energia di pulsione (o anche energia di pressione), ossia energia
dovuta al lavoro compiuto dal fluido che segue l’elemento di fluido considerato, per spostarlo di
un tratto infinitesimo dx tale che dx = wdθ : indicata ancora una volta con A l’area della
sezione attraversata dall’elemento di fluido, questa energia è espressa dalla relazione
& θ = pvmd
& θ
de P = δL P = Fdx = ( pA )( wdθ) = pAwdθ = pVd
Premesso questo, vediamo di effettuare un bilancio di energia, sul volume di controllo, riferito
all’intervallo di tempo dθ:
• in primo luogo, dato il sistema aperto caratterizzato da una sola sezione di ingresso ed una di
& 1dθ
uscita, nell’intervallo di tempo infinitesimo dθ è prevista l’immissione (sezione 1) di m
2
w
chilogrammi di fluido, cui competono le energie specifiche u 1 , gz 1 , 1 , p 1 v 1 , e la fuoriuscita
2
& 2 dθ chilogrammi di fluido, cui competono le energie specifiche
(sezione 2) di m
w 22
u 2 , gz 2 ,
, p2 v2 ;
2
• in secondo luogo, il sistema scambia con l’ambiente una quantità di calore δQ ed una quantità
di energia meccanica δL (che, nei sistemi aperti, rappresenta generalmente lavoro di elica).
5
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Fisica Tecnica - Capitolo 4
Allora, il bilancio di energia fornisce la seguente relazione:




w 12
w 22
&
& 2 dθ + δL + dE V.C .
+
+
+
θ
+
δ
=
+
+
+ p2 v2  m
u
gz
p
v
m
d
Q
u
gz
 1
 2
1
1 1
1
2
2
2




dove, in analogia a quanto visto per l’equazione di continuità, il termine dE V.C . rappresenta l’energia
accumulatasi nell’intervallo dθ: indicata con E V.C . l’energia totale del volume di controllo, essa è
valutabile mediante la relazione

w2  1
E V .C . = ∫  u + gz +
 dV
2 v

V .C.
Se ora dividiamo ambo i membri del bilancio di energia per dθ, otteniamo



w 12
w 22
δQ 
δL dE V.C .
&1+
&2+
+ p1v1  m
=  u 2 + gz 2 +
+ p2 v2  m
+
 u 1 + gz 1 +
2
dθ 
2
dθ
dθ



δL
& = δQ è la
è la potenza meccanica scambiata dal sistema, mentre Q
Il termine L& =
dθ
dθ
potenza termica scambiata: con queste posizioni, il bilancio diventa




w 12
w 22
dE V.C.
&
& 1 + Q =  u 2 + gz 2 +
& 2 + L& +
+ p2 v2  m
+ p1v1  m
 u 1 + gz 1 +
dθ
2
2




Ricordando inoltre che l’entalpia è definita come h=u+pv, possiamo porre h 1 = u 1 + p 1 v 1 e
h 2 = u 2 + p 2 v 2 , in modo da ottenere la formulazione definitiva del primo principio della
termodinamica per sistemi aperti:


w 12 
w 22 
dE
&
 h 1 + gz 1 +
 m
& 1 + Q =  h 2 + gz 2 +
 m
& 2 + L& + V.C.
2 
2 
dθ


Tutti i termini che compaiono in questa equazione rappresentano delle potenze e quindi si
misurano, nel Sistema Internazionale, in W (o in kW).
Osserviamo immediatamente che dall’equazione appena ottenuta è possibile ottenere, come caso
particolare, la formulazione del primo principio per sistemi chiusi: infatti, se il sistema è chiuso,
&1 =m
& 2 = 0 e quindi l’equazione si riduce a
non ci sono flussi di massa, per cui m
& = L& + dE V .C. ;
Q
dθ
moltiplicando
nuovamente
per
dθ,
questa
& θ = Q = Ld
& θ + dE V .C. = L + dE V .C. , così come abbiamo già trovato a suo tempo.
Qd
Autore: Sandro Petrizzelli
6
diventa
Sistemi aperti
Tornando ai sistemi aperti, vediamo che succede nell’ipotesi di regime permanente: in questo caso,
risulta ancora una volta nullo il termine di accumulo dE V.C . e risultano inoltre uguali le portate
massiche di ingresso e di uscita, per cui l’equazione si riduce a

w2
 h 1 + gz1 + 1
2

2

& =  h + gz + w 2
& +Q
m
2
 2
2



& + L&
m

& : con
& vengono chiamati portate entalpiche e indicati con il simbolo H
Talvolta, i prodotti mh
questa posizione, l’equazione appena riportata diventa


