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Albo d`Onore - Studi storici Anapoli

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Albo d`Onore - Studi storici Anapoli
PIERLUIGI DAMIANO
DOSSI "BUSOI"
CENTRO STUDI STORICI
"Giovanni Anapoli"
Montecchio Precalcino
Albo d'Onore
dei Combattenti
la "Guerra di Liberazione"
(8 settembre 1943 – 29 aprile 1945)
Associazione Partigiani & Volontari della Libertà
“Livio Campagnolo”
Montecchio Precalcino
Foto di copertina:
I ragazzi della "generazione sfortunata"
1938 - Campionati Provinciali G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio).
Da sinistra in piedi: Dall'Osto Rino (classe 1922, fu Giacinto. Autiere, "sbandato"
dopo l'8 settembre '43, Partigiano e Deportato in Germania); Campese Emilio
(classe 1923, fu Dionisio. Alpino del "Val di Fassa", "Resistente dell'8 settembre" e
"Internato Militare Italiano" in Germania); Ludovico Dal Balcon (classe 1912, dopo
l'8 settembre '43, reggente del fascio repubblicano e comandante della squadra brigatista locale; dopo la Liberazione scappa dal paese); Todeschini Angelo "Serafino"
(classe 1922, fu Gio Batta. Artigliere Alpino della "Julia", Disperso in Russia a 20
anni); Zordan Antonio (classe 1923, fu Francesco. Alpino del "Bassano" in Francia,
"sbandato" dopo l'8 settembre '43). Da sinistra seduti: Saccardo Mariano (classe
1924, fu Valentino. Artigliere, "sbandato" dopo l'8 settembre, costretto ad arruolarsi con la R.S.I., diserta e collabora con la Resistenza come Patriota); Gnata Giuseppe (classe 1923, fu Bortolo. Autiere, "sbandato" dopo l'8 settembre '43, Comandante Partigiano); Poletto Francesco Narciso (classe 1923, fu Giovanni. Alpino del
"Val di Fassa", "Resistente dell'8 settembre" e "Internato Militare Italiano" in Germania).
2
"Vivo. Sono Partigiano.
Perciò odio chi non parteggia,
odio gli indifferenti"
(Antonio Gramsci, Scritti giovanili)
"La Seconda Guerra Mondiale , per noi italiani, è stato il conflitto delle
due guerre: della guerra fascista(1940-1943), in cui il popolo italiano è stato
trascinato dalla follia nazi-fascista sul fronte occidentale, su quello greco –
albanese, in Africa orientale e settentrionale e infine, ancor più tragicamente,
sul fronte russo; e della guerra di Liberazione (1943-1945), che ha significato
il riscatto di un'intera nazione dopo due decenni di dittatura."
(Nuto Revelli)
3
Centro Studi Storici "Giovanni Anapoli" Montecchio Precalcino
A Giovanni Anapoli,
mio compagno e maestro,
e come lui avrebbe voluto,
a tutti i giovani,
perché crediamo nei giovani,
perché vogliamo
che i giovani sappiano.
Ringrazio la Presidente della Provincia prof. Manuela Dal Lago e tutti i presidenti
delle associazioni che hanno concesso il loro alto patrocinio.
Sono grato a tutti gli Enti che nel corso di oltre vent'anni di ricerche mi hanno aperto i
loro archivi.
Ringrazio in modo speciale Romano Dal Lago, Domenico “Nico” Garzaro, Eliseo
Grotto, Palmiro Gonzato, Michelangelo Giaretta, Franco e Niccolò Sabin, Giorgio Fin,
Ugo Valerio e Irma Peruzzo, Massimiliano Cantele, Gianni Romio e Sonia Residori,
che nel corso di questa lunga e travagliata ricerca, mi hanno sovente aiutato con preziosi
suggerimenti, utilissime indicazioni e squisita gentilezza. Li ringrazio tutti di cuore.
Sono particolarmente riconoscente al prof. Ferdinando Offelli per aver accettato di presentare questa ricerca, ed inoltre per la generosità con cui ha messo a disposizione la sua professionalità e competenza nella correzione delle bozze e nella preparazione tipografica del
libro.
Ringrazio infine la Banca San Giorgio e Valle Agno – Credito Cooperativo - di Fara
Vicenntino del contributo che ha reso possoibile questa pubblicazione
Pierluigi Damiano Dossi "Busoi"
Quaderno n° 3
Documenti – Diari – Memorie - Ricerche
Centro Studi Storici "Giovanni Anapoli" Montecchio Precalcino
Pubblicazioni precedenti:
“Con la Brigata "Loris" – Vicende di guerra 1943 – 1945,
Italo Mantiero (Albio), a cura dell'AVL di Vicenza, aprile 1984.
“C'eravamo anche noi – Ricordi della Resistenza a Montecchio Precalcino”,
Palmiro Gonzato – Lino Sbabo, a cura dell'ANPI di Vicenza, agosto 1996.
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60° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE
Palazzo del Quirinale, 25 aprile 2005
Sessant'anni fa, si compì la liberazione e la riunificazione della nostra Patria.
Tanti ricordi si affollano alla mente. Il cuore è ancora gonfio di pena, ma
anche di orgoglio, per quelli che, compagni della nostra giovinezza, diedero
la vita per la libertà di tutti; anche di chi li combatteva. Presero le armi per
far nascere quelle istituzioni democratiche in cui oggi noi italiani tutti ci riconosciamo.
Uomini e donne, militari e civili, laici e religiosi, ci insegnarono a conquistare e a vivere la libertà.
Non dimentichiamo nessuno di coloro che furono protagonisti:
- la Resistenza operaia, esplosa negli scioperi di massa del marzo '43 a Torino, a Milano, a Genova e in altre città, prima della caduta della dittatura;
- i militari che, dopo l'8 settembre del '43, nello smarrimento delle istituzioni, trovarono nel loro cuore le radici che li spinsero all'azione;
- i civili che, a Roma e altrove, si unirono per la difesa delle loro città, e si
batterono per cacciare le forze di occupazione;
- le centinaia di migliaia di militari internati, che preferirono una durissima
prigionia, costata la vita a tanti di loro, al ritorno in Italia al servizio della
dittatura;
- la Resistenza popolare che si manifestò spontanea, "migliaia e migliaia di
donne e uomini di ogni ceto, a rischio e a prezzo della loro vita, salvarono
e protessero civili e militari alla macchia, ebrei minacciati dallo sterminio;
fu una catena di silenziosa, spontanea solidarietà;
- non dimentichiamo le migliaia e migliaia di vittime delle innumerevoli,
orrende stragi.
- non dimentichiamo soprattutto i protagonisti della Resistenza armata, che
nacque come scelta di popolo, che si organizzò fino alla riconquista, nell'aprile del 1945, delle grandi città del Nord d'Italia, prima ancora della resa dell'esercito nazista.
La memoria degli eventi di sessant'anni fa è un libro fatto di molte pagine,
di tante storie personali e collettive.
Volevano un'Italia libera per tutti, unita. Il loro ricordo non vuole alimentare divisioni, vuole insegnarci la concordia, l'amore per la Costituzione, fondamento delle nostre libertà.
5
Questo è il significato profondo delle giornate della memoria che noi celebriamo: occasioni per ricordare ai giovani i valori ispiratori di quella libertà
che essi hanno il privilegio di vivere e il dovere di custodire.
Ai giovani d'oggi, cresciuti in un'Italia libera, in un'Europa pacifica e unita,
dico: non dimenticate mai gli ideali. Possa la memoria dei sacrifici rimanere
viva, tramandata di generazione in generazione, guida e monito ad essere
sempre vigili, uniti nell'impegno a contribuire al progresso e alla pace di tutti
i popoli.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Carlo Azeglio Ciampi
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AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI VICENZA
LA PRESIDENTE
Pierluigi Damiano Dossi fa uscire dall'anonimato e riporta alla luce della storia le vicende di 322 cittadini di Montecchio Precalcino che, a diverso titolo e in maniera diversa, hanno vissuto e sofferto le vicende del biennio 1943-1945.
Colpisce il numero delle storie ricostruite, numero che restituisce le dimensioni di un
fenomeno complesso esteso all'intero tessuto sociale, che non riguardò solamente i
partigiani inquadrati in brigate militari.
Il Vicentino, come testimonia appunto lo spaccato di Dossi, visse e soffrì in maniera
molto forte l'intera epopea della guerra di Liberazione, con il suo carico di dolore, violenze e contraddizioni, con ferite ed ingiustizie che solo il tempo potrà definitivamente
rimarginare.
Credo che, come Presidente della Provincia di Vicenza, sia fondamentale invitare
tutti ancor oggi al rispetto, a riguardare a quegli anni con la coscienza di chi sa che il
benessere di oggi, la democrazia di oggi, la libertà in cui viviamo ebbero un prezzo indicibile, spesso pagato da persone semplici, da migliaia e migliaia di anonimi.
Proprio per il rispetto che dobbiamo portare a tutti coloro che soffrirono e che furono vittime, talvolta anche innocenti o casuali - come appare anche in questo studio non dobbiamo dimenticare che la democrazia e la libertà si difendono giorno dopo
giorno, con coerenza e profondo rispetto delle idee altrui.
Un modo per difendere questi valori inalienabili è anche studiare, scavare nella storia, far e dare luce a ciò che è ancora oscuro. Credo che questo fosse uno degli obiettivi, per altro colti, di Pierluigi Dossi. Al lettore affidiamo quest'opera confidando nel
suo spirito critico, ma anche nella sua voglia di sapere e non dimenticare.
La Presidente
Prof.ssa Manuela Dal Lago
ASSOCIAZIONE NAZIONALE COMBATTENTI E REDUCI
FEDERAZIONE PROVINCIALE DI VICENZA - LA PRESIDENZA
Pierluigi Dossi, cittadino di Montecchio Precalcino, ha voluto realizzare per il suo
paese un'opera veramente eccezionale "L'Albo d'Onore dei Combattenti la Guerra di
Liberazione".E' un'opera poderosa che deve aver comportato per l'autore una notevole dose di sacrificio in tempo, nella ricerca e, particolarmente, di tanta pazienza. L'opera, però, è riuscita in pieno e non si può che esprimere il plauso senza limiti per il risultato ottenuto.Anche se l'elaborato sembra essere dedicato esclusivamente alla Guerra
di Liberazione, con particolare riferimento a Montecchio Precalcino, in effetti spazia
più ampiamente ricordando tutti i Caduti dell'ultimo conflitto mondiale, gli antifascisti
del 1921-1943, per arrivare a tutte le forze resistenziali che con il loro contributo, di
sacrifici, di sofferenze e di sangue hanno attivamente operato per restituire alla Patria
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quella libertà e quella democrazia toltaci dal fascismo, beni indispensabili per un vivere
civile, beni che tutti dobbiamo apprezzare e difendere perché è la premessa di pace e
di progresso sociale.
Sono importanti, infine, quelle due pagine dedicate alla fine del lavoro: Memoria e pacificazione, in cui si riporta un editoriale di un partigiano, ex ufficiale dell'esercito decorato al V.M. in cui si accenna alla deposizione di una corona nel cimitero di Perugia
da Partigiani ed ex fascisti insieme sulla tomba dei Caduti della guerra 1915-18.Non si
tratta a mio avviso, di vincitori e vinti, la divisione sta solo fra chi ha combattuto per la
libertà e la democrazia e chi, invece, si batté per il totalitarismo.La storia non si può
cambiare, ma chi riconosce di essersi battuto per la parte sbagliata non può che avere
il nostro apprezzamento cordiale.E', ferma restando la legislazione vigente in materia,
senza revisionismi, e sempre che non siano stati commessi delitti, tutti di comune accordo ed in fraternità d'intenti dobbiamo operare per il bene della Patria.
All'autore ancora il mio più vivo plauso.
Il Presidente
Giuseppe Crosara
ASSOCIAZIONE NAZIONALE EX INTERNATI
FEDERAZIONE PROVINCIALE DI VICENZA - LA PRESIDENZA
Ho letto con interesse e commozione le tante storie degli IMI di Montecchio Precalcino pazientemente raccolte e diligentemente trascritte su quell'Albo d'Onore che tramanda alle giovani generazioni uno spaccato di una storia dimenticata.
L'autore sa cogliere lo stato d'animo di chi si è visto catapultato tra i reticolati e chiamato traditore, lui che è stato il vero tradito.
La fame, il freddo, le malattie, i bombardamenti, le umiliazioni e le angherie non ci
fiaccarono perché sentivamo di essere dalla parte giusta, di resistere senza armi per ottenere la pace e la libertà.
Che dire poi dell'amarezza del rientro. Siamo stati gli ultimi a tornare dalla Germania,
nessuno ci voleva, la pubblica opinione era indifferente.
Ci siamo messi a lavorare senza nulla chiedere, forti di quello spirito della baracca che
ci aveva fatto uomini che sapevano di aver fatto il loro dovere onorando così gli oltre
45.000 morti che abbiamo lasciato e che costituiscono la prova di quanto ci sia costata
la libertà.
All'autore Dossi Pierluigi e a quanti l'hanno aiutato il mio "grazie" a nome degli oltre
10.000 IMI che ho l'onore e l'onere di rappresentare. Con il suo lavoro egli ha dimostrato che gli autentici valori della Resistenza possono venire colti ed interpretati da un
giovane come lui che con la sua opera ci aiuta ad assecondare quanto come ex prigionieri di guerra auspichiamo che si verifichi: che non ci siano più reticolati nel mondo.
Il Presidente
Onorio Cengarle
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ASSOCIAZIONE NAZIONALE
MUTILATI E INVALIDI DI GUERRA
COMITATO REGIONALE VENETO
LA PRESIDENZA
FEDERAZIONE ITALIANA
VOLONTARI DELLA LIBERTÀ
COMITATO PROVINCIALE
DI VICENZA - LA PRESIDENZA
La pubblicistica della seconda guerra mondiale e resistenziale vicentina è assai ricca e
possiamo dirlo con particolare soddisfazione ha affrontato il periodo della Guerra e
Resistenza con attente analisi e importanti documentazioni su fatti, luoghi e personaggi.
Nel 60° della Liberazione 2003 – 2005, c'è stata inoltre una importante ripresa di pubblicazioni di saggi storici e letteratura, comprendente tutto il periodo bellico della seconda guerra mondiale, che hanno dimostrato ancora una volta come la memoria e
l'interesse per il passato trovino nuove vie e nuove iniziative per dare alla guerra 40 –
45 e alla Resistenza rivisitazioni storiche più pacate, frutto di riflessioni più attente a
far comprendere, nel contesto di spazio-tempo, che cosa siano state la Guerra e la Resistenza nella loro realtà, nei loro valori.
Devo confessare che mi ha colpito l'originalità del presente testo, la vastità delle ricerche, il ritornare alla memoria personale di chi nella guerra 1940 – 45 ha vissuto le esperienze traumatiche più varie per cui il ricordo rimane come incorporato nella memoria e ha segnato tutta la vita dei protagonisti.
Va dato grande merito all'autore l'aver saputo con vasta conoscenza e intensità rievocare fatti ed episodi emblematici della grande storia con l'aver evidenziato il significato
di una moralità e passione politica spesso inconsapevolmente avvertita dagli stessi testimoni.
Voglio sperare che le generazioni future possano trarre dalle memorie dei loro padri e
dei loro nonni quella tensione morale e civica che dia l'orgoglio di appartenenza e la
volontà di ben operare per il bene della comunità.
L'Associazione Volontari della Libertà e l'Associazione Mutilati ed Invalidi di Guerra
sono onorate di dare il loro incondizionato patrocinio alla presente pubblicazione, apprezzandone il valore storico e l'insegnamento etico - sociale.
Cordialità.
Il Presidente
Giulio Vescovi
ASSOCIAZIONE NAZIONALE
EX-DEPORTATI POLITICI
COMITATO REGIONALE VENETO
LA PRESIDENZA
ASSOCIAZIONE NAZIONALE
PARTIGIANI D’ITALIA –
FEDERAZIONE PROVINCIALE
DI VICENZA - LA PRESIDENZA
Dobbiamo riconoscere a Pierluigi Dossi una buona capacità di ricerca, rigorosa ed intelligente. Dallo studio più che ventennale dedicato ai “combattenti la guerra di Liberazione” della sua comunità emerge un ampio quadro di protagonisti, militari e civili,
uomini e donne, descritti nei dati essenziali.
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Di notevole pregio è il contesto storico nel quale ogni personaggio è collocato; rende
così al lettore chiara la comprensione delle vicende del periodo, complesso e tormentato, che va dall’8 settembre 1943 al 29 aprile 1945, giono della Liberazione del Paese.
Aperto, interessante e condivisibile è il concetto di Resistenza che l’Autore esprime nei
vari “Albi d’Onore”. Costruttori della Resistenza, infatti, non sono solo i partigiani e i
patriotti, impegnati direttamente nella lotta armata contro i nazi-fascisti, con
l’appoggio determinante delle popolazioni civili, spesso coinvolte in rastrellamenti,
saccheggi e rappresaglie; i primi Resistenti sono i soldati italiani che si oppongono con
le armi all’occupazione tedesca del suolo patrio nelle isole greche, in Corsica, in Albania, in Jugoslavia; molti si uniscono poi ai partigiani che lottano per la liberazione dei
loro paesi; fanno la loro Resistenza i militari italiani internati nei campi di concentramento in Germania, rifiutando di collaborare con Hitler e con Mussolini, i deportati
nei campi di sterminio per motivi politici, razziali e religiosi, i lavoratori coatti, gli
‘schiavi’ di Hitler, costretti a lavorare pèer l’industria bellica germanica; appartengono
alla Resistenza i soldati del Corpo Italiano di Liberazione, aggregati agli Alleati, che
danno un contributo fondamentale alla sconfitta nazi-fascista.
La sensibilità dell’Autore comprende nella Resistenza, che qui equivale a ‘sofferenza’, i
morti sotto i bombardamenti, i prigionieri degli Alleati, i lavoratori volontari in Germania, in quanto vittime di una guerra insensata voluta dal nazi-fascismo, di una tragedia collettiva che ha travolto l’Italia, l’Europa e il mondo.
L’obiettivo di Dossi è quello di ricordare i sacrifici dei figli di Montecchio Precalcino
presenti nelle situazioni più diverse, di onorarne la memoria, di far capire ai giovani il
valore della Libertà, della Democrazia e della Pace in cui viviamo da 61 anni.
Nobile è il suo invito alla pacificazione intesa come disposizione al dialogo e al confronto, onestà intellettuale, spirito di comprensione, coraggio di ammettere anche gli
errori, riconoscimento dei risultati della Liberazione: la Repubblica, di cui festeggiamo
il 60° anniversario, e la Costituzione, pietra miliare dell’Italia rinnovata e democratica,
che stabilisce per tutti i cittadini, senza distinzione di credo o convinzione politica, i
diritti e i doveri.
L’ANPI e l’ANED accolgono con soddisfazione questo nuovo libro, frutto delle fatiche di Pierluigi Dossi, che illustra in modo esauriente l’apporto della sua comunità alla
conquista della Pace e della Libertà.
Aned - Il Presidente
Franco Busetto
10
Anpi – Per la Presidenza
Mario Faggion
NOTA DEL CURATORE
Ho accettato volentieri di collaborare a questa edizione di Albo d’Onore di
Pierluigi Damiano Dossi, curandone l’impostazione tipografica, per una serie di
motivi cui vorrei qui accennare.
Anzitutto, perché si tratta di una puntuale, circostanziata e precisa ricostruzione sulle vicende personali e storiche che hanno coinvolto molti cittadini di
Montecchio Precalcino negli anni del secondo conflitto mondiale. È difficile,
relativamente ad una ricerca storica, usare il termine completa, anche perché la
completezza chiuderebbe la possibilità di proseguire la ricerca stessa; ma certo
si può definire questo lavoro di Dossi come la più ampia e documentata ricostruzione oggi esistente, quella che d’ora innanzi diventerà inevitabilmente punto di riferimento per altre ricerche storiche sul nostro territorio, un lavoro che
ben pochi Comuni della nostra provincia possono vantarsi di avere.
L’opera si articola per ‘Albi d’Onore’ relativi alle diverse tipologie ed esperienze dei combattenti di Montecchio Precalcino nel secondo conflitto mondiale,
spaziando dall’anti-fascismo militante, alla presenza dei nostri soldati sui vari
fronti della guerra, l’8 settembre ’43, la lotta di Liberazione, a sua volta articolata in IMI, partigiani combattenti e partecipazione della popolazione.
Ogni settore, o meglio ogni Albo d’Onore, è introdotto da un inquadramento
storico generale, frutto anche questo di una lunga ricerca che non manca certo
di arricchire o completare le nostre conoscenze storiche su quel tragico periodo, per poi passare ad elencare i concittadini di Montecchio Precalcino che a
quelle vicende storiche hanno personalmente partecipato. A volte ci si deve limitare a brevi cenni biografici, altre volte di ricostruzioni più articolate, sempre
comunque puntuali e documentate. Per avere un’idea dell’entità del lavoro di
ricerca e ricostruzione di Dossi basti pensare che l’elenco dei cittadini coinvolti
nella ricerca è di 322 combattenti.
È proprio questo aspetto quantitativo che, anche da solo, diventerebbe indicativo di quale sia stato l’enorme contributo di questo piccolo Comune alla storia della nostra nazione; in ogni punto dove l’Italia ha combattuto quella terribile guerra, i cittadini di Montecchio Precalcino possono orgogliosamente rivendicare ‘c’eravamo anche noi’, proprio come già fecero Lino Sbabo e Palmiro Gonzato qualche anno fa per riaffermare un ruolo locale nella lotta di Liberazione, contro chi tendeva ad ignorarlo.
La mia speranza, e il mio augurio, è ora che questo lavoro serva a far crescere
ulteriormente questa Comunità in quell’ottica di Pace che da anni sembra esse11
re la propria scelta politico-culturale di fondo, ciò che spiega anche il mio impegno in questo lavoro.
Pace che è anzitutto rifiuto non solo della guerra, ma soprattutto della violenza che questa inevitabilmente comporta, magari legalizzandola o comunque
esaltandola.
Una Pace che, secondo me, deve nascere anzitutto da un sentimento di ‘accettazione’; non si può, e non si deve, nascondere la propria polvere sotto il
tappeto della storia, così come, nel fluire della storia, nessuno può pensare di
far ricadere sui figli gli eventuali errori dei padri; il proprio passato storico è
quello che è stato, e va ‘accettato’ integralmente, perché è da questo passato,
dai suoi errori e dai suoi orrori, che dobbiamo comunque partire per costruire
un futuro migliore.
Ecco perché secondo me Albo d’Onore diventa l’opera di un paese maturo,
dove la conoscenza dei fatti della storia e degli uomini che hanno contribuito a
farla, è non solo sentita come doverosa, ma diventa motivo d’orgoglio per tutti,
perché è il prezzo che come Comunità è stato pagato alla tragica violenza della
guerra, un prezzo di dolore, di sofferenze umane, di figli che non sono tornati,
un prezzo che va ben oltre e riscatta ampiamente le eventuali colpe ed errori
dei singoli, comunque da accettare in una dimensione di verità storica.
Un contributo che oggi accredita a pieno titolo Montecchio Precalcino non
solo nella costruzione della nostra Italia libera e democratica, ma anche in
quell’ottica di Pace, come accettazione reciproca, che sta alla base dell’Europa
che andiamo costruendo, e rispetto alla quale Montecchio Precalcino potrà ancora una volta orgogliosamente rivendicare ‘C’eravamo anche noi!’.
Ferdinando Offelli
12
INDICE GENERALE
- Introduzione
pag.
15
- Albo d'Onore dei Caduti (1940-1945)
19
- Albo d'Onore degli "Antifascisti" (1921-1943)
31
- L'Armistizio dell'8 settembre 1943
40
- Albo d'Onore dei "Resistenti dell'8 settembre"
45
- Albo d'Onore degli "I.M.I. (Italienischen Militär Internierten)
131
- Albo d'Onore del "Corpo Italiano di Liberazione"
169
- Albo d'Onore dei "Volontari in Unità Alleate"
191
- Albo d'Onore dei "Carabinieri"
205
- Albo d'Onore dei "Partigiani "
215
- Albo d'Onore dei "Patrioti"
299
- I Deportati nei Lager: la colpevole responsabilità del popolo
tedesco e l'auto-assoluzione italiana
320
- Albo d'Onore dei "Deportati politici"
327
- Albo d'Onore dei "Lavoratori coatti"
343
- Albo d'Onore dei "Prigionieri di Guerra degli Alleati"
349
- Albo d'Onore dei "Lavoratori Volontari in Germania"
357
- Albo d'Onore del "C.L.N. – Comitato di Liberazione Nazionale"
365
- Albo d'Onore della “Giunta Municipale Provvisoria”
373
- Albo d'Onore Generale dei “Combattenti la Guerra di Liberazione"
379
- Memoria & Pacificazione
393
- Le fonti principali della ricerca
397
13
14
INTRODUZIONE
Questo lavoro di ricerca, essenzialmente d'archivio e bibliografico, è nato
con l'obiettivo di contribuire alla salvaguardia della memoria storica della nostra piccola comunità, per costituire una preziosa "banca dati", utile per futuri approfondimenti, ma altresì per non dimenticare, anzi onorare una "generazione sfortunata", a cui tutti dobbiamo molto.
É una ricerca storica dedicata ai giovani, uomini e donne che hanno ormai
superato di ben due progenie coloro i quali vissero gli eventi cui ci riferiamo,
ma che fuori dalla retorica racconta fatti fondamentali della nostra memoria
collettiva; "un'occasione per ricordare ai giovani i valori ispiratori di quella
libertà che essi hanno il privilegio di vivere e il dovere di custodire", un ricordo che "non vuole alimentare divisioni, vuole insegnarci la concordia,
l'amore per la Costituzione, fondamento delle nostre libertà".
"Giovani che la libertà se la sono trovata cucita addosso, sia pur nelle forme imperfette che conosciamo, e non si sono mai chiesti a chi andrebbe
questo merito; giovani, che disdegnano la retorica o, anche semplicemente
l'enfasi, sui fatti degni di essere ricordati. Di conseguenza, essi si scoprono
privi di memoria storica, perché coloro che avrebbero dovuto provvedere,
nelle scuole e nelle istituzioni, si sono spesso arroccati su posizioni ideologiche contrastanti, creando un clima di antagonismo, che finisce per essere il
primo ostacolo alla verità.
É così accaduto che il termine "Resistenza" è risultato essere prerogativa
di una sola parte della nazione, quando invece esso dovrebbe appartenere a
tutti gli italiani, quelli del nord e quelli del sud, ammesso che si possa definire
così il confine, il percorso, di un conflitto armato di enormi proporzioni, che
ha insanguinato il nostro Paese dal settembre 1943 ai primi di maggio del
1945: una demarcazione che ha concorso a stabilire la differenza fra «fascismo» ed «anti-fascismo», come se i due termini bastassero, da soli, a stabilire
chi era «con» e chi «contro».
La Resistenza, invece, è stata il denominatore comune di tutti quelli che
hanno dovuto condividere, per la responsabilità di due dittatori, un uguale
dolore, una sofferenza generale, una situazione che solo a pochi consentiva
di rimanere spettatori inermi o passivi.
Per cui sono «Resistenti» i militari e quei cittadini che hanno scelto di combattere per la libertà del loro Paese; hanno dovuto «resistere» tutti coloro che
si sono trovati di fronte alle enormi difficoltà di quel periodo, così come lo
sono coloro che il gorgo di una guerra in casa propria ha fatto piombare nel
profondo disagio di una precarietà economica, ridotta fino alla fame; nelle
condizioni di dover sopportare i distruttivi bombardamenti degli Alleati, di
15
subire rastrellamenti indiscriminati, il lavoro coatto, le ruberie di ogni sorta e
da qualsiasi provenienza. E hanno dovuto «resistere», con eguale partecipazione, allo sconforto e alla disperazione, tutte quelle madri in attesa del ritorno dei loro figli, partiti o costretti al fronte nelle uniformi più varie, quelle
del guerrigliero o del soldato, come quella nera del repubblichino, perché, in
quei terribili anni, non era tanto la divisa a poter giustificare una militanza,
quanto il desiderio di quegli uomini che la guerra finisse onorevolmente e, al
loro ritorno, si placassero le contese che avevano visto gli italiani schierati su
fronti opposti. Perché è stato anche questo il risultato della guerra, come di
qualsiasi guerra, anche là dove sembra giusta ed inevitabile: popoli interi, con
lustri di civiltà alle spalle, che si combattono aspramente, perché i loro capi
hanno rifiutato la paziente tessitura del dialogo politico e preferito lo scontro
armato, che ha finito per distruggerli a vicenda.
... É soltanto in questo quadro che la parola "Resistenza" potrà essere più
umana, più comprensibile e più accettata dai giovani. Senza nulla togliere al
suo più vero significato di lotta al totalitarismo, condotta da militari o semplici cittadini, ovunque si è reso necessario, in Italia come nel resto d'Europa, ove la Resistenza è assurta al significato universale di guerra per la libertà,
contro chi avrebbe voluto fare dell'Europa un unico, informe stato, dominato da una razza superiore.
Di un'interpretazione come questa non si potrà mai fare a meno, perché è
nel diritto comune, oltre che nel diritto divino.
Ma la Resistenza Italiana non fu solo guerriglia, né solo azione militare intesa a contrastare l'invasore tedesco. La Resistenza fu anche consapevolezza
della necessità che la Patria risorgesse da un periodo in cui le libertà democratiche erano state sottomesse ad un regime nefasto.
Come in ogni movimento a carattere eminentemente popolare, che è inizialmente frutto di spontaneismo e improvvisazione e, pertanto, carente di
solide regole morali, nella Resistenza convissero idealisti ed agnostici, persone moralmente corrette ed altre prive di scrupoli; queste ultime, approfittando del crollo dello Stato di diritto, come conseguenza della disfatta italiana,
volsero spesso a loro tornaconto la lotta cui si erano dedicate, compiendo
soprusi a danni di persone e azioni illecite a scopo di profitto personale, anche se esse furono una assoluta minoranza e in seguito individuate, neutralizzate e punite.
Tuttavia, quegli atti, malgrado che quelli commessi dai fascisti e dall'occupante tedesco fossero molto, ma molto, più ingiusti e feroci, hanno finito
spesso per discreditare la causa per cui i Partigiani combattevano..."
(Gen. Ilio Muraca)
Ma se quei reati furono puniti dagli stessi comandi partigiani o, al più tardi,
dai tribunali del dopoguerra, forse anche troppo duramente grazie al nuovo
16
clima di restaurazione creato dalla "guerra fredda", viceversa i crimini commessi dai nazifascisti, eccetto rarissime eccezioni, furono in nome della "pacificazione" in gran parte amnistiati, insabbiati e sepolti nei troppi "armadi
della vergogna".
29 aprile 1945 – La Liberazione di Montecchio Precalcino. Lungo il viale del capoluogo, di
fronte al Caseificio Sociale (ora Banca), il cannone antiaereo tedesco, Flak 37 da 88 mm, catturato ai tedeschi.
In senso orario: Luciano Buzzacchera (classe 1939), Angelo Giaretta (classe 1920), Irma
Zanuso (1921-1955), Angela Poletti “Angelina” (classe 1918), Elena Sabin (classe 1917),
Augusta Zanuso (classe 1930), Serena Buzzacchera “Bianca” (classe 1927), al centro, Sabin
Giuseppe (classe 1917) ed Eleonora Anna Zanuso “Bruna” (classe 1926).
E' questo un argomento che merita nel prossimo futuro un particolare approfondimento anche locale, soprattutto mentre è in corso in Italia un disinvolto revisionismo storico-culturale tendente a equiparare colpe di fascisti e
antifascisti.
Emblematiche di questo revisionismo all'italiana sono ad esempio:
- alcune ricostruzioni artefatte di vicende locali (voci popolari create e diffuse ad arte da chi nasconde responsabilità o vuole giustificarsi),
- il tentativo di addolcire il giudizio sul fascismo, ritenuta una dittatura "benigna", che "mandava gli oppositori in vacanza al confino",
- una politica della memoria spregiudicata, anche locale, che magari in nome della "pace", della "pacificazione" e della "storia condivisa", promuove
una memoria pubblica subdola e strumentale,
17
- best-seller, come Il sangue dei vinti di Pansa, dedicato alle migliaia di fascisti
assassinati dai Partigiani tra il 25 aprile 1945 e la fine del 1946 per vendetta, ritorsione o fanatismo; libri romanzati che hanno il grave limite di decontestualizzare, cioè di non storicizzare, gli atroci fatti narrati, trasformati da strumentali campagne mediatiche in eventi politico-culturali.
Viceversa, altro spessore si è tentato di dare a questo lavoro, dove si è voluto, tramite la ricerca storica, salvaguardare una memoria collettiva che deve
"rimanere viva , tramandata di generazione in generazione, guida e monito
ad essere sempre vigili (perché ciò che è già avvenuto non ritorni), uniti nell'impegno a contribuire al progresso e alla pace...".
Durante questo lavoro di ricerca ho ripercorso i sentieri della memoria di
molte persone e, a volte, sono stato colto da disagio nello scavare nella vita e
nei travagli di tutti questi uomini, e mi sono chiesto se avessi o meno il diritto di farlo. Ho superato le mie remore pensando che stavo facendo un lavoro di ricostruzione di un pezzo importante della nostra storia, che stavo tentando di mettere a disposizione delle generazioni future il pesante carico di
tante dure esperienze, nella speranza di suscitare o di rafforzare sentimenti
insostituibili nella vita di un uomo: sentimenti come l'orgoglio di professare
liberamente una fede ideale e politica, l'amore per la libertà, la solidarietà e la
pace.
Sono convinto, voglio essere convinto che, se potessi chiedere il permesso a
tutti i "Combattenti della Guerra di Liberazione" di Montecchio Precalcino di
rinvangare nei fatti delle loro vite per farne preziosi momenti didattici, otterrei 322 Sì!
Dopo aver cercato, come meglio si poteva, di ricordare questi Uomini e di
storicizzarne le vicende, i movimenti, le fasi e i risultati, cioè in definitiva cosa ha significato la guerra di Liberazione per loro e per Montecchio Precalcino, confidando di esservi almeno in parte riuscito, mi sentirò soddisfatto se
questa pubblicazione si guadagnerà almeno un semplice voto di sufficienza
da parte di tutti quei giovani che la leggeranno.
Un'ultima annotazione. Iniziamo ricordando tutti i nostri Caduti: tutti,
perché tutti sono stati vittime di questa folle guerra voluta da Hitler, da Mussolini; tutti, perché se di fronte alla Storia le differenze restano, e non dobbiamo dimenticarle, nel sonno della morte, quei ragazzi sono ora affratellati,
e di fronte a loro, dobbiamo curvare il capo. Un doveroso omaggio ad una
"generazione sfortunata", ma anche un gesto di sincera "pacificazione" verso
chi, allora, ci voleva impedire di portare un fiore sulla tomba di Livio Campagnolo, o sulla "fossa comune" dove riposa Massimiliano Peruzzo, ma oggi, ravveduto, vuole lavorare per il bene della Patria comune.
Pierluigi Damiano Dossi "Busoi"
18
Albo d'Onore Caduti
Guerra 1940/43
(10 giugno 1940 – 8 settembre 1943)
e
Guerra di Liberazione
(8 settembre 1943 – 29 aprile 1945)
ANTONIO
BENIAMINO
BALASSO
fu Francesco e Gnata Maria
Caporale d'Artiglieria Alpina, classe 1918 ( anni 24)
Del Gruppo Udine, 3° Reggimento Artiglieria da Montagna, Divisione "Julia", Corpo d'Armata Alpino in Russia,
ARMIR. Disperso in combattimento sul Fronte Russo,
fra il 16 e il 31 gennaio 1943, durante la terribile ritirata
dal Don al Donez.
Valentino
Bassan
fu Pietro e Fina Caterina
Alpino, classe 1917 (anni 23)
1° Reggimento Alpini sul Fronte Occidentale.
Deceduto il 23 maggio1940, presso la Casermetta ai piedi
del Ghiacciaio della Lex Bianche, in Val Veny, presso
Courmayeur, Valle d'Aosta, confine Italia-Francia..
Angelo
Biasi
fu Lorenzo e Cattelan Maria Luigia
Artigliere Alpino, classe 1919 (anni 23)
Del 3° Reggimento Artiglieria da Montagna, Divisione
"Julia", Corpo d'Armata Alpino in Russia, ARMIR.
Disperso in combattimento sul Fronte Russo, fra il 16 e
il 31 gennaio 1943, durante la terribile ritirata dal Don al
Donez.
19
Andrea
Francesco
Bonin
fu Girolamo e Sabin Caterina
Artigliere Alpino, classe 1919 (anni 23).
161^ Batteria, 56° Gruppo d'Artiglieria, 22° Settore
Guardie alla Frontiera in Slovenia.
Caduto in Slovenia il 24 dicembre 1942, al 619 Km della
Ferrovia Postumia/ Rakek.
Igino
Borriero
fu Pierina Borriero
Alpino classe 1918 (anni 24)
83^ Compagnia, 9° Reggimento Alpini, Divisione "Julia",
Corpo d'Armata Alpino in Russia, ARMIR.
Disperso in combattimento sul Fronte Russo il 24 gennaio 1943, dopo la ritirata dal Don, nei combattimenti a
Popowka, poco prima dell'ultima grande azione di sfondamento a Nikolajewka.
Livio
Campagnolo
fu Valentino e Martini Margherita Hedda
Partigiano - Volontario della Libertà, classe 1922 (anni22)
Già universitario e poi Geniere del 2° Reparto Autieri,
9° Gruppo, 10° Reggimento Genio, di stanza a Caserta,
Dopo l'8 settembre, "sbandato", torna a casa ed entra nella Resistenza: Brigata Partigiana "Mazzini", poi "Loris",
Divisione Alpina "M. Ortigara", Gruppo Divisioni "Mazzini".
Caduto per mano fascista il 20 aprile 1944 a Preara di
Montecchio Precalcino.
Remo
Campagnolo
fu Valentino e Carlesso Angela
Alpino, classe 1922 (anni 20)
8° Reggimento Alpini, Divisione "Julia", Corpo d'Armata
Alpino in Russia, ARMIR.
Disperso in combattimento sul Fronte Russo il 26 gennaio 1943, durante la terribile ritirata dal Don, nell'ultima
grande azione di sfondamento avvenuta a Nikolajewka.
Pietro
Campana
fu Andrea e Martini Maria
Fante – Volontario della Libertà, classe 1909 (anni 33)
4^ Compagnia, 1° Battaglione, 31° Reggimento Fanteria,
Divisione "Regina", Comando Supremo FF.AA. Egeo.
Disperso in combattimento contro reparti tedeschi dopo
l'8 settembre 1943 sull'Isola di Scarpanto, Mare Egeo.
20
Pasquale
Carolo
fu Bortolo e Garzaro Angela
Fante, classe 1923 (anni 20)
100° Reggimento Fanteria, 19° Corpo d'Armata, Sud Italia.
Caduto a Cava dei Tirreni (Sa) il 28 luglio 1943, a seguito
di incursione aerea.
Valentino
Cerbaro
fu Domenico e Brotto Emilia
Fante, classe 1921 (anni 21)
37° Reggimento Fanteria, Divisione "Ravenna", 2° Corpo d'Armata in Russia, ARMIR.
Caduto in combattimento sul Fronte Russo, all' "ansa del
Don", quota 193, il 20 agosto 1942.
Luigi
Chemello
fu Roberto e Meda Anna
Volontario della Libertà
I.M.I. – Internato Militare Italiano, classe 1925 (anni 24)
Già volontario a leva anticipata nelle "Camice Nere" di
stanza a Terni, dopo l'8 settembre '43 è catturato dai tedeschi e internato in un Stammlager in Germania. Rifiuta
di aderire al 3° Reich o alla "Repubblica di Salò. Torna a
casa il 4 luglio 1945.
Deceduto per grave malattia contratta in prigionia il 6
maggio 1949, presso l'Ospedale Civile di Thiene.
Luigi
Cobalchini
"Ruaro"
fu Gio Batta e Soffia Angela
Waffen SS, classe 1910 (anni 34)
Già Artigliere della 7^ Batteria, 5° Reggimento Artiglieria, Divisione "Puglie", di stanza a Durazzo (Albania).
Dopo l'8 settembre '43 aderisce al 3° Reich ed entra a far
parte delle Waffen SS Italiane.
DISPERSO il 12 ottobre 1944, presso la città di Kukes
(Albania), durante un attacco di Partigiani Albanesi, appoggiati dal Battaglione Italiano Partigiano "Gramsci".
"Toni"
Antonio
Francesco
Dall'Osto
fu Rita Dall'Osto
Partigiano – Volontario della Libertà classe 1922 (anni 23)
Già Geniere del 2° Reggimento Genio e poi Pompiere a
Torino. Dopo l'8 settembre '43 entra nella Resistenza come Vice Comandante di Distaccamento della Brigata "O.
Alesonatti", 4^ Divisione "Garibaldi", Valli di Lauro
21
(Piemonte).
Durante la liberazione di Torino è ferito mortalmente per
mano di cecchini fascisti a Porta Nuova. Muore in ospedale il 2 maggio 1945.
Bonifacio
Dall'Osto
fu Giovanni e Rodella Rosa
Alpino, classe 1912 (anni 28).
261^ Compagnia, Battaglione "Val Leogra", 9° Reggimento Alpini, Divisione "Julia" in Albania.
Caduto in combattimento sul Fronte Greco-Albanese il
12 febbraio 1941, per difendere quota 2110, presso il Guri
i Topit (Cima delle capre), Grecia.
Giovanni
Dall'Osto
fu Gio Batta e Martini Margherita
Artigliere, classe 1910 (anni 30)
22° Gruppo, 4° Reggimento Artiglieria Contraerea "Mantova" in Libia.
Caduto in combattimento sul Fronte dell'Africa Settentrionale il 14 settembre 1940, alla "Ridotta Capuzzo", in
Cirenaica, Libia.
Guerrino
Dall'Osto
fu Antonio e Importi Calista
Carabiniere - Volontario della Libertà, classe 1903 (anni 40)
Deceduto il 23 settembre 1943 presso l'Ospedale Militare
di Verona.
Mario
Giaretta
fu Faustino e Giorio Maria
I.M.I. - Internato Militare Italiano N° 102152 - Volontario
della Libertà, classe 1924 (anni 20). Già Artigliere del 4°
Reggimento Artiglieria Contraerea, Divisione "Bergamo",
di stanza a Spalato (Croazia).
Con il suo Reparto, dall'8 al 27 settembre '43 resiste agli
attacchi tedeschi. Catturato, viene internato nello Stammlager VI/A Hemer-Isetrlhon, Wehrkreis VI, presso
Münster, in Germania.
Rifiuta di aderire al 3° Reich o alla "Repubblica di Salò.
Caduto nel lager nazista il 23 novembre 1944.
22
Irma
Gabrieletto
fu Antonio e Campagnolo
Caterina. Civile, classe
1926 (anni 19). Deceduta il
29 aprile 1945, per colpo
d'arma da fuoco, esploso
per tragica fatalità da un
patriota presso il negozio
d'alimentari dei Martini
"Petenea", in Levà bassa,
nei pressi del mulino dei
Cortese, nel giorno della
Liberazione di Montecchio
Precalcino.
Gaetano
Gnata
fu Bortolo e Marzari Maria
Carabiniere – Volontario della Libertà, classe 1917 (anni
27). Della Legione Territoriale Carabinieri Reali di Trieste,
Stazione di Santa Domenica d'Albona – Nedescina, in
Istria, oggi Croazia.
Disperso il 7 luglio 1944, durante attacco dell'Esercito
Popolare di Liberazione Jugoslavo, alla Stazione CC. RR.
Adolfo
Emilio
Gomiero
fu Vittorio e Pelli Marta
Legionario "Camicia Nera", classe 1912 (anni 30).
2^ Compagnia, 63° Battaglione Camice Nere "Tagliamento", 29° Corpo d'Armata in Russia, ARMIR.
Disperso sul Fronte Russo il 20 dicembre 1942, durante
l'offensiva Sovietica "Piccolo Saturno".
Valentino
Gonzato
fu Francesco e Bassan Maddalena
Fante, classe 1914 (anni 28)
60° Ospedale da Campo, Ospedale Militare di Padova, 3°
Reggimento Fanteria, Divisione "Celere", 29° Corpo
d'Armata in Russia, ARMIR. Disperso sul Fronte Russo il
19 dicembre 1942, a Werchajakowski, durante l'offensiva
Sovietica "Piccolo Saturno".
Ferdinando
Guglielmi
fu Giovanni e Bassan Elisabetta
Carabiniere, classe 1904 (anni 39)
Legione Territoriale Carabinieri Reali di Verona.
23
Deceduto il 31 maggio 1943, presso l'Ospedale Militare di
Padova.
Giuseppe
Lonitti
fu Bortolo e Marcon Caterina
Partigiano – Volontario della Libertà, classe 1920 (anni 25)
"Medaglia di Bronzo al Valor Militare"
Già Artigliere del 147° Gruppo "A. Felice", 14° Raggruppamento Batterie Costiere, di stanza a Fontana d'Ischia (Isola d'Ischia, Napoli). L'8 settembre, "sbandato", riesce a
tornare a casa ed entra nella Resistenza come Comandante
di Distaccamento della Brigata "Loris", Divisione Alpina
"Monte Ortigara", Gruppo "Mazzini".
Caduto in combattimento il 29 aprile 1945, per mano tedesca, in Via Astichello, il giorno della Liberazione di
Montecchio Precalcino.
Alfonso
fu Antonio e Vaccari Margherita
Marchioretto Geniere Telegrafista, classe 1916 (anni 26)
121^ Compagnia Telegrafisti, 8° Battaglione Misto di Collegamento, 3° Reggimento Genio, 29° Corpo d'Armata in
Russia, ARMIR.
Disperso in combattimento sul Fronte Russo il 19 dicembre 1942, a Tiko Surkoskoia sul Don, durante l''offensiva
Sovietica "Piccolo Saturno".
Bortolo
Giuseppe
Martini
"Brusolo"
fu Bortolo e Bassan Elisabetta
Caporale maggiore di Fanteria, classe 1917 (anni 23)
9° Battaglione, 18° Reggimento Fanteria, Divisione "Acqui" in Albania.
Caduto in combattimento sul Fronte Greco-Albanese il
22 dicembre 1940, nel caposaldo 10, presso Lekdushay –
Tepelenë (Albania), durante la grande offensiva greca del
novembre '40 – gennaio '41.
Domenico
Moro
fu Paolo e Campese Caterina
Artigliere Alpino, classe 1920 (anni 22)
18^ Batteria RMV, Gruppo Udine, 3° Reggimento Artiglieria da Montagna, Divisione "Julia", Corpo d'Armata
Alpino in Russia, ARMIR.
Disperso in combattimento sul Fronte Russo, fra il 16 e il
31 gennaio 1943, durante la terribile ritirata.
24
Giuseppe
Alessandro
Benvenuto
Mussi
fu Vittorio e Altissimo Angela
Marinaio - Volontario della Libertà, classe 1919 (anni 24).
Imbarcato sulla Corazzata "Roma", nave ammiraglia della
flotta italiana.
Disperso in mare, al largo della Sardegna, il 9 settembre
1943, a seguito dell'affondamento da parte tedesca della
Corazzata "Roma", diretta, dopo l'Armistizio, dal porto
italiano di La Spezia al porto inglese di Malta.
Angelo
Francesco
Papini
fu Angelo e Parise Rosa
Civile - Operaio TODT1, classe 1913 (anni 31)
Caduto il 18 novembre 1944 in località Laghetto a Vicenza, lungo la Strada Statale Marosticana, a seguito di bombardamento aereo Alleato con obiettivo l'Aeroporto Militare di Vicenza.
Giuseppe
Parise
fu Augusto e Grotto Anna
P.O.W. – Prisoner of war (Prigioniero di guerra), classe
1913 (anni 28).
Già volontario del 3° Battaglione Camice Nere in Africa
Orientale Italiana (A.O.I.), di stanza a Mogadiscio, nell'
allora Somalia Italiana, è catturato dagli inglesi nel gennaio
'41.
Deceduto per malattia il 13 giugno 1941, nel Campo di
prigionia di Berbera, nella allora Somalia Inglese.
Lelio Parise
fu Emilio e Balasso Erminia
Civile - Operaio TODT1, classe 1914 (anni 30).
Caduto il 18 novembre 1944 in località Laghetto a Vicenza, lungo la Strada Statale Marosticana, a seguito di bombardamento aereo Alleato con obiettivo l'Aeroporto Militare di Vicenza.
Massimiliano fu Massimiliano e Gabrieletto Caterina,
Peruzzo
classe 1919 (anni 26)
I.M.I.– Internato Militare Italiano, N° 39715
Volontario della Libertà.
1
- Organizzazione TODT, formazione ausiliaria dell'esercito tedesco che costruiva essenzialmente fortificazioni militari servendosi di manodopera italiana reclutata direttamente o
indirettamente con la forza.
25
Già Geniere del 24° Reggimento Genio, 26° Corpo
d'Armata, 11^ Armata, di stanza a Gianina in Epiro (Grecia). Catturato, è internato nel Stommlager XVII/A Kaisersteinbruch, Wehrkreis XVII, presso Vienna, in Austria.
Caduto nel lager nazista il 10 marzo 1945. Riposa in una
"fossa comune" del Cimitero Militare Italiano di Reiferdorf, presso Mauthausen, in Austria.
Umberto
Resti
fu Lorenzo e Santacaterina Costantina
P.O.W. – Prisoner of war (Prigioniero di guerra)
classe 1921 (anni 22).
Già Artigliere del 10° Gruppo, 40° Reggimento Artiglieria
Contraerea in Sicilia, è catturato dagli inglesi nel luglio '43,
dopo lo sbarco Alleato.
Disperso in mare il 6 gennaio 1944, per l'affondamento
del piroscafo che lo portava prigioniero in Inghilterra.
Giuseppe
Saccardo
fu Girolamo e De Poi Elisabetta
Deportato Politico – Volontario della Libertà, classe 1926
(anni 19).
Già Partigiano della Brigata "Loris", Divisione Alpina
"Monte Ortigara", Gruppo "Mazzini". Catturato nel rastrellamento di Montecchio Precalcino dell'11 agosto '44,
successivamente torturato e imprigionato a Vicenza, il 18
novembre viene deportato con il fratello Bruno in Germania, nel Lager di Leihtmberg, nei pressi di Berlino.
Caduto nel lager nazista il 21 aprile 1945.
Sefferino
Sanson
fu Sanson Maria Teresa2
Fante, classe 1920 (anni 23).
2^ Compagnia, 153° Battaglione Mitragliatori Someggiati,
di stanza a Faenza (Ra).
Deceduto il 6 gennaio 1943, presso l'Ospedale Militare di
Padova.
2
26
- Dopo la morte prematura della madre, Sefferino fu allevato dalla zia Sanson Matilde.
Angelo
"Serafino"
Todeschini
fu Gio Batta e Dal Lago Emma
Artigliere Alpino, classe 1922 (anni 20).
3°Reggimento Artiglieria da Montagna, Divisione "Julia",
Corpo d'Armata Alpino in Russia, ARMIR.
Disperso in combattimento sul Fronte Russo, fra il 16 e il
31 gennaio 1943, durante la terribile ritirata dal Don al
Donez.
Antonio
Tresanti
fu Teodosio e Barbieri Maria
Artigliere, classe 1910 (anni 32)
15° Reggimento Artiglieria "Superga", Divisione "Puglie",
in Albania.
Deceduto il 27 giugno 1942, presso l'Ospedale Militare di
Bari.
Antonio
Valerio
fu Vincenzo e Meneghini Maria
Carabiniere, classe 1907 (anni 35).
25^ Sezione Motorizzata Carabinieri Reali, Corpo d'Armata Alpino in Russia, ARMIR.
Disperso in combattimento sul Fronte Russo il 18 gennaio 1943, durante la terribile ritirata dal Don al Donez.
Beniamino
Vendramin
fu Gio Batta e Dalla Stella Anna
Caporal maggiore d'Artiglieria Alpina, classe 1912 (anni 30)
Reparto Comando, Gruppo Udine, 3° Reggimento Artiglieria da Montagna, Divisione "Julia", Corpo d'Armata
Alpino in Russia, ARMIR.
Disperso in combattimento sul Fronte Russo, fra il 16 e il
31 gennaio 1943, durante la terribile ritirata dal Don al
Donez.
Silvio
Vendramin
fu Francesco e Radin Maria
Artigliere Alpino, classe 1922 (anni 20).
34^ Batteria, Gruppo Udine, 3° Reggimento Artiglieria da
Montagna, Divisione "Julia", Corpo d'Armata Alpino in
Russia, ARMIR.
Disperso in combattimento sul Fronte Russo, fra il 16 e il
31 gennaio 1943, durante la terribile ritirata dal Don al
Donez.
27
Antonio
Zambon
fu Gaetano e Leopoldin Cornelia
Artigliere, classe 1922 (anni 20).
61° Gruppo, 30° Reggimento Artiglieria, 29° Corpo d'Armata in Russia, ARMIR.
Disperso in combattimento sul Fronte Russo nel dicembre 1942, durante l'offensiva Sovietica "Piccolo Saturno".
Dario
Vittorio
Zanin
fu Luigi e Pizzato Maddalena
Artigliere, classe 1921 (anni 21).
56^ Batteria da 20/20, 2° Reggimento Artiglieria da Montagna, Divisione "Tridentina", Corpo d'Armata Alpino in
Russia, ARMIR.
Caduto in combattimento sul Fronte Russo il 3 dicembre
1942, sul fiume Don, presso Podgornoje.
Giovanni
Zanin
fu Luigi e Pizzato Maddalena
Bersagliere, classe 1913 (anni 29).
Reggimento Bersaglieri di stanza in Libia.
Disperso in mare nel gennaio 1943, per l'affondamento
della nave che dall'Africa lo portava a casa in licenza, concessa per la morte del fratello Dario.
Giuseppe
Zanotto
fu Giuseppe e Testolin Elena
Alpino, classe 1920 (anni 20).
59^ Compagnia, Battaglione "Vicenza", 9° Reggimento
Alpini, Divisione "Julia", in Albania.
Caduto in combattimento sul Fronte Greco-Albanese il
12 febbraio 1941, sul Costone Cristo Basileos, in Grecia.
28
26 settembre 2005 - Cimitero Militare Italiano di Reiferdorf - Mauthausen:
"Onore ai Caduti".
27 settembre 2005- KZ di Mauthausen:
"Per non dimenticare"3
3
- Il "viaggio della memoria" organizzato dal 26 al 28 agosto 2005 dall' Associazione "Amici della Resistenza" di Thiene, in collaborazione con il Comune e le scuole superiori di
Thiene, il Comitato per i gemellaggi di Cogollo del Cengio e l'Associazione Partigiani e Volontari della Libertà di Montecchio Precalcino, ha sempre fatto base nella cittadina di Mauthausen ed ha avuto come momenti caratterizzanti: la visita al Cimitero Militare di Reiferdorf, dove sono sepolti soldati italiani della Grande Guerra e Internati Militari Italiani della
Guerra di Liberazione (tra cui il nostro Massimiliano Peruzzo); l'incontro ufficiale con il
Sindaco e gli Amministratori comunali della cittadina; la visita al KZ Mauthausen (dove è
29
28 agosto 2006 - Memorial Crematorium KZ Gusen: "Piegati nel corpo da una tirannia al
tramonto, risorsero con lo spirito alla invocata libertà gli europei qui caduti",
3 settembre 2005 – Delegazione di Montecchio Precalcino, capeggiata dal Sindaco
geom Imerio Boriero, rende omaggio alle vittime di Mauthausen.
stato detenuto il nostro Francesco Campagnolo "Checonia"); la visita al Memorial Crematorium KZ Gusen (dove sono morti decine di Deportati politici vicentini); e prima della partenza, l'incontro fraterno e conviviale con la popolazione di Manthausen. Interessanti anche
le visite intelligentemente inserite nel programma di tre giorni, ai centri storici di Linz, Steyr
e all'Abbazia di St. Florian. Il "viaggio della memoria" a Manthausen viene organizzato ogni
anno.
30
Albo d'Onore
Antifascisti
(1921 – 1943)
LA PRIMA RESISTENZA
Fino al 1943 l'opposizione al fascismo coinvolse un numero limitato di
persone, prevalentemente intellettuali, ma anche operai, braccianti, contadini, falegnami, calzolai, tipografi, impiegati, ferrovieri, ...
Ciononostante ebbe l'importantissima funzione di testimoniare, lungo tutto
il periodo della dittatura, l'esistenza di un'Italia che non si piegava al fascismo; e rappresentò nel 1943, la cultura, la tradizione e l'organizzazione che
resero possibile la nascita della Resistenza armata.
Dire di no alla dittatura significava rinunciare ogni giorno alla vita, perché
chi era stato condannato per antifascismo era una persona a cui lo Stato faceva quello che voleva, comprese crudeltà disumane; quando una persona
subiva una condanna dal tribunale fascista, si trovava nella condizione di
poter essere ogni giorno perseguitato in tutte le maniere, subire ulteriori
condanne o ucciso.
La schedatura politica è stata uno dei pilastri portanti dell'apparato di controllo poliziesco sui cosiddetti "sovversivi". Mussolini ne fece un uso massiccio e quasi scientifico, arrivando a controllare centinaia di migliaia di cittadini. Per raccogliere l'enorme mole di dati necessari, il Ministero dell'Interno si avvalse dei Prefetti, della Polizia di Stato, di informatori occasionali
e di professione, di delatori, di agenti dell'OVRA.
In Provincia di Vicenza, il totale degli "schedati" è stato di 1.935 (1.346
uomini e 589 donne); e di tutti questi gli ammoniti o diffidati sono 190 (164
uomini e 26 donne), i giudicati dal Tribunale Speciale o dalla Magistratura
Ordinaria sono 177 (164 uomini e 13 donne), i confinati o detenuti politici
sono 154 (123 uomini e 31 donne).
31
A Montecchio Precalcino il totale degli schedati dalla polizia vicentina sono
stati quattro e di questi due gli ammoniti (Michele Garzaro e Luciano Ferracin), uno giudicato dal Tribunale Speciale e confinato (Francesco Campagnolo "Checonia"). Tutti gli altri Antifascisti o non vengono proprio individuati, o sono schedati all'estero, magari sotto altre generalità.
La Resistenza di questi uomini, cominciata con l'avvento del fascismo, è
un patrimonio di grandissimo valore morale e politico; uomini che hanno
continuato sempre a sperare, hanno creduto nella libertà ed hanno combattuto per affrancare l'Italia dal fascismo, anche se non sapevano se e quando
avrebbero raggiunto il loro obiettivo.
C'è stata dunque questa prima Resistenza, la quale ha avuto come protagonisti uomini di grande spessore morale, politico e culturale, che hanno poi
preso parte – quelli sopravvissuti alla persecuzione fascista – alla Guerra di
Liberazione, avendo già prima espresso e motivato le loro ragioni di opposizione alla dittatura.
Anche questa è Resistenza.
Giovanni
Anapoli
32
***
fu Girolamo e Meneghin Maria, classe 1907.
Esponente del Partito Socialista Clandestino già dal 1933
e amico personale di Sandro Pertini e Pietro Nenni, massimi dirigenti del movimento antifascista e socialista italiano ed internazionale. Riesce a non essere schedato dalla
polizia politica.
Durante la guerra presta servizio militare a Venezia, nella
7^ Legione Territoriale della Regia Guardia di Finanza
"Due Piavi", dove continua la sua attività politica clandestina. Il 20.07.43, probabilmente per necessità dell'organizzazione clandestina, viene trasferito al magazzino del
57° Regg. Fanteria di Vicenza.
L'8 settembre '43, sbandato, torna a casa, mantenendo i
contatti con il Partito tramite il CLN Vicentino. Dopo la
Liberazione, rappresenta il PSI nel Comitato di Liberazione Nazionale di Montecchio Precalcino e nel 1946, eletto
Consigliere Comunale, è nominato Vice-Sindaco.
Per la sua alta statura politica e morale, sia il Circolo Socialista, che il Centro di Studi Storici di Montecchio Precalcino, portano il suo nome. Vedi anche Albo "CLN" e
"Patrioti".
Martino
Rizzieri
Baio
"Balanson"
fu Antonio e Manente Santa, classe 1901.
Impiegato alla Lanerossi di Schio, militante comunista e
dirigente sindacale, amico di Pietro Tresso "Blasco", esponente di spicco del Movimento Operaio Vicentino e
Internazionale. Componente della "Fanfara Rossa" del
Circolo Operaio di Magrè di Schio.
Fuoriuscito in Francia dal luglio 1923, dopo varie intimidazioni e pestaggi subiti dai fascisti locali. Non rientrerà
più in Patria. Sposa Romilda Garzaro, classe 1903, fu Ottone Antonio, sorella di Michele e Romeo Garzaro.
GioBatta
Baio
“Tita
Balanson"
fu Antonio e Manente Santa, classe 1898.
Militante comunista, fuoriuscito con il fratello Martino in
Francia nel luglio 1923, dopo varie intimidazioni e pestaggi subiti dai fascisti locali. Sia "Tita" che Martino vengono individuati in Francia da due agenti dall'OVRA, due
loro concittadini, ...«omissis»..., che probabilmente sono la
causa anche della morte del "Martini Broeia".
Componente della "Fanfara Rossa" del Circolo Operaio di
Magrè di Schio. Non rientrerà più in Patria.
Michele
Dario
fu Ottone Antonio e Leoncin Antonietta, classe 1901.
Fuoriuscito in Francia negli anni '20, riesce a rientrare in
Patria nel 1933 come militante del PCI clandestino. Riesce
a non essere individuato e quindi schedato sino al 1937,
quando lo è, ma come "anti-fascista apartitico".
Da allora, pur non essendo mai individuato quale componente di una "cellula comunista", è più volte ufficialmente "ammonito" e ogni qualvolta c'è una manifestazione del regime in provincia, Michele viene “trattenuto preventivamente” per alcuni giorni nella Caserma dei Carabinieri o della Milizia (MVSN) di Dueville; é incarcerato più
volte a San Biagio e almeno una volta a Verona.
Vedi anche Albo "Patrioti".
"Micheleto"
Garzaro
Romeo
Garzaro
fu Ottone Antonio e Leoncin Antonietta, classe 1898.
Militante comunista, fuoriuscito in Francia negli anni '20,
non rientrerà più in Patria. Di lui non si hanno notizie di
schedature, probabilmente per le stesse ragioni sopra
menzionate per i fratelli Baio.
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1922 – La famiglia di Baio Antonio "Balanson".
Da sinistra in piedi: Pierina, classe 1910; Cecilia "Ida", classe 1904; Maria, classe 1906; Romilda Garzaro, classe 1903, fu Ottone Antonio e Leoncin Antonietta; Gio Batta, classe
1898; Antonio, classe 1900; Martino Rizzieri, classe 1901. Seduti: mamma Santa Manente,
classe 1879, fu Giovanni e Pavaro Anna e papà Antonio, classe 1869, fu Antonio e Todeschini Cecilia. Da sinistra in prima fila: Bruno, classe 1919; Italo Guerrino, classe 1916; Vito
Ernesto, classe 1913.
Francesco
Campagnolo
"Checonia"
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fu Pietro e Qualbene Maria, classe
1906.
Militante comunista, fuoriuscito in
Belgio nel 1927, dal novembre
1936 è volontario "garibaldino"
delle Brigate Internazionali nella
guerra di Spagna. Partecipa a parecchie battaglie e rimane ferito
nel 1937. Nel 1939 le Brigate Internazionali sono costrette ad abbandonare la Spagna e si ritirano
in Francia. Nel 1941, con l'insediamento del regime collaborazionista e nazifascista di Vichy , Francesco viene catturato
e imprigionato nel Campo di Concentramento di Vernet.
Nel febbraio 1942 viene consegnato dai francesi alla polizia
italiana e il 3 aprile 1942 è deferito alla Commissione per il
Confino di Vicenza.
Viene destinato nell'isola di Ventotene per 5 anni.
Risultava schedato già dal 1937 presso il "Casellario Politico
Centrale" di Roma, con tanto di biografia ed inserito nella
"Rubrica di Frontiera".
Liberato con la caduta del fascismo nell'agosto del 1943, torna a Montecchio Precalcino, dove inizia subito ad organizzare
la Resistenza Armata.
Politicamente e militarmente preparato, è l'uomo giusto per
organizzare e dirigere la guerriglia partigiana, ma nell'agosto
'44 viene nuovamente arrestato e "deportato" nel Konzentrationslager (KZ - lager di punizione e sterminio) di Mauthausen, nell'alta Austria.
Francesco torna a casa il 20 luglio 1945, ma non sarà più
l'uomo di un tempo; vent'anni di lotte e privazioni, ma soprattutto più di un anno di KZ, lo hanno irrimediabilmente
piegato nel fisico e nella mente. Muore a Montecchio Precalcino il 29 dicembre 1970.
Vedi anche Albo "Deportati" e "Partigiani"
Manifesto delle Brigate Internazionali, in cui militò il
‘garibaldino’ Francesco Campagnolo, che vuole simboleggiare l’unione mondiale di
tutti i popoli e le razze a fianco della Repubblica spagnola.
“Tutti i popoli del mondo sono
nelle Brigate Internazionali a fianco del popolo spagnolo.”
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Francesco
e Luigi
Caretta
"Rigati"
fu Giuseppe e Rasotto Maria, classe 1903 e 1906.
Socialisti. Fuoriusciti in Francia nel luglio 1923, dopo varie intimidazioni e pestaggi subiti dai fascisti.
Alessandro
Tressanti
fu Teodosio e Barbieri Maria, classe 1904.
Socialista. fuoriuscitoin Francia nel luglio1930.
Fratello dell'I.M.I. Giuseppe Tressanti e dell'Artigliere Antonio Tressanti, deceduto a Bari nel '42, sposa Angela Caretta, sorella di Francesco e Luigi Caretta "Rigati".
"Martini"
fu n. n., classe 1904.
Socialista. Fuoriuscito in Francia nel luglio 1923, dopo varie intimidazioni e pestaggi subiti dai fascisti locali.
Ucciso in Francia da sicari fascisti qualche anno dopo il
suo espatrio clandestino.
Vedi anche vicenda fratelli Baio ed agenti OVRA.
Figliastro adottivo di Martini Bortolo "Broeia", classe
1877.
1932 – In occasione del decennale dell'avvento del fascismo , al Palazon avviene la piantumazione del cipresso in ricordo di Arnaldo Mussolini (1885-1931, fratello del Duce).
Al comando del picchetto della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN),
troviamo Iacopo Ugo Basso, futuro Colonnello delle Brigate Nere repubblichine.
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Vittorio
Giaretta
fu Giovanni e Grigoletto Maria,
classe 1890.
Combattente nella Guerra di Libia e Ardito della Grande Guerra, ha saputo tener testa ai fascisti per tutto il "ventennio".
Punto di riferimento del Partito
d'Azione a Montecchio Precalcino, durante la Resistenza è in
contatto con il Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.).
Dopo la Liberazione viene nominato nel C.L.N. locale e
nella Giunta Municipale Provvisoria, dove ricoprirà per
un breve periodo anche l'incarico di Sindaco (sostituirà
Francesco Balasso il 7 settembre '45 e rimarrà in carica sino al 15 gennaio 1946, sostituito dal Dott. Carlo Saccardo). Vedi anche Albo "Patrioti", "CLN" e "Prima Giunta
Municipale".
Sebastiano
Giaretta
fu Michelangelo e Menin Costantina, classe 1902.
Di simpatie socialiste e azioniste.
Padre di Michelangelo Giaretta,
Partigiano e Deportato Politico,
Cugino di Vittorio Giaretta.
Vedi anche Albo "Patrioti".
Angelo
Giovanni
Laggioni
fu Fortunato e Chemello Domenica,
classe 1894.
Di idee socialiste, convinto anti-tedesco. Custode e giardiniere del Cimitero Britannico. Nonostante il suo convinto anti-clericalismo, collaboro strettamente con Antonio Sabin e Don Marcon, fu il custode attento e preciso di
gran parte del materiale bellico del gruppo partigiano di
Montecchio, che nascondeva anche nel cimitero civile.
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4 novembre 1934 – Omaggio ai caduti al Cimitero Britannico. In primo piano con la fascia
al braccio si riconosce Angelo Laggioni, Antifascista di Montecchio Precalcino.
"Luciano"
Giovanni
Giobbe
Ferracin
fu Giuseppe e Cattelan Maria, classe 1894.
Antifascista, maestro di Musica, musicista di teatro e varietà, sarto. Sposa Rossi Maddalena a Thiene nel 1927, ma
nasce ed abita a Montecchio in Contrà Stivanelle 191.
Schedato dalla polizia politica dal 1932 e più volte ammonito. Emigra a Thiene nel 1949, dove muore nel 1975.
Francesco
Sattezzi
fu Giuseppe e Moro Giulia, classe 1888.
Antifascista, contadino, sposa Marchiorato Anna nel
1923. Schedato dalla polizia politica dal 1927 sino al 1929,
quando emigra in Francia e fa perdere le sue tracce. Muore a Padova nel 1962.
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1928 – 4 novembre – Cimitero Britannico di Montecchio Precalcino.
1937- La Scuola Elementare di Montecchio Precalcino al "Palazzon".
Da sinistra, prima fila in alto: Giulio Duso, Gino Pobbe, Nicola Gasparini, Francesco "Cesco" Bortoli, Gasperino Passarin, Gregorio Zanin, Michelangelo Giaretta, Giuseppe "Pino"
Balasso, Francesco Balasso, Dall'Osto (Posina), Giuseppe Terraran.
Da sinistra, fila centrale: Egidio Pesavento, Nilla Zuccato, Dina Tonta, Garzaro Rosa, Rosina De Vicari, Antonia Giaretta, Maria Benincà, Ofelia Gigli, Natalina Zuccato.
Da sinistra, prima fila in basso: Lino Sbabo, Bruno Dal Carobbo, Giovanni "Nonin" Giaretta, Cirillo Borriero, Silvano Danazzo, Irma Squarzon, Solidea Gasparini, Petra Povolo,
Battistina Garzaro.
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L'ARMISTIZIO DELL'8 SETTEMBRE 1943
L'8 settembre del 1943, l'armistizio concesso dalle potenze occidentali, segnò per l'Italia, non solo il giorno della sconfitta, ma l'inizio del più drammatico periodo della sua storia contemporanea.
Esso venne preceduto dal crollo istantaneo del regime, con la caduta del
suo dittatore, il 25 luglio, ad opera dello stesso Gran Consiglio del Fascismo.
Il Gen. Badoglio aveva dichiarato, dopo l'arresto di Mussolini, avvenuto
per ordine del Re, che la guerra sarebbe continuata, sperando così di ingannare i tedeschi.
Questi, invece, sin dal maggio precedente, avvertiti del probabile cedimento
militare dell'Italia, avevano predisposto tutte le misure per occupare il territorio italiano e neutralizzare le sue Forze Armate.
L'8 settembre fu quindi l'epilogo finale di una alleanza sbagliata e innaturale, iniziata e condotta per scopi e con modalità che erano contro il diritto
delle genti e le più elementari regole della convivenza tra i popoli.
Di conseguenza crollarono le istituzioni dello Stato e delle sue Forze Armate e, con esse, la speranza nella fine della guerra.
Da quel momento, iniziò quel dualismo di schieramenti e di scelte ideologiche che dovevano condurre alla spaccatura del Paese, mentre sul territorio
nazionale, si stabiliva un nuovo fronte fra la Germania e le Potenze Alleate.
Da una parte, si schierarono i fedeli alla continuità dell'alleanza con i tedeschi, malgrado fossero ora divenuti i nostri invasori, dall'altra quelli che insorsero contro di essi ed i loro crudeli metodi di comportamento.
Nacque così la Resistenza, fenomeno nuovo per il Paese, destinato al cambiamento radicale delle sue future Istituzioni.
"Così che, quando si parla di «morte della Patria», come effetto di quella
rovina, si dimostra di non comprendere a fondo il significato di quegli avvenimenti che è più giusto definire come «la più pesante eredità che la guerra perduta abbia trasmesso alla nuova Repubblica Italiana».
Quella «morte», in verità, ci fu, ma delle Istituzioni dello Stato e non delle
sue capacità di ripresa". (Gen. Ilio Muraca)
Questo concetto lo ritroviamo nelle parole che il Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi pronunciò ai cittadini dopo aver appuntato la
Medaglia d'Oro al Valor Militare sul Gonfalone del Comune di Piombino:
"Ho voluto fortemente questo appuntamento con voi. Ho desiderato conferire di persona la Medaglia d'Oro al Valor Militare ad una città nella quale,
dopo l'8 settembre 1943, soldati e marinai si unirono ai cittadini, operai e
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portuali, e impugnarono le armi a difesa della dignità della Patria. Piombino
ha combattuto. Ha respinto i primi assalti delle truppe naziste. Ha dato un
esempio di coraggio che tutti gli italiani non devono dimenticare.
Alcuni "Reduci di Russia" di Montecchio Precalcino.
Da sinistra, in alto: Antonio Campagnolo "Camparo" (classe 1911) e Giovanni Fogliato "Rosso
Baracca" (classe 1918).
Da sinistra, in seconda fila: Giuseppe Garziera (classe 1909), Gio Batta "Tulio" Vaccari (classe 1916 ),
Tulio "Massimo" Testolin (classe 1921), Guerrino Peruzzo (classe 1913), Modesto Dall'Igna (classe
1920), Gaetano Garzaro (classe 1921), .....Costa (classe ), un reduce da Centrale di Zugliano, Pierino
Gallio (classe 1922), Pauletto Giuseppe (classe 1921).
Da sinistra, in prima fila: Luciano Stella (classe 1909), un reduce da Fontaniva (Pd), Igino Berlato
(classe 1909), Antonio Nemo (classe 1913), Romano Dal Lago (classe 1908).
Che cosa fu l'8 settembre 1943. per noi, per la generazione che l'ha vissuto? L'8 settembre non è stato, come qualcuno ha scritto, la "morte della Patria". Certo, l'8 settembre ci fu la dissoluzione dello Stato. Vennero meno
tutti i punti di riferimento ai quali eravamo stati educati. Ma fu in quelle
drammatiche giornate che la Patria si è riaffermata nella coscienza di ciascuno di noi. Ciascuno di noi si interrogò, nel suo intimo, sul senso del proprio
far parte di una collettività nazionale, su come tener fede al giuramento fatto
alla Patria.
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Nelle scelte dei singoli italiani, in quei giorni, la Patria rinacque; rinacque
nella nostra coscienza.
E la rinascita, l'anelito di libertà e giustizia, il sentimento di dignità nazionale, si sono poi consolidati e hanno assunto espressione nella Costituzione
Repubblicana.
Fu, quell'8 settembre 1943, per noi giovani, un momento drammatico, di
turbamento, di riflessione, di scelta.
La dissoluzione dello Stato e dei vertici civili e militari fu un trauma spaventoso, al quale sentimmo di dover reagire.
Anche chi non ha vissuto quei giorni, gli italiani di oggi, soprattutto i giovani, devono qualcosa a tutti coloro che dopo l'8 settembre reagirono, perché è grazie a loro che l'Italia è rinata.
Noi ricordiamo tutti coloro che in quei giorni non si arresero. E non furono pochi. Purtroppo, l'assenza di una «guida» rese frammentarie e quindi
condannate all'insuccesso quelle pur nobili reazioni che videro uniti militari
e civili.".
Ma, non va dimenticato che la Nazione, ancora per un pezzo, sarebbe
rimasta quella che era, con le sue croniche contraddizioni, che si sarebbero
rivelate nelle scelte di campo che seguirono la restaurazione del fascismo,
dopo la liberazione di Mussolini e la fondazione della "Repubblica di Salò".
E questa volta si era aggiunto anche la messa in discussione della sovranità
del Re, fuggito da Roma, e con il suo Governo accusato di aver tradito l'alleanza con la Germania. A tal proposito il significato della cosiddetta "fuga"
del Re, nel meridione d'Italia già liberato, andrebbe però riveduto.
"In realtà, quella partenza improvvisa del monarca, che rappresentava la
suprema autorità dello Stato, era motivata dalla necessità di sottrarsi alla cattura dei tedeschi ed a garantire quella continuità istituzionale che in nessun
altro modo poteva essere ottenuta.
Piuttosto, la colpa maggiore fu la fuga del governo e dei vertici militari, che
non potrà mai essere contestata.
Cosa ne fu di quei Comandi in frenetica attesa di ordini? Cosa, di quelle
centinaia di migliaia di uomini, in Italia e nei territori stranieri, che erano già
in contatto dei tedeschi e perciò prossimi alla cattura che volevano evitare,
perché ancora in grado di combattere?
Accadde che le responsabilità del comando scalarono fino ai minori livelli
di grado, anche se non pochi generali finirono per pagare, con la fucilazione, l'aver osato opporsi all'alleato del giorno prima.
In quelle tragiche circostanze, non deve sorprendere più di tanto se la massa dei militari, sul territorio nazionale, lasciò le caserme, dopo cruenti ma
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sporadici atti di reazione, come se qualcuno avesse loro ordinato: «tutti a casa!».
D'altronde, era avvenuto così anche per altri eserciti, come quello francese
e belga, sotto l'incalzare delle armate tedesche. Ma quelle erano loro nemiche sin dall'inizio della guerra e, perciò, quegli eserciti non furono soggetti a
quella crisi del rovesciamento improvviso di un'alleanza, come invece fu per
quello italiano, che poi venne tacciato di tradimento". (Gen. Ilio Muraca)
Diverso, come vedremo in seguito, fu il comportamento delle unità italiane
dislocate all'estero, dove la lontananza dalla Madre Patria rendeva problematico raggiungerla.
Ma a proposito del "tradimento italiano", ci sembra doveroso dire che "la
fedeltà all'alleato" cui l'Italia avrebbe mancato, è più un concetto da "compagnia di ventura" di medievale memoria, piuttosto che l'elemento fondante
di uno Stato moderno e indipendente, che tale vuole rimanere. E ciò in
quanto il concetto di fedeltà o di alleanza non può essere scambiato per
connivenza al delitto, né con l'obbedienza ai piani eversivi del mondo ed alla
volontà di sopruso sulle altre nazioni manifestati dal nazismo e dal fascismo.
Qualsiasi alleanza non può mai resistere al di là di un limite dal quale un
popolo non possa più tornare indietro.
E inoltre, uno storico tedesco, Kubj, parla di "tradimento tedesco", per non
aver ottemperato agli impegni presi con l'alleato, di rifornirlo di armi, materie prime, nafta, con conseguenze devastanti per l'efficienza delle sue Forze
Armate.
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Giugno 1942. Torino – Soldati italiani e tedeschi in posa accanto ad una preda di guerra,
un "tankette" o "cavallo meccanico", veicolo corazzato da trasporto francese, mod. Chenillette Renault. Il nostro concittadino Rino Dall'Osto (classe 1922), è quello in seconda fila,
sullo sfondo, tra il soldato tedesco seduto, con la cravatta, e quello in piedi con il sigaro.
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Albo d'Onore
Resistenti dell’8 settembre
(Decorati con Croce al Merito di Guerra)
LA PRIMA RESISTENZA ARMATA
All'indomani dell'armistizio dell'8 settembre 1943, che lasciò il Regio Esercito Italiano abbandonato a se stesso, e malgrado l'immane e organizzatissimo rastrellamento tedesco, alcuni reparti militari italiani si rifiutano di
arrendersi ai tedeschi, e iniziarono la prima Resistenza armata contro il nazifascismo. Uno scontro impari, che ha scritto la pagina più nobile dell'Esercito Italiano durante la Seconda Guerra Mondiale.
L'8 settembre 1943, com'è stato più volte riferito, le nostre Forze Armate, dopo essersi comportate onorevolmente, malgrado la cronica penuria di
mezzi a loro disposizione, furono costrette a capitolare.
La guerra era stata devastante, non solo per le unità militari, che rappresentano, in ogni epoca, la forza di una nazione, ma anche per la sua parte più
indifesa ed esposta alle offese di un conflitto: la popolazione civile.
Eppure, malgrado le tragiche circostanze nelle quali vennero sopraffatti,
l'Esercito, la Marina, l'Aeronautica ebbero la forza di risorgere. Il cammino
è stato lungo, cosparso di difficoltà e di caduti.
Questo è accaduto perché l'armistizio non portò la pace che il popolo italiano desiderava più di ogni altra cosa, bensì ulteriori distruzioni, la prigionia
per decine di migliaia dei suoi militari, i lager ed i campi di sterminio nazisti,
la deportazione in Germania come lavoratori e, infine, il fenomeno della
guerra partigiana.
Ognuno di coloro che hanno vissuto quei mesi ha una storia da raccontare,
e le lacerazioni del tessuto sociale di allora non si sono ricucite completamente neppure oggi. Di questo devono essere coscienti soprattutto i giovani, perché spetta ad essi l'insostituibile funzione di stimolo ai moti di rinno45
vamento e di perfezionamento della società, le cui radici affondano anche
nei grandi valori che quegli avvenimenti finirono per esprimere.
D'altronde, sono sempre stati i giovani, con i loro slanci e con la loro generosità, sia pur contraddistinta da qualche intemperanza e rifiuto delle regole
correnti, a portare avanti il discorso della liberazione dell'uomo dalla soggezione, per una sua più giusta collocazione nella società e per proporsi come,
"soggetto" e non solo "oggetto" di storia.
1943- Provenza francese. I moderni mezzi (sic!) dell'5° Reggimento Artiglieria di C. d'A.
A cavallo, è riconoscibile l'artigliere Francesco Bortoli "Coa" (classe 1921).
Ma per tornare al drammatico momento dell'8 settembre, rifacciamoci
proprio ai giovani che vissero quell'evento, proponendo, come esempio, il
racconto di uno di loro, così come è rimasto impresso nel suo ricordo di
ufficiale di prima nomina, colto dall'armistizio in un paese straniero. Egli
così ricorda quei momenti:
"A vent'anni si fanno cose che, più avanti, la ragione e l'esperienza non
consiglierebbero più. Fu per questo che, quel mattino del 10 settembre
1943, potei comportarmi, con giovanile imprudenza, verso me stesso e gli
uomini di un plotone di bersaglieri che mi erano stati affidati. Eravamo ancora tutti storditi dall'improvvisa notizia della resa dell'Italia e da una lunga
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notte di veglia, in quel fortino di quota 222, a presidio della cinta difensiva
di Sebenico, città della Dalmazia, allora italiana.
All'alba del giorno 10, ero ancora sbigottito, a fissare quella striscia bianca
di strada che veniva da Zara, ove, poche ore prima, avevo veduto sfilare la
colonna motorizzata tedesca della 114^ Divisione, diretta ad occupare la città. In testa, sventolavano due grandi bandiere bianche e, dietro, seguiva una
lunga fila di autoblinde e di automezzi, lentamente e con estrema cautela. Il
motivo di quelle bandiere e di quella prudenza era chiaro: Sebenico passava
per una delle più agguerrite basi del litorale adriatico e l'ultimo ordine giunto
dal Comando Supremo, in fuga verso Bari, era stato quello di mantenerla ad
ogni costo. Perciò, la cinta perimetrale di robuste casematte ed il potente
schieramento arretrato di artiglieria, erano nello stato di massima allerta.
Il possesso di quel porto poteva significare la salvezza per migliaia di uomini, i quali, superato un breve braccio di mare, sarebbero sbarcati su un
qualsiasi approdo dell'Italia già liberata. L'ordine comprendeva anche quello
di resistere ai tedeschi, e chi dice che, ormai, a tutti i soldati italiani mancava
la volontà di farlo, commette un grave errore. Io stesso ne ebbi la prova. Infatti, dopo la baraonda della sera dell'armistizio, per la guerra finita, mentre,
sulle alture circostanti, i partigiani si davano a fuochi di gioia, i miei bersaglieri, all'ordine di occupare i posti di combattimento, non avevano fatto
una piega. E chi dava loro quell'ordine era un pivello come me, appena
giunto dall'Accademia, tanto che alcuni di quegli uomini avrebbero potuto
essere suoi padri. Ma avevo dato un comando ed essi lo seguirono. Elmetto
in testa, col pennacchio ormai sfoltito da anni di naja, avevano presto posto
dietro le armi. Al riparo dei muretti di sassi, decisi a dar fuoco. Erano tornati
ad essere soldati, i reduci dai fronti di Grecia ed Albania, obbedienti e fedeli.
Il fatto che si sarebbero trovati di fronte i tedeschi, alleati del giorno prima,
non li turbava affatto. Non era affar loro. Purtroppo, il peggio sarebbe venuto di lì a poco, ma al di fuori della loro volontà.
Eravamo in attesa che la punta avanzata tedesca raggiungesse la linea di
apertura del fuoco, non più di cinquecento metri dalle nostre armi puntate.
Sapevo che non avrei avuto bisogno di altri ordini. Sapevo anche che il fuoco del mio fortino, il più avanzato del potente schieramento difensivo, avrebbe fatto partire, all'unisono, quello di tutte le artiglierie, orientate già
sullo stesso obiettivo. Ancora poche decine di metri e l'operazione si sarebbe svolta automaticamente, come da copione: mortai, mitraglie e cannoni
avrebbero aperto il fuoco, con un tiro infernale. Pensai fra me e me: «succeda quel che deve succedere». A vent'anni, si può ancora ragionare così.
Quando, improvvisamente, dal centralino, a pochi passi da me, si levò il
grido dell'operatore: «Signor tenente, non si spara più!»; un grido urlato più
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volte, come se, dall'altra parte del filo, una voce volesse avere una continua
conferma di un ordine che era in netto contrasto con quello ricevuto il giorno prima. Così, tutto cedette di schianto, in un'atmosfera di stupore, incredulità, ma anche di sollievo, per lo scontro evitato. Ma anche di rabbia, perché i tedeschi erano sulla strada sotto di noi, alla nostra mercé, con le loro
bianche bandiere che avevano un solo significato: «Sappiamo che siete molto più forti, non sparate; stiamo arrivando per metterci d'accordo ed evitare
lo scontro armato».
1941 – Riva del Garda. Alla caserma del 5°
Reggimento Artiglieria è l’ora del rancio.
I due “corvé cucina” sono i nostri concittadini, coscritti, nonché futuri cognati, Bortoli Francesco “Coa” e Pauletto Giuseppe
(classe 1921).
Da quell'istante, Sebenico venne consegnata nelle loro mani, e così il porto e le navi alla fonda, che avrebbero potuto riportare a casa tanti di noi, se
solo avessimo resistito. Invece, la nostra sorte era ormai segnata, con la cattura e l'internamento. E infatti, il giorno seguente, me li vidi arrivare, i miei
colleghi della Compagnia, già disarmati e con i volti segnati da uno scoramento infinito, dopo che era stato loro concesso, sulla parola, il permesso di
muoversi, restando nell'ambito del presidio. Anche adesso avrebbero potuto
riacquistare la libertà; un salto oltre il muretto e sarebbero fuggiti: Ma ormai
si sentivano svuotati dentro, per l'affronto di quell'inganno e perché troppo
ingiusto e improvviso era stato l'epilogo della loro coraggiosa esperienza di
soldati.
Mi chiesero di condividere la loro sorte di prigionieri. Non accettai, perché
vedevo ancora i tedeschi agitare quei drappi bianchi; loro, gli orgogliosi camerati di un'alleanza che si stava dimostrando così fragile. Inoltre, conser48
vavo ancora, stampato negli occhi, l'atto di sfida che, invece, i partigiani avevano lanciato ai "crucchi" quando, resisi conto del nostro cedimento, alcuni di essi erano improvvisamente sbucati dai cespugli ai lati della strada, a
pochi metri dalla colonna, sventagliando raffiche di parabellum sugli automezzi di testa, quelli delle bandiere, che erano state immediatamente ripiegate. Quegli uomini coraggiosi, che non avevo mai visto così da vicino e allo
scoperto, non si erano dati per vinti, ma noi si!
A quel punto, gli avvenimenti cominciarono a svolgersi in fretta: l'incontro la notte stessa con un sergente italiano, passato da tempo con i guerriglieri, con quella stella rossa sulla bustina che per me fu un vero shock, perché era il simbolo dell'eresia comunista, contro cui avevo combattuto fino
ad allora, e poi la lunga fila di partigiani dalmati, ai quali avevo aperto le porte del bunker, perché portassero via tutto l'equipaggiamento e l'armamento
trasportabile, alla svelta e in silenzio, per non allarmare i tedeschi, mentre i
miei bersaglieri guardavano quel via vai senza capirlo, avviliti per la loro sorte incerta.
Al mattino successivo, come mi era stato assicurato, vidi arrivare al fortino un partigiano, poco più di un ragazzo, per portarmi in salvo, al riparo da
un rastrellamento che, come seppi più tardi, i tedeschi puntualmente attuarono, per catturare me, ufficiale ribelle. Prima di partire, però, volli lasciare
un messaggio di saluto, puntigliosamente pensato durante quell'ultima notte
di veglia, a scherno di quei tedeschi e della loro arroganza verso i bersaglieri
del mio reggimento, disarmati e oltraggiati, anche se con il consenso di quel
Comando che aveva dato l'ordine di arrendersi. Avevo da poco interrotto la
lettura del libro – testamento di Hitler, «Mein Kampf», senza essere riuscito
a capirlo. Ricordo la sua copertina bianca, sovrastata da un'enorme svastica
nera, che l'occupava per intero. Quello sarebbe stato il mio messaggio, di ufficiale fedifrago ma libero. Infissi quel simbolo, bene in vista, sulla porta del
bunker, e mi incamminai, al seguito del giovane corriere. Scendendo verso la
costa, fantasticavo dentro di me parole di esaltazione e di rabbia, come si
possono concepire solo a vent'anni."
Questo è solo un esempio di quello che accadde il mattino del 10 settembre, in un modesto avamposto di un paese straniero, ad un ufficiale qualsiasi. Ma quante, identiche storie, piccole e grandi, si ripeterono in quei giorni
in Italia, in Francia, in Jugoslavia, in Albania, nelle isole del Dodecanneso, in
Grecia ed in tutti i territori occupati dalle nostre truppe: un esercito sessanta
volte più grande di quello "professionale" che abbiamo oggi, prima messo in
ginocchio e poi rapidamente disperso.
Rileggendo le memorie storiche, che pure hanno cercato di addolcire la
realtà, è di tutta evidenza il disorientamento degli alti comandi, lo smarri-
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mento delle unità, prive di ordini, ma anche la orgogliosa reazione di molti
uomini.
"Quei soldati vanno perciò considerati "Resistenti", alla stregua dei Partigiani e di tutti quelli che, in qualche modo, hanno ridato dignità all'Italia, per
aver "resistito" alle circostanze avverse, che li volevano definitivamente fuori gioco e irrimediabilmente sconfitti, dopo che la dittatura fascista l'aveva
condotti alla disfatta, sui fronti della Russia, dell'Africa e della Grecia, malgrado le loro straordinarie prove di coraggio.
Nei territori stranieri, occupati dall'Italia all'atto dell'armistizio, e cioè in
Corsica, Francia, e negli stati balcanici, sino alle isole del mare Egeo, non
poté verificarsi il fenomeno del "tutti a casa!", sia per la lontananza dai confini che, soprattutto, per una situazione diversa dalla nostra Patria, di prontezza operativa e dei vincoli disciplinari, esistenti nella maggior parte delle
unità dell'esercito, anche se soggette a lunghi mesi di logoramento, a causa
della persistente guerriglia fomentata dai movimenti di liberazione nazionali". (Gen. Ilio Muraca)
Saranno proprio i combattenti all'estero di queste grandi unità, con la loro lealtà, con il loro coraggio e spirito di sacrificio, con il loro valore, a cancellare il ricordo dell'aggressione militare italiana e a riabilitare il nome dell'Italia, pagando, solo nei Balcani, un prezzo proporzionato solo alla grandezza e alla nobiltà dell'impresa, con 53.166 Caduti.
In Italia, malgrado la gran parte dei Reparti fosse composta da anziani
territoriali, da giovani ancora in addestramento, da ciò che restava delle unità rientrate dall'Africa e di quello che fu il Corpo d'Armata Alpino in Russia,
la resistenza opposta alle aggressioni tedesche, subito dopo l'armistizio, fu
comunque sbalorditiva.
"Questi uomini, posti di fronte alla scelta tra una soluzione che avrebbe
comportato la salvezza della vita, ma non compatibile con la dignità dell'uomo e con la sua aspirazione alla libertà, decisero per la seconda, confermando la ferma volontà di resistere con le armi alla intimazione tedesca di
resa, confortata in ciò anche dalla fraterna solidarietà della gente del luogo.