w 12 
w 22 
&
&
&
&
& + L&
H 1 +  gz 1 +
 m + Q = H 2 +  gz 2 +
m
2 
2 


Inoltre, spesso si preferisce far riferimento all’equazione che si ottiene, da quest’ultima, dividendo
&:
per la portata massica m
w 12
w 22
h 1 + gz 1 +
+ q = h 2 + gz 2 +
+l
2
2
Questa è dunque una relazione tra energie specifiche, per cui tutti i suoi termini si misurano, nel
Sistema Internazionale, in J/kg (o in kJ/kg).
E’ bene però osservare che, mentre h , gz,
w2
rappresentano energie specifiche del fluido nelle
2
sezioni di ingresso e/o di uscita del sistema, i termini q ed l rappresentano invece il rapporto tra le
energie (termica e meccanica) scambiate3 (tra sistema ed ambiente) e la portata massica di fluido che
attraversa il volume di controllo. Questo vale, ovviamente, solo per sistemi aperti, in regime
permanente, con un unica sezione di ingresso ed un unica sezione di uscita.
Un altro caso particolare è quello in cui il sistema aperto, in regime permanente, presenta una
velocità del fluido uguale all’ingresso ed all’uscita e presenta inoltre baricentri delle sezioni di
ingresso e di uscita alla stessa quota: in questo caso, l’equazione di prima si riduce a
h1 + q = h 2 + l
Se poi il sistema possiede pareti rigide e fisse e non presenta organi in movimento, risulta anche
l = 0 e quindi l’equazione diventa semplicemente ∆h = h 2 − h 1 = q : in base a questa equazione, il
calore scambiato, per unità di massa fluente, è pari alla variazione di entalpia specifica del fluido tra la
sezione di ingresso e la sezione di uscita. La cosa interessante è che quella stessa relazione vale, per i
sistemi chiusi, solo nel caso di trasformazioni a pressione costante, mentre abbiamo appena visto che,
per i sistemi aperti, essa vale qualunque siano le pressioni nelle sezioni di ingresso e di uscita.
Consideriamo ora il caso di un sistema aperto, sempre in regime permanente, ma con scambi di
energia e di massa nulli: l’equazione da usare è
w 12
w 22
h 1 + gz1 +
= h 2 + gz 2 +
2
2
3
Ricordiamo che lo scambio di energia termica avviene, in questo caso, attraverso le superfici del sistema che sono impermeabili
alla materia
7
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Fisica Tecnica - Capitolo 4
Se è anche nulla la variazione di energia potenziale (ossia z1=z2), otteniamo
w2
w 12 w 22
− ∆h =
−
=∆
2
2
2
il che significa che, in un condotto orizzontale energeticamente isolato, in
condizioni di regime permanente, eventuali aumenti di energia
cinetica avvengono a spese dell’entalpia o viceversa.
Infine, osserviamo che, quando sono nulli gli scambi termici, spesso le variazioni di energia cinetica
e di energia potenziale sono trascurabili, per cui l’equazione da usare diventa semplicemente
q = (h 2 − h1 ) + l
Se, adesso, consideriamo un sistema aperto avente più sezioni di ingresso e più sezioni di uscita, il
1° principio della termodinamica va scritto estendendo il bilancio a tutte le portate in ingresso e in
uscita: si ha in tal modo che


w2 
w2 
& = ∑  h + gz +
& + dE V.C.
 m
 m
 h + gz +
&
&
+
+
Q
L
∑
i
j


2 
2 
dθ
IN 
OUT 
i
j
Ovviamente, non avendosi più un’unica portata di fluido, non è più possibile scrivere il primo
principio in termini di energie specifiche.
SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA PER SISTEMI APERTI
Consideriamo sempre il sistema aperto analizzato nei paragrafi precedenti: vogliamo fare un
bilancio di entropia, per tale sistema, per un generico intervallo di tempo dθ. Il discorso da seguire
non è molto diverso da quello seguito per l’energia (primo principio) e per la massa (equazione della
continuità).
Partiamo direttamente dalle ipotesi di moto unidimensionale e di regime stazionario:
& θ , avendo
• in ingresso al sistema, abbiamo una quantità di entropia valutabile come s 1 md
indicato con s1 l’entropia specifica alla sezione di ingresso;
& θ , dove s2 è
• in modo analogo, in uscita dal sistema abbiamo una quantità di entropia s 2 md
l’entropia specifica alla sezione di uscita;
& fl.ter . , all’interno del volume di controllo, a seguito degli
• c’è poi una generazione di entropia S
scambi termici con l’ambiente;
& eff .diss. , sempre nel volume di controllo, a causa
• infine, abbiamo una generazione di entropia S
della presenza di effetti dissipativi.
Il bilancio di entropia risulta allora essere
& dθ + S& fl.ter .dθ + S& eff .diss .dθ = s 2 m
& dθ
s1m
Autore: Sandro Petrizzelli
8
Sistemi aperti
Facciamo osservare che, mentre il termine
S& fl.ter .
(misurato in J/sK) può essere positivo,
& eff .diss.
nullo o negativo a seconda della direzione degli scambi di energia, il termine S
(anch’esso misurato in J/sK) non può che essere positivo o al più nullo nel caso ideale di
assenza degli effetti dissipativi.
Se adesso dividiamo quella equazione per dθ, otteniamo
& + S& fl.ter . + S& eff .diss . = s 2 m
&
s1m
Ponendo
& (portata entropica in ingresso)
S& 1 = s1 m
&
& (portata entropica in uscita)
S 2 = s 2 m
S&
&
&
 V .C. = S fl.ter . + S eff .diss.
quella equazione diventa semplicemente
S& 2 − S& 1 = S& V .C .
e questa è l’espressione del secondo principio della termodinamica per sistemi aperti.
Nel caso considerato di sistema con un’unica sezione di ingresso ed un’unica sezione di uscita ed
& , in modo da ottenere
in regime permanente, possiamo anche dividere per la portata m
s2 − s1 =
S& V .C .
&
m
Inoltre, è possibile dimostrare che, per i sistemi aperti, vale la relazione
S& V .C . + S& AMB ≥ 0
dove S& AMB è la generazione di entropia dell’ambiente. Il significato fisico di quest’ultima relazione è
lo stesso visto per i sistemi chiusi: l’entropia dell’insieme sistema+ambiente non
può
diminuire
e
rimane
costante
solo
nel
caso
ideale
di
reversibilità.
Possiamo anche fare le stesse considerazioni fatte per i sistemi chiusi:
• in primo luogo, S& V.C. può anche essere negativo, ma questo implica, proprio in base a
S& V.C. + S& AMB ≥ 0 , che ad esso dovrà necessariamente corrispondere un S& AMB = 0 positivo e, in
valore assoluto, maggiore;
• in secondo luogo, tipiche cause di S& V.C. + S& AMB > 0 (ossia cause di produzione di entropia)
sono gli effetti dissipativi e gli scambi termici non quasi statici;
9
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Fisica Tecnica - Capitolo 4
• inoltre, nel caso di un sistema aperto adiabatico (cioè S& AMB = 0 ), la presenza degli effetti
dissipativi implica che S& V.C. > 0 , il che si traduce, nel caso di una sezione di ingresso e una
sezione di uscita, in S& − S& = S&
> 0 , ossia S& > S&
2
1
V .C.
2
1
Per concludere, se il sistema considerato ha più sezioni di ingresso e di uscita, il secondo principio
è nella forma
∑ S& − ∑ S&
i
IN
j
= S& V .C .
OUT
E QUAZIONE DELL’ENERGIA MECCANICA
L’ultima equazione da descrivere, ai fini dello studio dei sistemi aperti, è quella che fornisce il
bilancio dell’energia meccanica. Per arrivare a tale equazione, consideriamo lo stesso sistema
considerato nei paragrafi precedenti:
1
2
Facciamo, sin dall’inizio, l’ipotesi di regime permanente: sotto questa ipotesi, abbiamo visto che il
primo principio della termodinamica, scritto in termini di energie specifiche, assume la forma
w 12
w 22
h 1 + gz 1 +
+ q = h 2 + gz 2 +
+l
2
2
Adesso utilizziamo la 2° equazione di Gibbs al fine di legare tra loro le entalpie specifiche degli
dh
dp
stati 1 (ingresso) e 2 (uscita): l’equazione è ds =
− v , ossia anche dh = Tds + vdp , e può essere
T
T
facilmente integrata, in modo da ottenere
2
2
1
1
h 2 − h 1 = ∫ Tds + ∫ vdp
δq
e quindi il primo integrale diventa
T
immediato, visto che rappresenta il calore q scambiato durante il processo:
Se il processo considerato è reversibile, sappiamo che ds =
2
h 2 − h 1 = q + ∫ vdp
1
Autore: Sandro Petrizzelli
10
Sistemi aperti
Sostituendo adesso questa espressione del ∆h nell’equazione del primo principio, otteniamo
2
w2
w2
gz 1 + 1 + q = q + ∫ vdp + gz 2 + 2 + l
2
2
1
che può anche essere riscritta nella forma
2
∫ vdp + g( z
− z1 ) +
2
1
(
)
1 2
w 2 − w 12 = −l
2
Questa equazione potrebbe già rappresentare un bilancio di energia meccanica, ma in realtà va
perfezionata in base al seguente accorgimento: siamo arrivati a questa espressione facendo l’ipotesi
che il processo considerato 1→2 sia reversibile, cosa che può avvenire solo per un ideale fluido non
viscoso; nella realtà, i fluidi presentano sempre una viscosità non
nulla, il che è causa di effetti dissipativi e quindi di irreversibilità del
processo 1→2. Allora, per tener conto di tali effetti dissipativi dovuti alla viscosità del fluido (ossia
per tener conto dell’energia meccanica dissipata per attriti all’interno del fluido e tra il fluido e le
pareti del condotto in cui scorre), è possibile perfezionare l’equazione aggiungendo a primo membro
un termine positivo, che indicheremo con R e che prende il nome di perdita di carico: esso
rappresenta proprio la potenza meccanica dissipata a causa della viscosità del fluido, ovviamente
rapportata alla portata massica di fluido. Così facendo, l’equazione completa diventa
2
∫ vdp + g(z 2 − z1 ) +
1
(
)
1 2
w 2 − w 12 + R = −l
2
Questa equazione è nota come equazione di bilancio di energia meccanica. Essa permette
di ricavare il lavoro di un sistema aperto, a patto a) di conoscere le proprietà del fluido nelle sezioni
di ingresso (1) e di uscita (2) b) di poter integrare il termine vdp c) di poter calcolare la perdita di
carico (della quale ci occuperemo più avanti).
L’equazione di prima viene anche usata per approssimare il comportamento reale di alcuni sistemi,
immaginando che il fluido si sposti da 1 a 2 secondo la politropica che passa per tali due stati
termodinamici. Facciamo allora l’ipotesi generica che la suddetta politropica abbia esponente n≠1 e
proviamo a risolvere l’integrale di vdp: ricordando che, per una politropica, risulta pv n = cos tan te ,
possiamo differenziare in modo da ottenere npv n −1 dv + v n dp = 0 e quindi anche che
− npdv = vdp
Allora, l’integrale da risolvere risulta essere
2
2
1
1
∫ vdp = − n ∫ pdv
11
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Fisica Tecnica - Capitolo 4
L’integrale di pdv, per una politropica, è stato già risolto a suo tempo: infatti, se l’equazione di
una generica politropica è pv n = cos tan te , deve sicuramente risultare
pv n = p 1 v 1n = p 2 v n2
da cui segue che p = p1v1n
1
e quindi, sostituendo nell’espressione dell’integrale, si ottiene
vn
2
v2
1
v1
n
∫ pdv = ∫ p1v1
v
2
1
1
n
=
dv
p
v
1 1 ∫ n dv
n
v
v
v1
Quell’integrale può essere calcolato facilmente, ma è necessario distinguere due casi:
1  v1n −1 
1  1
1 
1  1  2
n



=
− 1
• quando n≠1, si ha che ∫ pdv = p v
=
−
p
v
p
v
1 1
1 1
n − 1  v n2 −1 
n − 1  v n2 −1 v1n −1 
n − 1  v n −1  v1
1
v
2
n
1 1
2
• quando, invece, n=1, si ha che
∫ pdv = p v
1 1
1
ln
v2
v1
Possiamo dunque concludere che
2
n ≠1
→ ∫ vdp = p1 v1
1
n  v1n −1 
1 −