Fu un moto spontaneo e consapevole, in un momento eccezionalmente
drammatico, di smarrimento e di incertezza, mentre crollavano tutte le strutture dello Stato, che portò migliaia di soldati a scegliere la strada giusta, anche se questa scelta comportava solamente sangue, stenti, sofferenze e sacrifici, dimostrando che avevano servito, servivano, avrebbero servito l'Italia e
non il fascismo". (Gen. Ilio Muraca)
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Tra questi uomini, ci sono anche molti nostri concittadini, quattro non torneranno: Campana Pietro di 32 anni, Giaretta Mario di 20 anni, Giuseppe
Mussi di anni 24 e Peruzzo Massimiliano di anni 26.
Anche questa è stata la Resistenza.
8 settembre 1943, dov'erano i soldati italiani
Le Forze Armate Italiane, all'8 settembre 1943, erano ancora forti di 53 divisioni: 17 nel territorio nazionale, 4 in Francia, 8 in Jugoslavia, 19 in Albania e Grecia, 3 nell'Egeo.
Una divisione-tipo contava dai 15.000 ai 16.000 uomini. Ma i militari italiani, compresi quelli della Marina e dell'Aereonautica, erano molti di più: si
parla di 3.840.000.
Utilizzando la struttura organizzativa del nostro Regio Esercito, tentiamo
ora di ricostruire cosa avvenne nei vari territori, nazionali ed europei, ai nostri concittadini in armi.
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II^ ARMATA ITALIANA – SLOVENIA, CROAZIA E BOSNIA ERZEGOVINA
La II^ Armata, con i suoi 223.000 uomini, operava nello scacchiere ex jugoslavo (attuale Slovenia, Croazia e Bosnia Erzegovina), alle dirette dipendenze dello Stato maggiore del Regio Esercito, con sede a Roma.
Aveva il Comando a Sussak, nei pressi di Fiume, ed era costituita da quattro Corpi d'Armata:
- il 5° Corpo d'Armata comprendeva la Divisione "Macerata", la Divisione
"Murge" (la quale era a temporanea disposizione del 18° C. d'A. per ciclo
operativo) e il 14° C. d'A. in fase di ricostituzione. Il Comando era dislocato a Cirquenizza, in Croazia;
- il 6° Corpo d'Armata comprendeva la Divisione "Marche", la Divisione
"Messina" e il 28° C. d'A. in fase di ricostituzione. Il Comando era dislocato a Ragusa, in Croazia;
- l'11° Corpo d'Armata comprendeva la Divisione "Lombardia", la Divisione "Isonzo" e la Divisione "Cacciatori delle Alpi". Il Comando era dislocato a Lubiana, in Slovenia;
- il 18° Corpo d'Armata comprendeva la Divisione "Bergamo", la Divisione "Zara" e il 17° C. d'A. in fase di ricostituzione. Il Comando era a Zara,
in Croazia.
Nell'area era presente la 14^ Divisione Motorizzata SS "Prinz Eugen" ed altre forze tedesche imprecisate.
Le operazioni militari italiane contro la Jugoslavia ebbero inizio il 6 aprile
1941.
Dopo la capitolazione jugoslava, i territori furono spartiti tra Germania,
Italia, Bulgaria e Ungheria, e furono creati due stati, la Croazia e il Montenegro (che divenne protettorato di Roma).
Gli italiani annessero le città di Spalato e di Cattaro; l'Albania italiana si prese il Kosovo; a Zara, già italiana dal 1918, furono aggiunti alcuni comuni
dell'interno, che andarono a formare il governatorato di Dalmazia, mentre a
Fiume, vennero aggregati alcuni territori tra la Slovenia e la Croazia (Kupano), assieme alla città di Sussak; in Slovenia fu creata la cosiddetta Provincia
di Lubiana.
Il Regio Esercito occupò vaste zone della Bosnia, l'intera Erzegovina, il
Sangiaccato e parte centrale e occidentale della Croazia.
La politica italiana di espansione nei Balcani, come ormai documentato dalla ricerca storica, venne contraddistinta da inaudite violenze, che non furono
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episodi isolati o eccessi di singoli, ma componenti essenziali della strategia di
dominio territoriale dell'Italia fascista.
"Eppure, quei crimini, come altri analoghi di cui si erano rese responsabili truppe italiane nei territori via via invasi, sarebbero stati destinati a svanire, corroborando lo stereotipo del "bravo italiano" che, alimentato dall'oblio, si è depositato in una memoria parziale ed edulcorata degli eventi. Una
memoria che, riprodotta ampiamente dalla memorialistica e dal cinema, restituisce un'immagine degli italiani come esclusivamente vittime e mai agenti
di violenza." (Costantino Di Sante)
Ma, quando arriva l'8 settembre i "nodi arrivano al pettine", comincia l'attesa di indicazioni, di ordini che non arrivano mai. Fiume, Zara, Spalato, Ragusa, Cattaro, si scoprono molto più lontane dall'Italia di quanto non dica la
carta geografica.
Diventa un rischio essere italiani dovendosi barcamenare fra partigiani di
Tito, truppe tedesche, ustascia di Ante Pavelic, fascisti assetati di sangue, i
cetnici del colonnello Mihajlovic, bande musulmane e bande di ladroni.
I nostri soldati in grigio-verde fanno il possibile per proteggere la popolazione. Avvengono scontri, si contano morti e tradimenti. Per settimane Zara
è sospesa in un limbo che è l'anticamera dell'inferno.
L'8 settembre 1943, Lubiana è già attaccata dai tedeschi, colonne motorizzate puntano su Zara e Spalato, a tutti i reparti giungono gli ordini perentori della Wehrmacht di consegnare le armi. La 14^ Divisione Motorizzata
SS "Prinz Eugen" è già da tempo inserita tra le unità italiane.
Il generale Robotti, comandante della 2^ Armata, ha
diramato l'ordine di non cedere ai tedeschi e di resistere,
ma l'esecuzione è complicata,
lo scoramento dilaga. Il quadro che emerge è quello di un
esercito votato al dissolvimento: ordini inadeguati,
spesso ambigui, talvolta sovrapposti; reparti in movimento, che si sganciano dalle
posizioni iniziali per assumere
un nuovo schieramento difensivo; unità disseminate in
zone molto ampie, di fatto
impossibilitate ad operare.
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Il tutto in un'atmosfera opprimente, sulla quale pesano la stanchezza psicologica di una guerra ormai persa, le incertezze sulle scelte di Vittorio Emanuele III e di Badoglio, le difficoltà di un teatro operativo dove ormai da
due anni la pressione dei partigiani slavi è costante.
Lontani da casa, presi in mezzo fra i tedeschi, gli ustascia (fascisti croati), i
cetnici (nazionalisti serbi) e i partigiani comunisti di Tito, in balia di mille
voci che sorgono e tramontano ad ogni ora, ciascuno deve trovare dentro di
se le motivazioni giuste.
In Slovenia, già il giorno 9, vengono sopraffatti i comandi del 9° C. d'A. a
Lubiana e della Divisione "Lombardia" a Karlovac. Attorno a Fiume viceversa si combatte per impedire ai tedeschi di impadronirsi della città e del
porto.
A Karlovac, il 255° Battaglione Mitraglieri, Divisione "Lombardia", dopo
aver rifiutato di cedere le armi, finite le munizioni, tenta un difficile sganciamento. Tra quegli uomini c'era anche
Antonio
Moro
fu Giacomo e Parisotto Carolina
Sergente Mitragliere, classe 1914.
Catturato dai tedeschi, è internato nello Dulag (campo di
transito e smistamento per i militari italiani) di Lubiana,
ma riesce a fuggire.
Torna a casa il 28 dicembre 1943 e collabora come "Patriota" alla Resistenza. Vedi anche Albo "Patrioti".
In Erzegovina la Divisione "Marche" contende ai panzer della Divisione
Motorizzata SS "Prinz Eugen" il litorale attorno all'antica Ragusa (Dubrovnik). Il Gen. Giuseppe Amico, catturato dai tedeschi e avventurosamente
liberato dai suoi soldati, li arringò, infiammandoli e inducendoli a una lotta
memorabile che si svolse all'interno delle torri e sugli spalti dell'antica fortezza veneziana. Non si verificò la sperata insurrezione della cittadinanza, a
causa di una forte presenza di partigiani non simpatizzanti con gli italiani e
di unità "ustascia" decisamente ostili. Quando cessò il combattimento il
Gen. Amico venne ucciso da un sicario dei tedeschi.
A Ragusa, con il 4° Reggimento Genio, Divisione "Marche", troviamo:
Serafino
Lubian
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fu Giuseppe e Pelli Isabella
Autiere, classe 1907.
Reduce di Russia con la Divisione "Pasubio"
Giuseppe
Matteazzi
Aldo Bruno
Sebastiano
Giuseppe
Sabin
fu Marco e Pigato Santa
Geniere, classe 1915.
fu Gio Batta e Gardellin Livia
Caporal maggiore del Genio, classe 1911
Tutti catturati dai tedeschi il 12 settembre 1943. Vedi anche Albo "I.M.I.".
Una strada diversa prende invece ...«omissis»... che aderisce al Terzo Reich.
I soldati della Divisione "Messina", sparpagliati e privi di indicazioni lottano
come leoni per quattro giorni. Il loro comandante, il Gen. Spicacci, che aveva condotto un'abile azione di contenimento delle unità tedesche fino ai
sobborghi di Ragusa, viene fatto sparire dopo essere stato selvaggiamente
torturato.
Le divisioni "Zara" e "Bergamo", con le unità d'appoggio costituite da
bersaglieri e cavalleggeri, cercano di mantenere l'ordine pubblico e di proteggere i connazionali.
La città di Zara viene occupata il 10, Sebenico l'11, ma a Spalato, la Divisione "Bergamo" resiste fino al 27, poi è costretta a capitolare. Quell'atto di
Resistenza fu seguito, il 1 ottobre, dalla fucilazione di 4 generali (Cigala,
Fulgosi, Pelligra, Policardi) e 46 ufficiali italiani, colpevoli di aver guidato la
resistenza delle truppe attorno a Spalato, di aver consegnato le armi ai partigiani jugoslavi o di aver con essi collaborato.
Francesco
Garzaro
fu Giuseppe e Variopinto Vittoria
Bersagliere, classe 1909, 11° Reggimento Bersaglieri, Divisione "Zara". Catturato dai tedeschi, a Zara il 12 settembre 1943. Vedi anche Albo "I.M.I.".
Mario
Giaretta
fu Faustino e Giorio Maria
Artigliere, classe 1924, 4° Reggimento Artiglieria Contraerea, Divisione "Bergamo".
Catturato dai tedeschi, a Spalato il 27 settembre 1943.
Vedi anche Albo "Caduti" e "I.M.I.".
Una strada diversa prende invece ...«omissis»...che aderisce al Terzo Reich.
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Il 260° Reggimento Fanteria, Divisione "Murge", dai territori della Bosnia e
della Erzegovina dove stava operando, dopo aver ceduto parte dell'armamento ai partigiani del E.P.L.J. (Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo), tenta di sganciarsi dai tedeschi e di rientrare in Italia. A sbarrargli la
strada, nei pressi di Fiume, i nazisti mettono in campo inizialmente alcuni
reparti italiani di "camice nere" collaborazioniste, per poi intervenire direttamente e costringere, ma solo il 18 settembre, il 260° alla resa.
Tra quei soldati italiani c'era anche
Antonio
Bortoli
"Coa"
fu Pietro e Fantinato Luigia
Fante, classe 1912,
Catturato dai tedeschi, a Fiume, il 18 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
A Fiume, in Croazia, combatte la 75^ Compagnia, 71° Reggimento di Fanteria, Divisione "Puglie", dislocata a Mattuglie, con compiti di presidio territoriale, e con essa, anche
Bruno
Veroncelli
fu n.n.
Fante, classe 1914,
Catturato dai tedeschi il 12 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
I Carabinieri, con la motivazione : "...abbiamo giurato fedeltà al Re, non
possiamo arrestare e consegnare a voi i suoi soldati!", rifiutano di collaborare con l'invasore germanico e i fascisti. Tra quegli uomini, a Fiume, c'era
Isidoro
Angelo
Peruzzo
fu Massimiliano e Gabrieletto Caterina,
Carabiniere, classe 1910. Arrestato dai fascisti il 10 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
Nei pressi di Fiume, con il 27° Settore Guardie alla Frontiera, erano accasermate le giovani reclute:
Sante
Carolo
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fu Giuseppe e Garzaro Maria
Guardia alla Frontiera, classe 1924.
Sbandato, riesce a tornare a casa ed entra nella Resistenza
Armata. Vedi anche Albo "Partigiani".
Emilio
Isidoro
Pauletto
fu Gilmo e Brotto Maria
G. a. F. Artigliere, classe 1924,
4^ Compagnia, 1 Battaglione d'Artiglieria
Catturato dai tedeschi, a Fiume, il 12 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
A Clana, sempre nei pressi di Fiume, con il 26° Settore Guardie alla Frontiera, c'era
Francesco
Bertacco
fu Paolo e Fioravanzo Teresa
Guardia, classe 1919,
Sbandato, riesce a tornare a casa e collabora come Patriota alla Resistenza.
Vedi anche Albo "Patrioti".
Sono tantissimi i civili che dall'oggi al domani si trovano esposti alle vendette dei tedeschi e dei croati. Anch'essi come i soldati saranno travolti dagli
eventi. Ormai, per chi desidera contrastare i "crucchi" la strada migliore è
offerta dall'esercito di Tito. In molti vi accorrono; tra di essi il Gen. Cerruti
che si batte da soldato semplice.
Non è facile però intendersi dopo che ci si è scannati fino al giorno prima.
Ciò nonostante, i pochi superstiti che sono riusciti a sottrarsi alla cattura,
spesso aprendosi la strada con le armi, si dirigono verso le montagne per unirsi ai partigiani jugoslavi. Sono proprio questi uomini a dar vita ai battaglioni "Matteotti" e "Garibaldi", che, inquadrati nella 1^ Brigata dell'Esercito di liberazione di Tito, combattono fino alla liberazione della Jugoslavia,
nel giugno del 1945. Quei due battaglioni, più volte decimati e, più tardi, rinforzati da altri militari italiani, liberati dai campi di prigionia tedeschi, vengono raggruppati nella Brigata d'assalto "Italia", che rientrò in Italia, a guerra
finita, in formazioni armate e ordinate, con il nome di Divisione "Italia".
Estate 1943 – Bihac / Plitvice, in Bosnia.
Gruppo di fanti del 260°
Reggimento Fanteria, Divisione "Murge".
Il nostro concittadino, Bortoli Antonio "Coa" (classe 12),
è il secondo in piedi da sinistra.
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14° CORPO D'ARMATA – ERZEGOVINA, SANGIACCATO E MONTENEGRO
Il 14° Corpo d'Armata, con i suoi 80.000 uomini, operava nel Erzegovina,
Sangiaccato e Montenegro, alle dirette dipendenze del Comando Gruppo
Armate Est.
Era costituito dalla Divisione "Venezia", Divisione "Ferrara", Divisione
"Emilia" e Divisione Alpina "Taurinense" ed aveva il comando a Podgorica.
Nell'area erano presenti due divisioni tedesche: la 118^ e la 7^ SS.
I fatti che si svolsero in quest'area, regione allora annessa all'Italia, ebbero
maggiore risonanza perché più estesa è stata la partecipazione delle unità regolari che non si erano arrese ai tedeschi. Per tale motivo il Montenegro, è
considerato l'esempio emblematico del concorso italiano alla liberazione del
popolo jugoslavo, attraverso vicende che imposero grandi sacrifici e migliaia
di perdite.
Nella storia di quella Resistenza risaltano i nomi di tre divisioni: l' “Emilia”,
la “Taurinense” e la “Venezia”. Le ultime due, dopo settimane di convulse
trattative, nelle quali la volontà di opporsi alla presenza germanica fu unanime, si fusero insieme per dar luogo alla Divisione Partigiana "Garibaldi".
Fu questa la più grande formazione italiana, costituitasi all'estero, dopo l'armistizio, che combatté in Jugoslavia fino al 21 febbraio 1945, quando ricevette l'ordine di rimpatrio.
L'8 settembre 1943, la mancanza di precise direttive sul comportamento
da assumere sia verso i tedeschi, sia verso gli jugoslavi, generò gravi incertezze, in una situazione politico-militare estremamente confusa e nella quale
non era facile orientarsi.
A fronte di questa situazione degli italiani, i tedeschi, che avevano già
pronto un piano operativo in previsione della caduta dell'Italia, iniziarono ad
attuarlo la notte stessa, fra l'8 e il 9 settembre.
Nel primo rapporto, tenuto dal comandante del corpo d'armata, Gen.
Ercole Roncaglia, i quattro comandanti di divisione precisarono la loro volontà di non arrendersi, tranne che da parte della "Ferrara", per l'opposizione di un buon numero dei suoi ufficiali.
Il 14° Corpo d'Armata dipendeva dal Comando Gruppo Armate Est, il
cui comandante, Gen. Rosi, il 10 settembre venne catturato da paracadutisti
tedeschi, mentre il suo sostituto, Gen. Dalmazzo, subito dopo fu costretto a
firmare la resa. Ma le divisioni "Taurinense" (Gen. Lorenzo Vivalda), e
"Venezia" (Gen. Giovani Battista Oxilia), assieme alla Divisione "Emilia"
(Gen. Ugo Buttà), erano ben decise a non capitolare, tanto che una batteria
del Gruppo "Aosta", della "Taurinense", sparò le prime cannonate del dopo
armistizio contro una colonna tedesca in avvicinamento. Quegli artiglieri si
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opposero con abnegazione alle soverchianti forze nemiche e una volta persi
i cannoni, si trasformarono in fanti e andarono a morire in un assalto disperato.
L' ”Emilia”, dislocata a Cattaro, importante porto del Montenegro, fu la
prima a essere investita in forze dai tedeschi. Nella furiosa battaglia che ne
nacque, furono fortemente impegnati i battaglioni "Exilles" e "Pinerolo"
della "Taurinense". Ma le sorti dei combattimenti, inizialmente favorevoli
agli italiani, volsero al peggio per l'intervento della 7^ Divisione SS, di reparti collaborazionisti croati e dall'incessante carosello in picchiata degli aerei
Stukas.
Dopo la giornata del 15, l' “Emilia” iniziò ad imbarcare a Cattaro i reparti
più vicini alla costa, sotto la protezione dei battaglioni alpini "Exilles" e
“Fenestrelle" e delle batterie della marina. I due battaglioni, stremati e a corto di munizioni, furono costretti ad arrendersi il 16, dopo aver favorito l'esodo di centinaia di connazionali..
Il 23, il 1° Btg. del "Venezia" respinge a Murina diversi attacchi e concede tempo prezioso allo sganciamento di altre unità italiane.
A Gornje Polje il Gruppo Aosta si trasforma in Brigata "Aosta", incorporando vari altri reparti della Guardia di Finanza, Guardie alla Frontiera, Marina, Aviazione, della Divisione "Ferrara", ... Soldati e ufficiali intraprendono un lungo cammino sui monti per unirsi ai Partigiani di Tito.
Due sono i nostri concittadini che militavano nell'83° Reggimento Fanteria,
Divisione "Venezia":
Giuseppe
Anzolin
"Pino Frate"
fu Giuseppe e Pauletto Paola
Fante, classe 1921, invalido di guerra e Medaglia d'Argento al Valor Militare
Dopo aver combattuto i tedeschi per oltre un mese, anche
il suo Reparto si rifugia in montagna ed entra a far parte
del II° Korpus dell'EPLJ (Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia), inquadrati nella Divisione Italiana
Partigiana "Garibaldi".
Il 5 gennaio 1944, a Brajkova, in Montenegro, dopo un'epica battaglia, è decorato "sul campo" con la Medaglia di
Bronzo al V. M., poi elevata, nel dopoguerra, a Medaglia
d'Argento al Valor Militare:
"In un momento di crisi per il suo reparto, accerchiato da preponderanti forze nemiche attaccanti, si prodigava senza posa per contrastare la via al nemico. Ferito, non desisteva dal combattimento, ma,
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trascinando con l'esempio i compagni, riusciva con lancio di bombe a
mano ad aprirsi un varco fra le file avversarie".
Sempre il 5 gennaio, ferito, è catturato dai tedeschi. Cinque giorni dopo è ricoverato all'Ospedale Militare di Cacak (Serbia).
Il 23 marzo '44 è dimesso ed internato nel Stammlager di
Sajmeste, presso Sabac sul Danubio, di fronte a Belgrado.
Successivamente viene trasferito e internato in un Stammlager in Germania, dove finge di aderire al Terzo Reich
e dove viene inquadrato nelle Waffen SS. Il 21 dicembre
'44, è rimpatriato per malattia e ricoverato all'Ospedale di
Noventa Padovana. Il 2 aprile '45 evade dall'Ospedale e
torna a Montecchio Precalcino per unirsi alla Resistenza;
milita nel Battaglione "Livio Campagnolo", Brigata "Mameli", Divisione Garibaldina d'assalto "Ateo Garemi".
Vedi anche Albo "Volontari in Unità Alleate", Internati e
"Partigiani".
Giulio
Grigoletto
fu Gio Batta (Giovanni) e Garzaro Luigia
Fante, classe 1917. Dopo aver combattuto i tedeschi per
oltre un mese, anche il suo Reparto si rifugia in Montagna
ed entra a far parte del II° Korpus dell'EPLJ (Esercito
Popolare di Liberazione della Jugoslavia), inquadrati nella
Divisione Italiana Partigiana "Garibaldi".
Catturato dai tedeschi a Pljevlja, in Montenegro, il 5 dicembre 1943, dopo una battaglia drammatica, è internato
nei Balcani.
Vedi anche Albo "Volontari in Unità Alleate" e "I.M.I."
Di un reggimento fanteria, della Divisione "Ferrara", è invece
Francesco
Baio
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fu Nicolò e Vendramin Teresa
Fante, classe 1923.
Catturato dai tedeschi, a Cetinje, in Montenegro, il 20 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
IX^ ARMATA ITALIANA – ALBANIA E KOSOVO
La IX^ Armata, con i suoi 105.000 uomini, operava in Albania e Kosovo,
alle dirette dipendenze del Comando Gruppo Armate Est.
Costituita dalla Difesa territoriale Settore Scutari – Kosovo e da due Corpi
d'Armata, il 4° e 25°, aveva il Comando a Tirana.
- La Difesa Territoriale Settore Scutari – Kosovo, era costituito dalla Divisione "Puglie" ed il Comando era a Scutari.
- Il 4° Corpo d'Armata comprendeva la Divisione "Parma" la Divisione
"Perugia" e la Divisione Brennero. Il Comando era a Durazzo.
- Il 25° Corpo d'Armata comprendeva la Divisione "Arezzo" e la Divisione
"Firenze". Il Comando era a Elbasan.
Nell'area erano presenti due divisioni tedesche dislocate al confine albanese
- bulgaro: la 294^ Divisione a Mitrovica e la 100^ Divisione nella zona Ohrida-Bitolj.
Il 7 aprile 1939, l'Italia occupa l'Albania. Un'occupazione da operetta, con
un piano approntato troppo tardi e con mezzi che sarebbero stati inadeguati
se appena gli albanesi avessero opposto resistenza. Il 16 aprile una delegazione albanese offrì solennemente la corona a Vittorio Emanuele III.
Il Re d'Italia e Imperatore d'Etiopia, diventava così anche Re d'Albania: sostituisce Re Zog, un re fantoccio, posto sul trono da Mussolini stesso e che
apparteneva ad una dinastia di capimafia del Mathi, che sarebbe un po’ la
Calabria dell'Albania.
"L'atto di forza italiano suscitò qualche ripercussione internazionale, ma
molto modesta; non comparabile, comunque, all'allarme provocato dalle
annessioni tedesche. In fin dei conti l'Italia, impadronendosi dell'Albania,
aveva compiuto, osservò qualcuno, un gesto paragonabile a quello di chi rapisca la propria moglie. L'aspetto puramente propagandistico dell'annessione, il suo carattere di ripicca verso la Germania troppo intraprendente, non
sfuggiva alle Cancellerie. Qualche maggior nervosismo vi fu negli stati balcani. In effetti proprio l'insediamento in Albania consentì un anno e mezzo
dopo a Mussolini di intraprendere l'infausta campagna di Grecia.
Le grandi potenze, ricevute le assicurazioni del caso, non si arrovellarono
gran che attorno alla sorte di un piccolo Stato per il quale l'Italia aveva profuso e avrebbe continuato a profondere molto denaro. Ben altri erano gli
assilli. La implacabile marcia tedesca, e la liquidazione definitiva della questione spagnola." (Indro Montanelli)
L'8 settembre 1943, anche in Albania, dopo la vergognosa resa firmata dagli
alti comandi, nei ridotti italiani incomincia la triste cerimonia del disarmo.
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La situazione precipita per i battaglioni e i reggimenti dislocati all'interno. Il
passaparola è di raggiungere la costa. Significa mettersi in viaggio in un territorio ostile poiché le bande partigiane e le bande malavitose sono pronte ad
avventarsi su uomini sfiduciati, con poco cibo e poche munizioni.
Il Raggruppamento Unità Celere del Gen. Mayer è ingabbiato dai tedeschi. Cinque ufficiali e ventisette soldati vengono fucilati per indurre la Divisione "Arezzo"ad arrendersi.
Si combatte e si muore nei porti di Durazzo e Valona. Sul molo di Porto
Palermo sono giustiziati il Gen. Chiminiello, Comandante della Divisione
"Perugia", e 140 ufficiali e sottufficiali. È la rappresaglia al tentativo della
Divisione di sottrarsi alla cattura combattendo per giorni e giorni in condizioni di netta inferiorità. La testa di Chiminiello, che come farà il Gen. Gandin con la "Acqui", ha invitato i suoi soldati a una consultazione pubblica,
viene mozzata e issata su un palo come ammonimento ai disobbedienti.
L'eccidio è opera della 1^ Divisione "Edelweiss", la stessa di Cefalonia.
Un grosso distaccamento della Divisione "Perugia", sfuggito alla morsa,
respinge a Telepeni un attacco concentrico dell'Edelweiss e dei collaborazionisti albanesi sostenuto dagli stukas. Gli italiani si aprono con le armi la
strada fino a Valona; qui riescono a caricare su un piroscafo feriti e malati.
Fuori dal porto sta però in agguato un sommergibile tedesco, i cui siluri affondano il piroscafo. I pochi superstiti di Valona si arrendono il 20 settembre.
Anche la Divisione "Firenze" paga con morti e fucilazioni la propria resistenza; tiene duro fino al 24, poi va in montagna.
Tanta energica determinazione scatena la furia dei tedeschi sui prigionieri.
Le esecuzioni, molti finiscono sgozzati, e le deportazioni, continueranno fino a metà ottobre.
La dissoluzione delle nostre truppe è resa più amara dal passaggio con i nazisti delle "camice nere" della Divisione "Arezzo" e degli altoatesini della
Divisione "Brennero". La massa è costretta a subire impotente e depressa gli
ordini dei comandi che la disarmano.
A Durazzo, in Albania, nel 232° Reggimento di Fanteria "Avellino", Divisione "Brennero", c'erano
Antonio
Angelo
Bonato
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fu Antonio e Moro Maria
Fante, classe 1912.
Catturato dai tedeschi il 15 settembre 1943.
Domenico
Casarotto
fu Gio Batta e Cortese Maddalena
Fante, classe 1918.
Catturato dai tedeschi il 14 settembre 1943.
Bortolo
Clavello
fu Bortolo e Valerio Antonia
Fante, classe 1914,
Catturato dai tedeschi il 16 settembre 1943.
Dopo essere stato internato, aderisce alla Repubblica di
Salò, ma tornato in Italia diserta. Catturato dalla G.N.R.
(Guardia Nazionale Repubblicana) del comando di Brescia, il 10 luglio '44, è deportato in Germania.
Vedi anche Albo "Lavoratori coatti".
Gaetano
Viero
fu Francesco e Franzan Angela
Fante, classe 1921.
Plotone Comando, 2° Battaglione.
Catturato dai tedeschi il 25 settembre 1943.
Per tutti vedi anche Albo "I.M.I
Una strada diversa intraprese invece ...«omissis»... , che dopo aver aderito al
Terzo Reich, il 31 gennaio del '45 sarà catturato dai partigiani greci, consegnato agli inglesi, imprigionato a Creta, poi in Algeria, tornerà a casa il 15
aprile 1946.
A Scutari, in Albania, il 10 settembre, vengono catturati dai tedeschi, anche
alcuni nostri concittadini, soldati del 71° Reggimento Fanteria, Divisione
"Puglie":
Valentino
Borriero
fu Giovanni e Pobbe Anna
Fante, classe 1913,
8^Compagnia, 2° Battaglione.
Bortolo
Borin
fu Giovanni e Menara Angela
Caporale di Fanteria, classe 1914.
Pietro
fu Pietro e Qualbene Maria
"Rino"
Fante, classe 1914,
Campagnolo, 3^ Compagnia, 1° Battaglione.
"Checonia"
63
Paolo
Giulio
Campana
fu Gaetano e Moro Maria
Fante, classe 1913,
8^ Compagnia, 2° Battaglione.
Francesco
Dall'Osto
fu Giacinto e Vaccari Angela
Fante, classe 1914.
Antonio
Peron
fu Gio Batta e Lanaro Innocenza,
Fante, classe 1914,
2^ Compagnia, 1° Battaglione.
Marco
Zordan
fu Francesco e Zordan Angela
Fante, classe 1914,
2^ Compagnia, 1° Battaglione.
Vedi anche Albo "I.M.I
Sempre in Albania, il 12 settembre, è catturato dai tedeschi
Beniamino
Decalli
fu Felice e Balasso Maria
Sergente del Genio classe 1917,
13^ Compagnia Pontieri, 19° Battaglione, 14° Reggimento
Genio.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
A Prizren, in Kosovo, nel 5° Reggimento Artiglieria, Divisione "Puglie",
c'erano
Giovanni
Dal Santo
"Marusco"
fu Francesco e Pertile Teresa
Artigliere, classe 1923.
Giovanni
Giaretta
fu Faustino e Giorio Maria
Caporal maggiore d'Artiglieria , classe 1922.
Antonio
Pesavento
fu Sperandio e Peruzzo Caterina,
Artigliere, classe 1923.
Tutti catturati dai tedeschi il 20 settembre 1943. Vedi anche Albo "I.M.I."
64
Una strada diversa intraprese invece l'artigliere Luigi Cobalchini, che diventerà un "Waffen SS" e risulterà disperso a Kukes, dopo uno scontro con il
Battaglione Partigiano Italiano "Gramsci", dell'Esercito Popolare di Liberazione Albanese.
All'Aereoporto Militare di Tirana era in servizio:
Emilio
fu Antonio e Campagnolo Caterina
Gabrieletto
Aviere, classe 1917.
Catturato dai tedeschi in Albania, il 17 settembre 1943.
Internato in uno Stammlager in Serbia, viene liberato il 20
settembre 1944 dai Partigiani di Tito e si arruola volontario nella Divisione Partigiana Italiana "Garibaldi".
Rimpatriato nel marzo '45, si arruola nuovamente volontario nel Reggimento "Garibaldi", Gruppo di Combattimento "Folgore", Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.).
Vedi anche Albo "I.M.I.", "Volontari in Reparti Alleati" e
"C.I.L.".
A coloro che non ci stanno, che reagiscono, non resta che tentare di raggiungere i partigiani albanesi; cioè con chi, giustamente, ci considera invasori
e ci avversa da anni. Nasce, comunque, il 1° Btg. "Truppe Italiane della
Montagna". Tra le incomprensioni ed equivoci si arriva alla formazione del
"Comando Italiano Truppe di Montagna". Le bande raggiungeranno la forza di 25.000 uomini e si batteranno accanto alla popolazione fino al termine
del conflitto con un prezzo elevatissimo di vite.
Soldati della Divisione "Perugia", assieme a quelli di altre unità disperse,
costituirono il Battaglione "Antonio Gramsci". Questa piccola Unità fu un
modello di guerriglia italiana inedito, costituito da irriducibili. Non ebbe ufficiali in posizione di comando, ma scelse liberamente e democraticamente i
suoi capi. Il Battaglione, concluse la sua intensa attività partecipando alla
conquista della capitale Tirana. Qui venne concesso al Battaglione di sfilare,
da liberatore, il 28 novembre '44. Trasformato in Brigata e, più avanti, in
Divisione, alla "Gramsci" venne concesso l'onore di rientrare in Patria completamente armata.
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XI^ ARMATA ITALIANA - GRECIA
La XI^ Armata, con i suoi 209.000, operava in Grecia e nell'isola di Creta,
alle dirette dipendenze del Comando Gruppo Armate Est.
Costituita da tre Corpi d'Armata, il 3°, 8° e 26°, aveva alle dirette dipendenze anche la Divisione autonoma "Siena" e una Brigata non indivisionata
(LI), dislocate sull'Isola di Creta.
Estate 1943 - Epiro, Grecia.
"Zaini a terra!" – 260^ Compagnia, Battaglione ‘Val Leogra’.
Sotto il cappello alpino, il
quinto da destra, è il nostro
concittadino Silvio Faccio
(classe 1920); quello in piedi,
alle sue spalle, è Domenico
Faccio (classe 1915).
Il Comando era ad Atene.
Il 3° Corpo d'Armata comprendeva la Divisione "Pinerolo" e la Divisione "Forlì". Il Comando era a Levadeia, in Beozia.
L’ 8° Corpo d'Armata comprendeva la Divisione "Piemonte" la Divisione "Cagliari". Il Comando era a Xilokastro, nel Peloponneso, sul
Golfo di Corinto.
Il 26° Corpo d'Armata comprendeva la Divisione "Modena", la Divisione "Casale" e come divisione autonoma la "Acqui"(un reggimento
nell'isola di Zante ed un secondo, nell'isola di Corfù; il grosso della Divisione e il comando nell'isola di Cefalonia). Il Comando del C. d'A. era a
Gianina, in Epiro.
Nell'area erano presenti due divisioni tedesche dislocate ai confini albanesi:
la 1^ Divisione Alpina "Edelweiss" e la Divisione "Brandeburgo".
"All'alba del 28 ottobre 1940, le truppe italiane d'Albania, ..., si misero in
marcia per l'attacco alla Grecia. Mussolini e Ciano ebbero così, finalmente,
la loro guerra da opporre, con le sue pronosticate vittorie e conquiste, alle
vittorie e conquiste tedesche dei mesi precedenti." (Indro Montanelli)
66
Contro l'Esercito Italiano, forte di 162.000 uomini, l'Esercito Greco poteva
opporre non più di 75.000 uomini. Il piano italiano prevedeva una rapida
avanzata nelle valli del Vojussa e del Thyamis e la presa di Metzovo. Dapprima i soldati italiani avanzarono velocemente, ma la mobilitazione dell'esercito ellenico, fu rapidissima. Tra l'8 e il 10 novembre i greci riuscirono a
respingere e isolare la 3^ Divisione Alpina "Julia" sui monti del Pindo e avanzarono verso Coriza in Albania, che raggiunsero il 22 dello stesso mese.
Continuarono lentamente a procedere fino all'inizio di marzo quando il
fronte si stabilizzò in Albania, con metà di questo paese sotto il completo
controllo dell'esercito greco.
Solo l'entrata in scena dei tedeschi risolse la nostra tragica situazione.
Altro che "...spezzeremo le reni alla Grecia!"; alla fine, sul vecchio confine,
al Ponte di Perati, s'erano ritrovati i resti decimati della bella e fiera unità alpina ("Sul ponte di Perati bandiera nera – l'è il lutto della Julia che va alla guerra – la
meglio gioventù va sotto terra") e nessuno potrà mai cancellare la realtà di quel
calvario e l'assurdità di quella guerra.
Una campagna, quella Greco-Albanese (1940-41), che è costata la vita a
migliaia di ragazzi tra i venti e i trent'anni compresi tre nostri concittadini, di
28, 23 e 20 anni:
Bonifacio
Dall'Osto
fu Giovanni, classe 1912;
Alpino della Divisione "Julia", Btg. "Val Leogra",.
Bortolo
Martini
"Brusolo"
fu Bortolo, classe 1917;
Caporal maggiore della Divisione"Acqui".
Giuseppe
Zanotto
fu Giuseppe, classe 1920;
Alpino della Divisione "Julia", Btg. "Vicenza".
E questi sono solo i primi frutti di una guerra ingiusta, contro genti che
nulla ci avevano mai fatto e che, a differenza della Germania, l'Italia affrontò in condizioni disastrose sul piano organizzativo e della preparazione militare.
67
Estate 1943 – Epiro, Grecia.
Un momento di svago per gli
alpini della 260^ Compagnia,
Battaglione "Val Leogra".
Il nostro concittadino Silvio
Faccio (classe 1920) è il secondo da sinistra, che sta bevendo "a canna".
Estate 1943 – Epiro, Grecia. La 260^
Compagnia, Battaglione Val Leogra in
marcia.
Il nostro concittadino Silvio Faccio
(classe 1920) è il primo della colonna.
"Non corrisponde al vero la vulgata secondo cui i capi militari italiani non
conoscevano la precaria situazione delle loro Forze Armate. Essi lo sapevano, ma ogni qual volta c'era da rappresentarle al Duce, capo supremo, erano
tacciati di eccessiva prudenza e, perfino, di scarso spirito combattivo, tanto
che Mussolini, a un certo punto, si rifiutava di riceverli. Di conseguenza, per
timore o per piaggeria, essi vennero ridotti all'obbedienza, al silenzio o alle
dimissioni.
Così, i rovesci militari, malgrado che i soldati italiani, si comportassero in
modo onorevole, non secondi a nessuno degli altri contendenti, gli insuccessi si susseguirono, uno dopo l'altro, dal fronte della Libia, a quello del
neo-impero coloniale italiano di Etiopia, fino alla sfortunata e sanguinosa
campagna di Russia e, in ultimo, quando, il 10 luglio 1943, anche il territorio
nazionale venne invaso dagli angloamericani." (Gen. Ilio Muraca)
68
Quegli ultimi avvenimenti bellici, segnarono il punto di non ritorno di una
guerra di oppressione e di conquista, destinata sin dall'inizio al più drammatico collasso.
E così fu anche in Grecia, dove l'8 settembre 1943, si registrò la più cocente delusione nel comportamento delle unità italiane, dopo l'armistizio.
L'atmosfera in quei reparti, era diversa che in altri luoghi, ed i nostri soldati,
tranne quelli tenuti impegnati da una dura guerriglia, nelle aree periferiche
della regione, oziavano, nella condizione di occupanti di una delle più depresse nazioni del Mediterraneo, un tempo culla di libertà, ed ora ridotta,
dalla fame e dagli stenti, in uno stato di vassallaggio degradante.
Il Gen. Vecchiarelli, comandante dell'11^ Armata, alla scarsa voglia di rischiare, aggiunge la situazione precaria dei reparti e il timore che sia pressoché impossibile sganciarsi dai tedeschi; la mattina del 9 trasmette un'implicita disposizione di resa camuffata da consegna delle armi.
È l'inizio di uno sbandamento collettivo.
Ma, tra i motivi della catastrofe, restano fondamentali l'ignavia e, peggio, la
malafede di molti ufficiali superiori italiani, cresciuti alla scuola del fascismo,
e l'inganno esercitato dalla Wehrmacht; si veda la promessa di rientro al più
presto in Italia e la realtà dell'internamento in Germania.
E come dimenticare i crimini di guerra compiuti dalla Wehrmacht, gravi
nefandezze indegne di un esercito regolare: la fucilazione di ufficiali e soldati
inermi, brutalità, furti, umiliazioni.
Tuttavia, come spesso accade per la legge dei contrasti, fu proprio in Grecia, a Cefalonia, che l'Esercito Italiano subì il sacrificio più alto della sua
centenaria storia.
E malgrado tutto, anche in Grecia si combatte, si resiste e si stringono accordi con i partigiani greci: saranno 60.000 i soldati italiani delle divisioni
"Pinerolo", "Aosta", "Piemonte", "Casale", "Cagliari", "Modena" e "Forlì",
che rimasero in Macedonia, Tessaglia, Peloponeso, Attica, Epiro, Eubea a
combattere inquadrati nell'ELAS (Esercito di Liberazione Popolare Greco).
In Tessaglia, si sottrae ai tedeschi una sola divisione, la "Pinerolo" del Gen.
Infante. La divisione conta una forza imponente, circa 22.000 uomini, e
controlla un vasto territorio e, in accordo con i greci e gli inglesi, entra nella
Resistenza.
Altri militari sfuggiti alla cattura giungono da diverse località per aggregarsi,
mentre unità della "Pinerolo" formano il Reggimento TIMO (Truppe Italiane Macedonia Occidentale).
Da parte greca, però, malgrado le garanzie della missione militare britannica, si punta ad impadronirsi dell'armamento e dei muli degli italiani. Gradualmente i reparti verranno disarmati, gli uomini ridotti in schiavitù, co-
69
stretti ad umilianti lavori per strappare un minimo di sostentamento. Per
gran parte degli italiani sfuggiti al Terzo Reich e confluiti nelle bande, i diciotto mesi seguenti saranno ai limiti della sopravvivenza e ben oltre i confini della dignità.
agosto 1943 – Gianina.
Il primo da sinistra, assieme a
un commilitone, è il nostro
concittadino, già Croce di
Guerra al Valor Militare, Silvio Faccio (classe 1920)
Autunno 1942 – Albania.
Una foto tra commilitoni e paesani da
mandare a casa: "Un piccolo ricordo
assieme a degli amici, dei quali ne conoscete due. Silvio Faccio".
Da sinistra in piedi: Silvio Faccio (classe 1920).
Ad Atene, l'8 settembre 1943 si trovavano
Silvio
Centofante
70
fu Giovanni e Campagnolo Lucilia,
Fante, classe 1929. Ufficio Stampa del Comando Supremo
11^ Armata già dell'11° Reggimento Fanteria, Divisione
"Forlì" Catturato dai tedeschi l'11 settembre 1943.
Vedi anche Internati e "C.L.N. - Comitato di Liberazione
Nazionale".
Pietro
Costa
fu Giovanni e Dal Pozzo Melania
Granatiere, classe 1913.
8^ Compagnia, 3° Battaglione, 3° Reggimento Granatieri
Catturato dai Tedeschi il 10 settembre 1943.
Beniamino
Antonio
Francesco
Pesavento
fu Giuseppe e Martini "Sguai" Margherita
Autiere, classe 1922,
17° Autotrasporto Pesante, 8° C. d'A.
Catturato dai tedeschi l'11 settembre 1943.
Per tutti, vedi anche Albo "I.M.I.".
Nel novembre 1942, gli Alpini, dalle operazioni antiguerriglia in Montenegro, erano tornati in Grecia perché i soli considerati in grado di fare fronte
in modo efficace alla rivolta organizzata scatenata sulle montagne dell'Epiro
dalla Resistenza greca.
Dopo altri due cicli operativi (16-24 febbraio e 6-16 marzo) e dopo un periodo di riposo, ai primi di aprile, il "Val Leogra" fu chiamato a Gianina per
la presenza in zona di consistenti bande di ribelli.
Il 1 luglio, con la scusa di collaborare alle azioni di rastrellamento in corso,
arriva a Gianina la 1^ Divisione SS da Montagna "Edelweiss", nelle quali
operano diversi ex cittadini italiani dell'Alto Adige passati con Berlino nel
1938.
La sera dell'8 settembre, il Comandante del 2° Gruppo Alpini Valle, da cui
il "Val Leogra" dipende, ordina di tenersi in allarme, pronti a difendersi da
eventuali attacchi tedeschi. La 260^ Compagnia del "Val Leogra", viene
mandata a difesa del Comando del 26° Corpo d'Armata.
Nella notte del 9 settembre, truppe tedesche entrarono in città; la dislocazione delle forze, il frazionamento dei reparti del presidio presi completamente alla sprovvista, la mancanza di viveri e di una adeguata scorta di munizioni, oltre all'isolamento determinato dal fatto che dalla mezzanotte dell'8
erano state troncate tutte le comunicazioni coi comandi superiori, mentre le
notizie raccolte dai comuni apparecchi radio erano frammentarie e spesso
contraddittorie, suggerirono di accettare la resa immediata, la consegna delle
armi da parte della truppa, mentre gli ufficiali si accordava il diritto di conservare la pistola.
La decisione di arrendersi, trovò il consenso di gran parte della truppa, solo
qualche ufficiale e qualche centinaio di soldati decisero di scappare restando
a combattere con i partigiani greci.
71
"Il 13 settembre, la colonna di cui faceva parte il "Val Leogra" (2.000 uomini tra Alpini e Artiglieri del Gruppo Isonzo), dopo le ingannevoli promesse di rimpatrio, più volte ripetute dai tedeschi, ricevette l'ordine di partire con destinazione Florina (Alta Tessaglia). Come sempre si partiva a piedi
e solo un centinaio tra feriti ed ammalati ebbero dei camion per il trasporto.
Prima della partenza ci eravamo preparati alla lunga marcia facendoci dei
calzoni corti e per camminare gli scarponi più comodi. Ci trascinammo dietro anche diverse centinaia di vacche e vitelli razziati nell'ultima spedizione
del Battaglione a Komboti. Il bestiame ci fu prezioso per tutti i 15 giorni di
cammino che facevamo di notte per evitare il caldo della giornata.
A conti fatti da Gianina a Florina la distanza è di circa 200 Km che furono
percorsi dal Battaglione attraversando le montagne dove avvennero i sanguinosi combattimenti della "Julia" del 1940-41. Si passò così da Koritza,
Konitza-Kalibachi, il Ponte di Perati, zone che furono campi di battaglia per
tanti alpini, fanti e bersaglieri.
A Florina il Battaglione trovò pronti i carri bestiame, quelli per intenderci
che dovevano trasportare otto cavalli, oppure quaranta uomini. Ci caricarono in 60-70 per ogni carro, molti dei quali erano scoperti, e ci requisirono i
fucili e le pistole.
Prima di partire il Capitano Anzil dell'Artiglieria Alpina trattò con i greci
la vendita del bestiame rimasto, sottraendolo così ai tedeschi. Si fece pagare
in sterline d'oro che poi distribuì dando ad ogni squadra una sterlina. Nel
corso del viaggi, il denaro fu speso per acquistare pane, ma diversi alpini riuscirono a portarlo in prigionia dove fu prezioso per barattarlo con patate o
pane. Attraversammo in tradotta la Jugoslavia, passando per le città di Skophie, Nish; la Bulgaria per Sofia, Filippopoli (Plovdiv), Stava Zagora, Burgas
e Solumla (Varna); la Romania per Costanza, Varadino; l'Ungheria per Seghedino (Szeged); l'Austria per Vienna, Linz, e sempre scortati in ogni nazione da soldati diversi.
L'illusione di tornare a casa svanì a Innsbruck quando il convoglio anziché puntare verso Tarvisio o il Brennero, si diresse verso Colonia e da lì a
Berlino..." (Sen. Onorio Cengarle)
Tra quegli uomini del "2° Gruppo Alpini Valle", Battaglione "Val Leogra",
catturati dai tedeschi l'11 settembre 1943 a Gianina, c'era,
Stefano
Gasparella
72
fu Giacomo e Balasso Maria,
Alpino, classe 1912,
259^ Compagnia
Giacomo
Barbieri
fu Domenico e Pesavento Maria
Alpino,classe 1914, 260^ Compagnia.
Gino Guido
Dall'Osto
fu Giacinto e Moro Domenica
Caporale maggiore Alpino, classe 1913.
Domenico
Faccio
fu Vittorio e Borgo Maria
Alpino, classe 1915,
V^ Squadra.
Silvio
Vittorio
Faccio
fu Antonio e Guzzonato Giovanna
Alpino, classe 1920,
Croce di Guerra al Valor Militare
Già del Btg. "Vicenza", 6° Regg. Alpini, Divisione "Julia".
Decorato sul Fronte Greco Albanese (dicembre '40 – luglio '41) di Croce di Guerra al V. M.
Silvano
Trabaldo
fu Giuseppe e Bortoli Maria "Coa"
Caporal maggiore Alpino, classe 1915.
Per tutti, vedi anche Albo "I.M.I."
Autunno 1942- Albania.
Un gruppo di Alpini della
260^ Compagnia, Battaglione "Val Leogra"
Al centro, in piedi, il nostro concittadino Silvano
Trabaldo (classe 1915).
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Autunno 1942 – Albania.
Tre alpini del Battaglione
"Val Leogra".
Al centro, il nostro concittadino Silvano Trabaldo
(classe 1915).
Sempre a Gianina c'era
Massimiliano fu Massimiliano e Gabrieletto Caterina
Peruzzo
Autiere, classe 1919, 24° Reggimento Genio.
Catturato dai tedeschi, a Gianina, in Grecia, il 13 settembre 1943.
Vedi anche Albo "Caduti".
Guerrino
Gnata
fu Luigi e Parisotto Giovanna
Caporal maggiore di Fanteria, classe 1916,
41° Reggimento Fanteria, Divisione "Modena",
Catturato dai tedeschi, a Preveza, in Grecia, il 11 settembre 1943.
Pietro
Soardi
fu Giovanni e Volpato Silvia
Fante, classe 1914,
11 Compagnia, 3° Battaglione, 71° Reggimento Fanteria,
Divisione "Puglie".
Catturato dai tedeschi, a Preveza, in Grecia, il 11 settembre 1943.
Per tutti vedi anche Albo "I.M.I."
74
13 luglio 1943 – Giannina. Alpini della 5^
Squadra fucilieri, 260^
Compagnia, Battaglione
"Val Leogra".
Il secondo da sinistra,
accovacciato, è il nostro
concittadino Domenico
Faccio (classe 1915).
Agosto 1943 – Giannina.
Alpini della 260^ Compagnia, Battaglione "Val Leogra".
Ultimi giorni di serenità,
prima di sprofondare nell'inferno del lager nazista.
Il nostro concittadino, Silvano Trabaldo (classe
1915), è il primo, in piedi,
con il cappello alpino "fuori ordinanza", dopo il mulo.
75
Estate 1943 – Il momento del frugale "rancio" di un gruppo di alpini del Battaglione "Val
Leogra".
Il quarto da sinistra è il
nostro concittadino Silvano Trabaldo.
A Cefalonia, dopo giorni di finte trattative, la Wehrmacht scatena dal 15
settembre una terrificante offensiva. A determinare l'esito dell'aggressione
non sono tanto le terribili compagnie della 1^ Divisione SS da Montagna
"Edelweiss", quanto lo strapotere della Lutfwaffe. E' una lotta impari che si
esaurisce il 22 con oltre 1.300 caduti.
Ma, la furia nazista non rispetta né "Codice d'Onore", né "Convenzione
di Ginevra".
Cinquemila italiani sono passati per le armi appena alzate le braccia e il 24
vengono fucilati 136 ufficiali. I corpi sono bruciati per far scomparire le
tracce: ancora oggi, quando vedono alzarsi da qualche parte una colonna di
fumo, i vecchi dell'isola dicono:"E' la Divisione Acqui che sale in celo".
Altri tremila prigionieri moriranno durante la navigazione verso Patrasso su
traghetti volutamente affondati dalle mine. Il conto finale è di 9.646 morti
su 11.700 effettivi.
I pochi superstiti che non furono Internati in Germania, guidati dal Cap.
Renzo Appollonio costituirono il "Raggruppamento Banditi Acqui" e con i
partigiani dell' isola combatterono fino alla Liberazione.
Anche nel distaccamento di Corfù, dopo aver chiesto il parere di tutti,
come a Cefalonia, la decisione fu di resistere ad oltranza. Fino a che la continuazione dei combattimenti fu resa possibile dalla superiorità aerea del
nemico e dal mancato aiuto degli Alleati, gli uomini della Divisione "Acqui"di stanza a Corfù, seppero tenere alto l'onore del soldato italiano, ma
tra il 24 e il 25 furono sbaragliati. Ai trecento caduti in combattimento, se ne
aggiunsero altrettanti fucilati, tra cui tutti gli ufficiali.
Dopo la resa, dopo la feroce quanto ingiustificata rappresaglia, vennero
ammassati nel campo di aviazione o rinchiusi nella fortezza veneziana,
quindi, quelli che non perirono in mare a causa dell'affondamento della nave
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che gli portava sul continente, vengono avviati ai campi di internamento in
Germania o, i più fortunati, nei Campi di lavoro in prossimità del Fronte
Orientale.
Tra quegli uomini, sull'Isola di Cefalonia, c'era
Valentino
Oriano
Campagnolo
fu Gio Batta e Dall'Osto Anna.
Mitragliere, classe 1918,
1^ Compagnia, 4° Battaglione Mitraglieri di C. d'A., Divisione "Acqui".
Reduce dal Fronte Occidentale e dal Fronte GrecoAlbanese. Dal luglio 1941 di stanza a Cefalonia.
Catturato dai tedeschi il 22 settembre 1943.
e sull'Isola di Corfù
Vittorio
Peruzzo
fu Massimiliano e Gabrieletto Caterina.
Artigliere, classe 1918,
9^ Batteria, 3° Gruppo, 33° Reggimento Artiglieria, Divisione "Acqui".
Reduce dal Fronte Occidentale e dal Fronte GrecoAlbanese. Dal luglio 1941 di stanza a Cefalonia e dal novembre 1942 a Corfù.
Catturato dai tedeschi il 25 settembre 1943.
All'alba di domenica 10 ottobre '43, al largo di Corfù, la
nave "Fratelli Bandiera" affonda, colpita da aerei Alleati e
con essa annegano migliaia di soldati della "Acqui".
Vittorio, esperto nuotatore, si spoglia nudo e si getta in
mare da poppa (dove per la maggiore altezza pochi si sono avventurati e, quindi, con meno persone, minore rischio di essere trascinati sotto dai propri compagni). Dopo un paio di chilometri a nuoto riesce a raggiunge la riva.
E' tra i pochissimi sopravvissuti, ma è nuovamente catturato dai tedeschi.
Per tutti e due, vedi anche Albo "I.M.I."
77
Isola di Cefalonia - Dislocazione delle forze italiane e tedesche all'8 settembre 1943
Corfù e Cefalonia, queste due isole del Mar Ionio, possedimento della Repubblica Veneta dal 1204 al 1797, sono diventate un eccezionale "luogo della memoria":
- Skiperò e Paleokastritsa, due capisaldi della difesa italiana di Corfù, luoghi
che hanno visto i momenti eroici e tragici della resistenza e della resa;
- la maestosa fortezza veneziana;
- il relitto della nave "Fratelli Bandiera", affondata alle prime luci dell'alba
di domenica, 10 ottobre, con altri centinaia di soldati della "Acqui";
- a Cefalonia, luoghi come Razata, Dilinata, Divarata, Kardakata, Pharsa e
ancora Svoronata, Cachata, Catelios, Porto Poros, luoghi popolati di fantasmi, di fanti e artiglieri, con le armi spianate, decisi a resistere, a difendere la fede di un giuramento e la dignità di uomini liberi;
- a Trovanata "...dove, spogliati di ogni cosa, orologi, denaro, perfino delle
fedi matrimoniali, oltre 600 soldati e 32 ufficiali furono fucilati tutti assieme dalle rabbiose raffiche dei militari tedeschi. Una strage di massa:
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spari forsennati sul mucchio finché le urla dei morenti furono seguite da
un lungo silenzio di morte o dal rantolo di chi veniva finito con il colpo
di grazia. «Italiani è finita; se c'è qualche ferito venga fuori, è salvo!».
Questa la frase gridata e ripetuta da un soldato tedesco. Quindici uomini,
forse venti, imbrattati di sangue dei compagni, feriti e brancolanti si alzarono da quella massa di corpi senza vita. La beffa si compì immediatamente: poche raffiche abbatterono anche quei fanti" (Giulio Vescovi);
- alla "Casetta Rossa", dove furono fucilati, a gruppi di otto, 136 ufficiali
della "Acqui" e della Marina;
- a Cima Telegrafo dove sorge il monumento ai caduti della "Acqui" e dove scolpiti sul marmo ci sono i nomi dei reggimenti e dei reparti servizi
della grossa unità: fanti, artiglieri, genieri, carabinieri, marinai.
20 giugno 1941 – Albania.
Per i mitraglieri del 4° Btg di
C. d'A., aggregati alla Divisione "Acqui", un breve periodo di riposo dopo la disastrosa campagna italo-greca.
Il secondo da destra è il
nostro concittadino Valentino Oriano Campagnolo
(classe 1918).
Il 12 novembre 1944 i cacciatorpediniere "Artigliere" e "Legionario", e
cinque mezzi da sbarco inglesi depositano sulla banchina del porto di Taranto ciò che resta della Divisione "Acqui", 1.286 militari. Sono quelli restati a Cefalonia dopo la strage. I tedeschi li hanno impiegati nei lavori di ricostruzione.
Il Capitano Renzo Apollonio, che era stato uno dei fautori del no alla resa, li coinvolse nella fondazione del "Raggruppamento Banditi Acqui". E'
stata così intrapresa una lotta clandestina fatta di sabotaggi, d'informazioni
ai partigiani greci, di accantonamento di armi, munizioni, esplosivi, sottratti
ai depositi della Wehrmacht. Apollonio, che nato a Trieste parla bene il tedesco, ha gradualmente conquistato la fiducia degli occupanti, al punto tale
da girare per l'isola con la pistola nella fondina. Ha sfruttato questa libertà
d'azione per preparare l'insurrezione, avvenuta l'8 settembre 1944, in concomitanza con l'abbandono di Cefalonia da parte del grosso dei reparti
79
germanici. L'irruzione di dodici militari italiani vestiti di stracci, ma con il
mitra in mano, ha sorpreso il plotone di genieri incaricati di far saltare le installazioni del porto della capitale, Argostoli.
A sera la bandiera italiana è stata issata assieme a quella greca sul pennone
di Piazza Valianos. E' la piccola rivincita della "Acqui", i cui superstiti vengono autorizzati a rientrare con le armi individuali, la bandiera e i pezzi pesanti. Un simile privilegio è costato 9.646 morti.
La Bandiera del 17° Regg. Fanteria "Acqui" (Cefalonia, 8/25 settembre
1943),
la Bandiera del 18 ° Regg. Fanteria "Acqui" (Corfù, 26 settembre 1943),
lo Stendardo del 33° Regg. Artiglieria "Acqui" (Cefalonia e Corfù, 8/26
settembre 1943),
la Bandiera del 317° Regg. Fanteria "Acqui" (Cefalonia 8/25 settembre
1943),
la Bandiera della Guardia di Finanza per il 1° Battaglione Mobilitato (Cefalonia e Corfù, 8/26 settembre 1943),
-
sono state decorate con la Medaglia d'Oro al Valor Militare.
Inverno 1942/43 – Isola di Cefalonia. Una Squadra di mitraglieri del 4° Btg., Divisione
"Acqui".
Il secondo da sinistra, in piedi e
che fuma, è il nostro concittadino Valentino Oriano Campagnolo.
80
COMANDO SUPERIORE FF.AA. EGEO
Il Comando Superiore FF. AA. Egeo, con i suoi 53.000 uomini, operava
nelle isole del Dodecaneso, Cicladi e Sporadi (Rodi, Scarpanto, Coo, Lero,
Samos ...), in fase di costituzione, era alle dirette dipendenze del Comando
Gruppo Armate Est.
Costituito da due divisioni autonome, la "Cuneo" e la "Regina", aveva il
Comando era a Rodi.
Il Comando della Divisione "Cuneo" era sull'Isola di Samos.
Il Comando della Divisione "Regina"era sull'Isola di Rodi.
Nell'area era presente la Divisione tedesca "Rodos".
Durante la guerra contro la Turchia per il possesso della Libia, il 4 maggio 1912, l'Italia occupa Rodi e nei giorni seguenti altre isole delle Sporadi.
L'Italia continuerà ad occupare l'area per tutta la Prima Guerra Mondiale,
per poi ottenerla come possedimenti con il Trattato di Losanna del 1923.
L'8 settembre 1943, in teoria, i presidi nelle isole dell'Egeo avrebbero i
mezzi per resistere all'ultimatum germanico. Esiste una considerevole superiorità numerica e la vicinanza delle truppe inglesi fa ritenere che non sia
problematico un congruo sostegno da parte di esse. Ma anche qui la mancanza di ordini precisi e i contrastanti stati d'animo giocano contro.
Di conseguenza, già due ore dopo la proclamazione dell'armistizio, i 37.000
militari di Rodi sono in difficoltà dinanzi alla Divisione "Rhodos", forte di
panzer ed artiglieria, ma con soli 7.000 granatieri.
L'11 settembre , l'Ammiraglio Campioni, a capo delle forze italiane nell'Egeo, firma la resa. Parecchi reparti provano ancora a combattere, ma il
destino è segnato.
La caduta di Rodi comporta la resa delle isole più piccole. La bandiera italiana continua, però, a sventolare su Coo e su Lero.
A Coo i battaglioni e i gruppi di artiglieria della Divisione "Regina" tengono
duro, ma quando il 4 ottobre sono costretti alla resa, avviene il massacro del
Colonnello Leggio e degli altri ufficiali.
I bombardamenti della Luftwaffe, quasi mai contrastata dall'aviazione alleata, conducono alla resa anche Calimo, Simi e Scarpanto.
Sull'Isola di Scarpanto, con la 1^ Compagnia, 1° Battaglione, 31° Reggimento Fanteria, Divisione "Regina", ha combattuto contro i tedeschi ed è
caduto il nostro concittadino:
Pietro
Campana
fu Andrea e Martini Maria
Fante, classe 1909.
Disperso in combattimento . Vedi anche Albo "Caduti".
81
I possedimenti italiani del Dodecaneso (isole Sporadi Settentrionali e Meridionali).
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Imprendibile dovrebbe risultare Lero. In due riprese sono giunti oltre 5.000
inglesi e gli italiani assommano a circa 6.000 uomini.
I tedeschi martellano con gli Junkers, con gli Heinkel, con i Messerschitt;
lanciano volantini minacciosi. Gli italiani si battono con accanimento; non
così i britannici che commettono anche gravi errori tattici e alla fine ci obbligano alla resa.
Una brutta sconfitta, i tedeschi hanno perso più di un terzo degli effettivi e
si scatenano sugli italiani: torture e supplizi per tutti, gli ufficiali mandati al
muro; i massacratori si giovano della collaborazione di circa cento irriducibili fascisti.
Nelle Cicladi si ripetono, sebbene su scala minore, gli stessi episodi. E' un
continuo di piccoli e grandi eroismi da parte di soldati e ufficiali, cui spesso
segue la brutale repressione.
Nelle Sporadi settentrionali vi è acquartierata gran parte della "Cuneo" e a
Samos esisterebbero le condizioni per opporsi ai tedeschi, ma la caduta di
Lero comporta da discutibile decisione di abbandonare l'isola e di riparare
nella neutrale Turchia. I tedeschi irrompono durante l'evacuazione, catturano oltre cinquemila italiani e un migliaio di essi, appartenenti all'ex Milizia,
accettano di combattere al loro fianco.
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IV ARMATA ITALIANA –
PROVENZA FRANCESE E NORD OVEST D'ITALIA
La IV Armata, con i suoi 150.000 uomini, operava nella Provenza francese
e nel nord-ovest del territorio nazionale (Valle d'Aosta e Piemonte, Liguria
occ., Emilia Romagna e Lombardia), alle dirette dipendenze dello Stato
maggiore del Regio Esercito con sede a Roma.
Costituita da tre Corpi d'Armata, una divisione autonoma e da due divisioni
territoriali, aveva il Comando a Mentone, sulla Costa Azzurra, al confine
Italia-Francia:
- il 1° Corpo d'Armata comprendeva la 223^ e la 224^ Divisione Costiera. Il
Comando era a Grasse, in Provenza (Francia);
- il 15° Corpo d'Armata comprendeva la 201^ Divisione Costiera. Il Comando era a Genova;
- il 22° Corpo d'Armata comprendeva la Divisione "Taro" e la 2^ Divisione
Corazzata "E.F.T.F.", ambedue in viaggio dalla Provenza al Piemonte;
- la Divisione autonoma Alpina "Pusteria", in fase di rientro dalla Provenza
francese;
- la Divisione "Cosseria"della Difesa Territoriale di Milano;
- la Divisione "Pada" della Difesa Territoriale di Bologna.
Nell'area era presente il II° Corpo d'Armata SS, composto da tre divisioni:
"Hitler", "Reich" e "24^ ".
LA PUGNALATA ALLA SCHIENA
18 marzo 1940 – Incontro Mussolini-Hitler al Brennero.
9 aprile 1940 – I tedeschi invadono Norvegia e Danimarca.
10 maggio 1940 – Olanda, Belgio e Lussemburgo, invasi dalle truppe tedesche.
13 maggio 1940 – Le forze tedesche invadono la Francia nordorientale.
10 giugno 1940 – Benito Mussolini annuncia l'entrata in guerra dell'Italia contro Gran Bretagna e Francia.
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La convinzione del Duce, che la guerra stesse per concludersi con la definitiva vittoria tedesca, relegava il problema della preparazione militare in secondo piano. Quanto essa fosse carente, lo sapevano tutti gli addetti ai lavori. Ma Mussolini fece una perentoria previsione: "in settembre tutto sarà finito, e io ho bisogno di alcune migliaia di morti per sedermi al tavolo della
pace". Cinque anni dopo i morti saranno 415.000 e il paese in ginocchio.
Il gruppo armate ovest era il più forte, tra quelli di cui si componeva l'esercito. Diviso in due Armate, poteva contare su 22 divisioni, oltre a vari
raggruppamenti speciali. In totale 12.500 ufficiali e 300 mila uomini di truppa.
I francesi, dal mezzo milione che erano prima di dover spostare parecchie
divisioni al nord contro i tedeschi, restavano con una forza ridotta a 185.000
uomini: per Mussolini, il momento propizio per pugnalare vigliaccamente la
Francia, alla schiena!
Tomba di un commilitone del nostro concittadino Valentino Oriano Campagnolo
(classe 1918), caduto sul fronte occidentale;
si tratta del mitragliere Giuseppe Grigolato,
Monte Chenallet (?), 24 maggio 1940, IV
Brg. Mitraglieri di C.d’A., 1^Compagnia.
Prima ad aprire le ostilità fu l'aviazione, che il 12 e il 13 giugno, bombardò
Biserta e Tolone e altre località della Francia continentale, nonché Bastia e
Calvi di Corsica.
La Francia, pur agonizzante, il 14, il giorno in cui Parigi cadeva, con una
sua piccola unità navale (4 incrociatori e 11 cacciatorpediniere), rispose
bombardando Vado e Genova.
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Malgrado avessimo la quinta flotta al mondo (2 corazzate, 7 incrociatori
pesanti e 12 leggeri, 94 cacciatorpediniere, 115 sommergibili), nessuna nostra nave da guerra riuscì seriamente a contrastare l'avversario. Nemmeno
l'aviazione, con i suoi 783 bombardieri d'alta quota, 594 caccia e assaltatori,
e 419 ricognitori, riuscì a trovarne un numero sufficiente per segnalare o
colpire la flotta francese, che tornò indisturbata a Tolone.
Sulle Alpi infuriava il maltempo, l'impreparazione offensiva delle nostre
truppe era evidente e i capisaldi francesi erano estremamente solidi : ciò nonostante il 22 iniziarono le operazioni militari. Furono realizzati, con abnegazione e a prezzo di perdite dolorose, progressi modesti, fu presa Mentone,
ma Nizza restò francese. Tutto ciò ci costò 631 morti, 616 dispersi, 2.631
feriti. I francesi ebbero 37 morti, 42 feriti, 150 dispersi.
Per l'Italia, il 24 giugno, finiva la campagna militare sul Fronte Occidentale
e continuava, sotto i peggiori auspici, la Seconda Guerra Mondiale.
Il 10 novembre 1942, in Tunisia, le truppe francesi del governo fantoccio di
Vichy, si arrendono agli Alleati. Hitler, per ritorsione, ordinerà l'occupazione
di tutto il territorio francese; gli italiani invaderanno la Corsica e parte della
Francia meridionale. La flotta francese, ancora a Tolone, si autoaffonderà
per non cadere nelle mani delle forze dell'Asse.
Già ai primi di settembre 1943, lo Stato maggiore del Regio Esercito, inizia lo spostamento di Grandi Unità, per difendere i punti vitali del territorio
nazionale: vengono richiamate dalla Francia tre divisioni ("Pusteria", "Taro"e "E.F.T.F."), ma l'8 settembre, gran parte dei reparti vengono colti ancora in fase di trasferimento. La loro marcia verso i confini si concluse con
la frantumazione dei reparti, causata soprattutto del pronto intervento dei
tedeschi decisi a tagliare loro ogni via di scampo.
Maggio 1943 – Gap, Provenza francese. Gruppo di nostri concittadini, alpini del Battaglione "Bassano", 11°
Reggimento Alpini, Divisione Alpina
"Pusteria". Da sinistra: Antonio Fabrello (classe 1920); Giuseppe Dall'Osto (classe 1920); Girolamo Campagnolo (classe 1922); Modesto Dal Ferro (classe 1911); un alpino non identificato; Antonio Zordan (classe 1923);
Antonio Moro (classe 1910); Vittorio
De Vicari (classe 1922)
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Passano volontariamente dalla parte dei tedeschi i marinai italiani di stanza
a Bordeaux, ma la stessa sera dell'8 settembre, gli Alpini della Divisione
"Pusteria" attaccano truppe tedesche in transito nei pressi di Grenoble.
Quale ricompensa ricevono l'ordine di mollare la città e cercare di raggiungere l'Italia. La mattina seguente, dopo aspri combattimenti e notevoli perdite, si arrende a Gap l'11° Reggimento delle penne nere.
A Grenoble, nel Battaglione "Bassano", 11° Reggimento Alpini, Divisione
"Pusteria", l'8 settembre 1943, c'erano anche alcuni nostri concittadini, verranno tutti catturati dai tedeschi il 12 settembre:
Lorenzo
Gio Batta
Bassan
fu Pietro e Fina Caterina
Alpino, classe 1921;
Spedito
Biasi
fu Lorenzo e Catelan Maria Luigia
Alpino, classe 1923;
Orazio
Decalli
fu Felice e Balasso Maria
Caporale Alpino, classe 1923;
Vittorio
Antonio
De Vicari
fu Lorenzo e Rossetto Caterina
Alpino, classe 1922;
Antonio
Fabrello
fu Bortolo e Marchiorato Maria
Alpino, classe 1920;
Riccardo
Pesavento
fu Secondo e Colnutti Caterina
Alpino, classe 1923. 74^ Compagnia;
e a Gap viene catturato il 13 settembre 1943,
Giovanni
Folladore
fu Giuseppe e Bizzotto Caterina
Sergente maggiore Alpino, classe 1917, 144^ Compagnia,
Battaglione "Trento", 11° Reggimento Alpini, Divisione
"Pusteria"
Per tutti, vedi anche Albo "I.M.I.".
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All'Aereoporto Militare di Istres, era di base
Sperandio
Anzolin
fu Giuseppe e Moro Maddalena
Aviere, classe 1921, Reale Aereonautica Italiana in Francia.
Catturato in Francia dai tedeschi il 9 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I."
Sempre in Francia, ma in fase di rimpatrio con il loro Reparto, c'erano:
Francesco
Bortoli
fu Giuseppe e Grazian Maddalena
Artigliere, classe 1921,
5° Reggimento Artiglieria, Divisione "Taro"
Sbandato, riesce a tornare a casa e collabora come Patriota
alla Resistenza.
Vedi anche Albo "Patrioti".
Antonio
Danazzo
fu Antonio e De Vicari Amalia
Artigliere, classe 1910, 8° Reggimento Artiglieria, Divisione
"Taro"Catturato dai tedeschi in Francia, il 9 settembre
1943. Vedi anche Albo "I.M.I.".
Ferruccio
Fontana
fu Antonio e Dal Pozzo Angela
Caporal maggiore Artigliere, classe 1919,
14° Reggimento Artiglieria di C. d'A.
Catturato dai tedeschi in Francia, il 9 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I."
Giuseppe
Frigo
fu Giovanni e Vendramin Elisabetta
Artigliere, classe 1919, 40^ Batteria, 14° Reggimento Artiglieria di c. d'A. Catturato dai tedeschi in Francia, il 9 settembre 1943. Vedi anche Albo "I.M.I.".
A Tolone, i militi dell'ex 42° Battaglione "M" della Milizia - Camice Nere
da Sbarco, si rifiutano di collaborare con i tedeschi e vengono catturati e internati. Tra loro anche i nostri concittadini:
Andrea
Bassan
fu Pietro e Fina Caterina
Legionario C. N., classe 1912.
Giovanni
Borriero
fu Antonio e Savio Maria
Legionario C.N., classe 1912.
Luigi
Costa
fu Gio Batta (Giovanni) e Peretti Angela
Legionario C.N., classe 1910.
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Giuseppe
Garziera
fu Gaetano e Magattin Felicita
Legionario C.N., classe 1909. Reduce di Russia.
Gio Batta
Vittorio
Todeschini
fu Gio Batta e Dal Lago Emma
Capo Squadra Legionario C.N., classe 1911.
Già volontario nel Btg. "Masotto" C.N. in Africa Orientale
Italiana – Guerra d'Etiopia 1935-'37.
Per tutti vedi anche Albo "I.M.I."
Il 10, battaglioni di Alpini sciatori e Guardie alla Frontiera, respingono per 3
giorni, al confine del Moncenisio, un'offensiva germanica. A Ormea carabinieri, artiglieri, fanti, infliggono un gran numero di morti ai granatieri teutonici. Si combatte aspramente a Cuneo, Boves e Tende.
Ma, ciascuno di questi impavidi soldati rivolge la stessa domanda: "Che cosa
dobbiamo fare? Dove dobbiamo andare?"
Nessuno può rispondere perché il comando della 4^ Armata, dal quale dipendono, si è disperso con la velocità del suono. Il suo comandante, il generale Vercellino, già l'11 dispone lo scioglimento collettivo.
A Boves (Cn), con il 2° Settore Guardie alla Frontiera, troviamo:
Francesco
Caretta
"Rigati"
fu Giovanni e Marzaro Rosa
Artigliere, classe 1914.
Catturato dai tedeschi, a Boves (Cn), il 15 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I."
A Tenda (Francia), sempre con il 2° Settore Guardie alla Frontiera, c'era
Giovanni
Caretta
"Rigati"
fu Giovanni e Marzaro Rosa
Guardia, classe 1918,
Sbandato, riesce a tornare a casa e collabora come Patriota
alla Resistenza. Vedi anche Albo "Patrioti".
Presso Cuneo, con il 3° Settore Guardie alla Frontiera, ha combattuto e
"resistito"
Alessandro
Dal Santo
"Marusco"
fu Nicola e Vidale Francesca
Guardia, classe 1918.
Sbandato, riesce a tornare a casa e collabora come Patriota
alla Resistenza.
Catturato con il rastrellamento dell'11 agosto '44, a Montec-
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chio Precalcino, il 19 novembre viene deportato in Germania. Vedi anche Albo "Patrioti" e "Deportati politici".
Presso Boves (Cn),con l'11° Settore Guardie alla Frontiera, era accasermato
anche
Giovanni
Battista
Vincenzo
Valerio
"Marangon"
fu Luigi e Dal Zotto Italia Angela
Guardia, classe 1922,
Sbandato, riesce a tornare a casa e collabora come Patriota
alla Resistenza. Vedi anche Albo "Patrioti".
In Lombardia i tedeschi si accontentano di mettere un piede nelle città con
la scusa di voler provvedere al mantenimento dell'ordine pubblico. I comandanti delle piazze mostrano poca voglia di battersi.
Viene prestata un'eccessiva fiducia alla garanzia che gli accordi saranno rispettati, che ufficiali e soldati potranno conservare le armi in dotazione. Invece sono disarmati, reparto dopo reparto. Non tutti ci stanno.
A Crema si tenta una resistenza disperata. A Piacenza sono gli allievi di una
caserma a rifiutare la consegna delle armi.
In Emilia Romagna il 6° Reggimento Bersaglieri resiste lungo la statale Faenza - Firenze. Avvengono scontri a Fidenza, a Forlì, a Parma. Ovunque sorgono forme spontanee di opposizione, benché sia chiaro da subito che cosa
attende chi non alza le braccia. A Modena gli allievi dell'Accademia, in cui da
decenni escono gli alti ufficiali dell'Esercito, vanno a morire guidati dal Colonnello Duca, che verrà ucciso dopo brutali torture.
Gli sbandati della 4^ Armata che vagano per le campagne, le colline e le
montagne della Valle d'Aosta, Piemonte, Liguria, Toscana, Emilia e Lombardia, sono migliaia.
Molti stanno tentando di arrivare a casa; i meridionali non sanno a che santo
votarsi e temono di cadere prigionieri dei tedeschi; si contano a centinaia gli
ex-soldati nascosti nei boschi; per le valli il materiale abbandonato dalla 4^
Armata è moltissimo, nei campi sono più numerosi i fucili buttati che le
margherite.
Si raccolgono e si nascondono armi, esplosivo, materiale di ogni genere, si
formano gruppi organizzati, comandati da ufficiali, salgono in montagna i
"politici". Giorni e giorni di attività intensa da dove nascono le formazioni
partigiane. Inizia la Resistenza armata.
90
VIII ARMATA ITALIANA – NORD EST D'ITALIA
La VIII Armata, con i suoi 80.000 uomini, operava nel nord-est del territorio nazionale (Triveneto ed Istria), alle dirette dipendenze dello Stato maggiore del Regio Esercito con sede a Roma.
Comprendeva tre Corpi d'Armata, tutti con reparti in ricostituzione perché
reduci dalla Russia. Il Comando era dislocato a Padova.
- Il 23° Corpo d'Armata era costituito dalla Divisione "Sforzesca". Il Comando era a Trieste.
- Il 24° Corpo d'Armata era costituito dalla Divisione "Torino" e dalla Divisione "Julia. Il Comando era a Udine.
- Il 35° Corpo d'Armata era costituito dalla Divisione Cuneense e dalla
Divisione Tridentina". Il Comando era a Bolzano.
Sempre nell'area, si trovava la VI Armata Italiana, già Comando FF.AA. Sicilia, che, dopo lo sbarco "Alleato" e la conquista della Sicilia, era in corso di
riordinamento a Gambellara e Montebello Vicentino (Vi).
L’8^Armata, cioè la vecchia ARMIR (Armata Italiana in Russia), nell'estate
1943 si stava ricomponendo soprattutto nel Triveneto. Le altre sfortunate
divisioni reduci dalle steppe russe, cioè la "Ravenna", la "Pasubio" e la
"Cosseria", si stavano ricostituendo rispettivamente con la 5^, 7^ e 4^ Armata; la "Vicenza" e la "Celere", erano state soppresse.
Dall'Urss erano rientrati pochi sopravvissuti, smunti e sconvolti. Erano
bastati 17 convogli ferroviari, quando appena nove mesi prima ne erano occorsi 200 per trasferire nella steppa solo le tre divisioni di penne nere: "Tridentina", "Julia" e "Cuneense".
Ecco il disastro dell' ARMIR: il totale delle perdite è di 85.000 uomini. Di
questi l'Urss restituì 10.000 prigionieri tra il '45 e il '46. I caduti in combattimento furono riconosciuti in 11.000. Restano 64.000 "dispersi", di cui si
ignora la sorte, di cui non si sa se sono morti nella ritirata o durante la prigionia.
Anche Montecchio Precalcino ha pagato un prezzo altissimo alle smanie di
conquista del fascismo, con tre caduti e tredici dispersi:
Valentino
Cerbaro
Fante del 37° Regg. Fanteria, Divisione "Ravenna",
classe 1921 – 21 anni. Caduto.
Dario
Zanin
Artigliere del 2° Regg. Art. Alpina, Divisione "Tridentina",
classe 1921 – 21 anni. Caduto.
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Giuseppe
Zanotto
Alpino del 9° Reggimento Divisione “Julia”, classe 1920,
anni 20. Caduto.
Angelo
Biasi
Artigliere del 3° Regg. Art. Alpina, Divisione "Julia", classe
1919 – 23 anni. Disperso.
Igino
Borriero
Alpino del 9° Regg. Alpini, Divisione "Julia", classe 1918 –
24 anni. Disperso.
Antonio
Balasso
Caporale del 3° Regg. Art. Alpina, Divisione "Julia", classe
1918 – 24 anni. Disperso.
Beniamino
Vendramin
Artigliere del 3° Regg Art. Alpina, Divisione "Julia", classe
1912 – 30 anni. Disperso.
Remo
Campagnolo
Alpino del 8° Regg. Alpini, Divisione "Julia", classe 1922 –
20 anni. Disperso.
Adolfo
Gomiero
Legionario del 63° Btg. C.N. "Tagliamento", , classe 1912 –
30 anni. Disperso.
Valentino
Gonzato
Fante del 3° Regg. Fanteria, Divisione "Celere", classe 1914
– 28 anni. Disperso.
Alfonso
Telegrafista del 3° Regg. Genio, Divisione "Celere", classe
Marchioretto 1916 – 26 anni. Disperso.
Domenico
Moro
Artigliere del 3° Regg. Art. Alpina, Divisione "Julia", classe
1920 – 22 anni. Disperso.
Antonio
Valerio
Carabiniere della 25^ Sez. Motorizzata, C. d'A. Alpino,
classe 1907 – 35 anni. Disperso.
Silvio
Vendramin
Artigliere del 3° Regg. Art. Alpina, Divisione "Julia", classe
1922 – 20 anni. Disperso.
Angelo
Todeschini
Artigliere del 3° Regg. Art. Alpina, Divisione "Julia", classe
1922 – 20 anni. Disperso.
Antonio
Zambon
Artigliere del 30° Regg. Art., 29° C. d'A., classe 1922 – 20
anni. Disperso.
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E' stata una pagina tremenda quella della guerra di Russia. Noi eravamo degli
aggressori, noi eravamo gli alleati dei tedeschi che sul Fronte Russo ne hanno
combinate di tutti i colori.
I tedeschi hanno fatto morire di fame e di stenti 3.000.000 (tre milioni) di
prigionieri sovietici. Nella guerra contro il fascismo e il nazismo i sovietici
hanno avuto 20.000.000 (venti milioni) di morti, di cui parecchi milioni tra la
popolazione.
"Mi sono chiesto, non una ma cento volte, perché i gerarchi fascisti di allora
(e quelli oggi ancora vivi) non sono accorsi sul Fronte russo a fare barriera, a
buttarsi in prima linea contro le "orde bolsceviche". Questo era il loro momento. Hanno perduto una grande occasione! Hanno lasciato che a morire
sul Fronte russo fossero i "poveri cristi", che poco o nulla sapevano del fascismo, e ancora di meno del comunismo o dell'Unione Sovietica."
Dal mattatoio sovietico, tomba di migliaia di volti amici, volti conosciuti,
compagni di scuola, colleghi di corso, fratelli di sventura, sono tornati in pochi, ma proprio per tutto ciò, orgogliosi di essere i "Reduci del Fronte Russo". (Nuto Revelli)
Alcuni "Reduci di Russia" ad una cerimonia commemorativa presso il Monumento ai Caduti di Montecchio Precalcino
Da sinistra in piedi, dopo Don Sante Cocco, Giovanni Baccarin (classe 1919 ); ...?...; Igino
Berlato (classe 1909); Romano Dal Lago (classe 1908); la "Madrina" Antonia Biasi; Pierino
Gallio (classe 1922); Gio Batta "Tulio" Vaccari (classe 1916 ); Eugenio "Genio" Parise
(classe 1919 ); Luciano Stella (classe 1909 );…?
Da sinistra accovacciati: Giovanni Fogliato "Rosso Baracca" (classe 1918); Giuseppe Pauletto (classe 1921); Garzaro Gaetano (classe 1921).
93
"Il ritorno dal Fronte Russo è un momento importante. E' il momento della tregua. E' il momento in cui si rivive l'esperienza appena sofferta, in cui esplodono i sentimenti, le rabbie, le contraddizioni. Ognuno di noi è uscito
diverso da quel tunnel senza fine, dall'inferno della ritirata. Ognuno di noi fa
fatica a riconoscersi." (Nuto Revelli)
Ce l'hanno con i tedeschi, dai quali si sono sentiti traditi in Unione Sovietica; ce l'hanno con il regime fascista, che li ha mandati allo sbaraglio senza
armi, senza indumenti, senza carri armati; ce l'hanno con l'Italia avvolta nel
torpore e massacrata dai bombardamenti alleati. Ce l'hanno con il mondo, ma
è da molti di questi uomini che nascerà la Resistenza ed è dalle loro fila che
usciranno i migliori comandanti partigiani.
Giovanni
Fogliato
"Rosso Baracca"
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Sergente Geniere Alpino (classe 18), del 3° Btg. Misto Genio, Divisione "Julia", Reduce d'Albania e Russia e Medaglia d'Argento al
Valor Militare "sul campo" (Karkov/Ospedale n°8 - gennaio 1943).
Una vocazione alla generosità ed all'altruismo che ha avuto modo
di esprimere anche in tempo di pace: a 66 anni, con lo stesso slancio dei 25, soccorreva due malcapitati nel vecchio mulino sotto S.
Rocco, meritandosi una "Pubblica Benemerenza al Valor Civile"
(Oscar Luigi Scalfaro, Roma 13 aprile 1987).
In Italia, ma soprattutto nel Triveneto, malgrado la gran parte dei reparti
fosse composta da anziani territoriali, o da giovani ancora in addestramento,
o da ciò che restava delle unità rientrate dall'Africa e di quello che fu l'ARMIR
e in particolare il Corpo d'Armata Alpino in Russia, la Resistenza opposta alle
aggressioni tedesche, subito dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, fu comunque sbalorditiva.
Già l'8 settembre i tedeschi disarmano alcuni distaccamenti della "Julia" sul
Carso e premono con la 71^ Divisione di Fanteria lungo la linea Tarvisio–
Tolmino-Caporetto, ma si giovano soprattutto di inserimenti entro il confine
italiano, che sono stati possibili nelle settimane precedenti con la giustificazione ufficiale di contribuire alla difesa degli impianti portuali. Ad esempio,
forze tedesche sono presenti a Opicina, frazione del Comune di Trieste da
cui si dominano la città e il porto. Delle Grandi Unità, oltre alla 71^ Divisione, sono presenti solo la 44^ e la "Döla".
La mattina del 9 viene circondato e costretto alla resa il Comando della Divisione "Sforzesca", che presidia l'Istria, ma i suoi battaglioni aprono il fuoco attorno a Trieste, quello del maggiore Giudici respinge diversi inviti alla
resa e decide d'immolarsi.
Le truppe tedesche di stanza a Trieste si impadroniscono di una batteria
della Milizia schierata sul molo, catturano i piroscafi e affondano la corvetta
"Berenice" che tenta di prendere il largo; nel pomeriggio il comandante del
23° Corpo d'Armata si arrende e Trieste e Monfalcone cadono in mani
germaniche.
A Gorizia la Divisione "Torino" e reparti sbandati delle divisioni "Julia" e
"Sforzesca" si battono contro i tedeschi respingendoli per alcuni giorni; poi ,
dopo la resa, oltre 600 soldati, prigionieri o feriti, vengono uccisi stritolati
dai carri armati.
Alcuni reparti costituiscono sbarramenti sulle direttrici Tarvisio, Piedicolle
e Postumia, lungo le quali sono in movimento colonne tedesche. All'alba del
9 settembre reparti tedeschi della 71^ Divisione di Fanteria, rinforzata da
mezzi corazzati, entra in contatto con i nostri reparti che ne arrestano l'avanzata.
Il nemico è disorientato e deve indietreggiare, lasciando sul terreno molti
morti e feriti. Ma la tregua è breve e ben presto le unità germaniche rinnovano il loro attacco. Gli scontri si succedono con particolare violenza e solo
a mattina inoltrata i tedeschi riescono ad aver ragione della strenua difesa
delle nostre unità.
Udine resiste fino al 10 settembre. A Gorizia il colonnello Gatta non molla
fino al 13. A Monte Sabotino e a Monte Santo l'81° e l'82° Reggimento reagiscono all'intimidazione di resa.
95
A Bolzano sono soprattutto i Carabinieri a resistere. In Val Venosta 30 ufficiali e 800 graduati e soldati imbracciano le armi, ma accerchiati devono
cedere. Si combatte a Bressanone e dalle parti di Longarone. Qui opera il
Battaglione Alpino "Morbegno", completamente distrutto in gennaio a
Warvarovka e appena ricostituito. Non cede, preferisce ritirarsi e raggiungere i monti. Gli Alpini della rinata "Cuneense" lottano assieme ai fanti fino al
10 settwembre, poi sono costretti ad arrendersi. Molti si salvano in Val di
Sole. Si difende per qualche ora il presidio di Trento.
In quei terribili momenti, nell'area di Trieste, c'erano due nostri concittadini
Paolo
Gnata
fu Bortolo e Marzari Maria
Carabiniere, classe 1912.
Catturato dai tedeschi a Trieste, il 10 settembre 1943.
e a Sesana, con la 4^ Compagnia del 98° Battaglione di Fanteria Territoriale
Giovanni
Stefano
Fortuna
fu Fortunato e Fontana Bortola
Fante classe 1908,
Catturato dai tedeschi il 10 settembre 1943.
Per tutti e due, vedi anche Albo "I.M.I.".
A Tolmino, con il 21° Settore Guardie alla Frontiera, erano di stanza
Giovanni
"Nani"
Baccarin
Antonio
Luciano
Borin
Pietro
"Rino"
Grazian
96
fu Francesco e Covolo Elisabetta
G. a. F. Artigliere, classe 1920,
324^ Batteria, 60° Gruppo, 17° Reggimento Artiglieria
Catturato dai tedeschi a Trieste, il 12 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
fu Giovanni e Menara Angela,
G. a. F. Artigliere classe 1920, 17° Reggimento Artiglieria
Catturato dai tedeschi a Trieste, il 12 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
fu Giovanni e Graziani Orsola
Guardia, classe 1921,
Sbandato, riesce a tornare a casa e collabora come Patriota
alla Resistenza. Vedi anche Albo "Patrioti".
Sempre del 21° Settore Guardie alla Frontiera, ma di stanza a Cividale del
Friuli (Ud), c'era
Giuseppe
Francesco
"Bepin"
Grotto
fu Giuseppe e Duso Angela
Guardia, classe 1920.
Sbandato, riesce a tornare a casa ed entra nella Resistenza.
Vedi anche Albo "Partigiani".
Di stanza a Postumia, in Slovenia, sempre con il 21° Settore Guardie alla
Frontiera, si trovavano
Marco
Borin
fu Giovanni e Menara Angela
Geniere, classe 1911, 11° Reggimento Genio.
Catturato dai tedeschi, a Postumia, il 12 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
Felice
Amedeo
Caretta
fu Nicola e Savio Angela
G. a. F. Artigliere, classe 1920, 9^ Batteria, 52° Gruppo, 2°
Raggruppamento d'Artiglieria.
Catturato dai tedeschi a Postumia, il 19 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
Giovanni
Gabrieletto
"Moraro"
fu Giuseppe e Caretta Maria
G. a. F. Artigliere, classe 1921, 37° Reggimento Artiglieria
Catturato dai tedeschi a Postumia, l'11 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
Erminio
Giuseppe
Paulin
fu Giovanni e Guglielmi Lucia
G. a. F. Artigliere, classe 1920, 9° Reggimento Artiglieria
Sbandato, riesce a tornare a casa e collabora come Patriota
alla Resistenza.
Vedi anche Albo "Patrioti".
L'11 settembre 1943, a Udine, vengono catturati dai tedeschi due nostri
concittadini
Rino
Pietro
Barbieri
fu Pietro e De Vei Angela
Cavalleggero, classe 1911, 60° Reggimento Cavalleria
97
Romano
Dal Lago
fu Sante Amedeo e Campagnolo Rosa
Caporal maggiore del Genio, classe 1908, 1^ Compagnia
Artieri, 11° Reggimento Genio.
Reduce di Russia, Internato in Polonia; poi a Riga in Lettonia e a Konigsberg, ora Kalinigrad in Russia. Riesce a fuggire con l'aiuto di Partigiani Sovietici.
Si arruola volontario, combatte con l'Armata Rossa contro i
nazisti. Vedi anche "Volontari in Reparti Alleati".
Per tutti e due vedi anche Albo "I.M.I."
A Sacile (Pn), presso il centro di reclutamento del 71° Reggimento Fanteria,
era in addestramento
Luigi
"Gino
Baci"
Gabrieletto
fu Antonio e Dall'Osto Maria
Fante, classe 1924.
Sbandato, riesce a tornare a casa, ma causa di una spiata
viene catturato e "deportato" in Germania, nel 1° Campo
KG di Dachau, presso Monaco di Baviera.
Vedi anche Albo "Lavoratori coatti".
A Conegliano (Tv), presso il Deposito della Divisione "Puglie", era accasermato
Antonio
Caretta
"Rigati"
fu Giuseppe e Rasotto Maria
Artigliere, classe 1910.
Catturato dai tedeschi, a Conegliano (Tv), il 9 settembre
1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
A Padova, all'Aereoporto Militare, c'era
Silvio
Fortunato
Laggioni
fu Angelo e Fantinato Maria
Aviere, classe 1922.
Catturato dai tedeschi, a Padova, il 9 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
A Tarvisio (Ud), dalla Caserma "Italia", le Guardie alla Frontiera del 17°
Settore, oppongono una dura resistenza che dura tre giorni.
98
Dopo l'impari lotta, il 13 settembre vengono catturati dai tedeschi due nostri concittadini:
Bernardino
Gonzato
"Consatelo
Gregorio
Felice
Zanin
fu Domenico e Todesco Maria
la Guardia ", classe 1911, della 285^ Compagnia.
fu Pietro e Bassan Angela
Cavalleggero, classe 1923, del 4° Squadrone Cavalleggeri.
Per tutti e due vedi anche Albo "I.M.I.".
Del 17° Settore Guardie Alla Frontiera, 11° Reggimento Artiglieria, di
stanza a Cormons (Go), era presente
Natale
Gonzato
"Consatelo"
fu Domenico e Todesco Maria
Caporale d'Artiglieria delle G. a. F., classe 1909.
Catturato dai tedeschi, a Cormons (Go), il 13 settembre
1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
A Brunico (Bz), al 15° Settore Guardie alla Frontiera, si trovava
Francesco
Giovanni
Bonato
fu Antonio e Moro Maria
Guardia, classe 1914.
Catturato dai tedeschi a il 9 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
A Merano (Bz), nella 248^ Batteria, 58° Gruppo, 5° Reggimento Artiglieria,
Divisione "Piave", c'era anche il nostro concittadino
Pierino
Boscato
fu Giovanni e Valtiero Angela
Artigliere, classe 1923.
Catturato dai tedeschi il 9 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
Al Deposito - Comando truppe della Divisione "Acqui", 18° Reggimento
Fanteria, c'era
99
Secondo
Vittorio
Buttiron
fu Giuseppe e Zanotto Maria
Fante, classe 1920.
Sbandato, riesce a tornare a casa ed entra nella Resistenza
Armata.
Vedi anche Albo "Partigiani".
A Vipiteno (Bz), nella Compagnia Servizi, 4° Battaglione, 80 Reggimento
Fanteria, c’era:
Guido
Caretta
fu Pietro e Dal Ferro Maria
Fante, classe 1923.
Catturato dai tedeschi il 9 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
Ad Appiano (Bz), al 4° Reggimento del Genio Alpini, erano di servizio anche i nostri
Giuseppe
Gnata
fu Bortolo e Marzari Maria
Autiere Alpino, classe 1923.
Sbandato, riesce a tornare a casa ed entra nella Resistenza
Armata.
Vedi anche Albo "Partigiani".
Giuseppe
Filippetto
fu Domenico e Maran Elisabetta
Geniere Alpino, classe 1923, 4° Reggimento Genio Alpini.
Catturato dai tedeschi, il 9 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I."
A Bolzano, c'erano i nostri concittadini
Adelino
Farinea
fu Giuseppe e Demenego Maria
Carrista, classe 1918, Reggimento Lanceri "Vittorio Emanuele II", 5° Gruppo Carri Leggeri, Squadrone Comando.
Sbandato, riesce a tornare a casa e collabora come Patriota
alla Resistenza.Vedi anche Albo "Patrioti"
Vittorio
Saggin
fu Luigi e Paiusco Maria
Legionario Artigliere, classe 1899, 597^ Batteria, 8^ Legione
C. N. d'Artiglieria Contraerea.
"Ragazzo del '99", anche se in "camicia nera", si oppone al-
100
l'invasore germanico, viene catturato dai tedeschi il 9 settembre 1943. Vedi anche Albo "I.M.I.".
Giuseppe
Persico
fu Guerrino e Caretta Appollonia
Fante Bortolo, classe 1924, 3^ Compagnia Reclute, 232°
Reggimento Fanteria "Avellino", Divisione "Brennero".
Catturato dai tedeschi il 10 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
A Trento erano in servizio
Giovanni
Meneghini
fu Domenico e Gallio Rosa
Autiere Alpino, classe 1908, 4° Reggimento Genio Alpini.
Catturato dai tedeschi il 9 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
Sergio
Monticello
fu Oreste e Todeschin Francesca
Soldato, classe 1917, 92^ Compagnia, Distretto Militare.
Catturato dai tedeschi il 9 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
A Verona, sono accasermati:
Antonio
Brazzo
fu Mario
Legionario Artigliere, classe 1914, 8^ Legione C.N. d'Artiglieria Contraerea.
Catturato dai tedeschi il 9 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
Giuseppe
fu Domenico e Todesco Maria
Fante, classe 1920, 79° Reggimento Fanteria "Roma".
Sbandato, riesce a tornare a casa e collabora come Patriota
alla Resistenza. Vedi anche Albo "Patrioti".
"Bepi"
Gonzato
"Consatelo"
Domenico
Augusto
Marchiorato
fu Pietro e Gallio Giovanna
Artigliere, classe 1918, 5° Reggimento Artiglieria di C. d'A.
Sbandato, riesce a tornare a casa e collabora come Patriota
alla Resistenza. Catturato durante un rastrellamento, viene
"deportato " in Germania.
Vedi anche Albo "Patrioti" e "Lavoratori coatti".
101
Una strada diversa intraprende...«omissis»..., che aderisce al Terzo Reich e
continuerà a servirlo come Waffen SS, nella "Banda Carità"vicentina.
Una volta internati, altri quattro aderiscono alla Repubblica di Salò, e un
quinto aderisce al Terzo Reich, servendo i nazisti nelle ferrovie, prima a
Monaco di Baviera e successivamente a Vicenza.
Eliminate le ultime sacche di resistenza, il Regio Esercito Italiano non esiste più, così come in tutt'Italia centro-settentrionale non esiste più lo Stato.
Restano solo centinaia di migliaia di soldati sbandati, così descritti dal Vescovo di Trieste, Monsignor Santin:
"Passano per lunghe vie, stanchi e umiliati, i nostri soldati, abbandonati da
coloro che avrebbero dovuto guidarli e precederli nel sacrificio".
I tedeschi danno la caccia a tutti i soldati italiani per internarli in Germania;
gli sbandati tentano viceversa e con ogni mezzo, di raggiungere i loro paesi
d'origine, alcuni salgono subito in montagna a costituire le prime bande partigiane, molti altri gli seguiranno più tardi.
In Istria e nella Venezia Giulia, di fronte al rapido sgretolarsi della presenza
italiana, la Wehrmacht occupa i centri nevralgici, le città portuali di Trieste,
Pola, Fiume, l'area industriale di Monfalcone e Gorizia: i tedeschi lasciano
temporaneamente libero il resto del territorio, in attesa di disporre delle forze necessarie per assicurare il controllo capillare di tutta la regione.
E' in questo improvviso vuoto di potere, dove non c'è più il riferimento ad
alcuna autorità civile o militare, che si inserisce il fenomeno inquietante delle
"foibe istriane" dell'autunno 1943, l'eliminazione brutale di diverse centinaia
di italiani bollati come "nemici del popolo", fucilati dopo processi–farsa, o
più sbrigativamente massacrati e fatti sparire nelle grandi voragini carsiche.
Nell'anarchia del dopo armistizio, si sviluppano due diverse dinamiche: da
una parte, l'intervento organizzato delle formazioni partigiane slave, le quali
assumono il potere in "nome del popolo"; dall'altra, l'insurrezione spontanea dei contadini croati, che si impadroniscono delle armi abbandonate dai
militari italiani e danno vita ad una vera e propria rivolta, con l'incendio di
catasti e di archivi comunali. Assalti a proprietà italiane, violenze sulle persone.
102
Artigliere Felice Caretta, classe 1920, al
pezzo da 149/12.
marzo, 1940 – Scuola di tiro a Gorizia. Sul
pezzo da 149/35, dal basso in alto, troviamo 4 nostri concittadini: Erminio Paulin
(classe 1920), Felice Caretta (classe 1920),
Giovanni Gabrieletto “Moraro” (classe
1921) e Giovanni Viero “Cielo” (classe
1920).
La prima dinamica è più facilmente ricostruibile. Le forze partigiane provenienti dalla Croazia, dipendono dalla 13^ Divisione dell'E.P.L.J. (Esercito
103
Popolare di Liberazione della Jugoslavia) e si congiungono con i nuclei di
ribellismo locale e con reparti sloveni; sono portatori di un preciso messaggio propagandistico in chiave nazionalistica, politica e sociale: l'appello alla
comunità slava dell'Istria è fatta in nome di una promessa di riscatto che coniuga la lotta di liberazione nazionale contro gli italiani, alla lotta di classe
contro i padroni e alla lotta contro il fascismo.
Si tratta di una caratteristica peculiare della strategia di Tito, che nell'area
giuliana alimenta l'equazione ITALIANO = PADRONE = FASCISTA, con una
semplificazione efficace sul piano propagandistico, ma dalle conseguenze
devastanti per la comunità italiana.
La seconda dinamica è più difficile da ricostruire per lo spontaneismo che
la caratterizza. Molta parte della popolazione rurale slava vede nel crollo della presenza italiana l'occasione per vendicare i torti subiti nel Ventennio e
dare sfogo alle rabbie represse.
Dall'intreccio di queste due dinamiche derivano le degenerazioni delle settimane successive.
104
COMANDO SUPERIORE FF.AA. SARDEGNA
Il Comando Superiore FF. AA. Sardegna, con i suoi 130.000 uomini, è alle
dirette dipendenze del Comando Gruppo Armate Sud.
Comprendeva due corpi d'armata, due divisioni autonome, la "Bari" e la
"Nembo", reparti del costituendo 33° C. d'A., il Comando marittimo di La
Maddalena e quello dell'aereonautica. Il Comando era a Bortigali (Nu).
- Il 13° Corpo d'Armata comprendeva la 203^ e 205^ Divisione Costiera e
la Divisione "Sabauda". Il Comando era a Nuranimis (Ca).
- Il 30° Corpo d'Armata comprendeva la 204^ Divisione Costiera, la Divisione "Calabria" e reparti del costituendo 4° Corpo d'Armata. Il Comando era a Sassari.
Nell'isola era presente la 90^ Divisione Motorizzata tedesca "Panzergrenatier".
Anche in Sardegna, il grosso della truppa è addestrato ed equipaggiato in
maniera sommaria e in più, è zeppo di ex appartenenti alla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale .
Solo la "Nembo" è efficiente e animata da un forte spirito combattivo, è
l'unica grande unità ad avere in dotazione i fucili mitragliatori Beretta, da 30
e 40 colpi, anziché il vetusto fucile '91.
La Divisione nasce con una leva di esaltati senza eguali; arriva persino un
gruppo di bersaglieri, che ogni volta si lanciano con biciclette e motociclette.
Dovrebbero costituire un reparto di assaltatori da scatenare alle spalle del
nemico, ma per l'Esercito Italiano, non esistono più offensive, è cominciato
il triste conto alla rovescia in attesa dell'invasione anglo-americana. Di questi
paracadutisti ci si fida poco: vengono considerati fascisti a tutto tondo, molti provengono dalla Gioventù Littoria, sono cresciuti con il mito del bel gesto e dell'insubordinazione.
Dall'8 settembre 1943, però, tutto cambia.
La 90^ Panzergrenatier, con le unità di contorno assomma a 25.000 uomini. Sulla carta si registra la consueta sproporzione di forze, nella realtà il
confronto è fra divisioni sparpagliate, psicologicamente demotivate, prive di
ordini precisi e un'unità compatta, la quale sa da giorni che cosa fare. Puntano a raggiungere il porto della Maddalena per imbarcarsi verso la Corsica, e
già il 9 settembre s'impadroniscono della piazza.
Malgrado lo scontro sia stato aspro, con molti caduti fra gli artiglieri italiani delle batterie costiere e la distruzione di molti aerei al suolo, il Gen.
Basso accoglie nei fatti la proposta tedesca di lasciare la Sardegna per la
Corsica.
105
Infatti, il 132° Reggimento Fanteria, che disputa ai granatieri tedeschi il
possesso del ponte sul Tirso, lo fa di propria iniziativa, in contrasto con gli
ordini diramati dal quartier generale. Lo stesso accade alla Maddalena, dove i
marinai affrontano le avanguardie germaniche nonostante le disposizioni
pacifiche diramate dal Comando marittimo.
Anche il fronte interno è in ebollizione. La "Nembo", ondeggia. Si levano
voci contrarie all'armistizio e favorevoli all'alleanza con il Terzo Reich. La
situazione è difficile: la "Nembo" è la divisione meglio armata, i tedeschi la
temono, tuttavia nel momento decisivo la divisione sfugge di mano. Compagnie del 12° e del 3° Battaglione, del 184° Reggimento, decidono di seguire i vecchi camerati. Tutto il 183° Reggimento, viceversa, rifiuta di consegnare le armi ai tedeschi e dimostra di non temere lo scontro armato.
Finalmente da Brindisi viene ordinato al Gen. Basso di attaccare i tedeschi
in forze. Un'azione coordinata delle tre divisioni disponibili, "Bari", "Sabaudia" e "Calabria", consente di liberare Santa Teresa di Gallura. La battaglia è
aspra, una cinquantina di morti da entrambe le parti. Si arrendono 500 granatieri, la Sardegna è libera, ma la 90^ Divisione tedesca è riuscita a passare
quasi integra in Corsica.
Al Golfo degli Aranci (Ss), con la 636^ Compagnia Mitragliatori, 110° Battaglione, della 204^ Divisione Costiera, c'era
Paolo
Guerrino
Caretta
"fiolo"
fu Giovanni e Pigato Caterina
Mitragliere, classe 1916.
Dopo la Liberazione della Sardegna, raggiunto il continente,
continuerà a combattere con il Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.): 4^ Compagnia, 517° Battaglione, 1° Reggimento
delle Guardie.
Vedi anche Albo"C.I.L."
e con la Divisione Paracadutisti "Nembo"
Angelo
Dal Santo
"Marusco"
106
fu Francesco e Sandonà Caterina
Paracadutista, classe 1920.
Dopo la Liberazione della Sardegna, raggiunto il continente,
continuerà a combattere con il Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.), 183° Reggimento Paracadutisti "Nembo", poi
nel Gruppo di Combattimento "Folgore".
Vedi anche Albo"C.I.L."
7° CORPO ARMATA – CORSICA
Il 7° Corpo d'Armata, con i suoi 80.000
uomini, era dislocato in Corsica, alle dirette
dipendenze del Comando Gruppo Armate
Sud.
Composto dalla 225^ e 226^ Divisione
Costiera e dalle Divisioni "Friuli" e "Cremona", aveva il Comando a Corte.
Nell'isola era già presente la Brigata speciale "Reichsführer SS".
In Corsica, il generale Magli, a capo del
7° Corpo d'Armata, non fa come la gran
parte dei suoi colleghi e reagisce subito.
Alle divisioni "Friuli" e "Cremona", alle
due divisioni costiere, al Battaglione Alpino
"Monte Baldo", oltre agli avieri e ai marinai, viene fatto assumere un minimo di
precauzione già nella serata dell'8 settemIl caporale d’Artiglieria
bre.
Mario Papini (classe 1909).
Di fronte hanno una Brigata speciale germanica, ben equipaggiata e in segreto addestrata per opporsi agli italiani, più
personale di mare e di cielo. Sono circa 15.000 uomini.
Il contingente della marina tedesca a Bastia effettua un colpo di mano
contro la torpediniera "Ardito" e il piroscafo "Humanitas". La veloce reazione dei nostri marinai sventa l'aggressione.
Si muove la "Friuli", che in sintonia con la Resistenza corsa, inizia un'azione congiunta su Bastia. L'attacco dei bersaglieri, maquis (partigiani francesi),
marinai, fanti, appoggiati dai cannoni della "Friuli", provoca centinaia di
morti nel contingente germanico e il suo ripiegamento dalla città.
In Corsica, con il 4° Gruppo 75/18, 35° Reggimento Artiglieria, Divisione
"Friuli", c'era
Antonio
Dal Carobbo
fu Andrea e Grotto Erminia
Caporal maggiore d'Artiglieria, classe 1921.
Dopo il rimpatrio in Sardegna, tornato sul continente, entra
a far parte del Gruppo di Combattimento "Friuli".
Vedi anche Albo "C.I.L.".
107
Alla 3^ Compagnia, 533° Battaglione, 225^ Divisione Costiera, apparteneva
Mario
Papini
fu Angelo e Parise Rosa
Caporale d'Artiglieria, classe 1909.
Dopo il rimpatrio in Sardegna, per ragioni d'età è assegnato alla Difesa Territoriale dell'isola. Vedi anche Albo
"C.I.L.".
Alla 4^ Compagnia, 354° Battaglione, 226^ Divisione Costiera, apparteneva
invece
Umberto
Zanin
fu Luigi e Rizzato Maddalena
Artigliere, classe 1911.
Dopo il rimpatrio in Sardegna, per ragioni d'età, è assegnato alla Difesa Territoriale dell'isola. Vedi anche Albo
"C.I.L.".
Dopo falsi propositi di accordo, in realtà scuse per prendere tempo, costituire una linea difensiva e ricevere rinforzi dalla Sardegna, le SS, appoggiate
ora dai granatieri della 90^ Divisione, avanzano verso Bastia.
A Casamozza i bersaglieri e i fanti della "Cremona", gli artiglieri della 225^
Divisione Costiera e le artiglierie della "Friuli", fanno muro con tenacia; diversi panzer colpiti, 500 granatieri con le mani alzate. Forse c’è un eccesso
di entusiasmo che induce alcuni nostri reparti ad avanzare. La Brigata SS ne
approfitta per sfondare. I tedeschi usano proiettili incendiari e lanciafiamme.
Gli artiglieri si sacrificano. La resistenza di Casamozza consente a gran parte
delle truppe di Bastia di mettersi in salvo. Occupata la città, i nazisti ricevono due ordini. Il primo arriva da Kesselring: evacuare al più presto la Corsica. Il secondo da Hitler: fucilare gli ufficiali italiani che hanno impugnato le
armi contro il Terzo Reich.
Il gen. von Senger, comandante tedesco dell'isola, ne ha catturati più di
duecento, ma a differenza di ciò che fanno a Cefalonia, si ribella all'infame
provvedimento. A suo giudizio gli ufficiali hanno obbedito agli ordini del
loro governo legittimo e illegittimo sarebbe il considerarli franchi tiratori.
La mancata punizione di von Senger, che anzi proseguirà nella sua trafila di
comandi, dimostra che persino gli ordini più spietati di Hitler potevano essere disattesi senza conseguenze. Coloro che vi si attennero, da Cefalonia alle rappresaglie in Italia, lo fecero per gusto, per convinzione, per pavidità,
non per costrizione o per sfuggire a sanzioni personali.
Il 14 settembre approda ad Ajaccio la 4^ Divisione franco-marocchina.
108
Nonostante l'inadeguatezza dei nostri pezzi controcarro di fronte alla possente corazza dei panzer, quelli della "Cremona" figurano onorevolmente il
15 a Quenza e nei giorni successivi a Levie, a San Paolo, a Ponte Sorbolo.
Accoppiate all'agilità dei marocchini, sono le mine collocate dai bersaglieri
sui monti e la mira precisa degli artiglieri, a dissuadere i tedeschi dall'insidiare la parte settentrionale della Corsica. Volevano procedere all'occupazione
dell'isola per sgomberarla poi in tranquillità. Le difficoltà d'attuazione inducono i tedeschi ad accelerare l'evacuazione, che si concluderà il 4 ottobre.
Liberata la Corsica, la collaborazione con il 7° Corpo d'armata italiano si
sfilaccia velocemente. Inglobata l'artiglieria e attinto abbondantemente alle
salmerie, il comando francese destina gli italiani a compiti di guarnigione.
Nell'efficace controffensiva di fine settembre, "Friuli" e "Cremona" sono
state in prima linea al momento del pericolo e, dopo il successo, sono messe
in disparte.
I padroni di casa non ci vogliono in mezzo ai piedi e i britannici ne sono
ben lieti, soprattutto per evitare che l'apporto italiano possa servire ad addolcire le durissime condizioni dell'armistizio.
A novembre i nostri reparti, depredati ulteriormente e abbondantemente
di armamenti e salmerie, lasciano la Corsica e si trasferiscono in Sardegna.
109
V^ ARMATA ITALIANA - CENTRO ITALIA
La V^ Armata, con i suoi 60.00 uomini, operava nel centro Italia (Liguria
orientale, Toscana, Marche, Umbria e Alto Lazio), alle dirette dipendenze
del Comando Gruppo Armate Sud. Comprendeva due Corpi d'Armata e
aveva il Comando a Orte (Vt).
- Il 2° Corpo d'Armata era costituito: dalla Divisione "Ravenna", in riordinamento e incompleta perché reduce dalla Russia; dalla 215^ e 216^ Divisione Costiera, in corso di costituzione. Il Comando era a Siena.
- Il 16° Corpo d'Armata era costituito dalla Divisione "Rovigo" e dalla Divisione Alpina "Alpi Gaie", ambedue in movimento. Il Comando era a La
Spezia.
Nell'area erano presenti reparti germanici del 37° Corpo d'Armata (65^,
76^, 94^ e 305^ Divisione).
La Divisione "Rovigo", riposizionata lungo la costa ligure, ma colta ancora
in fase di trasferimento, è già un miracolo che riesca a difendere il porto e la
città di La Spezia, almeno quel tanto che basta a permettere al grosso della
flotta italiana di uscire e dirigersi su Malta.
Il 3° e 4° Gruppo Alpini Valle, unificati, hanno costituito la Divisione Alpina "Alpi Gaie", che, anche se colta in fase di trasferimento e riorganizzazione, riesce ad impegnare i tedeschi per giorni. Fra Carrara e La Spezia,
combatte fino al 14 il battaglione del magg. Amedeo Cordero di Montezemolo e le giovani reclute del Battaglione Alpino "Val di Fassa".
"L'8 settembre, a Marina di Carrara, alle sette di sera, suona l'allarme. Il ‘Val
di Fassa’ si schiera a difesa. Nel pomeriggio del 9 arriva una camionetta tedesca con bandiera bianca; vengono ad ordinare la resa.
Il maggiore, comandante del ‘Val di Fassa’, è sparito, ne prende il comando
il Capitano, che, sentito il parere dei suoi uomini, rifiuta la resa. Il reparto,
formato in gran parte da giovani reclute, è attaccato dai tedeschi, è il loro
"battesimo del fuoco".
Si combatte fino al 14, poi la battaglia si sposta sull'Appennino ancora per
alcuni giorni.
Finite le munizioni, invece di arrendersi, gli Alpini nascondono le armi (che
verranno poi recuperate dai partigiani), e a piccoli gruppi si sganciano e si
disperdono fra i monti." (Alfio Caruso)
Inizia così la lunga strada che avrebbe dovuto portare verso casa anche alcuni nostri concittadini, alpini della 273^ Compagnia, del Battaglione "Val
di Fiemme", Divisione Alpina "Alpi Gaie":
110
Emilio
Antonio
Campese
fu Dionisio e Bonin Maria
Alpino, classe 1923.
Catturato dai tedeschi a Reggio Emilia, il 18 settembre
1943. Vedi anche Albo "I.M.I.".
Bortolo
Fina
fu Lorenzo e Campana Amabile
Alpino, classe 1923.
Sbandato, riesce a tornare a casa e collabora come Patriota
alla Resistenza. Vedi anche Albo "Patrioti".
Francesco
Narciso
Poletto
fu Giovanni e Sartori Maddalena
Alpino, classe 1923.
Catturato dai tedeschi, a Peschiera (Vr), il 20 settembre
1943. Vedi anche Albo "I.M.I.".
A Savona, ci sono altri tre nostri concittadini: due Alpini della 59^ Compagnia, Battaglione "Vicenza", Divisione "Alpi Gaie"
Alfredo
Nemo
fu Francesco e Bendonini Giulia
Alpino, classe 1919.
Reduce del Fronte Greco-Albanese con la "Julia", 9° Regg.
Alpini, 65° Rep. Salmerie, Btg. "Val Leogra", 261^ Comp.,
nel '40-'41.
Reduce di Russia con la "Julia", 8° Regg. Alpini, Btg. "Tolmezzo" nel '42-'43.
Già del Btg. "Val Tagliamento", 4° Gruppo Alpini Valle, a
Segno Ligure (Sv), nel '43.
Guerrino
Marco
Peruzzo
fu Pietro e Novello Lucia
Alpino, classe 1913.
Reduce del Fronte Greco-Albanese con la "Julia", 9° Regg.
Alpini, Btg. "Val Leogra", 259^ Comp., nel '40-'41.
Reduce di Russia con la "Julia", 8° Regg. Alpini, Btg. "Tolmezzo" nel '42-'43.
Già del Btg. "Val Tagliamento", 4° Gruppo Alpini Valle,
a Segno Ligure (Sv), nel '43.
111
e con la 127^ Batteria Contraerea 88/55, 30° Gruppo, 5° Reggimento Artiglieria "Puglie"
Angelo
Stella
fu Valentino e Valtiero Maria
Artigliere, classe 1908.
Tutti catturati dai tedeschi il 12 settembre 1943. Vedi anche Albo "I.M.I.".
Ad Altopascio (Lu), dove è dislocato l'11° Battaglione A.U.C. "Cravatte azzurre" del 24° Reggimento Fanteria (posto a difesa degli aeroporti di Livorno, Pisa e Lucca), "fra l'8 e il 10 settembre le giornate passarono fra ordini e
contrordini. «La guerra continua» era il messaggio di Badoglio; con chi? E
contro chi? Cinismo assoluto della storia, scelta erronea o colpevole del singolo. Il giorno 10, al grido «W il Re», il Comandante Farina sciolse la nostra
compagnia invitandoci a tornare ai nostri distretti." (Gianni Comparin)
Tra loro c'era anche
Angelo
Giaretta
112
fu Vittorio e Perdoncin Giovanna
AUC (Allievo Ufficiale di Complemento), classe 1920.
Figlio di Vittorio Giaretta, antifascista e futuro Sindaco
provvisorio di Montecchio Precalcino.
Diplomato all'Istituto Tecnico Fusinieri di Vicenza nel
1941, assunto nello stesso anno dal Credito Italiano di Vicenza, si iscrive alla facoltà di Economia e Commercio di
Venezia. Per motivi di studio la sua chiamata alle armi è
procrastinata al 10 Febbraio 1943, quando raggiunge, come
allievo ufficiale, l'11° Btg. d'Istruzione a Gradisca d'Isonzo.
All'inizio di luglio del 1943 il reparto è trasferito a Sesto
Fiorentino e successivamente ad Ardenza (Li), a Pisa ed infine ad Altopascio (Lu), dove il 10 settembre arriva l'ordine
di "rompete le righe". Raggiunge in abiti borghesi fortunosamente la propria casa il 15 settembre 1943.
Vedi anche "Albo Patrioti"
Marzo ’43 – Gradisca ’Isonzo, il I
plotone, II^ Compagnia, 11° Battaglione A.U.C. in
addestramento.
Angelo Giaretta è
indicato dalla freccia.
A Firenze, la mattina del 9 settembre, il Gen. Marigi, vice comandante della
"Nembo", appreso che cannoni e artiglieri del 41° Reggimento sono stati
catturati e avviati verso il Passo della Futa, organizza immediatamente l'unico reparto che ha sottomano. Con la 56^ Compagnia del 19° Battaglione
Paracadutisti, si lancia all'inseguimento. I granatieri germanici vengono attaccati e sopraffatti. Gli artiglieri riconquistano la libertà, Marigi e i suoi riparano in Romagna, terra natale del generale.
Nel senese, a Radicofani e ad Abbadia San Salvatore, compagnie della "Ravenna", provano invano a fermare le colonne tedesche. Altre compagnie
della divisione vengono disperse dai nazisti che occupano la stazione di
Chiusi. A Montepulciano le reclute carristi fanno quel che possono.
Fra Cecina (Li) e Orbetello (Gr), battesimo del fuoco per la 215^ Divisione
Costiera. A Piombino (Li) gli artiglieri affondano i mezzi navali germanici e
difendono le attrezzature di collegamento con l'Elba e sull'isola resistono fino al 16.
A Terni, con la 16^ Leg. C.N. Artiglieria Contraerea, troviamo:
Luigi
Chemello
fu Roberto e Meda Anna
Legionario C.N., classe 1925.
Già volontario a ferma anticipata (17.11.42) nella 42^ Leg.
C.N. di Vicenza.
Catturato dai tedeschi a Terni, il 13 settembre 1943.
Muore per malattia contratta in prigionia, il 6 maggio 1949.
Vedi anche Albo "I.M.I." e "Caduti".
113
COMANDO SUPERIORE FF. AA. DIFESA ROMA
Il Comando Superiore FF. AA. Difesa Roma, con i suoi 100.000 uomini,
era alle dirette dipendenze dello Stato maggiore del Regio Esercito.
Costituito da tre corpi d'armata, aveva il Comando a Roma.
- Il 17° Corpo d'Armata comprendeva: la Divisione "Piacenza", la Divisione "Lupi di Toscana" e la Divisione "Re", in movimento, la Divisione
"Sassari", per l'impiego alle dipendenze del C.A. "Roma", la 220^ e la 221
^ Divisione Costiera; reparti del 34° C. d'A. in fase di costituzione. Il
Comando era a Velletri (Roma).
- Il Corpo d'Armata Motorizzato "Cremona" comprendeva: le divisioni
"Piave", "Ariete" e "Centauro" e la Divisione "Granatieri di Sardegna",
per l'impiego alle dipendenze del 17° C. d'A. Il Comando era a Roma.
- Il Corpo d'Armata "Roma" comprendeva le Brigate speciali "C" e "CX".
La mancata difesa di Roma rappresenta la somma di tutto ciò che si sarebbe potuto fare e non si fece per la vigliaccheria, il pressappochismo, l'incapacità del nostro vertice politico-militare.
Attorno alla capitale sono schierate l'"Ariete", la "Pavia", la "Granatieri di
Sardegna", il grosso della "Piacenza" e la "Centauro" di riserva. Dentro alla
città hanno preso posizione la "Sassari", gli allievi delle scuole militari e i reparti dei Carabinieri e Polizia. Assommano a 65.000 soldati e 236 mezzi corazzati. Per di più stanno affluendo la Divisione "Lupi di Toscana" e la Divisione "Re".
Di tutto l'Esercito Italiano, all'8 settembre 1943, solo 5 grandi unità erano
con l'organico completo e il personale al 90-100%, 4 di queste (Ariete, Piave, Piacenza e Granatieri di Sardegna) sono a difesa di Roma. La Divisione
Corazzata "Ariete" e "Centauro", nonché la Divisione Motorizzata "Piave",
sono tutte equipaggiate con i più moderni armamenti.
I tedeschi dispongono dell'11° Corpo Paracadutisti (3^ Divisione Corazzata, 2^ Divisione Paracadutisti, appoggiata da 60 carri armati Busing), meno
di 30.000 uomini.
Per sopraffarli sarebbe, però, occorsa la voglia e la determinazione di comandanti in capo, preoccupati viceversa di studiare i piani di fuga. In conseguenza alla truppa e agli ufficiali che ne condivisero il destino, fu lasciata
soltanto la scelta di arrendersi o di morire.
Bernardino
Giacomo
Balasso
114
fu Antonio e Sbalchiero Angela
Caporal maggiore di Fanteria, classe 1914.
232° Regg. Fanteria "Avellino", Divisione "Brennero" in
Albania. Di stanza a Durazzo, in Albania, ammalato, viene
rimpatriato e ricoverato presso l'Ospedale Militare di Roma.
L'8 settembre, dimesso o fuggito dall'ospedale, tenta di tornare a casa. E' catturato dai tedeschi tra Roma e Vicenza, il
25 settembre 1943. Vedi anche Albo "I.M.I.".
La sera dell'8 settembre, il Sottotenente del Genio Rosso fa saltare il ponte
per bloccare l'avanzata di una colonna corazzata tedesca. Rosso muore assieme a cinque commilitoni e diversi nemici. Da Monterosi a Manziana si
batte la Divisione "Ariete". Il "Cavalleggeri di Lucca" mette fuori uso una
colonna di panzer. La Divisione "Piave" resiste nei pressi della Cassia, assieme agli artiglieri della Divisione "Sassari".
La mancata difesa di Roma
115
I fanti difendono fino a sera il castello di Monterotondo, dove aveva sede
lo Stato Maggiore dell'Esercito, dall'attacco di 700 paracadutisti. A sud battagliano i reparti della "Centauro" con i loro trenta carri armati "Tigre".
Per tutto il 9 la situazione è in bilico.
Il 10 sparano ancora i "Granatieri di Sardegna" e i civili, che un dilagante
tam tam fa correre verso Porta San Paolo: ne muoiono 241 con le armi in
mano. Si sacrificano anche due giovani capitani: Camillo Sabatini e Francesco Vannetti Donnini. Sono figli di anziani generali e i loro padri torneranno a combattere alla testa di due formazioni partigiane, la "Monte Sacro" e
la "Sant'Agnese".
In poco più di quarantott'ore i tedeschi si trovano con Roma in mano.
Molti soldati buttano le armi, si tolgono la divisa, non vogliono più saperne
della guerra. Scocca l'ora dei "tutti a casa".
116
VII ARMATA ITALIANA – SUD D'ITALIA
La VII^ Armata Italiana, con i suoi 80.000 uomini, operava nel sud Italia
alle dirette dipendenze del Comando Gruppo Armate Sud.
Comprendeva tre Corpi d'Armata e il Comando era dislocato a Potenza,
- Il 9° Corpo d'Armata era costituito, dalla Divisione "Legnano", in movimento, dalla Divisione "Piceno", dalla 209^ e 210^ Divisione Costiera, da
reparti del costituendo 34° C. d'A. Il Comando era a Putignano (Ba).
- Il 19° Corpo d'Armata era costituito: dalla Divisione "Pasubio", in riordinamento perché reduce dalla Russia, dalla 222^ Divisione Costiera, da
reparti del costituendo 32° C. d'A. Il Comando era a Casamarciano (Na).
- Il 31° Corpo d'Armata era costituito: dalla Divisione "Mantova", dalla
211^, 212^, 214^ e 227^ Divisione Costiera. Il Comando era a Soveria
Mannelli (Cz).
Nell'area era presente la 10^ Armata tedesca, composta da due corpi d'armata: il 14°, con le divisioni, 15^ Motorizzata, 16^ Corrazzata e la Corazzata
SS "Goering"; il 76°, con le divisioni, 26^ Corrazzata, 29^ Motorizzata e la
1^ Paracadutisti.
L'armistizio con l'Italia, che sarà reso pubblico ed entra in vigore l'8 settembre, venne in realtà firmato il 3, il giorno stesso in cui l'8^ Armata inglese sbarca a Reggio Calabria (operazione Baytown). Il 9 settembre, la 5^ Armata USA sbarca a Salerno (operazione Avalanche) e la 1^ Divisione Aerotrasportata inglese sbarca a Taranto.
La 1^ Divisione inglese è ferma da due giorni a Taranto. Vi è sbarcata nelle
stesse ore in cui la 5^ Armata americana mette piede a Salerno e adesso aspetta il sopraggiungere dalla Calabria dell'8^ Armata Britannica. Gli inglesi
se la prendono calma, i marines, viceversa, sono bloccati: avanzata verso
Napoli non progredisce.
La conseguenza è che in vaste zone delle Puglie e della Basilicata sono i reparti del nostro Regio Esercito a contrastare la 10^ Armata tedesca che sta
tentando di posizionarsi dall'Adriatico al Tirreno.
In Calabria il 31° C. d'A. italiano riesce ad evitare le distruzioni alle vie di
comunicazione che i tedeschi avevano minato e poi si uniscono ai reparti alleati.
In Calabria, nella Divisione "Mantova", c'erano tre nostri concittadini:
Antonio
Pobbe
fu Gio Batta e Dosio Angela Maria
Fante, classe 1915. Compagnia Comando, 1° Battaglione,
129° Reggimento Fanteria.
117
Pio Rodella
fu Giovanni e Pigato Teresa
Caporale d'Artiglieria, classe 1923.
329^ Batteria, 24° Reggimento Artiglieria.
Bortolo
Tagliapietra
fu Gio Batta e De Vicari Maria
Artigliere, classe 1909.
281^ Batteria, 15° Reggimento Artiglieria, Nicotera (Cz).
Dopo aver contrastato i tedeschi e agevolato l'avanzata inglese, con i
loro reparti verranno inquadrati nel Corpo Italiano di Liberazione.
Vedi anche Albo "C.I.L.".
Sempre in Calabria, nella 10^ Divisione Motorizzata "Piave, c'erano anche
Silvio
Campese
Angelo e Bassi Luigia
Fante, classe 1914.
7^ Compagnia, 336° Battaglione.
Giuseppe
Parise
fu Bortolo e Bianchini Isabella
Fante, classe 1915,
7^ Compagnia, 336° Battaglione.
Giuseppe
Dal Ferro
fu Angelo e Bettanin Maria
Artigliere, classe 1914,
20° Reggimento Artiglieria.
Bortolo
Silvio
Dall'Osto
fu Giacinto e Moro Domenica
Artigliere, classe 1907,
20° Reggimento Artiglieria.
Nicola
Todeschini
fu Pietro e Gnata Teresa
Artigliere, classe 1914,
20° Reggimento Artiglieria.
A Catanzaro Marina (Cz), con una Divisione Costiera del 31° C. d'A., Reggimento Costiero "Squillace", 11° Gruppo d'Artiglieria, 151^ Batteria, c'era
Giovanni
Viero
"Cielo"
118
fu Maddalena Viero
Artigliere, classe 1920.
Anche loro, dopo aver contrastato i tedeschi e agevolato l'avanzata inglese,
con i loro reparto verranno inquadrati nel Corpo Italiano di Liberazione.
Vedi anche Albo "C.I.L.".
Il 9 settembre, ad una parte della Divisione "Legnano", in trasferimento
verso la Puglia, è assegnato il compito di sbarrare le strade in direzione di
Pescara e Ortona (Ch): resistono sino al 12.
A Teramo militari e civili combattono spalla a spalla per respingere le prime
puntate germaniche. Da Andria (Ba) a Potenza resiste la "Piceno", mezza
"Legnano", due divisioni costiere e perfino una Legione dell' ex Milizia.
Arturo
Cesare
Grotto
fu Giuseppe e Duso Angela
Fante, classe 1922,
13° Regg. Fanteria "Pinerolo", Divisione "Legnano".
Catturato dai tedeschi, a Chieti, il 12 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
A Buccoli di Conforti (Sa), il Gen. Ferrante Gonzaga del Vodice, comandante della 222^ Divisione Costiera, si fa ammazzare piuttosto che ordinare
la consegna delle armi.
A Castellamare di Stabia (Na) i marinai resistono sino alla sera del 9 settembre. I loro ufficiali sono portati a Napoli e fucilati senza processo. Eguale sorte a Nola per dieci ufficiali che hanno guidato la Resistenza.
A Napoli, martoriata dai bombardamenti alleati (20.000 furono i napoletani
morti sotto le bombe), soldati e cittadini tentano la difesa, nella speranza
che le truppe alleate raggiungano rapidamente la città.
A Capodichino (Na) i tedeschi distruggono per rappresaglia interi quartieri.
Il 12 settembre ad Ascoli Piceno vengono inflitte pesanti perdite ad una colonna corazzata tedesca; le truppe germaniche si presenteranno numerose
soltanto il 7 ottobre: troveranno a contrastarli soldati, operai, impiegati. Una
riedizione in piccolo delle quattro giornate di Napoli.
A Bari, truppe italiane attaccano i tedeschi che avevano occupato il porto,
sgominandoli dopo aspri combattimenti. A Barletta, il presidio italiano resiste per più di ventiquattro ore al nemico, distruggendogli molti mezzi blindati.
A Lecce, il Comando della VII Armata italiana occupa la città mentre i tedeschi abbandonano la Puglia.
Scontri episodici avvengono a Canosa di Puglia (Ba) e a Monopoli (Ba).
Sono scaramucce che s'accendono ogni qualvolta si crea un contatto tra gli
119
italiani in spasmodica attesa di quei benedetti Alleati, che se la prendono
comoda, e i tedeschi, in marcia verso la "linea Gustav", tracciata fra Gaeta e
Termoli.
A Matera, è la popolazione a reagire ai saccheggi e alle ruberie delle truppe
tedesche.
Fascisti italiani e tedeschi compiono la prima di una lunghissima serie di
stragi, a Rionero di Vulture (Pz), contro la popolazione che affamata, aveva
tentato di assalire i magazzini dell'esercito ormai sguarniti, uccidono una
ventina di civili.
I battaglioni tedeschi in ritirata si lasciano terra bruciata alle spalle. Operano
feroci rappresaglie soprattutto dove la popolazione insorge come a Barletta
(Ba), a Spinazzola (Ba) e a Cava dei Tirreni (Sa).
A Fontana d'Ischia (Na), con la 222^ Divisione Costiera, combatte:
Giuseppe
Lonitti
fu Bortolo e Marcon Caterina
Artigliere, classe 1920,
Medaglia di Bronzo al Valor Militare.
147° Gruppo "A. Felice", 14° Raggruppamento Batterie
Costiere; sbandato, riesce a tornare a casa ed entra nella Resistenza Armata.
Morirà in combattimento il giorno della Liberazione di
Montecchio Precalcino.
Vedi anche Albo "Caduti" e "Partigiani".
a Caserta, con il 10° Reggimento Genio, 2° Reparto Autieri, 9° Gruppo, è
presente
Livio
Mario
Campagnolo
fu Valentino e Martini Margherita Hedda
Autiere, classe 1922.
Sbandato, riesce a tornare a casa ed entra nella Resistenza
Armata.
Morirà per mano fascista, durante un tentativo di cattura, il
20 aprile 1944.
Vedi anche Albo "Caduti" e "Partigiani".
A Cava dei Tirreni (Sa), con il 40° Reggimento di Fanteria "Bologna", Divisione "Pasubio", c'era
Modesto
Agostino
120
fu Giuseppe e Grazian Maddalena
Fante il, classe 1923.
Bortoli
"Coa"
Catturato dai tedeschi, a Napoli, il 19 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
A Salerno, con la 7^ Batteria del 15° Reggimento Artiglieria "Superga",
Divisione Pasubio", troviamo:
Pietro
Peron
fu Gio Batta e Lanaro Innocenza
Artigliere, classe 1916.
Catturato dai tedeschi il 10 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
Francesco
Caretta
fu Francesco e Rodella Virginia
Caporale d'Artiglieria, classe 1914.
Catturato dai tedeschi l'11 settembre 1943.
Vedi anche Albo "I.M.I.".
L'INIZIO DELLA CAMPAGNA D'ITALIA
e a Pulsano (Ta), nella 3^ Compagnia, 562° Battaglione, 210^ Divisione Costiera,
121
Gaetano
Martini
fu Giuseppe e Valtiero Anna
Fante, classe 1909.
Dopo aver contrastato i tedeschi e agevolato l'avanzata inglese, con il suo Reparto è stato inquadrato nel Corpo Italiano di Liberazione. Vedi anche Albo "C.I.L.".
Ma, la nostra condizione di sconfitti, sfugge ancora ai ‘coraggiosi’ d'alto
bordo, riparati a Brindisi.
Forse è la certezza di aver salvato la pelle, di essersi sottratti alla reazione
nazista, che così tanto li ha terrorizzati e condizionati, a persuadere Badoglio, Ambrosio e Roatta, di poter discutere alla pari con gli Alleati, dei quali
per altro non si vede traccia. Sfugge loro l'entità della catastrofe.
Sono convinti che a Londra e a Washington, siano grati per l'armistizio siglato e pronti a trattarci da amici di vecchia data.
Nessuno coglie la profonda disistima dei generali inglesi ed americani, il loro disgusto per la nostra convinzione di poter cambiare cavallo senza contraccolpi.
Da consumati artisti del valzer, riteniamo che vent'anni di costante genuflessione a Mussolini siano già stati dimenticati: sorprende che qualcuno
vorrà, invece, ricordarsene (il Gen. Roatta, ad esempio, è stato il comandante del corpo di spedizione fascista nella guerra civile spagnola e, come comandante della 2^ Armata in Jugoslavia, si è macchiato, durante l'occupazione italiana, di abbietti crimini di guerra).
Quei grandi condottieri "… si sentono uomini per tutte le stagioni. E se
nell'attuale, occorre accontentarsi di quattro regioni e di un cumulo di macerie, pazienza. L'importante è conservare almeno l'apparenza del potere.
Roatta assume il comando delle forze disponibili, fingendo di ignorare che
in pratica si riducono a due divisioni (Piceno, Mantova) e mezzo (Legnano)
di fanteria, più qualche reparto costiero. Con uno di quei giochi di prestigio
che erano la specialità del duce, il 14 settembre viene formato un nuovo
Corpo d'armata, il LI. L'intento è quello di offrire subito una parvenza d'esercito da affiancare all'8^ e 5^ Armata. Che poi sia un'accozzaglia di forze
mal combinata, priva di automezzi, di munizioni, di rifornimenti, di cannoni
e che nessuno ne conosca la reale efficienza, poco importa. Conta l'apparenza, conta il poter avere nel cassetto un ordine scritto da esibire a futura
memoria come già fatto ai tempi dello CSIR (Corpo di Spedizione Italiano
in Russia), dell'Afrika Korps, dell'ARMIR (Armata Italiana in Russia), allestendo sulla carta grandi unità inesistenti e disegnando offensive inattuabili"
(Alfio Caruso).
122
LA REGIA MARINA DA GUERRA ITALIANA.
Nella notte dell'8 settembre, la 1^ Squadra Navale italiana lascia La Spezia
con grave ritardo sulla tabella di marcia. La meta è Malta, dove le nostre navi, come prevedono le clausole dell'armistizio, saranno consegnate agli inglesi.
La decisione di costeggiare la Corsica da ovest, riduce la copertura aerea dei
nostri pochi aerei utilizzabili, mentre dall'aereoporto francese di Istres il II°
Gruppe Kampfgeschwader 100, si alza in volo con i suoi bombardieri Dornier DO-217 E-5 per dare la caccia alle nostre navi.
Due bombe telecomandate, tra le 15,42 e le 15,57, del 9 settembre 1943,
centrano la Corazzata "Roma", nave ammiraglia capolavoro della nostra
cantieristica. Muoiono 1253 membri dell'equipaggio, tra essi l'Ammiraglio
Bergamini e il nostro concittadino Giuseppe Mussi.
Nell'attacco viene colpita anche la Corazzata "Italia", l'ex "Littorio".
L'Amm. Oliva, dalla Corazzata "Eugenio di Savoia", assume il comando della squadra.
L'11 settembre, gran parte di quella che era la quarta flotta del mondo e la
prima del Mediterraneo, è all'ancora sotto i cannoni della fortezza di Malta;
c'è anche il sommergibile costiero "Onice", che conta tra l'equipaggio il nostro concittadino Silvio Martini.
Le altre divisioni navali, a Genova, a Pola, a Taranto, a Napoli, hanno meno fortuna. Lungo è l'elenco di sacrificio e di morte, spesso passati sotto silenzio. Ne ricordiamo alcuni: la corvetta "Berenice", affondata mentre tentava di uscire dal porto di Trieste, il cacciatorpediniere "Sella", silurato fuori
Venezia, la torpediniera "T. 8", affondata da bombardieri tedeschi vicino alla costa dalmata, la vedetta antisommergibile "Vas 234", affondata in combattimento contro due motosiluranti tedesche nelle acque della Gorgona, la
cannoniera"Aurora", silurata sulla rotta Zara – Ancona, la nave trasporto
munizioni "Buffoluto" e l'incrociatore ausiliario "Pietro Foscari", affondati
in combattimento da soverchianti forze nemiche a sud di Livorno, il posamine "Pelagosa", affondato alla partenza da Genova, i cacciatorpediniere
"Cosenza", "Sirtori", "Stocco", affondati in combattimento in Adriatico.
Stefano
Artuso
fu Arcangelo e Dalla Valle Giustina
Marinaio Cann. P. M., classe 1924,
Torpediniera "Orsa", Taranto.
Dopo aver contrastato i tedeschi e agevolato l'avanzata inglese, con la sua unità è inserito nel Corpo Italiano di Liberazione. Vedi anche Albo "C.I.L.".
123
Silvio
Armando
Martini
"Brusolo"
fu Bortolo e Bassan Elisabetta
Marinaio sommergibilista furiere, classe 1920,
1° Grupsom, 13^ Squadra Sommergibili, Sommergibile Costiero "Onice", La Spezia.
Dopo aver scortato la 1^ Squadra Navale sino a Malta, con
la sua unità è inserito nel Corpo Italiano di Liberazione.
Vedi anche Albo "C.I.L.".
Giuseppe
Alessandro
Benvenuto
Mussi
fu Vittorio e Altissimo Angela
Marinaio, classe 1919,
Nave Ammiraglia – Corazzata "Roma", 1^ Squadra Navale,
La Spezia.
Disperso in mare il 9 settembre 1943.
Vedi anche Albo "Caduti".
Rino
Cozza
fu Giuseppe e Trevisan Maria
Marò, classe 1921,
Corvetta C. S. "Pellicano", Tolone (Francia).
Catturato dai tedeschi a Tolone, in Francia, il 9 settembre
1943. Vedi anche Albo "I.M.I.".
Aderiscono al Terzo Reich i due sommergibili atlantici "Bagnolini" e "Finzi", di stanza nella base di Bordeaux. E' il comandante, capitano di fregata
Enzo Grossi, a ribellarsi e a trascinare con sé i quasi 10.000 marinai della
base.
I cacciatorpediniere "Da Noli" e "Vivaldi" aprono il fuoco nelle Bocche di
San Bonifacio contro le imbarcazioni germaniche che fanno la spola fra la
Sardegna e la Corsica.
A Bastia, in seguito al fulmineo attacco germanico all'"Ardito"e all' "Humanitas", la piccola torpediniera "Aliseo" si acquatta all'uscita del porto. La
mira dei pochi cannoni di bordo è micidiale: vengono affondati le sette motozattere e i due cacciasommergibili aggressori.
Il 10 settembre, nel canale di Piombino, le corvette "Folaga", "Ape" e
"Cormorano", si scontrano con cinque motozattere tedesche: ne colpiscono
una e mettono in fila le altre quattro.
Di tutto il naviglio operante in Estremo Oriente, riescono a raggiungere
porti amici soltanto la nave coloniale "Eritrea" e il Sommergibile "Cagni". Il
resto viene catturato o si autoaffonda.
124
LA REGIA AEREONAUTICA MILITARE ITALIANA.
Il Maresciallo Pilota Giuseppe "Pino" Sabin, accanto
al suo caccia Macchi MC
202 "Folgore"
L'8 settembre l'aereonautica italiana è agli sgoccioli. Dei 3.750 velivoli del
1940 e dei 6.600 aggiuntisi in seguito, ne sopravvivono 1265 e di questi sono efficienti 670. In tale numero rientrano anche 140 idrovolanti e 146 apparecchi per i servizi ausiliari dell'esercito.
Le squadre aeree sono dislocate a Milano, Padova, Roma, Bari; basi ci
sono in Sardegna, Dalmazia, Albania, Grecia, e nell'Egeo.
Forse più degli altri, piloti e tecnici, sono colti di sorpresa dall'armistizio,
tuttavia sono lesti nell'adeguarsi.
Due pattuglie di caccia scortano la 1^ Squadra Navale verso Malta. I gruppi
e le squadre in Sardegna non hanno pezzi di ricambio, gli aerei sono logori,
il personale esausto, però il 16 settembre si alzano in volo per contrastare il
passaggio in Corsica dei tedeschi.
La III^ Squadra Aerea vola da Roma a Sciacca (Ag), dove si consegna agli
Alleati.
La IV^ Squadra rimane invece a Manduria (Ta), incaricata di disturbare le
operazioni germaniche in Albania e di attaccare i convogli diretti contro
Corfù e Cefalonia. Ma sono troppo pochi.
Gli inglesi dicono che non possono intervenire. Gli americani affermano
di essere troppo impegnati con lo sbarco a Salerno. Negli aeroporti pugliesi
e siciliani stanno parcheggiati un centinaio di Savoia Marchetti, di Macchi, di
Reggiane. Con l'applicazione dei serbatoi supplementari avrebbero potuto
raggiungere Cefalonia. Niente da fare: permesso negato.
125
Così come sono richiamate a Brindisi due torpediniere, la "Clio" e la "Sirio", che il 17 settembre hanno preso il mare zeppe di munizioni e di medicinali per portare soccorso alla "Acqui", ma gli inglesi minacciano di silurarle se non effettuano un'immediata retromarcia.
L' "arma azzurra" è stata forse la più coccolata e infiltrata di fascismo. Le
imprese di Balbo, le trasvolate, i primati internazionali, sembravano averla
indissolubilmente legata al regime. Viceversa gli aviatori non hanno dubbi
sulla parte dalla quale schierarsi. Molti piloti e tecnici colti in licenza o lontani dalle piste, intraprendono con decisione due strade: o entrano in clandestinità per operare contro i nazifascisti e per non essere obbligati a collaborare, o intraprendono viaggi assai rischiosi per raggiungere il Sud Italia. In
800 attraversarono il fronte per mettersi a disposizione, accettando, pur di
combattere, di confluire in un raggruppamento senza insegne italiane, il Balkan Air Force.
Tra i nostri concittadini possiamo annoverare un tecnico di volo e due piloti di caccia:
Alessandro
Parise
fu Bortolo e Bianchini Isabella,
Motorista di volo – 1° Aviere Scelto, classe 1918.
Dopo aver sabotato alcuni aerei, riesce a fuggire dall'Aereoporto Militare di Treviso, dove è di stanza, ed entra in clandestinità.
Giuseppe
Garibaldi
Vittorio
Emanuele
"Pino"
Sabin
fu Gio Batta e Gardellin Livia,
Pilota di Caccia – Sergente , classe 1917,
Medaglia di Bronzo al Valor Militare,
169^ Squadriglia Caccia Terrestri. Colto lontano dall'Aeroporto Militare di Campoformido (Ud), dove era da poco di
stanza, entra in clandestinità, terminando la sua attività partigiana nella Brigata "Loris", Divisione Alpina "M. Ortigara". Vedi anche Albo "Partigiani".
Angelo
Paolino
Squarzon
fu Antonio e Cortese Anna Maria
Pilota di Caccia – Sergente, classe 1917,
164^ Squadriglia Caccia Terrestri.
Colto in licenza, lontano dall'Aereoporto Militare di Rodi,
nell'Egeo, dove era di stanza, entra in clandestinità, terminando la sua attività resistenziale nella Brigata "Mameli",
Divisione Garibaldina d'Assalto "A. Garemi".
Vedi anche Albo "Patrioti".
126
1943 – Il nostro concittadino, Motorista di volo e
1° Aviere Scelto, Alessandro Parise (classe 1918), è
il primo a sinistra e sta revisionando un motore di
un Savoia-Marchetti S 79.
Autunno 1940 - Alessandro Parise è il primo
da sinistra, sullo sfondo un bombardiere
FIAT BR 20, che, appena revisionato, è pronto per partire alla volta del Belgio. Questo velivolo appartiene al Corpo Aereo Italiano che
nell'autunno-inverno del '40-'41, partecipò,
con i tedeschi, nella "Battaglia d'Inghilterra".
127
Alessandro Parise è sulla scaletta di un
Savoia-Marchetti S 79, appartenente alla 201^ squadriglia di stanza a Rodi.
Sulle Alpi, sulle Dolomiti, sui nostri altopiani e sul Grappa, nelle valli della Bassa, sui rilievi appenninici si formano le prime bande partigiane: i "badogliani" li definiscono i tedeschi con disprezzo. Nella quasi totalità sono
militari.
I civili, gli uomini dei partiti democratici, i giovani ribelli alla cartolina precetto di Salò cominciarono a presentarsi in inverno.
In quell'autunno di desolazione e di scoramento il loro no lo pronunciarono i ragazzi in divisa della "generazione sfortunata".
"Spesso hanno compiuto una lenta conversione attraverso la dolorosa via
crucis iniziata sulle sabbie del deserto africano, proseguita sulla steppa ghiacciata e conclusa li dove li ha colti l'annuncio dell'armistizio.
Hanno capito sulla propria pelle il tremendo, sanguinario, bluff del fascismo. Si sono gettati il passato alle spalle e si sono avventurati verso il futuro
in compagnia di un fucile che non hanno voluto consegnare al tedesco."
(Nuto Rovelli)
128
Della "generazione sfortunata", una delle "classi " è certamente il 1921.
1939 - Montecchio Precalcino. La foto ricordo della "visita medica di leva".
Da sinistra in piedi: Luigi dall'Osto "Toniazza", Enrico Saccardo, Tulio "Massimo" Testolin,
Gaetano "Pino" Garzaro, Dario Zanin, Bortolo "Lino" Carolo e Primo Duso.
Da sinistra seduti: Mateazzi ?, Giovanni Gabrieletto, Silvio Papini e Decimo Campagnolo
"Camparo".
.
129
130
Albo d'Onore
I.M.I.
"die Italienischen Militär Internierten"
"Militari Italiani Internati"
(Decorati con Croce al Merito di Guerra e
del Distintivo d'Onore di "Volontari della Libertà")
RESISTENZA DISARMATA.
8 settembre 1943: lo Stato maggiore del Regio Esercito Italiano, aveva emanato solo disposizioni frammentarie e lacunose sul comportamento da
tenere in caso di attacco tedesco; i nazisti, viceversa, agiscono. Kesselring e
Rommel non perdono un minuto ed entrano in azione con la massima energia e precisione; in breve tempo, dopo un immane e cupo rastrellamento,
i tedeschi sono padroni dell'Italia.
In pochi giorni, talvolta in un mese, i tedeschi occupano tutti i territori extra nazionali presidiati dal nostro esercito.
In poco più di 72 ore sono "...disarmate sicuramente 51 divisioni italiane,
disarmate probabilmente 29 divisioni, non disarmate 3; 547 mila prigionieri,
di cui 34.744 ufficiali." (Rapporto del Capo di Stato maggiore della Wehrmacht Jodl). Per la gran parte dei quasi quattro milioni di soldati italiani
minacciati dai tedeschi, ma che a loro volta li avrebbero potuti minacciare,
comincia la lunga, penosa fila di convogli verso la Germania.
Passano con il loro carico di paura e di angoscia.
Sulle fiancate, scritte col gesso dai tedeschi: "Badoglio truppen" e, sulle
malridotte divise grigio-verde, venne stampigliata la sigla: I.M.I. (die Itlienischen Militär Internierten - Militari Italiani Internati).
131
Secondo i dati della storiografia più aggiornata, furono disarmati dai tedeschi almeno 1.007.000 italiani. Ma non tutti i militari catturati furono Internati:
- gli I.M.I., nei circa 66 lager della Wehrmacht, furono inizialmente circa
700.000; di questi 70.000 pagarono con la morte la loro ribellione alla
guerra e alla dittatura;
- nei tragici giorni dell'armistizio circa 107.000 soldati italiani caddero in
mani rumene, ungheresi, serbe o croate e 74.000 non fecero più ritorno;
questi sono "i dimenticati dei dimenticati". Di loro e della loro sorte si sa
praticamente poco o nulla;
- circa 15.000 furono i militari a cui fu riconosciuto lo "status" di "prigioniero di guerra" (K.G.F.), soprattutto nei Balcani e Bielorussia, ma comunque i loro diritti non furono rispettati, nessun privilegio, ne differenze sostanziali con gli I.M.I.;
- il trasferimento dei nostri soldati al nord con vagoni–bestiame fu un
dramma nel dramma e migliaia morirono, e non se ne conosce il numero
esatto;
- peggio ancora fu il trasporto via mare dalle isole greche al continente, ne
morirono circa 20.000, spesso per l'affondamento delle navi da parte degli stessi tedeschi, talvolta affondate dagli Alleati, e con i nazisti che fecero poco o niente per recuperare i naufraghi;
- per ordine personale di Hitler tutti gli I.M.I. dovevano essere portati nei
territori del Reich (Gross Deutschland – la Germania con i paesi incorporati), per essere impiegati nell'industria bellica, ma molti furono gli
I.M.I. impiegati fuori dai confini del Reich; troviamo I.M.I. al servizio
della Wehrmacht o della Todt un po’ dovunque in Europa: nei porti, lungo le ferrovie, in agricoltura, sulle strade e sui ponti della Russia, della
Grecia (33 lager), della Jugoslavia (18 lager), della Francia, ... fino a tutto il
1944;
- i Carabinieri inizialmente ottennero dai nazifascisti di rimanere in servizio, in ottemperanza al diritto internazionale, e di svolgere la tradizionale
attività d'istituto secondo le convenzioni; successivamente verranno invece e sistematicamente internati in Germania.
"La prigionia, è una condizione che non si addice all'essere umano, perché
l'uomo nasce libero e tale dovrebbe rimanere per sempre.
La Resistenza, poi, è, per se stessa, un concetto che esprime libertà, e resistere allo stato di cattività diviene la sua logica conseguenza.
Per i militari, la prigionia rappresenta il punto di arrivo inglorioso, malgrado il suo comportamento sia stato sin lì persino eroico, di un percorso in
132
cui le maggiori manifestazioni sono la combattività, l'orgoglio di appartenere
ad un esercito, la volontà di prevalere sul nemico; tutte condizioni contrarie
ad una resa.
Una volta prigioniero, subentra in lui uno stato depressivo e di sconforto,
propri della perduta libertà. Ad esso si può opporre unicamente un comportamento che rispetti la condizione di uomo destinato a tornare libero e di
militare tenuto ad onorare i suoi doveri.
Per aver osservato questi principi, gli italiani racchiusi nei campi di prigionia sono da considerare, a tutti gli effetti, "resistenti". Essi, catturati in un
momento di generale disorientamento, vittime dell'inganno che si celava
dietro la falsa promessa tedesca di rimpatrio, caduti, spesso ingenuamente,
nelle mani del nemico che fino al giorno prima considerava alleato, o catturati dopo un orgoglioso ma sfavorevole combattimento, furono Internati
dall'Italia, dalla Balcania e dalla Francia nel numero di circa 700.000, di cui
oltre 14.000 ufficiali.
Un numero così straordinario non deve sorprendere perché è il risultato
degli eserciti di massa che vengono schierati in campo nelle guerre moderne,
che vengono combattute con grandi battaglie e si concludono con gigantesche sconfitte.
Purtroppo, quei militari non vennero considerati "prigionieri di guerra"
come era loro diritto, secondo le leggi internazionali sottoscritte anche dalla
Germania.
L'insano desiderio di vendetta, l'impellente bisogno di mano d'opera per
continuare la guerra e, infine, la servile condiscendenza di Mussolini, che accettò questo iniquo cambiamento dello "status" di "prigionieri", indussero
Hitler a dichiararli "internati militari" e, come tali, a privarli di ogni garanzia
da parte della Croce Rossa Internazionale.
La nuova condizione concesse al dittatore tedesco di sottoporli al lavoro
forzato e obbligandoli ad inenarrabili privazioni". (Gen. Ilio Muraca)
Pure in questo stato, quegli uomini si comportarono dignitosamente, non
cedendo, ad eccezione di un assai modesto numero, alle lusinghe e alle
promesse sia dei tedeschi che degli emissari della repubblica di Salò, i quali
iniziarono ad entrare sempre più spesso nei loro campi, per indurli ad aderire alle forze armate germaniche o fasciste.
Quella propaganda è nei ricordi di tutti gli I.M.I. e i fascisti ebbero così
l'occasione di vedere come venivano trattati dai tedeschi i nostri soldati: videro la morte dei primi ufficiali per fame, per freddo o per malattia, le violenze dei tedeschi, le minacce, la riduzione delle razioni, la sospensione delle
medicine per gli ammalati, il "nervo di bue", i lavori forzati, ... ; ma sentiro-
133
no anche il "No" della stragrande maggioranza dei nostri soldati alla sola idea di tornare in guerra al fianco dei nazifascisti.
La vendetta non si fece certo attendere e malgrado le promesse di fare
qualcosa (mandare medicinali, vestiario, viveri, contatti con le famiglie ed altro), né il Servizio Assistenza Internati Militari Italiani (S.A.I.M.I.), né la
Croce Rossa Italiana, né l'Ambasciata Italiana a Berlino, in concreto fecero
nulla.
"In quel settembre del '43 noi fummo i primi italiani a fare obiezione di coscienza. Senza farci influenzare e guardando semplicemente dentro a noi
stessi, ci ritrovammo in 700 mila a dire no ai tedeschi e ai fascisti che ci
chiedevano di continuare la guerra dalla loro parte. Davanti a quella scelta
c'era solo un futuro di sofferenza, che per molti avrebbe significato la morte, eppure trovammo la forza di essere coerenti col nostro pensiero, e di sfidare un nemico così agghiacciante."
(Alpino Sen. Onorio Cengarle, classe 1923, IMI di Vicenza)
"Dopo essere stato catturato, fui internato in un primo campo di prigionia,
in Austria. Qui ci fecero entrare a uno a uno nella stanzina dove un ufficiale
ci offriva l'alternativa fra il lager e una divisa del suo esercito. Quando gli
dissi che fra libertà e dignità sceglievo la seconda, mi prese per il collo, mi
malmenò, e mi spinse dove si trovavano gli altri che avevano rifiutato. Nei
giorni successivi imparammo a patire la fame, con una grata a separarci dai
pochi italiani che invece si erano arruolati, e che per convincerci a imitarli
mostravano le loro gavette piene di rancio."
(Carabiniere Osvaldo Carollo, classe 1921, IMI di Lugo)
"Noi siamo tra quelli che dissero "No" in quel primo straordinario referendum, che vedeva sorgere inconsciamente la prima resistenza passiva alla dittatura nazifascista. Il nostro "No" aveva una valenza morale perché era un
"No" alla inutile guerra, era il "No" all'ideologia che voleva imporre l'egemonia razziale. Per altri era un "No" perché legati dal giuramento prestato,
ma per i più fu il "No"convinto a non andare a combattere contro altri italiani che, fortunati, sapevamo essersi ribellati e combattevano da partigiani
contro chi aveva invaso l'Italia.".
(Alpino Sen. Onorio Cengarle, classe 1923, IMI di Vicenza)
Malgrado le promesse, la lontananza, lo sfruttamento, la fame, la paura, la
derisione, le minacce, solo il 5% degli ufficiali e il 2% dei sottufficiali e della
truppa risposero "Sì" a fascisti e nazisti; i militari italiani collaborazionisti dei
nazifascisti (come "soldati di Mussolini" addestrati in Germania, come soldati o ausiliari della Wehrmacht, Luftwaffe, Waffen-SS, ecc.) furono in tut-
134
to circa 194.000, contro i 3.840.000 militari che costituivano le Forze Armate Italiane all'8 settembre 1943.
L’IMI Silvio Faccio dopo la liberazione dallo Stammlager III/D di Berlin-Steglitz
Sarebbe bastata una firma, sotto la dichiarazione di fedeltà al Führer e al
Duce, ed essi sarebbero andati liberi. Ma non firmarono. Eppure le condizioni della loro vita diventavano ogni giorno più dure.
Nel luglio del 1944, per illudere le famiglie e per tentare di ridurre la protesta popolare che stava montando in Italia, fu siglato un accordo tra la R.S.I.
e la Germania, che trasformò, gli I.M.I. in "Liberi lavoratori", ovvero "lavoratori civili".
Fu un accordo, come affermato dalla stragrande maggioranza degli I.M.I.,
che cambiò di poco la loro situazione.
La modifica infatti fu solo nominale, ma accontentava sia il fascismo, che
poteva affermare che non ci sono più prigionieri italiani in Germania, che i
nazisti, che si liberavano dall'accusa di non rispettare le convenzioni internazionali (e nel dopoguerra, per non pagare i rimborsi!).
Nei comuni di residenza delle famiglie di I.M.I., ma anche di "Deportati
Politici" e di "Lavoratori coatti", cominciarono ad arrivare dichiarazioni
scritte simili a questa:
135
REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
COMMISSIONE NAZIONALE DEL LAVORO
UFFICIO PROVINCIALE DI COLLOCAMENTO DI Vicenza
N° 40.055 d'ordine
AL MUNICIPIO di Montecchio Precalcino
Il Direttore dell'Ufficio Provinciale di Collocamento dichiara che il libero lavoratore, ex internato, Barbieri Rino_ di _Pietro___e di __ De Vei Angela__classe __1911__
già dimorante in codesto Comune, è partito per andare in Germania ed è stato regolarmente preso in forza dal competente Organo di Collocamento.
Pertanto la famiglia del suddetto ha diritto al godimento dei sussidi dei richiamati alle armi,
a norma di legge, dal 20 settembre 1944
Data
12 novembre 1944__
Firma IL DIRETTORE PROVINCIALE
Una farsa, perché per la gran parte non era cambiato niente; per pochissimi, che furono ceduti a qualche buona famiglia contadina, andò bene, ma
per i più fu ancora schiavitù. Talvolta ricevevano una paga, ma era irrisoria e
comunque inutile, non c'era nulla da acquistare; un'illusione tragica per le
famiglie ed un sussidio che spesso, in tutto o in parte, prese la strada di altre
tasche.
Schiavi erano e schiavi restavano, spesso senza diritto di accesso ai ricoveri
antiaerei , se non anche con l'obbligo di continuare a lavorare sotto i bombardamenti. Si creò così per gli I.M.I. una seconda situazione stranissima:
diventarono "obbligati al lavoro libero".
Comunque, tre mesi dopo, nell'ottobre del 1944, eccetto che per pochi fortunati, in base ad una direttiva di Hitler del 25 settembre, la custodia di tutti
i prigionieri di guerra ed ex internati militari, nonché i campi di prigionia e
gli altri impianti con relativo personale addetto alla sorveglianza, vennero affidati ad Himmler, quale Comandante della Riserva, e quindi tolta alla Wehrmacht.
Himmler, come sappiamo, era anche il Comandante supremo delle SS, e
sotto il controllo delle SS la situazione degli I.M.I. nei lager si aggravò e lo
sfruttamento della loro forza-lavoro si fece più intenso.
Lo storico tedesco Gerhard Schreiber, ex capitano di vascello della marina
germanica, nel suo libro "La vendetta tedesca", sul fenomeno degli I.M.I.
scrive: "In conseguenza della nuova condizione, sarebbe più esatto non parlare di internati, ma di schiavi. In effetti, come risulta da un'ampia documentazione ufficiale, il loro trattamento fu improntato a mancanza di umanità, di136
sprezzo per i propri simili, umiliazioni portate a sempre nuovi eccessi dalla
sadica fantasia di carcerieri, vessazioni fisiche e psichiche, nonché uno sfruttamento spietato.
Caratterizzare la vita in prigionia di questi deportati militari significa parlare
dei maltrattamenti inflitti loro da guardiani e sorveglianti, quasi sempre intransigenti su tutto, e vuol dire, raccontare di luoghi ove si voleva distruggere gli uomini con la privazione del cibo, l'isolamento per le mancanze più
futili, le punizioni corporali, la mancanza di assistenza sanitaria ed il rifiuto
di quella spirituale.
Significa anche narrare dell'odio dimostrato nei loro confronti dalla maggior parte della popolazione tedesca, sempre nella misura in cui essi avevano
contatti con questa, per nulla disposta a riconoscere la presenza, anche se i
campi di prigionia erano a poche centinaia di metri dalle sue abitazioni; significa, infine, illustrare le conseguenze delle malattie e della debilitazione fisica e psichica ed offrire una testimonianza degli innumerevoli decessi avvenuti per cause non normali, oltre che di quelli provocati violentemente.
Nell'insieme, questa categoria particolare di schiavi, deportati e non tutelati
dalla Convenzione di Ginevra, come invece accadeva per gli inglesi, gli americani e i francesi, visse – a prescindere da alcune eccezioni e diversità – il
periodo dell'internamento come un inferno".
Dopo mesi di stenti, i superstiti dei campi di internamento vennero, via via,
liberati dagli eserciti sovietico e anglo-americano e iniziarono a tornare in Italia, ma solo dopo un ultimo e sovente tortuoso itinerario, lungo vari paesi
d'Europa. Un ufficiale italiano così ricorda i giorni tragi-comici del suo ritorno alla vita:
"Prima di farci uscire dal campo, gli inglesi, di fronte al problema dell'approvvigionamento di una massa di uomini, magri, deboli e affamati, avevano affisso sui muri un bando, diretto agli abitanti del paese vicino, quegli
stessi che, fino ad allora, avevano finto di ignorare persino la nostra esistenza.
Quell'editto imponeva loro di lasciare subito le loro case agli italiani del
campo, così com'erano, senza portare via nulla, pena l'arresto immediato.
Guidati dai nostri "capi baracca" ci distribuimmo nelle villette del paese,
che trovammo curate e ordinate, negli orti e negli arredi, con le tendine ricamate alle finestre e i fiori all'ingresso; per noi, un momento da fiaba!
Nelle cantine e nei solai trovammo ogni ben di dio: margarina, burro,
speck, conserve e farina, tanta farina di granoturco, segno che i tedeschi,
almeno nelle campagne, se l'erano passata bene.
137
aprile -maggio 1945.
Gruppo di I.M.I. liberati dai russi dallo
Stammlager III/D di
Berlin-Steglitz.
Tra di loro, il terzo da
sinistra è il nostro concittadino Silvio Faccio
(classe 1920). Si noti la
varietà dell'abbigliamento.
Molti di noi, non resistendo alla tentazione, si riempirono lo stomaco, da
anni non avvezzo a quei cibi ed a quell'abbondanza. Cominciammo a cucinare dalla mattina alla sera, nei modi più strani. Alcuni ebbero disturbi gravi;
altri addirittura morirono. Altri ancora, placato il morso della fame, cominciarono ad aggirarsi per le case, in cerca di vestiario.
Ricordo di alcuni russi, che andavano fieri degli orologi e delle sveglie di
cui si erano impadroniti e che nell'Unione Sovietica erano al di fuori della
loro portata.
I sovietici erano stati i maggiori perseguitati dai tedeschi, che ne avevano
fatto perire di stenti a decine di migliaia. Ma a nessuno di noi venne in mente di vendicarsi sui civili, che nel frattempo erano letteralmente scomparsi.
Quella cuccagna durò qualche giorno, poi rientrammo nel campo, che
provvedemmo a ripulire e riordinare, in attesa del rimpatrio. Ma, da quel
momento, i viveri non ci mancarono più.
Al nostro ritorno, malgrado venissimo accolti dalla comprensione dei
concittadini, ma anche da amare sorprese per i cambiamenti che si erano verificati nella società e nelle nostre famiglie, decidemmo di voltare pagina col
passato, in una sorta di "smemorizzazione totale", tanto che delle nostre vicende si continua a sapere assai poco. Per di più, di fronte all'epopea del
"partigiano", la storia della prigionia di guerra si andava scolorendo, in una
sorte di ingiusta «ghettizzazione».
Di ricompense e riconoscimenti verso gli ex internati il governo è sempre
stato assai parco, malgrado che il fenomeno rappresenti, ancora oggi, un
non secondario aspetto della Resistenza di massa al nazifascismo".
138
Gli I.M.I., nei lager tedeschi, sono stati resistenti a pieno titolo e, anzi, resistenti della primissima ora, quando la Resistenza armata in patria non era
ancora organizzata: ecco perché, anche se in ritardo, con la Legge del 1 dicembre 1977, n. 907 (d'iniziativa dei senatori Cengarle, Saragat, Nenni, Terracini, Albertini, Bartolomei, Forma), il Parlamento Italiano conferì "al personale militare deportato nei lager che rifiutò la liberazione per non servire
l'invasore tedesco e la repubblica sociale durante la Resistenza" il distintivo
d'onore e il diritto di fregiarsi del titolo di "Volontario della Libertà". E il
Presidente della Repubblica Scalfaro, concesse "motu proprio", la Medaglia
d'Oro al Valor Militare all'Internato ignoto:
"Militare fatto prigioniero o civile perseguitato per ragioni politiche o razziali, internato
in campi di concentramento in condizioni di vita inumane, sottoposto a torture di ogni sorta, a lusinghe per convincerlo a collaborare con il nemico, non cedette mai, non ebbe incertezze, non scese a compromesso alcuno; per rimanere fedele all'onore di militare e di uomo,
scelse eroicamente la terribile lenta agonia di fame, di stenti, di inenarrabili sofferenze fisiche e soprattutto morali.
Mai vinto e sempre coraggiosamente determinato, non venne meno ai suoi doveri nella
consapevolezza che solo così la sua Patria un giorno avrebbe riacquistato la propria dignità di nazione libera.
A memoria di tutti gli Internati il cui nome si è dissolto, ma il cui valore ancor oggi è esempio e redenzione per l'Italia.
Germania 1943 – 1945"
Dei 700.000 I.M.I., 70.000 di loro non tornarono. Tra questi 106 sono nostri concittadini; due di essi, Giaretta Mario di anni 20 e Peruzzo Massimiliano di anni 26 moriranno in lager, Chemello Luigi, di anni 24, morirà dopo una lunga malattia.
Anche questa è stata la Resistenza.
139
"GLI I.M.I.: QUELLI DEI LAGER!
Gli I.M.I. s'identificano con il lager: sono "quelli dei lager"!
I lager erano campi di concentramento costruiti da baracche di legno, con
letti a castello e materassi di tela di juta pieni di segatura e trucioli; quando
andava bene una stufa a legna nei mesi freddi riscaldava le camerate.
Attorno al campo correvano doppi reticolati, di cui quelli esterni collegati
all'alta tensione; garitte sopraelevate (o torrette o "altane") ospitavano guardie armate e riflettori, che illuminavano i cortili e le baracche.
Mattino e sera, all'uscita e al rientro al lager, avveniva la "conta" dei prigionieri, lunga e massacrante.
I lager erano dotati di una piccola infermeria per gli ammalati meno gravi
("Revier"); mentre gli ammalati più gravi erano ricoverati in campi appositi,
detti "Lazarett", spesso anticamera del cimitero.
... La conoscenza del tedesco, la lingua ufficiale nelle baracche dei lager,
costituiva un grande vantaggio.... Non c'è I.M.I. che non conosca alcune parole nella lingua tedesca, almeno le più usate dagli aguzzini e dai carcerieri, le
più ripetute e le più terribili." (Benito Gramola)
"Una volta giunti nei lager, i militari italiani vennero fotografati con il numero loro assegnato, come carcerati... e da allora furono chiamati non con il
loro nome, ma con il loro numero pronunciato in tedesco, da memorizzare
immediatamente.
Se fossero stati riconosciuti come "prigionieri", dopo la compilazione della
doppia cartolina con tutti i dati, essa sarebbe stata inoltrata alla Croce Rossa
Internazionale di Ginevra per la comunicazione alla famiglia, ma questo per
gli I.M.I. non avvenne o avvenne molto in ritardo.
I militari italiani furono accolti dalla popolazione tedesca con disprezzo, odio e minacce, e chiamati "traditori", "carogne", "gentaglia", "porci badogliani" e "uomini del sud". Nei lager furono trattati peggio dei prigionieri di
guerra delle altre nazioni, alla stessa stregua dei prigionieri russi (che avevano almeno due colpe agli occhi dei nazisti: essere slavi e bolscevichi!), e considerati come "pezzi" e "prodotti" di una razza inferiore, anche se non pari a
quella ebraica: tutto ciò nonostante la R.S.I. fosse formalmente alleata del
Reich.
Perfino i prigionieri di guerra di tutte le altre nazioni conquistate dalla
Germania, presenti a volte nei lager già da 3-4 anni, accolsero i militari italiani in arrivo con odio, diffidenza e astio, in quanto una volta fascisti e alleati dei nazisti." (Benito Gramola)
140
I lager di prigionia per I.M.I., gestiti inizialmente dalla Wehrmacht, poi dalle SS, si distinguevano in Lager per Ufficiali - Oflag o Offizierslager, e in
Lager per Sottufficiali e soldati – Stalag o Stammlager, con sottocampi detti
Zweilager. I campi di transito venivano chiamati anche Dulag o Dulager ;
i campi ospedale, Lazarett; i campi di punizione per I.M.I., Straflager.
L'intera organizzazione faceva capo, fino all'ottobre 1944, al Comando supremo della Wehrmacht (OKW – Oberkommando Wehrmacht), con sede a
Berlino, e l'intero territorio era stato suddiviso in 21 "regioni-distretti militari" – "Wehrkreis".
I lager di punizione e sterminio - KZ Konzentrationslager, con le famigerate camere a gas e i forni crematori, gestiti dalle SS, erano occupati dai
"Deportati" politici, razziali e sociali.
"Gli I.M.I. vennero ammassati nei primi lager, i resistenti politici, i partigiani, gli ebrei, ecc. vennero rinchiusi nei secondi, anche se alcuni militari italiani finirono nel secondo gruppo già subito dopo l'8 settembre 1943."
"La presenza di ex militari italiani nei KZ, dopo il 1943, si spiega in generale col fatto che erano stati arrestati in Italia dai nazifascisti e accusati di essere partigiani: non erano più dunque soltanto Internati, ma «deportati».
Gli ufficiali vennero separati dai soldati e umiliati per la loro ostinazione a
non voler lavorare per la Germania: poi, alla fine del gennaio '45, fu applicato anche a loro il passaggio a «liberi lavoratori» e «obbligati al lavoro»."
(Benito Gramola)
"Dovunque guardi sullo sfondo scopri la torretta, vigile e onnipresente come l'occhio di Dio. Di quel Dio che – essi dicono - è con loro, e che è molto diverso dal nostro, e che ha un nome misterioso e grottesco: Gott"
(15 gennaio 1944 – Guareschi in "Diario clandestino 1943-1945")4.
4
- La gran parte degli I.M.I. raramente rimasero nello stesso Stammlager per tutto il periodo passato in schiavitù; per necessità della macchina bellica nazista e/o per l'avanzata
russa, vennero trasferiti in altri campi e ciò ha reso la ricerca del loro internamento assai
difficoltosa e spesso incompleta. Auspichiamo che chi possiede dati in merito, sia così gentile da comunicarceli.
141
I.M.I. DI
MONTECCHIO
PRECALCINO
Internati in Stammlager nella "Gross Deutschland" (la Germania con i paesi incorporati o
occupati) non identificati.
Giuseppe
Anzolin
fu Giuseppe e Pauletto Paola
Fante, classe 1921, Medaglia d'Argento al Valor Militare
Dopo l'8 settembre combatte contro i tedeschi, "Garibaldino" con i partigiani di Tito, catturato dai tedeschi il 5 gennaio 1944, è "internato " nel Stammlager di Sajmeste, presso Sabac sul Danubio, di fronte a Belgrado. Successivamente viene trasferito e internato in un Stammlager in Germania, dove finge di aderire al Terzo Reich e dove viene inquadrato nelle "Waffen SS". Rimpatriato per malattia, diserta il 2 aprile 1945, e si unisce alla Resistenza.
Vedi anche Albo "Volontari in unità Alleate" e "Partigiani".
Sperandio
Anzolin
fu Giuseppe e Moro Maddalena
Aviere, classe 1921.
Catturato in Francia dai tedeschi il 9 settembre 1943.
(notizie: "Nucleo Recuperi" il 26.10.43).
Sperandio torna a casa il 27 dicembre 1945.
Bernardino
Giacomo
Balasso
fu Antonio e Sbalchiero Angela
Caporal maggiore di Fanteria, classe 1914.
In convalescenza, è catturato dai tedeschi tra Roma e Vicenza, il 25 settembre 1943.
Bernardino torna a casa il 12 settembre 1945.
Lorenzo
Gio Batta
Bassan
fu Pietro e Fina Caterina
Alpino, classe 1921.
Catturato dai tedeschi a Grenoble, in Francia, il 12 settembre 1943.Lorenzo torna a casa il 9 giugno 1945.
Modesto
Agostino
Bortoli
fu Giuseppe e Grazian Maddalena
Fante, classe 1923.
Catturato dai tedeschi, a Napoli, il 19 settembre 1943 (notizie:
in un lager prima in Polonia, successivamente in Germania:
Godulaite ?) Modesto torna a casa il 2 ottobre 1945.
"Coa"
142
Pierino
Boscato
fu Giovanni e Valtiero Angela
Artigliere, classe 1923.
Catturato dai tedeschi, a Merano (Bz), il 9 settembre 1943.
(notizie: forse a Filudorf ?)
Pierino torna a casa il 12 settembre 1945.
Francesco
Giovanni
Bonato
fu Antonio e Moro Maria
Guardia alla Frontiera, classe 1914.
Catturato dai tedeschi a Brunico (Bz) il 9 settembre 1943.
Francesco torna a casa il 30 agosto 1945.
Marco
Borin
fu Giovanni e Menara Angela
Geniere, classe 1911.
Catturato dai tedeschi, a Postumia, in Slovenia, il 12 settembre 1943. Marco torna a casa il 30 agosto 1945.
Valentino
Oriano
Campagnolo
fu Gio Batta e Dall'Osto Anna
Caporal maggiore, classe 1918.
Catturato dai tedeschi, a Cefalonia, in Grecia, il 22 settembre 1943. Valentino torna a casa il 22 giugno 1945.
Antonio
Caretta
"Rigati"
fu Giuseppe e Rasotto Maria
Fante, classe 1910.
Catturato dai tedeschi, a Conegliano (Tv), il 9 settembre
1943. Antonio torna a casa il 10 giugno 1945.
Francesco
Caretta
"Rigati"
fu Giovanni e Marzaro Rosa
G.a.F. Artigliere, classe 1914.
Catturato dai tedeschi, a Boves (Cn), il 15 settembre 1943.
Francesco torna a casa il 10 giugno 1945.
Francesco
Caretta
fu Francesco e Rodella Virginia
Caporale d'Artiglieria, classe 1914.
Catturato dai tedeschi a Salerno, l'11 settembre 1943.
Francesco torna a casa l'8 giugno 1945.
Silvio
Centofante
fu Giovanni e Campagnolo Lucilia
Fante, classe 1920. Catturato dai tedeschi ad Atene, in Grecia, l'11 settembre 1943. Silvio torna a casa il 17 luglio 1945.
Vedi anche Albo "Resistenti 8 settembre" e "C.L.N.".
143
Luigi
Chemello
fu Roberto e Meda Anna
Legionario C.N., classe 1925.
Catturato dai tedeschi a Terni, il 13 settembre 1943.
Luigi torna a casa il 4 luglio 1945.
Muore per malattia contratta in prigionia, il 6 maggio 1949.
Vedi anche Albo "Caduti".
Rino
Cozza
fu Giuseppe e Trevisan Maria
Marò, classe 1921.
Catturato dai tedeschi a Tolone, in Francia, il 9 settembre
1943.
Il 30 ottobre 1944, riesce a fuggire e, aiutato da una famiglia francese, resterà in clandestinità sino alla fine della
guerra.
Umberto
Dall'Osto
fu Giuseppe e Gallio Maddalena
Soldato, classe 1911.
Catturato dai tedeschi a ? (è della 94^ Sezione Sanità), il 18
settembre 1943.
Umberto torna a casa il 6 agosto 1945.
Antonio
Danazzo
fu Antonio e De Vicari Amalia
Artigliere, classe 1910.
Catturato dai tedeschi in Francia, il 9 settembre 1943.
Liberato il 27.04.45.
Antonio torna a casa il 22 maggio 1945.
Giovanni
Folladore
fu Giuseppe e Bizzotto Caterina
Sergente maggiore Alpino, classe 1917.
Catturato dai tedeschi, a Gap, in Francia, il 13 settembre
1943.
Internato prima a Marsiglia, poi destinato in Germania.
Giovanni torna a casa il 28 agosto 1945.
Giovanni
Stefano
Fortuna
fu Fortunato e Fontana Bortola
Fante, classe 1908.
Catturato dai tedeschi, a Trieste, il 10 settembre 1943.
Giovanni torna a casa il 3 agosto 1945.
144
Giovanni
Gabrieletto
fu Giuseppe e Caretta Maria
Artigliere, classe 1912.
Catturato dai tedeschi, a Postumia, il 11 settembre 1943.
Giovanni torna a casa il 27 luglio 1945.
Francesco
Garzaro
fu Giuseppe e Variopinto Vittoria
Bersagliere, classe 1909.
Catturato dai tedeschi, a Zara, in Croazia, il 12 settembre
1943.
Francesco torna a casa il 27 agosto 1945.
Paolo
Gnata
fu Bortolo e Marzari Maria
Carabiniere, classe 1912.
Catturato dai tedeschi, a Trieste, il 10 settembre 1943.
Paolo torna a casa il 28 agosto 1945.
Bernardino
Gonzato
"Consatelo"
fu Domenico e Todesco Maria
Guardia alla Frontiera, classe 1911.
Catturato dai tedeschi, a Tarvisio (Ud), il 13 settembre
1943. Bernardino torna a casa il 25 luglio 1945.
Natale
Gonzato
"Consatelo"
fu Domenico e Todesco Maria
Caporale d'Artiglieria, classe 1909.
Catturato dai tedeschi, a Cormons (Go), il 13 settembre
1943. Natale torna a casa il 26 giugno 1945.
Arturo
Cesare
Grotto
fu Giuseppe e Duso Angela
Fante, classe 1922.
Catturato dai tedeschi, a Chieti, il 12 settembre 1943.
Arturo torna a casa il 16 maggio 1945.
Silvio
Fortunato
Laggioni
fu Angelo e Fantinato Maria
Aviere, classe 1922.
Catturato dai tedeschi, a Padova, il 9 settembre 1943.
Silvio torna a casa il 9 settembre 1945.
Giovanni
Meneghini
fu Domenico e Gallio Rosa
Autiere, classe 1908.
Catturato dai tedeschi, a Trento, il 9 settembre 1943.
Giovanni torna a casa il 10 giugno 1945.
145
Sergio
Monticello
fu Oreste e Todeschin Francesca
Soldato, classe 1917.
Catturato dai tedeschi, a Trento, il 9 settembre 1943.
Sergio torna a casa il 20 luglio 1945.
Emilio
Isidoro
Pauletto
fu Gilmo e Brotto Maria
Artigliere, classe 1924.
Catturato dai tedeschi, a Fiume, in Croazia, il 12 settembre
1943. Emilio torna a casa l'11 settembre 1945.
Pietro
Peron
fu Gio Batta e Lanaro Innocenza
Artigliere, classe 1915.
Catturato dai tedeschi a Salerno, il 10 settembre 1943.
Pietro torna a casa il 28 giugno 1945.
Isidoro
Angelo
Peruzzo
fu Massimiliano e Gabrieletto Caterina
Carabiniere, classe 1910.
Arrestato dai fascisti, a Fiume, in Croazia, il 10 settembre
1943. Isidoro torna a casa nel settembre 1945.
Riccardo
Pesavento
fu Secondo e Colnutti Caterina
Alpino, classe 1923.
Catturato dai tedeschi, a Grenoble, in Francia, il 12 settembre 1943. Riccardo torna a casa il 22 agosto 1945.
Vittorio
Saggin
fu Luigi e Paiusco Maria
Legionario C.N., classe 1899.
Catturato dai tedeschi, a Bolzano, il 9 settembre 1943.
Vittorio torna a casa il 28 giugno 1945.
Silvio
Saggionato
fu Angelo
Soldato, classe 1922.
Angelo
Stella
fu Valentino e Valtiero Maria
Artigliere,classe 1908.
Catturato dai tedeschi, a Savona, il 12 settembre 1943.
Angelo torna a casa il 25 luglio 1945.
146
Desiderio
"Derio"
Viero
fu Marco e Segalina Emilia
Sergente di Fanteria, classe 1907.
Già Sergente istruttore della 1^ Compagnia Reclute, 57°
Reggimento Fanteria "Abruzzo", a Vicenza. Sbandato, viene catturato dai tedeschi l'11 settembre 1943.
"Derio" torna a casa il 10 maggio 1945.
Aprile-maggio 1945 – Gruppo di IMI liberati dopo
all’arrivo dei Russi allo Stamlager III/D; tra di loro, il secondo a sinistra, il nostro Silvio Faccio
147
I.M.I. DI
MONTECCHIO
PRECALCINO
Internati in Stammlager, nel distretto militare
Wehrkreis I, di Königsberg (Prussia Orientale),
ora Kalinigrad, in Russia.
"Eravamo giovani e ...la voglia di mangiare era forte: il mattino una tazza di
thè senza zucchero (in pratica acqua calda); a mezzogiorno un piatto di
zuppa con qualche foglia di cavolo e dei pezzetti di patata senza alcun condimento; per cena un altro piatto della solita zuppa. 120 grammi di pane e
un cucchiaino di margarina".
(Alpino Severino Coppotelli, classe 1924, IMI da Mason)
Giovanni
"Nani"
Baccarin
fu Francesco e Covolo Elisabetta
G. a. F. Artigliere, classe 1920, I.M.I. n° 3814.
Catturato a Trieste dai tedeschi il 12 settembre 1943.
Internato nello Stammlager I/A di Stablak.
"Nani" torna a casa il 29 settembre 1945.
Romano
Dal Lago
fu Sante Amedeo e Campagnolo Rosa, Caporal maggiore
del Genio, classe 1908.
Catturato a Udine dai tedeschi
l'11 settembre 1943. Internato
nello Stammlager I/F di Sudauen ora Suwalki in Polonia.