n − 1  v n2 −1 
2
→ ∫ vdp = − p1 v1 ln
n = 1
1
v2
v
= p1 v1 ln 1
v1
v2
Se poi facciamo anche l’ipotesi che il fluido considerato abbia comportamento da gas perfetto,
possiamo porre pv = RT e quindi
2
n ≠1
→ ∫ vdp = RT1
1
v n −1 
n 
 1 − 1n −1 
n −1
v2 
2
n =1
→ ∫ vdp = RT1 ln
1
v1
v2
Torniamo ancora all’equazione di bilancio dell’energia meccanica: se facciamo le ipotesi di perdite
di carico trascurabili (R=0) e di fluido a comportamento incomprimibile (v=cost e l
), essa si
riduce a
(p1 − p 2 )v + g(z 2 − z1 ) + 1 w 22 − w 12 = 0
2
(
)
Questa prende il nome di equazione di Bernoulli ed ha molta importanza nelle applicazioni.
Una osservazione importante si può fare a proposito della perdita di carico R: si nota infatti che
essa compare nell’equazione di bilancio dell’energia meccanica, mentre non compare in quella di
Autore: Sandro Petrizzelli
12
Sistemi aperti
bilancio dell’energia (cioè nel primo principio della termodinamica): il motivo è che R
rappresenta energia meccanica che, nel volume di controllo, si
trasforma in energia interna (a causa degli attriti) e non
rappresenta perciò energia in transito attraverso i confini del
sistema.
Come ultima considerazione, facciamo notare una differenza tra l’equazione di bilancio di energia
meccanica e le equazioni di bilancio dell’energia (primo principio) e di bilancio di massa (equazione di
continuità): per queste due ultime equazioni, in caso di regime permanente, le ipotesi di moto
unidimensionale e di equilibrio termodinamico sono state necessarie solo nelle sezioni di ingresso e di
uscita, mentre non è necessario che siano verificate in tutto il volume di controllo; al contrario, per
l’equazione di bilancio dell’energia meccanica, sia a causa dell’integrale sia a causa del termine R, è
necessario che quelle due ipotesi siano verificate in tutto il volume di controllo. In modo del tutto
analogo, mentre l’equazione di bilancio di energia meccanica richiede la conoscenza del processo che
avviene nel volume di controllo, le altre due equazioni non necessitano di tale informazione.
L AMINAZIONE
Consideriamo un condotto (rigido e isolato) nel quale fluisce
condotto viene praticata una brusca strozzatura,
un setto poroso, si riscontra sperimentalmente
pressione tra la sezione 1 e la sezione 2, dovuta
strozzatura o dall’ostacolo:
sezione 1
un certo fluido. Se nel
oppure si interpone
una diminuzione di
alla resistenza opposta dalla
sezione 2
Il processo mediante il quale si opera la suddetta diminuzione di pressione prende il nome di
laminazione o anche strozzamento.
Se le sezioni 1 e 2 sono sufficientemente lontane dall’ostacolo da poter considerare in esse il moto
unidimensionale e se non vi sono scambi di calore tra le stesse sezioni 1 e 2 (cioè q=0), dato che
risulta anche l = 0, il primo principio assume la forma
w 12
w 22
h 1 + gz 1 +
= h 2 + gz 2 +
2
2
Se poi le sezioni 1 e 2 vengono anche scelte in modo da realizzare, in loro corrispondenza,
l’uguaglianza della velocità del fluido (w1 =w2) ed anche l’uguaglianza delle rispettive quote (z1 =z2 ),
quella relazione si riduce semplicemente a h 1 = h 2 , il che significa che l’entalpia iniziale e quella
finale sono uguali. E’ bene sottolineare che questo non significa che il processo di
laminazione è isoentalpico, per il semplice motivo che non si tratta
di un processo reversibile (visto che il movimento del fluido avviene a causa di un
gradiente di pressione).
13
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Fisica Tecnica - Capitolo 4
Possiamo perciò affermare che la laminazione è un processo irreversibile
caratterizzato da entalpia finale uguale a quella iniziale.
Osserviamo, inoltre, che, nei sistemi reali sedi di processi di laminazione, i termini w 2 2 , gz , q
risultano effettivamente trascurabili rispetto al termine h, per cui l’uguaglianza h 1 = h 2 vale con
buona approssimazione anche nei casi reali.
Il processo di laminazione è un tipico processo irreversibile che, essendo adiabatico, comporta un
aumento di entropia del fluido (in base a quanto visto a proposito del secondo principio). Se tale
fluido è poi un gas ideale, ricordando che per i gas ideali è h=h(T), è evidente che, se ∆h=0, risulta
anche ∆T=0.
Questo suggerisce il modo con cui rappresentare graficamente un processo di laminazione cui è
sottoposto un gas ideale: infatti, possiamo considerare il piano T,s, nel quale rappresentiamo il
generico stato iniziale (1) del gas; per individuare lo stato finale (2) dopo un processo di laminazione,
avremo bisogno semplicemente del nuovo valore di entropia, dato che la temperatura rimane costante;
possiamo allora mandare l’isoterma per T1 e incrociare l’isobara a pressione p2<p1 (la pressione, in un
processo di laminazione, diminuisce). Il punto di intersezione tra le due curve rappresenta lo stato
finale del gas, come indicato nella figura seguente:
La laminazione è un fenomeno della massima importanza in quanto si verifica, in modo più o meno
evidente, tutte le volte che degli ostacoli si interpongono al flusso di un fluido in un condotto. In
alcuni casi, come in corrispondenza di valvole e rubinetti, è un fenomeno generalmente indesiderato;
in altri, invece, esso viene utilizzato proprio per ottenere una riduzione di pressione tra due sezioni
del condotto: tipico è il caso degli impianti frigoriferi che saranno analizzati più avanti.
E FFETTO J OULE-THOMSON
Abbiamo detto prima che un gas a comportamento ideale, che subisce un processo di laminazione,
rimane a temperatura costante (mentre la pressione diminuisce) prima e dopo il processo.
Sperimentalmente si osserva invece che i gas reali, in seguito ad una
laminazione, raggiungono una temperatura finale T2 che può essere
maggiore, minore o uguale della temperatura finale T1 e che la
relazione tra T1 e T2 dipende dallo stato termodinamico iniziale e