Nel giugno '44, quale esperto
di trebbiatrici, viene trasferito
nei pressi di Petrikov (Bielorussia) per la mietitura. Ammalatosi, viene ricoverato in un
ospedale militare, dove trova
soldati italiani che non sapendo dell'armistizio, combattono ancora a fianco dei tedeschi. Siamo nel luglio-agosto del
1944. Viene trasferito vicino a Riga (Lettonia) e poi Konigsberg, ora Kalinigrad (Russia), e obbligato al lavoro come
aiuto collaudatore di locomotive danneggiate. Aiutato da
Partigiani Sovietici riesce a fuggire con molti altri prigionieri di varie nazionalità. Giunto nelle retrovie sovietiche si arruola volontario nell'Armata Rossa. Romano torna a casa il
20 gennaio 1946. Vedi Albo "Volontari unità Alleate".
148
I.M.I. DI
MONTECCHIO
PRECALCINO
Internati in Stammlager, nel distretto militare
Wehrkreis III, di Berlino
"...Il 14 ottobre 1943, arrivammo Luckenwalde ( lager III/A), dove ci fu
il primo impatto con la realtà. Era notte e trovammo l'immenso campo con
le baracche già pronte ad accoglierci. Garitte munite da potenti riflettori, filo
spinato e soldati tedeschi che urlavano gli ordini.
Confusione, timore e fame. Tanta tremenda terribile fame che ci avrebbe
perseguitato per tutta la durata della prigionia.
All'indomani la conta e poi la catalogazione, ci fotografarono con un numero in mano quasi fossimo dei carcerati; e da quel momento fummo numeri, non più esseri liberi.
E cominciò la propaganda fatta da ufficiali tedeschi e da gerarchi fascisti
italiani. Ci riunivano per chiederci di firmare l'adesione alla nuova Repubblica sociale e di combattere per loro (ci facevano vedere il film con la liberazione di Mussolini) promettendoci il ritorno in Italia, vitto abbondante, divise nuove e paghe adeguate.
Padre Faccin riunì il Battaglione e sotto gli alberi di Luckenwalde fece
uno tra i più impegnativi dei suoi discorsi. Ci disse che lasciava ad ognuno
di noi il compito di scegliere tra quelle promesse e la prospettiva della prigionia. Un discorso realistico che si concluse con una promessa: resterò con
la maggioranza di voi qualsiasi sia la vostra scelta. La scelta fu massiccia,
quasi unanime. Poche decine di alpini e diversi ufficiali aderirono alla R.S.I.
e furono subito separati da noi che venimmo trasferiti a Falckensee, con destinazione lo Stammlager III/D di Berlin- Steglitz..
Ogni mattina la sveglia era alle cinque, un pò di brodaglia per colazione e
poi la suddivisione per categorie di lavoratori. La maggioranza veniva adibita al trasporto delle macerie, che per i continui bombardamenti sulla capitale
tedesca, erano tante. Diversi alpini trovarono occupazione nelle varie fabbriche di Berlino, in particolare alla A.E.G., Telefunken e Solex.
A mezzogiorno un pò di zuppa di rape o carote, una fetta di pane nero
con un pò di margarina alla sera. Questo quanto ci davano per lavorare 12
ore al giorno o alla notte. Era troppo per morire di fame, era poco per i nostri 20 o 30 anni di età." (Sen. Onorio Cengarle)
Gli Alpini del Battaglione "Val Leogra" sono internati, prima nello Stammlager III/A di Luckenwalde, poi nel III/D di Berlin-Steglitz, Alkanzee e
Wartenberg dove il 14 settembre 1944 morirono sotto le bombe 72 alpini
del Battaglione "Val Leogra".
149
Il 21 aprile 1945, compleanno di Hitler, arrivarono i russi; la battaglia fu
cruenta e i morti si contarono a migliaia.
Giacomo
Barbieri
fu Domenico e Pesavento Maria
Alpino, classe 1914.
Giacomo torna a casa il 24 luglio 1945.
Gino
Guido
Dall'Osto
fu Giacinto e Moro Domenica
Caporal maggiore Alpino, classe 1913.
Gino torna a casa il 28 luglio 1945.
Domenico
Faccio
fu Vittorio e Borgo Maria
Alpino, classe 1915.
Successivamente viene trasferito allo Stammlager V/A
di Ludwigsburg, presso Stoccarda, nel Baden-Württemberg.
Domenico torna a casa il 1 settembre 1945.
Silvio
Vittorio
Faccio
fu Antonio e Guzzonato Giovanna
Alpino, classe 1920.
Croce di Guerra al Valor Militare
Silvio torna a casa il 14 settembre 1945.
Stefano
Gasparella
fu Giacomo e Balasso Maria
Alpino, classe 1912.
Stefano torna a casa il 21 agosto 1945.
Silvano
Trabaldo
fu Giuseppe e Bortoli Maria "Coa"
Caporal maggiore Alpino, classe 1915.
I.M.I. N° 64127
Silvano torna a casa il 2 ottobre 1945.
I nostri concittadini, già Fanti del 71° Reggimento Fanteria, Divisione "Puglie", catturati a Scutari, in Albania, il 13 settembre 1943, internati nello
Stammlager III/D di Berlin-Steglitz, vengono liberati dai sovietici il 21 aprile
1945.
Bortolo
Borin
150
fu Giovanni e Menara Angela
Caporale di Fanteria, classe 1914.
Bortolo torna a casa il 13 settembre 1945.
Valentino
Borriero
fu Giovanni e Pobbe Anna
Fante, classe 1913.
Costretto a lavorare nella fabbrica per motori d'aereo Argus. Valentino torna a casa il 16 ottobre 1945.
Pietro
"Rino"
Campagnolo
"Checonia"
fu Pietro e Qualbene Maria
Fante, classe 1914.
Pietro torna a casa il 5 settembre 1945.
Paolo
Giulio
Campana
fu Gaetano e Moro Maria
Fante, classe 1913.
Paolo torna a casa il 2 ottobre 1945.
Francesco
Dall'Osto
fu Giacinto e Vaccari Angela
Fante, classe 1914.
Francesco torna a casa il 6 settembre 1945.
Antonio
Peron
fu Gio Batta e Lanaro Innocenza,
Fante, classe 1914.
Antonio torna a casa il 13 settembre 1945.
Marco
Zordan
fu Francesco e Zordan Angela
Fante, classe 1914.
Marco torna a casa il 16 ottobre 1945.
Un nostro concittadino catturato dai tedeschi in Francia, il 9 settembre 1943
e internato nello Stammlager III/D di Berlin-Steglitz
Giuseppe
Frigo
fu Giovanni e Vendramin Elisabetta
Artigliere, classe 1919.
Giuseppe torna a casa il 29 settembre 1945.
Nostri concittadini catturati dai tedeschi a Tolone, in Francia, il 9 settembre
1943 e Internati nello Stammlager III//A di Luckenwalde
151
Andrea
Bassan
fu Pietro e Fina Caterina,
Legionario C. N. , classe 1912.
Andrea torna a casa il 9 ottobre 1945.
Giovanni
Borriero
fu Antonio e Savio Maria,
Legionario C.N., classe 1912.
Giovanni torna a casa il 22 ottobre 1945.
Luigi Costa
fu Gio Batta e Peretti Angela,
Legionario C.N., classe 1910.
Luigi torna a casa il 1 ottobre 1945.
Antonio
Bortoli
"Coa"
fu Pietro e Fantinato Luigia,
Fante, classe 1912, I.M.I. N°120669.
Catturato dai tedeschi, a Fiume, in
Croazia, il 18 settembre 1943. Internato nello Stammlager III /A di Luckenwalde.
Liberato dai sovietici il 2 maggio ‘45.
Antonio torna a casa il 2 ottobre
1945.
Antonio
Luciano
Borin
fu Giovanni e Menara Angela,
G.a.F. Artigliere, classe 1920, I.M.I. N° 37129.
Catturato dai tedeschi a Trieste il 12 settembre 1943.
Internato nello Stammlager III/ ? di Grineberg.
Antonio torna a casa il 14 settembre 1945.
Emilio
Antonio
Campese
fu Dionisio e Bonin Maria,
Alpino, classe 1923.
Catturato dai tedeschi a Reggio Emilia, il 18 settembre
1943. Internato nello Stammlager III/? di Landsberg an
der Wathe, ora Gorzow (Polonia).
Liberato dai Sovietici il 01.02.'45.
Emilio torna a casa il 10 ottobre 1945.
Felice
Caretta
fu Nicola e Savio Angela,
G.a.F. Artigliere, classe 1920.
Catturato dai tedeschi a Postumia, in Slovenia, il 19 settem-
152
bre 1943. Internato – Deportato nel Konzentrationslager
(KZ - lager di punizione e sterminio) di Dora-Buckenwald,
presso Nordhausen, Weimar in Turingia, dove è costretto a
fare il minatore, scavando le gallerie che ospiteranno gli impianti per la costruzione delle V1 e V2.
Successivamente, viene trasferito nello Stammlager III/? di
Preussisch Stargard, ora Starogard Gdanski, in Pomerania
(Polonia). Felice torna a casa il 30 settembre 1945.
Beniamino
Decalli
fu Felice e Balasso Maria,
Sergente del Genio, classe 1917.
Catturato dai tedeschi in Albania, il 12 settembre 1943.
Internato nello Stammlager III/? di (Cattoverch ?).
Beniamino torna a casa il 16 settembre 1945.
Catturati dai tedeschi, a Ragusa, in Croazia, il 12 settembre 1943, sono Internati nello Stammlager III/B di Füstenberg-Oder,
Serafino
Lubian
fu Giuseppe e Pelli Isabella,
Autiere, classe 1907, I.M.I. N° 302762.
Reduce di Russia con la Divisione "Pasubio",
Serafino torna a casa il 23 ottobre 1945.
Giuseppe
Matteazzi
fu Marco e Pigato Santa,
Geniere, classe 1915.
Giuseppe torna a casa il 28 maggio 1945.
Aldo Bruno
Sebastiano
Giuseppe
Sabin
fu Gio Batta e Gardellin Livia,
Caporal maggiore del Genio, classe 1911.
Aldo torna a casa il 8 agosto 1945.
153
Settembre 1943 – La lunga e penosa fila di convogli. Passano con il loro carico di paura e di angoscia. Sulle fiancate, scritte con il gesso dai
tedeschi, "Badoglio trupen" e, sulle malridotte divise grigio-verde, la sigla I.M.I. – die Italienischen Militärinternierten – Militari Italiani Internati.
154
I.M.I. DI
MONTECCHIO
PRECALCINO
Internati in Stammlager, nel distretto militare
Wehrkreis V, di Stoccarda, nel Baden-Württemberg
"Alcuni fascisti della R.S.I. vennero a parlare agli internati per strappare
un'adesione alla Repubblica: subito non aderì nessuno, ma in seguito alcuni
aderirono per via della fame... però lo sapevano anche i tedeschi che molti
lo facevano col proposito di scappare alla prima occasione, e avvertirono
che, se lo avessero fatto, i nazifascisti si sarebbero vendicati sulle loro famiglie. La minaccia fermò completamente chi aveva il proposito di servirsi di
questa via di liberazione."
(Alpino Severino Coppotelli, classe 1924, IMI da Mason)
Giuseppe
Garziera
I.M.I. DI
MONTECCHIO
PRECALCINO
fu Gaetano e Magattin Felicita,
Legionario C.N., classe 1909, I.M.I. N° 17234.
Catturato dai tedeschi a Tolone, in Francia, il 9 settembre
1943.
Internato nello Stammlager V/C di Offemburg.
Giuseppe torna a casa il 19 dicembre 1945.
Internati in Stammlager, nel distretto militare
Wehrkreis VI, di Münster, in Renania Sett. - Westfalia:
"I soldati italiani furono condotti (da Spalato) a piedi a Sinj, 40 Km all'interno. Da Sinj ... furono trasferiti a marce forzate a Knin (60 Km circa). A
Knin ebbero la visita di ufficiali italiani della RSI, che chiesero loro di aderire alla repubblica fascista.... Da Knin, sempre a marce forzate, a Bihac nella
punta nord della Bosnia, dove rimasero alcuni mesi impiegati in mille lavori:
nei campi, nelle stazioni ferroviarie a scaricare merci dal mattino alla sera, e
in altri lavori pesanti.
Finalmente furono caricati sui carri bestiame e portati in Germania dalle
parti di Essen e di Dortmund nella Ruhr: fu un viaggio pauroso e infernale,
condotto senza riguardi per le necessità fisiche e senza mangiare. Da quelle
155
parti rimasero più di un anno (Stammlager VI/A di Hemer-Isetrlhon)...: in
quel lager non venne mai applicato l'accordo Hitler-Mussolini e... divenire
"liberi lavoratori". Forse era l'ennesima punizione per la resistenza sostenuta
a Spalato....
Si lavorava a sgomberare macerie, a scaricare carbone dai carri ferroviari
nelle stazioni, a spalare neve nei mesi freddi, a sistemare o costruire nuove
strade. Si partiva il mattino presto, si facevano a piedi 10-15 chilometri di
strada secondo la località da raggiungere, sorvegliati da guardiani crudeli,...
Chi veniva sorpreso a riposarsi, veniva bastonato..., e si rientrava alla sera
stanchi morti... sempre con addosso la solita divisa dell'Esercito Italiano,
sempre con i morsi della fame."
(Geniere Giovanni Nardi, classe 1920, IMI da Lugo)
Mario
Giaretta
fu Faustino e Giorio Maria,
Artigliere, classe 1924.
Catturato dai tedeschi, a Spalato, in
Croazia, il 27 settembre 1943. Internato nello Stammlager VI/A di
Hemer-Isetrlhon.
Muore in quel lager il 23 novembre
1944.
Catturati dai tedeschi a Durazzo, in Albania, dal 14 al 25 settembre 1943. Internati nello Stammlager VI/? di Murairur-Essen e liberati dagli americani
l'11 aprile 1945.
Antonio
Angelo
Bonato
fu Antonio e Moro Maria,
Fante, classe 1912.
Antonio torna a casa il 6 agosto 1945.
Domenico
Casarotto
fu Gio Batta e Cortese Maddalena,
Fante, classe 1918.
Domenico torna a casa il 14 settembre 1945.
Bortolo
Clavello
fu Bortolo e Valerio Antonia,
Fante, classe 1914.
Aderisce alla "Repubblica di Salò", ma quando è in Italia di-
156
serta. Catturato dalla Guardia Nazionale Repubblicana di
Brescia, il 10 luglio 1944 viene deportato in Germania ai
"Lavori coatti".
Bortolo torna a casa il 19 maggio 1945.
Vedi anche Albo "Lavoratori coatti"
Gaetano
Viero
fu Francesco e Franzan Angela,
Fante, classe 1921.
Gaetano torna a casa il 14 novembre 1945.
1 febbraio 1945 - Fotografia di catalogazione del "Libero Lavoratore" n° 4235", ex
I.M.I. Gaetano Viero, nel Campo di lavoro
coatto (Arbeits Kommando) di MülhrlmRuhr.
Giovanni
Dal Santo
"Marusco"
fu Francesco e Pertile Teresa,
Artigliere, classe 1923.
Liberato dagli americani l'11 aprile 1945.
Giovanni torna a casa il 4 settembre 1945.
18 ottobre 1942 – Leopesi (?), in Grecia.
Il secondo a sinistra è il Fante Gaetano Viero (classe 1921), il primo e un suo commilitone di Breganze.
157
Catturati dai tedeschi, a Prizren, in Kosovo, il 20 settembre 1943.
Internati nello Stammlager VI/ ? di Murairur-Essen.
Giovanni
Luigi
Giaretta
fu Faustino e Giorio Maria,
Caporal maggiore d'Artiglieria, classe 1922.
Per punizione, viene "deportato" presso il Konzentrationslager (lager di punizione e sterminio) di Treblinka, ad est di
Varsavia, in Polonia.
Giovanni, riesce comunque a sopravvivere e dopo una lunga cura riabilitativa, torna a casa il 30 novembre 1945.
Ferruccio
Fontana
fu Antonio e Dal Pozzo Angela,
Caporal maggiore Artigliere, classe 1919.
Catturato dai tedeschi in Francia, il 9 settembre 1943.
Internato prima nello Stammlager III/D di Berlin-Steglitz,
poi nello Stammlager VI/? di Murairur-Essen.
Liberato dagli americani l'11 aprile 1945.
Ferruccio torna a casa il 19 agosto 1945.
Bruno
Veroncelli
fu n.n. Fante, classe 1914, I.M.I. N° 102625.
Catturato dai tedeschi, a Fiume, in Croazia, il 12 settembre
1943. Internato nello Stammlager VI/G Bonn-Duisdorf.
Bruno torna a casa il 16 agosto 1945.
I.M.I. DI
MONTECCHIO
PRECALCINO
Internati in Stammlager, nel distretto militare
Wehrkreis VIII, di Breslavia, ora Wroclaw (Polonia)
"Il lavoro era duro: in piedi alle sei, otto chilometri di marcia fino al cantiere e poi altri otto di ritorno, e si rientrava alla sera tardi. La sensazione
peggiore era quella di non riuscire a camminare: mangiavamo poco o niente,
ci indebolivamo, dovevamo lavorare... Deperii tanto che una sera caddi sulla
strada del ritorno e furono gli amici, che erano con me, a portarmi dentro. Il
sergente che ci sorvegliava... mi prese a bastonate perché era sicuro che stessi facendo la commedia. Stavo così male...; ricordo che era il giorno di Sant'Antonio del 1944 (il 13 giugno), perché quel giorno avevo dovuto seppellire tredici morti."
158
Guido
Caretta
fu Pietro e Dal Ferro Maria,
Fante, classe 1923. Invalido di guerra.
Catturato dai tedeschi a Vipiteno (Bz), il 9 settembre 1943.
Internato nello Stammlager VIII/C di Sagan ora Zagan, in
Polonia. Guido torna a casa il 22 ottobre 1945.
Beniamino
Antonio
Francesco
Pesavento
fu Giuseppe e Martini "Sguai" Margherita,
Autiere, classe 1922.
Catturato dai tedeschi, ad Atene, in Grecia, il 11 settembre
1943. Internato prima presso lo Stammlager III/B di Füstenberg-Oder, presso Berlino; successivamente nello
Stammlager VIII/? di Königshütte ora Korzòw, in Polonia.
Beniamino torna a casa il 9 settembre 1945.
I.M.I. DI
MONTECCHIO
PRECALCINO
I.M.I. di Montecchio Precalcino
Internati in Stammlager, nel distretto militare
Wehrkreis X, di Amburgo
Da Atene a Soltau, regione della Bassa Sassonia, tra Hannover e Amburgo,
provincia di Celle. Dal 10 al 22 settembre. Ad attenderli, i nostri soldati trovano un gerarca fascista, venuto da Berlino per incitarli a dare la loro adesione alla Repubblica Sociale Italiana :
"...in Italia Badoglio ha tradito l'alleanza con i tedeschi e di conseguenza
anche l'Italia stessa. Voi siete vittime di questo alto tradimento ed oggi aderendo alla R.S.I., compireste il vostro dovere e rientrereste immediatamente
in patria liberi dai vincoli della prigionia.
Conquistereste la libertà e risolvereste il problema della scarsa alimentazione..." (Granatiere Matteo Lino Fornale, classe 1916, IMI da Thiene)
I circa mille Granatieri, nel momento in cui venne detto loro di farsi avanti
per aderire, nessuno si mosse, ma al cenno di un Maresciallo intonarono
l'inno del Reggimento: "Siam Granatier - superbi e fier - orgoglio della stirpe - poema di valor".
Pietro
Costa
fu Giovanni e Dal Pozzo Melania,
Granatiere, classe 1913,
Catturato dai Tedeschi ad Atene, in Grecia, il 10 settembre
1943. Internato nello Stammlager X/D di Wietzendorf,
presso Soltau. Pietro torna a casa il 15 luglio 1945.
159
Rino
Pietro
Barbieri
I.M.I. DI
MONTECCHIO
PRECALCINO
fu Pietro e De Vei Angela,
Fante, classe 1911.
Catturato dai tedeschi, a Udine, l'11 settembre 1943.
Internato nello Straflager X/? di Brema.
Internati in Stammlager, nel distretto militare
Wehrkreis XI, di Hannover, in Bassa Sassonia.
"...col solito treno merci, 60 per carro, non 40, senza mangiare per 6
giorni, ... La cosa più problematica era soddisfare le necessità fisiche. Allora
preparammo a modo di vater una valigia di cartone, che poi "cedette"..., e
uno zaino."
Francesco
Narciso
Poletto
I.M.I. DI
MONTECCHIO
PRECALCINO
fu Giovanni e Sartori Maddalena,
Alpino, classe 1923.
Catturato dai tedeschi, a Peschiera (Vr), il 20 settembre
1943. Internato nello Stammlager XI/B di Osterrode.
Grazie alla confusione causata da un bombardamento, Francesco riesce a fuggire e a tornare a casa già il 5 maggio 1945.
Internati in Stammlager, nel distretto militare
Wehrkreis XII, di Wiesbaden, in Assia.
"Dopo due mesi ci trasferirono in un altro lager a Bonn-Duisdorf (VI/G).
Si trattava di un campo per la raccolta degli sbandati. Era il dicembre 1944.
La baracca ..., misurava m 20x10; era senza riscaldamento, senza letti o
brande. Non avevo mai visto una promiscuità del genere: italiani (una decina), francesi, polacchi, russi ed altri che non conoscevo; maschi e femmine,
bambini di tutte le età, compreso un neonato messo al mondo pochi giorni
prima da una ragazza francese. Dormivamo tutti per terra, stipati l'uno addosso all'altro come le bestie.
Trascorsi così il Natale ed altri quattro, cinque giorni, assistendo impotente
ai soprusi e alle malvagità degli aguzzini nazisti, fra i quali c'era una donna
con la frusta in mano pronta a colpire per qualsiasi motivo."
160
Francesco
Baio
fu Nicolò e Vendramin Teresa,
Fante, classe 1923, I.M.I. N° 18168.
Catturato dai tedeschi, a Cetinje, in Montenegro, il 20 settembre 1943. Internato nello Stammlager XII/D di Trier,
presso Bazeichnung.
Francesco torna a casa il 14 settembre 1945.
Guerrino
Gnata
fu Luigi e Parisotto Giovanna,
Caporal maggiore Fanteria, classe 1916, I.M.I. N° 47551.
Catturato dai tedeschi, a Preveza, in Grecia, il 11 settembre
1943.
Internato, prima nello Stammlager III/A di Luckenwalde,
poi in quello III/D di Berlin-Steglitz, sempre presso Berlino,
e successivamente, nello Stammlager XII/? di (Saarburg ?).
Guerrino torna a casa il 15 giugno 1945.
Pietro
Soardi
fu Giovanni e Volpato Silvia,
Fante, classe 1914.
Catturato dai tedeschi, a Preveza, in Grecia, il 11 settembre
1943. Internato prima nello Stammlager III/A di Luckenwalde, poi in quello III/D di Berlin-Steglitz, sempre presso
Berlino, e successivamente, nello Stammlager XII/? di (Saarburg ?). Pietro torna a casa il 18 luglio 1945.
fu Pietro e Bassan Angela,
Cavalleggero, classe 1923.
Catturato dai tedeschi, a Tarvisio (Ud), il 13 settembre
1943.
Internato nello Stammlager XII/? di (Saarburg ?).
Antonio torna a casa il 23 luglio 1945.
Gregorio
Felice
Zanin
I.M.I. DI
MONTECCHIO
PRECALCINO
Internati in Stammlager, nel distretto militare
Wehrkreis XVII, di Vienna, in Austria
"... a Görlitz (Stammlager VIII/A di Görlitz, inn Slesia, ora Zgorzelec, in
Polonia)... e noi finimmo messi assieme a questi ultimi (russi)...Fraternizzammo con loro, ma venimmo ancora più disprezzati e maltrattati dai tedeschi, perché amici dei russi. Mangiavamo male, non c'erano
161
servizi, le baracche contenevano quattrocento persone... Non ce la facevo
più: ero ammalato, avevo appena 23 anni e ne avevo visti morire tanti; avevo perennemente la febbre a 40 gradi... mi vedevo in fin di vita ed ero convinto di non farcela."
Antonio
Brazzo
fu Mario,
Legionario C.N., classe 1914.
Catturato dai tedeschi, a Verona, il 9 settembre 1943.
Internato nello Stammlager XVII/B di Gneixendorf.
Antonio torna a casa il 12 settembre 1945.
Catturati dai tedeschi a Bolzano, il 9-10 settembre 1943, sono Internati
Stammlager XVII/A di Kaisersteinbruch
Giuseppe
Filippetto
fu Domenico e Maran Elisabetta,
Geniere Alpino, classe 1923.
Giuseppe torna a casa il 20 agosto 1945.
Bortolo
Giuseppe
Persico
fu Guerrino e Caretta Appollonia,
Fante, classe 1924.
Bortolo torna a casa il 12 settembre 1945.
Catturati dai tedeschi a Savona, il 12 settembre 1943, sono Internati nello
Stammlager XVII/A di Kaisersteinbruch
Alfredo
Nemo
fu Francesco e Bendonini Giulia,
Alpino, classe 1919.
Alfredo torna a casa il 19 dicembre 1945, dopo un lungo
ricovero presso l'Ospedale Militare n° 77 di Bizzozero (Va).
Guerrino
Marco
Peruzzo
fu Pietro e Novello Lucia,
Alpino, classe 1913, I.M.I. N° 93763.
Guerrino torna a casa il 1 giugno 1945.
Gio Batta
Vittorio
Todeschini
fu Gio Batta e Dal Lago Emma,
Capo Squadra Legionario C.N., classe 1911.
Catturato dai tedeschi, a Tolone, in Francia, il 9 settembre
1943. Internato nello Stammlager 398 di Pernau, nei pressi
di Vienna. Gio Batta torna a casa il 7 agosto 1945.
162
Massimiliano
Peruzzo
fu Massimiano e Gabrieletto
Caterina
Autiere, classe 1919, I.M.I.
N° 93715.
Catturato dai tedeschi, a
Gianina, in Grecia, il 13 settembre 1943.
Internato prima nello Stammlager III/A di Luckenwalde, poi nello Stammlager
III/D di Berlin-Steglitz e,
successivamente
nello
Stammlager XVII/A di Kaisersteinbruch.
Massimiliano muore il 10 marzo 1945, durante la liberazione del campo da parte dei sovietici.
Inizialmente dichiarato "disperso", oggi riposa nella "fossa
comune" del Cimitero Militare Italiano di Reiferdorf, presso Mauthausen, nell'Ober-Osterreich, in Austria.
I.M.I. DI
MONTECCHIO
PRECALCINO
Internati in Stammlager o "Campi di lavoro"
della Francia occupata.
"Il treno, tanto desiderato, era stato abbellito con rami verdi e nell'ultimo
vagone sventolava il nostro tricolore. ... Non sentivamo più né fame né sete"...
... durante la distribuzione del cibo, un altoparlante diffondeva nell'aria la
canzone "Mamma", cantata dal tenore Beniamino Gigli": "Mamma, sono
tanto felice – perché ritorno da te ..."
(Alpino Severino Coppotelli, classe 1924, IMI da Mason)
Spedito
Biasi
fu Lorenzo e Catelan Maria Luigia,
Alpino, classe 1923.
Catturato dai tedeschi, a Grenoble, in Francia, il 12 settembre 1943. Internato prima a Marsiglia, successivamente
sempre in Francia.
Spedito torna a casa il 1 settembre 1945.
163
Orazio
Decalli
fu Felice e Balasso Maria,
Caporale Alpino, classe 1923.
Catturato dai tedeschi, a Grenoble, in Francia, il 12 settembre 1943. Internato prima a Marsiglia, successivamente è
destinato in Germania.
A Beaune, 60 Km da Digione, salta dal treno e riesce a
fuggire. Lavora ed è ospitato per tutta la guerra da una famiglia di contadini francesi, in comune di Pezzè, in Borgogna, nella Côte d'Or. Orazio, dopo molte incertezze,
decide di tornare a casa nella primavera 1946.
Vittorio
Antonio
De Vicari
fu Lorenzo e Rossetto Caterina,
Alpino, classe 1922.
Catturato dai tedeschi, a Grenoble, in Francia, il 12 settembre 1943. Internato prima a Marsiglia, poi destinato all'Aereoporto Militare di Istres. Successivamente, spostato sino
in Alsazia e Lorena, viene liberato dagli americani nel dicembre 1944. Vittorio torna a casa il 16 agosto 1945.
Antonio
Fabrello
fu Bortolo e Marchiorato Maria,
Alpino, classe 1920.
Catturato dai tedeschi, a Grenoble, in Francia, il 12 settembre 1943. Internato prima a Marsiglia, poi destinato all'Aereoporto Militare di Istres. Liberato il 1.02.45.
Antonio torna a casa il 19 settembre 1945.
Gruppo di prigionieri italiani presso l'Aeroporto Militare di Istres (Francia)
Il terzo da sinistra è il nostro concittadino
Fabrello Antonio (classe 20)
La carlinga appartiene ad un bombardiere
DORNIER DO-217 E 5, del II° Gruppe Kampfgeschwader 100, la stessa squadriglia che
affondò, il 9 settembre 1943, la Corazzata
"Roma", nave Ammiraglia della Flotta Italiana.
164
I.M.I. DI
MONTECCHIO
PRECALCINO
Internati in Stammlager
dei Balcani e del Fronte Orientale
"E' qui! E' qui! – sentì gridare. Suo fratello che lo aveva visto arrivare dal
poggiolo dei gerani si precipitò dalle scale, scese in due salti i gradini di pietra, passò come una rondine il cancello di legno, e gli corse incontro aprendo le braccia come ali: - Che magro che sei fratello! – gli disse stringendolo
al petto". (Alpino Mario Rigoni Stern, classe 1921, IMI da Asiago)
Emilio
Gabrieletto
fu Antonio e Campagnolo Caterina,
Aviere, classe 1917.
Catturato dai tedeschi in Albania, il 17 settembre 1943.
Internato in uno Stammlager in Serbia, viene liberato il 20
settembre 1944 dai Partigiani di Tito. Si arruola volontario
nella Divisione Partigiana Italiana "Garibaldi",
Rimpatriato si arruola nuovamente volontario nel Reggimento "Garibaldi",
Gruppo di Combattimento "Folgore", Corpo Italiano di
Liberazione (C.I.L.).
Vedi anche Albo "Volontari in Reparti Alleati" e "C.I.L.".
Vittorio
Peruzzo
fu Massimiliano e Gabrieletto Caterina,
Artigliere, classe 1918.
Catturato dai tedeschi nell'Isola di Corfù, in Grecia, il 25
settembre 1943.
Inizialmente fu destinato alla realizzazione di trincee nei
pressi di Kiev, lungo il fiume Dniepr in Ucraina. Il lavoro è
durissimo, ma per farli sopravvivere il cibo è meno scarso
di quello normalmente distribuito nei Stammlager per I.M.I.
Dal Natale del '44, dopo la grande "battaglia nell'Ucraina", è
costretto a seguire a piedi le truppe germaniche in ritirata.
Durante i suoi continui spostamenti, passa anche per diversi
Konzentrationslager (lager di punizione e sterminio) dove
ha visto con i propri occhi, come avevano ridotto quegli esseri umani; ha notato cadaveri ghiacciati appesi al filo spinato, a cui mancavano delle parti; ha raccolto le confessioni
di quei disgraziati costretti a cibarsi
165
di carne umana per poter sopravvivere.
Nel febbraio '45, dopo centinaia di chilometri fatti a piedi e
a marce forzate, arriva a costruire trincee sul Fronte Occidentale, presso Wuppertal, sul fiume Reno, in Renania.
Nell'aprile '45, è liberato dagli americani.
Vittorio torna a casa il 18 agosto 1945.
Giulio
Grigoletto
fu Gio Batta (Giovanni) e Garzaro Luigia,
Fante e Garibaldino, classe 1917.
Catturato dai tedeschi a Pljevlja, in Montenegro, il 5 dicembre 1943, dopo una battaglia drammatica, che ha opposto
reparti della Divisione Italiana Partigiana "Garibaldi" ad ingenti forze nemiche. Internato in vari Stammlager nei Balcani, alla fine di aprile 1945, mentre era al seguito dei germanici in ritirata, viene liberato (sic!) dagli Jugoslavi, ma
trattenuto come "anticipo" per i danni cagionati dagli italiani con la loro guerra di aggressione. A Kraljevo, in Serbia,
è inquadrato nella 2^ Compagnia, 26° Btg. Lavoratori.
Giulio rientra a casa il 7 dicembre 1947, quando ormai tutti
lo consideravano disperso.
Antonio
Pesavento
fu Sperandio e Peruzzo Caterina,
Artigliere, classe 1923.
Catturato dai tedeschi, a Prizren, in Kosovo, il 20 settembre
1943. Internato in vari Stammlager nei Balcani, alla fine di
aprile del 1945 viene liberato (sic!) dagli Jugoslavi, ma trattenuto come "anticipo" per i danni cagionati dagli italiani
con la loro guerra di aggressione. A Novi Sad, in Vojvodina, è inquadrato nella 256^ Brigata Lavoratori
Antonio rientra a casa il 5 marzo 1947, quando ormai tutti
lo consideravano disperso.
166
PREGHIERA DELL'I.M.I.
Signore, Onnipotente Iddio,
Padre della vita e della morte,
prostrati davanti al tuo altare
noi che avemmo la gioia del ritorno
t'invochiamo per i fratelli
che non sono tornati
e dormono lassù in terra straniera.
Ad essi, o Signore,
benigno concedi
la fede del conforto,
la beatitudine del riposo,
la chiarezza dell'eterna luce.
E quando la sera
dolcemente scende
sugli uomini e sulle cose,
fa, o Signore, che il vento
porti il polline d'un fiore
su quelle tombe;
fa che nella lunga notte
il vento porti una lacrima
di madre o il pianto d'una sposa;
fa che alla nuova aurora
un raggio di sole
baci la fredda terra
e si schiuda il fiore perenne
del ricordo della Patria lontana.
167
168
Albo d'Onore
Corpo Italiano di Liberazione
(Decorati con “Croce al Merito di Guerra”
e del distintivo d’onore di “Volontari della Libertà”)
LA RESISTENZA TRICOLORE.
Verso la fine di settembre ed i primi di ottobre 1943, la crisi provocata
dall'improvviso annuncio dell'armistizio andava esaurendosi in una situazione generale che può così riassumersi:
- l'Italia del centro e del nord, occupata dai tedeschi, in cui mentre si andavano formando, nel segno di un largo volontariato di massa, le prime
bande partigiane, si costituiva la "Repubblica Sociale Italiana", asservita ai
nazisti;
- un fronte operativo di guerra, che correva dal Tirreno all'Adriatico, lungo
i fiumi Garigliano e Sangro (Linea Gustav), sul quale erano schierate: a
sud la 5^ Armata Americana (versante del Tirreno) e l'8^ Armata Britannica (verso l'Adriatico); a nord la 10^ Armata Tedesca;
- l'Italia libera del sud, dove si era insediato il Governo legittimo, che poteva disporre di forze ancora valutabili a circa 250.000 uomini.
Nell'Italia libera, si tenta di costituire unità militari in grado di partecipare
alla guerra contro i tedeschi. Ma gli anglo-americani non accolgono con sollecitudine le nostre richieste e, quando vi aderiscono, si limitarono ad autorizzare la presenza, sul fronte di guerra, di contingenti italiani molto modesti.
Il 28 settembre 1943 viene costituito il 1° Raggruppamento Motorizzato,
che opera dal dicembre 1943 al marzo 1944 con una forza iniziale di 5.000
uomini (tre battaglioni, due gruppi d'Artiglieria e un Btg. Controcarro).
169
"E' il contentino di Churchill e di Roosevelt alle pressioni degli italiani. Agli
angloamericani serve un impiego sempre più ampio dei militari in qualità di
lavoratori a cottimo nei porti, nei depositi, nei rifacimenti stradali e ferroviari, insomma in tutte quelle mansioni di bassa lega spregiate dai vincitori, ma
indispensabili nell'approntare le retrovie di due armate."
(Alfio Caruso)
L'attività del Raggruppamento si può riassumere in due nomi: Monte Lungo e Monte Marrone.
Per la conquista di Monte Lungo furono necessarie due azioni: la prima
ebbe luogo l'8 dicembre 1943 e fallì, ma comunque, per il coraggio dimostrato, la Bandiera del 67° Regg. Fanteria Motorizzato "Legnano", sarà insignita di Medaglia d'Oro al Valor Militare; la seconda si svolse il successivo
16 dicembre e fu coronata da successo.
L'occupazione di Monte Marrone avvenne il 31 marzo, con un'abile operazione notturna svolta dal Btg. Alpini "Piemonte", da elementi del 4° Btg.
Bersaglieri e dal 185° Btg. Paracadutisti.
Il 15 ottobre sono formati i tre Raggruppamenti delle Unità Aeree: quattro gruppi da bombardamento e da trasporto, due da caccia e quattro di idrovolanti. Dispongono di velivoli messi in salvo l'8 settembre e altri montati con le carcasse e con i pezzi degli apparecchi abbattuti in Africa.
Gli inglesi cedono diciassette ‘carriole’, sulle quali i piloti della RAF non
salgono (vecchi Aircobra e Spitfire, rimasugli della battaglia d'Inghilterra).
Gli americani dimostrano maggiore generosità dandoci una decina di Baltimore. Ma l'umiliazione più cocente è che l'Arma Azzurra dovrà combattere sotto la bandiera della Balkan Air Force.
La Jugoslavia diventa la sua zona operativa. Le prime missioni sono in aiuto
dei battaglioni della Divisione Italiana Partigiana "Garibaldi" che combattono con Tito.
Il 17 aprile 1944, il Raggruppamento assumeva la denominazione di "Corpo Italiano di Liberazione" (C.I.L.), aumentando notevolmente i suoi effettivi.
I suoi ranghi si accrebbero progressivamente e ciò, nonostante le difficoltà
che gli Alleati continuavano a frapporre, fino a raggiungere la forza non trascurabile di 15 battaglioni, 11 gruppi di Artiglieria e numerosi altri reparti
minori al livello di compagnia, per un totale di circa 25.000 uomini.
Si trattò, in definitiva, di un vero Corpo d'Armata, articolato su una Divisione Paracadutisti, la "Nembo", e due brigate. Continuando, senza interruzioni, le operazioni svolte dal 1° Raggruppamento, il C.I.L. svolse ininterrotta attività bellica sino agli ultimi di agosto del '44, portandosi fino ad Urbino, a contatto con la "Linea Gotica".
170
Sua caratteristica peculiare fu di avere nelle sue file uomini di tutte le armi e
specialità.
Nel C.I.L., c'era anche la Marina, con i suoi battaglioni "Bafile" e "Grado"
del ricostituito Reggimento "San Marco" e, ovviamente, non possiamo dimenticare, le centinaia di missioni compiute dalle nostre Unità navali a
fianco e in appoggio agli Alleati, l'impiego dei Mas, la scorta ai convogli
mercantili e la caccia a eventuali navi corsare data in Atlantico dagli incrociatori Duca degli Abruzzi e Duca d'Aosta, ecc.
Molte furono le città liberate dal C.I.L.: esse accolsero i militari italiani con
grandiose manifestazioni di entusiasmo, sia per la fine dell'incubo dell'occupazione nazi-fascista, sia perché a porvi termine erano unità con il tricolore.
Il 9 giugno fu liberata Chieti, il primo capoluogo di provincia liberato da
unità italiane, e l'11, altre unità italiane liberarono Sulmona, il 13 L'Aquila e
il 15 Teramo.
Vengono allo scoperto i partigiani abruzzesi della Brigata "Patrioti della
Maiella", comandata dall'Avv. Ettore Trolio: si affiancano ai paracadutisti
della "Nembo" nel tallonare i tedeschi nelle Marche, in Romagna ed Emilia, fino all'Altopiano dei 7 Comuni. Durante l'avanzata i Patrioti, si appoggeranno alle bande locali e molti di quei partigiani li seguiranno fino ad Asiago. La Bandiera della Brigata "Patrioti della Maiella", sarà decorata di Medaglia d'Oro al Valor Militare.
Dal 17 giugno il C.I.L. passò alle dipendenze del Corpo d'Armata Polacco,
lascia la direttrice su Roma e viene spostato sull'Adriatico. Diventa ufficiale
ciò che si mormorava da un paio di settimane: la Città eterna è off limits per
gli italiani. Il divieto di partecipare alla liberazione della capitale è un'umiliazione in più.
Alla grande unità polacca era stato assegnato il compito di inseguire il nemico e di raggiungere Ancona, e il C.I.L. riceve il compito di percorrere la
direttrice più interna ed occupare le varie località. Al suo fianco entra in linea anche la Brigata Partigiana "Marche".
Si temeva che il movimento delle nostre unità fosse difficoltoso a causa
delle numerose interruzioni operate dai germanici; ma ancora una volta, grazie al concorso generoso della popolazione civile, i lavori di riattivazione furono celeri e il movimento in avanti delle nostre truppe avvenne nei limiti di
tempo previsti.
Ascoli fu raggiunta il 18 giugno e poi il 30 Macerata, il 15 luglio i polacchi
conquistarono Osimo, lo stesso giorno, a Filottrano, ci fu un avvenimento
che può definirsi, senza esagerazioni, epico, e resta affidato alla storia come
l'operazione più brillante del C.I.L.
171
L’attività operativa del Corpo Italiano di Liberazione.
172
Il 20 luglio viene liberata Jesi. A fine luglio lo schieramento italiano si consolida lungo la rotabile da Belvedere Ostense a Montecarotto. A destra la
II^ Brigata, al centro la I^, a sinistra la "Nembo", all'estremo limite orientale
i "Patrioti della Maiella".
"E' la prima volta che i ragazzi della "generazione sfortunata", tornati in
guerra per rifare l'Italia, costituiscono un'unica linea, i civili in armi mescolati ai militari." (Alfio Caruso)
Dopo tante insistenze da parte italiana e altrettanti rifiuti, in special modo
da parte inglese, il Maresciallo Alexander, comunica che verranno costituiti
sei Gruppi di Combattimento.
Alexander ritiene, bontà sua, di potersi assumere questa responsabilità sulla
base delle ottime prove fornite dai reggimenti italiani. In realtà hanno pesato
anche altre considerazioni:
- l'invasione della Francia ha comportato il trasferimento di alcune divisioni e non fra le peggiori;
- la possibilità di sostituirle è molto rinviata nel tempo;
- la tenuta delle armate tedesche è giudicata precaria e tale da risultare abbordabile alla voglia italiana di mettersi in mostra.
Insomma veniamo invitati alla festa, purché si accetti di restare in cucina.
Tanto è vero che la denominazione "Gruppo di Combattimento", anziché,
"Divisione", viene adottata per segnalare il distacco dall'esercito sconfitto in
Africa e che è stato costretto a chiedere la resa incondizionata.
"Sui giornali inglesi i "gruppi di combattimento" sono spacciati quali formazioni di un nuovo esercito, che non ha alcunché da spartire con il vecchio. Ed anche se la loro somma alla fine costituirà un robusto Corpo d'Armata viene escluso un comando unificato italiano. I sei gruppi saranno sparsi lungo l'intera linea del fronte agli ordini della 5^ e 8^ Armata.
E per meglio fare intendere la nostra condizione di cobelligeranti (non di
alleati), non è mutata di un centimetro, persiste il divieto allo Stato Maggiore
Italiano di emettere bollettini.
Quando e se, ci penseranno i quartier generali degli Alleati a comunicare
che qualche reparto italiano si è fatto onore." (Alfio Caruso)
Il 15 agosto il C.I.L. viene trasferito nella zona di Sassoferrato (An). Si va in
montagna a contrastare gli Alpenjäger della 5^ Divisione. Il 28 agosto i Battaglioni "Bafile" e "Grado" si affacciano nella valle del Metauro, i motociclisti raggiungono Piobbico e Urbania. A Urbino entra un convoglio di autoblindo inglesi, a Pesaro i "Patrioti della Maiella".
Dalle Mainarde ad Urbino l'avanzata del C.I.L. non conobbe soste e fu,
in diverse occasioni, travolgente, superando anche gli obiettivi fissati dal
Comando del 5° Corpo d'Armata Britannico. Ma si è già diffusa la voce che
173
si va nelle retrovie per un periodo di riorganizzazione. Il C.I.L. in Campania,
la "Maiella" a Recanati (An).
"Com'è già accaduto con la liberazione di Roma (e in Corsica), gli italiani
vengono messi in disparte alla vigilia di quello che si preannunciava come
l'assalto definitivo alla linea gotica, l'operazione Olive."
"Gli Alleati trattengono le tre Divisioni Ausiliarie, la 210^ e la 231^ con la
5^ Armata, la 228^ con l'8^ Armata, incaricate di assolvere alle mansioni pesanti, quelle solitamente svolte dalla truppa negra.
Il sogno di arrivare a casa, di liberare l'Italia fino alle Alpi e alle Dolomiti è
sfumato. Sparisce l'unità che prima come 1° Raggruppamento e poi come
Corpo Italiano di Liberazione, giorno dopo giorno ha acquisito, tra errori e
paure, la coscienza di sé e di ciò che rappresentava per un Paese invaso,
umiliato, stremato. I quattrocento caduti e i circa mille feriti lo testimoniano.
Soldati e ufficiali hanno combattuto nel totale disinteresse di quanti in quei
giorni si ergono a paladini della nuova Italia; che osservata dai monti d'Abruzzo e dalla pianura marchigiana assomiglia tanto alla vecchia. A parte
qualche rara visita di Re Umberto e del Conte Casati, non si sono visti ministri, sottosegretari, esponenti dei partiti." (Alfio Caruso)
Gli ultimi a lasciare il fronte sono gli Alpini del "Monte Granero", che andranno in Sicilia per servizio di ordine pubblico.
Il 24 settembre 1944, nascono ufficialmente sei Gruppi di Combattimento,
e il C.I.L. si scioglie in due di queste nuove grandi unità, il "Legnano" e il
"Folgore".
Le ex divisioni "Cremona" e "Friuli", che hanno ben figurato in Corsica e
vengono da un lungo periodo di riassestamento prima in Sardegna, poi nel
Meridione, diventano altrettanti Gruppi di Combattimento.
Le ex divisioni "Piceno" e "Mantova", già riarmate, costituiranno le ultime
due grandi unità.
I problemi iniziano subito. Diserzioni, insubordinazioni, dure proteste verbali, piccoli, ma continui atti di ribellione.
Eccetto che il "Legnano" e il "Folgore", che sono le unità più compatte
perché composte soprattutto dai veterani del C.I.L., gli altri gruppi, viceversa, provengono da una lunga inattività che ne ha fiaccato lo spirito combattivo.
Quelli del "Friuli", in estate sono stati adibiti alla mietitura in Puglia. Ora
hanno scarsissima voglia di ritrasformarsi in guerrieri. C'è un desiderio istintivo e crescente di tornare a casa, di famiglia, di un'esistenza normale. A
questo si aggiungano i disagi di accampamenti sorti sul fango, spesso alla
periferia di centri abitati distrutti dalla guerra, privi di tutto e dispensatori
principalmente di pidocchi e di miseria.
174
"Primo punto: il cibo. Il soldato comprende che si debbono fare sacrifici
per il Paese, che ha fame più di lui; ma non comprende di dover combattere
a stomaco semivuoto accanto a truppe che non mancano di nulla. A parità
di doveri reclama la parità dei diritti.
Secondo punto: le licenze. Il soldato non si sente di ammettere che quando
la sua terra è stata liberata gli sia negato il permesso – che per lui è sacrosanto – di andare a vedere che cosa è successo a casa sua; soprattutto quando
egli stesso ha combattuto, sebbene su un altro settore del fronte.
Terzo punto: il vestiario. Sono state distribuite divise inglesi che sono nuove solo in minima parte. Ma il soldato aveva sperato che il sacrificio della
sua uniforme italiana avrebbe trovato un compenso in una soluzione radicale del problema vestiario." (Alfio Caruso)
Alpini e Bersaglieri si rifiutano di rinunciare al cappello con la penna e a
quello con le piume: alla fine i comandi accettano che i due corpi conservino l'elemento caratterizzante della vecchia divisa.
Va male pure la campagna di arruolamento. L'affluenza più cospicua è degli
ex partigiani, dei quali oltre la metà giunge dalla Toscana. Molto più difficile
persuadere quelli provenienti da mesi di dolce far niente in Meridione.
All'inizio dell'Autunno 1944, il desiderio degli Alleati di raggiungere entro
ottobre Vienna, attraverso la direttrice Pianura Padana – Brennero - Valico
di Lubiana, è defunto. Appare evidente che lo sfondamento della Linea Gotica, il "Piano Olive", è fallito.
La presa di Rimini il 20 settembre e la conquista del Passo della Futa il 22,
sono gli ultimi episodi rilevanti prima dello stop imposto il 25 ottobre.
I Gruppi di Combattimento vivono un periodo controverso. Le famose
"assenze arbitrarie", cioè le diserzioni, sono in aumento. Le lungaggini nella
consegna degli indumenti e degli equipaggiamenti sono sospette, forse un
altro tentativi alleato di tagliare fuori, ancora una volta, gli italiani.
Ma, con l'arrivo delle armi, degli equipaggiamenti e con l'intensificarsi della
preparazione, sono proprio i gruppi italiani ad esibire maggiore compattezza. Tutti hanno compreso che si andrà finalmente al fronte; la primavera è
vicina.
All'inizio del 1945 gli angloamericani sono schierati su un allineamento dalle Alpi Apuane, fino alle Valli di Comacchio. In questo schieramento sono
progressivamente inseriti 4 dei 6 "Gruppi di Combattimento" italiani, di
nuova costituzione, in sostituzione di altrettante divisioni alleate inviate al
fronte occidentale.
Primo ad entrare in linea è il Gruppo "Cremona", che il 10 gennaio 1945,
sostituisce la 1^ Divisione Canadese nel settore compreso tra la ferrovia Ravenna-Alfonsine e l'Adriatico; in esso, confluisce anche la Brigata Partigiana
175
"Mario Gordini", comandata dal Capitano Arrigo Boldrini, nome di battaglia "Bulow".
Il "Friuli", ai primi di febbraio, assegnato al II° Corpo d'Armata Polacco,
sostituisce la Divisione "Kresowa" fra Riolo Terme e Faenza.
"I tedeschi scoprono di avere davanti il "Friuli". Tale scoperta scatena i gerarchi fascisti. Da Radio Milano scagliano una lunga serie di insulti e d'invettive contro gli ufficiali, le cui famiglie vivono nel Nord Italia. Hitler impone
a Mussolini di mandare nel settore del "Friuli" un contingente repubblichino. Viene mandato il Battaglione "Barbarigo" della X^ Mas. Gli italiani
prendono ad ammazzarsi fra loro. La cattura di un sergente fa scoprire a
quelli del "Friuli" che la Wehrmacht non si fida dei camerati: ha preteso che
le compagnie della "Barbarigo" siano sparpagliate e sottoposte ai paracadutisti tedeschi della 4^ Divisione." (Alfio Caruso)
E' comunque un caso isolato, in quanto la presenza di truppe repubblichine
in prima linea è e resta un avvenimento molto sporadico; i tedeschi non si
fidano e preferiscono usare quella "energia guerriera" nelle attività antipartigiane.
Tuttavia, c'è un'altra amara considerazione da fare: "La tragica avventura
nella quale il fascismo ha trascinato il Paese ci costringe a parteggiare per
uno straniero, com'era accaduto nei secoli di dominio francese, spagnolo,
austriaco. Ed è magra consolazione pensare che i buoni stiano di qua e i cattivi di là. In ogni caso dovremo la nostra libertà a un vincitore proveniente
d'oltralpe." (Alfio Caruso)
Verso la metà di marzo, fra i fiumi Senio e Santerno, si sono piazzati i ragazzi del "Folgore", in sostituzione della 6^ Divisione Corazzata Britannica.
Li hanno inseriti nel XIII° Corpo d'Armata. Il Gruppo ha mantenuto la
struttura dell'ex Divisione "Nembo", con il 183° Reggimento e il 184° Artiglieria; in più a ricevuto i marinai del "San Marco".
Quelli del "San Marco" stanno gomito a gomito con i soldati del "Friuli",
ma hanno comandi diversi. Quindi i marinai non possono correre a dare
una mano quando sentono i connazionali sotto attacco.
Anche il "Legnano" entra in linea, viene mandato a cavallo dei fiumi Idice e
Quaderna. Sostituisce due reggimenti della 91^ Divisione Americana. Li
hanno inseriti all'ala destra della 5^ Armata Americana. Appena al di là del
fronte c'è Bologna.
Il Gruppo è composto da tre reggimenti: il 68°, 11° Artiglieria e lo "Speciale", comprendente due battaglioni Alpini, il "Piemonte" e "L'Aquila", e il
Battaglione Bersaglieri "Goito".
"L'Aquila", che in origine era stato chiamato "Abruzzi" e ha poi ripreso il
nome della leggendaria unità massacrata sulla steppa ghiacciata, accoglie Al-
176
pini e Partigiani abruzzesi e alcuni sopravvissuti alla straordinaria "avanzata
all'indietro" del gennaio 1943.
Sempre in questo periodo si sono arruolati nei Gruppi di Combattimento
molti freschi reduci della Divisione Italiana Partigiana "Garibaldi", rientrati
dalla Jugoslavia.
A fine marzo, dal Tirreno all'Adriatico fervono i preparativi per l'attacco finale. Von Vietinghoff, che ha preso il posto di Kesselring, alla testa di ciò
che resta delle armate tedesche, ha pochissimo da opporre. Le incursioni si
fanno più profonde ed ardite. Ora che il fango, la nebbia, il gelo non fermano più la strabocchevole preponderanza tecnica e quantitativa dei mezzi anglo-americani, diventa chiaro che si tratta d'infliggere il colpo del KO.
Il 1° aprile, la 24^ Brigata, 1° Reggimento "Guardie", del Gruppo "Cremona", occupa le Valli di Comacchio. E' l'anticipo dello sfondamento fissato
per il 10 aprile, avendo i meteorologi previsto l'inizio del bel tempo, condizione indispensabile per far alzare in volo i 2.000 apparecchi coinvolti nell'operazione. Volano anche gli incursori dello "Squadrone F", del Gruppo
"Folgore": sono paracadutati in forze a sud-est di Bologna, nella zona di
Monte Guardia. Si tratta di un'operazione di sabotaggio in cui gli italiani
vengono reputati maestri.
Gli aggiustamenti di fronte hanno portato il "Friuli" e il "Folgore" a stretto contatto. Il perdurare del divieto di un comando unico italiano, fa sì che i
due gruppi costituiscano l'ossatura del X Corpo d'Armata Inglese.
Il "Cremona" si è, invece, spostato verso nord-ovest, di fronte ad Alfonsine
e la Brigata Partigiana di Boldrini, passa agli ordini delle forze speciali britanniche.
"Una sottile frenesia percorre accampamenti e postazioni. Il cuore sussurra
ai ragazzi della "generazione sfortunata" che stavolta ci siamo. Si va a chiudere il conto con i tedeschi e con i loro reggicoda di Salò. Diamo l'ultima
spallata e siamo a casa. Le foto di quei giorni ci mostrano volti sorridenti,
espressioni fiduciose. Accanto alla paura che oltre quella buca ci sia in attesa
una pallottola con il proprio nome, cognome e indirizzo, galleggia la sensazione di una vittoria ormai vicina.
Chi contava i minuti che lo separavano dall'ordine di balzare fuori ricorda
che il 10 aprile 1945, San Ezechiele, era una giornata di straripante luminosità. ...alle 5 millecinquecento pezzi di artiglieria intonano la più imponente
delle «serenades». Fanno terra bruciata per venticinque minuti, poi tutti all'assalto."
Ci vogliono essere (tutti, anche gli autisti senza fucile), perché annusano
che il gran momento è arrivato e ciascuno ha l'ambizione di poter un giorno
raccontare: c'ero anch'io.
177
Non sanno che nei complicati equilibri del Paese, molti sceglieranno di dimenticare, di non parlare dei giovani della "generazione sfortunata" che quel
10 aprile si disputarono il privilegio di essere tra i primi a superare il Sanio,
..." (Alfio Caruso)
L'azione riesce, prima di mezzogiorno. Alfonsine è liberata. Fa buio allorché le pattuglie di testa del "Cremona" sono in vista del Ponte di Bastia, sul
Fiume Reno.
Anche il "Friuli" porta a termine con successo le operazioni assegnategli;
durante la notte occupano l'abitato di Isola e il caposaldo di Quarè. L'11 avanzano verso il fiume Santerno.
Quelli del "Folgore" hanno seguito con il cuore in gola l'abnegazione e le
traversie del "Friuli", e li aiutano con un potente fuoco di copertura. Dopo
aspri combattimenti il "Folgore", il 15 aprile ha esaudito quanto richiesto
dal X Corpo d'Armata: ha conquistato la Valle del Sellustra e del Sillaro;
Imola è appena sotto.
Il caso e il coraggio dei nostri reparti, fanno sì che i due bracci della tenaglia
volti verso Bologna poggino sui soldati di casa nostra. A sinistra il "Legnano", a destra "Folgore" e "Friuli".
Il 19 aprile, parà del "Folgore" e fanti del "Friuli", tentano di sfondare verso Bologna, ma solo a notte fonda riescono a conquistare Casalecchio de
Conti. Nessuno ha voglia di festeggiare; oltre 200 caduti dell'88° Fanteria,
oltre 100 per il 183° della "Nembo".
Il 20 "il tedesco è in rotta. Lo intuiscono i soldati, lo sussurrano i pochi civili che s'incontrano .." (Alfio Caruso)
A Bologna la gioia popolare è incontenibile. E quei soldati in divisa inglese,
ma con le penne sull'elmetto sono i Bersaglieri. A mezzogiorno arrivano su
autocarri gli Alpini del "Piemonte", nel tardo pomeriggio, a piedi, gli Alpini
dell'"L'Aquila". Quando arrivano i Fanti del 68°, tutta la popolazione è in
strada a festeggiare.
La guerra scivola verso l'inevitabile conclusione, tuttavia si muore, e parecchio, su entrambi i fronti.
178
L'avanzata dei Gruppi di Combattimento italiani
179
I Gruppi italiani sono destinati a un periodo di riposo. Il "Friuli" si porta
nella zona di Dozza (Bo), il “Legnano" si attesta tra il torrente Savena e la
Via Emilia, il "Cremona" e il "Folgore" sono posizionati lungo le rive del
Po. Non la prendono bene. Ci terrebbero a concludere ciò che hanno incominciato. La spuntano!
Il 23 il "Cremona" si trasferisce a Cavarzere (Ve), dove trova una dura resistenza tedesca.
"Giocarsi la vita adesso che si può tornare a casa, e per qualcuno significa
farlo dopo cinque anni di guerra, sembra gratuito, assurdo", non si può dar
tregua a quell'esercito in ritirata, ma deciso ad arroccarsi sulle Prealpi. Se ci
riesce, ancora guerra, ancora morti!
Il "Cremona" non si ferma, i reparti germanici si battono con il sangue negli occhi, il prezzo pagato è alto..., ma riesce ad aprirsi la strada fino all'Adige. In un territorio dove assieme ai Partigiani, già operano gli incursori dello
"Squadrone F".
E intanto il presidio di Chioggia è assediato dai partigiani della "Gordini".
Il 29 aprile il "Legnano" è lanciato contro Brescia. I Bersaglieri del "Goito",
gli Alpini del "L'Aquila", gli Artiglieri dell'11° e i Partigiani, la liberano il 30,
così come Peschiera.
Al mattino trenta nuotatori-paracadutisti dei corpi speciali della Marina sono sbarcati a Venezia.
Al pomeriggio il 22° Reggimento "Cremona", mette piede a Mestre, accolto
dalle ovazioni degli abitanti.
Nelle stesse ore, un plotone di Bersaglieri con la fanfara, partecipa all'ingresso ufficiale delle truppe Alleate a Milano: cinque giorni prima la città e
stata liberata dai Partigiani.
Siamo proprio all'epilogo.
Gli Alpini del "Piemonte"si dirigono verso i monti di casa, vanno a Torino,
gli Alpini del "L'Aquila" a Bolzano e al passo del Tonale. Il resto del "Legnano" raggiunge la frontiera con la Svizzera. La Brigata "Patrioti della
Maiella" arriva sino ad Asiago.
L'8 maggio è il giorno della resa incondizionata dei nazi-fascisti in Italia.
I gruppi "Mantova" e "Piceno", non vennero impiegati in guerra, essendo
sopravvenuta la capitolazione tedesca, proprio quando erano arrivati in linea, pronti ad intervenire.
Gli anglo-americani, così restii a far combattere il soldato italiano, chiesero,
viceversa,di mettere a loro disposizione delle Unità Ausiliarie da adibire al
funzionamento dei servizi, per alleggerire le due Armate operanti, da ogni
gravame logistico. Furono così costituiti reggimenti per i rifornimenti delle
linee avanzate e per lavori stradali e ferroviari; reparti di salmerie, battaglioni
180
autieri, battaglioni del genio, unità per il rastrellamento delle mine e altri
numerosi reparti. Tali unità erano raggruppate in 8 Divisioni Ausiliarie.
Complessivamente, circa 200 mila "lavoratori", come erano denominati dagli Alleati. Ma, di fatto, reparti e soldati addetti ai servizi, che ogni esercito
conta nel suo organico!
Essi, tuttavia, spesso ex prigionieri catturati in Africa e Sicilia, hanno nobilitato l'umiltà del lavoro con uno slancio generoso che li portava sin nelle
prime linee, pur senza il privilegio e l'orgoglio di essere considerati combattenti.
Se dopo sessant'anni, è umiliante e ingeneroso che il Parlamento Italiano,
non abbia saputo ancora riconoscere lo status di "Militari belligeranti" e
quindi di "Combattenti", a quei soldati, offende ancor di più la nostra coscienza civile e la nostra consapevolezza storica, che il Senato della Repubblica, perda tempo, anche solo a discutere, la proposta di riconoscimento
della stessa qualifica a tutti quelli che, aderendo alla Repubblica Sociale Italiana, si schierarono con i nemici del Popolo Italiano, i nazisti! (disegno di
legge n°2244 "Legge-Salò", già approvato in Commissione Difesa del Senato). Molti di quei "repubblichini" tradirono il giuramento di fedeltà alla Patria, aggiungendo alle barbarie delle armi, delle torture, delle fucilazioni
sommarie, la delazione e l'odio fratricida.
Questa iniziativa revisionistica non c’entra nulla con la "pacificazione" perché, semplicemente, non possono essere considerati, né oggi, né mai,
"combattenti", degli assassini criminali di guerra!
Le perdite complessive di tutte le unità dell'Esercito Italiano ricostituito,
comprese le Divisioni Ausiliarie, furono di 2.026 Caduti.
Anche questa è stata la Resistenza.
181
CITTADINI DI MONTECCHIO PRECALCINO
CHE COLLABORARONO CON GLI ALLEATI
NELLA MARINA MILITARE ITALIANA
Stefano
Artuso
fu Arcangelo e Dalla Valle Giustina
Marinaio Cannoniere P. M., classe 1924.
Già volontario della 44^ Legione C. N. a Schio, il 17 agosto
'43 si arruola volontario nella Regia Marina, presso la Capitaneria di Porto di Venezia.
Il 19 agosto '43, viene destinato al Comando Marina di Taranto e imbarcato sulla Reale Torpediniera "Orsa". Dopo
l'8 settembre '43, dopo aver contribuito allo sbarco Alleato,
con la sua Unità, continua a combatte al loro fianco.
Stefano torna a casa in licenza il 29 marzo 1946, ed è congedato nel settembre 1946.
Silvio
Armando
Martini
"Brusolo"
fu Bortolo e Bassan Elisabetta
Sommergibilista Aiutante Capo e Furiere, classe 1920.
Già della Regia Marina da Guerra Italiana, 1° Gruppo
Sommergibili, 13^ Squadra, Sommergibile Costiero "Onice", di stanza a La Spezia.
Dopo l'8 settembre '43, raggiunta Malta con la 1^ Squadra
Navale, opera in appoggio alle marine alleate.
CITTADINI DI MONTECCHIO PRECALCINO
CHE COLLABORARONO CON GLI ALLEATI
NELL'ARMA DEI CARABINIERI
Corrado
Ferrara
182
Maresciallo dei Carabinieri.
Già della Legione Territoriale CC. RR. di Palermo e Comandante di Stazione, resta in servizio anche dopo l'arrivo
degli Alleati, il 22 luglio '43.
Corrado torna a casa in licenza nel maggio '45.
Nel dopoguerra continua la sua carriera nell'Arma sino alla
pensione.
Giuseppe
Moro
fu Giuseppe e Maculan Luigia,
Carabiniere, classe 1921.
Già della Legione Territoriale CC. RR. di Palermo, resta in
servizio anche dopo l'arrivo degli Alleati, il 22 luglio '43.
Gio Batta
Pesavento
fu Giovanni e Simonato Angela,
Carabiniere, classe 1903.
Già della Legione Territoriale di Gondar, in Etiopia, resta in
servizio anche dopo l'occupazione inglese e la fine della resistenza italiana nel Corno d'Africa (27 novembre '41). Successivamente rientra in Italia al seguito delle truppe Alleate,
aderendo al Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.). Tra i
componenti del "Contingente R" dei Carabinieri che il 5
giugno 1944 entra a Roma liberata.
L'8 giugno '44, viene assegnato alla Legione Territoriale
CC.RR. di Roma, Compagnia Comando.
E' congedato il 27 maggio '45, e torna a casa il 12 giugno
1945.
Vedi anche Albo "Carabinieri", "C.L.N." e "1^ Giunta Municipale".
CITTADINI DI MONTECCHIO PRECALCINO
CHE COLLABORARONO CON GLI ALLEATI
NEL GRUPPO DI COMBATTIMENTO "CREMONA”
Silvio
Campese
fu Angelo e Bassi Luigia,
Guardia, classe 1914.
Già della 10^Divisione Motorizzata "Piave", Btg. Misto.
Dopo l'8 settembre, dopo aver contrastato i tedeschi in Calabria, con la creazione dei Gruppi di Combattimento italiani, è inquadrato nella 4^ Compagnia, 505° Battaglione,
del 1° Regg. Guardie, Gruppo "Cremona".
Silvio, nel maggio '45, è a casa in licenza e congedato il 1
ottobre 1945.
Paolo
Guerrino
Caretta
"fiolo"
fu Giovanni e Pigato Caterina,
Guardia, classe 1916.
Già della 636^ Compagnia Mitragliatori, 110° Btg. Costiero,
Golfo degli Aranci (Ss). Dopo la liberazione della Sardegna,
183
viene destinato nel Gruppo di Combattimento "Cremona",
4^ Compagnia, 517° Battaglione, del 1° Reggimento.
E' congedato il 22 settembre 1946.
CITTADINI DI MONTECCHIO PRECALCINO
CHE COLLABORARONO CON GLI ALLEATI
NEL GRUPPO DI COMBATTIMENTO "FOLGORE"
Angelo
Dal Santo
"Marusco"
fu Francesco e Sandonà Caterina,
Paracadutista, classe 1920.
Già del 183° Reggimento, Divisione "Nembo", dopo la Liberazione della Sardegna, raggiunto il continente, sempre
inquadrato nel 183° Reggimento Paracadutisti "Nembo",
confluisce nel Gruppo di Combattimento "Folgore".
Emilio
Gabrieletto
fu Antonio e Campagnolo Caterina,
Fante, classe 1917.
Già dell'Aeronautica Militare in Albania.
Già della Divisione Italiana Partigiana "Garibaldi" in Jugoslavia.
Nel marzo 1945, rimpatriato, è volontario nel Gruppo di
Combattimento "Folgore", Reggimento "Garibaldi".
Emilio torna a casa il 22 luglio 1945.
CITTADINI DI MONTECCHIO PRECALCINO
CHE COLLABORARONO CON GLI ALLEATI
NEL GRUPPO DI COMBATTIMENTO "MANTOVA"
(Anche Albo "Resistenti 8 settembre")
Antonio
Pobbe
184
fu Gio Batta e Dosio Angela Maria,
Fante, classe 1916.
Già del 129° Regg. Fanteria, 1° Btg., Comp. Comando, Divisione "Mantova", in Calabria.
Dopo l'8 settembre combatte contro i tedeschi e, successivamente, viene inquadrato nel Gruppo di Combattimento
"Mantova", 21^ Compagnia, 802° Regg. C.A.C.
Antonio è congedato il 2 agosto 1945.
Pio
Rodella
fu Giovanni e Pigato Teresa
Caporale d'Artiglieria, classe 1923.
Già del 24° Regg. Artiglieria, 329^ Batteria. Divisione
"Mantova", in Calabria.
Dopo l'8 settembre combatte contro i tedeschi e, successivamente, viene inquadrato nel Gruppo di Combattimento
"Mantova".
Pio è congedato il 1 settembre 1946.
Bortolo
Tagliapietra
fu Gio Batta e De Vicari Maria,
Artigliere, classe 1909.
Già del 15° Regg. Artiglieria, 281^ Batteria, Divisione
"Mantova", a Nicotera (Cz).
Dopo l'8 settembre combatte contro i tedeschi e, successivamente, viene inquadrato nel Gruppo di Combattimento
"Mantova".
Bortolo è congedato il 1 giugno 1945.
Giovanni
Viero
"Cielo"
fu Maddalena Viero,
Artigliere, classe 1920.
Già del Regg. Costiero "Squillace", 11° Gruppo Artiglieria
di posizione, 151^ Batt. a Catanzaro Marina (Cz).
Dopo l'8 settembre combatte contro i tedeschi e, successivamente, viene inquadrato nel Gruppo di Combattimento
"Mantova", 28° Battaglione Servizi Om., 159^ Compagnia.
Trasferito all'802° Centro Riorganizzazione di Orvieto, viene congedato il 1 febbraio 1946.
185
CITTADINI DI MONTECCHIO PRECALCINO
CHE COLLABORARONO CON GLI ALLEATI
NEI "REPARTI DI PRESIDIO TERRITORIALE"
(VEDI ANCHE ALBO "RESISTENTI 8 SETTEMBRE")
Mario
Papini
fu Angelo e Parise Rosa,
Caporale d'Artiglieria, classe 1909.
Già della 3^ Compagnia, del 533^ Battaglione Costiero,
255^ Divisione Costiera, in Corsica.
Dopo l'8 settembre partecipa alla liberazione dell'isola dai
tedeschi.
Rimpatriato in Sardegna nel novembre, è inquadrato in un
Reparto per la sicurezza interna e il controllo delle linee di
comunicazione. Torna a casa congedato nel luglio 1945.
Umberto
Zanin
fu Luigi e Rizzato Maddalena,
Artigliere, classe 1911.
Già della 4^ Compagna, del 354° Battaglione Costiero,
226^ Divisione Costiera, in Corsica.
Dopo l'8 settembre, partecipa alla liberazione dell'isola dai
tedeschi.
Nel novembre del '43 è rimpatriato in Sardegna, e inquadrato in un Reparto per la sicurezza interna e il controllo delle
linee di comunicazione. Il 7 giugno 1945 è a casa in licenza.
E' congedato nel luglio '45.
CITTADINI DI MONTECCHIO PRECALCINO
CHE COLLABORARONO CON GLI ALLEATI
NELLE "DIVISIONI AUSILIARIE"
Marco
Bortoli
"Coa"
186
fu Bortoli Maria,
Caporale Autiere, classe 1918.
Già Autiere del 62° Regg. Fanteria Motorizzata "Trento" e
già 5° Autogruppo in Libia.
Catturato dagli Inglesi nel 1940, dopo l'8 settembre si arruola nella Divisione Italiana Ausiliaria "Trasporti Generali",
750° Reggimento.
Marco è congedato il 1 novembre 1945. Vedi Anche Albo
"P.O.W.".
Annibale
Filippetto
fu Domenico e Maran Elisabetta,
Autiere, classe 1920.
Già del 46° Autoreparto in Africa Settentrionale. Fatto prigioniero dagli Inglesi nel 1940, dopo l'8 settembre si arruola
nella Divisione Italiana Ausiliaria "Trasporti Generali", 517°
Reggimento, 61^ Compagnia. Annibale è congedato il 16
novembre 1945.
Vedi Anche Albo "P.O.W.".
Angelo
Marchiorato
fu Giuseppe e Moresco Angela,
Fante, classe 1916.
Già del 9° Regg. Fanteria a Rodi. L'8 settembre si trova in
Italia, a Barletta (Ba), e si arruola in una Divisione Italiana
Ausiliaria. Torna a casa in licenza nel maggio '45 ed è congedato il 15 settembre 1945.
Gaetano
Martini
fu Giuseppe e Valtiero Anna,
Fante, classe 1909.
Già del 562° Battaglione Costiero, 3^ Comp. a Pulsano
(Ta). Dopo l'8 settembre, si arruola in una divisione italiana
qausiliaria. Torna a casa in licenza nel maggio '45 ed è congedato il 25 ottobre 1945.
Vedi anche Albo "Resistenti 8 settembre".
fu Paolo e Lorenzetto Maria,
Fante, classe 1911.
Già del 109° Btg. Mitraglieri, di un Reggimento Fanteria di
stanza ad Agrigento, è fatto prigioniero il 17.07.1943, a Siculiana (Ag), subito dopo lo sbarco Alleato in Sicilia. Imprigionato inizialmente a Orano (Algeria), ottiene di arruolarsi
in una divisione italiana ausiliaria. Giuseppe è a casa il 1
luglio 1945.
Vedi Anche Albo "P.O.W.".
Giuseppe
Pasqualotto
Giuseppe
Dal Ferro
fu Angelo e Bettanin Maria,
Artigliere, classe 1914.
Già del 20° Reggimento Artiglieria, Divisione "Piave".
187
Dopo l'8 settembre, dopo aver contrastato i tedeschi in Calabria, si arruola nella Divisione Italiana Ausiliaria del Genio, 410° Regg. Pontieri, 304^ Compagnia Giuseppe nel
maggio '45 è a casa in licenza ed è congedato il 1 ottobre
1945.
Vedi anche Albo "Resistenti 8 settembre".
Bortolo
Silvio
Dall'Osto
fu Giacinto e Moro Domenica,
Artigliere, classe 1907.
Già del 20° Reggimento Artiglieria, Divisione "Piave".
Dopo l'8 settembre, dopo aver contrastato i tedeschi in Calabria, si arruola nella Divisione Italiana Ausiliaria del Genio, 410° Regg. Pontieri, 304^ Compagnia.
Bortolo nel maggio '45, è a casa in licenza ed è congedato il
1 ottobre 1945.
Vedi anche Albo "Resistenti 8 settembre".
Giuseppe
Parise
fu Bortolo e Bianchini Isabella
Fante, classe 1915.
Già del 336° Battaglione, 7^ Compagnia , Divisione Motorizzata "Piave".
Dopo l'8 settembre, dopo aver contrastato i tedeschi in Calabria, si arruola nella Divisione Italiana Ausiliaria del Genio, 410° Regg. Pontieri, 304^ Compagnia. Giuseppe, nel
maggio '45 è a casa in licenza ed il 1 ottobre 1945 è congedato. Vedi anche Albo "Resistenti 8 settembre".
Nicola
Todeschini
fu Pietro e Gnata Teresa
Artigliere, classe 1914.
Già del 20° Reggimento Artiglieria, Divisione "Piave".
Dopo l'8 settembre, dopo aver contrastato i tedeschi in Calabria, si arruola nella Divisione Italiana Ausiliaria del Genio, 410° Regg. Pontieri, 304^ Compagnia.
Nicola, nel maggio '45 è a casa in licenza e il 1 ottobre è
congedato.
Vedi anche Albo "Resistenti 8 settembre".
188
Ritorno a casa del soldato.
189
190
Albo d'Onore
Volontari in Unità Alleate
(Decorati con “Croce al Merito di Guerra”
e del distintivo d’onore di “Volontari della Libertà”)
LA RESISTENZA EUROPEA
In Jugoslavia, come in Albania, Grecia, Francia e Unione Sovietica, dopo
l'8 settembre 1943, molti soldati italiani, talora intere unità, confluiscono
nella Resistenza Europea.
JUGOSLAVIA
Nessuno a Brindisi immaginava che una intera divisione italiana combattesse ancora in Montenegro. Ma, nello stupore del Comando Supremo Italiano, l'8 ottobre 1943 arriva, con una richiesta di aiuti, un toccante messaggio del Generale Oxilia:
"La Divisione "Venezia" intera e compatta, fedele al giuramento e all'onore del soldato, ha rifiutato di sottostare alle imposizioni tedesche e opera contro i tedeschi agli ordini del Gen. Badoglio."
Dopo il cifrario, la rinata Arma Azzurra italiana, rifornisce con aviolanci di
armi, munizioni e viveri la Divisione e a fine ottobre i caccia italiani danno
una mano a respingere un'offensiva della Wehrmacht.
I soldati che in Bosnia, in Montenegro, in Croazia non hanno ceduto al tedesco, sfidano ogni giorno la morte. Si devono guardare dall'ex alleato e dagli ustascia, dai cetnici e dalle bande musulmane. Gli stessi rapporti con
l'E.P.L.J. (Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo) di Tito, camminano
sul filo del rasoio.
Gli inglesi stessi vedono con fastidio il sostegno alle formazioni italiane e
così spesso, "... il materiale requisito al Regio Esercito Italiano viene destina-
191
to agli slavi e, spesso, sono i nostri piloti a essere incaricati di queste missioni. Nondimeno in Jugoslavia sono tanti i connazionali in armi" (Alfio Caruso).
Le "penne nere" della "Taurinense", sfuggite a fine Settembre all'accerchiamento nei pressi di Crkvice e sottoposte a violenti bombardamenti
diurni, hanno intrapreso un'altra marcia estenuante. A metà novembre le diverse colonne della "Taurinense", si fondono con la "Venezia". Nasce la
Brigata Partigiana Italiana "Garibaldi", articolata in quattro brigate (circa
5.300 uomini), un gruppo carri armati, un gruppo artiglieria, un autogruppo
e un battaglione Genio. Nelle immediate vicinanze sono sistemati undici
"battaglioni lavoratori", composti da quanti non se la sentono di combattere. Il 2 dicembre 1943, il comando jugoslavo ufficializzava la nascita della
Divisione Italiana.
Il 5 dicembre, la "Garibaldi" dovette subire una nuova offensiva tedesca.
I nazisti tentavano l'accerchiamento del II° Korpus dell'EPLJ. L'evacuazione di Pljevlja fu drammatica e, per i malati, una tristissima odissea. Proprio
in quell'occasione fu catturato anche il Fante e Partigiano "Garibaldino",
Giulio Grigoletto (classe 1917).
Nel gennaio 1944, in condizioni metereologiche pessime, tra bufere di neve
e un freddo eccezionale, le attività operative furono intense per tutti i reparti
della Divisione.
Il 5 gennaio '44, a Brajkova, dopo un'epica battaglia, è decorato "sul campo" con la Medaglia di Bronzo al V. M., poi elevata in Patria a Medaglia
d'Argento al V. M., il Fante e Partigiano "Garibaldino", Giuseppe Anzolin,
"Pino Frate" (classe 1921).
"Per alleggerire la zona del Sangiaccato, malgrado che un'epidemia di tifo
esantematico avesse fatto ampi vuoti nei reparti, gran parte della Divisione
si trasferì in Bosnia." (Gen. Ilio Muraca)
Le ansie, gli agguati, le marce, il freddo, le continue pattuglie, gli ininterrotti
combattimenti e lo scarsissimo vitto, convivono dolorosamente con le epidemie di tifo. Queste ultime resero difficile a molti di proseguire le marce e
numerosi militari vennero fatti prigionieri, finendo in Germania.
Il 4 aprile '44, al corrente di questa situazione, i tedeschi iniziarono un'offensiva ad ampio raggio, con l'aiuto di truppe cetniche, ustascia e mussulmane. Fu indispensabile ripiegare, lasciando un ufficiale medico con centinaia di malati che non si potevano trasportare.
Le marce degli altri furono durissime, con episodi da leggenda. Il 18 aprile i
superstiti della II^ Brigata arrivarono a Zabljak, ridotti in 221.
192
Tornò la primavera, e con essa i combattimenti intensi. Approfittando di
un periodo di relativa calma, fu svolta un'intensa attività di riordino dei reparti.
Si riuscì ad assegnare un certo numero di uomini anche ai battaglioni partigiani italiani "Matteotti" e "Garibaldi", che avevano fino a quel momento
operato in Bosnia e Serbia. Dal canto loro, i due battaglioni, reduci da una
tremenda offensiva tedesca, cedettero alla Divisione "Garibaldi" centinaia di
feriti e di carabinieri anziani." (Gen. Ilio Muraca)
Il 10 agosto '44, ebbe inizio una delle più vaste operazioni tedesche, la
"Ruebezhal", denominata dagli jugoslavi in Montenegro l'8^ offensiva, la
più rovinosa per la potenza e il numero delle unità impiegate, per la fulmineità e la persistenza con la quale venne condotta.
"Essa non colse di sorpresa il comando partigiano che gettò nella lotta tutte
le sue forze, anche se di molto inferiori al nemico. Furono sedici giorni di
combattimento duro e continuo contro forze germaniche scelte e decise a
eliminare il pericolo partigiano e la Divisione Garibaldi.
Dal fiume Lim al massiccio del Durmitor (m. 2.522) dove, secondo i tedeschi doveva avvenire da definitiva mattanza e dove infatti furono ristretti gli
italiani e buona parte del XII° Korpus, si susseguirono giorni terribili.
Insieme ai reparti combattenti erano concentrati sul Durmitor anche gli ospedali e numerosi gruppi di ammalati e feriti barellati, trasportati fino là
sulle spalle di infermieri o di malati meno gravi, oppure su quadrupedi stentati dalla fame. Secondo il costume partigiano essi dovevano essere a tutti i
costi portati in salvo. Si resisté al limite.
La notte del 2, approfittando di una diminuita pressione della Wehrmacht,
ospedali e servizi riuscirono a fuggire all'accerchiamento in lunghe colonne,
in silenzio assoluto e in fila per uno. Ma il mattino dopo la "Garibaldi" era
ancora abbarbicata sui picchi e fra le gole del Durmitor. La si poteva già
considerare una "divisione sacrificata"; sennonché la virtù del comandante
e la tenacia di tutti, salvarono l'eroica "Garibaldi", che si infilò forse nell'unico, stretto varco rimasto fortunosamente aperto e uscì dalla sacca. In un
campo di atterraggio di fortuna, realizzato a Gornje Brvenica, arrivarono
una notte trentasei aerei da trasporto americani e italiani, scortati da cinquanta caccia. Dalla interminabile fila di degenti furono evacuati 1.059 feriti
e ammalati gravi." (Gen. Ilio Muraca)
Finalmente il 28 agosto '44 la Divisione "Garibaldi" raggiunse la tranquilla
Velimlje. Riprese le forze, la I^ Brigata travolge , con il Battaglione Genio,
una linea difensiva di cetnici nella zona di Savnik, liberando così la 3^ Divisione dell'EPLJ.
193
A settembre, la situazione generale della guerra volgeva ormai in senso favorevole agli Alleati; i Sovietici avevano preso contatto in Jugoslavia con
EPLJ e Belgrado era stata liberata. Il 20 settembre, viene liberato anche il
nostro concittadino, l'Aviere ed I.M.I. Emilio Gabrieletto (classe '17), che
decide di arruolarsi nella Divisione "Garibaldi".
Le Brigate italiane, continuano ad essere impiegate in varie operazioni di rastrellamento e in diversi settori del Montenegro. Anche in questo caso gli italiani continueranno a dare il meglio di sé.
Il 21 febbraio 1945 giungeva finalmente il sospirato ordine di rimpatrio e di
concentrare la Divisione a Dubrovnik, l'antica Ragusa.
L'8 marzo, i reparti cominciarono ad imbarcarsi. Aveva così termine l'epopea della Divisione in Jugoslavia, la più grande formazione italiana, costituitasi all'estero, dopo l'armistizio.
I rimpatriati furono 3.800, tutti armati; l'8 settembre 1943 erano partiti in
20.000. Di essi:
- 3.800 erano rientrati precedentemente per ferite e malattie;
- 4.600 tornarono dalla prigionia;
- 7.200 furono considerati dispersi.
Le perdite complessive furono circa 10.000; ben il 50%.
Lo Stendardo del 19° Regg. d'Artiglieria "Venezia", la Bandiera dell'83°
Regg. Fanteria "Venezia", la Bandiera dell'84° Regg. Fanteria "Venezia", il
Gruppo Artiglieria Alpina "Aosta", sono stati decorati di Medaglia d'Oro al
Valor Militare (Montenegro/Sangiaccato - 8 settembre/dicembre 1943).
Le decorazioni individuali al "Valor Militare" furono:
- 13 Medaglie d'Oro,
- 88 Medaglie d'Argento,
- 1351 Medaglie di Bronzo;
- 713 Croci di Guerra.
Da parte Jugoslava la I^, II^ e III^ Brigata della Divisione Partigiana Italiana "Garibaldi", furono decorate con:
- l'Ordine per Meriti verso il Popolo, con Stella d'Oro;
- l'Ordine della Fratellanza ed Unità con Corona d'Oro;
e con due solenni encomi del Comando Supremo Jugoslavo.
Quando i "garibaldini" sbarcarono a Brindisi per essere immessi nel "campo di contumacia" di Taranto, quasi tutti fecero domanda per continuare a
combattere in Italia. La Divisione fu trasformata in Reggimento e destinato
al Gruppo di Combattimento "Folgore", impegnato al fronte.
194
Giuseppe
fu Giuseppe e Pauletto Paola
"Pino Frate" Fante e Partigiano "Garibaldino",classe 1921.
Anzolin
Invalido di Guerra e Medaglia d'Argento al Valor Militare:
"In un momento di crisi per il suo reparto, accerchiato da preponderanti forze nemiche attaccanti, si prodigava senza posa per contrastare
la via al nemico. Ferito, non desisteva dal combattimento, ma, trascinando con l'esempio i compagni, riusciva con lancio di bombe a mano
ad aprirsi un varco fra le file avversarie".
Dopo l'8 settembre 1943, con l'83° Reggimento Fanteria,
Divisione "Venezia", si oppone ai tedeschi. Commilitone e
concittadino di Giulio Grigoletto, a metà novembre è inquadrato nella Divisione Italiana Partigiana "Garibaldi", nel
II° Korpus dell'EPLJ.
Il 5 gennaio '44, a Brajkova, dopo un'epica battaglia, è decorato "sul campo" con la Medaglia di Bronzo al V. M., poi
elevata in Patria a Medaglia d'Argento al V. M. Lo stesso
giorno è ferito e catturato dai tedeschi. Cinque giorni dopo
è ricoverato all'Ospedale Militare di Cacak (Serbia).
Il 23 marzo '44 è dimesso ed internato nel Stammlager di
Sajmeste, presso Sabac sul Danubio, di fronte a Belgrado.
Successivamente viene trasferito e internato in un Stammlager in Germania, dove finge di aderire al Terzo Reich e dove viene inquadrato nelle Waffen SS. Dopo regolare addestramento, il 21 dicembre '44, è rimpatriato e, per malattia, è
ricoverato all'Ospedale di Noventa Padovana.
Il 2 aprile '45 evade dall'Ospedale e torna a Montecchio
Precalcino. per unirsi alla Resistenza: Battaglione "Livio
Campagnolo", Brigata "Mameli", Divisione Garibaldina
d'assalto "Ateo Garemi".
Vedi anche Albo "Resistenti 8 settembre", "I.M.I." e "Partigiani".
Emilio
Gabrieletto
fu Antonio e Campagnolo Caterina
Aviere e Partigiano "Garibaldino", classe 1917.
Già dell'Aeronautica Militare in Albania, è catturato dai tedeschi il 17 settembre '43.
Liberato dai partigiani jugoslavi il 20 settembre '44, aderisce
alla Divisione Partigiana Italiana "Garibaldi".
Rientrato in Patria con la sua Unità nel marzo 1945, si arruola volontario nel Reggimento "Garibaldi", inserito nel
195
Gruppo di Combattimento "Folgore".
Emilio torna a casa il 22 luglio 1945.
Giulio
Grigoletto
fu Gio Batta (Giovanni) e Garzaro Luigia
Fante e Partigiano "Garibaldino", classe 1917.
Dopo l'8 settembre 1943, con l'83° Reggimento Fanteria,
Divisione "Venezia", si oppone ai tedeschi. Commilitone e
concittadino di Giuseppe Anzolin, a metà novembre è inquadrato nella Divisione Italiana Partigiana "Garibaldi", nel
II° Korpus dell'EPLJ.
Il 5 dicembre 1943, dopo una battaglia drammatica, viene
catturato dai tedeschi a Pljevlja, in Montenegro e internato
nei Balcani.
Alla fine di aprile del 1945, prigioniero al seguito dei germanici in ritirata, viene liberato (sic!) dagli Jugoslavi, ma
trattenuto come "anticipo" per i danni di guerra cagionati
dagli italiani.
Imprigionano nel Campo di Kraljevo, in Serbia, è inquadrato nel 26° Battaglione Lavoratori, 2^ Compagnia.
Giulio rientra a casa il 7 dicembre 1947, quando ormai tutti
lo consideravano "Disperso".
Dopo Spalato, la resistenza degli uomini della Divisione "Bergamo", durata
dall'8 al 27 settembre 1943, continuò.
Un folto gruppo di Carabinieri, uscì in pieno assetto di guerra da Spalato,
formeranno il Battaglione Carabinieri "Garibaldi", accolto nelle file della I^
Brigata Proletaria e destinato a una lunga, tormentata ed eroica campagna di
guerra.
Ad esso, con il moltiplicarsi dei militari che avevano scelto di combattere i
tedeschi, si affiancò il Battaglione Partigiano Italiano "Matteotti", composto
da molti ufficiali.
Il 31 dicembre 1943, il "Matteotti", partecipa alla conquista di Banja Luka
(in Bosnia) e, il 5 gennaio '44 ingaggia una furiosa battaglia contro una colonna corazzata tedesca, bloccandola per un giorno e una notte, consentendo così agli ospedali mobili partigiani di portarsi in salvo.
Il 28 ottobre 1944, con due battaglioni, il "Garibaldi" e il "Matteotti", che
avevano partecipato validamente alla battaglia di Belgrado, e con i battaglioni "Mameli" e "Fratelli Bandiera", formati da prigionieri di guerra liberati
dagli Jugoslavi nel corso della liberazione della città, nasce la Brigata d'Assalto "Italia".
196
Il 2 dicembre 1945, la Brigata attacca le posizioni a nord di Belgrado.
Nonostante la presenza di numerosi campi minati e la rabbiosa reazione tedesca, i nostri reparti, appoggiati da quelli jugoslavi, il giorno 4 riescono a
sfondare le linee nemiche, iniziando la lunga marcia verso il nord del paese.
Nei primi giorni di febbraio del 1945, la Brigata, riordinata in Divisione Italiana Partigiana "Italia", si trasferì sul Danubio; qui, il 12 aprile, inizia l'ultima offensiva che porta i nostri reparti a Zagabria, conquistata il 12 maggio,
dopo un mese di aspri combattimenti.
Conclusa la guerra, la Divisione Italiana Partigiana "Italia", rientra in Patria
in formazione, armata e ordinata.
ALBANIA
In Albania:
- malgrado gli infiniti episodi di rapina ai danni di gruppi di soldati italiani,
specie quelli disarmati e sbandati, che cercavano di raggiungere la costa
adriatica,
- nonostante le richieste puntuali di indumenti e denaro in cambio del
permesso di transito attraverso le inospitali montagne del paese, da parte
dei Balli Komintar, al servizio dei tedeschi, o da banditi di ogni risma,
- a dispetto delle imboscate da parte dei partigiani regolari albanesi, avidi
delle armi e di qualsiasi bene portassero con se i gruppi di soldati italiani
avviati, senza scorta, ai punti di carico indicati dai tedeschi per il trasferimento verso la prigionia,
malgrado questa tragica situazione, spuntavano ancora qua e là isole di resistenza da parte di molte unità italiane, sia pure di consistenze modeste, le
quali, in un soprassalto d'orgoglio, si erano date alla montagna imponendosi
al rispetto dei poco affidabili compagni di lotta albanesi.
"Non sapremo mai esattamente quanti ufficiali, sottufficiali e militari di
truppa non sono tornati dai Balcani, per non aver voluto consegnare le armi
ai tedeschi. Non sapremo mai le circostanze precise con cui, da molti, il sacrificio è stato sopportato." (Gen. Ilio Muraca)
L'8 ottobre 1943, lungo la riva del fiume Erzen, si riunirono i 400 superstiti
della Divisione "Firenze" e i 170 della Divisione "Perugia", i quali, insieme a
quelli di altre unità disperse, costituirono il Battaglione "Antonio Gramsci".
Questa piccola Unità fu un modello di guerriglia italiana molto speciale, originale, e costituito da "irriducibili". Non ebbe ufficiali in posizioni di comando, ma scelse liberamente e democraticamente i suoi capi.
Il battaglione, dopo prove di coraggio nelle quali dette molto filo da torcere ai tedeschi, venne quasi interamente distrutto nella difesa della cittadina
di Berat. Soltanto 40 furono i superstiti che, per continuare la lotta, si ritira-
197
rono nelle impervie zone di montagna, dove riuscirono a ricostruire il battaglione con l'inserimento di altri volontari italiani.
"...altri italiani, i quali, richiamati dalle gesta e dalle particolari regole di vita
e di comando, lasciavano i loro nascondigli e la loro miserabile vita di braccianti sempre affamati per tornare a essere veri soldati." (Gen. Ilio Muraca)
La "Gramsci", conclude la sua intensa attività partecipando alla conquista
della capitale Tirana. Qui venne concesso al battaglione di sfilare, da liberatore, il 28 novembre 1944.
Il 6 febbraio 1945, il battaglione, forte di 2.000 uomini ed integrato dalle
due batterie del 41° Regg. Artiglieria, fu trasformato in Brigata Italiana Partigiana "Gramsci" e più tardi in Divisione su due brigate, per il continuo afflusso di militari italiani.
Alla Divisione Partigiana Italiana "Gramsci", venne concesso l'onore, assai
raro per soldati stranieri, di rientrare in Italia completamente armati e in divisa.
In Albania, specie nelle città di Tirana e Durazzo, molti altri militari italiani
rimasti alla macchia si dettero alla lotta clandestina, esercitando una preziosa
e rischiosa opera informativa e compiendo atti di sabotaggio al materiale tedesco.
"Alla fine della guerra il rientro dall'Albania di quelle migliaia di italiani fu
lungo e travagliato. Al governo albanese interessavano tutti coloro che possedevano una qualche specializzazione, di cui l'Albania era completamente
priva e che dovevano servire per la ricostruzione.
Venne costituito a Tirana il "Circolo Garibaldi", attorno al quale... si cercò
di organizzare il graduale rientro delle migliaia di militari che giungevano dai
luoghi più remoti del paese, in condizioni da far pietà per le sofferenze patite. ... Fu comunque un rientro lento, che pareva non finire mai, di soldati
provati nel fisico e nel morale:; la tragica conclusione di una guerra di conquista inutile e ingiusta, voluta dal fascismo, di un paese che non li aveva
mai completamente accettati." (Gen. Ilio Muraca)
GRECIA
La Grecia, con l'occupazione italo-tedesca, conobbe un regime durissimo,
che portò il popolo a livelli di miseria mai conosciuti prima di allora. Non
così accadde sulle montagne e nei paesi dell'interno, dove lo spirito indipendente di quelle popolazioni insorse e creò una sempre più accesa resistenza
contro italiani e tedeschi.
Dopo l'8 settembre, la maggior parte dei militari italiani presenti in Grecia
finì prigioniera o sbandata, alla mercé dei tedeschi o dei contadini, che se ne
servirono nei lavori più umili come veri e propri schiavi.
198
La Divisione "Pinerolo" che riesce a raggiungere le montagne del Pindo, si
trasforma nel Reggimento TIMO (Truppe Italiane Macedonia Orientale).
Sono circa 8.000 uomini, sicuri di aver conquistato con la loro scelta il diritto a un trattamento dignitoso. Lo garantiscono gli inglesi, lo controfirmano
con il "Patto di cooperazione" i rappresentanti dei due movimenti resistenziali greci, l'ELAS (Comunisti) e l'EDES (Monarchici). Ma, a novembre,
l'ELAS, disarma il I° Battaglione italiano, ed è chiaro che non si fermeranno; l'ospitalità offerta dentro il proprio territorio agli italiani, è finalizzata solo per poterli gradualmente depredare. A fine ottobre la "Pinerolo" è completamente disarmata.
"Gli ufficiali inglesi usano gli italiani per sabotaggi, per colpi di mano, per
impiantare e riparare linee telefoniche, riattare ponti e strade, recuperare
materiale paracadutato sui monti, controllare le mosse dei tedeschi.
Insomma i greci, con il tacito assenso britannico, preferiscono non ridare le
armi agli italiani se non in casi eccezionali, quale, per l'appunto, un improvviso rastrellamento germanico. E comunque al termine dell'impiego i fucili e
le munizioni vengono requisiti."...
L'inverno '43/'44 "...è trascorso al riparo nei tuguri a condividere cimici e
impasti di farina e fagioli. Poche le incursioni da parte dei tedeschi, in compenso molti agguati dei tanti greci attratti dalle sterline d'oro che gli italiani
ricevono dalla Missione Alleata. ... Più di un italiano viene trovato con la gola squarciata; è la forma di esecuzione maggiormente diffusa perché è la
stessa usata per sgozzare i capretti." ...
Ad aprile spuntano nei boschi le tartarughe ed è stata una festa: finalmente si cambia menù... All'arrivo dei primi caldi è scoppiata l'epidemia di tifo
petecchiale. ...Il tifo ha impazzato per oltre un mese,... Su molti dei sopravvissuti si è abbattuto un altro male, l'avitaminosi che spesso è sfociata in dolorose cancrene. E quando ai primi di luglio è parso che gli italiani del Pindo
avessero saldato i propri conti con la malasorte, ecco un'altro terrificante
annuncio: i tedeschi hanno lanciato l'ultima offensiva, l'operazione «Sparviero», ..." (Alfio Caruso)
I militari italiani ancora in grado di combattere sono stati riarmati e inseriti
nei reparti partigiani. Per gli altri tremila inizia una marcia dolorosa verso
l'unica speranza di salvezza, le cime ricoperte di boschi dello Smolikas.
Per giorni hanno combattuto e rischiato la vita, poi tornati ai villaggi distrutti, hanno capito che ad aspettarli c'era la fame. Molti hanno deciso di
chiedere ospitalità alle famiglie, pur sapendo che significava consegnarsi ad
un futuro da schiavi. Qualcuno è rimasto con i partigiani, il grosso però è
restato unito, ha ricostruito ciò che i tedeschi avevano distrutto e in poche
199
settimane; la vita nei campi è ripresa. Perfino dall'ELAS arrivano i riconoscimenti e i complimenti per i "valorosi combattenti antifascisti italiani".
A novembre '44 i tedeschi sono in rotta. Abbandonati dai partigiani greci e
dagli inglesi che iniziavano ad applicare gli "Accordi di Yalta", ma con l'aiuto della popolazione, gli italiani dal Pindo si dirigono verso Larissa e da lì, a
Volos, dove si imbarcano per l'Italia:
"Con le loro sofferenze hanno riscattato l'aggressione fascista ad un paese
al quale ci legano tradizioni comuni di libertà e di amicizia." (Sandro Pertini)
UNIONE SOVIETICA
Il popolo russo e dell’intera Unione Sovietica non ha dimenticato, né i
massacri compiuti nel suo territorio dalla Wehrmacht, dalle SS e dalle Waffen-SS (SS croate, georgiane, armene, ucraine, cosacche e, dopo l'8 settembre, anche italiane), né l'ordine di Hitler, eseguito sempre fedelmente, che
prescriveva l'eliminazione fisica dei prigionieri, soprattutto se polacchi e russi.
Nell'inverno del 1941 migliaia di prigionieri sovietici sono lasciati morire all'aperto, privi di cibo, nelle steppe russe. Si può stimare in circa 6 milioni i
sovietici fatti prigionieri dai tedeschi, solo un milione sarà risparmiato. A
Mauthausen sono uccisi con un colpo alla nuca, azionato da un contrappeso
collegato a un finto apparecchio per la misurazione dell'altezza. Nel corso
dell'intero conflitto sul fronte orientale vengono commesse altre innumerevoli atrocità a danno delle popolazioni civili. Le uccisioni di massa hanno lo
scopo di intimidire la popolazione nel nome di un'ideologia razziale che
considera i popoli slavi come esseri inferiori. Il terrore è esercitato in modo
permanente e indiscriminato; per ogni soldato tedesco ucciso, la rappresaglia causa la fucilazione di migliaia di persone inermi da parte dei plotoni di
esecuzione della Wehrmacht, degli uomini dei servizi di sicurezza e delle SS.
Nessun rispetto per il codice militare e le convenzioni internazionali. Nessuna pietà per popolazioni già vessate dagli orrori della guerra.
Le Einsatzgruppen ("gruppi operativi") hanno il compito di liquidare in
primo luogo i commissari politici dell'Armata Rossa fatti prigionieri, gli ebrei e i partigiani delle zone conquistate. 20 milioni di morti, dei quali 13 milioni di civili, è il macabro primato che va all'Unione Sovietica.
L'Armata Italiana in Russia (ARMIR), che Mussolini ha costituito per affiancare l'alleato nazista sul fronte sovietico, ci ha indiscutibilmente posti nella
stessa condizione dei tedeschi, di aggressori e occupanti. Di fatto anche il
soldato italiano, è visto non solo come un nemico, ma ancora di più come
un "fascista" e un "collaborazionista" del Terzo Reich.
200
Da tutto ciò si capisce perché gli oltre 10.000 "Prigionieri di Guerra –
POW" italiani, in mano ai sovietici e le centinaia di migliaia di "Deportati" e
di "Internati Militari Italiani – I.M.I.", liberati dai sovietici nella loro avanzata verso Berlino, sono ritenuti inaffidabili e anche una loro volontaria adesione alla lotta antifascista non è nemmeno presa in considerazione.
Viceversa, con l'Armata Rossa, combattevano migliaia di antifascisti provenienti da tutti i paesi, ex prigionieri dei tedeschi o vecchi fuoriusciti.
Ovviamente ci furono delle eccezioni: ad esempio quella di un gruppo di
vicentini, tra cui c'era il nostro concittadino Romano Dal Lago (classe
1908): nel loro caso, tutti ex I.M.I. liberati dai sovietici, alla loro volontà di
aderire all'Armata Rossa, si aggiunse la fortunata casualità di incontrare un
conterraneo, un certo Antonio Sartori5.
Riconosciuti dal dialetto parlato, il Sartori consiglia il gruppo di vicentini,
tra cui c'é anche un certo Marco Dal Bianco di Marano Vic., di dichiararsi
triestini: "... i sovietici non vi considerano dei nemici, ma non si fidano. Per
loro i triestini sono slavi, un pò come loro... soprattutto non li considerano
fascisti come tutti gli italiani".
Con una "raccomandazione" del Sartori e la piccola bugia, vengono tutti arruolati, armati e vestiti con la divisa dell'Armata Rossa.
Romano
Dal Lago
fu Sante Amedeo e Campagnolo Rosa
Caporal maggiore del Genio, classe 1908.
Già "Reduce di Russia", Battaglione Misto di Collegamento,
11° Reggimento Genio, Divisione "Pasubio", 35° Corpo
d'Armata in Russia, ARMIR.
L'11 settembre 1943, sbandato, viene catturato dai tedeschi
a Udine. A Palmanova i Partigiani tentano di liberarli, ma
l'azione fallisce per la pronta reazione tedesca. Solo un suo
commilitone riesce a fuggire, un certo Dal Maso da Zanè.
A Villach, in Austria, in risposta alle richieste di aiuto, i tedeschi sparano al treno; solo sul vagone bestiame di Roma-
5
- ANTONIO SARTORI - nato a Vicenza il 19. 08. 1903, ma originario di Asiago. Meccanico e militante
comunista. Fuoriuscito in Francia nel '22, dove partecipa con incarichi importanti all'attività politica.
Espulso dalla Francia, dal Lussemburgo, dalla Germania e dalla Svizzera, raggiunge l'URSS nel '35.
Da Mosca raggiunge la Spagna nel '36 dove milita nel "Battaglione Garibaldi", lo stesso del nostro concittadino Francesco Campagnolo "Checonia". Partecipa a tutte le più importanti battaglie: dalla difesa
di Madrid, al fronte di Brunete, dove viene ferito, sino all'Ebro. E' nominato "sul campo" Capitano e
posto al comando del 3° Battaglione della Brigata "Garibaldi".
Esce dalla Spagna nel febbraio '39. Riesce ad evitare l'internamento in Francia ed a raggiungere Mosca.
Entra nell'Armata Rossa e partecipa alla difesa di Mosca nel 1941. Torna in Italia alla fine della Guerra,
dove continua un'intensa attività politica come Dirigente del Partito Comunista Italiano della Federazione di Vicenza. Deceduto a Vicenza il 12. 04. 1974.
201
no si contano 13 feriti.
A Varsavia, in Polonia, vengono fatti finalmente scendere,
ma i 13 feriti sono ormai morti dissanguati. La Croce Rossa
Internazionale, riesce a distribuire acqua e farina gialla che
allevia per un pò la fame e la sete patita da Udine.
Vengono fatti risalire sul treno e dopo giorni raggiungono
Bucarest, in Romania. Qui un farmacista o medico locale
riesce a passare a Romano un tubo di vitamine, riconosciute
come tali da un suo commilitone, studente in medicina, un
certo Bianco Donà da Pompei, Napoli.
Da Bucarest tornano verso la Polonia, dove vengono internati nel Stammlager I/F Sudauen ora Suwalki.
Romano, esperto di trebbiatrici, nel giugno del 1944 viene
trasferito nei pressi di Petrikov, in Bielorussia, per la mietitura del grano; i tedeschi, incalzati dall'Armata Rossa, tentano di rubare quello che possono e poi distruggono il resto.
Ammalatosi, viene ricoverato in un ospedale militare, dove
trova soldati italiani che non sapendo dell'armistizio, combattono ancora con i loro reparti a fianco dei tedeschi. Siamo nel luglio del 1944. Romano riesce ad informare un soldato trentino che passa la voce, ma quest’ultimo, scoperto
dai tedeschi, viene immediatamente fucilato.
Romano, viene trasferito vicino a Riga, in Lettonia e poi
Konigsberg, nella Prussia Orientale, ora Kalinigrad (Russia),
come aiuto collaudatore di locomotive.
Aiutato da due Partigiani Sovietici (Oskar Berenzon di 14
anni e suo nonno di 70), riesce a fuggire con molti altri prigionieri italiani, rumeni, francesi e polacchi. Durante la fuga
incontrano una squadra di soldatesse sovietiche di un reparto sciatori, che assieme ad altri Partigiani, li aiutano a raggiungere le prime linee russe.
Nelle retrovie Romano trova altri ex prigionieri italiani e
soprattutto un dirigente comunista vicentino, Antonio Sartori, che riesce ad arruolarli nell'Armata Rossa.
Assegnati ad un reparto assaltatori misto, sovietico ed internazionale, maschile e femminile, Romano è inquadrato in
un plotone comandato da una sottotenente russa.
In uno scontro con un reparto di SS tedesche, armate di
cannoncini anticarro, dieci suoi commilitoni vengono uccisi
e Romano viene gravemente ferito: una "giunonica" solda-
202
tessa sovietica lo prende sotto il braccio e come fosse un
sacco di patate lo porta al riparo.
Romano, ancora oggi ha nel suo corpo il ricordo di quell'avventura: schegge nel collo, nella mano e nella gamba.
Terminata la lunga convalescenza, Romano viene destinato
al Corpo Ausiliario, come caldaista, addetto alla "Peociara",
cioè l'impianto per la disinfestazione degli indumenti e per
le docce.
Finita la guerra, il suo reparto viene trasferito sul Lago Ladoga, vicino a Leningrado, ai confini con la Finlandia.
In attesa di rimpatrio, viene poi trasferito a Dubno, in Ukraina, vicino a Leopoli, dove dagli abitanti viene a sapere
che in quel luogo i tedeschi hanno trucidato migliaia di soldati italiani. Si saprà poi che molti di loro erano gli ufficiali e
i soldati della "Acqui", scampati agli eccidi di Corfù e Cefalonia.
Romano torna a casa il 20 gennaio 1946.
Vedi anche Albo "Resistenti 8 settembre" e "I.M.I."
Il quadro della partecipazione delle nostri soldati al movimento di liberazione dei popoli europei, è stato necessariamente succinto, ma è necessario
aggiungere che il riconoscimento dei paesi per i quali essi combatterono è
stato unanime.
Anche questa è stata la Resistenza.
203
204
Albo d'Onore
Carabinieri
(Decorati con “Croce al Merito di Guerra”
e del distintivo d’onore di “Volontari della Libertà”)
LA RESISTENZA DELLA "BENEMERITA"
I Carabinieri, dopo l'armistizio rimangono in servizio in tutt'Italia, in ottemperanza agli ordini ricevuti dal Governo Badoglio, ma soprattutto in base alle convenzioni internazionali, che ne riconoscono il diritto di svolgere la
loro tradizionale attività d'istituto anche sotto occupazione nemica.
L'Arma richiama dal congedo più uomini possibile e imposta da subito la
sua attività nel centro-nord Italia, su due fronti: quello ufficiale dei reparti
territoriali, i quali esplicano il loro servizio istituzionale, e quello clandestino,
sviluppato e sostenuto dal primo.
Tale linea operativa, con il suo reciproco integrarsi tra militari in servizio
con quelli in congedo, reparti territoriali con quelli speciali, dei comandi
centrali con quelli periferici e viceversa, si traduce in uno schieramento
compatto in difesa della popolazione e un dispositivo estremamente capillare ai fini della Resistenza ai nazifascisti.
In tale contesto le autorità germaniche attuano due ordini e due misure:
in un primo tempo, riconoscono all'Arma il diritto a svolgere la tradizionale
attività; successivamente, compiono un'azione sistematica tendente a sviluppare ogni sorta di incidenti atti a giustificare il piano di Hitler per la deportazione anche di tutti i Carabinieri in Germania.
Si delinea in questa fase un periodo delicatissimo per i comandi dell'Arma, i
quali, mentre svolgono il loro servizio in favore delle popolazioni, sono impegnati nell'organizzazione clandestina contro i nazifascisti.
205
E' proprio da tale atteggiamento dei Carabinieri che il comando germanico
trae spunto per accelerare il piano di Hitler; in data 8 dicembre 1943 viene
decretato un primo massiccio scioglimento di reparti dell'Arma ed il trasferimento di quegli uomini nel territorio del Reich.
La reazione degli ufficiali, sottufficiali e carabinieri è immediata e si conclude con il loro passaggio alla lotta clandestina, sulle montagne o nei centri
urbani, insieme ai volontari civili e militari.
Un'altra decisa "caccia al Carabiniere", avverrà nell'estate del '44, in contemporanea con l'inizio dei grandi rastrellamenti contro le unità partigiane.
La partecipazione dei Carabinieri al rinato Esercito Italiano, il C.I.L., è massiccia; oltre agli uomini delle Legioni e Stazioni territoriali che continuano
puntigliosamente il loro lavoro istituzionale, sia al nord che al sud, già nel 1°
Raggruppamento Motorizzato abbiamo contingenti dell'Arma in tutti i reparti indivisionati e non, oltre alla 39^ e 51^ Sezione Carabinieri, che hanno
un organico complessivo di 300 carabinieri.
Il 5 giugno 1944, alla testa della 5^Armata Americana, il "Contingente R"
dei Carabinieri entra nella Capitale; è già un reparto autotrasportato, perfettamente armato ed equipaggiato, forte di 2.300 uomini.
L'8 giugno il "Contingente R", si fonde con il "Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri". Vengono ricostituiti il Comando Generale dell'Arma, la 2^ Divisione "Podgora", la 4^ Brigata e la Legione di Roma.
L'Arma è presente in tutti i Gruppi di Combattimento: la 95^, 98^ e 316^
Sezione nel "Friuli", la 39^ e 51^ Sezione nel "Legnano", la 314^, 315^ e
317^ Sezione nella "Folgore", la 94^, 318^ e 739^ Sezione nel "Cremona".
A Spalato, la formazione partigiana, che assume il nome di "Battaglione Carabinieri Garibaldi", è la prima Unità organica italiana che entra in azione
contro i tedeschi fra tutte quelle che sono costituite in Balcania. Il battaglione si distingue subito nei combattimenti di Gatta, dove bloccando una colonna della divisione SS "Prinz Eugen", permette ad altri 4.000 italiani di
imbarcarsi per l'Italia. Il battaglione confluirà successivamente, con il battaglioni "Matteotti", "Mameli" e "Fratelli Bandiera", nella nuova Brigata "Italia", futura Divisione Partigiana "Italia".
A Cefalonia, con i reparti della Divisione "Acqui", sono schierati la 2^
Compagnia del 7° Battaglione Carabinieri Mobilitato, la 27^ Sezione Carabinieri Mista, e un Nucleo Carabinieri addetto al Comando della Divisione.
A Corfù combatte la 1^ Compagnia del 7° Battaglione.
A Creta e in altri luoghi della Grecia, i Carabinieri entrano nelle formazioni partigiane.
La Divisione Partigiana Italiana "Garibaldi", nasce nel Montenegro dalla
fusione delle Divisioni di Fanteria da Montagna "Venezia" e Alpina "Tau-
206
rinense". Nella nuova unità, insieme ai reparti di altre armi, sono organicamente presenti i Carabinieri delle Sezioni Mobilitate 258°, 280°, 411° e 412°,
già effettive alle citate Divisioni, nonché quelli della 2^ Compagnia del 24°
Battaglione Carabinieri Mobilitato e di reparti minori dell'11° Battaglione
Carabinieri. Molti altri ufficiali, sottufficiali e militari dell'Arma raggiungeranno la "Garibaldi", che annovera complessivamente ben 500 Carabinieri, i
cui superstiti, dopo la Liberazione saranno soltanto 94. Per l'azione dei Carabinieri svolta in Jugoslavia, la Bandiera dell'Arma è stata decorata di Medaglia d'Argento al Valor Militare, con la seguente motivazione:
"Degni eredi delle gloriose tradizioni dell'Arma dei Carabinieri, già duramente provati
prima e dopo l'armistizio, rifiutando reiterate offerte di resa, si univano ad altri reparti
dell'Esercito che avevano iniziato l'impari lotta contro i tedeschi.
Partecipavano con essi ininterrottamente a lungo e sanguinoso ciclo operativo in terra
straniera, fra inenarrabili stenti e privazioni, sempre primi là dove il rischio era maggiore.
Decimati negli effettivi, ma centuplicati nello spirito, resistevano fino al compimento della
leggendaria impresa, unicamente sostenuti dall'inestinguibile fede nei destini della Patria,
ad onore e vanto dell'Arma Fedelissima" Jugoslavia, settembre 1943 – marzo 1945.”
Durante tutta la Resistenza e la Guerra di Liberazione, i Carabinieri riaffermarono ogni giorno il loro radicato senso dello Stato, il profondo spirito
di abnegazione, la loro illimitata dedizione al dovere, fornendo un altissimo,
generoso contributo di sangue:
Carabinieri
- caduti 2.735,
- feriti 6.521.
Ad ufficiali, sottufficiali, appuntati e carabinieri sono state conferite:
- 2 Croci di Cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia
- 32 Medaglie d'Oro al Valor Militare
- 122 Medaglie d'Argento al Valor Militare
- 208 Medaglie di Bronzo al Valor Militare
- 354 Croci di Guerra al Valor Militare
Per quanto riguarda ancora la partecipazione alla Guerra di Liberazione
dell'Arma dei Carabinieri, non possiamo non ricordare il suo simbolo più
luminoso, il Brigadiere Salvo d'Acquisto, fucilato dai tedeschi perché offertosi per la salvezza di altri innocenti.
Egualmente da ricordare è il contributo dato dalla Guardia di Finanza, i cui
uomini poterono servirsi della loro presenza nelle più varie Istituzioni della
207
Repubblica di Salò, per aiutare, in ogni modo, il movimento clandestino, fino a che non poterono intervenire direttamente, nei giorni della Liberazione.
Egualmente da ricordare è il valido tributo di sacrificio che venne fornito
da molte Guardie di Pubblica Sicurezza, malgrado che il loro incarico li esponesse pericolosamente alla sorveglianza fascista.
Anche questa è stata la Resistenza.
Regia Guardia di Finanza,
Legione Territoriale "Due Piavi" di Venezia.
Restano in servizio anche dopo l'8 settembre 1943.
Cesare
Campagnolo
Decimo
Romolo
Campagnolo
"Camparo"
fu Antonio e Marchiorato Anna
Finanziere, classe 1901.
fu Valentino e Carlesso Angela
Finanziere, classe 1921.
Alla fine di luglio del 1944, i tedeschi scatenano la seconda grande retata di
Carabinieri e Finanzieri. Cesare riesce a fuggire e a darsi alla macchia; Decimo, viceversa, viene catturato il 1 agosto e deportato in Germania. Tornerà
a casa solo il 16 settembre 1945. Vedi anche Albo "Lavoratori coatti"
Carabinieri Reali, Legione Territoriale di Trieste.
Umberto
Dal Zotto
208
fu Giuseppe e Dall'Osto Angela
Carabiniere, classe 1906.
Già del 12° Battaglione CC.RR. – 1^ Compagnia, a Susack ,
nei pressi di Fiume.
Resta in servizio anche dopo l'8 settembre '43, presso il
Comando della Legione di Trieste, spostatasi a Padova su
ordine tedesco dopo la creazione dell'Adriatisches Küsterland (ex territori italiani delle province di Udine, Gorizia,
Trieste, Pola, Fiume e Lubiana, annessi dal 1 ottobre '43 al
Terzo Reich). Arrestato il 5 agosto 1944, viene deportato in
Germania come lavoratore coatto.
Umberto torna a casa il 28 maggio 1945.
E' congedato definitivamente dall'Arma l' 11 agosto 1945.
Vedi anche Albo "Lavoratori coatti".
Gaetano
Gnata
fu Bortolo e Marzari Maria
Carabiniere, classe 1917, anni 27.
Resta in servizio anche dopo l'8 settembre 1943, presso la
Stazione CC. RR. di Domenica D'Albona, presso Pola, in
Istria. Risulta disperso dal 7 luglio 1944, dopo l'attacco
dell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo alla sua caserma. Vedi anche Albo "Caduti".
Isidoro
Angelo
Peruzzo
fu Massimiliano e Gabrieletto Caterina
Carabiniere, classe 1910.
L'8 settembre 1943, i Carabinieri di Fiume si rifiutano di
collaborare con tedeschi e fascisti nella cattura dei militari
italiani sbandati:"... abbiamo giurato fedeltà al Re, non possiamo arrestare e consegnare a voi i suoi soldati!".
Isidoro è catturato il 10 settembre '43 e internato in Germania. Torna a casa nel settembre 1945.
Nel dopo-guerra entra nella Polizia Municipale di Monfalcone (Go).
Vedi anche Albo "Resistenti 8 settembre" e "I.M.I."
Carabinieri Reali, Legione Territoriale di Roma
Ottavio
Danazzo
e
Vincenzo
Undecimo
Danazzo,
fu Vincenzo e Garzaro Maria
Carabinieri, classe 1905 e classe 1911.
Restano in servizio anche dopo l'8 settembre 1943, ma già
nel dicembre sono costretti ad abbandonare Roma per
sfuggire alla cattura da parte dei tedeschi.
Grazie alla struttura clandestina dell'Arma, entrano nella
lotta partigiana.
Nell'aprile 1945, risultano aggregati come "Patrioti" alla
Brigata "Loris", Divisione "Monte Ortigara", Gruppo Divisioni "Mazzini". Vedi Anche Albo "Patrioti".
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Gio Batta
Pesavento
fu Giovanni e Simonato Angela
Carabiniere, classe 1903.
Già della Legione Territoriale di Gondar, in Etiopia. Resta
in servizio anche dopo la fine della resistenza italiana nel
Corno d'Africa (27 novembre '41) e la successiva occupazione inglese. Nel settembre 1943 rientra in Italia al seguito
delle truppe Alleate, aderendo al Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.). Tra i componenti del "Contingente R" dei
Carabinieri che il 5 giugno 1944 entra a Roma liberata. L'8
giugno '44, viene assegnato alla Legione Territoriale CC.RR.
di Roma, Compagnia Comando. E' congedato il 27 maggio
'45, e torna a casa il 12 giugno 1945. Vedi anche Albo
"C.I.L." e "CLN" e "1^ Giunta Municipale".
Carabinieri Reali, Legione Territoriale di Palermo
Corrado
Ferrara
e
Giuseppe
Moro
Maresciallo dei Carabinieri
fu Giuseppe e Maculan Luigia
Carabiniere, classe 1921.
Restano in servizio, presso la Stazione di Palermo, anche
dopo l'arrivo degli Alleati nel luglio 1943. Corrado, originario della Sicilia, ma nostro concittadino, torna a casa in licenza già nel maggio 1945 e, probabilmente, perché inserito
in un Gruppo di Combattimento. Nel dopoguerra continuerà la sua carriera nell'Arma.
Carabinieri Reali, Legione Territoriale di Verona
Antonio
Campagnolo
"Camparo"
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fu Valentino e Carlesso Angela
Carabiniere, classe 1911.
Già della Legione Territoriale CC.RR. di Verona nel 1939.
Reduce di Russia con la 356^ Sezione Carabinieri - 3^ Divisione "Celere" dal 1941 al 1943.
Dal maggio 1943 è assegnato alla Stazione CC.RR. di Malo,
dove resta in servizio anche dopo l'8 settembre '43.
Fatto prigioniero dai tedeschi il 5 agosto 1944, viene de-
portato in Germania come lavoratore coatto.
Antonio torna a casa il 27 agosto 1945.
E' definitivamente congedato il 23 settembre 1945.
Vedi anche Albo "Lavoratori coatti".
Antonio
Carolo
fu Pasquale Luigi e Caretta Maria Luigia
Carabiniere, classe 1902.
Già della Legione Territoriale CC.RR. di Verona - Stazione
di Schio.
Già richiamato in servizio dal 2 agosto '40 alla primavera
'43, è richiamato ulteriormente il 2 novembre 1943.
Abbandona la Stazione, o è congedato, l'8 luglio '44, probabilmente per sottrarlo alla cattura, ordinata proprio in quel
periodo dai tedeschi.
Pasqualino
Bortolo
Carolo
fu Giuseppe e Garzaro Maria
Carabiniere, classe 1921.
Già fante del 23° Settore G.a.F. sino a fine 1942, successivamente, entra nell'Arma, Legione Territoriale CC.RR. di
Verona. Resta in servizio anche dopo l'8 settembre '43.
Arrestato il 5 agosto 1944, viene "deportato" in Germania
come lavoratore coatto, presso il Lager XVII/A di Kaisersteinbroch, vicino Vienna, in Austria; lo stesso lager dove
già da un anno sono internati i suoi concittadini ed I.M.I.,
Filippetto Giuseppe, Persico Giuseppe, Nemo Alfredo, Peruzzo Guerrino, Todeschini Gio. Batta e Peruzzo Massimiliano che in quel luogo troverà la morte il giorno della Liberazione del campo.
Pasqualino torna a casa il 14 settembre 1945.
Torna subito in servizio presso la Legione Territoriale CC.
RR. di Milano, da dove viene definitivamente congedato il 9
novembre 1945.
Vedi anche Albo "Lavoratori coatti".
Sante
Antonio
Gallio
fu Antonio e Grazian Maria
Carabiniere, classe 1895.
Richiamato in servizio il 12 novembre 1943, prima presso la
Legione Territoriale CC. RR. di Verona - Stazione di Avio
(Tn), poi presso il Comando del Gruppo Autonomo Carabinieri di Trento. Collocato in congedo il 12 luglio 1944,
211
probabilmente per sottrarlo alla cattura, ordinata proprio in
quel periodo dai tedeschi.
Giuseppe
Gasparini
fu Paolo e Dall'Osto Teresa
Carabiniere, classe 1897.
Richiamato in servizio l' 8 novembre 1943, presso la Legione Territoriale CC. RR. di Verona.
Collocato in congedo il 26 aprile 1944, probabilmente, sia
per motivi d'età, sia per sottrarlo alla cattura da parte tedesca.
Desiderio
Guglielmi
fu Giuseppe e Pasqualotto Lucia
Carabiniere, classe 1902.
Già della Legione Territoriale CC.RR. di Verona, è richiamato in servizio il 30 ottobre 1943 e assegnato alla Stazione
di San Ambrogio Valpolicella (Vr).
Arrestato il 10 agosto 1944, viene deportato a Trento, come lavoratore coatto.
Riesce a fuggire ed è a casa già nel novembre 1944.
Giuseppe
Giovanni
Lavarda
fu Girolamo e Saccardo Anna
Carabiniere, classe 1906.
Già della Legione Territoriale CC.RR. di Verona.
Resta in servizio anche dopo l'8 settembre 1943.
Arrestato il 5 agosto 1944, viene deportato in Germania
come lavoratore coatto.
Vedi anche Albo "Lavoratori coatti".
Giuseppe
Meneghin
fu Pacifico e Garzaro Seconda
Carabiniere, classe 1910.
Già della Legione Territoriale CC.RR. di Verona.
Resta in servizio anche dopo l'8 settembre '43.
Abbandona il reparto nell'estate del '44, probabilmente per
sottrarsi alla cattura, ordinata proprio in quel periodo dai
tedeschi. Immediatamente dopo la Liberazione è in servizio presso la Stazione CC. RR. di Enego.
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Giovanni
Pigato
fu Angelo e Comparin Maria
Carabiniere, classe 1902.
Già della Legione Territoriale CC.RR. di Verona, è richiamato il 30 ottobre 1943.
Abbandona il Reparto nel luglio 1944, probabilmente per
sottrarsi alla cattura, ordinata proprio in quel periodo dai
tedeschi.
Emilio
Girolamo
Redentore
Velgi
fu Miro e Farina Isetta
Carabiniere, classe 1922.
Già della Legione Territoriale CC.RR. di Verona dal 1 marzo 1942. Resta in servizio anche dopo l'8 settembre '43.
Abbandona il reparto il 28 agosto 1944, probabilmente per
sottrarsi alla cattura, ordinata proprio in quel periodo dai
tedeschi.
Tornato a casa, entra nella Resistenza armata, come Partigiano Combattente della Brigata "Loris", Divisione Alpina
"M. Ortigara", Gruppo divisioni "Mazzini".
Nel dopoguerra, Emilio è richiamato in servizio nei Carabinieri l'8 giugno 1945 e destinato al Gruppo di Vicenza, alla
Stazione di Schio e alla Stazione di Valli del Pasubio. Viene
congedato il 1 gennaio 1946. Termina la sua carriera come
Comandante della Polizia Municipale di Lonigo.
Vedi anche Albo "Partigiani".
Antonio
Vendramin
fu Francesco e Pauletto Lucia
Carabiniere, classe 1897.
Già Carabiniere della Legione Territoriale CC. RR. di Verona. Richiamato in servizio l'8 novembre 1943, presso la Stazione di Ostiglia (Mn).
Collocato in congedo il 26 aprile 1944, probabilmente, sia
per motivi d'età, sia per sottrarlo alla cattura da parte tedesca.
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Albo d'Onore
Partigiani
(Decorati con “Croce al Merito di Guerra”
e del distintivo d’onore di “Volontari della Libertà”)
LA RESISTENZA ARMATA.
La Resistenza armata contro i fascisti e i tedeschi è cominciata l'8 settembre
1943. La Resistenza si animava mano a mano che i giovani anziché obbedire
ai nazi-fascisti, insieme ai nostri militari che non erano stati catturati, prendevano la strada della montagna, oppure in pianura, intorno ai nostri paesi,
creavano ostacoli ed impedimenti al nemico; per esempio facevano saltare i
binari dei treni, o le stesse locomotive, per impedire il trasferimento in
Germania dei nostri soldati o la deportazione di antifascisti ed ebrei.
"L'avvio, anche nel Vicentino, della Lotta di Liberazione era, e non poteva
non essere, un problema di scelte e queste scelte dovevano maturare nelle
coscienze prima di potersi tradurre in atti e comportamenti. In concreto, i
motivi furono molteplici, ma possono essere ricondotti a tre categorie:
- c'è chi sceglie la Resistenza per un senso di amor patrio e di fedeltà al giuramento prestato, in obbedienza al quale era obbligo morale seguire le
decisioni di un governo legittimo, e questa fu per larga parte la motivazione di fondo che spinse alla macchia molti ufficiali e creò così un elemento di polarizzazione intorno al quale e attraverso il quale dar vita alla
Resistenza armata.
- Giocava poi un fattore più propriamente politico, per il quale la scelta
della Resistenza era una scelta dettata da profondi convincimenti ideologici, in nome dei quali lo scontro in atto tra fascismo ed antifascismo era
uno scontro di civiltà, una guerra di religione, per il quale era doveroso
scegliere, pagandone tutte le conseguenze fino alle estreme; un fronte ri-
215
spetto all'altro, secondo un modulo che affondava le sue radici in una resistenza antifascista che, nei modi e nelle forme possibili, si era già dispiegata durante il ventennio.
- Infine, ebbe un ruolo da non sottovalutare la scelta di quanti videro nella
Resistenza l'opportunità offerta dalla storia per trasformare gli assetti sociali del paese, procedendo da una rivoluzione puramente politica ad una
rivoluzione che si presumeva, o si auspicava, assumesse anche e soprattutto una spiccata connotazione di classe. Questa fu la scelta di molti
«senza-storia», cioè di masse cospicue di operai e di contadini poveri che
giocarono la loro scelta sul banco di una rivolta non solo contro il fascismo, ma anche contro le ingiustizie a loro danno perpetrate non solo nell'ultimo ventennio". (Ernesto Brunetta)
Il Veneto, dall'8 settembre del 1943, all'aprile del 1945, per la sua collocazione di regione di confine, fu oggetto della più stretta sorveglianza tedesca.
Essa, fino al Friuli, era attraversata da numerose vie di comunicazione con
la Germania e l'Austria, le quali, oltre ad assicurare il necessario traffico dei
rifornimenti, dovevano essere mantenute sgombre nel caso di una ritirata
delle unità germaniche, schierate lungo la penisola.
"... Fu questo flusso di movimenti, a carattere eminentemente logistico, a
rappresentare l'obiettivo più ambito della guerriglia partigiana veneta. Mentre gli itinerari lungo la regione del Friuli erano da tempo sotto la minaccia
delle formazioni slovene del maresciallo Tito, quelli del Veneto diventarono
l'obiettivo delle unità partigiane italiane delle province di Trento, Vicenza e
Belluno. Di conseguenza, la sorveglianza di tutti quegli itinerari diventò la
maggiore precauzione per le unità tedesche delle retrovie.
Per lo stesso motivo, anche gli Alleati dettero un'importanza particolare alla
regione, nel contrastare i movimenti del nemico. Numerose furono le "missioni inglesi" di collegamento con le formazioni partigiane nelle aree degli
altopiani veneti e delle Prealpi Carniche.
Ad esse venivano soprattutto richiesto informazioni sul risultato dei bombardamenti aerei e sugli allestimenti difensivi lungo la fascia pedemontana,
atti di sabotaggio ai ponti, viadotti ferroviari e stradali, in quanto possibili
linee di ulteriore resistenza tedesca." (Gen. Ilio Muraca)
Infatti le operazioni di guerriglia e gli atti di sabotaggio vennero condotti,
sin quasi alla fine, con crescente perizia e ardimento, da parte di unità di
guastatori, evitando per quanto possibile lo scontro diretto con gli occupanti, perché ciò avrebbe provocato, in caso di perdite tedesche, eccidi e deportazioni, ancor più gravi che in altre regioni italiane; l'importanza strategica
del Nord Est imponeva ai tedeschi di tenere libere, a qualunque prezzo,
quelle vie di rifornimento e fuga. Viceversa, nella sua ultima fase, dal mo-
216
mento dell'insurrezione generale del 25 aprile 1945, le operazioni di guerriglia si dovettero trasformare, obbligatoriamente e su precisi ordini Alleati,
in vere e proprie azioni militari di rallentamento ed arresto del nemico in ritirata, e i più duri combattimenti si svolsero proprio in pianura e nella pedemontana veneta.
Altro che il profano e semplicistico "Al nemico in fuga ponti d'oro"!
Nel Veneto era necessario impedire ai nazifascisti di attestarsi a difesa sulle
linee predisposte, scompaginare i reparti in ritirata, terrorizzare e fiaccare il
morale di ogni singolo soldato tedesco, impedire che la guerra continuasse
ancora sulla linea delle prealpi.
Il Generale americano Mark Clark, infatti, il 28 marzo, tramite la Missione
"Freccia" ordina "...ai Patrioti d'Italia occupata... oculare la ritirata tedesca,
uccidete i tedeschi, impedire distruzioni nemiche..." e, "attaccare tutti gli obiettivi militari, vie di comunicazione e gruppi isolati di tedeschi in ritirata",
era stato già l'ordine del Generale Alexander.
"Nel complesso, la Resistenza nel Veneto si distinse per alcune altre peculiarità, come, ad esempio, l'ostilità generazionale contro i tedeschi, sopravvissuta al ricordo della prima guerra mondiale, quando molte delle sue province, dopo Caporetto, erano state da essi e dai loro alleati austriaci invase
ed occupate". E non va dimenticato nemmeno "...il ruolo esercitato dalla
Chiesa del Veneto, la quale, se da un lato, attraverso l'opera di alcuni Vescovi, esercitò una prudente opera di mediazione e di tolleranza fra i contendenti, dall'altro, condusse opera di sostegno al movimento partigiano per
merito di molti parroci, alcuni dei quali furono incarcerati, torturati e fucilati". (Gen. Ilio Muraca)
E infine, parlare della Lotta di Liberazione nell'Italia del Nord-Est significa
necessariamente richiamarsi anche alla Missione Militare Italiana M.R.S., che
fu lo strumento essenziale di collegamento fra il Comando Alleato e i Comandi Militari Partigiani, Comitati di Liberazione e unità combattenti, contribuendo all'organizzazione resistenziale delle nascenti formazioni partigiane in tutta la nostra regione.
Che Hitler avesse desiderio di rivincita sul Triveneto lo dimostrò il fatto
che, dopo l'armistizio, il Friuli Venezia Giulia (province di Udine, Gorizia,
Trieste, Pola, Fiume e Lubiana) venne separato dal resto del Paese, e trasformato nell' "Adriatisches Küsterland".
Una seconda mutilazione la regione veneta la subì con il passaggio delle
province di Trento, Bolzano e Belluno, alla cosiddetta "Alpenvorland".
In pratica, sia "Alpenvorland", che "Adriatisches Küsterland", finirono per
non appartenere più all'Italia e difficilmente ad essa sarebbero tornate, se la
Germania avesse vinto la Guerra.
217
MISSIONE MILITARE ITALIANA M.R.S.
La Missione Militare Italiana M.R.S. (Marini Rocco Service. "PEARL", poi "BAFi nomi in codice inglesi), era agli ordini del Comando Alleato, tramite la N°
1 Special Force, branca del SOE (Special Operations Executive - l'organizzazione
britannica creata al fine di promuovere e sostenere la Resistenza Europea), e in collaborazione con l'ISLD (Inter-Services Liaison Department, il nome di copertura
sotto cui agiva il Servizio Informazioni Britannico, SIS o M16).
La M.R.S. era una missione clandestina, che aveva come scopo quello di tenere i
contatti con gli Alleati, servendosi di radio-messaggi per informarli della situazione
nella zona operativa dell'Italia nord-orientale, e per concordare i lanci paracadutati
di uomini, vestiario, materiali per sabotaggio, armi, munizioni e denaro per la Resistenza.
Il primo nucleo, operativo in pianura dal 21 ottobre 1943 (il primo contatto radio avvenne da Cittadella), era composto inizialmente da tre agenti italiani, tutti reduci di guerra e volontari: Renato Marini "Pinocchio", Tenente in S.P.E. dell'Aeronautica Militare e originario di Padova, e da due fratelli, originari di Belvedere di
Tezze (Vi), Angelo Rocco "Carmelo", 2° Capo RT/Maresciallo Marconista dei
sommergibili atlantici, ed Elio Rocco "Puntino", Sottotenente del Genio Alpini,
appena reduce dalla ritirata di Russia.
Erano sbarcati nella notte fra il 6 ed il 7 ottobre, da un MAS della nostra Marina,
sulla costa a circa 10 miglia a Sud di San Benedetto del Tronto e avevano raggiunto
Cittadella il 20 ottobre.
Verso la fine di novembre '43. la M.R.S. è già in contatto con il Comitato di Liberazione Nazionale Regionale del Veneto (C.L.N.R.V.) e con il Comando Militare
Regionale Veneto (C.M.R.V.). A dicembre a Marini venne data la direttiva di concentrarsi nell'organizzare bande di sabotatori, secondo le richieste del Comando
Alleato, e di preparare campi di lancio (Dropping Zones o Grounds, DZs) per i rifornimenti.
"Sebbene la pianificazione per un'operazione di rifornimento cominciasse prima
della fine dell'anno (ed un tentativo privo di successo fu fatto in gennaio), a causa
delle cattive condizioni meteorologiche e della carenza di aerei, non fu possibile effettuarlo fino alla notte fra il 19 e il 20 marzo 1944, quando la missione ricevette il
primo lancio, in Val Galmarara, sull'Altopiano di Asiago. Fu seguito, quattro notti
dopo, da un'altro. In aprile altri quattro lanci furono ricevuti da altri DZs sulle
montagne." (Elio Rocco)
La Missione, spostò svariate volte la propria "base" e, in alcuni brevi periodi dell'agosto-ottobre 1944 e gennaio-febbraio 1945, operò anche nella nostra zona: a
Sarcedo in casa di Lino Saugo e poi soprattutto presso la famiglia di Bepi Gallio,
verso la collina, a Molvena in una casa proprietà delle zie di Giacomo Chilesotti e a
Mason, a Montecchio Precalcino in Casa Sabin e a S. Rocco, in Casa Buttiron.
La M.R.S., aumentò via via il numero dei suoi membri, e riuscendo a non farsi individuare fino alla Liberazione, anche se a pena di perdite e sacrifici individuali non
indifferenti. Un contatto radio mantenuto, con poche interruzioni, fino alla fine
FLE",
218
della guerra in Italia, un record non eguagliato da alcuna altra missione simile. Alla
M.R.S., è riconosciuto da un conteggio ufficiale italiano, l'invio di non meno di 797
messaggi (più del doppio di qualsiasi altra) e la ricezione di 409. Una Missione che
ha, oltre ai grossi successi ottenuti, meritato l'apprezzamento della Special Force
inglese e importanti riconoscimenti ufficiali al Valor Militare per i suoi membri e
più stretti collaboratori:
- 6 Medaglie d'Oro al Valor militare alla Memoria (Giuliano Benassi, Giovanni
Carli, Giacomo Chilesotti, Luigi Morandi, Giacomo Prandina, Primo Visentin);
- 9 Medaglie d'Argento al Valor militare a viventi (Giuseppe Armano, Vasco Baggio, Orlando Bettarel – due volte, Renato Marini, Angelo e Elio Rocco, Gavino
Sabadin e Gino Sartor).
Inoltre, la M.R.S., ebbe l'importante compito di ricevere missioni alleate paracadutate. Il 14 agosto arrivò a Malga Paù (Altopiano di Asiago, sopra il Costo) il primo
gruppo, così composto:
- Maggiore J. P. Wilkinson (Freccia), che da il nome alla missione;
- Capitano C.M. Woods (Colombo);
- Marconista A. Douglas (Archie);
- Maggiore A. Ferrazza e il Marconista B. Arquatelli, destinati alla zona di Bolzano.
La Missione di Collegamento Inglese "Freccia", rappresentava il Comitato Militare
Alleato e coordinò assieme al Comando Militare Veneto e Vicentino, le azioni delle
formazioni partigiane della nostra montagna e pedemontana.
Quegli ufficiali inglesi, nel loro rapporto finale di missione, riconosceranno tra
l'altro "... gli eccellenti risultati raggiunti dalle bande di sabotatori nell'intera pianura" quale "... prova dello splendido lavoro effettuato dalla Missione italiana
M.R.S.." Un lavoro ancora più splendido, se la "... Missione avesse ricevuto una
meno scarsa razione di lanci."
A leggere ogni radiogramma ricetrasmesso dalla Missione M.R.S. è come leggere
"la sintesi delle attività di gruppi di uomini che lottano, soffrono, muoiono per
conseguire un "risultato parziale" (la preparazione di un campo di lancio per i rifornimenti aerei, la comunicazione da o per il comando alleato, un combattimento,
etc.), che si innesta e connette con un'infinità di altri episodi parziali, che convergono e si concludono nel risultato finale: la Liberazione." (Elio Rocco)
Documenti storici eccezionali, che dimostrano la grande capacità di reazione dei
patrioti veneti e vicentini ai grandi rastrellamenti che dovettero subire nell'estateautunno 1944; in tutta la pianura continuarono le azioni di sabotaggio predisposte
e i rifornimenti alleati sui campi di lancio. Anzi, per dimostrare che la loro vitalità
non era diminuita, le azioni in pianura, sempre concordate fra le varie unità, aumentarono di numero, intensificandosi in tutta la Regione e colpendo gli obiettivi
più importanti per ostacolare il movimento del nemico.
Alla fine del capitolo sono riportati i dati di due dei campi di lancio usati dai Partigiani locali ed alcuni dei messaggi ricevuti e trasmessi dalla Missione M.R.S., che riguardano la nostra zona e le nostre formazioni partigiane.
219
"Infatti, nella prima, venne vietato anche il semplice accesso ai reparti della
Repubblica di Salò, nella seconda quelle unità vennero ammesse, ma in funzione anti-slava ed anti-partigiana. Esse furono presto abbandonate al loro
destino di truppe di una frontiera instabile, contesa da italiani, sloveni e tedeschi. Molti di quegli uomini, finirono per sacrificarsi, nel tentativo di difendere l'italianità di quelle terre dalle mire annessionistiche del maresciallo
Tito." (Gen. Ilio Muraca)
Quale terra di frontiera, il Triveneto sperimentò situazioni diverse del resto d'Italia, anche per la vicinanza delle formazioni partigiane slovene. Questa realtà portò, inevitabilmente allo scontro di interessi sul futuro assetto
territoriale di quelle terre.
"La strage delle malghe di Porzus, vicino ad Osoppo, in cui alcuni partigiani delle formazioni "garibaldine" filoslovene, trucidarono alcuni partigiani
della "Osopo", di nobili sentimenti italiani, fu una delle conseguenze di questa accesa diatriba territoriale.
Inoltre, a fine guerra, l'occupazione temporanea della città di Trieste, da
parte dei "titini", favorì l'infame ripetersi del fenomeno delle foibe carsiche,
dove molti italiani, presunti collaboratori dei tedeschi, e persino partigiani e
antifascisti, vennero precipitati, anche come ritorsione dell'occupazione italiana della Jugoslavia, dal 1941 al 1943, che aveva dato luogo ad episodi egualmente abominevoli.
Va anche detto che i tedeschi, a Trieste, nella Risiera di San Saba, organizzarono l'unico lager di sterminio esistente in Italia, per la eliminazione fisica,
anche con la gasificazione, di ebrei e di oppositori politici.
Un altro provvedimento, altrettanto crudele a danno della popolazione
della regione, fu l'immissione forzata, operata dai tedeschi, in terra friulana e
veneta (ad esempio a Marano Vicentino), di interi reparti di cosacchi, con le
famiglie al seguito, per impiegarli nella lotta antipartigiana. A quei crudeli
cavalieri della steppa russa era stato addirittura promesso di stabilirsi definitivamente in queste regioni, a guerra finita. Come era da aspettarsi, nei giorni della Liberazione, queste unità, durante la ritirata verso l'Austria, si diedero al saccheggio di paesi ed all'eccidio di civili innocenti. Di queste tristi vicende gli abitanti del luogo conservano, ancor oggi, un ricordo agghiacciante". (Gen. Ilio Muraca)
Sullo scorcio del 1943, nel Veneto i nuclei partigiani che si muovono nelle
zone montane, o i nuclei di cospiratori che cercano di organizzare la lotta in
città o in campagna, o i gruppi di sabotatori che lavorano alacremente all'interno delle ferrovie, dei porti e delle fabbriche, cominciano a far sentire la
loro presenza. Ma, è nella primavera 1944 che il movimento partigiano inizia a farsi pericoloso per i nazifascisti:
220
- attorno al Grappa si dislocano i primi nuclei della futura Brigata "Italia
Libera" e della futura Brigata "Matteotti";
- nell'AltoVicentino sono già attivi sopra Recoaro i primi nuclei della futura Brigata (poi Divisione) "Garemi", che estenderà la sua azione da una
parte alle valli dell'Agno e del Leogra e allo sperone occidentale dell'Altipiano d'Asiago, dall'altra ai monti Lessini, alle valli di Posina e Laghi, al
Trentino;
- ancora sull'Altopiano di Asiago sono già attivi gruppi che daranno vita al
Battaglione (poi Brigata) "Sette Comuni", in collegamento nella nostra
pedemontana col Battaglione (poi Brigata)"Mazzini";
- nelle vallate del Chiampo, di Illasi, dell'Alpone è attiva la Brigata "Pasubio";
- notevole importanza assumerà nel Medio e Basso Vicentino l'organizzazione dei "settori" che confluiranno nel Battaglione "Guastatori" (poi
Divisione "Vicenza").
L'esplosione del movimento partigiano avviene però nell'estate del 1944,
anche perché lo spostamento del fronte fa pensare ad un veloce arrivo degli
Alleati e quindi alla liberazione imminente. In estate, infatti, le formazioni si
arricchiscono di nuove reclute, assorbendo, oltretutto, molti renitenti alle
leve repubblichine che fino a quel momento erano in molti casi rimasti nascosti.
BANDI DI LEVA E DI RICHIAMO ALLE ARMI DELLA R.S.I
- 9 novembre 1943: ordine di chiamata alla leva delle classi 1923, 1924,1925, più tutti i richiamati che devono presentarsi ai distretti tra il 15 e il 30 novembre;
- 4 febbraio 1944: nuovo ordine di chiamata alle armi delle classi 1922, 1923 e primo quadrimestre del 1924;
- 18 febbraio 1944: "Bando Graziani" che, per la prima volta, stabilisce misure draconiane per i renitenti alla leva, ovvero la pena capitale.
- marzo 1944: ordine di richiamo alla leva relativo ai sottufficiali delle classi 191819-20-21 (6 aprile), sottufficiali e truppa delle classi 1916-17 (12 aprile),
sottufficiali e truppa della classe 1914-15 (29 aprile), truppa della classe
1918-19 (1 maggio).
- 25 maggio 1944: termine ultimo per obbedire ai bandi.
- 8 giugno 1944: ordine di richiamo alla leva relativo ai sottufficiali e truppa delle
classi 1920-21; la chiamata alla leva del primo semestre 1926.
221
La forza del movimento partigiano in questo periodo è testimoniata dal
crearsi di vere e proprie zone franche entro le quali i Partigiani si muovono
a loro piacimento: la Val di Posina e Laghi, il Bosco Nero in Altopiano di
Asiago, il massiccio del Grappa, così da costringere tedeschi e fascisti a trattenersi all'interno dei centri principali e a viaggiare sempre con convogli
scortati.
"Lo sviluppo impetuoso del movimento partigiano, l'attacco degli Alleati
e del Corpo Italiano di Liberazione, alla Linea Gotica, la promessa dell'arrivo nel Veneto delle Armate anglo-americane per la fine di settembre, inducono il Comando Militare Regionale ad elaborare un piano per la liberazione
del Veneto, esemplare sotto il profilo tecnico-militare e della decisa volontà
insurrezionale.
Sciaguratamente, il destino della lotta partigiana, venne determinato dall'attestarsi del fronte sulla "Linea Gotica" e quindi dalla convinzione del comando tedesco che, per tenere questa linea, fosse necessario ripulire le retrovie onde garantirsi sia eventuali altre linee di resistenza, sia le vie di transito verso la Germania per i rifornimenti e in caso di ritirata. Ciò indusse il
nemico all'idea di una serie di "rastrellamenti" che eliminassero o almeno isolassero le formazioni partigiane.
Ebbe così origine il settembre nero della Resistenza veneta, colpita, dopo
alcune puntate d'assaggio, come in Val Posina (11-15 agosto) e in pianura
(es. l'11 agosto a Montecchio Precalcino), da una serie di rastrellamenti che
in rapida successione si abbatterono nel vicentino:
- sulle valli dell’Agno, del Chiampo, dell'Alpone, di Illasi (9 settembre – fine di ottobre) con la distruzione della Divisione Pasubio – operazione
Timpano;
- a Granezza, sull'Altopiano di Asiago (6-7 settembre);
- sul massiccio del Grappa (19-30 settembre).
Rastrellamenti, che misero a dura prova e, in qualche caso, scompaginando
le formazioni di montagna. Se a queste, aggiungiamo le operazioni di rastrellamento che si svolsero in pianura, soprattutto in ottobre e in novembre,
non si può non rilevare che esse misero in forse l'esistenza stessa del movimento partigiano.
Se, dunque, l'esito della battaglia fu infausto, lo sdegno suscitato dalla ferocia dell'oppressore e la pietà per le vittime, si tramutarono più tardi in un
nuovo allineamento per la prosecuzione della lotta fino alla vittoria".
(Ernesto Brunetta)
Non bisogna inoltre dimenticare che alle Fonti Centrali di Recoaro, nel settembre 1944, il generale Kesselring aveva posto il Comando Supremo delle
truppe tedesche e del Fronte Sud-Ovest Europeo.
222
RASTRELLATORI DEL GRAPPA ANCHE DA MONTECCHIO PRECALCINO
Al rastrellamento del Grappa partecipano reparti di 4 divisioni tedesche (2 di Alpenjager, una di SS e una della Wehrmacht) e truppe ukraine di rincalzo: 15.000 nazifascisti perfettamente armati ed equipaggiati.
Questi reparti combattenti, per la logistica, le riserve, le trasmissioni, la sanità e per
garantire l'accerchiamento del Massiccio del Grappa, possono contare su un gigantesco dispositivo di almeno altri 40-50.000 uomini: oltre ad altri specifici reparti delle 4
divisioni tedesche, 2 brigate nere (la 22^ "Faggion" di Vicenza e la "Cavallin" di
Treviso)e 2 battaglioni della divisione alpina fascista "Monterosa".
Le forze partigiane sono organizzate nella Brigata "Matteotti", nella Brigata "Italia
Libera", nel Battaglione "Anita Garibaldi", della Brigata Garibaldina "Antonio
Gramsci", nel Battaglione "Silvio Pellico", della Brigata "Mazzini": circa 1.100 uomini, di cui solo 6-700 combattenti armati e 4-500 uomini senza armi, né vestiario da
montagna.
Risultato dell'operazione: 300 Partigiani uccisi in combattimento; 171 impiccati o
fucilati, 400 deportati in Germania, 3.212 prigionieri tra i civili, 285 case incendiate.
Comandava le operazioni il colonnello delle SS Zimmermann, e tra le formazioni
fasciste si distinse per ferocia la brigata nera "Faggion", comandata dal federale di
Vicenza, Innocenzo Passuello, da Conco, che "...ebbe le precipue mansioni di affiancare le formazioni germaniche, bloccare le varie località, fermare e concentrare
tutta la popolazione maschile valida, e consegnarla ai tedeschi..."
(Sentenza Corte d'Assise di Vicenza 12/45 – 11/45 del 31 Luglio 1945)
Dal rapporto del colonnello Alos Menschik, comandante del settore sud del Grappa durante il rastrellamento: "Se tutto il fascismo italiano fosse come la XXII Brigata
Nera, la Germania potrebbe essere sicura della più efficace collaborazione della Repubblica Sociale Italiana."
Al rastrellamento del Grappa, con la 22^ Brigata Nera "Faggion", partecipano almeno 13 nostri concittadini:
- il tenente colonnello Iacopo Ugo Basso, Capo di Stato Maggiore della Brigata Nera;
- il comandante della "Squadra d'Azione" di Montecchio Pr. Ludovico Dal Balcon,
detto "il gobbo", reggente del fascio repubblicano e comandante del presidio repubblichino alla "Polveriera" di Ca Orecchiona;
- e almeno altri 11 brigatisti montecchiensi.
All'inizio della Liberazione di Montecchio Precalcino, quando vengono disarmati
dai Partigiani, almeno cinque di questi repubblichini, sono ancora in possesso dei
mitra Sten che al loro ritorno dal Grappa, avevano orgogliosamente brandito come
prede di guerra: questi mitra, di fabbricazione inglese, erano stati lanciati dagli Alleati ai Partigiani e razziati dai nazi-fascisti nel rastrellamento.
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I RASTRELLAMENTI A MONTECCHIO PRECALCINO
E LE RIPERCUSSIONI SUL MOVIMENTO PARTIGIANO LOCALE
Con il mancato rispetto dei Bandi di Leva emanati dalla Repubblica di Salò e con
la crescita dell'organizzazione clandestina resistenziale, anche a Montecchio Precalcino viene scatenata dai nazifascisti una martellante caccia all'uomo. L'arma maggiormente utilizzata è quella della spiata; un'arte utilizzata non certo con parsimonia dai fascisti repubblichini locali, che malgrado la mancata collaborazione della
stragrande maggioranza della popolazione, porta a catture, anche rilevanti:
- nell'aprile 1944, viene catturato Francesco Campagnolo "Checonia", fuoriuscito
politico, garibaldino di Spagna e confinato, certamente l'esponente politico – militare più importante attorno al quale si sta sviluppando la prima cellula resistenziale
di Levà e Preara; sarà deportato in Austria, nel KZ di Mauthausen.
- il 5 maggio, a Levà, vengono catturati da militi della G.N.R., accompagnati da fascisti della locale Squadra d'Azione, due operai della Todt, Antonio Frigo e Valentino Savio; il bando per la classe del '26 non è ancora scaduto, sembra proprio un
razzia di giovani schiavi, senza obblighi militari, forse anche una vendetta. Viene
inoltre fermato Secondo Lorenzi, un renitente della classe '25, catturato dopo la
scadenza del Bando Graziani. Tutti e tre sono deportati in Germania e costretti al
lavoro coatto.
- il 7 agosto 1944, viene fermato lo studente universitario Vinicio Cortese, il Partigiano Nereo, futuro Comandante del Battaglione "Livio Campagnolo"; malgrado
fosse renitente dopo la scadenza del Bando Graziani, riesce a cavarsela accettando
l'arruolamento volontario in un reparto repubblichino.
in agosto, viene catturato Gaetano Garzaro, che, sbandato e renitente, è deportato
in Germania.
- il 1 settembre 1944, viene catturato grazie alla delazione di una spia locale, Luigi
"Gino Baci" Gabrieletto, che sbandato e renitente è deportato in Baviera, nel tristemente famoso Lager di Dachau.
QUATTRO
I RASTRELLAMENTI PIÙ SIGNIFICATIVI
5 gennaio 1944.
Vengono catturati dalla Guardia Nazionale Repubblicana, durante un rastrellamento a Montecchio Precalcino, otto ragazzi renitenti delle classi '24
e '25: ...«omissis»..., Nicola Gasparini, Savino Giaretta, Vasco Grendene,
Gaetano Marangoni, Natale Martini, Francesco Rodella e Pietro Zanin.
Vengono portati al Distretto Militare di Contrà Lioy a Vicenza per essere
arruolati. Ma, alla notte scappano. Ricercati, vengono costretti a costituirsi
con l'arresto dei genitori e obbligati ad aderire alle FF.AA. della Repubblica
di Salò.
20 aprile 1944.
224
Il reggente del fascio repubblicano Ludovico Dal Balcon, organizza per il
20 aprile una conferenza di propaganda presso la Casa del Fascio a Preara
(ex cinema). Alla manifestazione sono invitati per lettera tutti i capi-famiglia
e ovviamente tutti i ragazzi chiamati o richiamati alle armi, ma al momento
di cominciare, si trovano presenti solo 8 – 9 persone. Allora viene ordinato
ad alcuni militi della Compagnia della Morte di Vicenza, chiamati per dare
manforte ai fascisti locali, di rastrellare renitenti e semplici cittadini. La giornata si concluderà con l'assassinio di Livio Campagnolo.
Dopo la cattura del garibaldino di Spagna Francesco Campagnolo "Checonia", l'omicidio di Livio Campagnolo, è un secondo pesantissimo colpo per
la Resistenza locale; lo studente universitario era tra i più attivi cospiratori e
soprattutto aveva un altissimo ascendente su i suoi coetanei.
11 agosto 1944.
Dalle prime luci dell'alba, inizia su tutto il territorio di Montecchio, un
grosso rastrellamento. Sono impiegati come guide alcuni fascisti locali e un
notevole numero di militi appartenenti a vari reparti nazifascisti: un reparto
di "alpini neri" del 26° Reparto Misto delle FF.AA. Repubblicane, provenienti dalla Caserma "Durando" di Vicenza, ed uno della Guardia Nazionale
Repubblicana, comandato dal maggiore Mantegazzi.
Il rastrellamento, malgrado fosse stato preavvisato da una "soffiata", cosa
che permette alla gran parte dei ragazzi di mettersi in salvo, sembra però
ben mirato. Vengono infatti catturati nei loro nascondigli sei Patrioti (Giuseppe Limosani, Bruno e Giuseppe Saccardo, Giuseppe "Pino" Balasso",
Pellegrino La Notte e Francesco Checheto Maccà) e per puro caso altri tre renitenti (Antonio Zolin, Sergio Zanuso e ...«omissis»..., costretti ad arruolarsi
nel 26° Reparto Misto, da cui i primi due disertano poco dopo).
Il relativo successo del rastrellamento, ha però un seguito nefasto per il
movimento clandestino locale: i nazi-fascisti, inizialmente beffati, si vendicano su i genitori dei ragazzi che sono sfuggiti alla cattura, arrestando padri,
madri, zii, ecc. A Giuseppe Gnata, Vittorio Buttiron, Sereno Cozza, Mariano Saccardo, Giuseppe Grotto, Giovanni Caretta, Michelangelo Giaretta,
Rino Dall'Osto, Alessandro Dal Santo, e Domenico Marchiorato, non resta
che consegnarsi.
Risultato dell'operazione: venti ragazzi catturati, di cui sei deportati in
Germania (Bruno e Giuseppe Saccardo, Michelangelo Giaretta, Rino Dall'Osto, Alessandro Dal Santo e Domenico Marchiorato) e per la Resistenza
locale, soprattutto a Preara e Montecchio, una ulteriore e grave battuta d'arresto, dalla quale non riuscirà più a riprendersi compiutamente.
225
25 gennaio 1945.
A Montecchio c'è un nuovo rastrellamento, a compierlo questa volta è un
reparto di "alpini neri" del 26° Reparto Misto repubblichino, partito dalla
Caserma "Durando" di Vicenza al comando del tenente colonnello Pasinati
Basilio, e da truppe tedesche accasermate a Montecchio (Villa Cita e a Casa
Tretti a S. Rocco).
Giuseppe Grotto, Sergio Zanuso e Mariano Saccardo vengono nuovamente catturati e imprigionati nell'Osteria di Maccà (in piazza), in compagnia
con altri tre renitenti e Silvio Papini, che però riesce a fuggire dalla porticina
del mulino, ma riconosciuto da una spia, rischia che gli brucino per ritorsione la casa (in Via Stivanelle, ora di Gianpietro Papini).
Trasferiti a Vicenza, Giuseppe Grotto, febbricitante e fortunatamente non
riconosciuto come recidivo, viene ricoverato all'infermeria del Carcere di
San Biagio; gli altri cinque, portati alla Caserma "Durando", vengono costretti ad arruolarsi nel 26° Reparto Misto, ma due dei nuovi "alpini neri",
Mariano Saccardo e Sergio Zanuso, successivamente disertano.
L'autunno 1944 lasciò comunque una scia di lutti e di rovine nella maggior
parte della regione e il movimento partigiano veneto uscì molto scosso dagli
avvenimenti nei quali si era trovato coinvolto.
Se a ciò aggiungiamo la fine della speranza della liberazione imminente e
l'inclemenza della stagione, che rese inagibili quelle zone di montagna presso
le quali il movimento aveva avuto le sue basi, si ha il quadro di una situazione drammatica dalla quale sembrò impossibile uscire.
Ma malgrado la situazione, malgrado l'ordine impartito dagli Alleati del
"rompete le righe", non solo un nucleo duro resistette comunque sulle montagne, ma si venne anche elaborando la tattica che consentì la sopravvivenza
del movimento partigiano.
"Il 13 novembre 1944 venne trasmesso alla radio, dal generale inglese Alexander, il famoso messaggio rivolto ai partigiani. Doveva servire a dare istruzioni per l'inverno, ma uno sprovveduto aiutante lo ha confezionato in
termini troppo perentori. Ai patrioti è stato detto di cessare l'attività: l'aviazione anglo-americana potrà volare poco con il cattivo tempo e i rifornimenti avverranno con il contagocce. Sarà, dunque, importante conservare le
armi, le munizioni, il materiale per la ripresa dell'offensiva in primavera. Al
di là dei peccati di stile, il dispaccio è stato diramato per radio. Lo conoscono, quindi, anche i tedeschi e potranno regolarsi sulla dislocazione dei reparti." (Alfio Caruso)
226
Questo era anche un aiuto insperato per la propaganda fascista che nei suoi
numerosi bandi inneggianti alla pacificazione tra le opposte fazioni in lotta,
invitava coloro che militavano nelle formazioni partigiane a presentarsi e a
consegnarsi alle Forze Armate della Repubblica di Salò, promettendo l'immunità per il bene della Patria, anzi facendo balenare agli occhi degli sbandati la prospettiva di ricchi premi.
Gli uomini della Resistenza sapevano bene cosa avrebbe significato un altro inverno in montagna, al freddo, con difficoltà di rifornimenti e collegamenti.
Gli indirizzi impartiti (nel nostro caso dal Comando Militare Provinciale di
Vicenza) erano che la Resistenza doveva continuare, soprattutto per i nuclei
più esperti e organizzati della guerriglia; si sarebbe solo alleggerito l'organico
e, a tale scopo, vennero suggerite alcune direttive da mettere in atto:
- permettere ai patrioti meno compromessi di avvicinarsi alla propria famiglia restando armati e a disposizione;
- scavare nascondigli nelle vicinanze delle case isolate per permettere una
sufficiente sicurezza dei patrioti e non coinvolgere le popolazioni in feroci rappresaglie e saccheggi;
- autorizzare dei patrioti ad inserirsi nei cantieri della TODT (l'organizzazione tedesca per i lavori militari) con il compito di regolarizzarsi e nel contempo poter rilevare linee di fortificazione ed eventualmente partecipare
ad azioni di sabotaggio.
Ciò consentì alle formazioni partigiane di superare le difficoltà e di giungere alla primavera con un'intelaiatura scarna, ma efficiente, attorno alla quale
organizzare le forze che via via affluirono nella primavera del 1945, sia perché la stagione era ridiventata clemente, sia perché risultò palese che quella
sarebbe stata la stagione decisiva, la stagione della Liberazione.
"La popolazione, quando non divenne militante, costituì in molti casi
quel tessuto vivo di connivenza, di conforto morale, di adesione spirituale e
di ausilio materiale, che consentì alle formazioni partigiane di pianura e
montagna di combattere la loro lotta, avendo la sicurezza morale del consenso." (Marco Passarin)
La Resistenza veneta giunse così all'insurrezione generale del 25 aprile, la
cui opportunità è ormai indiscutibilmente fuori da ogni possibile dubbio:
- necessaria per motivi di carattere militare, avendo i tedeschi apprestato
una serie di linee difensive lungo i fiumi che tagliano orizzontalmente la
regione e massicce fortificazioni sulla pedemontana. Nessuno poteva
pensare ad un così rapido tracollo dell'armata tedesca e quindi che essa
non avrebbe avuto l'opportunità di servirsene;
227
- utile per motivi di carattere politico, essendo di preminente "interesse
nazionale" che gli Alleati avanzanti trovassero le città già liberate da un
popolo che così dimostrava di essersi conquistato la libertà e di non averla ottenuta in graziosa e benevola concessione;
- indispensabile per motivi economici, perché la tempestività dell'insurrezione salvò dalle preventivate distruzioni nemiche il patrimonio industriale, (si pensi soltanto alle centrali idroelettriche allora unica fonte di energia della regione, le strutture portuali e cantieristiche, i macchinari industriali), sicchè la ricostruzione poté essere avviata quasi immediatamente.
Alle giornate insurrezionali parteciparono nel Veneto, tra Partigiani inquadrati nelle brigate e volontari insorti, 69.497 uomini e donne. Di questi,
1.430 caddero e 1.830 furono feriti. Le perdite inflitte al nemico furono di
12.000 tra morti e feriti, più di 100.000 prigionieri.
Nel quadro generale dell'insurrezione si può rilevare che i più cruenti
combattimenti si svolsero proprio in pianura, tra l'Adige, i primi contrafforti
pedemontani e il basso corso del Piave. Qui si svolse la battaglia decisiva di
rallentamento e di arresto, che impedì ai nazifascisti di attestarsi a difesa
sulle linee predisposte, scompaginò i reparti in ritirata, persino le unità combattenti che avevano tenuto il fronte e avevano ancora notevole potenziale
bellico; ostacolò la marcia verso i passi alpini e, con la cattura di decine di
migliaia di prigionieri, accelerò la dissoluzione dell'esercito nazista.
Da sottolineare che nel Veneto, oltre a quelle già presenti nel territorio, arrivarono molte bande repubblichine tra le più feroci (SS italiane, brigate nere, X Mas, Legione "E. Muti", Guardia Nazionale Repubblicana, ecc..), intenzionate a seguire i nazisti sino alla fine.
In questo quadro assumono valore emblematico le insurrezioni popolari
che condussero alla liberazione dai fascisti e dai tedeschi dei capoluoghi del
Veneto, Padova e Vicenza per prime, insorte il 27 aprile.
Infine, le ultime colonne, attaccate ai fianchi dai Partigiani e martellate dall'aviazione alleata, furono costrette alla resa sui passi prealpini dalle divisioni
partigiane di montagna.
Anche le popolazioni pagarono a caro prezzo la Liberazione; a centinaia si
contano le vittime della barbarie nazifascista, che sfogò vigliaccamente su
vecchi, donne e bambini la rabbia della sconfitta.
Nell'aprile 1945 a pochi giorni dalla fine della guerra, agivano nel territorio
vicentino tre Divisioni partigiane, organizzate ed efficienti: l'Ortigara, la Vicenza e la Garemi. Queste formazioni, forti di 12.645 fra Partigiani e Patrioti, erano divise in brigate a ciascuna delle quali era assegnato un territorio
normalmente ben definito.
228
A Montecchio Precalcino operavano due reparti: un distaccamento del Battaglione "Livio Campagnolo" della Brigata "Mameli", 1^ Divisione Garibaldina d'Assalto "Garemi e un distaccamento della Brigata "Loris", Divisione
Alpina Autonoma "M. Ortigara".
Tutti attivi reparti S.A.P. (Squadre di Azione Patriottica), ormai esperti informatori e sabotatori, le cui azioni creeranno seri problemi di sicurezza alle
vie di comunicazione, alle linee ferroviarie, telegrafiche ed elettriche; punti
sicuri di riferimento per problemi logistici, di vettovagliamento e di armamento per i grossi reparti della montagna; importante anello nell'attività di
assistenza alle famiglie ebree e ai soldati alleati.
Quando il 25 aprile 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia,
attraverso le trasmissioni di Radio Milano Libera, diede il segnale dell'insurrezione generale, anche la Resistenza vicentina era pronta all'azione.
Drammatiche le giornate successive, con scontri e caduti in tutta la provincia. La città di Vicenza, tutti i centri maggiori della provincia, ma anche
Montecchio Precalcino e tutti i paesi a noi vicini, furono liberati e protetti
dagli uomini della Resistenza.
A Montecchio Precalcino, tra il 25 e il 30, si disarmano i fascisti locali, si
opera contro reparti di una divisione di paracadutisti tedeschi in ritirata (notevole il quantitativo di armi e di materiale catturati, tra cui un cannone contraereo da 88 mm, una mitragliera contraerea da 20 mm e 10 automezzi furono resi inservibili), si catturano molti tedeschi, e con una azione tempestiva, viene occupata la polveriera di Cà Orecchiona - Moraro, pochi minuti
prima che la facessero saltare. Tutto il territorio comunale è liberato domenica 29 aprile, al primo mattino, dall'attacco congiunto dei distaccamenti locali delle brigate, "Loris" e "Mameli", le prime truppe americane arrivano
solo nella tarda mattinata. In Municipio è costituito il "Comando Piazza"(di
comune accordo fu scelto per un primo periodo il Comandante Vinicio
Cortese del Battaglione "Livio Campagnolo" e per un secondo Angelo Maccà della "Loris") che deve assicurare, come ordinato dagli Alleati e dal
C.L.N. di Vicenza, la difesa dei centri abitati dalle scorrerie predatorie dei
nazifascisti in fuga, coordinare il disarmo e l'arresto di tutti i repubblichini e
tedeschi sbandati e assicurare il mantenimento dell'ordine pubblico.
229
Tre patrioti del Btg. "Livio Campagnolo"
lungo il "Corso" di Thiene i giorni successivi alla Liberazione. Da sinistra: il Partigiano Gio Batta "Titela" Baccarin (classe
1922); il Partigiano Palmiro Gonzato (classe 1926) e il Patriota Giuseppe Gonzato
(classe 1920).
Sono istituiti "posti di blocco" verso Passo di Riva, Stazione FS – Novoledo e Polveriera - Moraro seguendo le informazioni portate dalle staffette sui
movimenti dei gruppi nazifascisti in fuga.
Fu in quei primissimi frangenti che in Via Astichello cadde eroicamente il
Comandante Giuseppe Lonitti, della "Loris", e che sulla strada per Zugliano, Partigiani della "Livio Campagnolo" di Levà, appoggiati da una pattuglia
americana, liberano quattro ostaggi (un Bortoli e Francesco Baccarin da Levà, il padre di Stefano Brusamarello ed un altro da Dueville) e catturano tre
dei rapitori tedeschi. Gli stessi uomini partecipano subito dopo anche all'ultimo scontro, avvenuto contro un nutrito gruppo di soldati tedeschi, ben
armati ed asserragliatisi nella fattoria di Antonio Chemello (classe 1911), in
Località Maldi a Sarcedo e dove alla fine vengono catturati altri 44 tedeschi.
Il giorno della Liberazione, oltre alla morte del Comandante Lonitti, un altro lutto colpisce la nostra piccola comunità; la morte, assurda ed ingiusta, di
Irma Gabrieletto, di anni 19, uccisa per errore da fuoco amico, come si direbbe oggi; uccisa per una terribile fatalità da un patriota a Levà bassa, all'altezza del Mulino Cortese e Via Bassana, mentre la formazione partigiana si
sta preparando a raggiungere il Municipio di Montecchio.
230
Thiene, maggio 1945 - "Festa della Liberazione" per la
classe 1926.
Da sinistra: Valentino Savio
(Deportato come lavoratore
coatto), Palmiro Gonzato
(Partigiano), Lorenzo Bortoli,
Gino
Bettanin
(Patriota),Valentino Pesavento (Patriota), Francesco Caretta,
Angelo Gonzato, Paolo Fina
(Patriota), Ferdinando Bassan (Patriota), Aldo Scandola,
Antonio Frigo (Lavoratore
coatto), Bruno Dal Carobbo,
Carlo Vantiero e Marotto ?
(fisarmonicista).
Il 27 giugno fu eletta la Giunta Municipale provvisoria, alla cui testa viene
nominato Sindaco provvisorio Francesco Balasso. All'ex Commissario Prefettizio, è dato il compito di passare le consegne dalla vecchia alla nuova
Amministrazione Comunale. Due mesi dopo, correttamente si dimette e
viene sostituito prima da Vittorio Giaretta e dal 15 gennaio '46 da Carlo
Saccardo. Il 30 marzo 1946 si svolgono, dopo ventisei anni, le prime Elezioni Amministrative democratiche, dove per la prima volta le donne hanno
diritto di voto.
In tutt'Italia furono 44.720 i Partigiani caduti, 21.168 i Partigiani rimasti
mutilati e invalidi, 9.980 i civili uccisi dai nazifascisti per rappresaglia.
Montecchio Precalcino ha pagato il suo tributo di sangue anche con quattro Caduti Partigiani: Campagnolo Livio di anni 22, Dall'Osto Antonio di
anni 23, Giuseppe Lonitti di anni 25 e Giuseppe Saccardo di anni 19.
Anche questa è stata la Resistenza.
231
BRIGATA "GOFFREDO MAMELI"
1^ DIVISIONE GARIBALDINA D'ASSALTO "ATEO GAREMI"
"Juna" Maria Luisa Urbani,
Vice Commissario Politico
della Brigata "Mameli"e il marito
"Riccardo" Dott. Roberto
Vedovello,
Comandante
della Brigata "Mameli", Divisione "Ateo Garemi"
Comandante: "Riccardo" Dott. Roberto Vedovello;
Vice-Comandante: "Villa"Luminia Vincenzo, poi Giovanni Carollo;
Commissario Politico: "Carlo" Alberto Sartori, poi "Lama" Mario Prandin;
Vice-Commissario Politico: "Juna", Maria Luisa Urbani.
La brigata "Mameli" era conosciuta come la "brigata sparsa", per la sua capillare presenza in un territorio assai vasto che andava dalla fascia pedemontana e collinare, da Mason a Chiuppano, attraverso Calvene, Lugo, Fara,
Sarcedo, Breganze, Zugliano, fino all'aperta pianura, da Thiene a Dueville,
comprendendo Marano, Villaverla, Montecchio Precalcino, Povolaro e Caldogno, con il torrente Astico a fare quasi da filo conduttore e unificante.
La Brigata "Mameli" si è costituita unificando il Battaglione "Urbani" 6 già
appartenente alla "Pasubiana"ed altri piccoli gruppi sparsi nella zona.
Il bunker del Comando si trovava in località Rosa, nel comune di Lugo,
presso la famiglia Gnatta Esterina. Un secondo bunker Comando si trovava
alla Cà Vecchia, sempre sulle Bragonze, ma in comune di Carrè.
Questa formazione, fin dall'inizio, si dimostrò particolarmente vivace negli
atti di sabotaggio. Una particolare ed importante attività svolse l'ufficio
6
- Francesco Urbani, caduto in combattimento in Val Vaccara, sotto Marola di Chiuppano,
nell'agosto '44.
232
stampa: infatti fin dal gennaio 1945, usciva il primo numero del giornale
"Fratelli d'Italia"7.
La Brigata era costituita dal Battaglione Comando, dal Battaglione "Urbani"
(Comandante Giovanni Ravagno), dal Battaglione "Martiri di Carrè" ex "Oberdan" (Comandante Fulvio Severini), dal Battaglione "Marchioretto"(Comandante "Fulmine", Rino Rossi) e dal Battaglione "Campagnolo"
(Comandante "Nereo", Vinicio Cortese).
Giovanni
Carollo
fu Giovanni e Cappozzo Orsola
Partigiano, classe 1923.
Vice-Comandante Brigata "Mameli"
Già della 121^ Sezione Carabinieri Reali , dopo l'8 settembre '43, sbandato, riesce a tornare a casa ed entra nella Resistenza Armata. Il 3 marzo 1944 è costretto a presentarsi alla
chiamata alle armi della Repubblica di Salò e destinato a Firenze. Verso la fine di maggio diserta, torna a casa ed entra
con il fratello Domenico nella Brigata "Mazzini". Ai primi
di settembre partecipa alla battaglia di Granezza e successivamente entra nella Brigata "Mameli”. Nel febbraio 1945,
sostituisce "Villa" Vincenzo Luminia, nell'incarico di Vice
Comandante di Brigata. Dopo la Liberazione entra nel Battaglione Mobile dei Carabinieri, Compagnia Motociclisti,
Legione Territoriale CC.RR. di Padova.
Domenico
Carollo
fu Giovanni e Cappozzo Orsola
Partigiano, classe 1924.
Già Alpino dell'11° Reggimento, dopo l'8 settembre, sbandato, riesce a tornare a casa ed entra nella Resistenza. Dal 1
giugno 1944, entra con il fratello Giovanni nella Brigata
"Mazzini". Ai primi di settembre partecipa alla "Battaglia di
Granezza" e successivamente entra nella Brigata "Mameli”,
Battaglione Comando. (Lib. Pers. n° 045432 - Cert. Alexander n° 282413).
E' congedato il 30 aprile 1945.
7
- Il ciclostile per stampare il giornale della Brigata lo portò in bicicletta, da Thiene sino in
Cà Vecchia, la staffetta partigiana Flavia Domitilla Urbani, sorella di "Juna", futura moglie
di "Riccardo", il Comandante della "Mameli".
233
BATTAGLIONE "LIVIO CAMPAGNOLO",
BRIGATA "GOFFREDO MAMELI"
1^ DIVISIONE GARIBALDINA D'ASSALTO "ATEO GAREMI"
Comandante: "Nereo" Dott. Vinicio Cortese;
Vice-Comandante: "Sassari", Gaetano Pianezzola;
Commissario Politico: "Ettore", Dott. Arrigo Martini.
Subito dopo l'8 settembre 1943, il garibaldino di Spagna Francesco Campagnolo "Checonia" inizia a raccogliere attorno a se i primi patrioti di Levà e
Preara. Quella prima cellula resistenziale entra nella Brigata "Mazzini", ma
con l'assassinio di Livio Campagnolo, la cattura di "Checonia" e il pesante rastrellamento di Montecchio, tutto l'organizzazione viene messa a soqquadro.
Solo il gruppo di Levà resta unito e nell'agosto 1944, grazie ad un incontro
con il gruppo di Thiene della "Mazzini", comandato da "Walter", alias Mario
Saugo, si mettono le basi per costituire una S.A.P., una Squadra d'Azione
Patriottica, veramente operativa ed efficiente nei sabotaggi e nella raccolta di
informazioni.
Dopo il rastrellamento di Granezza la Brigata "Mazzini" è scompaginata,
ma l'attività riprende subito con decisione. I reparti si ricostituiscono, anzi
l'8 dicembre 1944 la Brigata "Mazzini" si moltiplica per due: la Brigata "Loris" in pianura, la Brigata "Martiri di Granezza" nella pedemontana. La
S.A.P. di Levà, costituitasi a novembre, entra nella Brigata "Martiri di Granezza", ma il 30 dicembre, durante un'azione di sabotaggio verso Rozzampia, il gruppo partigiano di Thiene viene intercettato e attaccato da elementi
delle brigate nere. Nella sparatoria Giuseppe Brusaterra, rimane colpito a
morte, mentre i suoi due compagni riescono a disimpegnarsi.
Da quel momento i contatti tra i gruppi di Thiene e di Levà si interrompono.
La S.A.P. di Levà decide così di aderire alla neo costituita Brigata Garibaldina "Mameli" e, con l'unificazione di almeno tre gruppi isolati (le S.A.P.di
Caldogno, Dueville e Villaverla-Novoledo), nasce nel gennaio 1945 il Battaglione "Livio Campagnolo"; senza ombra di dubbio, in questa zona è la
formazione partigiana più operativa ed efficace anche militarmente, e di cui
si tratta in modo approfondito in C'eravamo anche noi, di Gonzato e Sbabo.
Il Battaglione, al momento della Liberazione è forte di 120 tra Partigiani e
Patrioti ed è diviso a sua volta in quattro Distaccamenti: Dueville (30 uomi-
234
ni); Levà (30 uomini); Caldogno (20 uomini); Villaverla e Novoledo (20 uomini); sparsi (20 uomini).
Un ruolo importante nella costituzione del Battaglione, lo ebbe "Gino",
Luigi Cerchio, torinese, tipografo e comunista tutto d'un pezzo, già Vice
Comandante del famoso Battaglione Guastatori di Vicenza e del Comando
Militare di Vicenza. Gli ottimi e stretti rapporti con il Comandante della
"Mameli", con "Nereo" ed "Ettore" del Battaglione "Campagnolo" e soprattutto con l'attivissimo gruppo di Dueville (Gaetano Pianezzola "Sassari", i
fratelli Guido "Bonomo", i fratelli Andrighetto "Lope, Campagnolo, Berton,
...), nasce o si rafforza, nel periodo della permanenza di Cerchio, come sfollato , presso la cascina della famiglia Moro, nei pressi della Stazione F.S. di
Villaverla – Montecchio. Viceversa, proprio perché Gino Cerchio era così
inserito in questo territorio, che i suoi rapporti con Italo Mantiero "Albio",
Comandante della "Loris", si possono definire eufemisticamente esplosivi;
una contrapposizione politica durissima, soprattutto nel dopo guerra. Anticomunista sfegatato l'uno, comunista ortodosso l'altro; una strategia militare
opposta, "attendista" l'uno, "gappista" l'altro.
In proseguo, sarà interessante approfondire questo scontro interno alla Resistenza vicentina, soprattutto per comprendere appieno le ripercussioni che
tutto ciò ha causato sia durante la guerra, che dopo, come la disparità di
trattamento negli aviolanci alleati, la controversa Liberazione di Dueville, il
difficile inserimento lavorativo dei "garibaldini", ecc...
Vinicio
Benvenuto
Cortese
fu Benvenuto e Battistella Anna
Partigiano "Nereo", classe 1923.
Il comandante del Battaglione "Livio Campagnolo"
Studente universitario, figlio di Benvenuto Cortese "Valmari", ultimo Sindaco di Montecchio Precalcino (1920/25). Il
7 agosto 1944, è costretto ad arruolarsi per la Repubblica di
Salò (Bersagliere del 28° Comando Misto Provinciale – Feldpost 859), ma resta in contatto con la Resistenza e il 7
gennaio 1945 decide di disertare. Nel novembre 1944 partecipa alla riunione costitutiva della S.A.P. di Levà, presso il
"boschetto delle cassie", vicino alla Stazione F.S. Già in relazione diretta con la neo costituita Brigata Garibaldina
"Mameli", è uno dei promotori dell'unificazione delle SAP
di Levà, Dueville, Novoledo-Villaverla e Caldogno, nel Battaglione "Livio Campagnolo".
Vedi anche Albo "C.L.N."
235
Arrigo
Umberto
Martini
"Petenea"
fu Giovanni e Rigon Maria
Partigiano "Ettore", classe 1923.
Commissario Politico del Battaglione "Livio Campagnolo"
Studente universitario, è tra i primi organizzatori della
S.A.P. Levà e quando saranno assorbiti nel Battaglione "Livio Campagnolo", ne diverrà il Commissario Politico.
Partecipa con "Nereo", "Riccardo" e "Lama" (per la "Garemi – Mameli"), "Nettuno" e "Albio" (per la "Ortigara –
Loris") e Gino Cerchio (per il Comando Militare Provinciale), al famoso convegno per discutere la difficile questione
delle rispettive competenze territoriali, tenutasi ai primi di
marzo 1945, nei pressi della Stazione Ferroviaria di Villaverla – Montecchio.
Gio.Batta
Baccarin
fu Gio.Batta e Frigo Teresa
Partigiano "Titela", classe
1922.
Comandante del Distaccamento. di Levà.
Esonerato dal servizio militare perché "capo famiglia",
è tra i primi organizzatori,
nel novembre 1944, della
S.A.P. Levà, Brigata "Martiri
di Granezza"; nell'inverno
1944/45, confluisce nel Battaglione "Livio Campagnolo", Brigata "Mameli", Divisione Garibaldina "Garemi".
Partigiano di grande ardimento, partecipa a gran parte delle
azioni del suo reparto, dimostrando sul campo determinazione e capacità di comando.
Dopo la liberazione entra nel servizio ausiliario (Polizia Partigiana) a fianco dei Carabinieri di Dueville sino al 31 maggio e nella Polizia di Stato fino al 22 ottobre 1945.
236
Palmiro
Domenico
Gonzato
fu Girolamo e Rigon Bellinda
Partigiano, classe 1926.
Commissario Politico del Distaccamento di Levà.
Tra i primi organizzatori della
lotta armata a Levà, aderisce subito alla prima cellula resistenziale che si stava costituendo intorno alla figura del garibaldino di
Spagna Francesco Campagnolo
"Checonia", milita nella Brigata
"Mazzini" e, dopo Granezza,
nella Brigata "Martiri di Granezza"; nell'inverno 1944-45 confluisce nel Brigata "Mameli",
Divisione "Garemi". Svolge un'intensa attività partigiana
organizzando e partecipando a numerose azioni, ultime delle quali riguardano la cattura di 8 fascisti, 61 soldati tedeschi
e la liberazione di quattro ostaggi; azioni che lo propongono per la Medaglia di Bronzo al Valor Militare.
Dopo la Liberazione entra nel servizio ausiliario (Polizia
Partigiana) a fianco dei Carabinieri di Dueville, sino al 31
maggio 1945.
Nel dopoguerra, emigra a Torino e frequenta per due anni
(1948-50) la Scuola "Convitti della Rinascita", riservata a
partigiani e reduci. Si diploma "disegnatore meccanico", diventa capotecnico e responsabile sindacale all'AnsaldoBarbero.
Dirigente politico del P.C.I. negli anni del terrorismo, è il
responsabile dell'Ufficio Sicurezza e Vigilanza della Federazione di Torino, un organismo che deve garantire la sicurezza delle sedi di partito e sindacali, l'incolumità dei più
autorevoli dirigenti nazionali ed esteri (Longo, Berlinguer,
Natta, Occhetto, D’Alema, Veltroni, Fassino, lo spagnolo
Carillo, il francese Marchais,..) e degli avvocati impegnati
nei processi alle Brigate Rosse, ed altro ancora.