dalla pressione finale p2.
Autore: Sandro Petrizzelli
14
Sistemi aperti
Un indice del comportamento della sostanza è dato dal cosiddetto coefficiente di JouleThomson, definito dalla relazione
 ∂T 
µ= 
 ∂p  h = cos t
Questo coefficiente µ può essere determinato, in ogni stato, sul diagramma T,p. Si procede nel
modo seguente: si fissano arbitrariamente i valori T1 e p1 caratteristici dello stato iniziale;
successivamente, si attribuiscono via via valori diversi alla pressione finale p2 e, per ciascuno di essi,
si misura la corrispondente temperatura finale T2; si ottiene, in tal modo, una successione di punti
P2 ( p 2 , T2 ) che, rappresentati sul diagramma e uniti, costituiscono una linea passante per P1 ( p 1 , T1 ) :
dato che il processo di laminazione implica che h 1 = h 2 , tale linea costituisce l’isoentalpica passante
per il punto 1.
T
1
p
Successivamente, si varia il punto P1 (e quindi anche h1) e si individua, con lo stesso procedimento,
l’isoentalpica passante per tale punto. Iterando il procedimento, si individua, nel piano T,p, una
famiglia di curve ad entalpia costante: fissato un qualsiasi stato e individuato il corrispondente punto
del piano T,p, l’inclinazione della linea isoentalpica passante per tale punto misura proprio il
coefficiente di Joule-Thomson in quello stato.
Per le sostanze di maggiore interesse, il diagramma appena descritto è disponibile in manuali
specialistici ed ha l’aspetto di quello riportato nella figura seguente:
15
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Fisica Tecnica - Capitolo 4
Si osserva, nel diagramma, che, a partire da un certo valore di entalpia, le isoentalpiche presentano
un punto di massimo (tale cioè che µ=0). La temperatura di questo punto di massimo prende il nome
di temperatura di inversione e la curva che collega i punti di massimo delle varie isoentalpiche
 ∂T 
, a
prende il nome di curva di inversione: il motivo è che, chiaramente, essendo µ =  
 ∂p  h = cos t
sinistra di essa risulta µ>0, mentre a destra risulta µ<0.
Se,
allora,
avviene
un
processo
di
laminazione,
c’è
una
diminuzione di pressione, cui consegue un aumento o una diminuzione
di temperatura a seconda che ci si trovi nella zona a µ>0 oppure in
quella a µ<0.
Ci sono poi particolari linee isoentalpiche che non intercettano la curva di inversione: in questo
caso, la laminazione non comporta mai un raffreddamento.
Naturalmente, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, se il fluido che subisce la laminazione
(si parla di fluido laminato) ha comportamento da gas perfetto, risulta µ=0 (in quanto, se ∆h=0,
risulta anche ∆T=0) e quindi le isoentalpiche, nel piano T,p, sono delle linee orizzontali.
REGIMI DI MOTO DI FLUIDI IN CONDOTTI
Il moto di un fluido si può svolgere secondo due diverse modalità, dette rispettivamente regime
laminare e regime turbolento.
Il moto si dice in regime laminare quando le particelle del fluido
seguono traiettorie ben definite, costituenti linee regolari,
immobili e parallele rispetto alle pareti del condotto. In un moto di
questo tipo, quindi, non ci sono componenti della velocità normali all’asse del condotto.
Quando un fluido si deforma a causa del moto o dell’applicazione di forze esterne, si manifestano
degli effetti di attrito causati dal moto relativo di ciascuna molecola rispetto alle altre. Tali effetti
sono presenti in tutti i fluidi reali e sono dovuti alla viscosità, che tiene appunto conto della
resistenza delle particelle di fluido a scorrere le une rispetto alle altre.
Consideriamo dunque un sottile strato di fluido compreso tra due superfici parallele, di area A,
poste a distanza dy una dall’altra:
r
F
superficie mobile
dw
dy
superficie fissa
r
Una forza costante F viene applicata parallelamente ad una delle
r superfici (quella mobile) e dà
luogo ad un moto uniforme di tale superficie nello stesso rverso di F e con velocità dw rispetto alla
superficie fissa. In condizioni di regime, la forza esterna F è bilanciata da una uguale forza interna
Autore: Sandro Petrizzelli
16
Sistemi aperti
r
dovuta alla viscosità del fluido: l’intensità di questa forza tangenziale τ , per unità di area, risulta
dw
secondo un coefficiente µ detto viscosità dinamica del fluido:
proporzionale al termine
dy
r F
dw
τ = =µ
A
dy
Concludiamo dicendo dunque che il moto laminare di un fluido a viscosità
non nulla è caratterizzato dallo scorrere del fluido stesso lungo
vene fluide ciascuna dotata di una velocità diversa da quella ad
essa adiacente.
Se il moto del fluido avviene, anziché secondo filetti regolari e
paralleli, seguendo traiettorie irregolari, casualmente variabili
nel tempo, si parla di moto in regime turbolento: in questo caso, le particelle di
fluido sono dotate di movimenti irregolari che si sovrappongono alla direzione principale del moto;
esse assumono velocità istantanee con componenti sia parallele sia perpendicolari all’asse del
condotto.
E’ abbastanza intuitivo comprendere, in base a quanto detto, come in un moto a regime turbolento,
non sia possibile realizzare le condizioni di moto permanente. Tuttavia, estendendo l’osservazione ad
un intervallo di tempo sufficientemente esteso, si può constatare che, mentre le componenti
perpendicolari all’asse del condotto hanno un valore medio nullo, la componente lungo l’asse ha un
valore medio non nullo, il che garantisce che il fluido si muova nella direzione voluta. Allora, se
questo valore medio risulta costante nel tempo e, inoltre, se risulta costante nel tempo anche il valore
medio di ogni grandezza interna, si può parlare di moto in regime mediamente permanente.
Si potrà, quindi, parlare propriamente di moto in regime permanente
solo se il moto è laminare e risultano costanti nel tempo sia la
velocità sia tutte le proprietà interne.
Osserviamo che, in generale, tutte le volte in cui, nel moto turbolento mediamente permanente, si