E' consigliere di Circoscrizione a Torino per due legislature.
Da pensionato, continua con energia a portare avanti i suoi
ideali di una vita come dirigente dei D.S. e dell'ANPI di Torino; infaticabile nel suo impegno di salvaguardia della memoria della Resistenza, è tra gli animatori e fondatori della
237
Sezione Partigiani e Volontari della Libertà "Livio Campagnolo" di Montecchio Precalcino, inossidabile militante in
tutti i grandi eventi resistenziali della sua terra natale e d'adozione
Assieme all'amico Lino Sbabo e ad altri "resistenti" ha
scritto e pubblicato "C'eravamo anche noi", un'importante libro di memorie sulla Resistenza a Montecchio Precalcino.
Giuseppe
Anzolin
238
fu Giuseppe e Pauletto Paola
Partigiano "Frate", classe 1921.
Invalido di Guerra, Medaglia d'Argento al Valor Militare
"sul campo" (Bragkova - Montenegro, 5 gennaio1944)
Partigiano, Fante e Garibaldino del Montenegro.
Dopo l'8 settembre 1943, con 83° Reggimento Fanteria,
Divisione "Venezia", si oppongono ai tedeschi, il 10 ottobre
'43 entrano a far parte del II° Korpus dell'EPLJ (Esercito
Popolare di Liberazione della Jugoslavia) e a metà novembre costituiscono la Divisione Italiana Partigiana "Garibaldi". Il 5 gennaio '44, a Bragkova, dopo un'epica battaglia, è
decorato "sul campo" con la Medaglia di Bronzo al V. M.,
poi elevata nel dopoguerra a Medaglia d'Argento al V. M.
Lo stesso giorno è ferito e catturato dai tedeschi. Cinque
giorni dopo è ricoverato all'Ospedale Militare di Cacak
(Serbia). Il 23 marzo '44 è dimesso ed internato nel Stammlager di Sajmeste, presso Sabac sul Danubio, di fronte a
Belgrado. Successivamente viene trasferito e internato in un
Stammlager in Germania, dove finge di aderire al Terzo
Reich e dove viene inquadrato nelle Waffen SS.
Il 21 dicembre '44, rimpatriato per malattia, è ricoverato all'Ospedale di Noventa Padovana. Il 2 aprile '45 evade dall'Ospedale e torna a Montecchio Precalcino. Si unisce al
Battaglione "Livio Campagnolo" e partecipare alla Liberazione del suo paese. Nel dopoguerra, è eletto Presidente
della locale Sezione ANCR. Muore a soli 58 anni e il 15
maggio 1979 gli vengono tributati solenni funerali alla presenza di una grande folla.
Vedi anche Albo "Resistenti 8 settembre", "Volontari in
Unità Alleate" e "I.M.I."
Gino
Bettanin
fu Eugenio e Meda Amalia
Partigiano, classe 1926.
Appartenente alle formazioni partigiane dal 30 dicembre
1944 al 30 aprile 1945 (Libretto Personale n° 099857 - Cert.
Alexander n° 291160). Anche se gli è stato riconosciuto solo il titolo di "Patriota" è certamente uno dei primi organizzatori della lotta armata a Levà e ha partecipato a numerose
azioni armate e di sabotaggio. E' a tutti gli effetti un Partigiano combattente.
239
BRIGATA "MARTIRI DELLA LIBERTÀ"
1^ DIVISIONE GARIBALDINA D'ASSALTO "ATEO GAREMI"(?)
Al comando di "Walter", alias Mario Saugo, l'originario distaccamento di
Thiene della Brigata "Mazzini", prima confluisce nella Brigata "Martiri di
Granezza", Divisione Autonoma "Monte Ortigara"; successivamente, approssimativamente nell'aprile del 1945, forse anche dopo la Liberazione, si
costituisce in Brigata "Martiri della Libertà", chiedendo di confluire nella 1^
Divisione Garibaldina "Ateo Garemi".
La S.A.P. (Squadra d'Azione Patriottica) di Levà, persi i contatti con Thiene ai primi di dicembre del '44, entrata a far parte, del Battaglione "Livio
Campagnolo" della Brigata "Mameli". Il 30 aprile 1945, dopo la Liberazione, in piazza a Montecchio, Mario Saugo chiede ad alcuni ex appartenenti al
suo gruppo se accettano di rientrare, avendo necessità di uomini per svolgere a Thiene il "servizio d'ordine": Pesavento e Sbabo, accettano e terminano il loro servizio resistenziale nella "Brigata Martiri della Libertà".
Thiene, 2 maggio 1945 – da sinistra: Lino
Sbabo, un partigiano di Thiene e Aldo Pesavento – Brigata "Martiri della Libertà", in servizio di Polizia Partigiana.
240
Aldo
Pesavento
fu Francesco e Grazian Angela,
Partigiano "Piri", classe 1927.
(Libretto Personale N° 099905 - Certificato Alexander n°
130974.)
Pur non sottoposto ai "bandi di arruolamento", è tra i primi
patrioti di Levà. Come "staffetta" del gruppo, nell'agosto
1944, riesce ad organizzare la prima riunione all'Osteria in
Conca "da Parpagnaco", con il gruppo di Mario Saugo e dei
fratelli Brusaterra di Thiene. Da tale incontro si arriverà nel
novembre 1944 alla costituzione della locale formazione
S.A.P. (Squadra d'Azione Patriottica). Ma Aldo è troppo
giovane e non perde occasione di vantarsi di far parte di un
gruppo armato; ovviamente diventa un pericolo ed è quindi
emarginato e allontanato dal gruppo. Ciò nonostante il 30
aprile 1945 è in piazza a Montecchio e su richiesta del suo
vecchio comandante "Walter" e di Bonifacio Brusaterra, entra nella Brigata "Martiri della Libertà", svolgendo a Thiene
compiti di ordine pubblico fino alla smobilitazione.
Rizieri
Giovanni
Pierantoni
"Mistrello"
fu Antonio e Mottin Maria,
Partigiano "Nino", classe 1925.
Il 17 gennaio 1944, Rizieri è costretto ad arruolarsi nell'esercito della R.S.I., 26° Reparto Misto, battaglione bersaglieri repubblichini di Vicenza, Caserma "Durando" (Feldpost 259 - 859). Diserta il 7 gennaio1945 ed entra nella
Brigata "Martiri di Granezza", Distaccamento di Thiene. E'
con il Comandante "Walter", quando questi decide di fondare una sua brigata, la "Martiri della Libertà".
Lino Sbabo
fu Domenico e Pretto Teresa,
Partigiano, classe 1926.
L'artista Partigiano, con il diploma di Scuola d'Arte e Mestieri, lavora alla S.A.R.E.B., la "Polveriera" di Ca’ Orecchiona, fino al 14 Giugno quando, in seguito alla chiamata
alle armi, viene licenziato.
Tra i primi organizzatori della lotta armata a Levà, partecipa
a vari sabotaggi. Nella primavera del 1945, persi momentaneamente i contatti tra il gruppo di Thiene, confluisce nel
Battaglione "Livio Campagnolo" della "Mameli". Il 30 aprile, su richiesta del suo vecchio comandante "Walter", alias
241
Mario Saugo e Bonifacio Brusaterra, entra nella Brigata
"Martiri della Libertà", svolgendo a Thiene compiti di ordine pubblico fino al 15 maggio 1945 (Libretto Personale n°
099915 - Certificato Alexander n° 130984).
Dopo la guerra, dopo saltuaria occupazione come meccanico, entra nelle Ferrovie come operaio fucinatore, si diploma
in Ragioneria e termina la sua carriera come Segretario Superiore. Oggi, pensionato, si dedica alla pittura, sua latente
passione fin da giovane, con ottimi risultati e successi. Sue
opere si trovano in varie collezioni private in Italia e all'estero.
Assieme all'amico Palmiro Gonzato, ha inoltre pubblicato
"C'eravamo anche noi", un'importante libro di memorie sulla
Resistenza a Montecchio Precalcino.
242
BRIGATA "LORIS"
GRUPPO BRIGATE "MAZZINI"
DIVISIONE ALPINA "MONTE ORTIGARA"
Dopo il rastrellamento di Granezza del settembre 1944, la Brigata "Mazzini" è scompaginata, ma l'attività riprende subito con decisione. I reparti si
ricostituiscono e, l'8 dicembre 1944, all'Osteria in Val di Sotto, la Brigata
"Mazzini" si moltiplica per due: le due brigate vengono chiamate "Gruppo
Brigate Mazzini"; Comandante del Gruppo : "Nettuno", alias l'Ing. Giacomo Chilesotti; una Brigata, comandata da "Silva", alias Francesco Zaltron,
prende il nome di "Martiri di Granezza", l'altra prende il nome di battaglia
del Vice Comandante della "Mazzini", Dott. Rag. Rinaldo Arnaldi "Loris" ,
caduto a Granezza, ed è guidata da "Albio", alias il prof. Italo Mantiero.
Il 22 febbraio 1945, nella canonica di Don Luigi Pascoli, parroco di Povolaro, nasce la Divisione Alpina "Monte Ortigara", la quale unificava sotto un
unico comando il Gruppo Brigate "Mazzini"("Martiri di Granezza" e "Loris"), il Gruppo Brigate "7 Comuni" ("Fiamme Rosse" e "Fiamme Verdi") e
la Brigata "Giovane Italia".
In zona la "Loris" è certamente la formazione partigiana più numerosa, forse eccessivamente considerata militarmente, vista la sua strategia "attendista", ma probabilmente trascurata storiograficamente per quanto fatto nella
Resistenza civile a favore dei prigionieri Alleati e degli ebrei.
Sarà inoltre interessante approfondire le ripercussioni di quel clima da
guerra fredda , che il Comandante “Albio”, alias Italo Mantiero, ha particolarmente reso manifesto nel suo libro "Con la Brigata Loris".
Francesco
Campagnolo
"Checonia"
fu Pietro e Qualbene Maria,
Garibaldino di Spagna, classe 1906.
Primo Comandante della Resistenza locale. Già fuoriuscito
politico in Belgio nel 1927, militante comunista e garibaldino delle Brigate Internazionali nella Guerra di Spagna
(1936-39). Espatriato in Francia, nel 1941 è prigioniero del
regime di Vichy. Nel febbraio 1942 è consegnato dai francesi alla polizia italiana e deferito alla Commissione per il
Confino di Vicenza, che lo condanna a 5 anni da scontare
sull'isola di Ventotene. Liberato con la caduta del fascismo
nell'agosto del 1943, torna a Montecchio Precalcino. Politicamente e militarmente temprato, è l'uomo giusto per preparare e dirigere la guerriglia partigiana. Inizia a raccogliere
243
attorno a sé i primi patrioti: Livio e Sandro Campagnolo, i
fratelli Bruno e Giuseppe Saccardo, Vittorio Buttiron, Adriano Dall'Amico, Rino Dall'Osto, Giuseppe Gnata e
Giovanni Garzaro dalla Preara, Lino Sbabo e Palmiro
Gonzato della Levà. Purtroppo questa importante cellula
resistenziale perde quasi subito il suo uomo di punta; nell'aprile '44, durante un rastrellamento nella pedemontana,
"Checonia" viene nuovamente catturato dai nazifascisti.
Personaggio conosciuto, viene prima portato nei sotterranei
della famigerata Caserma San Michele a Vicenza, poi in Via
Fratelli Albanese, nella sede del B.D.S., l'Ufficio Politico
Investigativo – Gestapo, sede della "Banda Carità", le Waffen SS Italiane del maggiore Mario Carità. Francesco viene
sottoposto a nuovi interrogatori e bastonato. Dopo giorni e
giorni passati all'Ufficio Politico Investigativo, viene condotto alle carceri di San Biagio.
Il 21 dicembre 1944, assieme ad altri ventuno partigiani ospiti di San Biagio8 e altri trentotto provenienti dalle carceri
di Padova, viene prelevato e caricato su un camion. Il convoglio passa per Schio ed arriva a Pian delle Fugazze, qui
scendono e a piedi raggiungono le carceri di Rovereto. Il
giorno seguente ripartono per Bolzano dove, appena entrati
nel campo di concentramento, in Via Resia, vengono rasati
e poi portati nelle baracche.
Il 7 gennaio 1945 vengono caricati in cinquantacinque su
un vagone bestiame; cinque giorni di freddo terribile, mai
un sorso d'acqua e soli due pasti (sic!): una prima volta un
pezzo di pane con un pò di pasta d'acciughe e marmellata,
una seconda volta solo pasta di acciughe.
Scesi alla stazione di Mauthausen il mattino del 12 gennaio,
li incolonnarono in gruppi di cento (erano circa 500) e
mentre la neve cadeva abbondante, si avviarono verso il
campo.
Stanchi, affamati, picchiati continuamente dalle SS di scorta
perché accelerassero il passo, dopo circa tre chilometri e
mezzo arrivarono al Konzentrationslager di Mauthausen.
Vedi anche Albo "Antifascisti" e "Deportati Politici".
8
- Vedi "Torquato Fraccon e il figlio Franco" di Graziella Fraccon Farina, in " Fraccon e Farina. Cattolici nella
Resistenza" a cura di Benito Gramola, Ed. La Serenissima, Vicenza, 2001.
244
Livio Mario
Campagnolo
fu Valentino e Martini Margherita Hedda
Partigiano, 1922. Caduto nel 1944 a 22 anni.
Il primo caduto della Resistenza a Montecchio Precalcino
Universitario, già del 10° Regg. Genio, 2° Reparto Autieri,
9° Gruppo di stanza a Caserta. Dopo l'8 settembre '43,
sbandato, riesce a tornare a casa ed entra nella Resistenza.
E' tra i primi organizzatori della lotta armata a Preara e fa
parte ufficialmente della formazione partigiana "Mazzini",
già dal 1 gennaio 1944. (Libretto Personale n° 09956 - Certificato Alexander n° 281123).
"Per la sera del 20 Aprile 1944 dal reggente del Fascio Repubblicano di Montecchio Precalcino, Sig. Ludovico Dal
Balcon, era stata indetta una conferenza di propaganda
(presso la Casa del Fascio di Preara, (prima del fascismo
«Cooperativa Falegnami e Circolo Operaio Socialista» e nel
dopoguerra, «Dopolavoro e Circolo ENAL», «Cinema e
Circolo ACLI» e ora «Centro Socio-culturale Comunale»).
La notte precedente però, sui muri del Municipio, e di diverse case del paese, erano state fatte delle scritte così concepite: «Non prediche, ma pane, pace e libertà = Viva Badoglio = Viva la Monarchia = Abbasso il fascismo».
Per questo fatto, temuto forse delle rappresaglie, furono invitati dei militi repubblichini..."
(Parroco Don Gio Batta Dall'Ava)
"Il 20 Aprile 1944 di sera, tal maggiore De Stefani, comandante del centro arruolamento volontari, si recò da Vicenza
a Montecchio P. per tenere conferenza ... fu accompagnato
da alcuni appartenenti alla Compagnia della Morte 9 esistente presso la federazione fascista di Vicenza e fra di essi
erano il Caneva Duilio, lo Schiesari Adelmo, il Boschetti
9
- "Compagnia della Morte": detta anche "Banda Caneva” per i quattro componenti della famiglia:
Caneva Giovanni, federale di Vicenza; Giacinto, classe 1906; Fausto, cl. 1911; Duilio, cl. 1915.
A Vicenza, il 2 Aprile '44, fu creata dal Federale Giovanni Caneva (poi promosso a Federale di Reggio Emilia, dove nel dopoguerra sarà condannato a morte per fucilazione alla schiena), un gruppo
operativo speciale della locale Brigata Nera, la "Compagnia della Morte".
Questo nuovo reparto sostituiva la disciolta Squadra d'Azione Federale di Vicenza. Il primo comandante
fu il Capitano Tomba (sic!).
I fascisti della Brigata Nera "Faggion" di Vicenza, avevano un loro metodo per catturare i renitenti, i partigiani e i prigionieri Alleati: si presentavano come partigiani, in case che conoscevano, promettevano
armi ai Partigiani o chiedevano ai Partigiani se ne avevano, rubavano, e poi uccidevano a sangue freddo
senza pietà.
245
Rodolfo e il Gitotto Angelo"
(Sentenza della Corte d'Assise di Venezia del maggio ‘46)
Ad accompagnare il maggiore Stefani a Montecchio, risultano esserci anche altri due personaggi, tristemente noti
non solo nel Vicentino: il capitano Longoni Renato e Caneva Fausto.
"La comitiva si portò sul posto con due automobili. Sul posto fu constatato che la popolazione non voleva saperne di
intervenire alla conferenza, onde lo Stefani e il Caneva Fausto, mandarono il Girotto a fare un giro per il paese e a
chiamare persone.
Il Caneva disse al Girotto: «dai due pignate», cioè botte, e il
Girotto schiaffeggiò due uomini (f.II C). Furono chieste informazioni al reggente del fascio Ludovico Dal Balcon circa gli antifascisti del paese e fra altri fu fatto il nome di
Campagnolo Livio, ... Una squadra si recò con una delle automobili alla casa del Campagnolo e della squadra facevano
parte il Caneva Fausto, lo Schiesari Adelmo. il Boschetti
Rodolfo e il Gitotto Angelo. Tutti i 4 suddetti entrarono
nella casa dove trovarono il Campagnolo e la sorella di lui,
Teresina di anni 25. Erano circa le 21."
(Sentenza della Corte d'Assise di Venezia del Maggio ‘46)
"Al momento di cominciare la conferenza, nella sala, adibita a tale scopo, si trovarono presenti appena 8 o 9 persone,
sebbene fossero stati spediti in precedenza inviti personali a
tutti i capi famiglia.
Allora vennero mandati in giro con una macchina i militi
per portare al luogo del convegno i renitenti. Ma questi usando dei modi violenti, schiaffeggiando e percuotendo chi
non era pronto a seguirli. Con tale metodo riuscirono a raccogliere un centinaio di persone circa tra giovani, uomini e
donne.
Nel frattempo che si teneva la conferenza i suddetti militi si
portarono a casa di un certo Campagnolo Livio..."
(Parroco Don Gio Batta Dall'Ava)
"Usciti fuori giunsero poco dopo nella via principale del
paese dove era ferma una delle automobili. Lì, il Campagnolo riuscì improvvisamente a scappare infilando una
stradetta confluente, ma fu subito inseguito dai quattro. Il
Caneva Fausto gridò: «Sparate, è un ribelle!» e tutti spararo-
246
no... Il fuggitivo fu ferito ad una coscia (e arteria femorale)
e fu raggiunto e trovato dallo Schiesari, in un fossato, ... e
con l'aiuto della sorella accorsa trasportato fino all'automobile. Ivi fu fasciato alla meglio, ma la fasciatura non impediva la perdita di sangue. La macchina, sulla quale fu impedito alla sorella di salire, partì con i quattro e il ferito; ma fece
un paio di giri per il paese e si fermò al «dopolavoro» prima
di dirigersi verso Sandrigo, dove finalmente il ferito fu ricoverato in ospedale. Ivi la sorella, verso le ore 23, seppe che
il Campagnolo era morto una mezz'ora prima, evidentemente dissanguato.
La responsabilità dei 4 imputati nell'omicidio del Campagnolo è pienamente provata."
(Sentenza della Corte d'Assise di Venezia del Maggio 1946)
"Il giorno seguente si pensò da alcuni volenterosi paesani
(gli amici Giuseppe Gnata, Vittorio Buttiron e Rino Dall'Osto) di interessarsi perché la salma, anche per dare un pò
di conforto alla famiglia, fosse trasportata in paese.
Si aperse una sottoscrizione e si raccolse quasi 5.000 lire per
le spese necessarie non potendole sostenere la famiglia.
Il giorno 22 aprile si ottennero tutti i permessi del trasporto
e così i funerali furono fissati pel 23, alle ore 10 ,30. Ma il
22 sera, alle 11 di notte, il Maresciallo dei Carabinieri di
Dueville si recò dal parroco con l'ordine del questore di Vicenza che vietava assolutamente i funerali, ingiungendo che
questi dovevano essere fatti il mattino per tempo del giorno
24 con l'intervento dei soli parenti.
Il mattino del 23 si è provato telefonare al questore assicurando che nessun disordine sarebbe avvenuto se permetteva i funerali, ma si ebbe un secondo rifiuto.
Intanto la gente si era ammassata nel luogo convenuto per
l'incontro con la salma, e si calcola vi fossero non meno di
3 mila persone venute anche dai paesi vicini; ma nell'ora dei
funerali fu dato l'ordine che questi non si facessero più.
Si può immaginare l'impressione prodotta e se non sono
avvenute rappresaglie fu un vero prodigio."
(Parroco Don Gio Batta Dall'Ava)
Il cappellano don Marcon capisce subito il messaggio portato a quell’ora dal maresciallo dei carabinieri: la promessa
di una tregua per i funerali, garantita dal Reggente del Fa-
247
scio e dal Commissario Prefettizio, e la notizia del divieto
del Questore di celebrare il rito funebre, ufficializzabile solo al mattino, ad ammassamento dei cittadini già iniziato, è
solo una trappola organizzata per catturare gli sbandati e i
renitenti.
Don Marcon si attiva immediatamente e in breve tempo
tutti i ragazzi sono avvisati. Al mattino i militi repubblichini
in divisa, ma soprattutto in borghese e mescolati alla folla,
non riusciranno a trovare nessuna delle loro ambite prede.
Malgrado il divieto di celebrare la cerimonia funebre pubblicamente, all'inumazione semi-clandestina ordinata dalle
autorità repubblichine per le 6 del mattino di lunedì 24 aprile 1944, c'è una larghissima partecipazione di popolo: anziani, donne, bambini, ma anche tutti i ragazzi "alla macchia" che non volevano mancare e vi partecipano nascosti
dalle pendici del Monte.
Nel dopoguerra, gli appartenenti alla Compagnia della Morte di Vicenza, furono processati più volte e non solo nel
Veneto, per i tanti e atroci crimini commessi nella loro carriera .
Il processo per l'omicidio di Livio Campagnolo, oltre a
questa imputazione, comprende gli eccidi di Campiglia dei
Berici (5 Maggio 1944) e Grancona (8 Giugno 1944), la cattura di due prigionieri inglesi consegnati alle SS tedesche e
altri misfatti minori, per un totale di 23 imputati.
Solo per gli specifici fatti di Preara, i capi, cioè i mandanti
dell'assassinio, se la cavarono alla grande:
- il comandante della brigata nera "Faggion", nonché ideatore della Compagnia della Morte, il federale di Vicenza,
Caneva Giovanni, viene stralciato dal procedimento perché già sotto processo a Reggio Emilia;
- il capitano Longoni Renato, uno dei capi della Compagnia
della Morte", risultò aver fatto solo da autista (Sic!) dell'oratore ufficiale e quindi assolto;
- il maggiore Stefani, relatore ufficiale alla conferenza, ma
secondo gli atti del processo anche tra quelli che ordinarono il rastrellamento, viene stralciato dal procedimento
ancora in istruttoria;
- il reggente del fascio Ludovico Dal Balcon, colui che
chiese l'intervento della Compagnia della Morte e che la
248
indirizzò a casa di Livio Campagnolo, viene stralciato dal
procedimento ancora in istruttoria.
"Il P.M. (Pubblico Ministero) presso la Corte di Assise
Straordinaria di Vicenza procedé contro gli imputati e,
compiuta la sommaria istruzione, li rinviò al giudizio di
quella Corte per rispondere dei delitti...
All'udienza del 15 gennaio 1946 si iniziò il dibattimento che
fu proseguito nell'udienza del 16 successivo. Durante la
suddetta udienza vi fu qualche manifestazione di intemperanza da parte del pubblico.
La sera... fu trovato ucciso... l'Avv. Edoardo Tricarico, difensore d'ufficio dell'imputato Schiesari Adelmo.
All'udienza del 17 il processo venne sospeso per dar modo
al nuovo difensore... di studiare gli atti. Frattanto l'Avv. Italo Virotta, difensore di Caneva Fausto, fece istanza alla
Corte di Cassazione perchè il procedimento fosse rimesso
ad altra Corte per «legittima suspicione»...
La Suprema Corte con ordinanza del 13/2/1946 accoglie la
suddetta istanza di remissione e designa per il giudizio la
Corte d'Assise di Venezia, ...
Davanti a questa Corte fu celebrato il dibattimento nelle
udienze del 7, 9, 10, 11, 15, 16 e 17 maggio c.a. e in esito al
dibattimento stesso la Corte... condanna...
- Caneva Fausto, Schiesari Adelmo, Boschetti Rodolfo,
alla pena di morte mediante fucilazione nella schiena; ...
- Girotto Angelo alla reclusione per anni trenta ed al ricovero in casa di cura e di custodia per anni dieci; ...
...assolve...
- Longoni Renato dalle imputazioni ascrittagli per non
aver commesso il fatto;
- Caneva Duilio dalle imputazioni loro ascritte per insufficienza di prove.
Venezia, 17 Maggio 1946.
(Sentenza della Corte d'Assise di Venezia del Maggio ‘46)
Successivamente, le condanne a morte furono tramutate in
ergastoli e poi gli ergastoli in 30 anni di carcere.
Grazie al D.P.R. del 19.12. 1953, n° 922, Art. 2, per i reati
di collaborazionismo e concorso in omicidio pluriaggravato, le pene da 30 anni vengono ridotte a 10 anni.
Chi, condannato all'ergastolo è rimasto latitante, per «man-
249
canza di legale costituzione del processo processuale», la
Corte di Cassazione nel 1951 annulla la sentenza di Venezia
e rimanda la causa per un nuovo giudizio alla Corte d'Appello di Firenze.
Per i pochissimi che restarono in carcere e persino per chi
era rimasto latitante, con il Decreto Legislativo dell'11 Luglio 1959, n° 460, art. 1 e 12, vengono dichiarati «estinti i
reati e cessata l'esecuzione della condanna e delle pene accessorie... 29 settembre 1959.».
Non dimentichiamo che nella gran parte dei casi, soprattutto per i «pezzi da 90» come nel caso del colonnello Ugo
Basso, nostro concittadino, le Corti di Cassazione annullano le sentenze di primo grado, rimandano le cause ad altre
Corti d'Assise, la quale spesso non si riuniscono, o rimandano ad altre Corti, o assolvono.
Antonio
Sabin
Fedora Benincà e Antonio Sabin
fu Pacifico e Berlato Maddalena.
Partigiano, classe
1908. Uno dei
comandanti della
Brigata "Loris".
Il papà, Pacifico, era stato, prima del fascismo, Consigliere
Comunale (1920-1926) per la Lega Bianca-Popolari. Con la
morte del padre, Antonio non presta servizio militare perché capo famiglia. Antifascista e cattolico militante, dirigente locale dell'Azione Cattolica e amico personale dello statista democristiano Mariano Rumor, dopo la guerra sarà
per molti anni Consigliere Comunale della Democrazia Cristiana e Vice Sindaco di Montecchio Precalcino.
Tra i primi organizzatori della Resistenza a Montecchio, in
collaborazione con il fratello Amelio, Francesco Maccà,
Giuseppe Grotto e Don Giovanni Marcon, mantiene i contatti con tutti gli sbandati e i renitenti di Montecchio e organizza il primo gruppo locale della Brigata "Mazzini", successivamente Brigata "Loris". Antonio è di fatto l'ufficiale
di collegamento tra il Comando della "Loris" e il Distacca250
mento di Montecchio e Preara. Ma il ruolo di Antonio Sabin, sembra molto più articolato e importante.
La sua casa sorge sul pendio est di Montecchio, sotto Villa
Da Schio Cita, che per la sua posizione isolata diventa un
ottimo rifugio per molti dei ragazzi "alla macchia", ma anche per molti ex prigionieri alleati, capi della Resistenza
come "Albio" (prof. Italo Mantiero), "Nettuno" (ing. Giacomo Chilesotti) e "Loris" ( dott. Rinaldo Arnaldi), per la
stessa Missione Militare Italiana M.R.S. e anche probabilmente per alcune famiglie ebree di passaggio nel loro lungo
e duro viaggio verso la salvezza:
- "Nettuno", "Loris" e Don Pascoli, il "Parroco Partigiano"
di Povolaro, conoscono e frequentano da tempo Antonio
e sappiamo fare parte dell'organizzazione clandestina che,
già subito dopo l'8 settembre 1943; riesce a mettere in
salvo prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento e intere famiglie ebree, nascoste e portate in Svizzera.
- Antonio è in amicizia e collaborazione anche con Don
Zocche e il prof. Francescon della Colonia Ergoterapica,
anche loro sembrano coinvolti nell'organizzazione.
- Uno dei principali "sentieri della salvezza" passa da Vicenza – Povolaro/Dueville – Fara – Thiene – Arsiero/Posina – Valli del Pasubio - Recoaro, e guarda caso
Montecchio Precalcino è lungo quel percorso.
In futuro, sarà particolarmente interessante approfondire il
collegamento esistente tra Antonio Sabin (coadiuvato a
Montecchio probabilmente dalla famiglia di Vittorio Buttiron e da Don Marcon) e quell'importante organizzazione
clandestina che nella nostra provincia annovera tra gli altri:
il dott. Rinaldo Rinaldi e la sorella Mery da Dueville, il Rettore e molti insegnanti del Seminario Vescovile di Vicenza
e del Collegio Vescovile di Thiene, il dott. Folieri, vice
questore di Vicenza, la Guida Alpina Gino Soldà, il futuro
conquistatore del K2 e Comandante Partigiano, il Rettore
della Basilica; la Superiora e il Cappellano di San Biagio, il
prof. Torquato Fraccon, Medaglia d'Argento al Valor Militare, morto a Mauthausen, Don Michele Carlotto, Parroco
di Valli del Pasubio, ...
251
Gino Soldà, Rinaldo Arnaldi, Don Michele Carlotto e Torquato Fraccon,
per la loro opera a favore degli ebrei sono stati decorati dallo Stato d'Israele
con la "Medaglia dei Giusti tra le Nazioni" e la dedica a loro nome di una
pianta di carrubo nel Giardino dei Giusti a Gerusalemme, sul Colle della Riconoscenza, presso il Museo Yad Vashem, il luogo della memoria della Shoah.
"Si racconta che in qualsiasi momento della storia dell'umanità ci siano sempre 36 Giusti al mondo.
Nessuno sa chi siano, nemmeno loro stessi, ma sanno riconoscere le sofferenze e se ne
fanno carico, perché sono nati Giusti, e non possono ammettere l'ingiustizia.
Ed è per amor loro che Dio non distrugge il mondo...
(dalla tradizione ebraica)
I Giusti: chi sono
Non si può dare una definizione unica dei Giusti. Essi hanno in comune la capacità di agire
secondo coscienza contro il conformismo e l'indifferenza, senza sentirsi al sicuro per il fatto di
appartenere al campo dei persecutori. Le stesse vittime, a volte, trovano la forza di reagire ai
carnefici e riescono a difendere la propria dignità o cercano di aiutare altri perseguitati.
L'importanza dei Giusti riguarda anche la memoria del passato e la difesa della verità, contro i
tentativi di distruggere le prove dei massacri, di negare le responsabilità personali e collettive,
di stravolgere la storia. Per questo possiamo definire Giusti coloro che, di fronte ai genocidi o
altri crimini contro l'umanità:
- Salvano vite umane;
- Soccorrono i perseguitati;
- Denunciano i crimini;
- Preservano la dignità umana;
- Sono capaci di allontanarsi dal Male.
I Giusti sono la nostra coscienza e tolgono ogni alibi agli spettatori inerti.
I Giusti ci dimostrano che si può sempre scegliere, anche nelle situazioni estreme e
si
può sempre dire un Sì! o un No!
Attualmente i Giusti sono 20.757, di cui 371 italiani.
Francesco
"Checheto"
Maccà
252
fu Francesco e Marcolin Pierina,
Partigiano, classe 1909.
Il Commissario Politico del Distaccamento di Montecchio
– Preara
Lo zio Gaetano Maccà (classe 1858, fu Girolamo), è stato
Sindaco di Montecchio Precalcino dal 1914 al 1920, eletto
nelle fila del Partito Liberal-Nazionalista. Il papà Francesco
Maccà (classe 1864) e lo stesso Checheto, sono vice-versa
cattolici militanti, in stretti rapporti con l'organizzazione re-
sistenziale delle Leghe Bianche, cioè quell'organizzazione
cooperativa, politica e professionale, collegata al Partito
Popolare, che anche se sciolta dal fascismo, aveva mantenuto saldi legami fra gli associati e una capillare organizzazione di quadri, scelti tra gli operatori della terra e del piccolo
commercio più intelligenti e attivi.
Dopo l'8 settembre 1943, in stretta collaborazione con Antonio Sabin e "Albio" Italo Mantiero, Checheto Maccà mantiene uniti quasi tutti gli sbandati e i renitenti di Montecchio; organizza e dirige il gruppo locale della Brigata "Mazzini", in qualità di Commissario Politico.
L'11 agosto 1944, durante il grande rastrellamento del paese, Checheto si ritiene al sicuro perché non appartenente ad
una classe richiamata alle armi; è viceversa tra i ricercati più
importanti. I repubblichini del maggiore Paolo Antonio
Mantegazzi, si presentano in forze a casa di Francesco, lo
arrestano, lo legano agli anelli per cavalli fuori della sua osteria in piazza e, dopo averlo picchiato selvaggiamente e
messo alla gogna, lo portano a Vicenza.
Alla caserma di Ponte S. Michele, viene interrogato e torturato, ma non parla. Successivamente viene incarcerato a San
Biagio, dove, con l'aiuto dell'organizzazione clandestina, sarà successivamente liberato.
Giuseppe
Lonitti
fu Bortolo e Marcon Caterina,
Partigiano, classe 1920 – Caduto nel 1945 a 25 anni.
Comandante del Distaccamento di Montecchio-Preara,
Medaglia di Bronzo al Valor Militare alla Memoria
"Partigiano e sabotatore di grande ardimento, volontario per numerose
azioni, dimostrava sempre magnifiche doti di equilibrio e coraggio. Solo affrontava una grossa pattuglia tedesca resistendo ad esaurimento
delle munizioni. Sebbene ferito gravemente, in un supremo sforzo,
brandiva l'arma e si gettava contro il nemico soverchiante, trovando
morte gloriosa" (Montecchio Pr., 29 aprile 1945)
Già del 222^ Divisione Costiera, 14° Raggruppamento Batterie Costiere, 147° Gruppo "A. Felice" di stanza a Fontana
d'Ischia (Na). Dopo l'8 settembre, dopo aver tentato di opporsi ai tedeschi, rende inservibili i cannoni della sua batteria, e sbandato , riesce a tornare a casa.
Entra subito in contatto con la cellula resistenziale che si sta
253
sviluppando attorno alla figura carismatica di Antonio Sabin. Nella primavera 1944, assieme a Antonio e Amelio Sabin, Don Giovanni Marcon, Francesco Maccà, Giuseppe
Grotto, Giuseppe Sabin e Sante Carolo, entra nella Brigata
"Mazzini". Per la sua esperienza, per le sue doti di equilibrio
e di coraggio, è il naturale comandante militare della locale
formazione partigiana.
Con la Liberazione del centro di Montecchio, avvenuta nelle prime ore di domenica 29 aprile, compito principale dei
partigiani, su ordine del C.L.N. e del Comando Alleato, è
quello di mantenere l'ordine pubblico, difendere i cittadini e
i centri abitati dalle scorrerie di bande nazi-fasciste in fuga,
disarmare tedeschi e repubblichini. E' proprio in quei frangenti, quando i partigiani della "Mameli" non sono ancora
giunti in Municipio e quelli della "Loris" sono in gran parte
impegnati in Preara e verso Passo di Riva, che arriva una
"staffetta" da Dueville con la segnalazione che un gruppo di
tedeschi in fuga, già distintosi in violenze e saccheggi, sta
risalendo Via Astichello, direzione Montecchio. Giuseppe
Lonitti, non potendo sguarnire eccessivamente il Municipio,
con la speranza che quelli del posto di blocco alle fornaci di
Passo di Riva, sentito lo scontro, intervengano, tenta di
bloccare da solo la pattuglia tedesca e gli aspetta in posizione favorevole nei pressi di Casa Buzzacchera. Purtroppo
qualcosa va storto, forse la sua arma automatica si inceppa, i
tedeschi, prima inchiodati dentro al fosso stradale, ne approfittano per contrattaccare. Giuseppe muore "per colpi
d'arma da fuoco all'addome", ma raggiunge comunque il
suo obiettivo: i tedeschi non si fidano di procedere verso il
centro di Montecchio e, attraverso il torrente Astico, raggiungono il ponte di Breganze, dove vengono catturati dai
partigiani locali.
Al suo funerale, il 1° maggio 1945, c'è una grande partecipazione di popolo e gli sono tributati gli onori militari; insignito di Medaglia di Bronzo al Valor Militare alla Memoria,
un cippo ricorda il suo sacrificio sul luogo dove è caduto
(ora piazzale di Via S. Segato, Zona Produttiva Astichello).
Vedi anche Albo "Resistenti 8 settembre"
254
Sante
Carolo
fu Giuseppe e Garzaro Maria,
Partigiano, classe 1924.
Vice-Comandante del Distaccamento di Montecchio e Preara, Comandante della 1^ Squadra di Montecchio.
Chiamato alle armi il 13 maggio 1943, è destinato al 27°
Settore Guardie alla Frontiera, Settore di Fiume. Dopo l'8
settembre '43, dopo aver tentato con il suo Reparto di contrastare i tedeschi, sbandato, riesce a torna a casa ed entra
nella Resistenza.
Partigiano, tra i primi organizzatori della lotta armata a
Montecchio, milita dal 1 aprile 1944 nella Brigata "Mazzini". Tra le prime azioni vi fu l'agguato a tre repubblichini
accasermati a Villa Cabianca (Longa di Schiavon), che spesso passavano in bicicletta per Capo di Sotto, con destinazione Malo; Sante, assieme all'amico Michelangelo Giaretta
e Stefano Brusamarello da Dueville, li attesero vicino al Villino Cerato e li disarmarono. I militi per nulla scontenti di
consegnare le armi, chiedono di poter passare con la Resistenza e, dopo essere stati nascosti due giorni nel roccolo
dei Tretti, vengono accompagnati in montagna.
L'11 agosto '44, i repubblichini del maggiore Paolo Antonio
Mantegazzi, impegnati nel rastrellamento di Montecchio, si
presentano in forze a casa di Sante, non trovandolo arrestarono la zia. Chiesto consiglio al comando partigiano, "Albio", alias Italo Mantiero, gli suggerì di non costituirsi in
quanto, normalmente, le donne non venivano trattenute.
Quale Vice-Comandante del Distaccamento di Montecchio,
della Brigata "Loris", sostituirà nel comando Giuseppe Lonitti dopo la sua morte.
Libretto Personale n° 099953 - Certificato Alexander n°
291125.
Dopo la guerra, con la Wilier Triestina (W.I.LI.ER = W
l'Italia Libera), sarà la mitica "maglia nera" del Giro d'Italia.
Vedi anche Albo"Resistenti 8 settembre".
255
Giuseppe
Gnata
256
fu Bortolo e Marzari Maria,
Partigiano, classe 1923.
Comandante della 2^ Squadra
di Preara
Già autiere del 4° Reggimento
Genio ad Appiano (Bz), l'8
settembre 1943 è in servizio
nel 2° Autocentro di Verona;
sbandato, riesce a tornare a casa.
Tra i primi organizzatori della
lotta armata a Preara, milita dal
1 marzo 1944 nella Brigata
"Mazzini". Il 20 aprile 1944, riesce a sfuggire al rastrellamento che porterà alla morte di Livio Campagnolo; sarà
con Rino Dall'Osto e Vittorio Buttiron tra gli organizzatori
dei funerali.
Malgrado fosse riuscito a sfuggire ai nazi-fascisti anche durante il grande rastrellamento di Montecchio Precalcino dell'11 agosto 1944, come molti altri giovani, dopo l'arresto del
padre è costretto a costituirsi.
Trasferito a Vicenza presso le casermette di Porta Padova,
dopo i soliti pesanti interrogatori, viene caricato con altri su
un camion scoperto e portato per le strade di Vicenza come
preda di guerra, fino alla Caserma San Michele. Successivamente è incarcerato a S. Biagio.
Come Vittorio Buttiron, malgrado la totale mancanza di
prove a suo carico, Giuseppe è condannato alla deportazione in Germania come lavoratore coatto; ma, grazie all'organizzazione clandestina, dopo la visita medica viene dichiarato non idoneo e, il 20 dicembre 1944, liberato. Con lui escono di galera anche Sereno Cozza, Pellegrino La Notte e
Vittorio Buttiron.
Sempre con l'aiuto dell'organizzazione resistenziale, viene
imboscato nella TODT, da dove continua la sua attività clandestina. A primavera torna a combattere con la sua Squadra
sino alla Liberazione.
Giuseppe, anche dopo la Liberazione, resta in servizio ausiliario a fianco dei Carabinieri, come Polizia Partigiana, sino
al 31 maggio 1945 (Libretto Personale n° 099978 – Certifi-
cato Alexander n° 291101).
E' tra gli organizzatori, con i Partigiani Gaetano Marangoni
e Felice Pesavento, appena tornati dall'Oltrepò Pavese e
dalla Liberazione di Milano, alla famosa "camminata a quattro gambe", cui furono goliardicamente sottoposti, Domenica 13 maggio 1945, i capi fascisti locali.
Secondo
Vittorio
Buttiron
fu Giuseppe e Zanotto Caterina,
Partigiano, classe 1920.
Già fante del 18° Reggimento
Fanteria, Divisione "Acqui", al
Comando Truppa e Deposito di
Merano (Bz), dopo l'8 settembre,
sbandato, riesce a tornare a casa
ed entra nella Resistenza. Il 20
aprile 1944, riesce a sfuggire al
rastrellamento organizzato dal
reggente del fascio Ludovico Dal
Balcon, per obbligare i renitenti e
gli sbandati a partecipare alla
conferenza di propaganda organizzata presso la Casa del
Fascio di Preara.
Nello stesso rastrellamento, per mano della Compagnia
della Morte di Vicenza, troverà la morte Livio Campagnolo;
Vittorio, assieme a Giuseppe Gnata e Rino Dall'Osto, è tra
gli organizzatori del suo funerale.
Nella sua casa, sotto la chiesetta di San Rocco a Preara, trovano generosa ospitalità giovani sbandati, prigionieri alleati,
probabilmente anche ebrei, e per qualche giorno, opera la
Missione Militare Italiana M.R.S..
Patriota della prima ora, malgrado fosse riuscito a sfuggire
ai nazifascisti anche durante il grande rastrellamento di
Montecchio Precalcino dell'11 Agosto 1944, come molti altri giovani, dopo l'arresto del padre, è costretto a costituirsi.
Su disposizione del reggente del fascio Ludovico Dal Balcon, fu portato alle Casermette di Porta Padova, le carceri
della Polizia Ausiliaria Repubblicana e successivamente a
San Michele, alla caserma del maggiore Paolo Antonio
Mantegazzi.
Dopo duri interrogatori, non ottenendo alcun risultato, vie-
257
ne trasferito alle Carceri di San Biagio.
Malgrado la totale mancanza di prove a suo carico, Vittorio
è condannato alla deportazione in Germania come lavoratore coatto ; ma, grazie all'organizzazione clandestina, ben
strutturata all'interno delle Carceri di San Biagio, alla visita
medica viene dichiarato non idoneo e liberato.
Il 20 dicembre 1944, viene imboscato nella TODT, da dove
continua la sua attività clandestina. A primavera è pronto a
combattere con la sua Squadra, la 2^ del Distaccamento di
Montecchio, sino alla Liberazione.
E' tra gli organizzatori, con i Partigiani Gaetano Marangoni
e Felice Pesavento, appena tornati dall'Oltrepò Pavese e
dalla Liberazione di Milano, alla famosa "camminata a quattro gambe", cui furono goliardicamente sottoposti, domenica 13 maggio 1945, i capi fascisti locali.
Bertillo
Carolo
fu Giuseppe e Garzaro Maria,
Partigiano, classe 1927.
Fratello del Comandante Partigiano Sante Carolo, pur non
soggetto all'arruolamento obbligatorio, entra nella Resistenza come Staffetta partigiana già dal 1 marzo 1944 (Libretto
Personale n° 099957 - Certificato Alexander n° 291122).
Dott. Attilio
Dal Cengio
fu Michele e Disconzi Assunta,
Partigiano, classe 1925.
Partigiano del Distaccamento di Dueville.
Durante la guerra risiedeva a Dueville, dove il padre, Dr.
Michele Dal Cengio, era Medico Condotto . Nell'inverno
del 1943 è arrestato dai fascisti perché renitente alla leva,
ma riesce ad evadere grazie ad una donna che lavorava all'
interno del carcere. Nel gennaio-febbraio ‘44, anche con
l'arresto intimidatorio dei famigliari, molti giovani renitenti
sono costretti a costituirsi. Attilio è arruolato come Geniere nell'esercito repubblichino, 117° Battaglione Genio
Fortificazioni (lo stesso reparto di Federico Doria), poi,
prima dell'estate diserta ed entra nella Resistenza. Come
giovane Partigiano riceverà il suo battesimo del fuoco il 6
settembre ‘44 nella Battaglia di Granezza.
Nei giorni della Liberazione, Attilio è, con il grosso della
Brigata "Loris", al Bosco da dove, divisi in squadre, furono
258
inviati nei dintorni dei vari paesi a difesa della popolazione
contro gruppi di tedeschi che si fossero dati, isolatamente,
alle violenze ed al saccheggio.
Attilio, dei duri anni della guerra, ama ricordare un avvenimento in particolare, quando il 10 giugno 1940, in piazza a
Dueville, tra il popolo esultante, dagli altoparlanti la voce di
Mussolini comunicava altezzosamente che l'Italia era entrata in guerra. Suo padre, che gli era accanto, disse convinto:"Questa è la fine del fascismo!".
Attilio, da giovane quindicenne cresciuto sotto il regime, vide allora suo padre come quasi un traditore, poi la storia a
dato ragione al Dott. Michele.
Molto interessante e tragico-comico è anche questo breve
aneddoto raccontato da "Albio", alias il Prof. Italo Mantiero, Comandante della Brigata "Loris":
"La signora Dal Cengio, mamma di Attilio, nell'estate del
1944, mi venne a trovare, perché voleva affidarmi suo figlio
per portarlo con me, al sicuro, in montagna.
Dueville, paese di Attilio, non era tranquillo perché quell'esaltato del commissario prefettizio, prof. Moneta, non lasciava in pace nessuno.
Rino Brazzale (Domenico, Comandante del Distaccamento
di Dueville) prese in consegna quel giovanotto e lo portò
con gli altri in Granezza (Asiago), fuori dai pericoli, come
sperava sua mamma.
Vi andai anch'io, poco dopo, con un gruppo di ragazzi, il 5
settembre 1944, arrivando poco prima che iniziasse il rastrellamento del 6 settembre 1944.
Quando alle 13 in punto incominciò la sparatoria, fui incaricato da Silva (Francesco Zaltron, Comandante del Battaglione "Silvano Testolin", Brigata "Mazzini") di occuparmi
del rifornimento di munizioni ai combattenti, di tenere uniti
i disarmati e di stare attento ai prigionieri fascisti.
La guardia di costoro era proprio Attilio Dal Cengio.
Speravamo che il combattimento si risolvesse a nostro favore; non si pensava che i tedeschi si avventurassero fin
nell'interno del bosco fittissimo dove c'era il nostro accampamento.
Ad un certo momento Dal Cengio mi chiamò perché qualcuno dei fascisti aveva sete ed altri chiedevano di essere ar-
259
mati per combattere al nostro fianco.
Per chi aveva sete fu provveduto con una scodella di maraschino, inviatoci da un amico di Thiene. Acqua non ce n'era, né si poteva andarla ad attingere al pozzo del Rifugio
Granezza, data la situazione.
Armi non fu possibile darne ai fascisti perché non erano
sufficienti nemmeno per noi.
In quel trambusto e nell'alternarsi di notizie, ora rassicuranti
ora meno, ogni tanto pensavo ad Attilio Dal Cengio e a sua
madre che credeva che il figlioletto fosse al sicuro.
Quando i tedeschi raggiunsero il nostro accampamento,
sparando raffiche a non finire su di noi, riuscimmo a sganciarci senza essere colpiti, facendo salti acrobatici per superare tronchi e dirupi. Dopo varie peripezie riuscimmo a
rompere l'accerchiamento e a fermarci per un breve riposo.
Io mi sedetti su un grosso sasso, appoggiandomi alla schiena di mio cognato Mario Mabilia; nonostante la pioggia, mi
addormentai. Ripresa la strada su per uno scaranto, dopo
lungo vagabondare nel buio, arrivammo a Bocchetta Granezza.
Riuscimmo ad evitare i tedeschi, ivi appostati, e a correre a
precipizio verso la pianura. Ad un certo punto fummo arrestati da una raffica di mitra e da una intimazione: "Fermi
tutti, uno in mezzo alla strada!".
Per tutta risposta noi riprendemmo la fuga a tutta velocità,
saltando da scarpate, rompendo i fili di ferro dei filari d'uva.
Saltando da una masiera, caddi in mezzo ad un aggrovigliato
cespuglio di rovi. Mi vidi perduto.
Mentre stavo in quella penosa posizione, con le spine dei
rovi che mi pungevano in tutte le parti del corpo, mi sono
sentito un gran colpo sulla schiena. Era Attilio Dal Cengio
che mi aveva seguito nel salto e mi era rovinato sopra. Con
quella botta riuscimmo a districarci da quel rusaro. Attilio,
ora siamo al sicuro, gli dissi.
Nell'attraversare un affluente dell'Astico, facemmo anche
un bel bagno. Ci perdemmo di vista. Ci ritrovammo, però, a
Dueville, nel Bosco, tutti, meno uno: Nino Baù (Riccardo),
catturato dai fascisti a Canove di Roana.
Quelli che ci avevano sparato ed intimato di fermarci non
erano fascisti ma i miei partigiani che erano venuti con me a
260
prelevare il formaggio a Sandrigo e lo stavano trasportando
a Granezza. Quel nostro avventuroso incontro li aveva
messi in allarme. Fecero dietro-front, riportando al sicuro il
prezioso carico.”
Adriano
Giuseppe
Dall'Amico
fu Giuseppe e Giorio Orsola,
Partigiano, classe 1926.
Il Partigiano Tipografo. Tipografo, amico dei fratelli Garzaro e tra i primi organizzatori della lotta armata a Preara. Milita nella "Mazzini" dal 1 marzo 1944 al 30 aprile 1945.
(Lib. Pers. n° 099967 - Cert. Alexander n° 291112).
Rino
Dall'Osto
fu Giacinto e Moro Domenica,
Partigiano, classe 1922.
Già Caporal maggiore del Genio, autiere meccanico nell'Autocentro di Firenze, dopo l'8 settembre, sbandato, riesce a tornare a casa. Giunto a Montecchio ritorna a lavorare
per la Ditta Girardini, che però è subito costretta a licenziarlo su ordine dei fascisti locali, in quanto renitente al richiamo alle armi. E' quindi costretto a darsi alla macchia e,
catturato per ben due volte dai Carabinieri della Stazione di
Dueville, ma viene sempre lasciato fuggire.
Nel febbraio 1944 entra nella Resistenza, assieme a lui ci
sono Vittorio Buttiron, Livio e Sandro Campagnolo, Giovanni Garzaro, i fratelli Bruno e Giuseppe Saccardo, Giuseppe Gnata, Francesco Campagnolo "Checonia" e Giuseppe Limosani, originario di Foggia, ospite e commilitone
di Giovanni Tretti. Partecipa a varie riunioni organizzative
presso i roccoli Gnata, Tretti e Saccardo.
Il 20 aprile, sfuggito al rastrellamento organizzato per portare i renitenti e gli sbandati alla conferenza nera, è costretto
a nascondersi proprio tra la siepe e la Roggia Montecchia, di
fronte alla Casa del Fascio di Preara. Sente le raffiche di mitra esplose contro Livio, ma soprattutto è costretto ad ascoltare, prima gli urli di dolore e le richieste d'aiuto dell'amico provenire da quella macchina, poi più nulla. Nel luogo
dove la macchina fu parcheggiata rimase una enorme macchia di sangue.
Il giorno seguente Rino cerca Giuseppe Gnata e Vittorio
Buttiron, ed assieme decidono di fare qualcosa per la fami-
261
glia dell'amico e per il suo funerale.
Dopo il rastrellamento di Montecchio dell'11 agosto 1944,
dopo l'arresto intimidatorio della sorella e della mamma, su
promessa fatta dal reggente del fascio Ludovico Dal Balcon
alla cognata "Nana", moglie del fratello Bortolo, di una veloce liberazione delle due donne, Rino si costituisce.
Accompagnato in camionetta direttamente da Ludovico
Dal Balcon e altri due militi repubblichini, viene trasferito a
Vicenza e portato alle Casermette di Porta Padova. In cella
trova Giuseppe Grotto, Giuseppe Gnata, Mariano Saccardo, Alessandro Dal Santo e Vittorio Buttiron, che sono già
stati interrogati e picchiati. Dopo un'ora tocca a Rino che
interrogato dal capitano Giovan Battista Polga da Lugo,
non subisce stranamente maltrattamenti. Messo in una cella,
dopo poco ha la compagnia di un altro detenuto, uno di
Monza, arrestato, dice, perché sospettato di essere una staffetta partigiana; anche lui non è stato picchiato e soprattutto
fa troppe domande. Rino fiuta l'inganno. Il 21 agosto è incarcerato a S. Biagio.
La mamma di Rino intanto si era data da fare e riesce a parlare con una signora ("giovane, mora, molto bella") che,
sfollata da Vicenza, alloggia presso l'Osteria "Al Paradiso"
(dalla "Sabina", da "Testolin", oggi in Via S. Francesco a
Preara) e si diceva fosse l'amante di un Colonnello delle brigate nere. Sta di fatto che, Rino, già fatto abile al lavoro in
Germania, il 14 novembre riceve la visita del Tenente Colonnello Ottorino Caniato da Polesella (Ro).
Nega ovviamente di essere un ribelle, anzi gli racconta di
essere stato un "balilla" e poi un atleta della "Gioventù del
Littorio", di aver fatto il suo dovere di soldato dal 1941 e
che, all'8 settembre, come tutti cercò di tornare a casa, dove
trovò una famiglia numerosa e bisognosa d'aiuto, due fratelli uno in Germania e l'altro prigioniero degli Alleati, ...
Sembra convincere il Colonnello, che promette il suo aiuto,
anche se precisa che da Montecchio ci sono forti pressioni
contrarie e che quindi è indispensabile ottenere una dichiarazione del Reggente del Fascio, quale prova della sua fedeltà alla R.S.I.; è altresì indispensabile che Rino accetti di arruolarsi, pur in un reparto vicino a casa ed con una buona
paga.
262
Il Colonnello ordina di portarlo al paese e gli consegna una
lettera di accompagnamento. Giunto a casa nel primo pomeriggio, sempre scortato da due angeli custodi repubblichini, fa visita alla famiglia, alla signora del Colonnello e
verso sera attende che Dal Balcon torni a casa dalla Polveriera. Accolto amichevolmente, consegna la lettera e ottiene
la promessa che il giorno successivo avrebbe consegnato la
dichiarazione alla mamma.
Quando, il giorno seguente, la cognata Nana e sua madre,
che è anche la madrina di Dal Balcon, vanno a ritirare la
carta, ricevono una inaspettata, fredda e lapidaria risposta:
"Non scriverò né oggi, né mai nessuna dichiarazione! Rino
merita di andare a morire in Germania!"
Il 17 Rino viene trasferito alla Caserma della Misericordia; il
18, dopo il grande bombardamento di Vicenza, la partenza
viene rinviata; ma il 20 novembre, come Giuseppe Grotto,
Alessandro Dal Santo, i fratelli Bruno e Giuseppe Saccardo,
parte da Vicenza in un convoglio bestiame destinato in
Germania. Arrivato a Peschiera il treno è costretto a fermarsi per i bombardamenti e i sabotaggi; Rino resta in carcere per cinque giorni, perde i contatti con i suoi quattro
compagni e la notte del 27, caricato su un carro bestiame,
assieme ad altri partigiani della Val D'Ossola, parte per la
Germania.
Vedi anche Albo "Deportati ",.
Michelangelo fu Sebastiano e Dal Sasso Maria,
Giaretta
Partigiano, classe 1926.
Gappista, Partigiano, Deportato Politico.
Figlio dell'anti-fascista Sebastiano Giaretta e nipote di Poletti
Ercole, primo Podestà di Montecchio Precalcino
(192630). Il 25 luglio 1945, alla caduta del regime fascista, erano
già sei mesi che Michelangelo viveva a Verona, dove lavorava come ferroviere al Deposito Locomotive, assieme al collega, amico e compaesano Federico Doria.
"Passati i primi momenti di euforia, si ritornò alla dura realtà, perché la guerra continuava." Iniziarono le riunioni clandestine "... dove si parlava di politica, di come sarebbe stata
governata l'Italia e soprattutto di come far cessare la guerra."
Ed è proprio da queste vere e proprie lezioni sulla libertà, la
263
giustizia, la democrazia (argomenti sconosciuti per chi era
cresciuto sotto il fascismo), tenute anche dal Rettore dell'Università di Padova, Concetto Marchesi, che Michelangelo fa
la sua scelta di campo e di valori, una scelta che non tradirà
mai più.
A Verona, l'8 settembre 1943, aiutati in tutti i modi dalla popolazione e dai ferrovieri, i nostri soldati riescono in gran
parte a non farsi catturare dai tedeschi. Il 10 tutti i ferrovieri
vengono schedati, fotografati e muniti di lasciapassare. Ma
gli incontri clandestini continuano e si inizia ad organizzare
atti di sabotaggio. Michelangelo entra così nel G.A.P. (Gruppo di Azione Patriottica) delle FF.SS. di Verona e come giovane "staffetta" è addetto al recupero e trasporto, anche in
bicicletta, di armi, bombe a mano ed esplosivo.
A fine febbraio 1944, a causa di un pesantissimo bombardamento aereo che distrugge gli impianti ferroviari di Verona Porta Nuova, fu trasferito a Vicenza e anche qui entrò nel
locale G.A.P. Con il ritorno a casa e avvantaggiato dal possedere il lasciapassare, prende contatto con i Patrioti del suo
paese che si stanno organizzando in formazione partigiana:
Italo Mantiero da Novoledo, Francesco Maccà, Sante Carolo, Toni Sabin, Giuseppe Lonitti, Stefano Brusamarello da
Dueville, ed altri.
Nel giugno '44, dopo il bando di chiamata alle armi anche
per il "primo semestre 1926", Michelangelo è licenziato, gli
viene ritirato il lasciapassare e ordinato di presentarsi al Distretto Militare di Vicenza; viceversa, lui torna a casa e diventa renitente.
L'attività principale in quel periodo è ascoltare Radio Londra, prelevare materiale bellico dei repubblichini, recuperare
armi ed esplosivi che gli inglesi fornivano tramite appositi
lanci aerei, raccogliere informazioni per gli Alleati ed eseguire più sabotaggi possibili.
L'11 agosto i repubblichini del maggiore Mantegazzi, impegnati nel rastrellamento di Montecchio, si presentano in forze a casa di Michelangelo, non trovandolo arrestarono suo
padre. Chiesto consiglio al suo comandante (Italo Mantiero
"Albio") e sotterrate dal fratello Pietro le armi che teneva
custodite a casa, il 14 agosto si presenta al Distretto Militare
di Vicenza.
264
Purtroppo è subito riconosciuto come un bandito delle ferrovie; lo portarono prima alla Caserma della Misericordia a
San Marco e poi, incatenato, attraverso tutto il Corso, sino
alla caserma di S. Michele. Qui, prima lo bastonano selvaggiamente e poi lo buttano in una cella con Pino Balasso,
Giuseppe Grotto, Vittorio Buttiron, Rino Dall'Osto, Augusto Marchiorato, Bruno e Giuseppe Saccardo. Trova anche
Checheto Maccà, una maschera tumefatta di sangue, che riesce
però a sussurrargli: "Non ho parlato, Michelangelo non parlare!". Lo interrogano e lo torturano ancora molte volte, vogliono sapere del G.A.P. della F.S. di Vicenza, del suo capo
Gino Corato, dei sabotaggi e distruzioni di locomotive, ma
Michelangelo non parla.
Trasferito alle carceri di S. Biagio, il 24 agosto 1944 lo prelevano alle quattro del mattino ed assieme ad un'altra trentina
di detenuti, lo portano alla Stazione Ferroviaria, lo caricano
su un carro-bestiame a due piani e, scortato da militi della
GNR, è deportato in Germania.
Il giorno seguente, alle sei del mattino è a Villach; sono fatti
scendere dal treno, condotti nel campo di smistamento e
consegnati alla polizia tedesca. Il mattino del 26, viene fatto
l'appello; vogliono accertarsi che tutti siano presenti, in caso
contrario i repubblichini di scorta, al loro rientro, avrebbero
dovuto ordinare rappresaglie contro le famiglie dei fuggitivi.
Il 27 vengono fatti risalire nei carri e attraversato il Tirolo,
verso sera sono a Monaco; il mattino seguente a Lipsia, e a
mezzogiorno a Bitterfeld in Sassonia.
Ritornerà a casa esattamente un anno dopo, il 28 agosto del
1945, quando tutti lo credevano morto, non avendone mai
ricevuto notizie.
Nel dopo-guerra, fedele ai valori per cui a combattuto, lo
troviamo per molti anni dirigente e Consigliere Comunale
Socialista e nel lavoro; abbandonate le ferrovie, diventa un
imprenditore di successo. Da sempre occupato nel sociale e
impegnato nella salvaguardia della memoria della Resistenza,
è tra i fondatori e Presidente della locale Sezione Partigiani e
Volontari per la Libertà "Livio Campagnolo".
La comune militanza partigiana e l'amore per il ciclismo,
hanno consolidato la già grande e fraterna amicizia che lo
lega da sempre a Sante Carolo. Vedi anche Albo "Deportati
265
Politici".
Giuseppe
Francesco
"Bepin"
Grotto
266
fu Giuseppe e Duso Angela. Partigiano, classe 1920.
Il Partigiano disarmato.
Già Guardia alla Frontiera
del 21° Settore di Copertura a Cividale del Friuli, dopo l'8 settembre, sbandato,
riesce a tornare a casa. Anti-fascista e cattolico militante, è da subito in contatto con la cellula resistenziale dell'Azione Cattolica di Montecchio, soprattutto nella figura di
Antonio Sabin e Don
Giovanni Marcon. Nella primavera 1944, dopo la morte di
Livio Campagnolo e la cattura di Francesco Checonia, organizza con Antonio Sabin, nel boschetto sotto Casa Mazzaggio, in Val Capella, un'incontro con il gruppo di giovani resistenti di Preara (Gnata, Buttiron, Dall'Osto, Caretta, Cozza, Dal Santo, Dall'Amico, ed altri) e tre capi della Brigata
"Mazzini"(Rino Berton, Giuseppe Tagliapietra e Italo Mantiero), al fine di riorganizzare la struttura clandestina locale.
Con Don Giovanni Marcon è anche l'artefice del salvataggio di decine di giovani di Montecchio Precalcino dal rastrellamento dell'11 Agosto 1944; informati dai Carabinieri
di Dueville, passano l'intera nottata ad avvisare più ragazzi
possibili dell'imminente trappola. Il risultato è che le decine
e decine di militi della Guardia Nazionale, della Polizia Ausiliaria, e un reparto di alpini "neri", sguinzagliati il mattino
seguente per i campi, il greto dei torrenti Astico e Igna, le
strade, le case e la collina di Montecchio, non riescono a
catturare quasi nessuno.
Ma, ovviamente, la beffa subita non può restare impunita e
con alcuni fascisti locali a fare da guida, vigliaccamente, i
nazifascisti si rivalgono contro i familiari dei più sospettati:
nel caso di "Bepin" Grotto, è la G.N.R. che circondano la
sua casa e, non trovandolo perché nascosto nel Roccolo di
Arturo Tretti, arrestarono per ritorsione il padre.
Alcuni dei ragazzi sfuggiti al rastrellamento e che avevano
subito l'arresto dei genitori, dopo alcuni giorni decidono di
incontrarsi per stabilire cosa fare; ma per Giuseppe Grotto
e i suoi amici non restava altro che consegnarsi.
Su disposizione del reggente del fascio Dal Balcon, sono
portati alle Casermette di Porta Padova. Giuseppe Grotto è
interrogato e torturato per ore direttamente dal capo del reparto di Polizia Ausiliaria in forza alla Questura di Vicenza,
il capitano Giovan Battista Polga da Lugo Vic.; volevano
sapere a tutti i costi chi lo avesse informato del rastrellamento, chi erano gli infiltrati, chi i capi..., ma Giuseppe
non parla.
Prima di sera i fascisti caricano tutti su camion scoperti e li
portano a fare il giro della città, cantando e urlando, sino
alla caserma San Michele: lì Giuseppe è messo in cella con i
fratelli Saccardo, Giuseppe Limosani e Francesco Maccà,
altre vittime del rastrellamento. Il giorno successivo vengono trasferiti a San Biagio.
Quando i parenti vanno a trovare i ragazzi rinchiusi a San
Biagio, di fronte alle carceri trovavano spesso ad attenderli,
per deriderli e minacciarli, il concittadino e neo tenente colonnello Ugo Basso, Capo di Stato Maggiore della Brigata
Nera "Faggion" di Vicenza, ma anche ex Segretario Comunale di Montecchio Precalcino.
Il 17 novembre, viene trasferito dalla "Misericordia" a San
Marco, l'ex orfanotrofio, divenuto caserma della 22^ Brigata Nera "Faggion", e quell'improvviso trasferimento significava solo una cosa; era stato condannato alla deportazione e
con lui, Rino Dall'Osto, Alessandro Dal Santo, Bruno e
Giuseppe Saccardo.
E' inutile la richiesta d'aiuto del padre al capitano della
Guardia Nazionale Repubblicana di Vicenza, Paolo Martini
"Brusolo", suo compaesano e figlio di una cugina; ed inutile
è il tentativo di Giuseppe di "marcare visita".
Devono partire per la Germania il 18 novembre; ma a causa
del famoso bombardamento con le bombe a spillo, la partenza viene sospesa; partono il 20 novembre, ma a Peschiera il convoglio è costretto a fermarsi per i bombardamenti e
i sabotaggi. Perde di vista i suoi concittadini e il 27 novembre il suo convoglio riparte, ma è costretto nuovamente a
267
fermarsi a Verona S. Michele.
"Bepin" Grotto viene provvisoriamente incarcerato presso
la caserma "Montorio", da dove alcuni giorni dopo riesce ad
evadere. Lui è sempre stato convito che è stata la Beata
Vergine Maria Assunta, alla quale si era devotamente rivolto, a non lasciarlo partire.
Il 25 gennaio 1945, a Montecchio c'è un nuovo rastrellamento; a compierlo questa volta è un reparto di "alpini neri", partito dalla Caserma "Durando" di Vicenza. Giuseppe
viene nuovamente catturato e imprigionato nell'Osteria di
Maccà, in piazza a Montecchio.
Trasferito a Vicenza, non riconosciuto come recidivo e perché febbricitante, viene ricoverato all'infermeria del Carcere
di San Biagio. L'astuzia di Monsignor Sette, Cappellano delle Carceri, e l'influenza di Suor Demetria, la Superiora di S.
Biagio, due pilastri dell'organizzazione clandestina, riuscirono a farlo liberare ed assumere all'Ispettorato Militare del
Lavoro di Vicenza.
Deve recarsi ogni giorno al lavoro coatto; ma può tornare
ogni sera a casa. Deve comunque avere molta accortezza
per non essere riconosciuto; entrando ogni mattina a Vicenza da San Bortolo, non passare mai per San Marco, perché ad attendere i lavoratori coatti spesso c'è il suo concittadino Ugo Basso, promosso dopo il rastrellamento del
Grappa a colonnello e ora vice-comandante della 22^ Brigata Nera "Faggion" di Vicenza, che con il frustino ed aizzando il suo cane lupo, si diverte a tormentare e a minacciare.
Il 12 maggio 1945 (anzichè il 25 aprile, come deciso), Giuseppe sposa Caterina Bagattin, che, ironia della sorte, è una
testimone diretta della partecipazione della Squadra d'Azione di Montecchio Precalcino e soprattutto del suo comandante Ludovico Dal Balcon, detto il "Gobbo", al terribile
rastrellamento di Malo del 1 dicembre 1944, quando di
fronte alla sua casa, picchiò e tentò ingiustificatamente di
mettere al muro suo padre.
Nel primo dopoguerra, il capitano "nero" Paolo Martini
"Brusolo" (quel compaesano e parente che gli negò l'aiuto
quando era destinato in Germania), a sua volta arrestato e
sotto processo, chiese ed ottenne da Giuseppe una dichia-
268
razione che attenuasse le accuse a suo carico.
Anni fa, alla domanda di come si sarebbe comportato se
avesse incontrato ancora il reggente del fascio Ludovico
Dal Balcon o il capitano Paolo Martini, mi rispose candidamente: "Li saluterei. Direi loro: “vi lascio con il vostro
rimorso. Io? Io vi perdono... al resto penserà Dio!"
Vedi anche Albo "Resistenti 8 settembre".
Giuseppe
Limosani
fu Elia e Longo Adelaide
Partigiano, classe 1922.
Originario di San Giovanni Rotondo (Fo), dopo l'8 settembre, sbandato, assieme ai commilitoni Pellegrino La Notte e
Giovanni Tretti, si rifugiano a casa di quest'ultimo, a Montecchio Precalcino.
Giuseppe Limosani trova alloggio sicuro in Casa Tretti, vicino alla chiesa di San Rocco, Pellegrino La Notte, trova
ospitalità in Casa Gallio, nell'omonima corte di Preara,
Giovanni Tretti, viceversa, risolve drasticamente il problema del richiamo alle armi, facendosi dichiarare "infermo di
mente" dal Dott. Prof. Altieri (ginecologo, sic!), ospite e
sfollato in casa del cugino Alberto Tretti, in Piazza a Montecchio.
A Limosani e a La Notte vengono consegnate anche due
carte d'identità contraffatte e con una data di nascita che
non li assoggetta alla leva militare, opera di Giuseppe Cerbaro, allora Ufficiale dell'Anagrafe.
Tutti e tre entrano successivamente nella Resistenza, ma è
certamente Giuseppe il più attivo.
Nella notte precedente al rastrellamento dell'11 Agosto
1944, avvisato del pericolo, ma sicuro del suo nascondiglio,
preferisce restare in Casa Tretti. Purtroppo i brigatisti neri
sembrano andare sul sicuro e dopo un'attenta perquisizione
infruttuosa, con la minaccia di dar fuoco a tutta la casa (avevano già iniziato ad accatastare fascine di legna) e di fucilarla, riescono a far parlare la donna di servizio, certa Maria
Zampieri da Sandrigo. La povera donna li porta in una
stanza del piano superiore, dove in un armadio c'è il passaggio che immette in una strettissima stanza ricavata costruendo un secondo muro verso il fienile e lì trovano Giuseppe Limosani.
269
La famiglia Tretti viene cacciata e costretta a risiedere in
Sandrigo; la loro casa viene completamente spogliata e destinata ad alloggio di truppe germaniche; la Signora Teresa
Caterina "Rina" Tretti, detta la Paronsina (sorella di Cesare
Tretti e zia di Giovanni) e la Signora Maria Zampieri, vengono incarcerate; per riconquistare la loro libertà, una delle
due è costretta ad indicare ai repubblichini dove fosse nascosto il "tesoro Tretti" (una cassa con l'argenteria di famiglia e la collezione di monete d'oro e d'argento dell'ex Sindaco e Podestà Cesare Tretti; un tesoro del peso netto di
oltre 20 Kg e del valore di oltre 20 milioni di lire di allora); a
loro volta, i fascisti, visti prelevare la refurtiva dai tedeschi,
vengono costretti a consegnare loro la cassa, che si perderà
nelle nebbie della storia. La Signora "Rina" Tretti resta comunque in prigione almeno 40 giorni.
A questa vicenda, non poteva ovviamente mancare un antefatto altrettanto avvincente: Giuseppe Limosani è un bel
giovane di 22 anni che, ospite in Casa Tretti, inizia a corteggiare la sorella diciannovenne dell'amico Giovanni, Emma
Margherita Tretti.
Alla mamma Maria Alessi, alla nonna Margherita Emma
Baldini e alla zia “Rina”, Teresa Caterina Tretti, il fatto che
quel giovanotto ("che già dovevano ospitare e mantenere,
che non lavorava e se ne andava sempre in giro"), facesse il
cascamorto con la giovane Emma, non andava proprio giù;
superava tutti i limiti della sopportazione.
Parlarono probabilmente dei loro crucci con una famiglia
che pensavano amica, la famiglia Scaroni da Vicenza, sfollata nella loro villa di Mirabella di Breganze dal 1941 (ex-villa
Marzotto); una famiglia tristamente nota nell’ arcipelago nazi-fascista vicentino:
- la signora Maria Luigia Bassani, che chiede protezione ed
ospita in casa sua un presidio germanico, successivamente un comando della X Mas ed infine un presidio della
Flak germanica;
- la signorina Maria Scaroni, iscritta al Partito Fascista Repubblicano, in stretti rapporti con i tedeschi e in almeno
una occasione ha già organizzato un rastrellamento a
Breganze ai danni del Comando "Garemi".
- il signorino Umberto Scaroni, tenente della Guardia Na-
270
zionale Repubblicana, con tanto di attestato di benemerenza del comandante del corpo Renato Ricci;
- l'Avv. Gio Batta Scaroni, vice podestà di Vicenza e alto
ufficiale della Brigata Nera "Faggion" di Vicenza.
Certamente le signore Tretti, il cui anti-fascismo è fuori
dubbio, se lo hanno fatto, non ne immaginano le conseguenze e sicuramente si pentono di aver parlato con tali
personaggi, tanto che, quando nel rastrellamento dell'11 agosto arriva in Via S. Rocco almeno uno degli Scaroni e il
maggiore Mantegazzi con i suoi militi della G.N.R., la Signora "Rina", unica della famiglia presente, non è assolutamente disponibile ad indicare il nascondiglio del Limosani e solo la Signora Maria Zampieri alla fine viene costretta a parlare.
Giuseppe Limosani è portato a Vicenza, e subito incarcerato nella caserma di Ponte S. Michele, assieme ai fratelli Saccardo e Checheto Maccà, subiscono un pesantissimo interrogatorio e torture inaudite, ma non parlano. Vengono successivamente imprigionati a San Biagio. Qui di Limosani
perdiamo le tracce; sappiamo solo che nel dopo guerra torna a San Giovanni Rotondo e diventa insegnante elementare.
Amelio
Sabin
fu Pacifico e Berlato Maddalena
Partigiano, classe 1912.
Già del 57° Regg. Fanteria a Vicenza, l'8 settembre, sbandato, riesce a tornare a casa e, assieme al fratello Antonio, entra nella Resistenza.
Sul pendio est di Montecchio sorge ancora la vecchia casa
dei fratelli Amelio e Antonio Sabin (Via Feo), ora ristrutturata, che durante tutta la Resistenza, per la sua posizione
isolata, è diventata il rifugio di molti sbandati e renitenti,
partigiani, ebrei e soldati alleati, nonché sede del locale comando partigiano.
Giuseppe
"Pino"
Garibaldi
Vittorio E.
Sabin
fu Gio Batta e Gardellin Livia
Partigiano, classe 1917. Il Partigiano pilota.
Giuseppe, nel 1938 è presso la Scuola volo di Grosseto. Nel
1940 è sergente pilota della 167^ Squadra d'assalto, 50°
Stormo, 16° Gruppo, in Africa, dove utilizza i BREDA 65 e i
271
FIAT CR 32.
Rimasti a corto di aerei, viene trasferito in Sicilia, promosso Sergente maggiore Pilota e inquadrato nella
169^ Squadriglia Caccia terrestri, 54° Stormo, 16° Gruppo,
dove utilizza i MACCHI MC200 "Saetta" e successivamente i
MACCHI MC 202 "Folgore".
L'8 settembre 1943, dopo un periodo di convalescenza,
prima di tornare operativo, è di stanza all'aeroporto di
Campoformido (Ud), al 1° N.A.C. (Nucleo Addestramento
Caccia), 2° Reparto Volo. Come pilota di caccia è una preda
ambita per i tedeschi, ma riesce comunque a non farsi catturare ed entra in clandestinità. Tenta più volte di raggiungere il Sud Italia per combattere da pilota contro i nazifascisti, non riuscendoci torna a casa e dal luglio 1944, è aggregato alla Brigata "Loris"(Cert. Alexander n° 346706).
E' decorato con Medaglia di Bronzo al Valor Militare
“Pilota da caccia, in 74 azioni di scorta a convogli navali ed aerei,
dava costante prova di ardimento e perizia professionale" Cielo del
Mediterraneo, 26 luglio 1940 – 24 settembre 1942”, tre Croci al
Merito di Guerra, Medaglia d'Argento e Medaglia di Bronzo
dell'Aeronautica, Croce d'Argento e Croce di Bronzo dell'Aereonautica. E' autorizzato di fregiarsi del distintivo di 2°
Grado (Argento) specialità "Caccia Intercettori" e dei "Volontari della Libertà"; è autorizzato a fregiarsi del distintivo
della "Guerra di Liberazione", con 2 stellette.
Nel dopoguerra, Giuseppe torna a volare e dal 1 gennaio
1946 è promosso Maresciallo Pilota di 3^ Classe.
Bruno
Saccardo
272
fu Girolamo e De Poi Elisabetta
Partigiano, classe 1922.
Già Artigliere al 20° Reggimento Artiglieria, Divisione
"Piave" a Padova, dopo l'8 settembre riesce a tornare a casa.
E' tra i primi organizzatori con il fratello Giuseppe della lotta armata a Preara. L''11 agosto 1944, i repubblichini della
G.N.R, anch'essi impegnati nel rastrellamento di Montecchio, si presentano a colpo sicuro nella loro casa in Via San
Rocco, 9 e, individuato velocemente il nascondiglio li catturano. Trasferiti a Vicenza, prima alle Casermette di Porta
Padova, poi presso la ex Caserma dei Carabinieri di Ponte
S. Michele (lasciata libera da questi quando furono catturati
dai tedeschi e mandati in Germania), ora ad uso della Guar-
dia Nazionale Repubblicana e dove è di casa il famigerato
maggiore Paolo Antonio Mantegazzi. Con Giuseppe Limosani e Checheto Maccà, subiscono un pesantissimo interrogatorio e torture inaudite. Successivamente vengono trasferiti
alle carceri di San Biagio, dove vi rimangono sino a 18 novembre, quando , come Rino Dall'Osto, Alessandro Dal
Santo e Giuseppe Grotto, vengono destinati alla deportazione in Germania. Bruno torna a casa il 10 Luglio 1945.
Vedi anche Albo "Deportati Politici"
Giuseppe
"Bepi"
Saccardo
fu Girolamo e De Poi Elisabetta
Partigiano, classe 1926 – Caduto nel 1945 - anni 19.
Partigiano della "Mazzini" e fratello di Bruno Saccardo, con
cui dividerà la lotta clandestina, il carcere, la tortura e la deportazione in Germania. Sono segregati nel Lager di Leihtmberg, nei dintorni di Berlino.
Il 21 aprile 1945, quando Berlino è già sotto assedio russo e
i deportati stanno lavorando a spostare macerie in città, durante un ennesimo bombardamento, Giuseppe Saccardo
viene ucciso.
Il 23 Aprile i Sovietici liberano il Lager di Leihtmberg e il
fratello superstite.
La triste notizia della morte di Giuseppe è portata a Montecchio da Antonio Polo di Vallà di Riese Pio X (Tv).
Vedi anche Albo "Caduti" e "Deportati Politici".
Emilio
Girolamo
Velgi
fu Miro e Farina Stella,
Partigiano, classe 1922 - Carabiniere Partigiano.
Già Carabiniere della Legione Territoriale di Verona, sino
al febbraio-marzo 1944, quando, per sottrarsi alla cattura
organizzata a danno dei Carabinieri di Vicenza dai tedeschi,
è costretto a entrare in clandestinità. Il 15 marzo, dopo essere tornato a casa (Contrà Giudea n° 10) entra ufficialmente nella Brigata "Mazzini" (Lib. Pers. n° 099832 - Cert. Alexander n° 291047).
Subito dopo la Liberazione, l'8 giugno 1945, Emilio è richiamato in servizio nei Carabinieri e destinato, prima al
Comando Gruppo di Vicenza, poi alla Stazione di Schio e
di Valli del Pasubio. Viene congedato il 1 gennaio 1946. Nel
1950 entra nella Polizia Municipale di Lonigo, dove conclu-
273
derà la sua carriera come Comandante. Il papà era il postino
comunale di Montecchio.
Vedi anche Albo "Carabinieri"
BRIGATA "PINO"
1^ DIVISIONE GARIBALDINA D'ASSALTO "ATEO GAREMI"
ALTOPIANO DEI SETTE COMUNI (VICENZA)
Gino
Artuso
fu Arcangelo e Dalla Valle Giustina
Partigiano "Serraglio", classe 1925.
Soggetto all'arruolamento obbligatorio, il 3 dicembre 1943,
sotto la minaccia di ritorsioni famigliari, è costretto a presentarsi al Distretto Militare della Repubblica Sociale Italiana di Vicenza, ed è arruolato come bersagliere.
L'11 aprile 1944, fugge dalla Caserma di Schio, diserta ed
entra nella Resistenza armata.
Combatte in Altopiano di Asiago sino alla Liberazione.
BRIGATA "FIAMME VERDI"
GRUPPO BRIGATE "7 COMUNI"
DIVISIONE ALPINA "MONTE ORTIGARA"
ALTOPIANO DEI SETTE COMUNI (VICENZA)
Federico
Vittorio
Doria
274
fu Valentino e Gardellin Elena Luigia
Partigiano "Nero", classe 1925.
Certificato Alexander n° 082302. Ferroviere fuochista
presso il Deposito Locomotive di Verona, amico e collega
di Michelangelo Giaretta. Il 4 febbraio 44 è arrestato dai fascisti e condotto alle Casermette di Cesa Nuova, alle porte
di Padova, e arruolato come Geniere nel 117° Battaglione
Genio Fortificazioni, 4^ Comp. (lo stesso reparto del Dott.
Attilio Dal Cengio). Tenta subito la fuga, ma viene ripreso.
Con il suo reparto lavora al ripristino di linee ferroviarie e
stazioni, e per fare ciò, viaggiando in carri bestiame, arriva
sino a Roma. Nel maggio, con l'incalzare degli Alleati, il
comandante è costretto a scioglie il Battaglione.
Federico, partito da Nocera Umbra, a piedi o con mezzi di
fortuna, dopo venti giorni è casa.
Saputo dove era possibile prendere contatto con le formazioni partigiane di montagna, sale a Lavarda, alle pendici
dell'Altopiano, presso la famiglia Gnatta. Viene armato di
"parabellum", quattro caricatori e due bombe a mano americane.
Resta nascosto con altri dieci ragazzi per alcuni giorni, poi,
ai primi di luglio, partono alla volta del Bosco Nero di Granezza, con rifornimenti di viveri ed armi. Il comandante la
Squadra è "Giraffa", alias Gnatta Giovanni, Sergente maggiore degli Alpini.
Raggiunta Granezza "...venni presentato ad un partigiano
sdraiato su di una barella fatta di paletti di legno e con un
materasso fatto di migliaia di aghi verdi. Questo partigiano
dalla barba incolta e sofferente, mi chiese notizie di Dueville e Montecchio,... è Arnaldi, Vice-Comandante la Brigata e
futura Medaglia d'Oro!". E' assegnato alla 3^ Compagnia
(Comandante "Schena", alias Sasso Mario), che presidia il
Monte Sprunch, a nord-est di Granezza.
In agosto viene raggiunto dal fratello Andrea, poco prima
del grande rastrellamento.
Dopo la battaglia di Granezza, riusciti a sganciarsi, riescono
a tornare a casa.
Vanno a lavorare con la TODT, prima a Vicenza a scavare
fosse anticarro, poi a Vallonara a scavare una galleria per
l'artiglieria pesante.
Durante un controllo della G.N.R., vengono riconosciuti,
arrestati e imprigionati a Marostica. Dopo cinque giorni sono trasferiti a Bassano e da Bassano a Villa Cabianca a Longa di Schiavon, sede delle Waffen SS Italiane e loro scuola
antispionaggio.
Il 28 aprile tutti i prigionieri di Villa Cabianca si sollevano;
riescono ad occupare il fortino del comando ed ad opporsi
agli attacchi dei tedeschi in transito. Con quest'azione viene
messo al sicuro anche il tesoro della sinagoga di Firenze.
Andrea
Valentino
Doria
fu Valentino e Gardellin Elena Luigia,
Partigiano, classe 1924.
Già giovane recluta del 41° Reggimento Fanteria ad Impe-
275
ria, dopo l'8 settembre, sbandato, riesce a tornare a casa ed
entra nella Resistenza.
Nell'agosto '44, raggiunge il fratello Federico in montagna e
partecipa alla battaglia di Granezza. Successivamente ne seguirà le peripezie sino alla Liberazione.
G.A.P. FERROVIERI
GRUPPO DI AZIONE PATRIOTTICA
FF.SS. DI VICENZA
Lino
Vespertini
fu Giuseppe Celestino e Zanella Felicita Maria,
Partigiano, classe 1912.
Originario di Vedelago (Tv), durante la guerra è il responsabile della Stazione FF.SS. di Montecchio - Villaverla. La
Stazione, non lontana dall'aereoporto di Rozzampia, funge
spesso da scalo logistico per tedeschi e repubblichini e il
"gappista" Lino ha un ruolo strategico, sia sotto il profilo
delle informazioni che può raccogliere, sia per sottrarre
prezioso materiale per la Resistenza. Pur appartenendo ad
una cellula resistenziale "d'elite", quando ne ha l'occasione,
non ha disdegnato di partecipare direttamente anche ad un'
azione con i partigiani di Levà.
Finita la guerra si trasferisce a Lonigo per motivi di servizio.
BRIGATA "OSVALDO ALESONATTI"
11^ DIVISIONE GARIBALDINA
VALLI DI LAURO (TORINO)
Antonio
Francesco
Dall'Osto
276
fu Dall'Osto Rita,
Partigiano "Toni", 1922 – Caduto nel 1945, a anni 23
Comandante di Distaccamento.
Pompiere a Torino prima della guerra, ha fatto il militare
nel 2° Reggimento Genio.
L'8 settembre '43, si trovava in licenza di convalescenza.
Nel novembre è costretto a rientrare al corpo, ma nel gennaio 1944, diserta ed entra nelle formazioni partigiane gari-
baldine, dove il 2 febbraio 1944 diventa Comandante di Distaccamento (Libretto Personale n° 2713 – la Comm. piemontese gli assegnò il n° 2400 – all'Uff. RICOMPART di Roma gli è intestato il fasc. n° 03763/G; alla Banca dati del
Partigianato piemontese ha il codice VC03712). Partecipa
alla liberazione di Torino, ma è ferito mortalmente in uno
scontro a fuoco contro le ultime resistenze di cecchini fascisti a Porta Nuova. Muore in ospedale il 2 maggio 1945.
Vedi anche Albo "Caduti".
6^ BRIGATA "STERZI"
2^ DIVISIONE GIUSTIZIA E LIBERTÀ "MASIA"
OLTREPÒ PAVESE MONTANO
Gaetano
Marangoni
e
Felice
Pesavento
fu Luigi e Retis Carolina,
Partigiano "Straie", classe 1925. (Lib. Pers. n° 629 P.V. Cert. Alexander n° 248906)
fu Sperandio e Garzaro Maria,
Partigiano, classe 1925. (Lib. Pers. n° 628 P. V. - Cert. Alexander n° 248910)
Due amici, due "monterosini", due "Penne Nere"
Partigiane, da Montecchio, alla Germania, dall'Oltrepò
Pavese, alla Liberazione di Milano.
Inseparabili, nell'autunno 1943 avrebbero dovuto partire
militari, ma l'8 settembre, con la firma dell'armistizio, tutto
sembrava superato e i due amici festeggiano sonoramente
l'evento. Lo spettacolo non è però gradito, né dimenticato,
dai fascisti del paese, che dalla scadenza del primo bando di
leva, iniziano a dar loro la caccia.
Li arrestano una prima volta nel gennaio del '44, assieme a
Vasco Grendene, Nicola Gasparini, Natale Martini, Savino
Giaretta, Francesco Rodella, Pietro Zanin, ...«omissis».... e li
portano al Distretto Militare di Vicenza, in Contrà Paolo
Lioy. Per nulla demoralizzati, nella notte fuggono dalle finestre del secondo piano e si danno alla macchia.
Riescono ad evadere tutti, eccetto Nicola Gasparini, che arruolato nell'820° Gruppo Pionieri Germanici ed aggregato
al 38° Deposito Militare Provinciale Misto di Vicenza (Feld
post n° 80623-795), solo il 4 dicembre '44, riesce a disertare.
277
Dalla rocambolesca fuga dal Distretto, i fascisti repubblichini tentano varie volte di arrestare i renitenti; circondano
le loro case, le perquisiscono, ma non riescono mai ad acciuffarli. Uno dei nascondigli più usati da Felice e Gaetano,
è la falegnameria Cecchin, dove dormono sotto le macchine
e tra i trucioli.
Alla fine del febbraio 1944, con l'arresto intimidatorio dei
padri, sono però costretti a costituirsi, e a Vicenza si aggrega al gruppo anche un'altro loro concittadino della classe
1925, Giuseppe "Pino" Berlato.
Durante il viaggio, raggiunta Vercelli, viene proposto loro
di accettare l'arruolamento nella Guardia Nazionale Repubblicana, l'ex Milizia, con la promessa che, finito il corso
d'addestramento, sarebbero stati destinati vicino a casa. Ma,
anche questa volta, compatti rifiutano.
Vengono comunque obbligati a vestire la divisa e fatti proseguire per la Germania, con destinazione il paesotto di
Münsingen, nel Württemberg, fra Ulme e Stoccarda. Fra la
stazione ferroviaria e il paese c'è il primo campo, il Neues
Lager, tutto di baracche; proseguendo oltre il paese, si giunge al secondo campo, l'Altes Lager, anche sede dei comandi. Più in alto ancora si trova il Gänsewag Lager, pure di baracche. Sono tutti campi d'addestramento destinati alla
nuova Divisione Alpina "Monterosa" delle FF.AA. della
Repubblica Sociale Italiana10.
I primi arrivi a Münsingen avvennero agli inizi di novembre: ufficiali, qualche
sottufficiale e pochissimi soldati, provenienti dai vari fronti o dai lager d'internamento per I.M.I., da dove avevano aderito alla R.S.I.
Tra loro due Alpini di Montecchio, classe 1915, provenienti dalla Grecia:
- l'ex Sergente Alpino, futuro istruttore e sottufficiale "Monterosino"
...«omissis»..., che ha aderito il 14 Novembre 1943;
- l'Alpino Giovanni Danazzo, che già obbligato ad aderire il 20 Ottobre 1943,
rifiuta comunque di fare l'istruttore.
10
- Il programma militare della R.S.I. aveva come obiettivo la costituzione di quattro grandi unità,
il cui addestramento doveva effettuarsi in Germania, nei campi e con i metodi della Wehrmacht, con
gruppi di istruttori tedeschi incaricati di preparare altrettanti gruppi di istruttori italiani.:
la Divisione Alpina "Monterosa";
la Divisione Bersaglieri "Italia";
la Divisione Fanteria "Littorio";
la Divisione Lagunari "San Marco".
278
Ma la nuova divisione prese definitivamente consistenza solo nel marzo 1944
quando giungono dall'Italia i giovani delle classi 1924/25, in gran parte arruolati con la forza o il ricatto; rarissimi i volontari.
In totale sono 11 i nostri concittadini che diventeranno "alpini neri" della
"Monterosa", e tutti inquadrati nel 2° Reggimento:
- sergente ...«omissis»..., classe 1915: 2° Btg. "Morbegno";
- Vasco Grendene fu Giovanni, classe 1924: 2° Btg. "Morbegno", 9^ Compagnia Pesante, Plotone Mortai;
- ...«omissis»..., classe 1924: nel 2° Btg. "Morbegno", 10^ Compagnia;
- Savino Giaretta fu Girolamo, classe 1924, Francesco Rodella fu Giovanni, classe 1925 e Giuseppe Berlato fu Antonio, classe
1925: nel 1° Btg. "Brescia", 1^ Compagnia, 1° Plotone;
- Felice Pesavento fu Sperandio, classe 1925 e Pietro Zanin fu Pietro,
classe 1925: nel 1° Btg. "Brescia", 2^ Compagnia "Leonessa", 2° Plotone;
- Gaetano Marangoni fu Luigi, classe 1925 e Natale Martini fu Ferdinando, classe 1925: nel 1° Btg. "Brescia", 2^ Compagnia "Leonessa", 3° Plotone;
- Giovanni Danazzo fu Antonio, classe 1915: nel 1° Btg. "Brescia", 4^
Compagnia.
Il 16 Luglio 1944, la divisione si schierò a Gänsewag, per essere passata in rivista da Mussolini e Graziani. L'organico della "Monterosa", 19.500 uomini,
ripeteva quello delle divisioni alpine germaniche e tutto il materiale, o poco
meno, era tedesco. Ma questa, come tutte le nuove divisioni repubblichine,
ha una debolezza congenita: è formata da ragazzi demotivati, in gran parte
intenzionati a disertare alla prima occasione, e per bloccarli non basteranno
ne gli ufficiali e sottufficiali fedeli alla R.S.I, né i sottufficiali tedeschi inseriti
nell'organico dei reparti.
Il 18 Luglio 1944, inizia in treno il rientro in Italia; da Münsingen a Ulme, ad
Ausburg e a Monaco. Da Kufstein a Innsbruck, al Brennero, a Bolzano, a
Trento, sino a Verona.
Poi comincia l'altalena dei trasbordi causati dai bombardamenti Alleati e i sabotaggi partigiani alle strutture e ai mezzi ferroviari; crollato il ponte ferroviarie di Peschiera e il viadotto di Desenzano, la "Monterosa" deve raggiungere
con altri mezzi Lonato, da dove iniziano le prime defezioni e da dove le tradotte proseguono a singhiozzo o per Milano o per Cremona, ma tutte confluiranno a Belgioioso o Corte Olona; per attraversare il Po si deve scaricare
tutto, per poi ricaricare a Stradella o Castel San Giovanni, ma sino a Genova
è un continuo pungolo di attacchi ed attentati partigiani.
279
In Liguria, abbandonate le fantasiose e guerresche destinazioni quali il Fronte Russo contro i "bolscevichi" o la Sicilia (sic!) contro gli inglesi e americani,
la Divisione "Monterosa" viene destinata ufficialmente a difesa del litorale ligure da un improbabile sbarco alleato, di fatto assegnata ad operazioni di repressione antipartigiana in tutto l'Appennino settentrionale, anche se non disdegna di partecipare con due battaglioni al rastrellamento del Grappa (19-30
Settembre '44).
Anche la successiva distribuzione dei reparti "monterosini" in Garfagnana e
sulle Alpi piemontesi, cioè su due fronti secondari e tranquilli, ha due scopi: il
primo è il propagandistico "difendiamo i confini della Patria!", il secondo, più
concreto, per garantire ai tedeschi retrovie tranquille e disinfestate dai partigiani.
Dalla sua discesa in Italia, la Divisione "Monterosa" viene decimata dalle diserzioni, anche di interi reparti che passano in massa con i Partigiani, come il
Btg. "Vestone" o altri che scompaiono come il Btg. "Saluzzo", che si deve
sciogliere per mancanza di uomini.
Dei 19.500 uomini arrivati dalla Germania con la "Divisione di ferro", alla
Liberazione i pochi reparti superstiti ne contano forse 5.000.
Degli 11 "alpini neri" di Montecchio Precalcino solo due non ci risulta abbiano disertato, viceversa:
- da Genova, disertano già il 29 Luglio 1944, Vasco Grendene e Pietro Zanin;
- a Varzi, nell'Oltrepò Pavese, disertano il 18 Settembre 1944, Gaetano
Marangoni, Natale Martini e Felice Pesavento;
- a Perpoli, in Garfagnana, disertano il 3 Novembre 1944, Francesco Rodella e Savino Giaretta;
- Giuseppe Berlato, diserta ai primi di Dicembre 1944, approfittando dell'occasione di essere a Novi Ligure per il corso sottufficiali;
- in Val del Serchio, in Garfagnana, diserta il 31 gennaio 1945, Giovanni
Danazzo.
Il 18 settembre '44, Gaetano Marangoni, Natale Martini e Felice Pesavento,
assieme alla loro Compagnia, sono a Varzi, caposaldo strategico di estrema
importanza per il controllo dell'Oltrepò Pavese Montano, quando la 51^
Brigata Garibaldina d'assalto "Capettini", passato il torrente Staffora, attacca
e impegna i nazifascisti in un duro combattimento per gli stretti vicoli del
centro storico. Il grosso di questi ultimi è costituito dai circa 200 "alpini neri" della "Monterosa", che costretti ad asserragliarsi nelle scuole della cittadina, rifiutano ogni proposta di resa.
Il giorno successivo però, molti repubblichini cominciarono a rifiutarsi di
combattere, si sono accorti che i loro avversari non sono i banditi, l'orda di
280
fuorilegge senza pietà e senza Dio, dedita ai più efferati delitti, come li hanno descritti, ma sono italiani come loro, giovani decisi a sfuggire all'arruolamento forzato accanto ai nazisti, che lottano per degli ideali, che pongono
condizioni di resa onorevoli.
A questo punto accade un avvenimento destinato a restare negli annali della storia dell'Oltrepò Pavese; la gran parte degli "alpini neri" decide di arrendersi ai Partigiani, ed impongono la capitolazione al loro capitano. I pochissimi che vogliono tornare alle loro basi, in tutto venti, compresi i tre ufficiali
e i sei sottufficiali italiani e tedeschi, come previsto dall'accordo, vengono
disarmati e scortati fino agli avamposti presidiati dai loro "camerati" verso
Tortona; il 1° Plotone, che era già passato con i Partigiani durante i combattimenti, è imitato nei giorni successivi da gran parte dei commilitoni degli altri plotoni. Chi viceversa non ci sta o non se la sente, può tornare a casa.
- Gaetano Marangoni, aderisce alla Resistenza il 25 Settembre;
- Felice Pesavento, aderisce alla Resistenza il 16 Ottobre;
- Natale Martini, decide di tornare a casa.
Come già un reparto contraereo cecoslovacco, ausiliari dei tedeschi, quasi
un'intera compagnia di truppe da montagna repubblichine, passa con la Resistenza, salmerie e armi pesanti comprese.
Con il preciso tiro delle mitragliere contraeree da 20 mm, le mitragliatrici
pesanti e i mortai degli ex "alpini neri", è tutto più semplice per controbilanciare la potenza di fuoco dei nazifascisti e dare l'ultima spallata per liberare
la zona appenninica di Varzi.
281
Ottobre 1944 – Varzi, Oltrepò Pavese
Montano – Squadra di Alpini Partigiani
Da sinistra in piedi: Gaetano Marangoni,
Ernesto Gnesotto, Mario Gnesotto.
In ginocchio un Alpino da Bergamo.
Gli ex "monterosini" vengono aggregati alla 2^ Divisione Giustizia e Libertà "Masia", 6^ Brigata "Sterzi", 3° Distaccamento (Com.te "Capitan Giovanni", alias Antonietti Giovanni). A Gaetano è affidato il comando di una
squadra, composta ovviamente dall'amico Felice e da Giuseppe Evilio da
Creazzo, Mario Gnesotto da Arzignano ed Ernesto Gnesotto da San Bonifacio, Arvino Sala, Ernesto Tassello ed altri.
La nuova "Zona Libera" è collegata ad altre già costituitesi nelle province
vicine e per il movimento Partigiano tutto è pronto per agevolare la grande
offensiva alleata sulla "Linea Gotica". E' il 25 settembre 1944.
Ma gli Alleati, impegnati prioritariamente su alti fronti, decidono di aspettare la primavera prima di attaccare e sfondare in Italia e ovviamente, soprattutto dopo il "proclama Alexander", la reazione nazifascista contro i Partigiani e le loro zone libere non si fa attendere a lungo, ed è terribile.
Il 23 novembre 1944 inizia un vasto rastrellamento che parte dalla pianura
e setaccia sistematicamente l'Appennino. La grossa forza d'urto che s'abbatte sull'Oltrepò Pavese costituisce uno degli episodi più dolorosi della sua
storia. Esso è noto come il Rastrellamento dei Mongoli, per la presenza di soldati calmucchi, kirghisi, turchestani, georgiani e ukraini, al seguito delle truppe
tedesche.
Cadono le zone libere e le forze partigiane lasciano i paesi e si dirigono verso la parte alta dell'Appennino, per poi passare in Liguria o filtrare di nuovo
tra le maglie nemiche.
282
La 6^ brigata "Sterzi", sia pur decimata, rimane nell'Alta Val Tidone e al
Passo Penice. Per molti ribelli il rifugio durante il durissimo inverno sarà
una buca scavata nel terreno; mancano i viveri e gli spostamenti sono difficili e pericolosi, sia per la presenza nemica che per la neve abbondante.
Per Gaetano, isolato dal suo reparto, le cose vanno meglio, nascosto in un
fienile, è sfamato ed accudito da una contadina.
Felice, con altri Partigiani del luogo, trova inizialmente riparo in un bunker
mimetizzato sotto una legnaia, vicino ad una segheria, sulla strada che porta
a Romagnese, in Val Tidone; passato il rastrellamento, si spostano nel vicino
piacentino.
Ottobre 1944 – Varzi, Oltrepò Pavese
Montano – Squadra di Alpini Partigiani.
Da sinistra in piedi: Arvino Sala, Ernesto
Tassello, Mario Gnesotto.
In ginocchio da sinistra: Giuseppe Evilio e
Gaetano Marangoni.
Mentre le forze partigiane sono costrette all'inattività nell'alta montagna, la
Sicherheits, che sta affiancando i tedeschi nel rastrellamento, semina terrore
e morte, ricorrendo sistematicamente alla tortura e all'eliminazione sommaria di quanti incappano nella sua rete, privati cittadini o Partigiani.
Non partecipano direttamente agli scontri, ma al contrario agiscono con lo
spionaggio e con la repressione a tradimento degli indifesi. Le strade dell'Oltrepò vengono, secondo il loro linguaggio, disinfestate. E' una continua caccia all'uomo: quasi ogni giorno rastrellano un paese o una contrada, depre-
283
dano case, spargono terrore e morte, arrestano e torturano, fucilano senza
remissione.
Il nome tedesco di queste belve non deve però trarre in inganno, sono tutti
italiani di uno speciale corpo di polizia; equiparabili alla nostra Banda Carità,
delle Waffen SS Italiane o la Compagnia della Morte, della Brigata Nera
"Faggion" di Vicenza o la squadra speciale della Polizia Ausiliaria Repubblicana comandata dal famigerato capitano Giovan Battista Polga da Lugo.
Indossano, divise eterogenee, spesso in borghese, ma sempre con il bracciale giallo contrassegnato dalla svastica; li comanda il colonnello Felice Fiorentini, la Belva dell'Oltrepò.
Il grande rastrellamento finisce alla fine di gennaio 1945, e ai primi di febbraio, Gaetano e Felice si ricollegano con la loro Brigata che si sta riorganizzando.
Il 14 febbraio 1945, anche la 6^ Brigata "Sterzi" partecipa al primo contrattacco vittorioso: la "battaglia delle ceneri".
I nazifascisti, superato il torrente Versa, entrano a Valpara, diretti a Nibbiano, in Val Tidone, ma trovano sulla loro strada i Partigiani "matteottini"
di "Fusco", schierati a Costa Pioggi e la 2^ Divisione Giustizia e Libertà
"Masia", tra Costa e Mollio. I Partigiani sono ancora pochi, ma intendono
sfruttare la sorpresa e il terreno adatto.
A Mollio accade un fatto importante; dalle cascine giungono i contadini,
veterani della Grande Guerra, decisi a combattere al fianco di quei pochi ragazzi, esasperati dalle continue rappresaglie e dalla miseria portata dalla
guerra.
Improvvisamente si apre il fuoco contro i nazifascisti, presto sbandati,
mentre da Pometo giungono anche i garibaldini.
Il 12 marzo 1945, parte un'altra offensiva nemica, ma dopo giorni di duro
combattimento in tutto l'Oltrepò Pavese Montano, i nazifascisti sono costretti a ritirarsi.
Il 27 marzo, Varzi e tutta l'ex Zona Libera, tornano definitivamente in mani
partigiane e dal 24 al 28 aprile 1945, tutta la Provincia di Pavia sarà liberata.
La 2^ Divisione G. e L. "Masia", per la Valle Oscuropasso, attacca a Cigognola e costringe alla resa la Sicherheits (da fine marzo si chiama Battaglion
Fiorentini), libera Broni, passa il Po, giunge a Pavia e, assieme ad altre divisioni partigiane, il 26 aprile 1945 entra a Milano.
Il 29 aprile a Milano arrivano i primi Americani e da Dongo arrivano i corpi di Mussolini, Petacci, Pavolini, Zerbino, Mezzasoma, Romano ed altri, in
tutto 16. I grandi capi del fascismo sono catturati vestiti da tedeschi, mentre
tentano di raggiungere la Germania; vengono fucilati immediatamente, in
esecuzione della condanna a morte emessa direttamente dal Comitato di Li-
284
berazione Nazionale Alta Italia; i loro cadaveri, giunti a Milano, vengono
esposti in Piazzale Loreto, nel luogo dell'ultima strage nazifascista; un atto
brutale e vendicativo, un rito che oggi sarebbe inammissibile, ma che storicizzato diventa comprensibile e non certamente criminalizzabile o equiparabile.
"Il CLNAI dichiara che la fucilazione di Mussolini e complici da esso ordinata è la conclusione necessaria di una fase storica che lascia il paese coperto di macerie materiali e morali; è la conclusione della lotta insurrezionale che segna per la Patria la premessa della
rinascita e della ricostruzione... Solo a prezzo di questo taglio netto con un passato di vergogna e di delitti, il Popolo Italiano poteva avere la certezza che il CLNAI è deciso a
proseguire con fermezza il rinnovamento democratico del Paese... Dall'esplosione di odio
popolare che è trasceso in questa ultima occasione ad eccessi comprensibili solo nel clima
creato e voluto da Mussolini, il fascismo stesso è l'unico responsabile. Il CLNAI... come
ha saputo fare, senza esitazione, giustizia dei responsabili della rovina della Patria, intende che nella nuova epoca che si apre al libero Popolo Italiano, tali eccessi non debbano
più ripetersi. Nulla potrebbe più giustificarli nel nuovo clima di libertà e di stretta legalità
democratica che il CLNAI è deciso a ristabilire, conclusa la lotta insurrezionale.
Firmato: A. Marazza, F. Parri, L. Valiani, E. Sereni, L. Longo, F. Jacini, R.
Morandi, S. Pertini."
A maggio i Partigiani dell'Oltrepò Pavese cominciano a rientrare alle loro
basi e a Gaetano e Felice viene concessa una licenza per poter tornare a casa.
Il comando Partigiano assegna loro e ad altri otto vicentini, un camion tedesco e un prigioniero fascista come autista, ma quando ormai sono fuori
Milano, il mezzo si rompe e sono costretti ad abbandonarlo. Chiesto aiuto al
locale comando, ottengono due biciclette: Gaetano una tedesca e Felice una
Bianchi. Con questi preziosi mezzi arrivano a casa la domenica dopo l'Ascensione, cioè il 13 Maggio.
Sono felici, abbracciano i genitori, si lavano, mangiano qualcosa, vanno a
presentarsi al Comando della Piazza e dopo 14 mesi, possono entrare nella
loro Chiesa parrocchiale.
Armati e in divisa, si presentano in Municipio al Comandante della Piazza,
esibiscono i loro documenti e il foglio di licenza. Si intrattengono con Antonio Sabin, Giuseppe Gnata, Vittorio Buttiron, Checheto Maccà, Sante Carollo, Don Marcon e con altri compaesani; chiedono notizie del paese, degli
285
amici, soprattutto che fine avessero fatto i fascisti di Montecchio. Non hanno certo dimenticato chi li ha trascinati in quell'avventura a soli 20 anni.
Vengono portati a conoscenza che:
- i "pezzi da 90", quali il vice comandante della Brigata Nera, colonnello
Ugo Basso, il futuro marito di sua nipote, capitano della Compagnia della
Morte Longoni Renato, e l'ex maestro e capitano della G.N.R. Paolo Martini "Brusolo", sono ancora latitanti;
- il reggente del fascio Ludovico Dal Balcon, comandante della locale
"Squadra d'Azione" e dei 40 militi della G.N.R. addetti alla sicurezza della
Polveriera SAREB di Cà Orecchiona, dopo essere fuggito dal paese è già
stato riacciuffato a Montecchio Maggiore ed è ora in galera alla Caserma
"Sasso" di Vicenza;
- tutta la "famiglia nera" degli Scaroni da Mirabella, è stata arrestata dai
Partigiani del Battaglione "Marchioretto" il giorno della Liberazione; la
moglie e i due figli sono incarcerati presso la Caserma "Sasso" di Vicenza e
il capofamiglia, consegnato agli Alleati, è imprigionato a Mantova;
- altri 7 repubblichini di Montecchio Precalcino, che prima spadroneggiavano in paese, sono rinchiusi nell'Oratorio, sorvegliati dai Carabinieri e dai
Partigiani della "Loris".
Gaetano e Felice, prima di entrare in Chiesa per la funzione, propongono un'originale vendetta, da consumarsi una volta usciti; il gruppetto repubblichino, tolto dall'oratorio, viene invitato con decisione, ma senza alcuna violenza fisica, a camminare a "quattro zampe" dal Monumento ai Caduti e giù
per quasi tutto il viale.
E' una tragicomica passeggiata a gattoni, una bonaria messa alla gogna di
fronte all'intero paese, che ha due grandi meriti: da un lato, di aver saputo
soddisfare, senza spargimento di sangue, il desiderio di vendetta, non dei
vincitori, ma di chi fu vittima; dall'altro, con questo atto di espiazione, i vinti, pagando solo con una simbolica punizione, si garantivano un loro reinserimento nella comunità. Peccato che successivamente non abbiano fatto tesoro di quell'esperienza, ma anzi, vergognosamente, hanno calunniato chi ha
avuto verso di loro così tanta carità cristiana11.
11
- Sulla vicenda della «camminata a gattoni», come per altre del periodo, vedi ad esempio la morte
del comandante Giuseppe Lonitti, o la rasatura dei capelli alle tre collaborazioniste, o la cooperativa
autotrasporti, ci troviamo indiscutibilmente di fronte a scientifiche mistificazioni. Ed è proprio la
scoperta di queste adulterazioni che più hanno stimolato la ricerca storica.
In questo specifico episodio di domenica 13 maggio 1945, la ricostruzione più accreditata sembrava
essere quella di una mascalzonata ordita dai soliti «partigiani dell'ultima ora», se non peggio, contro
inoffensivi e irreprensibili cittadini. Nulla di più inesatto e fuorviante:
- i repubblichini «messi alla gogna» non erano certo «stinchi di santo», e fermiamoci qui;
- chi ha organizzato la «punizione» sono dei Partigiani, che nell'Oltrepò Pavese si sono fatti onore e
sono ancor oggi ricordati con affetto e stima;
286
Milano, 29 aprile 1945. Un
gruppo di Alpini Partigiani
della 2^ Divisione G. e L.
"Masia", 6^ Brigata "Sterzi",
assieme ai primi Americani
entrati in città.
Da sinistra in piedi: Gnesotto
Marco da Arzignano; un americano; "Straie" Gaetano Marangoni; un americano; Giuseppe Evilio da Creazzo. In
ginocchio da sinistra: Felice
Pesavento ed Ernesto Gnesotto da San Bonifacio.
Subito dopo la "cerimonia", i repubblichini vengono consegnati ai Carabinieri e incarcerati a Dueville.
Successivamente, grazie alle nuove norme emanate già nell'ottobre del 1945
dal Governo (che riducono sensibilmente le sanzioni contro i collaborazionisti) e soprattutto grazie all'amnistia generale per i reati politici (Legge "Togliatti"), concessa il 22 giugno 1946 per promuovere la piena pacificazione
del paese (un'amnistia che sarà applicata con grande generosità e porterà alla
scarcerazione di molti esponenti del vecchio regime, anche imputati di gravi
reati), vengono tutti scarcerati.
Per quanto riguarda il reggente del fascio Ludovico Dal Balcon, malgrado
le sue responsabilità nella repressione antipartigiana e la ferocia dimostrata
verso molti suoi paesani, viene condannato solo per "collaborazionismo",
sconta una brevissima pena, si trasferisce prima a Messina, poi a Roma e
comunque non tornerà più in paese, se non clandestinamente, velocemente
e di notte.
- se nel cuore di quei due ragazzi non fosse prevalsa la volontà di perdonare, il prezzo pagato poteva
essere veramente pesante;
- quei ragazzi non erano da soli, e se avessero fatto veramente qualcosa di ingiusto e sbagliato, i comandanti partigiani, come ad esempio i «banditi» Antonio Sabin e Don Marcon, i Carabinieri in servizio e persino il Parroco Dall'Ava («...adesso che si tratta del proprio tornaconto si esige l'intervento del Parroco, ma prima quando si trattava degli altri allora nessuno ha detto che bisognava chiedere consiglio al Parroco.»), li avrebbero potuti fermare, ma giustamente così non è stato.
- Successivamente, per dare maggior credito alla versione «taroccata», si tentò persino di accusare
della mascalzonata i Garibaldini del Battaglione «Livio Campagnolo» ed alcuni esponenti «rossi» locali, assolutamente non presenti al fatto.
- Quindi, un meschino esempio di «falsificazione storica»: una voce diffusa da chi voleva far dimenticare le sue colpe; ma contemporaneamente amplificata, con l'intento di farla diventare verità, da chi,
magari «imboscato», non ebbe allora il coraggio di prendere posizione.
Così facendo quelle persone, che avevano ben poco da vantare, che fosse degno di futura ricordo, volevano negarci una memoria storica che invece ci fa onore come comunità.
287
Tutta la "famiglia nera" degli Scaroni da Mirabella e il maestro – capitano
Paolo Martini "Brusolo", ottengono l'archiviazione delle molte denunce a
loro carico e, pur condannati, vengono successivamente amnistiati, comunque preferiscono emigrare dalla zona.
Il colonnello, vice comandante della Brigata Nera "Faggion" Ugo Basso e il
capitano della Compagnia della Morte Longoni Renato, malgrado le svariate
sentenze a loro carico che li condannano alla pena di morte, sconteranno
solo brevissimi periodi di pena, poi torneranno liberi cittadini; anzi, già nel
1949 troviamo il colonnello Ugo Basso nel ruolo di Segretario Comunale a
Montopoli Sabina (Rieti).
Gli Alpini Partigiani Gaetano Marangoni e Felice Pesavento, terminata la
licenza, rientrano al loro reparto e vengono congedati il 7 giugno 1945; Gaetano torna a fare l'agricoltore e per molti anni rappresenta la sua categoria in
Consiglio Comunale, nelle file della Democrazia Cristiana, Felice si trasferisce a Passo di Riva, dove continua la sua attività di maestro intagliatore e
dove apre una nota bottega artigiana.
288
AVIOLANCI, DUE DEI CAMPI DI LANCIO NELLA NOSTRA ZONA.
Campo N° 18
Riferimento Messaggio: 189
Coordinate su Monte Mario: Latitudine 45° 42' 00" - Longitudine 0° 54' 00"
Zona: Thiene - letto torrente Astico (tra Villa Capra e Contrà Maglio di Breganze)
Messaggio atteso da Radio Londra:
Frase positiva = "La tradotta arriva" - Frase negativa = "Lili viaggia in tradotta"
Campo N° 67
Riferimento Messaggio: 392
Coordinate su Monte Mario: Latitudine 45° 38' 20" - Longitudine 0° 55' 30"
Zona: Villaverla (località Boschetto, tra Novoledo e Dueville)
Messaggio atteso da Radio Londra
Frase positiva = "Voglio un tango" - Frase negativa = "Mi piace il valzer".
Esempio: Quando "Radio Londra", nel corso della trasmissione "Messaggi
Speciali", iniziava con la frase "Messaggi per Ferruccio...", significava che le
frasi in codice successive riguardavano la Resistenza Veneta:
"Messaggi per Ferruccio: Gigetto faccia il bravo; Lino sarà accontentato; Meglio tardi
che mai; Bill ama Maria; Marta non ama la musica; I conigli nasceranno; Mi piace il
valzer; I cavalli scalpitano;..."
Quando alla fine di dicembre 1944, tra quei messaggi i nostri Partigiani sentono la frase negativa "Mi piace il valzer", è la conferma che la richiesta di rifornimento è stata accettata dagli Alleati e che bisogna prepararsi ad attendere la successiva frase positiva.
Quando il 2 gennaio 1945, "Radio Londra" trasmette tra i "Messaggi per
Ferruccio...", anche la frase positiva "Voglio un tango", è l'ordine di avvertire
tutte le squadre destinate alla raccolta del materiale, alla sorveglianza delle
strade vicine al campo di lancio e alla predisposizione del campo stesso: 4
luci rosse fisse, disposte a L e una bianca in testa alla linea più lunga della L,
con questa si devono trasmettere le lettere convenzionali B e C dell'Alfabeto
Morse, appena fosse stato udito il rombo dell'aereo previsto per le 23.
Punto di ritrovo per le ore 22, presso la casetta in muratura, circondata da
olmi, nel prato dei Filippi.
289
ALCUNI RADIOMESSAGGI RICEVUTI DALLA MISSIONE M.R.S.
(trasmessi dagli Alleati alla Missione e riguardanti la nostra zona)
N. 68 N. 499 162005 (settembre 1944)
"Informazioni date da voi finora su movimenti et disposizioni truppe tedesche atti
di sabotaggio et altre informazioni militari sono state utilissime..."
N. 69 N. 363 183506 (settembre 1944)
"...fare tutto il possibile per proteggere tali installazioni alt Date istruzioni at tutte
bande di mettere al sicuro tutti pezzi di macchinario essenziali pezzi di ricambio et
impedire trasporto in Germania di tecnici et specialisti alt Grazie per tutto il vostro
aiuto alt Gen. Alexander"
N. 70 N. 268 174906 (settembre 1944)
"La disfatta totale tedesca alla quale avete aiutato con tanto successo est adesso in
vista alt perciò il Gen. Alexander comunica adesso nuove direttive alt Continuare
ad attaccare tutti obiettivi militari vie di comunicazione et gruppi isolati di tedeschi
in ritirata alt ..."
N. 53 N. 777 143013
"Rife vs. 72 alt Si propone che patrioti cerchino salvaguardare centrali idroelettriche alt Iniziare assistenza personale centrali idroelettriche et italiani influenti at preservare questa installazione per futuro benessere italiano alt"
N. 167 N. 287 Rd. 141005 (gennaio 1945)
"Aeronautica alleata chiede ai partigiani di fare ogni sforzo per impedire riparazioni di ponti et ferrovie già interrotti alt Tedeschi stanno riparando linee massima rapidità" (vedi messaggio di risposta N. 605).
N. 152 P.A. N. 154
Rd. 143537 (gennaio 1945)
"Lanceremo stasera in aereo la missione Treviso dico Treviso al campo n. 73
alt...Un aereo per ognuno dei campi numeri 58 et 67 et 47 alt Attendere tutti campi
alle ore 19.30 dico 19.30 alt"
N. 190 del 6 N.332 Rd. 154812 (febbraio 1945)
"Rife vs. 616 del 25 gennaio alt Preghiamo uomini dare più presto possibile numero et tipo apparecchi su campo aviazione Villaverla 05-77 foglio 50 alt" (vedi messaggio di risposta N. 682).
290
ALCUNI RADIOMESSAGGI TRASMESSI DALLA MISSIONE M.R.S.
(trasmessi dalla Missione agli Alleati e riguardanti la nostra zona)
La notte di luna
piena, tra il 19 e il
20 marzo 1944, alla
testata di Val Galmarara, sull'Altopiano di Asiago arriva il primo aviolancio alleato.
(Foto: "Nettuno",
alias Ing. Giacomo
Chilesotti)
N. 189 140013/6 (giugno 1944)
"Per patrioti Thiene (Brigata "Mazzini") approntato campo letto torrente Astico
lat. 45° 42' long. 0° 54' W monte Mario alt Segnali 4 luci rosse et una bianca lettera
C come Como disposte at T atterraggio alt frase affermativa "la tradotta arriva"
negativa "Lili viaggia in tradotta"alt.
Nell'estate del 1944 ci si prepara alla spallata definitiva e molti uomini della
Resistenza alto-vicentina salgono a Granezza a dare manforte ai reparti di
montagna:
N. 195 Tsm. 151006 (luglio 1944)
"Campo N. 18 vietato causa piena torrente (Igna) alt Nuovo campo N.22 (Granezza) lat. 45° 48' 40" long. 0° 55' 30" W Monte Mario alt Stesse modalità in più
accesi fuochi".
291
N. 199 N. 81 Tsm. 160014 (luglio 1944)
"Rife vostro N. 13 messaggi radio per campo N. 22 (Granezza) sono gli stessi del
campo N. 18 alt Mi mancano vostri N. 10 et 11 alt Vestiario lanciato Colli Euganei
per prigionieri inglesi raccolto et provveduto consegna alt.”
N. 219 N. 24 Tsm. 102004/8 (agosto 1944)
"Seguito alt Vostre direttive verrebbero eseguite bloccando accessi Valsugana et
Piave et Strada Vittorio Veneto Ponte nelle Alpi et tale scopo gruppi Asiago et
Pian del Cansiglio scenderanno a valle et difesa detti punti alt Necessita perciò invio cannoncini anticarro et mitragliatrici numero considerevole oltre materiale sabotaggio per interruzioni strade alt Segue.”
N. 220 N. 26 Tsm. 103904/8 (agosto 1944) Segue da precedente....
"Seguito alt Gradito et atteso invio ufficiali di collegamento et gruppi paracadutisti
cui daremo massima assistenza alt Campo pian del Cansiglio idoneo paracadutisti
può essere rifornito anche di giorno da bassa quota con scorta caccia alt Se approvate daremo dettagli alt.”
N. 223 N. 41 Tsm. 113704/8 (agosto 1944)
"Ripeto dati per campo N. 22 di 500 uomini zona Thiene ordini Ten. Chilesotti
Giacomo (Brigata "Mazzini") al quale urge rifornimento alt Località Granezza...”
N. 257 N. 405 Tsm. 154427/8 (agosto 1944)
"...Scuola addestramento agenti per missioni controspionaggio est at Longa (Longa di Schiavon, anche sede delle Waffen SS Italiane "Banda Carità") 10 Km S.W.
Bassano alt Organizzato attacco da parte banda patrioti alt.”
Gli Alleati sono bloccati sulla "Linea Gotica" e i tedeschi iniziano i grandi
rastrellamenti per eliminare la presenza partigiana:
N. 279 N. 48
Tsm. 1526009 (settembre 1944)
"Campo 34 ( Monte Grappa) pronto ricevere ...Detto campo richiede rifornimenti
immediati alt Massiccio del Grappa attaccato da forze tedesche da quattro giorni
alt".
N. 280 N. 55 Tsm. 153909 (settembre 1944)
"Cap. Todesco oltre campo n. 34 chiede rifornimenti anche at campo seguente N.
46 alt Località Valle Rossa..."
292
N. 282 N. 360 Tsm. 145009 (settembre 1944)
"Seguito mio 257 alt Sopraggiunte difficoltà impediscono azione contro scuola agenti controspionaggio nostre sole forze et richiediamo vostro bombardamento aereo subito dopo mezzanotte ora italiana giorno 12 corrente alt Località Longa Villa
Ca' Bianca lat. 45° 48' 40" long. 0° 40' 40" W. Monte Mario alt All'avvicinarsi dell'aereo che per riconoscimento trasmetterà lettera R come Roma inquadreremo
obiettivo accendendo quattro fuochi alt Dopo bombardamento interverremo da
terra alt Confermate adesione trasmettendo Londra messaggio positivo "Adesso
ridiamo" alt"
N. 286 N. 367 Tsm. 142209 (settembre 1944)
Zone Pasubio Asiago et Belluno perdurano accaniti combattimenti alt Tutti i
gruppi implorano rifornimenti scopo continuare combattere alt Inflitte at nemico
rilevanti perdite alt Tedeschi vogliono preparare loro linea di resistenza su dette
zone alt Ultime notizie recano che missione inglese impossibilitata funzionare alt
Sarebbe utilissimo intervento aereo bassa quota aut lancio truppe paracadutiste alt
Preghiamo ancora invio immediati rifornimenti et piano tedesco sarà sventato alt".
N. 287 N. 73 Tsm. 171710 (settembre 1944)
"...Tutte nostre bande (in pianura) pronte eseguire ordini ricevuti ma mancano di
materiale alt Quello inviato già consumato in continui attacchi vie di comunicazione alt Urgono rifornimenti nostri campi in pianura..."
N. 301 N. 422 Tsm. 160320
" Gruppi patrioti tutte province Veneto compiono giornalmente sabotaggi su linee
ferroviarie stradali su linee telefoniche attacchi at gruppi di tedeschi et fascisti isolati et pattuglie causando at nemico gravi danni alt Scopo poter continuare queste azioni urgono rifornimenti materiale at tutti nostri campi in pianura pronti at ricevere alt"
N. 302 N. 435 Tsm. 135521 (settembre 1944)
"N. 302 del 21 alt Da ore sei odierne dopo forte preparazione d'artiglierie piazzate
at Bassano retro fabbrica smalterie truppe nazifasciste iniziato attacco ingenti forze
contro Massiccio del Grappa tenuto da patrioti alt"
N. 306 N. 523 Tsm. 140529 (settembre 1944)
"Lungo tutta linea prospiciente pianura Altopiano 7 Comuni et linea Valsugana in
corso lavori in roccia di ricoveri et postazioni per armi portatili alt"
N. 310 N. 7 Tsm. 145702 (ottobre 1944)
"...Brigata Mazzini chiede rifornimenti at campo 22 alt"
293
N. 322 N. 327 Tsm. 150007 (ottobre 1944)
"Seguito nostro 307 alt Giorno 28 nemico occupato Grappa... Mussolini habet elogiato brigata nera di Vicenza maggiore esecutrice di tali criminose esecuzioni alt"
N. 338 N. 406 Tsm. 184313 (ottobre 1944)
"Patrioti...notte 5 distrutto ponte ferroviario località Villaverla ( ponte di ferro,
poco a nord del cavalcavia di Povolaro)..."
N. 355 N. 472 Tsm. 130619 (ottobre 1944)
"Patrioti...eseguite 40 interruzioni su binari linea Vicenza Padova et Vicenza Schio
alt"
N. 385 N. 618 Tsm. 123029 (ottobre 1944)
"Chiedo intervento aereo contro Villa Dolfin...sede Gestapo Veneto et Polveriera
Cà Orecchiona (Polveriera al Moraro) lat. 45° 41' 12" long. 0° 55' 25" piena esplosivo..."
N. 392 N. 208 Tsm. 145531 (ottobre 1944)
"600 uomini reduci Altopiano di Asiago formanti Btg Thiene et Fara (Brigata
"Mazzini") ordini Ten. Chilesotti cui 200 armati chiedono armi et esplosivo et
campo 67 località Villaverla (Loc. Boschetto – Acquedotto Padova)..."
NR. 571 NR. 306 141006 (gennaio 1945)
"Notte 23 dicembre patrioti Vicenza (Brigata "Mameli") fatto saltare caldaia deposito munizioni di Cà Orecchiona (Polveriera al Moraro) et bruciati quintali 10 di
tritolo alt"
NR. 605 NR. 76 101519 (gennaio 1945)
"Rife Vs 167 (vedi messaggio ricevuto) alt Partigiani ben lieti operare aviazione alleata invocano esplosivo dico esplosivo alt Ripetiamo campi pronti ricevere n° 30
et 47 et 55 et 58 et 61 et 63 et 67 et 69 et 73 et 74 alt"
NR. 616 NR. 405 130025 (gennaio 1945)
"Notte 29 dicembre patrioti Brigata Thiene (Brigata "Martiri della Libertà", Divisione "Garemi") incendiato aereo caccia ME109 su campo di Villaverla (Rozzampia) alt..."
NR. 619 NR. 418 132425 (gennaio 1945)
"Tutti lavori fortificazioni in pianura provincia Padova et Vicenza sono stati sospesi alt Parte operai lasciati liberi et parte trasportati località montane dove lavori
fortificazione sono stati accelerati alt"
294
NR. 621 NR. 123 141527 (gennaio 1945)
"...Sabotatori stanno preparando azioni contro ponti stradali et altri obiettivi alt
Per completare azione coordinata necessitano rifornimenti anche at campi 58 et 61
et 67 alt Avvertiamo che per azioni contro ponti stradali occorrono forti quantitativi esplosivo alt"
NR. 633 NR. 27 140012 (febbraio 1945)
"...Zona Dueville lat. 45° 37' 03" long. 0° 54' 33" autoparco oltre cento automezzi
et officina riparazioni alt"(Loc. Milana, tra Villa Da Porto e Villa Milana. Pronto
Soccorso logistico germanico)
NR. 672 NR. 464 164718 (febbraio 1945)
"Mese gennaio Brigata Mazzini battaglione Thiene (Battaglione "Martiri della Libertà") disarmati 10 militi fascisti alt Distrutto con bomba a mano un aereo Stuka
et uno da trasporto nel campo di Villaverla (Rozzampia) alt Distrutto camion tedesco presso Thiene alt Distrutte due mitragliere contraeree at Thiene et feriti 2 tedeschi alt"
NR. 676 NR. 487 172518 (febbraio 1945)
"Necessita bombardare ponte stradale su fiume Astico località Passo di Riva lat.
45° 39' 03" long. W 0° 52' 20" molto usato da autocolonne tedesche dirette Germania alt"
NR. 682 NR. 495 132019 (febbraio 1945)
"Rife Vs. 190 alt At campo aviazione Villaverla (Rozzampia) normalmente 5 Macchi 202 aviazione repubblicana alt Tutte sere atterrano 2 ME109 et ripartono mattino seguente alt Patrioti luogo appena riceveranno materiale agiranno contro apparecchi esistenti alt"
NR. 683 NR. 498 132619 (febbraio 1945)
"Recente incursione aerea su polveriera Cà Orecchiona (al Moraro) dico Cà Orecchiona distrutte 30 mila mine alt Polveriera inutilizzata alt"
NR. 698 NR. 297 225726 (febbraio 1945)
"...Necessaria azione aerea su passerella stradale torrente Astico lat. 45° 38' 06"
long. W0° 50' 52"(Passo di Riva) alt"
NR. 710 NR. 267 012002 (marzo 1945)
"...Accusiamo ricevuta materiale lancio notti 22 et 26 at campo 67 dico 67 alt Sospendere questo campo fino at nuovo avviso alt"
295
La Preghiera del Ribelle
Signore,
che fra gli uomini drizzasti la tua croce,
segno di contraddizione,
che predicasti e soffristi la rivolta dello spirito
contro le perfidie e gli interessi dei dominanti
e la sordità inerte della massa,
a noi oppressi da un giogo oneroso e crudele,
che in noi e prima di noi ha calpestato Te fonte di libere vite,
dacci la forza della ribellione.
Dio che sei verità e libertà, facci liberi e intensi,
alita nel nostro proposito, tendi la nostra volontà,
moltiplica le nostre forze, vestici della tua armatura:
noi Ti preghiamo Signore.
Tu che fosti respinto, vituperato, tradito, perseguitato, crocefisso,
nell'ora delle tenebre ci sostenti la Tua vittoria:
Sii nell'indigenza viatico, nel pericolo sostegno, conforto nell'amarezza.
Quando più s'addensa e incupisce l'avversario,
facci limpidi e diritti.
Nella tortura serra le nostre labbra.
Se cadremo, fa che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente
e a quello dei nostri Morti, a crescere al mondo giustizia e libertà.
Tu che dicesti "Io sono la resurrezione e la vita",
rendi nel dolore all'Italia una vita generosa e severa.
Liberaci dalle tentazioni degli affetti:
veglia Tu sulle nostre famiglie.
Sui monti ventosi e nelle catacombe delle città,
dal fondo delle prigioni,
noi Ti preghiamo:
sia in noi la pace che Tu solo sai dare.
Dio della pace degli eserciti,
Signore che porta la spada e la gioia,
ascolta la preghiera di noi
Ribelli per Amore. 12
12
- Teresio Olivelli. - Nato a Bellagio (Co) il 7 gennaio 1916. Sottotenente del 2° Regg. Artiglieria
Alpina – Divisione Julia, combattente in Grecia e Albania, in Russia sopravvisse alla ritirata di Nikolajewka e rientra in Italia. Catturato dai tedeschi il 9 settembre '43 e internato in Germania, riesce a fuggire e torna a Brescia, dove con un gruppo di giovani intellettuali cattolici fonda le "Fiamme Verdi",
296
formazioni partigiane presenti nel bresciano ed in alcune province venete: a Vicenza le "Fiamme Verdi" sono presenti sull'Altopiano di Asiago. Nella primavera 1944 pubblica "il Ribelle" e scrive "Preghiera del Ribelle". Arrestato il 27 aprile '44 a Milano e barbaramente interrogato dai tedeschi.
Internato a Fossoli tentava la fuga. Veniva così trasferito prima a Dachau, poi a Herzbruck. Dopo
lunghi mesi di inaudite sofferenze, il 31 dicembre 1944, trovava ancora , nella sua generosità, la forza
di slanciarsi in difesa di un compagno di prigionia bestialmente percosso da un aguzzino. Gli faceva
scudo del proprio corpo e moriva sotto i colpi. Il suo corpo non fu più trovato perché "passato per il
camino" di un forno crematorio.
Medaglia d'Oro al Valor Militare, Beatificato da Papa Giovanni Paolo II nel luglio del 2004.
297
298
Albo d'Onore
Patrioti
LA RESISTENZA CIVILE.
Patrioti, sono tutti quegli uomini e donne, che prestarono la loro opera di
collaborazione e soccorso verso gli ebrei, i soldati italiani ed Alleati, gli incarcerati e i Partigiani.
Patrioti, sono tutti i volontari insorti nei giorni della Liberazione, così importanti per la spallata finale al nazifascismo.
Ma Patrioti, sono anche alcuni Partigiani combattenti, che non si videro riconosciuta la qualifica per errori burocratici, per il caos imperante e, soprattutto, per i nuovi giochi politici della "guerra fredda"; a qualcuno è riconosciuto ciò che non aveva fatto, altri sono dimenticati. Troppo spesso i fascisti sono fatti uscire dalle galere e reinseriti in posti di comando, troppo spesso i Resistenti sono costretti ad emigrare per poter lavorare.
Patrioti sono i dimenticati, e tra questi soprattutto le donne, che nella Resistenza occupano un posto a sé stante. Per prima cosa la loro Resistenza potrebbe essere meglio qualificata come "civile", in quanto quella "armata" era
ancora appannaggio quasi esclusivo degli uomini. Tuttavia, non mancarono,
anche in questo caso, esempi di partigiane combattenti, ma soprattutto di
staffette, numerose e coraggiose, se pure non armate, alle quali ogni comandante di formazione ricorreva, per il collegamento con le altre unità; così
come di donne imprigionate, torturate, stuprate e fucilate, per attività sovversiva e cospirativa nei confronti dei nazifascisti.
"Quelle donne furono di grande utilità per il movimento partigiano che
seppe sfruttare gli aspetti più appariscenti e congeniali della loro femminilità
quali: la seduzione, la capacità di recitare ruoli diversi, l'appello agli affetti, il
più delle volte gridato in faccia a tedeschi e fascisti, nei momenti del distacco forzoso dai loro congiunti. E ancora la fragilità ostentata, l'impudenza
saggiamente calcolata, spesso la tattica del dono modesto, offerto al nemico
in segno di finta conciliazione. Furono questi mezzi a consentire alle staffet299
te partigiane di superare i posti di blocco, nascondendo armi o messaggi, fino a quello della manipolazione della verità, come quella donna di Torino la
quale, mettendo a repentaglio la sua onorabilità di moglie, dichiarò di avere
una relazione amorosa con un anti-fascista, nascosto a casa sua. Per non
parlare di quei momenti di vera mobilitazione, nei quartieri e sobborghi delle città, in cui venivano coinvolti gruppi di donne, per impedire la partenza
dei treni destinati alla Germania o per liberare i soldati dalle caserme, come
più volte avvenuto nei giorni dopo l'armistizio, o i detenuti nelle carceri".
(Gen. Ilio Muraca)
O quello che accadde a Montecchio Precalcino quando furono vietati i funerali di Livio Campagnolo, dove furono le donne a mobilitarsi, a portare
vecchi e bambini alle sei di mattina al cimitero, a trasformare una vergognosa cerimonia clandestina di inumazione, in un saluto corale ed affettuoso di
una intera comunità, ad un loro figlio vigliaccamente assassinato dalla violenza nazifascista.
"Da tutti questi aspetti della Resistenza al femminile, si ricava l'idea di un
cambiamento, rispetto alla tradizione, della femminilità, come risultato di
un'esperienza nuova e come dimostrazione di una esposizione insolita fuori
dal focolare domestico, oltre che di capacità di grande sofferenza e sacrificio, a sostegno della causa della libertà.
E viene altrettanto naturale pensare al meritato traguardo raggiunto delle
donne, dopo la Liberazione, con l'ottenimento del diritto di voto, in seguito
sancito dalla Costituzione, e con la dichiarazione dei pari diritti fra i due sessi, cui indubbiamente ha concorso l'esperienza resistenziale."
(Gen. Ilio Muraca)
Quindi, soprattutto donne, forse qualche uomo, sono i dimenticati nella
storia ufficiale e, di riflesso, anche in questo Albo d'Onore dei Combattenti della
Guerra di Liberazione di Montecchio Precalcino: un po’ perché non si sono trovati
documenti, un po’ perché allora la storia era ancora molto maschile, un po’
perché certe cose, soprattutto le donne, le fanno, ma le tengono per sé.
Quante mamme, sorelle e fidanzate hanno dato il loro contributo alla Resistenza anche a Montecchio Precalcino? Quante donne sapevano dove i ragazzi erano nascosti sul Monte quando erano a casa, quando passavano
convinti di non essere visti e non hanno mai parlato? Quante hanno ospitato, lavato, sfamato, vestito, persone braccate che talora non conoscevano e
che magari parlavano una lingua straniera? Quante hanno sofferto e pagato
più di tanti uomini? Quanto veramente dobbiamo alle donne di Montecchio Precalcino? A tutte le donne?
300
E' un vuoto della nostra Memoria che speriamo di colmare. E' un sentiero
della nostra storia che doverosamente dobbiamo riuscire a ripercorrere, perché anche questa è stata la Resistenza.
Giovanni
Anapoli
fu Girolamo e Meneghin Maria
classe 1907.
Dal 1933 componente del Partito Socialista clandestino,
amico personale di Pietro Nenni e Sandro Pertini. Dopo la
Liberazione è nominato a rappresentare il P.S.I. nel Comitato di Liberazione Nazionale di Montecchio e nel 1946, eletto Consigliere nelle prime Elezioni Amministrative, è nominato Vice Sindaco. Per la sua alta statura politica e morale, si fregiano del suo nome sia il locale Circolo Socialista,
che il Centro Studi Storici di Montecchio.
Luigi Cita
fu Alessandro e Casalini Gabriella
classe 1879.
Il papà, Cav. Alessandro, vecchio liberale, era stato Consigliere Comunale di Montecchio dal 1910 al 1926, e Sindaco
per un brevissimo periodo nel '14. Il Dott. Luigi viene indicato dal C.L.N. di Vicenza come rappresentante liberale,
assieme a Giovanni Martini "Petenea", nel Comitato di Liberazione Locale. Vedi anche Albo "CLN".
Dott. Achille fu Antonio
Francescon
classe 1899.
La famiglia è originaria di Padova. Vicentino di adozione,
antifascista e militante del Partito d'Azione, durante la guerra è medico psichiatra presso la Colonia Ergoterapica di
Montecchio Precalcino e nel dopoguerra ne sarà il Direttore
e il Primario. Dal 1943 al 1945 organizza di fatto una cellula resistenziale all'interno della colonia, ne fanno parte quasi
tutti gli infermieri e il cappellano Don Giuseppe Zocche.
Nel suo ruolo e oltre il suo ruolo, si è sempre prodigato per
aiutare sbandati, renitenti, ex prigionieri alleati e partigiani e
probabilmente anche ebrei. E' in stretti rapporti con il CLN
di Vicenza e quasi certamente faceva parte dell'organizzazione clandestina del dott. Rinaldo Arnaldi, del rag. Torquato Fraccon e della guida alpina Gino Soldà (vedi Albo "Partigiani": Antonio Sabin)
301
Nel dopoguerra ha anche curato con fraterno affetto e
grande professionalità Michelangelo Giaretta, al suo ritorno
dal lager.
Don
Giuseppe
Zocche
fu Francesco, classe 1892.
Cappellano presso l'Ospedale Psichiatrico "S. Felice e Fortunato" di Vicenza, causa i bombardamenti, nel '43 si trasferisce con tutti gli ammalati presso la Colonia Ergoterapica
di Montecchio Precalcino. Amico di Mons. Ziglio, faceva
quasi certamente parte dell'organizzazione clandestina di
assistenza a tutte le vittime del nazifascismo.
Nel dopoguerra diverrà Monsignore e Canonico del Duomo.
Don
Giovanni
Marcon
fu Nicolò e Alberton Antonia, classe 1919.
Originario di Marostica, è cappellano a Montecchio dal
1943 al 1953.
Con Giuseppe Grotto e Vittorio Buttiron è stato l'artefice
del salvataggio di decine di giovani dal rastrellamento nazifascista dell'11 agosto 1944 a Montecchio.
Amico e complice di Antonio Sabin è certamente in contatto anche con Don Giuseppe Zocche della Colonia Ergoterapica e quindi probabilmente con l'organizzazione clandestina che dall'8 settembre 1943 fino all'aprile 1944 riuscì a
salvare centinaia di ebrei e di soldati alleati estradandoli in
Svizzera. Nel '53, è stato nominato Parroco a Marchesane.
Sebastiano
Giaretta
fu Michelangelo e Menin Costantina, classe 1902.
Patriota e Antifascista, papà del Partigiano e deportato politico Michelangelo Giaretta, cugino del Patriota e Sindaco
provvisorio di Montecchio Vittorio Giaretta.
Vedi anche Albo "Antifascisti".
Vittorio
Giaretta
fu Giovanni e Grigoletto Maria, classe 1890.
Patriota ed Azionista. In contatto con il CLN Provinciale,
dopo la Liberazione è nominato, assieme con Gio Batta Pesavento, a rappresentare il Partito d'Azione nel Comitato di
Liberazione Nazionale di Montecchio. E' nominato Assessore nella Giunta Municipale provvisoria e successivamente
Sindaco, dal 7 settembre '45, in sostituzione del "traghetta-
302
tore" Francesco Balasso, fino al 15 gennaio '46, sostituito
dal dott. Carlo Saccardo.
Vedi anche Albo "Antifascisti", "CLN" e "1^ Giunta Municipale".
Angelo
Giaretta
fu Vittorio e Perdoncin
Giovanna,
AUC, classe 1920.
Figlio di Vittorio Giaretta,
Antifascista e futuro Sindaco provvisorio di Montecchio Precalcino.
AUC dell'11 Battaglione
"cravatte azzurre", 24°
Reggimento Fanteria, dopo
l'8 settembre riesce fortunosamente a raggiungere
Montecchio Precalcino.
Ripreso il suo lavoro al
Credito Italiano, elude ripetute ordinanze di adesione all'esercito repubblicano anche
con false dichiarazioni ai Carabinieri di Dueville nell'autunno-inverno del 1943.
Licenziato dalla banca perchè renitente nel giugno del 1944,
viene assunto come impiegato-interprete da una struttura
logistica tedesca che impiegava personale e ditte civili della
provincia per lavori di sterro, stradali ed edili di difesa, a
Maglio di Sopra (Valdagno) fino al 25 aprile 1945. In tale
occasione non manca di fornire preziose informazioni ed
intelligence alle forze della resistenza presenti sul territorio,
sia a Valdagno (Brigata "Stella") che a Montecchio (Brigata
"Loris"). Munito di lasciapassare e scortato per sicurezza, a
piedi attraverso i monti da due partigiane di Maglio di Sopra, fino a S. Vito do Leguzzano e di lì raggiunge, sempre a
piedi, Montecchio Precalcino.
Vedi anche Albo "Resistenti 8 Settembre".
Giovanni
Martini
"Petenea"
fu Francesco e Stella Maria, classe 1891.
Papà di "Ettore", alias Dott. Arrigo Martini, Commissario
Politico del Battaglione Garibaldino "Livio Campagnolo".
303
Patriota e Liberale. In contatto con il CLN Provinciale, dopo la Liberazione è nominato, assieme con il dott. Luigi Cita, a rappresentare il Partito Liberale nel Comitato di Liberazione Nazionale di Montecchio ed è nominato anche Assessore nella Giunta Municipale provvisoria. Vedi anche
Albo "C.L.N." e"1^ Giunta Municipale”.
Giuseppe
Martini
"Petenea"
fu Francesco e Stella Maria, classe 1886.
Patriota e cattolico militante, uomo di fiducia del Parroco di
Levà, dopo la Liberazione è nominato, assieme con Angelo
Maccà prima, e Floriano Savio poi, a rappresentare la Democrazia Cristiana nel Comitato di Liberazione Nazionale
di Montecchio. Vedi anche Albo "C.L.N.".
Carlo
Saccardo
fu Vittorio e Gasser Teresa, classe 1905.
Il papà Vittorio era stato Sindaco di Montecchio dal 1900 al
1902 per il Partito Liberale. Carlo, Patriota e Liberale, collabora con la Resistenza e il 15 gennaio 1946 sostituisce Vittorio Giaretta nell'incarico di Sindaco provvisorio. Aderisce
alla Democrazia Cristiana e dopo le Elezioni Amministrative del 30 aprile 1946, le prime a suffragio universale , è eletto Consigliere Comunale e subito dopo, alla unanimità,
Sindaco. Sarà riconfermato nell'incarico per tre legislature
sino al 1960. Vedi anche Albo "1^Giunta Municipale".
Alberto
Tretti
fu Arturo e Munari Lucia, classe 1918.
Patriota e Antifascista, aiuta il cugino Giovanni e i suoi
commilitoni Limosani e La Notte; intrattiene ottimi rapporti di collaborazione con la locale formazione partigiana.
Giovanni
Tretti
fu Cesare e Alessi Maria, classe 1923.
Il papà Cesare, eletto con i Liberali, era stato Consigliere
Comunale dal 1910 al 1920, e Sindaco per brevissimi periodi nel '14 e nel '20. Durante il fascismo era stato nominato Podestà (dal 1939 al 1940) e di lui, come del primo Podestà Poletti Ercole, non si ha un ricordo negativo in paese.
Giovanni, assieme agli amici e commilitoni, Limosani Giuseppe e La Notte Pellegrino, dopo l'8 settembre, sbandati,
riescono ad arrivare a Montecchio. Nasconde Limosani a
304
casa sua, vicino a San Rocco, e La Notte presso i Gallio di
Preara. Per giustificare l'impossibilità di un suo nuovo arruolamento, si fa dichiarare "infermo di mente" dal prof.
Altieri (ginecologo, sic!), ospite-sfollato in casa dello cugino
Alberto Tretti, in Piazza. Riesce a procurare, sia a Limosani
che a La Notte, nuove carte di identità contraffatte e con
una data di nascita che non li assoggetta alla leva militare,
opera di Giuseppe Cerbaro, allora Ufficiale d'Anagrafe.
BATTAGLIONE "LIVIO CAMPAGNOLO",
BRIGATA "GOFFREDO MAMELI"
1^ DIVISIONE GARIBALDINA D'ASSALTO "ATEO GAREMI"
Giuseppe
Emilio
"Pino"
Balasso
fu Antonio e Sbalchiero Anna
classe 1926.
Renitente alla leva, è catturato nel rastrellamento di Montecchio Precalcino dell'11 agosto 1944. Trasferito a Vicenza,
è pesantemente interrogato alle Casermette di Porta Padova
e alla Caserma S. Michele. Successivamente incarcerato a
San Biagio riuscirà a fuggire grazie all'aiuto di sua sorella.
Partecipa all'insurrezione.
Antonio
Barbieri
fu Domenico e Pesavento Maria
classe 1918.
Già fante del 57° Reggimento, dopo l'8 settembre, sbandato, riesce a tornare a casa e collabora con la Resistenza.
Partecipa ad alcune azioni e all'insurrezione.
Ferdinando
Luigi
Bassan
fu Gio Batta e Dalle Mese Maria
classe 1926.
Costretto a lavorare per la TODT, diventa un utilissimo informatore del movimento partigiano. Partecipa ad alcune
azioni e all'insurrezione. Assieme al fratello Giovanni e a
tutta la sua famiglia, compreso il giovanissimo Luigi, nasconde nella sua casa armi e materiale della locale cellula resistenziale.
Giovanni
Battista
Bassan
fu Gio Batta e Dalle Mese Maria
classe 1924.
Già fante del 92° Regg. Fanteria a Padova , dopo l'8 set-
305
tembre riesce a tornare a casa e collabora con la Resistenza.
Nel gennaio 44, con la minaccia di ritorsioni sui famigliari,
come molti altri giovani renitenti, è costretto ad arruolarsi
nelle truppe repubblichine.
E' in forza alla Polizia Ausiliaria Repubblichina, presso la
Questura di Vicenza (Palazzo Nievo) e presso il comando
di Porta Padova – San Domenico, anche sede dell'U.P.I.
(Ufficio Politico Investigativo) gestito da un gruppo di famigerati fascisti toscani e romagnoli.
Convinto Patriota a cui non manca l'iniziativa, riesce a far
carriera e a diventare sottufficiale di collegamento con la
Gestapo/SS – B.D.S. Ufficio Politico Investigativo delle SS
Italiane "Banda Carità", con sede in Via Fratelli Albanese.
Diventa così un preziosissimo informatore per la Resistenza.
Nella Polizia Ausiliaria non è il solo infiltrato, ci sono almeno altri tre agenti (Ottorino Bertacche, Raffaele Dal Cengio
e un certo Dalla Pria) e soprattutto il Vice Questore Dott.
Follieri. I quali, su ordine del Comitato do Liberazione Nazionale di Vicenza, fanno catturare, processare e condannare (alcuni alla pena capitale), i componenti di una banda di
fascisti, che spacciandosi per una formazione partigiana,
mettono a ferro e fuoco, con furti, rapine, violenze, saccheggi, maltrattamenti e omicidi la provincia di Vicenza. Gli
stessi infiltrati riescono ad entrare in possesso anche di importantissime informazioni che permetteranno al C.L.N. di
Vicenza, il 28 novembre 1944, di organizzare la cattura e far
eseguire la condanna a morte del capitano Giovan Battista
Polga da Lugo Vicentino, comandante provinciale della Polizia Ausiliaria, fanatico esecutore di rastrellamenti e di varie
esecuzioni di civili, nonché l'ideatore e l'organizzatore della
famosa banda di ladri.
Che Giovanni Battista Bassan, sia un noto informatore del
movimento resistenziale é certo, ed è quindi molto probabile che abbia dato il suo contributo anche alla soluzione dei
due problemi sopra riportati. Comunque, nei primi mesi del
1945, Battista si sente in pericolo, abbandona la polizia repubblichina ed entra in clandestinità. In aprile lo troviamo
operativo nel Battaglione "Livio Campagnolo", della garibaldina "Mameli", con cui partecipa alle ultime azioni e al-
306
l'insurrezione. Nel dopoguerra è inserito anche nell'organico della Brigata "Loris".
Enzo
Bettanin
fu Eugenio e Meda Amalia
classe 1923.
Già fante del 53° Reggimento "Biella" , dopo l'8 settembre
riesce a tornare a casa ed entra nella Resistenza. Milita nelle
formazioni partigiana dal 13 novembre 1944 al 30 aprile
1945 (Libretto Personale n° 099858 - Certificato Alexander
n° 291161). Partecipa ad alcune azioni e all'insurrezione.
Francesco
Giuseppe
"Cesco"
Bortoli
"Coa"
fu Pietro e Dal Zotto Maddalena
classe 1925.
Come operaio tornitore presso la Polveriera di Montecchio,
procura materiale esplosivo e mette a disposizione la sua
esperienza in sabotaggi. Partecipa all'insurrezione e soprattutto all'ultimo scontro con le truppe tedesche sulla strada
per Zugliano e a Sarcedo
(vedi Albo "Partigiani": Palmiro Gonzato).
Giuseppe
Bortoli
"Coa"
fu Pietro e Dal Zotto Maddalena
classe 1928.
Staffetta. Partecipa all'insurrezione.
Pietro
"Pierino"
Brazzale
fu Riccardo e Marangoni Caterina
classe 1914.
Molto attivo nei giorni della Liberazione.
Oreste
Caretta
fu Fiorindo e Bernar Angela
classe 1921. Partecipa all’insurrezione.
Aristide
Cortese
"Valmari"
fu Benvenuto e Battistella Anna
classe 1927.
Figlio di Cortese "Valmari" Benvenuto, ultimo Sindaco
(1920/25) prima del regime fascista e fratello del Comandante "Nereo", alias dott. Vinicio Cortese. Collabora con la
Resistenza e partecipa all'insurrezione.
Antonio
"Bulo"
fu Antonio e Zancan Maddalena,
classe 1917.
307
Costalunga
Già Caporal maggiore del 60° Gruppo Artiglieria di Posizione, 90^ Batteria, a Reggio Calabria, dopo l'8 settembre,
sbandato, torna a casa e collabora con la Resistenza, garantendo soprattutto rifugi sicuri ai Partigiani. Partecipa all'insurrezione. Nel dopoguerra entra, prima nella Polizia Ausiliaria e poi nella Polizia di Stato.
Bortolo
Fina
fu Lorenzo e Campana Amabile
classe 1923.
Già Alpino del Btg. Val di Fiemme di stanza a Marina di
Carrara, dopo l'8 settembre, dopo aver tentato con il suo
reparto di contrastare i tedeschi, riesce a tornare a casa ed
entra nella Resistenza. Costretto a lavorare per la TODT,
raccoglie informazioni, recupera carta intestata e realizza
perfetti timbri falsificati, diventando utilissimo per il movimento clandestino. Partecipa all'insurrezione. Sempre disponibile per la comunità, ha anche ricoperto per tantissimi
anni la carica di Presidente della Sezione ANCR di Levà.
Vedi anche Albo "Resistenti 8 settembre".
Paolino
Fina
fu Lorenzo e Campana Amabile
classe 1926.
Collabora con la Resistenza e partecipa all'insurrezione.
Giuseppe
"Bepi"
Gonzato
"Consatelo"
fu Domenico e Todesco Maria, classe 1920.
Già fante del 79° Regg. Fanteria "Roma" a Verona, dopo l'8
settembre, sbandato, riesce a rientrare a casa e collabora
con la Resistenza. Dal novembre 1944 entra ufficialmente
nel movimento partigiano. Molto attivo, partecipa a numerose azioni e all'insurrezione e, alla Liberazione, è promosso
Capo Squadra. Partecipa all'arresto dei fascisti locali e successivamente, sequestrato un camion alla Ditta Vaccari, con
altri volontari, parte alla volta del Brennero: lo scopo è
quello di aiutare a portare a casa i molti ragazzi della zona
che, liberati dai campi di concentramento in Germania,
stanno faticosamente rientrando a piedi in Italia.
Tommaso
"Cicio"
Gonzato
fu Tommaso e Vendramin Francesca, classe 1929.
Staffetta partigiana e attivo nel reperire rifugi sicuri ai resistenti.
308
Pietro
"Rino"
Grazian
fu Giovanni e Graziani Orsola, classe 1921.
Già Guardia alla Frontiera del 21/B° Settore di stanza a
Tolmino (Slovenia), dopo l'8 settembre riesce a tornare a
casa e collabora con la Resistenza.
Vedi anche Albo "Resistenti 8 settembre".
Erminio
Giuseppe
Paulin
fu Giovanni e Guglielmi Lucia, classe 1920.
Già artigliere del 9° Reggimento G.a.F. a Postumia (Slovenia), dopo l'8 settembre riesce a tornare a casa, dove collabora con la Resistenza. Partecipa all'insurrezione.
Anche Albo "Resistenti 8 settembre".
Egidio
Francesco
Pesavento
fu Giuseppe e Martini "Sguai" Margherita, classe 1925.
Collabora con la Resistenza, partecipa a varie azioni e all'insurrezione.
Valentino
fu Secondo e Colnutti Caterina, classe 1925.
E' costretto ad arruolarsi nei bersagliere repubblichini: 1^
Compagnia del Genio Motoristi, Caserma Cella, a Schio. Diserta, collabora con la Resistenza, partecipa a varie azioni e
all'insurrezione.
"Nino/Duce"
Pesavento
Antonio
Roncaglia
fu Angelo e Chiarotto Angela
classe 1925.
Collabora con la Resistenza, partecipa ad alcune azioni e all'insurrezione.
Albino
Squarzon
fu Antonio e Cortese Anna Maria
classe 1924.
Già Sergente carrista del 4° Reggimento, dopo l'8 settembre, sbandato, riesce a tornare a casa e collabora con la Resistenza. Partecipa con il fratello Angelo a qualche azione,
all'insurrezione generale e ai posti di blocco creati dopo la
Liberazione al Moraro e alla Stazione F.S.
Angelo
Paolino
Squarzon
fu Antonio e Cortese Anna Maria
classe 1917.
Già Sergente maggiore Pilota della Reale Aereonautica Italiana, 164^ Squadriglia Caccia Terrestri, 161° Gruppo Au-
309
tonomo, di stanza a Rodi, nell'Egeo. Ultimo modello di
caccia utilizzato: Biplano FIAT CR 42 e Monoplano FIAT G
50. Dopo l'8 settembre, colto in licenza, entra in clandestinità, torna a casa e collabora con la Resistenza. Partecipa a
qualche azione e all'insurrezione generale.
Giovanni
Battista
Vincenzo
Valerio
"Marangon"
Vincenzo
"Cincio"
Valerio
"Marangon"
310
fu Luigi e Dal Zotto Italia Angela
classe 1922.
Già dell'11° Settore G. a. F. a Boves (CN). Dopo l'8 settembre, sbandato , riesce a tornare a casa e collabora con la
Resistenza. Fa parte delle formazioni partigiane dal 13 novembre 1944 al 30 aprile 1945 (Libretto Personale n°
056764 - Certificato Alexander n° 293969), partecipando,
con il fratello Vincenzo "Cincio" a alcune azioni e all'insurrezione generale.
Verso la fine di novembre '44, con il fratello Vincenzo
"Cincio" e con Palmiro Gonzato, vengono arrestati dalla
G.N.R. alla barriera del Dazio di Vicenza, mentre dopo il
comunicato Alexander, si stavano recando a Creazzo per
farsi assumere dalla TODT. Riconosciuti come renitenti,
vengono portati alla Caserma "Arnaldo Mussolini" di Borgo
Casale e, con loro sorpresa, scoprono che il comandante è
un compaesano, il maestro Paolo Martini "Brusolo", ora
capitano della G.N.R. Fortunatamente il capitano crede alle
loro giustificazioni e anzi consegna loro un biglietto di raccomandazione da presentare al maresciallo tedesco del Centro di Reclutamento al Lavoro di Creazzo. Vengono assunti
e destinati al Centro di Pronto Intervento - Pronto Soccorso Germanico di Dueville (tra Villa Da Porto e Villa Milana). Vedi anche Albo "Resistenti 8 settembre".
fu Luigi e Dal Zotto Italia Angela
classe 1923.
Fa parte di formazioni partigiane dal 13 novembre 1944 al
30 aprile 1945 (Libretto Personale n° 056769 – Certificato
Alexander n° 293968). Nel dopoguerra presterà regolare
servizio militare presso il 4° Centro Addestramento Reclute
a Verona.
Ottorino
Francesco
Zambon
fu Gio Batta e Baio Maria
classe 1929.
Staffetta partigiana.
Carlo
Zancan
fu Sante e Dal Ferro Maria Francesca
classe 1927.
Staffetta partigiana.
Giuseppe
Bortolo
Zancan
fu Sante e Dal Ferro Maria Francesca, classe 1923.
Già Alpino della 3^ Comp., Plot. Mitraglieri, 2° Battaglione,
11° Regg., di stanza a Strigno (Tn), dopo l'8 settembre,
sbandato, riesce a tornare a casa e collabora con la Resistenza. Partecipa a qualche azione e all'insurrezione generale. Nel dopoguerra entrerà nella Polizia di Stato come Brigadiere.
BRIGATA "LORIS"
GRUPPO BRIGATE "MAZZINI"
DIVISIONE ALPINA "MONTE ORTIGARA"
Francesco
Bertacco
Francesco
"Checo"
Bortoli
"Coa"
Alessandro
Campagnolo
fu Paolo e Fioravanzo Teresa
classe 1919.
Già Guardia alla Frontiera del 26° Settore di stanza a Clana,
nei pressi di Fiume, dopo l'8 settembre, sbandato, riesce a
tornare a casa e collabora con la Resistenza.
Patriota, appartiene alla formazione partigiana "Loris" dal
20 aprile 1944 al 30 aprile 1945 - Lib. Pers. n° 056908. Vedi
anche Albo "Resistenti 8 settembre"
fu Giuseppe e Grazian Maddalena
classe 1921.
Sbandato, già Artigliere del 5° Reggimento, Divisione "Taro" in Francia.
Vedi anche Albo "Resistenti dell'8 settembre".
fu Orsola Campagnolo
classe 1923.
Un grande idealista, non violento e lavoratore senza pari.
Già recluta del 57° Reggimento a Vicenza, dopo l'8 settembre, sbandato, riesce a tornare a casa ed entra nella Resi-
311
stenza. Tra i primi ad aderire al movimento resistenziale a
Preara, partecipa all'insurrezione e dopo la Liberazione, con
Giovanni Anapoli, rappresenterà i Socialisti nel Comitato di
Liberazione Nazionale Locale. E' anche nominato Assessore
nella Giunta Municipale provvisoria. Nel dopoguerra, passato al P.C.I., di cui ne sarà l’indiscusso leader locale. Vedi anche Albo "CLN" e "1^ Giunta Municipale".
Alfonso
Giuseppe
Caretta
"Rigati"
fu Giovanni e Marzaro Rosa
classe 1925.
Costretto a costituirsi il 14 febbraio 1944, è arruolato come
geniere nell'esercito repubblichino (119° Battaglione Genio), ma il 10 gennaio 1945, diserta, torna a casa e collabora con la Resistenza. E' cugino di Francesco e Luigi Caretta,
i Socialisti fuori-usciti in Francia nel 1923 per sfuggire alle
persecuzioni fasciste.
Giovanni
Caretta
"Rigati"
fu Giovanni e Marzaro Rosa
classe 1918.
Già Guardia alla Frontiera del 2° Settore di stanza a Tende
(Francia), dopo l'8 settembre, sbandato, riesce a tornare a
casa e collabora con la Resistenza. Catturato con il rastrellamento di Montecchio dell'11 agosto 1944, verrà prima interrogato presso le Casermette di Porta Padova e poi imprigionato nel Carcere di S. Biagio a Vicenza. Partecipa all'insurrezione. E' cugino di Francesco e Luigi Caretta, i due
fratelli militanti Socialisti fuori-usciti in Francia nel 1923 per
sfuggire alle persecuzioni fasciste.
Vedi anche Albo "Resistenti dell'8 settembre".
Andrea
Carolo
fu Bortolo e Parise Angela
classe 1923.
Alpino dell'11° Reggimento Alpini presso il Comando Deposito di Pergine (Tn), dopo l'8 settembre '43, sbandato,
torna a casa e collabora con la Resistenza. Partecipa all'insurrezione.
Sereno
Cozza
fu Giuseppe e Trevisan Maria
classe 1925.
Patriota della prima ora, malgrado fosse riuscito a sfuggire
312
ai nazifascisti anche durante il grande rastrellamento di
Montecchio Precalcino dell'11 agosto 1944, come molti altri
giovani, dopo l'arresto del padre, è costretto a costituirsi. Su
disposizione del reggente del fascio Ludovico Dal Balcon, è
portato, con Giuseppe Grotto, Giuseppe Gnata, Mariano
Saccardo, Vittorio Buttiron, Pellegrino La Notte, Alessandro Dal Santo, Rino Dall'Osto e Giovanni Caretta, alle Casermette di Porta Padova, le carceri della Polizia Ausiliaria
Repubblicana, comandata dal famigerato capitano Polga.
Dopo duri interrogatori, non ottenendo alcun risultato, viene trasferito alle Carceri di San Biagio. Malgrado la totale
mancanza di prove a suo carico, Sereno è condannato alla
deportazione in Germania come lavoratore coatto; ma, grazie all'organizzazione clandestina, alla visita medica viene
dichiarato non idoneo. Il 20 dicembre 1944, viene imboscato, con Giuseppe Gnata, Vittorio Buttiron e Pellegrino La
Notte, nella TODT. Partecipa all'insurrezione e, soprattutto ,
agli ultimi fatti d'arme contro i tedeschi, in collaborazione
con i Partigiani di Levà e la pattuglia Americana.
Francesco
Antonio
Dall'Amico
fu Bortolo e Boarotto Maria
classe 1922.
Partecipa all'insurrezione. Abitava in contra’ Copodisotto e
poi in via Roma. Nel 1953 emigra in Venezuela.
Alessandro
Dal Santo
"Marusco"
fu Nicola e Vidale Francesca
classe 1918.
Gia del 3° Settore Guardie alla Frontiera presso Cuneo.
Dopo l'8 settembre, "sbandato", riesce a tornare a casa ed
entra nella Resistenza. Dopo il rastrellamento del 11 agosto
1944, viene portato alle Casermette di Porta Padova. Prima
di sera i fascisti caricano tutti su camion scoperti e li portarono a fare il giro della città, cantando e urlando, sino alla
Caserma San Michele. Viene interrogato e torturato ma non
parla. Il giorno successivo viene trasferito a San Biagio fino
al 17 novembre. Il 20, caricato su un treno con carri bestiame, lo stesso di "Bepin" Grotto, Rino Dall'Osto, e dei
Fratelli Saccardo, è deportato in Germania.
Nel 1949 emigra in Australia. Vedi anche Albo "Resistenti 8
settembre" e "Deportati".
313
Ottavio
Danazzo,
e
Vincenzo
Undecimo
Danazzo
fu Vincenzo e Garzaro Maria
classe 1905
Adelino
Farinea
fu Giuseppe e Demenego Maria
classe 1918.
Già carrista del Reggimento Lancieri "Vittorio Emanuele
II°", V° Gruppo Carri Leggeri, Squadrone Comando, a
Bolzano. Dopo l'8 settembre '43, sbandato, riesce a tornare
a casa e collabora con le formazioni partigiane dal 4 aprile
1944 al 30 aprile 1945 (Libretto Personale n° 056965).
Vedi Anche Albo "Resistenti 8 settembre".
Michele
Dario
Garzaro
fu Ottone Antonio e Leoncin Antonietta
classe 1901.
Fuori-uscito in Francia nei primi anni '20. Nel 1933 rientra
in Italia come militante del PCI clandestino. Pur non essendo mai individuato, viene comunque schedato come
“sovversivo”. Denunciato più volte per simpatie antifasciste
dal reggente del fascio, e ogni qualvolta c'è una manifestazione del regime in provincia, Michele viene “trattenuto
preventivamente” per alcuni giorni nella Caserma dei Carabinieri o della Milizia (MVSN) di Dueville; é incarcerato
più volte a San Biagio e almeno una volta a Verona. Vedi
anche Albo "Antifascisti".
Giovanni
fu Ottone Antonio e Leoncin Antonietta
314
classe 1911.
Carabinieri della Legione Territoriale di Roma, restano in
servizio anche dopo l'8 settembre 1943. Nel dicembre la
Repubblica Sociale Italiana, su ordine di Hitler, inizia un
primo massiccio scioglimento di reparti dell'Arma e il trasferimento di quegli uomini nei territori del Reich. La reazione degli ufficiali, sottufficiali e carabinieri è immediata e
si conclude con il passaggio alla lotta clandestina. Tra quei
Carabinieri ci sono anche Ottavio e Vincenzo, che tornati a
casa, in contatto con la struttura clandestina dell'Arma, collaborano con la Brigata "Loris" e partecipano all'insurrezione. Vedi anche Albo "Carabinieri".
"Gianni
Millearte"
Garzaro
classe 1915.
Già fante del 57° Regg. Fanteria a Vicenza, dopo l'8 settembre, sbandato, riesce a tornare a casa, dove collabora
con la Resistenza. Militante Comunista come il fratello e tipografo, stampa clandestinamente materiale propagandistico per la Resistenza presso la Tipografia Leoni di Breganze.
Tra i primi ad aderire al movimento resistenziale a Preara,
partecipa all'insurrezione e agli ultimi fatti d'arme contro i
tedeschi, in collaborazione con i Partigiani di Levà e la pattuglia Americana. Dopo la Liberazione, con Giuseppe Grigoletto, rappresenterà il Pci nel Comitato di Liberazione
Nazionale Locale. E' nominato anche Assessore nella Giunta Municipale provvisoria.
Vedi anche Albo "CLN" e "1^ Giunta Municipale".
Vasco
Grendene
fu Giovanni e Tracanzan Teresa
classe 1924.
Già del 92° Regg. Fanteria a Padova, l'8 settembre, sbandato, riesce a tornare a casa.
Costretto a costituirsi, il 7 marzo 1944 è arruolato nell'esercito repubblichino: Divisione Alpina "Monte Rosa", 2°
Reggimento, 2° Battaglione "Morbegno", Compagnia Pesante, Plotone mortai (Feldpost n° 85896 D). Poco tempo
dopo diserta, rientra a Montecchio e collabora con il movimento partigiano. Partecipa all'insurrezione. Vedi Albo Partigiani, Gaetano Marangoni.
Giuseppe
Grigoletto
fu Gio Batta (Giovanni) e Garzaro Luigia
classe 1915.
Sergente presso il Tribunale Militare Territoriale di Verona,
dopo l'8 settembre, già a casa in convalescenza, viene riformato per malattia. Amico di Gianni Millearte e di suo fratello Michele Garzaro, collabora con la Resistenza. Partecipa all'insurrezione e agli ultimi fatti d'arme contro i tedeschi, in collaborazione con i Partigiani di Levà e una pattuglia Americana. Dopo la Liberazione, con Giovanni Garzaro, rappresenterà il Pci nel Comitato di Liberazione Nazionale locale. Nel dopoguerra sindacalista alla Laverda di Bre-
315
ganze, passerà nelle fila del Psi. Vedi anche Albo "CLN".
Pellegrino
La Notte
fu Raffaele e D'Errico Girolama
classe 1921.
Originario di Foggia, dopo l'8 settembre, sbandato, assieme
ai commilitoni, Giuseppe Limosani (classe 22) e Giovanni
Tretti (classe 1923, fu Cesare) si rifugiano a casa di quest'ultimo, a Montecchio Precalcino. Pellegrino, trova rifugio
presso la famiglia Gallio, nell'omonima contrada di Preara.
Ma con il rastrellamento dell'11 agosto 1944 viene catturato
e portato alle Casermette di Porta Padova, le carceri della
"polizia ausiliaria repubblicana". Dopo duri interrogatori
viene trasferito alle Carceri di San Biagio. Pellegrino è condannato alla deportazione in Germania come lavoratore coatto; ma, grazie all'organizzazione clandestina, alla visita
medica viene dichiarato non idoneo e scarcerato. Il 20 dicembre 1944, viene imboscato nella TODT.
Bruno
Leoni
fu Bortolo e Rebellato Maria
classe 1918.
Reduce di Russia. Già Artigliere Alpino del 3° Reggimento,
Divisione Julia, tornato dalla Russia, dopo l'8 settembre,
sbandato, riesce a tornare a casa e collabora con la Resistenza. Partecipa all'insurrezione.
Angelo
Gaetano
Vittorio
Maccà
fu Francesco e Marcolin Pierina
classe 1900.
Lo zio Gaetano Maccà (classe 1858), è stato Sindaco di
Montecchio Precalcino dal 1914 al 1920, eletto nelle fila del
Partito Liberal-Nazionalista e il fratello Francesco Maccà,
detto Checheto è il Commissario Politico del locale Distaccamento della Brigata "Loris".
Commerciante e cattolico militante, dopo la Liberazione,
viene nominato dalla D.C. nel C.L.N. Locale e, dal 27 giugno 1945, Assessore effettivo nella nuova Giunta Municipale provvisoria. Ma, gia due mesi dopo si dimette, sostituito
da Floriano Savio.
Vedi anche Albo "Patrioti" e "1^ Giunta Municipale".
Francesco
fu Angelo e Rigoni Maria
316
Maccà
classe 1931.
Staffetta Partigiana. Collabora con la Resistenza e partecipa
all'insurrezione.
Domenico
Augusto
Marchiorato
fu Pietro e Gallio Giovanna
classe 1918.
Già del 5° Regg. Artiglieria di C. d'A. a Verona, dopo l'8
settembre, sbandato, rientra a casa e collabora con la Resistenza. Catturato a seguito del rastrellamento dell'11 agosto
1944, viene deportato in Germania. Torna a casa ammalato
di TBC. Vedi anche Albo "Lavoratori coatti".
Antonio
"Secco"
Moro
fu Giacomo e Parisotto Carolina
classe 1914.
Già Sergente del 255° Battaglione Mitraglieri, Divisione
Lombardia, dopo l'8 settembre è catturato dai tedeschi in
Slovenia. Internato nel Dulag (campo di transito e smistamento) di Lubiana, riesce a fuggire. Tornare a casa il 28 dicembre 1943, ed inizia la sua collaborazione con la Resistenza. Partecipa ad alcune azioni anche con la "Livio Campagnolo" e all'insurrezione generale.
Vedi anche Albo "Resistenti 8 settembre".
Giuseppe
Pigato
fu Tommaso e Sanson Luigia
classe 1927.
Staffetta Partigiana. Collabora con la Resistenza e partecipa
all'insurrezione.
Mariano
Alberto
Saccardo
fu Valentino e Zuccato Italia
classe 1924.
Già Artigliere del 1° Reggimento Celere, 2° Battaglione Reclute a Vicenza, dopo l'8 settembre 1943, sbandato, riesce a
tornare a casa e collabora con la Resistenza. Avvisato da
una conoscente, una certa sig.ra Bertoli, interprete presso la
Gendarmeria SS di Vicenza (all'Albergo Roma di Santa Corona), di una circostanziata denuncia del reggente del fascio
Ludovico Dal Balcon, si da alla macchia. Catturato nel rastrellamento dell'11 agosto 1944, viene prima imprigionato
presso le Casermette di Porta Padova e poi nelle Carceri di
317
S. Biagio.
Accetta di arruolarsi nel 26° Reparto Misto delle FF.AA.
Repubblicane ed opera per tre mesi sull'Altopiano di Asiago
con un reparto di "alpini neri", poi diserta. Ritorna al paese,
ma il 5 gennaio 1945 viene catturato per la seconda volta.
Non riconosciuto come disertore, viene nuovamente costretto ad arruolarsi. Diserta una seconda volta, rientra nella
Resistenza e partecipa all'insurrezione generale.
Alfredo
Sbabo
fu Domenico e Pretto Teresa
classe 1924.
Chiamato alle armi nel novembre 1943 non si presenta e si
dà alla macchia. Dopo alcuni mesi trascorsi nei pressi di Recoaro, nascosto in casa di una cugina, su consiglio del Capitano della G.N.R. Paolo Martini, suo concittadino, si arruola nella Polizia Ausiliaria Repubblicana, dove, probabilmente in contatto con gli altri infiltrati, diventa fonte di
informazioni preziose per la Resistenza (vedi Aldo Patrioti:
GiamBattista Bassan).
Nell'Aprile 1945 diserta e si aggrega alla Brigata "Loris";
partecipa ad alcune azioni e all'insurrezione generale.
Il 30 Aprile, con il fratello Lino e altri, accetta di aderire alla
Brigata "Martiri della Libertà" e di prestare servizio d'ordine
a Thiene. Libretto Personale n° 088909.
Dopo la guerra, trascorsi 8 mesi in miniera in Belgio, rientra
in Italia e inizia a lavorare nell'edilizia, sino a diventare impresario. Muore a soli 34 anni, a fine Giugno 1958.
Giuseppe
Tagliapietra
fu Giuseppe e Campana Maddalena
classe 1904.
Cognato del Partigiano Vittorio Buttiron, collabora con la
Resistenza e partecipa all'insurrezione.
Giovanni
Zordan
fu Pietro e Moro Clelia
classe 1929.
Staffetta partigiana, partecipa all'insurrezione.
318
Gita dell'Azione Cattolica di Levà al Lago di Fimon, subito dopo la Liberazione.
Da sinistra in piedi: "Secco"Antonio Moro (?), Antonio Frigo, ...Campese(?), Alfredo Sbabo,
..?.., ...Zenere(?), Albino Squarzon, Gino Bettanin, "Cesco" Francesco Bortoli, "Nino"Rizieri
Pierantoni. ...Savio(?), "Nino" Valentino Pesavento, ..?..., Piero Peruzzo, Giuseppe Zenere,
...?..., ...?..., ...?...
Da sinistra seduti: Pietro Boscato, Angelo Gonzato (?), Enzo Bettanin, Bruno Dal Carobbo,
Lino Sbabo, Caretta Guido, Giuseppe Pigato, Ferdinando Bassan, Paolino Fina, Gino Moro,
Antonio Roncaglia, Lorenzo Bortoli, Tulio dott. Vendramin, ... Marchioretto, ... Peruzzo,
Pietro Pesavento, Carlo Vantiero.
319
I DEPORTATI DEI LAGER
LA COLPEVOLE RESPONSABILITÀ DEL POPOLO TEDESCO
E LA COMODA AUTOASSOLUZIONE ITALIANA
Questi alcuni passi tratti dalla deposizione di Rudolf Höss, comandante del
campo di Auschwitz, al processo di Norimberga: "La soluzione finale del
problema ebraico significava il completo sterminio di tutti gli ebrei d'Europa. Mi fu dato l'ordine, nel giugno del 1941, di creare ad Auschwitz installazioni per lo sterminio, ... Organizzai i locali per lo sterminio, usai il Zyklon
B, acido prussico in cristalli che veniva fatto cadere nella camera della morte da una piccola apertura. Per uccidere coloro che vi si trovavano, ci volevano da tre a quindici minuti. Sapevamo che le persone erano morte quando le grida cessavano. In genere, aspettavamo una mezzora per portar via i
cadaveri. Poi i nostri commandos speciali toglievano loro gli anelli e i denti
d'oro. ... Ci era stato ordinato di eseguire questi stermini in segreto, ma l'orribile fetore nauseante proveniente dalla continua arsione dei cadaveri pervadeva l'intera zona e tutta la gente che viveva nelle vicinanze finì col sapere che ad Auschwitz si procedeva agli stermini."
320
Dal settembre 1938, data della promulgazione della prima legge antiebraica
italiana, sull'esempio e la spinta di quella da tempo in vigore nella Germania
di Hitler, esisteva, presso i 41.300 ebrei italiani, un clima di incertezza sul
proprio futuro, essendo stati, in virtù di quella legge, radiati dalle scuole, dagli uffici dell'Amministrazione pubblica, dagli albi professionali e dalle Forze
Armate.
Uno studente così ricorda l'allontanamento dal ginnasio di un suo compagno ebreo:
"Lo vidi scomparire dalla mia classe da un giorno all'altro, senza sapere perché. Qualcuno sussurrava che, malgrado la sua spiccata intelligenza fosse
stato radiato da tutte le scuole del regno d'Italia, in quanto israelita. Ma gli
insegnanti, prudentemente, tacevano. Era figlio di un famoso geografo, Almagià, il cui atlante era il libro di testo delle nostre classi.
Non riuscivo a collegare l'origine ebraica con quella scomparsa. Poi, sul caso, cadde un complice silenzio, quasi si fosse trattato di una colpa comune a
tutti noi, per non essere riusciti a trattenerlo in classe".
Anche a Montecchio Precalcino, i nostri zelanti amministratori fascisti fecero la loro parte per applicare le leggi razziali; mancando ebrei, se la presero con l'antico toponimo ebraico di Contrà Giudea:
"14 febbraio 1939. Il Commissario Prefettizio Boschetti Mario...", scusandosi del ritardo (Sic!), firma una delibera dal titolo "Intitolazione di una via
al nome di G. Marconi". Nel deliberato si legge "...si rende maggiormente
necessario in questo Comune, in quanto esiste la via intitolata "Giudea" per
la quale questa amministrazione già era intenzionata di sostituirla con altra
denominazione...".
Nella pur vastissima bibliografia esistente sull'argomento, interessantissimo
è il libro I volenterosi carnefici di Hitler, di Daniel Jonah Goldhagen. La profondità delle analisi ed il sostegno di inconfutabili documentazioni, come mai
finora si era riusciti a raccogliere e a vagliare, hanno riaperto violentemente
una questione che era considerata chiusa; e cioè, come ha potuto, il popolo
della Germania, una delle grandi e civili nazioni dell'Europa, compiere il più
mostruoso genocidio mai avvenuto e mettere in piedi una organizzazione
così selvaggiamente perfetta.
Dal contenuto del libro, tutto incentrato sul processo di disumanazione cui
erano sottoposti gli infelici internati di quei campi, ne esce lo stesso interrogativo che l'illustre ebreo italiano, Primo Levi, morto suicida per l'insopportabile ricordo di quelle sofferenze, pose come titolo ad una sua opera
famosa: Se questo è un uomo.
Ma il punto che più colpisce è la constatazione della quantità di gente comune, di tedeschi di qualsiasi estrazione, che non avevano alcuna affiliazio-
321
ne particolare con il nazismo, i quali andarono volontariamente a costituire
il personale dei tristemente famosi battaglioni di polizia che, insieme con le
SS, ed a uomini di partito e della Gestapo, furono i maggiori sterminatori di
ebrei. Essi avvilirono, torturarono e uccisero volontariamente i reclusi di
quei campi:
"Per i tedeschi che li dirigevano, il sistema concentrazionario dei campi fu
un mondo senza freni, in cui chi comandava poteva esprimere, con le parole
e con i fatti, le sue pulsioni più barbare, assaporando fino in fondo il piacere
e la soddisfazione psicologica del dominio sugli altri.
Ognuna di quelle guardie di tedeschi comuni era padrona indiscussa, incontrollata, assoluta degli internati. Poteva dare libero sfogo a qualsiasi impulso,
depredando, torturando o uccidendo i prigionieri a proprio piacimento, senza timore di subire alcuna conseguenza. Poteva concedersi orgiastiche manifestazioni di crudeltà, gratificando i suoi più bassi istinti aggressivi e sadici.
I campi divennero quindi strutture nelle quali i tedeschi potevano dare libera espressione ad ogni comportamento, dettato sia dall'ideologia che dall'
impulso psicologico, usando il corpo e la mente degli internati come strumenti di lavoro e come oggetti di gratificazione.
Essi costituivano un universo senza legge, in cui gli aguzzini sfogavano il
loro odio profondo per gli ebrei, esercitando una signoria assoluta su di essi,
esseri inferiori, applicando liberamente la morale nazista della violenza spietata sui nemici del Terzo Reich.
Ma è difficile ammettere che quella morale, indipendentemente dal partito
nazional-socialista, che l'aveva formulata e favorita, non fosse invece un istinto congenito di una razza che, ritenendosi allora superiore, poteva esprimere la sua superiorità con dei metodi con i quali, ad eccezione di una
trascurabile entità, si sentiva perfettamente a suo agio.
Disumanizzare le persone privandole della loro individualità, facendo di
ciascuno, uno dei tanti corpi in una massa indistinta, costituiva, per i tedeschi, il primo passo nella costruzione della categoria dei subumani.
Gli internati del sistema dei campi venivano precipitati in condizioni fisiche, mentali ed emotive, di disperata miseria, assai peggiori di quanto non si
fosse visto altrove in Europa, da secoli. Negando alla popolazione dei campi
un'alimentazione adeguata, anzi riducendo molti alla fame, costringendoli a
fatiche sfiancanti, con orari impossibili, fornendo loro abiti ed alloggi del
tutto insufficienti, per non parlare dell'assistenza medica, e infliggendo loro
violenza costante nel corpo e nella mente, i tedeschi riuscivano a far sì che
molti internati assumessero, con le loro ferite infette ed i segni delle più abominevoli malattie, l'aspetto e i comportamenti della subumanità che veniva loro attribuita.
322
La violenza sfrenata del sistema aveva due obiettivi principali:
- il primo, consisteva nella sua natura di sfogo repressivo, di mezzo di gratificazione per "l'homo novus" tedesco;
- il secondo consisteva nel contributo che quella violenza doveva dare alla
ricostruzione dell'immagine dei prigionieri.
La violenza stessa confermava nei tedeschi la convinzione della subumanità
degli ebrei e generava terrore, inducendo quei poveri prigionieri a umiliarsi
alla presenza dei signori tedeschi, come nessun essere umano farebbe mai
ad un suo pari, ed a confermare negli aguzzini, la convinzione che quelle
creature fossero del tutto prive di dignità; che non fossero cioè uomini, degni di rispetto e di considerazione morale.