parla di proprietà del fluido in un punto, ci si riferisce al valor medio, nel tempo, di quella proprietà
in quel punto,
Numero di Reynolds
Dato un fluido in regime turbolento, se ci sono dei vortici significa che c’è trasporto di quantità di
moto, di massa, oltre che eventualmente di calore, che si sovrappongono al trasporto che si svolge su
scala molecolare (detto trasporto diffusivo).
Gli sforzi tangenziali del fluido, dovuti alla viscosità, tendono a stabilizzare il moto laminare,
mentre si oppongono a tali sforzi le forze di inerzia, legate alla densità ed alla velocità del fluido.
Sono dunque queste forze a determinare l’esistenza del regime laminare o di quello turbolento nel
moto del fluido: avremo regime laminare se prevalgono le forze viscose,
mentre avremo regime turbolento se prevalgono le forze di inerzia4.
E’ stato anche verificato sperimentalmente che l’instaurarsi, in una sezione di un condotto percorso
da un fluido, di uno dei due regimi di moto dipende dai valori assunti, nella sezione considerata, dai
seguenti parametri:
4
Di questo aspetto ci si occuperà con maggiore dettaglio nel capitolo sulla trasmissione del calore per convezione, in cui si danno
dei cenni abbastanza significativi di fluidodinamica
17
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Fisica Tecnica - Capitolo 4
• velocità media w;
• densità media ρ;
• viscosità media µ;
• diametro equivalente del condotto: questo parametro tiene conto del condotto entro il quale
4A
scorre il fluido ed è definito come D EQ =
, dove A è l’area della sezione e P il cosiddetto
P
perimetro bagnato (che nei tubi circolari completamente riempiti coincide con il diametro
reale).
I dati sperimentali hanno evidenziato, in particolare, che il regime di moto che si determina nella
sezione, funzione dei 4 parametri prima elencati, dipende dalla seguente particolare combinazione dei
4 parametri:
N Re =
wD EQ ρ
µ
Questo insieme N Re di grandezze risulta adimensionale e prende il nome di numero di
Reynolds: nel moto in condotti, quando N Re < 2300 si ha moto laminare,
mentre, quando N Re > 2300, il moto risulta generalmente turbolento.
E’ bene osservare che il valore critico 2300, assunto come transizione tra i due regimi di moto,
rappresenta in effetti una media tra numerosissimi dati sperimentali: nella pratica è difficile stabilire a
priori che regime di moto si instauri nel caso in cui N Re risulti compreso tra 2000 e 4000. Bisogna, in
questi casi, valutare altri fattori. Si ha la certezza di moto laminare per
N Re < 2000 e la certezza di moto turbolento per N Re > 4000. Si deduce, da qui,
che il moto laminare è molto difficile da realizzare nella pratica, in quanto per ottenere N Re < 2000 , è
necessario realizzare basse portate e alta viscosità.
A proposito del numero di Reynolds e della sua funzione, è bene osservare una cosa: abbiamo
detto prima che i dati sperimentali mostrano che l’instaurarsi di uno tra il regime laminare e
quello turbolento dipende dai valori assunti, nella sezione considerata, da velocità media, densità
media, viscosità media e diametro equivalente. Ciò significa, a rigore, che dovremmo considerare
il valore di tutti e 4 questi parametri e quindi che ci interessiamo a tutte le grandezze che li
definiscono, vale a dire la lunghezza, la massa ed il tempo. Allora, per semplificare il problema ed
arrivare al numero di Reynolds, noi sfruttiamo un particolare teorema in base al quale è
possibile affrontare il problema in esame, anziché usando i parametri
fisici, utilizzando degli opportuni parametri adimensionali, quale è appunto
il numero di Reynolds. In particolare, il teorema afferma che il numero di parametri adimensionali
necessari è pari al numero di parametri fisici (nel nostro caso sono i 4 elencati prima) diminuito
del numero di grandezze utilizzate per esprimere tali parametri (nel nostro caso 3, ossia appunto
lunghezza, massa e tempo). Ecco perché possiamo utilizzare solo il numero di Reynolds per trarre
conclusioni sul regime di moto.
Concludiamo il paragrafo osservando che le equazioni presentate in questo capitolo sono state
ricavate nell’ipotesi di moto unidimensionale. Questa ipotesi non è mai verificata rigorosamente, ma,
mentre risulta accettabile nel caso del moto turbolento, diventa molto meno accettabile nel caso di
moto laminare, dove l’andamento delle proprietà è variabile con continuità dalle pareti all’asse del
condotto (risentendosi, in tutta la sezione, l’effetto delle pareti).
18
Autore: Sandro Petrizzelli
Sistemi aperti
CALCOLO DELLE PERDITE DI CARICO NEL MOTO DI FLUIDI IN
CONDOTTI
Ritorniamo adesso all’equazione di bilancio dell’energia meccanica introdotta in
precedenza:
2
1 2
2
∫1 vdp + g( z 2 − z1 ) + 2 w 2 − w 1 + R = −l
(
)
Abbiamo detto, a suo tempo, che il termine positivo R (detto perdita di carico) rappresenta la
potenza meccanica, rapportata alla portata massica di fluido, dissipata a causa della viscosità del
fluido. Vogliamo allora vedere come si può calcolare il valore di R.
Consideriamo il caso di moto in condotti: questi sono generalmente costituiti da tronchi di sezione
costante ad asse rettilineo, tra i quali sono inseriti brevi tratti nei quali la vena fluida subisce
variazioni brusche di sezione o di direzione per la presenza di valvole, raccordi, gomiti, diramazioni,
ecc. Possiamo allora distinguere di tipi di perdite di carico:
• sono perdite di carico continue o distribuite quelle che si determinano nei tratti a sezione
costante e ad asse rettilineo;
• sono perdite di carico localizzate o accidentali quelle che si verificano nei tratti in cui ci
sono variazioni brusche di sezione o di direzione.
Perdite di carico distribuite
Le perdite di carico distribuite possono essere calcolate mediante le seguenti formule:
Sistema Internazionale

→
R=λ
L w2
D EQ 2
Sistema Tecnico

→
R=λ
L w2
D EQ 2g
dove L rappresenta la lunghezza del tronco di condotto in esame, D EQ il suo diametro equivalente e λ
un coefficiente adimensionale detto coefficiente di attrito. Questo coefficiente
risulta essere funzione della viscosità, della densità e della
velocità del fluido oltre che delle caratteristiche geometriche del
condotto e dello stato superficiale delle superfici interne del
condotto stesso. E’ possibile esprimere questa dipendenza in funzione di due soli parametri
adimensionali, che sono il numero di Reynolds N Re precedentemente introdotto e la scabrezza
ε
, ossia come rapporto tra la dimensione media delle asperità
relativa della parete, definita come
D
della parete, ε, ed il diametro del condotto, D.
La scabrezza relativa tiene conto delle asperità del materiale, per cui è caratteristica del materiale e
della sua finitura.
Nella tabella seguente sono riportati alcuni valori tipici di ε da utilizzare per il calcolo della
scabrezza relativa ε/D (e quindi del coefficiente di attrito):
19
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Fisica Tecnica - Capitolo 4
Determinazione del coefficiente λ : abaco di Moody
Quando il regime è laminare (cioè N Re < 2000), risulta essere λ =
64
(cioè λ è inversamente
N Re
proporzionale ad N Re ), mentre invece, per il regime turbolento (cioè N Re > 4000 ), ci sono
espressioni diverse (e più complicate) a seconda del valore di N Re e a seconda che si tratti di tubi lisci
oppure di tubi scabri.
ε
Ad ogni modo, la determinazione del coefficiente λ, in funzione di N Re e di
, viene
D
generalmente effettuata mediante un apposito diagramma che prende il nome di abaco di Moody,
ε
nel quale sono riportati N Re in ascissa,
sulle ordinate a destra e λ su quelle di sinistra:
D
Autore: Sandro Petrizzelli
20
Sistemi aperti
Ricordiamo che l’abaco di Moody usa scale logaritmiche su tutti e 3 gli assi.
Dall’esame dell’abaco di Moody si osserva una interessante proprietà del coefficiente λ: λ risulta
infatti inversamente proporzionale a N Re alla prima potenza nel regime laminare e ad una potenza
compresa tra 0.25 e 0.35 in zona di transizione; esso invece non dipende da N Re nella zona di
completa turbolenza.
wD EQ ρ
L w2
In base alla relazione R = λ
, e ricordando anche che N Re =
, ci accorgiamo che le
D EQ 2
µ
perdite di carico R risultano proporzionali a w (velocità media del fluido) nel regime laminare, dove
64
1.65÷1.75
abbiamo detto che λ =
, a w2 nel regime completamente turbolento ed a w
nella zona di
N Re
transizione.
L w2
L’ultima considerazione da fare è la seguente: la relazione R = λ
vale per tratti di
D EQ 2
condotti nei quali la velocità del fluido e il coefficiente λ sono costanti; in particolare, la costanza di λ
ε
richiede la costanza di N Re e di
. Allora, se non ci si dovesse trovare in tali condizioni, basta
D
utilizzare le nuove relazioni
1 w2
Sistema Internazionale 
→ R = ∫ λ
dL
D EQ 2
L
Sistema Tecnico

→
R=∫λ
L
21
1 w2
dL
D EQ 2g
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Fisica Tecnica - Capitolo 4
Perdite di carico concentrate
Le perdite di carico concentrate possono essere calcolate mediante formule analoghe a quelle viste
per le perdite distribuite:
Sistema Internazionale

→
Sistema Tecnico

→
w2
2
w2
R' = ξ
2g
R' = ξ
dove ξ è un coefficiente adimensionale funzione delle caratteristiche geometriche della particolare
discontinuità ed anche del numero di Reynolds N Re . Spesso, però, nelle applicazioni tecniche, per il
calcolo di R’ si considera il moto come completamente turbolento e, in questa ipotesi, ξ risulta
indipendente da N Re .
Inoltre, nei calcoli si preferisce spesso considerare la perdita di carico connessa a ciascuna
resistenza localizzata come se fosse dovuta a perdite di tipo distribuito in una ipotetica maggiore
lunghezza di tubazione. Si definisce allora la cosiddetta lunghezza equivalente ad una certa
discontinuità come la lunghezza di tubazione, del tipo di quella in cui la discontinuità stessa è inserita,
che dia luogo alla stessa perdita di carico: in altre parole, in base alle formule precedentemente
analizzate, la LEQ è definita imponendo che
Sistema Internazionale
Sistema Tecnico
da cui si ricava che L EQ = ξ
L EQ w 2
w2
=ξ
= R'
D EQ 2
2

→
R=λ

→
L EQ w 2
w2
R=λ
=ξ
= R'
D EQ 2g
2g
D
.
λ
E SEMPI NUMERICI
Attraverso un recipiente fornito di agitatore fluiscono 1000 kg/h di fluido; in condizioni di
regime permanente, nella sezione di ingresso, posta a 30 cm dal piano di riferimento,
l’entalpia del fluido è di 32 kcal/kg e la velocità è di 3.8 m/s. Nel recipiente, il fluido viene
riscaldato con una potenza termica di 180 kcal/min; nella sezione di uscita, posta a 2.5 m
dal piano di riferimento, l’entalpia è di 50 kcal/kg e la velocità è di 2.4 m/s. Determinare la
potenza meccanica somministrata al fluido.
Per risolvere questo esercizio dobbiamo effettuare un bilancio energetico per il fluido in esame, il
che significa che dobbiamo applicare il primo principio della termodinamica, ovviamente per sistemi
aperti. Abbiamo allora visto che l’espressione più generale di tale principio è la seguente:
Autore: Sandro Petrizzelli
22
Sistemi aperti
2

w2 
& =  h + gz + w 2  m
& + dE V.C.
&1 +Q
&
 h 1 + gz 1 + 1  m
+
L
2
2
2

2 
2 
dθ


La prima semplificazione che possiamo fare deriva dall’ipotesi di regime permanente, cioè
dall’ipotesi che tutte le proprietà del sistema siano costanti nel tempo. Questa ipotesi, come abbiamo
visto prima, comporta due conseguenze fondamentali:
• la prima deriva dall’equazione di continuità e ci dice che la portata massica è costante per tutte
&1 =m
& 2 =m
& ;
le sezioni di ingresso e di uscita: quindi m
• la seconda è, invece, che
dE V.C.
= 0 , dove dE V.C. rappresenta l’energia che si accumula nel
dθ
volume di controllo.
Sotto queste condizioni, la relazione da applicare si semplifica: usando le
2

w2 
& =  h + gz + w 2 m
&
 h 1 + gz 1 + 1  m
& +Q
2
& +L
 2
2
2




E’ bene però precisare che questa relazione vale solo se si usano le unità di misura del Sistema
Internazionale. Al contrario, la traccia ci fornisce i valori numerici espressi secondo il Sistema
Tecnico: in questo sistema di misura, il primo principio della termodinamica è leggermente diverso e,
precisamente, ha espressione
2

w2 
& =  h + z + w 2  m
& +Q
& + L&
 h 1 + z 1 + 1 m
2
 2
2g 
2g 


Tutti i termini di questa relazione sono ancora delle potenze, per cui si misurano in kcal/s oppure
anche in kpm/s.
In questa relazione, l’unica incognita è la potenza meccanica scambiata dal fluido, che quindi può
essere calcolata:
2

w2 
& −  h + z + w 2 m
& +Q
L& =  h1 + z1 + 1 m
 2 2 2g  & =
2g 



2
2


2 m 
2 m


(
(
3.8) 2 
2.4) 2
kcal
1
s  ⋅1000kp + 180 kcal −  50 kcal + 2.5m + 1
s
=  32
+ 0.3m +
 kp


m
m
2
h
min
kp
2
9.8 2 
9.8 2


s 
s




 ⋅1000kp =

h



 1000 kp 180 kcal 
 1000 kp
kpm
kpm
=  32 ⋅ 4.27 ⋅102
+ 0.3m + 0.74m ⋅
+
−  50 ⋅ 4.27 ⋅102
+ 2.5m + 0.3m ⋅
=
kp
kp

 3600 s 60 s 
 3600 s
kpm
10 kp
10 kp
= (1366m + 0.3m + 0.74m) ⋅
+ 3 ⋅ 4.27 ⋅102
− (21350m + 2.5m + 0.3m) ⋅
=
36 s
36 s
s
kpm
kpm
kpm
kpm
≅ 379
+ 1281
− 5930
= −4270
s
s
s
s
Essendo di segno negativo, questo lavoro è stato somministrato al fluido in esame.
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Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Fisica Tecnica - Capitolo 4
Osserviamo che, nei calcoli appena svolti, è stata molto importante l’analisi dimensionale delle
singole grandezze, al fine di usare gli opportuni fattori di conversione: in particolare, si è fatto ampio
uso del fattore di conversione 1 kcal = 4.27 * 102 kpm.
Notiamo infine come i termini cinetici e potenziali siano decisamente trascurabili rispetto alle
entropie specifiche in ingresso ed in uscita.
1000 kg/h di O2 entrano in un condotto alla temperatura di 50°C ed alla pressione di 5
bar. Calcolare la potenza termica da somministrare per portare l’ossigeno nelle seguenti
condizioni: 90°C e 3.5 bar.
Successivamente, la portata di O2 subisce una laminazione che porta la pressione al
valore di 1 bar. Calcolare la variazione oraria di entropia.
Per rispondere alla prima domanda, dobbiamo ancora una volta effettuare un bilancio di energia,
ossia applicare il primo principio della termodinamica: facendo sin da ora l’ipotesi di regime
permanente, abbiamo visto nell’esercizio precedente che l’espressione analitica da considerare è
2

w2 
& =  h + gz + w 2 m
& +Q
& + L&
 h 1 + gz1 + 1 m
2
2


2 
2 


Questa espressione può essere ancora semplificata: infatti, se il fluido scorre in un condotto,
sicuramente sono uguali, per qualunque sezione, la quota (z1=z2) e la velocità (w1=w2) ed è inoltre
nullo il lavoro. La relazione si riduce allora semplicemente a
& =m
& =m
& h1 + Q
& h2 
& ∆h 12
m
→ Q
Ricordando adesso che ∆h=cP ∆T, possiamo scrivere che
kg
kJ
kJ
& =m
& c P ∆T = 1000 ⋅ 0.917
Q
⋅ 40K = 36680
h
kgK
h
Passiamo alla seconda domanda: dovendo calcolare la variazione oraria di entropia, dobbiamo
applicare il secondo principio della termodinamica.
Per prima cosa, ricordiamo che il processo di laminazione è un tipico processo irreversibile che,
essendo adiabatico, comporta un aumento di entropia del fluido. L’irreversibilità deriva dalla presenza
degli inevitabili effetti dissipativi.
Nelle solite ipotesi di moto unidimensionale e di regime stazionario, abbiamo visto che il secondo
principio della termodinamica si può scrivere nella forma
& + S& fl.ter . + S& eff .diss . = s 2 m
&
s1m
dove abbiamo fatto le seguenti posizioni:
& θ è l’entropia in ingresso al sistema, dove s1 è l’entropia specifica alla sezione di
• s 1 md
ingresso;
& θ è l’entropia in uscita (s2 è l’entropia specifica alla sezione di uscita);
• in modo analogo, s 2 md
Autore: Sandro Petrizzelli
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Sistemi aperti
& fl.ter . , all’interno del volume di controllo, a seguito degli
• c’è poi una generazione di entropia S
scambi termici con l’ambiente;
& eff .diss. , sempre nel volume di controllo, a causa
• infine, abbiamo una generazione di entropia S
della presenza di effetti dissipativi.
Osservando nuovamente che la laminazione è un processo adiabatico, il bilancio di entropia si
riduce a
& + S& eff .diss . = s 2 m
&
s1m
Da qui deduciamo che la variazione di entropia è
∆s =
S& eff .diss .
&
m
Si tratta dunque di calcolare la generazione di entropia dovuta agli effetti dissipativi.
Anziché procedere in questo modo, ci conviene procedere per via grafica, supponendo che il gas
considerato abbia comportamento da gas perfetto: sotto questa ipotesi, infatti, sappiamo che il
processo di laminazione avviene con variazione nulla di temperatura (dato che è nulla la variazione di
entropia) e quindi è suscettibile di una comoda rappresentazione nel piano T,s:
Note le pressioni iniziali e finali e nota la temperatura iniziale, risulta immediatamente individuato
anche lo stato finale del processo: leggendo i valori di s1 ed s2 direttamente sul diagramma, si
determina ∆s: nel nostro caso, risulta 0.526 kJ/kgK. Moltiplicando questa quantità per la portata
massica, otteniamo la variazione oraria di entropia:
(∆s )oraria
& = 0.526
= ∆s ⋅ m
kJ
kg
kJ
⋅1000
= 526
kgK
h
K⋅h
Autore: SANDRO PETRIZZELLI
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Autore: Sandro Petrizzelli
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