In altre parole, attraverso un procedimento di autogratificazione, i tedeschi
comuni finirono per creare degli esseri che a loro sembravano davvero subumani, in quanto privi delle qualità essenziali per un uomo.
Nel mondo dei campi, quindi, si potevano vedere non soltanto i "nuovi tedeschi", ma anche quei "nuovi subumani" del futuro, in cui i nazisti, se avessero vinto la guerra, avrebbero potuto trasformare i popoli d'Europa".
La Germania e l'Austria, dopo la guerra, sono state poste di fronte alle
proprie responsabilità, si sono interrogate, ed oggi i popoli tedesco e austriaco è educato nelle scuole e nella società a forme di vera democrazia e rigorosamente tenuto ad osservare le sue severe leggi anti-razziste.
Il revisionismo storico e il ritorno di quei miti tragici, di cui purtroppo esistono tuttora segnali inquietanti, provoca nella società tedesca e austriaca di
oggi una unanime condanna, anche da parte dei tribunali.
Nel nostro Paese, viceversa, si è affermata un'immagine in cui tutti si sono
facilmente riconosciuti: il mito del bravo italiano. Si tratta di una autoraffigurazione di comodo che rappresenta gli italiani come refrattari alla
guerra di Mussolini e campioni di umana solidarietà anche nelle vesti di occupanti, come dimostrerebbe l'aiuto prestato alle popolazioni dei paesi aggrediti per ordine del Duce (Etiopia, Spagna, Albania, Francia, Grecia, Jugoslavia, Unione Sovietica) e l'opera di salvataggio compiuta a favore degli ebrei, strappati dalle mani dei carnefici nazisti.
Come tutti gli stereotipi, il mito del bravo italiano si è fondato su un nucleo
di verità (ad esempio, l'aiuto su larga scala agli ebrei) e al contempo su una
radicale rimozione di altri aspetti della realtà, imbarazzanti per la coscienza
nazionale:
- l'esistenza di un consenso nel Paese alla guerra dell'Asse e, soprattutto, il
volto aggressivo e oppressivo dell'occupazione italiana, reso manifesto
dal compimento di efferati crimini di guerra. Specialmente in Etiopia, in
Libia, nei Balcani, in Grecia e in Jugoslavia, le forze italiane si sono infatti
323
macchiate di delitti simili a quelli tanto esecrati commessi dalle truppe tedesche; l'uso di armi chimiche e batteriologiche, bombardamenti e incendi di villaggi, prelevamento e uccisione di ostaggi per rappresaglia, esecuzione indiscriminata di Partigiani, deportazione di migliaia di persone in
campi di concentramento (il fascismo italiano ne realizzò circa 200 solo
in Italia, uno anche a Tonezza).
- La rimozione dei crimini di guerra e l'impunità dei loro responsabili hanno costituito una delle preoccupazioni principali del Governo Badoglio ,
fin dai mesi successivi all'8 settembre 1943. Per difendere i nostri criminali di guerra si contrapposero e si strumentalizzarono le crudeli uccisione di italiani compiute nelle foibe; nell'immaginario collettivo si oppose
l'immagine del barbaro partigiano comunista titino a quella del bravo soldato italiano; sulle guerre coloniali ci si mise semplicemente una pietra
sopra;
- sanzioni, obblighi, espulsioni, privazioni, fino poi all'internamento e alla
deportazione; l'Italia non fu seconda a nessuno per la meticolosità e la
severità delle misure imposte agli ebrei. Una persecuzione che non conobbe tregua fino al luglio del 1943 e che riprese ed ebbe il suo culmine
in una vera e propria dichiarazione di guerra da parte del fascismo della
Repubblica Sociale, durante l'occupazione tedesca dell'Italia. Senza cittadinanza, trattati alla stregua di stranieri nemici, gli ebrei italiani furono
privati di qualsiasi tutela giuridica da parte dello Stato italiano, alla mercé
dei nazisti. L'estensione all'Italia della soluzione finale fu una conseguenza quasi automatica.
Contrariamente alla Germania e al Giappone, suoi alleati nell'Asse, l'Italia
non subì dunque processi per crimini di guerra, eccetto i pochissimi procedimenti condotti da inglesi e americani per crimini commessi contro i loro
prigionieri di guerra e un numero estremamente esiguo di processi condotti
nei paesi occupati contro i pochi malcapitati catturati dopo l'8 settembre.
Gli oltre 750 italiani richiesti dalla Jugoslavia, come i 180 richiesti dalla
Grecia, i 140 incriminati in Albania, e altri in Francia, in Libia o in Etiopia,
hanno goduto di un'assoluta impunità.
La mancanza di una Norimberga italiana che accertasse i gravi misfatti dell'occupazione fascista, ha avuto effetti profondi sull'opinione pubblica. Ha
permesso infatti che l'auto-raffigurazione del bravo italiano"non fosse scalfita. Quest'immagine autoassolutoria è rimasta in voga fino ad oggi, in parte
come frutto della narrazione della guerra sviluppata dall'antifascismo, più
propenso ad esaltare i sacrosanti meriti della Resistenza, che non a richiamare i crimini di cui ci eravamo macchiati; in parte (di gran lunga maggiore)
324
come effetto della volontà delle Istituzioni e di ambienti politici influenti di
difendere l'onore del Paese, o meglio, di garantire l'impunità degli accusati.
Questo modo di affrontare le nostre responsabilità, ha permesso che oggi
dilaghi la tendenza a addolcire il giudizio sul fascismo, ritenuto una dittatura
benigna, che "mandava gli oppositori in vacanza al confino". Una tendenza
a cui si accompagna una politica della memoria spregiudicata, che in nome
della pacificazione, promuove una memoria pubblica antagonista e alternativa a quella della Resistenza.
Il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, ha richiamato la necessità che il Paese si riappropri di una memoria intera, che tenga conto di
ogni pagina, sia pur negativa e dolorosa della storia nazionale. Se da questo
punto di vista, è giusto ricordare pagine drammatiche come le foibe o l'esodo istriano e dalmata, fin qui colpevolmente neglette, è al contempo necessario che gli italiani conoscano pagine non meno terribili e volutamente rimosse.
325
Nella fotografia di Henri Cartier-Bresson un'informatrice della Gestapo è schiaffeggiata in un campo di prigionia appena liberato.
Dopo anni di sofferenze, di avvilimenti e di lutti, per molti
la liberazione non può essere vissuta gioiosamente. Al rancore verso quanti non hanno voluto vedere e quanti sono
stati complici, si affianca la consapevolezza che qualcosa di
irreversibile è accaduto. Ha scritto Primo Levi, riflettendo
sull'esperienza delle vittime: "C'è chi davanti alla colpa altrui, o alla propria, volge le spalle, così da non vederla e
non sentirsene toccato: così hanno fatto la maggioranza
dei tedeschi nei dodici anni hitleriani, nell'illusione che il
non vedere fosse un non sapere, e che il non sapere li alleviasse dalla loro quota di complicità o di connivenza.... Il
mare di dolore, passato e presente, ci circondava, ed il suo
livello è salito di anno in anno fino quasi a sommergerci.
Era inutile chiudere gli occhi o volgergli le spalle, perché
era tutto intorno, in ogni direzione, fino all'orizzonte. Non
ci era possibile, né abbiamo voluto, essere isole; i giusti fra
di noi, non più né meno numerosi che in qualsiasi altro
gruppo umano, hanno provato rimorso, vergogna, dolore
insomma, per la colpa che altri e non loro avevano commessa, ed in cui si sono sentiti coinvolti, perché sentivano
che quanto era avvenuto intorno a loro, ed in loro presenza, e in loro, era irrevocabile. Non avrebbe potuto essere
lavato mai più; avrebbe dimostrato che l'uomo, il genere
umano, noi insomma, eravamo potenzialmente capaci di
costruire una mole infinita di dolore; e che il dolore è la
sola forza che si crei dal nulla, senza spesa e senza fatica.
Basta non vedere, non ascoltare, non fare".
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Albo d'Onore
Deportati Politici
(Decorati con “Croce al Merito di Guerra” e
del distintivo d’onore di “Volontari della Libertà”)
LA RESISTENZA NEI CAMPI NAZISTI.
"Raccontare poco non era giusto, raccontare il vero non si era creduti, allora ho evitato di raccontare. Sono stato prigioniero e bon, dicevo."
I deportati sono stati tutti quei cittadini europei e della stessa Germania,
chiusi nei lager di punizione e di sterminio per motivi razziali, sociali o politici.
Ma non furono solo i tedeschi a creare i lager; già dal 1941, l'Italia iniziò a
gestire direttamente le deportazioni di migliaia di persone in campi di concentramento e, a tal proposito, è importante ricordarne almeno uno di questi luoghi della memoria a noi vicino, un sito che molti di noi conoscono
oggi come luogo di vacanza, ma che fu luogo di dolore e di morte, un luogo
da visitare, per non dimenticare: il campo di sterminio italiano dell'isola di
Arbe.
In questa stupenda isola del Quarnaro, che ora si chiama Rab, nel silenzioso golfo di Kampor, il regime fascista italiano aveva realizzato un campo
d'internamento per decine di migliaia di jugoslavi e di ebrei deportati. I fascisti avevano deciso, a modo loro, la italianizzazione della nuova Provincia
di Lubiana e dei recenti possedimenti in Balcania, nonché collaborare alla
soluzione finale che Hitler aveva stabilito.
327
E se tale sorte si compì soltanto parzialmente, fu anche merito della lotta
condotta dagli antifascisti italiani, dagli scioperi del marzo '43, non ultimo la
caduta di Mussolini e l'8 settembre.
Non possiamo paragonare il campo di concentramento di Rab con gli enormi campi di sterminio tedeschi. Non vi erano forni crematori e camere a
gas. Il campo non era nemmeno amministrato da criminali di guerra, a ciò
particolarmente addestrati, come avveniva nelle fabbriche della morte tedesche. Il campo di Rab era, in paragone con quelli tedeschi, molto minore.
Ma nel campo di Rab, i fascisti italiani, avevano preparato per gli internati
una morte lenta e dolorosa, per fame e sporcizia. Così il campo di Rab è diventato di gran lunga il peggiore dei numerosi campi di concentramento dell'Italia fascista, e nello stesso tempo, il cimitero di Kampor, la tomba più
grande delle vittime del fascismo italiano.
Sullo stesso drammatico argomento delle deportazioni, non possiamo però
dimenticare che gli italiani hanno scritto anche pagine gloriose, che ci hanno
ridato la dignità di popolo civile. Pagine scritte da uomini coraggiosi e giusti
come il già famoso Giorgio Perlasca, ma anche da tanti altri, come ad esempio qui nel Veneto e nel Vicentino in particolare, dove vi fu un'organizzazione, chiamata "Catena di Salvezza", che si proponeva di aiutare, nascondere, portare in salvo, ebrei, soldati alleati, carcerati, ricercati, e di cui abbiamo già parlato in precedenza.
Quando si parla di deportati, in generale ci si riferisce agli Ebrei (triangoli
gialli), ma anche agli zingari e ai nomadi in genere, cioè agli asociali (triangolo nero), agli omosessuali (triangolo rosa), ai criminali veri e propri (triangolo verde), ai religiosi e ai Testimoni di Geova in particolare (triangolo viola),
agli spagnoli, cioè i combattenti dell'esercito repubblicano della guerra di
Spagna (triangoli blu), agli avversari politici interni del nazifascismo (triangoli rossi), e i prigionieri K (K = Kugel = Pallottola), prevalentemente soldati e cittadini sovietici da eliminare velocemente, forse gli unici abili al lavoro che venivano ‘sprecati’.
I deportati sono destinati, come tutti i prigionieri dei nazi-fascisti, prima di
tutto a lavorare per la macchina bellica del Terzo Reich. Il lavoro forzato e il
regime alimentare sono sempre durissimi, ma più o meno duri a seconda
della convenienza economica, della ritenuta pericolosità dell'individuo o del
suo gruppo di appartenenza; e chi non è abile al lavoro, o non lo è più, viene eliminato.
Soldati sovietici ed ebrei , finivano quindi prioritariamente nei KL – Konzentrationslager (Lager di punizione e sterminio, meglio conosciuti come KZ, gestiti dalla Gestapo e dalle SS - Schuld Staffen, con le note camere a gas e i
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forni crematori), dove più duro era il lavoro, minore il cibo e più efficiente
la macchina organizzativa per lo sterminio e l'eliminazione dei corpi.
La deportazione di cittadini italiani, favorita dalla collaborazione fra la milizia fascista e le SS, iniziò dopo l'8 settembre 1943, dal territorio della Repubblica di Salò.
Nell'Italia del nord furono creati dei campi di concentramento, dove gli arrestati (partigiani, antifascisti ed ebrei) sostavano per un breve periodo, in
attesa dei convogli che li avrebbero trasportati in Germania: Fossoli di Carpi
(Mo) – Bolzano – Borgo S. Dalmazzo (Cn).
Un vero e proprio lager era invece quello della Risiera a di San Sabba a
Trieste, dove fu allestito anche un forno crematorio; fu l'unico campo di
sterminio nazista in Italia.
Nei KZ tedeschi i prigionieri italiani arrivarono più tardi di quelli di altri
paesi, ma le caratteristiche della loro detenzione non sono diverse.
Quando si parla di Internati, si parla invece di I.M.I. (Internati Militari Italiani), cioè di quei 700.000 soldati italiani che, per la servile condiscendenza
di Mussolini, non sono riconosciuti come KGF (Prigionieri di guerra), cioè
sono privati di ogni garanzia da parte della Croce Rossa Internazionale e utilizzati come schiavi nell'industria bellica tedesca.
Gli I.M.I. sono in gran parte detenuti negli Offizierslager per ufficiali o negli Stammlager, per sottufficiali e truppa.
Anche alcuni I.M.I. divennero dei deportati e imprigionati nei KZ, come
Treblinka, Dachau, Mauthausen, Berghen-Belsen, Buchenwald, Flossemburg, e in molti altri campi minori, ma ciò avviene di rado, per punizioni
gravi e spesso per errore.
Fino all'estate 1944, ai primi I.M.I., si aggiungono a scaglioni moltissimi Carabinieri, giovani renitenti e sbandati recidivi, o che sono sospettati di simpatie con la Resistenza o semplicemente perché ai tedeschi serviva manodopera.
Dall'estate '44, cominciò a essere attuato l'accordo-farsa Hitler-Mussolini,
e la gran parte degli I.M.I. diventano Liberi Lavoratori, una specie di "obbligati al lavoro libero" (sic!); nella realtà si tratta sempre di schiavi di Hitler. Le
differenze?
In molti casi i campi vengono formalmente aperti, ma gli ex I.M.I. sono riconoscibili e controllati anche dalla stessa popolazione; non fuggivano prima, non possono farlo ora. Se ci provano, gli sparano o li spediscono in un
Straflager (Campo di punizione) o direttamente in un KZ.
Stessa alimentazione, anche se qualcuno riesce ora a rubare qualcosa nei
campi: una patata, un frutto, una verza, col rischio di essere ammazzati per
questo.
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Percepiscono una ridicola paga, con cui non possono comprarsi quasi nulla, talvolta una birra, se la trovi e se i tedeschi la vendono.
Man mano che le necessità dell'industria bellica tedesca si fanno più drammatiche, anche i ritmi di lavoro diventano più pesanti e sempre più spesso
gli schiavi devono lavorare anche sotto le bombe.
A peggiorare ulteriormente la situazione, nell'ottobre del '44, come già nei
KZ, tutti i prigionieri vengono affidati alle cure delle sole SS: lo sfruttamento della forza-lavoro si fa ancora più intenso e le punizioni più bestiali.
In certi casi, ma per pochi, il passaggio a "liberi lavoratori", ha significato
andare in meglio, come per chi ha avuto la fortuna di essere assegnato ad un
artigiano o a una famiglia contadina, più umani, e ad un lavoro all'aperto che
permette loro di arricchire l’alimentazione; per altri è andata molto peggio e,
per la maggioranza, non è cambiato nulla.
Dall'estate '44, ai liberi lavoratori si aggiungono i lavoratori coatti, i quali hanno uguale sorte di chi li ha preceduti. Con la scadenza dei bandi d'arruolamento della R.S.I., con la sempre maggiore necessità di nuovi schiavi per il
Terzo Reich, con la rabbia per l'avanzata degli Alleati e la crescita del movimento partigiano, i nazi-fascisti inviano in Germania chiunque sia abile al
lavoro.
Per punizione, sempre più ex I.M.I. e lavoratori coatti già in Germania,
sempre più Partigiani catturati nei rastrellamenti e operai degli scioperi, diventano deportati.
Furono circa 45.000 gli italiani deportati: quasi 10.000 gli Ebrei e circa
35.000 i Partigiani e gli antifascisti. Oltre 35.000 "passarono per il camino"
e per solo 8.620 ne è stata accertata la morte! 152 sono stati i deportati vicentini morti nei lager nazisti, tra cui il nostro Giuseppe Saccardo, 19 anni,
Partigiano della Brigata "Loris".
"Mai potrei dimenticare quel silenzio notturno che mi privò, per tutta l'eternità, del desiderio di vivere. Mai dimenticherò, quei momenti che uccisero il mio Dio e la mia anima, e
ridussero i miei sogni in polvere. ... Dov'è Dio adesso? E udii una voce dentro di me rispondere. Eccolo lì: appeso a quella forca!"
(da "La notte" del Premio Nobel Elie Wiesel)
Anche questa è stata la Resistenza.
330
Francesco
Campagnolo
"Checonia"
fu Pietro e Qualbene Maria, classe 1906.
Deportato Politico. Antifascista, comunista e garibaldino di
Spagna, dopo essere stato liberato dal confino presso l'isola
di Ventotene, nell'agosto 43, torna a Montecchio Precalcino, dove dopo l'8 settembre, inizia ad organizzare la Resistenza.
Catturato nell'aprile '44, viene imprigionato, interrogato e
torturato; dalla prigione della G.N.R. a S. Michele è portato
in quella delle SS Italiane in Via Fratelli Albanese, e dopo
giorni, incarcerato a San Biagio. Il 21 Dicembre è deportato, prima nel Campo di Bolzano e, il 12 gennaio 1945, arriva al KZ - Konzentrationslager di Mauthausen.
"Dopo aver percorso i tre chilometri e mezzo che separano
la stazione ferroviaria dal campo, dopo aver attraversato il
paese sulle rive del Danubio, risalito un colle ricoperto di
boschi e attraversato diversi sbarramenti di SS, arrivano in
vista del campo. L’alta muraglia di granito grigio-nero, intercalata da torri massicce e grigie, le file di garitte sopraelevate con mitragliatrici e SS sempre in posizione di tiro, i
reticolati muniti di isolatori di porcellana e percorsi dalla
corrente ad alta tensione, il grande portone pesantissimo fra
due torri più alte delle altre e riunite al disopra del portone
da una grande aquila nazista e da una specie di passerella
chiusa da una vetrata, le schiere di sentinelle che si intravedevano in ogni angolo così che non si poteva sottrarsi alla
loro sorveglianza in nessun modo, il controllo rigidissimo,
le conte e riconte del numero di quelli che entravano e che
uscivano, tutto ciò diede subito un'impressione funebre e
terribile." (Gino Massignan)
Il campo fu costruito in quel luogo perché c'è una cava di
granito, dalla quale si estraeva pietra destinata all'architettura di pregio. Il campo fu efficiente sia come strumento economico, sia come meccanismo di soppressione e di sterminio di massa. Prima della guerra, nel lager erano stati deportati gli oppositori tedeschi, in particolare gli spartachisti, i
socialdemocratici e i reduci di Spagna consegnati da Pétain
a Hitler nell'inverno '41-'42.
Checonia in uno di quei rari giorni che poteva ricordare, quasi mi confidò: "... trovai alcuni repubblicani spagnoli, anche
compagni che già conoscevo e con cui avevo combattuto...
331
riuscii ad unirmi a loro e loro mi protessero come un fratello! Se sono vivo..., anche se così... è solo grazie a loro."
Durante il conflitto il KZ di Mauthausen si riempì di resistenti europei, di politici, di ebrei, mescolati tra loro. Di essi
oltre l'80% perse la vita.
"L'effettivo orario di lavoro era, sia nelle cave di pietra che
nella produzione di armi e nelle miniere, in media di 11 ore
al giorno. La sveglia era alle 4.45, in inverno alle 5,15... e chi
non era più idoneo al lavoro veniva fucilato, o ammazzato
nelle cave di pietra, affogato o torturato sotto la doccia
fredda sino alla morte." (Kurt Hacker)
A Mauthausen c'è la famigerata "scala della morte". Questa
scala, di 189 alti gradini, portava alla cava e lungo quei gradini i deportati portavano macigni. Cadendo per la fatica o
perché le SS li facevano inciampare, rotolavano giù, e con
loro altri deportati e altri sassi. Venivano abbattuti a bastonate o a fucilate se non riuscivano a rialzarsi.
"Un giorno fecero spogliare gli ebrei e li radunarono dalla
parte sgombra della cava. Poi li misero in fila, uno per uno,
e li fecero andare verso il burrone. Le SS erano ai lati e li
spingevano avanti a frustate. Così ogni uno dei deportati
veniva precipitato nella cava. C'erano molti ragazzi coi loro
genitori." (Franco Busetto)
I prigionieri del KZ di Mauthausen e quelli dei campi dipendenti furono liberati nei primi giorni di maggio 1945
dalle truppe americane.
Francesco torna a casa il 20 luglio 1945, ma non sarà più
l'uomo di un tempo; vent'anni di lotte e privazioni, ma soprattutto più di un anno di KZ, lo hanno irrimediabilmente
piegato nel fisico e nella mente.
Vedi anche Albo "Antifascisti" e "Partigiani".
Rino
Dall'Osto
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fu Giacinto e Moro Domenica, classe 1922.
Deportato Politico. Partigiano, è costretto a costituirsi dopo
il rastrellamento di Montecchio Precalcino dell'11 agosto. Il
18 novembre 44, dalle carceri di San Biagio a Vicenza, viene
deportato in Germania assieme ai partigiani Bruno e Giuseppe Saccardo, anche se non sono poi destinati allo stesso
lager; sullo stesso treno sono caricati anche il partigiano
Giuseppe Grotto, che però a Verona riuscirà a scappare e il
patriota Alessandro Dal Santo, che finisce nel suo stesso lager. Il 27 novembre Rino Dall'Osto raggiunge il lager di
Lavenau, nei pressi di Hannover e vi rimarrà sino ai primi
giorni del maggio 1945, quando viene liberato dagli americani. Rino torna a casa il 12 agosto 1945.
Vedi anche Albo "Partigiani".
Alessandro
Dal Santo
"Marusco”
fu Nicola e Vidale Francesca, classe 1918.
Deportato Politico. Gia del 3° Settore Guardie alla Frontiera presso Cuneo. Dopo l'8 settembre riesce a tornare a casa
e collabora con la Resistenza.
Patriota, è costretto a costituirsi dopo il rastrellamento di
Montecchio Precalcino dell'11 agosto. Il 18 novembre 44,
dalle carceri di San Biagio a Vicenza, viene deportato in
Germania assieme ai partigiani Bruno e Giuseppe Saccardo,
Rino Dall'Osto e il partigiano Giuseppe Grotto, che però a
Verona riesce a scappare. Il 27 novembre Alessandro raggiunge il Stammlager di Lavenau, nei pressi di Hannover e
vi rimarrà sino ai primi giorni del maggio 1945, quando viene liberato dagli americani; torna a casa nell'agosto 1945 e
nel dopoguerra emigra in Australia.
Vedi anche Albo "Resistenti 8 settembre" e "Patrioti"
Il perimetro del lager
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Michelangelo
Giaretta
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fu Sebastiano e Dal Sasso Maria, classe 1926.
Deportato Politico. Figlio dell'antifascista Sebastiano Giaretta e nipote di Poletti Ercole, primo "Podestà" di Montecchio Precalcino (1926-30). Gappista delle Ferrovie e Partigiano, è costretto a costituirsi dopo il rastrellamento di
Montecchio Precalcino dell'11 agosto 1944.
Condannato alla deportazione in Germania, il 28 agosto è a
Bitterfeld in Sassonia. Fatti scendere dal treno, sono portati
nel vicino campo di smistamento e, verso sera, all'ex Stammlager di Piesteritz, un campo già organizzato come previsto dalle nuove disposizioni su gli ex I.M.I., ora "liberi lavoratori".
"Ci dissero che venivamo lasciati liberi assieme a tutti gli altri I.M.I. che stavano in questo campo, ci vennero consegnate le coperte, le scodelle...
Il giorno 29... con l'interprete venimmo accompagnati in
fabbrica... Io venni assegnato all'officina dove mi misero al
lavoro assieme ad un operaio tedesco, il quale aveva idee
uguali alle mie e cioè odiava i fascisti e i nazisti; ogni giorno
mi portava le notizie dall'Italia che lui ascoltava da Radio
Londra, mi portava pure della frutta e del pane; ..."
"...il mangiare era poco e il lavoro di dodici ore al giorno mi
stancava... pensavo a casa mia e piangevo..."
“Il 14 (settembre)... un ragazzo siciliano di 25 anni, che sin
dal giorno del nostro arrivo in Germania non aveva fatto altro che progettare piani di fuga, venne nella mia camerata
perché il mattino seguente voleva fuggire assieme ad altri
due, i cugini Manfiotto da Semonzo del Grappa, e mi chiese
se volevo aggregarmi. Io esitai un momento, poi accettai."
La fuga dura poco, vengono catturati il giorno stesso a Wittemberg, sul fiume Elba, mentre stanno per salire sul treno
per Bitterfeld, e subito consegnati alla Gestapo. Dopo sei
giorni di carcere duro e interrogatori pesanti, il 21 settembre
vengono portati nello Straflager IV (Campo di punizione) a
tre chilometri da Wittenberg. Qui i condannati lavorano in
una fabbrica di gomma, la "Gummi Werche".
Vengono portati in una baracca tutta di lamiera, fatti spogliare e lavare; gli vengono tagliati i capelli e con una macchinetta rasata a zero una riga dalla fronte alla nuca; vengono fatti rivestire solo con una tuta da lavoro, una camicia, un
paio di pantofole di gomma tutte rotte; consegnano loro una
coperta e una gamella con cucchiaio.
Fatti entrare nell'ufficio dal comandante del campo, sono
informati che in caso di fuga la pena prevista è l'impiccagione e viene loro consegnata una medaglia con il loro numero.
Da quel momento Michelangelo è il N° 274.
"... io fui messo da solo in una camerata con tutti stranieri:
polacchi, francesi, belgi, olandesi... (mai in una camerata due
della stessa nazionalità, in modo che non potessero comunicare. Michelangelo ha la fortuna di conoscere un pò di francese e quindi di comunicare, soprattutto con il capo camerata polacco che conosceva questa lingua)... che mi diedero
istruzioni per il momento del rancio e come dovevo comportarmi, ... Quando senti il fischietto devi prendere la gavetta e correre fuori dalla baracca a grande velocità per metterti in fila lungo il corridoio e sull'attenti; se senti risuonare
il fischietto devi ritornare in camerata al tuo posto. Questa
manovra te la possono far fare molte volte; devi notare che
ci sono molti ammalati tra di noi e che nell'uscire cadono e
rischiamo di calpestarli. Inoltre, la maggior parte delle volte
sulla porta si mette un tedesco a bastonarci a tutta forza."
Ma il guaio più grosso era andare a letto, perché verso le 22
suona il fischietto per andare al gabinetto e poi risuona per
andare a spogliarsi; devono restare al freddo, con la sola camicia e sull'attenti, anche per più di un'ora. Quando il comandante è in comodo e ben ubriaco, assieme ai suoi sgherri passa per le camerate per dare la "buona notte":
"...batte tre colpi sul tavolo, a tempo dei quali dovevamo essere sopra le brande immobili. Se al terzo colpo al comandante gli pareva che non avessimo eseguito la manovra con
la rapidità necessaria, ce la faceva ripetere anche dieci volte
di seguito...
Quella sera... io saltai molto svelto sopra la branda e il comandante, chiesto al capo baracca se ero nuovo, mi fece
scendere, mi mise con la testa appoggiata al tavolo, mi alzò
la sola camicia che avevo e chiamò il boia (un uomo alto
quasi due metri) che lo aiutasse a battermi. Batterono sulla
mia schiena a tempo, finché caddi a terra, poi si rimisero a
battermi perché mi alzassi. Feci uno sforzo tremendo, ma ci
riuscii, e quando il comandante picchiò i tre colpi riuscii an-
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che a salire in branda. Il comandante disse "gut" e uscì per
continuare la visita alle altre baracche."
Quella notte Michelangelo non riesce a chiudere occhio dal
dolore e dalle grida degli altri bastonati. Alla mattina alle
quattro vengono a dare la sveglia, bisogna vestirsi in fretta,
lavarsi e, malgrado i dolori della battuta, a Michelangelo tocca lavare i pavimenti e tutta la camerata. A seguire: colazione
con cento grammi di pane e del caffè d'orzo (sic!): "una
brodaglia nera, ovviamente senza zucchero"; adunata e alle
sei inizio del nuovo lavoro.
Alle diciotto, dopo dodici ore di lavoro continuato e senza
mangiare, vengono riaccompagnati in baracca al grido
"Maiali avanti! Badoglio! Partigian!" e all'entrata bastonati.
Appena in camerata c'è l'ordine di fare la doccia, ovviamente
ghiacciata, poi il fischio del rancio, la canonica battuta fuori
dalla porta e sull'attenti davanti al tavolo sul quale stavano
allineate le gamelle con un litro di misera zuppa. Dopo qualche minuto un guardiano batte un colpo di manganello sul
tavolo, è l'ordine di saltare al di là della panca e sedersi, ma
se questo viene eseguito in modo troppo lento, lo devono
ripetere anche più di dieci volte.
Di notte sono chiusi a chiave nelle camerate, e "se necessitava urinavo nella gamella e se la sete si faceva insopportabile la bevevo... l'eventuale materasso bagnato (sacco con riccioli della piallatura del legno), costava al mattino 15-20 colpi di "gommino".
"Intanto, in questo modo arrivò ottobre e i dolori delle battute non se ne andavano, anzi aumentavano, e nel frattempo
le ciabatte di gomma mi stavano distruggendo i piedi; un italiano che si trovava lì da tempo mi diceva:"Abbi coraggio e
cerca di non ammalarti; perché qui ti uccidono". Io non ci
volevo credere, ma qualche giorno dopo, rientrati dalla fabbrica e contati, il comandante ci ordinò di entrare nella baracca, di corsa uno a uno per essere meglio battuti.
Non ci fecero entrare in camerata, ma allineare nel corridoio, tutti in fila per uno. Il comandante e il boia, ubriachi
fradici, si misero a guardarci e a passeggiare avanti e in dietro, estrassero le pistole e incominciano a sparare all'impazzata. Dopo di questo, presero un belga e lo picchiarono con
pugni sul ventre e sulla faccia... dopo mezzora questo pove-
336
ro ragazzo sviene e allora cominciarono a batterlo con il
manganello per farlo rialzare.
Il ragazzo riuscì a rialzarsi, il capitano lo mise sull'attenti,
sparo altri colpi in aria e gli chiese se il giorno dopo ce la faceva a tornare al lavoro. Alla risposta che si sentiva molto
male e che forse non ce l'avrebbe fatta, il comandante, con
un colpo improvviso di pistola, lo colpì sopra l'orecchio destro, uccidendolo.
Dopo aver fatto ciò, chiamò me ed un'altro e ci ordinò di
pulire il pavimento dal sangue e fece portare via il cadavere.
Dopo questa terribile scena, passavo le notti insonni, tra incubi di paura e terrore!"
Ai primi di novembre, Michelangelo e altri prigionieri stanno trasportando con dei secchi la zuppa per la cena, il comandante chiude la luce del corridoio e, dall'oscurità, ordina
loro di avanzare ugualmente.
Michelangelo è il primo della fila e quando giunge all'altezza
della porta riceve un terribile colpo in testa, barcolla, cade e,
ovviamente, rovescia la zuppa e, a seguire, tocca a tutti gli
altri.
"Il comandante, soddisfatto dell'opera compiuta, estrae la
pistola, spara all'impazzata e ordina l'adunata: avverte tutti
che la zuppa è andata al diavolo e che quindi quella sera non
si mangia. Ordina di pulire tutto alla perfezione e riconvoca
l'adunata: tiene un nervosissimo discorso, la cui sostanza è la
pretesa della nostra cieca obbedienza ai suoi ordini in cambio della vita. E ne dà subito una dimostrazione con i fatti:
prende un francese, che un giorno non era stato svelto a
mettersi in fila, e lo batte in modo tale che dieci giorni dopo
muore. Poi continua, picchiandone due per ogni camerata."
Ai primi di dicembre, dopo più di due mesi di Straflager,
termina il periodo di punizione per i nostri quattro aspiranti
evasi, ma i due cugini Manfiotto di Semonzo del Grappa
non ce l'hanno fatta: il primo, il più giovane, è morto due
settimane prima a causa di uno dei soliti pestaggi, il più anziano, dopo l'ultimo pestaggio di commiato, è trattenuto al
campo e la sera stessa ucciso con il famoso colpo di pistola
alla nuca. Solo il siciliano e Michelangelo riescono ad uscirne e a tornare allo Stammlager di Piesteritz.
"Uscito da questo terribile inferno, incominciava per me una
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seconda vita. Non avevo più un passato, non esistevano più
ricordi, famiglia, amici,... ma soltanto la speranza di poter
mangiare e di riuscire a sopravvivere..."
Successivamente altri cinque duri mesi a "pico e pala", nei
forni per l'estrazione del carburo, a scaricare vagoni e camion, a spalare neve, a prendere la quotidiana dose di gommate dai poliziotti, a soffrire un freddo tremendo e sempre
con gli stessi vestiti indossati in agosto, a "... raccogliere cavoli bruciati dal gelo, che si facevano cuocere e poi si mangiavano, o catturare qualche rana e mangiarsela cruda sotto
lo sguardo divertito dei nostri aguzzini..., come quando andavano a scavare fosse o sgomberare macerie nello scalo di
Lipsia o Halle.”
Finalmente, il 18 aprile 1945, la Liberazione del campo, ad
opera dell'Armata Rossa Sovietica, 1° Fronte Ukraino, 13^
Armata.
Dopo un periodo di cure e dopo aver ripreso un minimo di
forze, Michelangelo inizia il lungo viaggio che il 2 settembre
1945 lo riporta a casa.
Quando nell'agosto 1944 era partito da Vicenza, pesava 75
kg; quando torna a Montecchio ne pesa 47 e ha ancora una
lunga strada da percorrere per recuperare nel fisico e nella
mente.
Vedi anche Albo "Partigiani".
"Il Mago Magrumi"
20 aprile 1945 – Piesteritz / Wittemberg
La foto eseguita con una macchina fotografica
trovata assieme ai vestiti in una casa abbandonata. Notare l'originale abbigliamento di Michelangelo Giaretta, 19 anni, in frack e cappello a cilindro con la stella rossa e sul petto il
tricolore.
338
Bruno
Saccardo
e
Giuseppe
Saccardo
fu Girolamo e De Poi Elisabetta,
classe 1922.
classe 1926, caduto nel 1945, a 19 anni.
Deportati Politici. Tra i primi ad organizzare la Resistenza a
Preara, l'11 agosto 1944, sono catturati nella loro casa della
G.N.R.. Il 18 novembre 44, dalle carceri di San Biagio a Vicenza, vengono deportati in Germania con lo stesso treno
dal Partigiano Rino Dall'Osto e del Patriota Alessandro Dal
Santo. Sono segregati nel Lager di Leihtmberg, nei pressi di
Berlino.
Il 21 aprile 1945, mentre Berlino è già sotto assedio russo e
i deportati stanno lavorando a spostare macerie in città, durante un ennesimo bombardamento muore Giuseppe Saccardo (notizia portata da certo Polo Antonio di Vallà di
Riese Pio X, Treviso).
Il 23 aprile i Sovietici liberano il Lager di Leihtmberg ed anche il fratello superstite. Bruno torna a casa il 10 luglio
1945. Vedi anche Albo "Partigiani".
Luigi
"Gino Baci"
Gabrieletto
fu Antonio e Dall'Osto
Maria, classe 1924.
Deportato N° 5591 del
1° Camp. KG di Dachau.
Già giovane recluta del
71° Reggimento Fanteria, 4^ Compagnia, a
Sacile (Pn), l'8 settembre, sbandato, riesce a
tornare a casa. Renitente ai bandi di arruolamento della RSI, alle
ore 7 del 1 settembre
1944, dopo una notte
passata a "dare acqua" al granoturco in aiuto del padre, una
pattuglia tedesca, accasermata a Casa Tretti, in Via San
Rocco, circonda la sua abitazione e lo arresta. La spia era
stato ...«omissis»..., suo compaesano, uno dei "bravi" di Lu-
339
dovico Dal Balcon, reggente del fascio repubblicano di
Montecchio Precalcino.
E' subito portato in Casa Tretti e interrogato. Lo stesso
giorno è già nelle prigioni di San Biagio, dove incontra altri
paesani: Giuseppe Gnata, Giovanni Caretta, Francesco
Maccà, Alessandro Dal Santo, Giuseppe Grotto, Rino Dall'Osto, che erano già stati catturati in occasione del grande
rastrellamento di Montecchio dell'11 Agosto.
Il 22 settembre, Luigi e altri deportati, sono caricati su un
carro bestiame alla volta di Verona, dove a causa dei bombardamenti e dei sabotaggi partigiani, restano fermi un
giorno.
Il 23 ripartono, passano per Trento, Bolzano, il Brennero,
Monaco di Baviera, si fermano alla stazione di Dachau;
scortati e a piedi raggiungono il Lager principale.
"Entrando nel campo vide un'infinità di uomini, se potevano ancora dirsi tali, che si trascinavano sfiniti e incerti sulle
gambe. Molti di quelli, come poi constatò personalmente,
avrebbero voluto morire, magari toccando i reticolati o in
altro modo, ma nemmeno a morire erano padroni. Ebbe un
vestito a righe, ... Gli scattarono una foto col numero 5591,
numero che portava con una catenella al petto." (Benito
Gramola)
Dopo la schedatura viene destinato al 1° Campo KG, una
delle decine di succursali del Lager principale; un ex Stammlager per I.M.I., dove Luigi viene destinato al lavoro coatto presso un contadino, a raccogliere patate.
Ad un determinato momento, i ricordi di Luigi, sempre così
lucidi e accurati anche dopo tanti anni, si fanno improvvisamente imprecisi e a "flash"; dice che non lo fanno più lavorare, che nel campo si muore di inedia, che fa la fame e
prende botte ("le guardie legavano a dei cavalletti i prigionieri e li picchiavano finché svenivano"); dice che al campo
gli italiani sono tanti, ma tanti anche i polacchi e quelli che
sono da più tempo reclusi o più deboli, muoiono; parla di
militi SS, di odori nauseabondi e fumo uscire da grandi
canne fumarie. Anomalo questo comportamento di Luigi,
anomale per un lavoratore coatto le situazioni raccontate;
poi ad un tratto Luigi ritrova il filo della memoria e il racconto ricomincia chiaro e preciso.
340
Tutto ciò fa intuire che probabilmente, per qualche ragione
a noi sconosciuta, forse per punizione, forse per errore,
Luigi sia finito per un periodo nel KZ di Dachau, cioè nel
tristemente famoso campo di punizione e sterminio. E se
questa intuizione è esatta, come già successo a molti sopravvissuti ai KZ, è più che comprensibile che anche Luigi
abbia voluto proteggersi, censurando nella sua mente il ricordo di quell'orribile esperienza.
Luigi rimane a Monaco fino al marzo 1945, quando, in carenza di meccanici, lo assegnarono con il suo amico di prigionia Attilio Perona ( Partigiano di Castellamonte di Torino) ed altri due italiani, ad un'officina di riparazioni meccaniche a Garmisch – Partenkirchen, nota stazione invernale
delle Alpi Bavaresi, al confine con il Tirolo austriaco. Dove
però "per mangiare... andavano nei letamai degli alberghi,
che erano trasformati in ospedali, a cercare bucce di patate,
che poi cucinavano. Se facevano la fame, almeno a Garmisch non erano soggetti ai bombardamenti; gli alleati colpirono una volta la stazione, e nient'altro, mentre a Monaco
di Baviera era un inferno."
(Benito Gramola)
Il 25 aprile 1945, quando in Italia del Nord inizia l'insurrezione generale, Luigi e gli altri tre italiani decidono di fuggire e di non aspettare gli Alleati. Raggiungono a piedi il
Brennero, di notte riescono a passare sotto i reticolati e incamminarsi verso Bolzano. Dopo Bolzano raggiungono il 4
maggio anche Trento. Nel pomeriggio incontrano i primi
americani e in città possono usufruire di un primo posto di
ristoro, ma, "non erano più capaci di mangiare".
La sera stessa, sempre a piedi, raggiungono Rovereto, dove
passano la notte. Il 5 maggio mangiano qualcosa in un posto di ristoro e decidono di separarsi; a Luigi conviene salire
la Vallarsa e raggiungere Schio. Il giorno seguente, Domenica 6 maggio, passando per Marano, ottiene una bicicletta
da un conoscente (il farmacista Maccà), con la quale raggiunge velocemente il suo paese.
Vedi anche Albo "Resistenti 8 settembre".
341
342
Albo d'Onore
Lavoratori coatti
Alessandro
Francesco
Baio
fu Francesco e Dall'Igna Anna,
Ex lavoratore volontario, classe 1903.
Ex Lavoratore volontario, forse per punizione ridotto in
completa schiavitù come lavoratore coatto. Sposato con
quattro figli, risulta in Germania dal 1 maggio 1944.
Alessandro torna a casa il 31 agosto 1945.
Giuseppe
Baldinelli
fu Pietro e Dalla Valle Elisabetta,
Ex milite repubblichino, classe 1898.
Analfabeta, di famiglia poverissima, all'inizio del ventennio
è vittima di un feroce pestaggio fascista. Per sfamare la famiglia, entra volontario nella Milizia, 42^ Legione "Berica"
Camice Nere di Vicenza, poi passa alla 63^ Legione "Tagliamento", e infine all'8^ Legione "Artiglieria Antiaerea" a
Udine (Romano Dal Lago lo incontra dopo l'8 settembre
1943, mentre ancora fa la guardia ad una caserma). Aderisce
alla R.S.I. e il 1 ottobre 1943 è ricoverato all'Ospedale Militare di Bressanone. Il 29 giugno '44, da Bressanone, forse
per punizione o semplicemente perché i tedeschi pretendono nuova manodopera, viene spedito in Germania come
lavoratore coatto.
Giuseppe torna a casa inabile al lavoro.
Antonio
Campagnolo
"Camparo"
fu Valentino e Carlesso Angela,
Carabiniere, classe 1911.
Reduce di Russia. Già della Legione Territoriale CC.RR. di
Verona (1939-41) e Reduce di Russia con la 356^ Sezione
Carabinieri, 3^ Divisione "Celere" (1941-43), dal maggio
del 1943 è assegnato alla Stazione CC.RR. di Malo, dove
343
resta in servizio anche dopo l'8 settembre '43.
Catturato dai nazifascisti il 5 agosto 1944, durante la caccia
al Carabiniere, viene deportato in Germania come ex internato, ormai grazie a Mussolini ed Hitler, "Libero Lavoratore" (sic!). Antonio torna a casa il 27 agosto 1945. E' definitivamente congedato il 23 settembre 1945.
Vedi anche Albo "Carabinieri".
Decimo
Romolo
Campagnolo
"Camparo"
Pasqualino
Bortolo
Carolo
344
fu Valentino e Carlesso Angela,
Finanziere, classe 1921.
Già della Legione Territoriale della Regia Guardia di Finanza "Due Piavi" a Venezia, dove resta in servizio anche dopo
l'8 settembre 1943.
Catturato dai nazi-fascisti a Mestre, il 1 agosto 1944, come
il fratello Antonio, è internato presso l'ex Offizierslager
VI/C di Osnabrück, nel Wehrkreis VI di Münster, in Renania Sett. –Westfalia, in Germania (ex lager per ufficiali,
nel 6° distretto militare). Ormai è un "Libero Lavoratore"
(sic!). Antonio torna a casa il 16 settembre 1945.
Vedi anche Albo "Carabinieri".
fu Giuseppe e Garzaro Maria,
Carabiniere, classe 1921.
Già fante del 23° Settore G.a.F. sino a fine 1942, successivamente, entra nell'Arma, Legione Territoriale CC.RR. di
Verona. Resta in servizio anche dopo l'8 settembre '43.
Arrestato il 5 agosto 1944, durante la caccia al Carabiniere,
viene internato in Germania come lavoratore coatto, presso
il Lager XVII/A di Kaisersteinbroch, vicino Vienna, in Austria; lo stesso lager dove già da un anno sono internati i
suoi concittadini ex I.M.I., Filippetto Giuseppe, Persico
Giuseppe, Nemo Alfredo, Peruzzo Guerrino, Todeschini
Gio Batta e Peruzzo Massimiliano che in quel luogo troverà
la morte il giorno della liberazione del campo.
Pasqualino torna a casa il 14 settembre 1945. Torna subito
in servizio presso la Legione Territoriale CC. RR. di Milano,
da dove viene definitivamente congedato il 9 novembre
1945. Vedi anche Albo "Carabinieri".
Bortolo
Clavello
fu Bortolo e Valerio Antonia,
Ex milite repubblichino, classe 1914.
Già del 232° Regg. Fanteria "Avellino", Divisione Brennero, a Durazzo, in Albania, dopo l'8 settembre 1943, è catturato e internato in Germania. E' tra i pochissimi che aderiscono alla nuova Repubblica di Mussolini e viene arruolato
come Allievo Milite della Guardia Nazionale Repubblicana.
Ma, dopo pochi giorni diserta. Catturato dalla G.N.R. del
comando provinciale di Brescia, il 10 luglio 1944, viene rispedito in Germania, ormai come lavoratore coatto. Bortolo torna a casa il 19 maggio 1945.
Vedi anche Albo "Resistenti 8 settembre".
Umberto
Dal Zotto
fu Giuseppe e Dall'Osto Angela, Carabiniere, classe 1906.
Già della Legione Territoriale CC.RR. di Fiume, 12° Battaglione, 1^ Compagnia, dislocata a Susack in Croazia. Resta
in servizio anche dopo l'8 settembre '43, presso il Comando della Legione fiumana, si sposta a Padova, su ordine tedesco, dopo la creazione dell'Adriatisches Küsterland (gli ex
territori italiani delle province di Udine, Gorizia, Trieste,
Pola, Fiume e Lubiana, annessi dal 1 ottobre '43 al Terzo
Reich). Arrestato il 5 agosto 1944, durante la caccia al Carabiniere, viene internato in Germania come "Libero Lavoratore". Umberto torna a casa il 28 maggio 1945. Congedato
l'11 agosto 1945. Vedi anche Albo "Carabinieri"
Antonio
Frigo
e
Valentino
"Nello"
Savio
fu Giuseppe e Paulin Giulia, classe 1926,
fu Michele e Caretta Angela, classe 1926.
Lavoratori coatti, operai della TODT, non ancora renitenti,
perché il bando di arruolamento per il primo semestre 1926
non era ancora scaduto, il 5 giugno 1944, sono sorpresi a
Levà, nelle loro casa, da militi della G.N.R., accompagnati
da fascisti della locale Squadra d'Azione, e arrestati. Trasferiti a Vicenza, sono successivamente deportati in Germania,
presso il Lager 8007 di Anfin F.P.N. , presso Muhldof sull'Inn, affluente del Danubio, in Baviera, Distretto Militare/Wehrkreis VII.
Durante la loro prigionia, oltre a conoscere la ormai nota
345
ospitalità tedesca, come lavoro sono costretti a scaricare
treni e camion, spalare ghiaia nelle cave, scavare fosse,
sgomberare macerie... Proprio in uno di quei cantieri, una
cava di ghiaia, raccolgono la notizia che lì vengono seppelliti spesso, in fosse comuni, centinaia di cadaveri provenienti
da Dachau.
Antonio e "Nello" tornano a casa l'8 maggio 1945.
La deportazione di Antonio e Valentino, è uno dei chiari
esempio di come i nazifascisti, nella loro necessità di manodopera, in Italia e nel Vicentino, hanno anche razziato giovani e meno giovani, senza obblighi militari e senza nessun
altra accusa, deportandoli in Germania al solo scopo di usarli come schiavi.
Gaetano
Garzaro
346
fu Paolo e Dall'Osto Angela, classe 1921,
Reduce di Russia. Gia Alpino del 8° Reggimento, Reparto
Salmerie, Divisione Julia, in Russia dal 12 agosto 1942. Sopravvissuto alla terribile ritirata dal Don, rientra in Italia il
19 marzo 1943 e viene ricoverato presso l'Ospedale Militare
di Bolzano per congelamento di 2° grado ai piedi. Rientra al
corpo, a Gorizia, il 4 settembre 1943. Dopo l'8 settembre,
sbandato, riesce a tornare a casa. Con il 4° Bando della
R.S.I. del marzo 1944, è richiamato in servizio dal 1° maggio. Gaetano, non ci pensa proprio di tornare in guerra e
raggiunge sul Monte i già numerosi renitenti, dorme all'aperto, in ricoveri di fortuna, e successivamente trova rifugio
anche in Casa Sabin. Una notte dell'agosto 1944, si trova
con altri coetanei nei pressi dell'Osteria "dalla Maculana", a
Mirabella, quando una pattuglia tedesca, proveniente da Villa Marzotto - Scaroni, li individua e arresta. Consegnati ai
repubblichini, vengono imprigionati a S. Biagio e il 18 agosto deportati in Germania ai lavori coatti, presso un ex
Stammlager in Turingia. Gaetano torna a casa il 24 luglio
1945.
Gaetano, dopo la guerra, sposa Germana Parise, figlia di
Francesco e Angela Pigato, gestori dell'Osteria alle "Quattro
Strade" a Sandrigo, una famiglia che dall'8 settembre 1943,
alla Liberazione, si è sempre prodigata, con grave rischio
personale, per aiutare e assistere i nostri soldati "sbandati"e
soldati Alleati in fuga.
Desiderio
Guglielmi
fu Giuseppe e Pasqualotto Lucia, classe 1902,
Carabiniere, I.M.I. N° 35209.
Già della Legione Territoriale CC.RR. di Verona, Stazione
dei Carabinieri di San Ambrogio di Valpolicella (Vr), resta
in servizio anche dopo l'8 settembre 1943. Catturato dai nazifascisti il 10 agosto 1944, durante la caccia al Carabiniere,
viene internato a Trento, ormai territorio annesso al Terzo
Reich (Alapenvorland), ma Desiderio riesce a fuggire e a
tornare a casa nel novembre 1944.
Vedi anche Albo "Carabinieri".
Giuseppe
Giovanni
Lavarda
fu Girolamo e Saccardo Anna, classe 1906,
Carabiniere. Già della Legione Territoriale CC.RR. di Verona, resta in servizio anche dopo l'8 settembre 1943. Catturato a Verona dai nazifascisti il 5 agosto 1944, viene internato
in Germania come lavoratore coatto. Giuseppe torna a casa
il 27 settembre 1945. Vedi anche Albo "Carabinieri".
Secondo
Lorenzi
fu Giuseppe e Masetto Maria,
Lavoratore coatto, classe 1925.
Catturato da una pattuglia della G.N.R. a Levà, "renitente"
ai bandi di arruolamento, è trasferito a Vicenza e successivamente deportato in Germania al "lavoro coatto".
Domenico
Augusto
Marchiorato
fu Pietro e Gallio Giovanna, classe 1918,
Lavoratore coatto. Già del 5° Reggimento d'Artiglieria di
Corpo d'Armata a Verona, dopo l'8 settembre '43, riesce a
tornare a casa e collabora con la Resistenza. Catturato a seguito del rastrellamento dell'11 agosto 1944 a Montecchio,
viene deportato in Germania il 20 novembre come lavoratore coatto. Rimpatriato il 29 maggio 1945. Vedi anche Albo "Patrioti".
Clemente
Stocchero
fu Clemente, classe 1901, Lavoratore coatto.
Sposato con Marangoni Emilia, da cui ha quattro figli, è in
Albania come collaborazionista dei Tedeschi, quando il 2
luglio 1944, per punizione, viene deportato in Germania
come lavoratore coatto.
Clemente torna a casa il 28 giugno 1945.
347
Prigionieri di Guerra
- Prisoner of war
(P.O.W.) italiani
348
Albo d'Onore
Prigionieri di guerra degli Alleati
(Decorati con “Croce al Merito di Guerra”)
Nelle varie campagne di guerra, dal giugno 1940, fino al settembre 1943,
decine di migliaia di italiani vennero fatti prigionieri e, quindi, ammassati
nei campi delle nazioni Alleate, spesso in alcune delle loro più remote regioni dell'Africa, Asia e continente indiano.
La maggior parte di essi erano caduti in cattività dopo battaglie memorabili,
in terra, in mare e nel cielo, combattendo onorevolmente, non meno dei loro avversari.
"Anch'essi, nella loro nuova condizione di prigionieri, potrebbero essere
considerati dei resistenti. In effetti, costoro, dopo la sconfitta sul campo,
vissero una lunga e angosciosa prigionia; da quella in terra russa, in situazioni spaventose, a quella in terra inglese o nelle colonie britanniche (segnata
spesso da un intransigente atteggiamento di rivincita dei loro guardiani, esercitato con metodi sottilmente coercitivi), fino alla prigionia in alcuni Stati
dell'America, ove le loro condizioni furono di gran lunga migliori che altrove, ma dove non si esitava a chiedere ad essi una totale adesione agli scopi
della loro guerra, che molti italiani non intendevano ancora concedere. Per
non parlare dei prigionieri dei francesi, da questi accusati come responsabili
di quella "pugnalata alla schiena" che il fascismo, aveva inferto alla Francia,
nel 1940, quando quella nazione era già in ginocchio.
La Resistenza di quegli uomini si manifestò, nella sopportazione delle umiliazioni e delle amarezze per aver perduto la guerra che, se per loro era giunta al termine, non lo era per le loro famiglie, che sapevano in continue difficoltà, sotto i bombardamenti alleati o nel clima repressivo del rinato fascismo.
Delusione, disperazione per lo stato di cattività e di privazioni cui erano
sottoposti, preoccupazioni per il futuro del proprio Paese e nostalgia per i
349
congiunti lontani, furono perciò gli elementi contro cui quegli uomini dovettero resistere, nella quotidiana esistenza dietro il filo spinato, che per
molti sarebbe durata per anni e dalla quale, molti di essi non sarebbero più
tornati.
Al ritorno, trovarono il loro Paese profondamente cambiato e molti affetti
perduti od infranti.
Tutto questo accrebbe la loro delusione per aver vanamente combattuto
per un'Italia più grande e rispettata e doverne invece constatare la resa, il
declino dei costumi e la mancanza di solidarietà verso di loro, combattenti
sfortunati".
Furono circa 408.000 i soldati italiani prigionieri degli inglesi, 125.000 i prigionieri degli statunitensi, 37.000 quelli in mano francese e dai 10.000 ai
15.000 in mano dei sovietici.
30 sono i P.O.W. nostri concittadini e due i caduti in prigionia: l'Artigliere
Umberto Resti, di anni 23 e la Camicia Nera in A.O.I. Giuseppe Parise, di
anni 28.
Anche questa è stata la Resistenza.
Silvio
Anapoli
fu Gio Batta e Conte Vittoria,
Artigliere, classe 1916.
Già del 12° Reggimento d'Artiglieria in Africa settentrionale. Catturato dagli inglesi il 17 gennaio 1942 e detenuto in
Inghilterra presso il Campo n° 119.
Francesco
Primo
Aramini
fu Francesco e Bortoli Maddalena,
Caporal maggiore alpino, classe 1917.
Già del Battaglione "Vicenza", 9° Reggimento Alpini, Divisione "Julia", sul Fronte Greco–Albanese. Catturato dai
greci l'8 novembre 1940 e detenuto dagli inglesi prima in
Egitto e poi in Inghilterra. Francesco torna a casa il 23 aprile 1946.
Marco
Bortoli
"Coa"
fu Bortoli Maria,
Caporale Autiere, classe 1918.
Già del 62° Reggimento fanteria Motorizzata "Trento", 5°
Autogruppo in Libia. Catturato dagli inglesi nel 1940, ma ,
dopo l'8 settembre 1943, è volontario nella Divisione Ausiliaria Italiana "Trasporti Generali", 750° Reggimento. Marco è congedato il 1 novembre 1945. Vedi anche Albo
"C.I.L."
350
Domenico
Boscato
fu Gaetano e Lanaro Maria,
Artigliere, classe 1907.
Già del 492° Battaglione Costiero in Calabria e commilitone
di Giuseppe De Vicari. Catturato il 4 settembre dagli inglesi, torna a casa il 6 giugno 1946.
Primo Baio
fu Primo e Moro Anna,
Fante, classe 1914.
Già del 35° reggimento Fanteria, Divisione "Pistoia" in Africa settentrionale. Catturato con Giuseppe Todeschini il 7
aprile 1943 dagli inglesi, è detenuto nel Campo n° 313, in
Egitto. Primo torna a casa l'8 settembre 1945.
Giuseppe
Gio Maria
Campese
fu Giuseppe e Dall'Osto Maria,
Soldato, classe 1922.
Catturato in Africa Settentrionale l'8 maggio 1943 dai francesi e detenuto in Algeria.
Giuseppe torna a casa il 3 maggio 1946.
Francesco
Angelo
Caretta
"Fiolo"
fu Giovanni e Pigato Caterina,
Maresciallo Magg. dei Carabinieri, classe 1910.
Già Comandante della Stazione dei Carabinieri di Homs, in
Tripolitania, Libia.
Primo
Antonio
Dall'Osto
fu Nicola e Zubiolo Angela,
Alpino, classe 1911.
Già del Battaglione "Gemona", 8° Reggimento Alpini, Divisione "Julia", sul Fronte Greco-Albanese. Catturato dai
Greci il 24 marzo 1942 sul Monte Golico e internato dagli
inglesi prima in Egitto e poi in Inghilterra. Primo torna a
casa il 23 aprile 1946.
Giuseppe
De Vicari
fu Lorenzo e Rossetto Caterina,
Artigliere, classe 1914.
Già del 492° Battaglione Costiero in Calabria e commilitone
di Domenico Boscato. Catturato il 4 settembre 1943 dagli
inglesi, torna a casa il 24 maggio 1946.
351
Annibale
Filippetto
fu Domenico e Maran Elisabetta,
Autiere, classe 1920.
Già del 46° Autoreparto in Africa Settentrionale. Catturato
dagli inglesi nel 1940, ma , dopo l'8 settembre 1943, è volontario nella Divisione Ausiliaria Italiana "Trasporti Generali", 517° Reggimento, 61^ Compagnia. Annibale è congedato il 16 novembre 1945.
Vedi anche Albo "C.I.L."
Giovanni
Filippetto
fu Domenico e Maran Elisabetta,
Artigliere, classe 1922.
Già del 504° Gruppo d'Artiglieria in Africa Settentrionale.
Catturato dai francesi il 12 maggio 1943 e detenuto in un
campo in Algeria. Giovanni torna a casa il 4 giugno 1946.
Valentino
Fina
fu Lorenzo e Campana Amabile,
Marò - Allievo Fuochista, classe 1922.
Già della Regia Marina da Guerra, Battaglione "Bafile",
Reggimento "San Marco". Catturato nel settembre 1940,
all'inizio della guerra in Libia. Detenuto prima dagli inglesi
in Algeria, poi dagli americani negli Stati Uniti d'America,
Stato dell'Ohio. Valentino torna a casa nel 1946.
Pierino
Gallio
fu Pietro e Zancan Pasqua,
Artigliere, classe 1922.
Reduce di Russia e invalido di Guerra.
Già della 2^ Batteria, 1° Gruppo, 108° Reggimento Artiglieria Motorizzata, Divisione "Cosseria", XXIX Corpo d'Armata in Russia. Catturato dai sovietici il 18 dicembre 1942,
durante l'offensiva sovietica denominata "Piccolo Saturno",
iniziata l'11 dicembre sul fiume Don e terminata con la rottura dell'accerchiamento da parte del Corpo d'Armata Alpino a fine gennaio 1943. Pierino torna a casa il 28 agosto
1945.
Sante
Gallio
fu Giovanni e Dall'Osto Maria,
Autiere, classe 1920.
Già del 37° Autocentro Pesante in Africa Settentrionale.
Catturato dagli inglesi il 6 novembre 1942, torna a casa il 14
maggio 1946.
352
Bonifacio
Girardi
fu Gerardo e Lorenzoni Caterina,
Artigliere, classe 1911. Già del 202° Gruppo d'Artiglieria in
Africa Settentrionale. Catturato dagli americani il 13 maggio
1943, torna a casa il 7 ottobre 1945.
Giovanni
Lorenzi
fu Giuseppe e Masetto Maria,
classe 1919.
II Capo Segnalatore di Marina,
già volontario nella Regia Marina da Guerra dal 23 settembre 1937. A Marina Telecomunicazioni di Tobruk (Libia)
dal 15 ottobre 1938.
Catturato dagli inglesi il 22
gennaio 1941. Dopo 2 mesi
circa fu trasferito a Suez e successivamente in Sudafrica. Prigioniero n. 196542 nel campo Zander Water. Rientra in Italia il 17 marzo 1946 da Napoli. Il 24 marzo è a Venezia, il
15 giugno è trasferito al Centro Raccolta e il 18 agosto,
rientrato in servizio, è assegnato a Marina Telecomunicazioni di Venezia il 13 dicembre 1946 e imbarcato alla 10
Squadriglia MAS, promosso secondo capo segnalatore, il 12
febbraio 1947 è congedato.
Guido
Martini
"Petenea"
fu Giovanni e Rigon Rosa,
Artigliere, classe 1920.
Già del 4° Reggimento Artiglieria Contraerea "Mantova", in
Africa Settentrionale. Catturato nel 1941 sul Fronte Egiziano, è recluso prima in Egitto, poi in Inghilterra ed infine in
Svizzera, Cantone di Zug.
Guido torna a casa il 14 maggio '46.
Agostino
Moro
fu Francesco e Bonato Erminia,
Artigliere, classe 1922.
Già del 35° Gruppo, 3° Reggimento Artiglieria Contraerea
Motorizzata, in Africa Settentrionale. Catturato dagli inglesi
nel 1941, è imprigionato nel Campo n° 16 di Tunisi. Agostino torna a casa il 29 maggio 1946.
353
Giuseppe
Pasqualotto
fu Paolo e Lorenzetto Maria, Fante, classe 1911.
Già del 209° Battaglione Mitraglieri, di stanza ad Agrigento.
Catturato il 17 luglio 1943 a Siculiana (Ag), subito dopo lo
sbarco Alleato in Sicilia. E' inizialmente imprigionato a Orano, in Algeria; successivamente è volontario in una Divisione Ausiliaria Italiana. Giuseppe è a casa il 1 luglio 1945,
Vedi anche Albo "C.I.L.".
Francesco
Parise
fu Giovanni e Grazian Maddalena,
Caporal maggiore d'Artiglieria, classe 1915.
Già della 317^ Batteria, 226° Settore di Copertura delle
Guardie alla Frontiera in Africa Settentrionale. Catturato
dagli inglesi il 13 maggio 1943, Francesco torna a casa il 6
aprile 1946.
Giuseppe
Parise
fu Augusto e Grotto Anna,
Camicia Nera, 1913 – Caduto nel 1941 – anni 28.
Già del 3° Battaglione Camice Nere in Africa Orientale Italiana. Catturato nel gennaio 1941 a Mogadiscio nella Somalia Italiana. Morto per malattia, il 13 giugno 1941, nel Campo di prigionia di Berbera, nella Somalia Inglese.
Antonio
Peruzzo
fu Massimiliano e Gabrieletto Caterina,
Carabiniere, classe 1907.
Già Carabiniere in A.O.I., di stanza a Gondar (Etiopia).
Catturato dagli inglesi nel maggio 1942. Imprigionato in
Sud Africa. Antonio torna a casa nel novembre 1946.
Pietro
Peruzzo
fu Carlo e Valtiero Santa,
Artigliere, classe 1923.
Già del 62° Battaglione, 5° Reggimento d'Artiglieria di Corpo d'Armata, Comando Divisione Costiera in Sicilia. Catturato il 12 luglio 1943, Pietro torna a casa il 10 ottobre 1945.
Umberto
Resti
fu Lorenzo e Santacaterina Costantina,
Artigliere, classe 1921. Caduto nel 1944 - anni 23.
Già del 10° Gruppo, 40° Reggimento Artiglieria Contraerea, in Sicilia. Catturato dagli inglesi dopo lo sbarco Alleato
del luglio 1943. Morto il 6 gennaio 1944, per l'affondamento del piroscafo che lo portava prigioniero in Inghilterra.
354
Antonio
Rodella
fu Michele e Stella Margherita,
Autiere Francesco, classe 1913.
Già del 9° Autoreparto, in Africa Settentrionale. Catturato
dagli inglesi in Libia il 10 aprile 1943 e imprigionato in Tunisia. Francesco torna a casa il 21 agosto 1945.
Giovanni
Sella
fu Matteo e Zanini Maria,
Artigliere, classe 1915.
Già Guardia alla Frontiera in Sicilia, 104° Battaglione Mitraglieri di Posizione, 615^ Compagnia. Catturato il 10 luglio 1943, durante lo sbarco Alleato. Prima prigioniero n°
T191214 del Campo N° 628 I.P.C. di Algeri, successivamente in Inghilterra. Giovanni torna a casa il 1 aprile 1946.
Tullio
Valentino
Testolin
fu Giovanni e Garziera Sabina,
Artigliere, classe 1921,
Già della 301^ Batteria Contraerea, 37° Gruppo, Divisione
"Ariete". Catturato dagli inglesi in Sicilia, l'8 agosto 1943,
dopo lo sbarco Alleato. Tullio torna a casa il 7 ottobre
1945.
Giuseppe
Todeschini
fu Gio Batta e Dal Lago Emma, Fante, classe 1920.
Già del 35° Reggimento Fanteria, Divisione "Pistoia", in
Africa Settentrionale. Catturato con Primo Baio il 7 aprile
1943 dagli inglesi, è imprigionato nel Campo n° 313, in Egitto. Giuseppe torna a casa nel marzo 1946.
Giuseppe
Tressanti
fu Teodosio e Barbieri Maria,
Carabiniere, classe 1908.
Già Carabiniere in A.O.I. (Africa Orientale Italiana), a Galla
e Sevamo, Stazione CC.RR. di Dembidollo, in Etiopia. Catturato dagli inglesi nel maggio 1942, è imprigionato a Bombay, in India. Giuseppe torna a casa l'8 novembre 1946.
Giuseppe
Vendramin
fu Francesco e Carlesso Maria Elisabetta,
Agente P.A.I., classe 1918.
Già volontario della P.A.I. (Polizia Africa Italiana), in Africa
Settentrionale. Catturato dagli inglesi a Zuara, in Tripolitania, Libia. Imprigionato nel Campo n° 310, in Inghilterra.
Giuseppe torna a casa il 26 giugno 1946.
355
356
Albo d'Onore
Lavoratori "Volontari" in Germania
Un bel numero di italiani, di vicentini e di nostri concittadini, prima del
1943, e anche dopo, andarono in Germania volontariamente per cercare un
lavoro.
Nel febbraio 1942, oltre 200.000 lavoratori italiani sono in Germania per
sostituire i tedeschi chiamati a riempire i vuoti creatisi nell'esercito a causa
delle gravissime perdite riportate in Russia.
Circa 100.000 lavoratori italiani rimangono intrappolati nel luglio 1943 (alla
caduta del regime fascista) in Germania, e almeno 28 sono da Montecchio
Precalcino.
"La Germania nazista, bisognosa com'era di braccia da impiegare nell'industria e nell'agricoltura, e, allo scoppio della guerra, nella necessità di arruolare i propri giovani nelle Forze Armate, sollecitava l'Italia alleata (1938-1943)
e poi la RSI (1943-1945) ad inviare manodopera in terra tedesca; erano i
"camerati del lavoro" o i "Fremdarbeiter" (lavoratori stranieri) per i tedeschi.
I giornali locali del tempo (la Vedetta Fascista, poi Il Popolo Vicentino) si facevano carico di illustrare i vantaggi del lavoro in Germania.
Non deve destare meraviglia, data la povertà della gente e la mancanza
della libera stampa, se, anche nei mesi della RSI, molti vicentini, in piena
guerra, accettarono volontariamente di partire, e crediamo ingiusto attribuire
a costoro l'appellativo di fascisti, o quello di collaborazionisti; la loro partenza, nella stragrande maggioranza ebbe motivazioni soltanto sociali ed economiche". (Benito Gramola)
Una volta in terra tedesca, malgrado le promesse, costoro subirono costrizioni, limitazioni e disagi, godendo di pochi benefici e di una paga bassissima.
Scrive, nell'agosto 1944,Vittorio Mussolini, figlio del Duce e Commissario
dei Fasci Italiani all'Estero:
357
"Lo stato morale e fisico della maggioranza degli operai «italiani in Germania», ...è il seguente: vitto scarso ed insufficiente..., lavori gravi, non riconoscimento delle malattie... la tubercolosi miete vittime senza che si prenda
nessun rimedio. Ad aggravare lo stato fisico si aggiunge la mancanza di indumenti; moltissimi sono stracciati, quasi nudi, e molti scalzi e costretti a
prestarsi le scarpe per uscire la domenica. Le paghe dei giovani e delle donne sono minime... Desiderio quasi comune della massa è il rimpatrio ottenuto a qualunque costo; c'è chi cerca di coltivarsi una malattia, ci sono donne
che si fanno ingravidare in quanto esiste una circolare che contempla il rimpatrio delle donne incinte. Così procedendo si arriverà all'abbrutimento totale dei nostri lavoratori...".
Al momento del crollo tedesco, poi, restarono in balia della situazione e
dovettero penare per tornare a casa.
"Nel clima di incertezza e di disinteresse allora dominante, poterono passare inosservati e confondersi con gli ex-internati; ma, in ogni caso, mancò a
costoro una cosa almeno: che non potevano vantarsi di aver detto "NO" e
di essere stati dei vincitori morali del nazifascismo" (Benito Gramola).
CONFEDERAZIONE FASCISTA LAVORATORI DELL'INDUSTRIA - ROMA
PER I LAVORATORI ITALIANI
DELL'INDUSTRIA ED EDILIZIA IN GERMANIA
Noi, Nazisti e Fascisti, vogliamo la pace,
e siamo sempre pronti a lavorare per la pace,
per la pace vera e feconda,
che non ignora i problemi della convivenza fra i popoli.
Campo di maggio 28 sett 1937 – XV
Mussolini
Alessandro
Baio
358
fu Francesco e Dall'Igna Anna, classe 1903.
Sposato con quattro figli, in Germania almeno dal 1 maggio
1944. Non si è a conoscenza delle motivazioni, ma ad un
certo punto da lavoratore volontario, diventa a tutti gli effetti un lavoratore coatto. Torna a casa il 31 agosto 1945.
Vedi anche Albo "Lavoratori coatti".
Domenico
Baio
fu Primo e Moro Anna, classe 1908.
Sposato, in Germania dal 12 maggio 1941.
Girolamo
Bonin
fu Girolamo e Pozzan Angela, classe 1904.
Sposato con due figli, in Germania dal 14 aprile 1942. Rimpatriato il 26 luglio 1945.
Girolamo
"Silvano"
Bonin
fu Girolamo e Sabin Caterina, classe 1908.
Rimpatriato il 26 luglio 1945.
Pietro
Giuseppe
Bortoli
fu Giuseppe e Grazian Regina, classe 1917.
Sposato con un figlio, in Germania dall'11 luglio 1942.
Rimpatriato il 13 aprile 1945.
Guerrino
Brazzale
fu Gio Maria e Testolin Lucia, classe 1919.
Celibe, in Germania dal 10 luglio 1944. Rimpatriato il 24
maggio 1945.
Francesco
Martino
Brunale
fu Martino Francesco e Galeazzo Rosa, classe 1906.
In Germania prima del luglio 1944.
Gio Batta
Campagnolo
fu Giuseppe e De Vicari Regina Elisabetta, classe 1904.
Già Camicia Nera in Africa Orientale Italiana.
Celibe, in Germania dal 4 maggio 1941.
Rimpatriato il 4 maggio 1945.
Antonio
Campese
fu Giuseppe e Meneghin Elisabetta, classe 1895.
Sposato con tre figli, in Germania dal 29 giugno 1943.
Rimpatriato il 24 giugno 1945.
Antonio
Campese
fu Gio Batta ( Giuseppe) e Grotto Angela, classe 1916.
Sposato con due figli, in Germania prima del luglio 1944.
Giuseppe
Campese
fu Angelo e Bassi Luigia, classe 1902.
Sposato con due figli, in Germania dal 12 maggio 1941.
359
Giuseppe
Campese
fu Giuseppe e Gallio Anna, classe 1904.
Sposato con un figlio, in Germania dal 18 agosto 1942.
Rimpatriato il 1 settembre 1945.
Florindo
Caretta
fu Giuseppe e Viero Anna, classe 1896.
Sposato con due figli, in Germania almeno dal 1940. La famiglia, con la moglie Bernar Angelina, rimpatria dal Belgio
occupato il 27 agosto 1942.
Camerata,
hai l'onore di portare il tuo personale contributo di lavoro alla amica Germania, che, in
stretta fratellanza di spirito e di armi combatte con noi la più giusta delle guerre: quella della
giustizia sociale.
E' la guerra dei popoli laboriosi contro gli stati plutocratici.
E' la guerra che dovrà dare al lavoratore il posto che gli spetta nel mondo.
Anche tu, con il tuo diligente lavoro, con il tuo sacrificio, collabori alla vittoria finale; sacrificio per la lontananza dalla Patria, dalla famiglia, dalle abitudini del tuo paese.
Ma ben lieve è il tuo sacrificio di fronte a quello dei nostri fratelli che combattono nelle
lande deserte, arse dal sole, tra le più grandi privazioni.
E' la lotta che dobbiamo condurre con maschio vigore fascista, con la tenacia delle legioni
romane, verso il domani migliore, quel domani voluto dalla volontà ferrea del Duce e del
Führer.
Lievi ti sembreranno le piccole privazioni alle quali dovrai assoggettarti se pensi alle privazioni, agli enormi sacrifici dei nostri soldati.
Quando la nostalgia della tua Patria lontana, o qualche piccola privazione ti può far rimpiangere le comodità del focolare domestico, rivolgi il pensiero ai nostri soldati lontani, i
quali, con animo lieto e la gioia del sacrificio nel volto, sanno silenziosamente superare tutti
gli ostacoli che ci separano dalla vittoria.
Il tuo rendimento sul lavoro sia spinto al massimo, la tua disciplina sia assoluta e spontanea, il tuo comportamento coerente al periodo grandioso che viviamo. Soltanto così operando potrei rivolgere, con la coscienza tranquilla, il pensiero ai nostri fratelli che combattono, sicuro di aver fatto anche tu il tuo dovere.
Pietro
Caretta
fu Francesco e Rodella Virginia, classe 1895.
Sposato con figli, in Germania dal 18 aprile 1942. Rimpatriato il 25 luglio 1945. Papà di Guido.
Bortolo
Carolo
fu Pasquale e Caretta Maria, classe 1890.
Sposato con figli, in Germania dal 1941. Papà di Pasquale e
Andrea.
360
Antonio
Casarotto
fu Gio Batta e Cortese Maddalena, classe 1907.
Sposato con una figlia, in Germania dal 5 aprile 1941. Rimpatriato il 14 ottobre 1945.
Agostino
Dall'Osto
fu Agostino e Rodighiero Maria, classe 1912.
Sposato con una figlia, in Germania dal 22 febbraio 1943,
Rimpatriato il 31 agosto 1945.
Non sei più un emigrante!
Innanzi tutto paragona il tuo attuale trasferimento in Germania, con l'emigrazione di un
tempo. Prima del Fascismo l'Italiano che doveva recarsi a lavorare all'Estero si chiamava
emigrante, ma – a differenza degli uccelli migratori – si o no sapeva in quale parte del mondo andava.
I passati Governi italiani, le classi dirigenti, chiamavano l'emigrazione una "valvola di sicurezza": scaricavano cioè il sopravanzo della popolazione fuori dai confini senza curarsi né
della meta, né, tanto meno, di assisterla, e di garantirne i diritti tra i popoli quasi sempre ostili e superbi.
Oggi nell'Italia di Mussolini, tu varchi il confine di questa grande Italia che egli ti ha dato;
lo varchi a testa alta con animo lieto e sereno.
Sai che la Patria fascista ti segue, è accanto a te, vuol essere orgogliosa di te.
La tua Organizzazione Sindacale Fascista, ha provveduto a tutto: ti è stato assicurato e garantito il lavoro, il salario, il viaggio, il vitto, l'alloggio, l'assistenza medico-farmaceutica, l'assistenza morale.
Tutto con ogni possibile cura che renderà agevole il tuo soggiorno in Germania.
Tu non sei un emigrante: sei un lavoratore che si disloca, come un soldato, dove c'è bisogno di te, dove si apprezza e si ricerca l'opera tua. Questo modo di concepire e preparare il
lavoro in terra estera è il primo grande esperimento del genere che il Regime ha organizzato. Collabora in pieno alla sua riuscita; richiama l'attenzione dei dirigenti italiani, liberamente, ove credi che il sistema difetti; farai cosa grata, poiché è nostra intenzione di perfezionare questa dislocazione di lavoratori, organizzata nel tuo interesse.
Sappi che il DUCE e il FÜHRER, seguono con la più viva attenzione questo grande esperimento che affratella i due popoli amici.
Non lo dimenticare mai ed agisci sempre come se ti fossero vicini.
Sii orgoglioso di poter collaborare alla Loro grandiosa opera di ricostruzione.
CAMERATA LAVORATORE
Perché ti parliamo della Loro opera di ricostruzione?
Perché nell'epoca in cui viviamo, i popoli si sono divisi in due categorie:
quelli dei COSTRUTTORI, che hanno bonificato terreni, costruito città, strade, scuole,
sanatori, preparato la vita meno dura ai lavoratori che sono, ad ogni ora, soldati pronti ed
eroici;
quelli dei DEMOLITORI, che si affannano a distruggere la civiltà di Roma che è ordine,
disciplina, armonia, progresso.
Noi Italiani e Germanici, apparteniamo ai grandi costruttori e difensori dell'umanità.
361
Eugenio
Dall'Osto
fu Giuseppe e Gallio Maddalena, classe 1909.
In Germania dal 12 maggio 1941. Rimpatriato il 16 ottobre
1945.
Vittorio
Dal Zotto
fu Giuseppe e Dall'Osto Angela, classe 1903.
Sposato con due figli, in Germania dal 1 agosto 1942.
Pietro
Fantinato
fu Giuseppe e Bottene Caterina, classe 1908.
Sposato con tre figli, in Germania prima del 1940. Rimpatriato l'8 agosto 1945.
Giuseppe
Gio Batta
Gallio
fu Giovanni e Dall'Osto Maria, classe 1907.
Sposato con due figli, in Germania dal 31 maggio 1942.
Rimpatriato il 25 luglio 1945.
Giovanni
Andrea
Galliolo
fu Paolo Bortolo e Moro Caterina, classe 1907.
Già del 42° Battaglione Camice Nere.
Sposato con due figli, in Germania dal 1 maggio 1942.
Pietro
Marchiorato
fu Pietro e Gallio Giovanna, classe 1904.
Sposato con tre figli. Rimpatriato il 25 maggio 1945.
Francesco
Martini
"Sguai"
fu Gio Maria e Parise Anna, classe 1902.
Sposato con tre figli. Rimpatriato il 7 settembre 1945.
Angelo
Parise
fu Augusto e Grotto Anna, classe 1915.
Celibe, in Germania dal 31 maggio 1941. Rimpatriato il 14
giugno 1945.
Giuseppe
Parise
fu Giovanni e Baio Teresa, classe 1904.
Celibe, in Germania dal 28 giugno 1942. Rimpatriato il 9
settembre 1945.
Antonio
Pauletto
fu Antonio e Gabrieletto Luigia, classe 1883.
Sposato con quattro figli, in Germania dal 1 maggio 1942.
Antonio
Rossetto
fu Luigi e Gentilin Anna, classe 1912. Già della 42^ Legione
Camice Nere M.V.S.N. Sposato, in Germania dal 1941.
362
Antonio
Tosin
Fu Gaetano e Farina Anna, classe 1892.
Sposato con tre figli, in Germania dal 5 marzo 1943. Rimpatriato il 29 luglio 1945.
Ettore
Zanin
“Siricati”
fu Antonio e Tagliapietra Maria, classe 1912.
Celibe, in Germania dal 17 maggio 1942. Rimpatriato il 25
luglio 1945.
RAPPORTI CON I CAMERATI GERMANICI
... Qui siamo in una Terra non solo amica, ma solidale con noi, nostra alleata nella grande
guerra contro la plutocrazia.
I camerati germanici pongono Mussolini accanto al loro Führer ed hanno di tutti gli Italiani un concetto altissimo. Bisogna comportarsi in modo da confermarli in questa entusiastica opinione di noi,...
363
364
Albo d'Onore
Comitato di Liberazione Nazionale
di Montecchio Precalcino
29 aprile 1945 – 31 marzo 1946
Il Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.), si costituisce a Roma il 9
settembre 1943, subito dopo l'armistizio e l'invasione tedesca, da sei partiti
antifascisti (PCI, PSI-UP, DC, PLI, Partito d'Azione e Democrazia del Lavoro) e a Milano si costituisce il Comitato di Liberazione Nazionale Alta
Italia (CLNAI), che assunse la direzione della Resistenza partigiana in tutto
il centro e nord Italia. Come primo decisione, viene stabilito che "...compito
e necessità suprema della riscossa nazionale è la Guerra di Liberazione...".
A Padova, 11 settembre 1943, per iniziativa di Silvio Trentin, professore di
diritto pubblico a Ca' Foscari, antifascista, esule in Francia per 17 anni, di
Concetto Marchesi ed Egidio Meneghetti, rettore e prorettore dell'Università di Padova, si costituisce il Comitato di Liberazione Nazionale Regionale
Veneto.
A Vicenza, sempre negli stessi giorni, si costituisce il C. L. N. Provinciale e
successivamente il Comitato Militare Provinciale; figure di spicco, che incideranno la storia di un'epoca, furono personaggi come Ettore Gallo, Licisco
Magagnato, Jacopo Ronzani, Antonio Giuriolo, Giacomo Rumor, Mario
Dal Prà, Sergio Perin, Remo Pranovi, Luigi Faccio, Mario Segalla, Marcello
De Maria, "Gino" Luigi Cerchio, Emilio Lievore, Mariano Rossi, Romeo
Dalla Pozza, Giordano Campagnolo, Carlo Segato, Giuseppe Cadore, Tarquato Fraccon, Giustino Nicoletti, Giacomo Prandina, ...
Subito dopo la Liberazione, dove già non c'erano, furono nominati i CLN
locali, incaricati di gestire l'emergenza amministrativa, nominare le Giunte
Municipali provvisorie e, successivamente, predisporre il passaggio dei pote365
ri ai nuovi organismi democratici eletti con le Elezioni Amministrative del
31 marzo 1946.
Nei primi giorni di maggio fu quasi completato l'organigramma del Comitato di Liberazione di Montecchio Precalcino, con la nomina dei rappresentanti di tutti i partiti democratici.
Il 27 giugno 1945, viene eletta dal C.L.N. locale la Giunta Municipale provvisoria.
Anche questa è stata la Resistenza.
Comitato di Liberazione Nazionale Locale
di Montecchio Precalcino
DEMOCRAZIA CRISTIANA
(Partito politico sorto in Italia nel 1942, dalla confluenza di esponenti del
disciolto Partito Popolare, giovani formatisi nell'Azione Cattolica, intellettuali e uomini della Resistenza. La D. C. partecipò alla guerra di Liberazione
con proprie formazioni partigiane, pari a 181 brigate, il 15% delle forze partigiane. La D.C. ottenne la direzione del governo con Alcide De Gasperi nel
1945 e ha ininterrottamente governato l'Italia, con varie coalizioni, fino alla
sua diaspora del 1993. Ha espresso cinque Presidenti della Repubblica: Giovanni Gronchi, 1955/62; Antonio Segni, 1962/64; Giovanni Leone,
1971/78; Francesco Cossiga, 1985/92 e Oscar Luigi Scalfaro, 1992/99.)
Angelo
Gaetano
Vittorio
Maccà
366
fu Francesco e Marcolin Pierina, classe 1900.
Lo zio Gaetano Maccà (classe 1858), è stato Sindaco di
Montecchio Precalcino dal 1914 al 1920, eletto nelle fila del
Partito Liberal-Nazionalista. Commerciante, durante il
"ventennio" si iscrive al PNF e occupa cariche amministrative. Cattolico militante, dopo l'8 settembre aderisce alla Resistenza e con la Liberazione viene nominato dalla D.C. nel
C.L.N. locale e dal 27 giugno Assessore effettivo nella nuova Giunta Municipale provvisoria. Ma, due mesi dopo si
dimette, sostituito da Floriano Savio.
Vedi anche Albo "Patrioti" e "1^ Giunta Municipale".
Floriano
Savio
fu Girolamo e Stella Brigida, classe 1919.
Studente universitario e cattolico militante, riuscì a non soggiacere all'obbligo di iscrizione al PNF e al PFR.
Dopo le dimissioni di Angelo Maccà, il 7 settembre 1945, lo
sostituisce come componente del locale C.L.N., e il 15 gennaio 1946 come Assessore Effettivo nella Giunta Municipale provvisoria. Vedi anche Albo "1^ Giunta Municipale".
Giuseppe
Martini
"Petenea"
fu Francesco e Stella Maria, classe 1886.
Agricoltore, mai iscritto al partito fascista, legato alle Leghe
Bianche, e cattolico militante, uomo di fiducia del Parroco
di Levà, dopo la Liberazione è nominato, assieme con Angelo Maccà prima, e Floriano Savio poi, a rappresentare la
Democrazia Cristiana nel Comitato di Liberazione Nazionale di Montecchio. Vedi anche Albo "Patrioti".
PARTITO SOCIALISTA
Partito fondato nel 1892 a Genova. Da allora, sino alla sua diaspora del
1993 e a tutt'oggi, è la grande anomalia del movimento socialista europeo e
forse causa prima dell'anomalia politica italiana in Europa. Le cause sono da
ricercare nel permanere dei contrasti interni fra l'anima riformista e quella
massimalista e, di riflesso, l'aver subito per troppo tempo l'egemonia politica
e organizzativa del PCI. Nonostante il suo grande ascendente sulle masse e
tra gli intellettuali, anche sotto il fascismo, e malgrado abbia espresso grandi
leader come Filippo Turati, Giacomo Matteotti, Pietro Nenni, Carlo Rosselli, Sandro Pertini, Riccardo Lombardi, Bettino Craxi e altri, il movimento
socialista italiano, a diversità di tutti gli altri paesi europei, non è ancora riuscito a coagularsi in una grande forza politica. I socialisti, per scelta e per natura, partecipano alla Resistenza suddivisi in tutte le formazioni, anche se
quelle più legate al PSI sono le brigate "Matteotti", che rappresentano il 5%
delle forze partigiane, e quelle di "Giustizia e Libertà" (25%), che appartengono alla stessa area politica. L'area laico-socialista in 60 anni di Repubblica,
ha espresso tre Presidenti della Repubblica: Giuseppe Saragat, 1964/71,
Sandro Pertini, 1978/85 e Carlo Azeglio Ciampi, 1999/2006.
367
Giovanni
Anapoli
fu Girolamo e Meneghin Maria, classe 1907.
Dal 1933 componente del Partito Socialista clandestino,
amico personale di Pietro Nenni e Sandro Pertini, massimi
dirigenti del movimento antifascista e socialista italiano ed
internazionale. Durante la guerra presta servizio militare a
Venezia, nella 7^ Legione Territoriale della Regia Guardia
di Finanza "Due Piavi", dove continua la sua attività politica
clandestina. Il 20 luglio 1943, poco prima della caduta del
regime fascista, probabilmente per necessità dell'organizzazione clandestina, viene trasferito al magazzino del 57°
Regg. Fanteria di Vicenza. L'8 settembre 1943, sbandato,
torna a casa, mantenendo i contatti con il Partito tramite il
CLN Vicentino. Dopo la Liberazione, rappresenta il P.S.I.
nel Comitato di Liberazione Nazionale di Montecchio Precalcino. Il 31 marzo 1946, alle prime Elezioni Amministrative, eletto Consigliere Comunale, è nominato ViceSindaco.
Con il ritorno della Democrazia, Giovanni, dopo aver dato
tanto, senza nulla chiedere per sé, decide di ritirarsi a vita
privata. Per la sua alta statura politica e morale, sia il Circolo
Socialista, che il Centro di Studi Storici di Montecchio
Precalcino, portano il suo nome.
Vedi anche Albo "Antifascisti" e "Patrioti".
Alessandro
Campagnolo
fu Orsola Campagnolo, classe 1923.
Mai iscritto al partito fascista. Falegname. Già fante del 57°
Reggimento a Vicenza, dopo l'8 settembre 1943, sbandato,
riesce a tornare a casa ed entra nella Resistenza. Tra i primi
ad aderire al movimento resistenziale a Preara, partecipa alla
insurrezione generale. Dopo la Liberazione, assieme a Giovanni Anapoli, è nominato dal P.S.I. vicentino, nel locale
Comitato di Liberazione e, successivamente, Assessore nella
prima Giunta Municipale provvisoria. Successivamente aderisce al P.C.I., di cui ne sarà il leader locale indiscusso. E' ricordato come un grande idealista, non violento e lavoratore
senza pari.
Vedi anche Albo "Patrioti" e "1^ Giunta Municipale".
368
PARTITO COMUNISTA ITALIANO
(Fondato nel 1921 a Livorno, a seguito della scissione dell'ala sinistra del
Partito Socialista. Tra i suoi promotori troviamo A. Bordiga, A. Gramsci, A.
Tasca, U. Terracini e P. Togliatti. Contrario alla secessione parlamentare
dell'Avventino, dopo la morte di Matteotti nel '24, diede vita al primo embrione di organizzazione clandestina. Sul finire degli anni '30 il PCI, anche
per la caparbietà con cui si sforzò sempre di mantenere un'attività clandestina in Italia, iniziò a diventare un importante punto di riferimento politico
anche per le generazioni che erano cresciute sotto il fascismo. La guerra di
liberazione gli consentì il radicamento di massa; al PCI fanno riferimento le
575 Brigate Garibaldi, circa il 40% delle forze partigiane e, nel dopo-guerra,
diventa il più grande Partito Comunista dell'Occidente.)
Giuseppe
Grigoletto
fu Gio Batta (Giovanni) e Garzaro Luigia, classe 1915.
Iscritto al partito nazionale fascista dal 1933 al 1940. Già
Sergente di Fanteria con compiti d'ufficio presso il Tribunale Militare di Verona, dopo l'8 settembre 1943, già a casa in
convalescenza, viene riformato per malattia. Falegname,
amico e compagno di lotta di Gianni Millearte e del fratello
Michele, collabora come Patriota alla insurrezione generale.
Dopo la Liberazione, assieme a Giovanni Garzaro, è nominato dal P.C.I. vicentino nel locale Comitato di Liberazione
Nazionale. Successivamente, sindacalista alla "Lavarda" aderirà al Partito Socialista. Vedi anche Albo "Patrioti".
Giovanni
"Gianni
Millearte"
Garzaro
fu Ottone Antonio e Leoncin Antonietta, classe 1915.
Fratello degli Antifascisti Romeo e Michele Garzaro, riuscì
ad evitare di essere individuato come componente la "cellula comunista" locale, iscrivendosi e facendo cariera nel partito nazionale fascista: dal '33 al 35 è "avanguardista"; fiduciario sportivo del fascio giovanile di combattimento nel
'38; nel '39 enttra nella milizia (MVSN – 42^ Legione "Berica") e vi rimane sino al suo scioglimento dopo il 25 luglio
'43.
L’8 settembre 1943, è Fante del 57° Reggimento Fanteria a
Vicenza. Sbandato, torna a casa ed è tra i primi ad aderire al
movimento resistenziale di Preara. Tipografo, fratello dell'Antifascista e fuoriuscito politico Michele Garzaro, stampa
clandestinamente presso la Tipografia Leoni di Breganze
369
materiale per la Resistenza; partecipa alla insurrezione generale. Dopo la Liberazione, con Giuseppe Grigoletto è nominato dal P.C.I. vicentino nel locale Comitato di Liberazione Nazionale e, successivamente, Assessore nella prima
Giunta Municipale provvisoria. Vedi anche Albo "Patrioti".
PARTITO LIBERALE ITALIANO
Fondato nel 1922 per raccogliere l'eredità del liberalismo risorgimentale,
dopo la parentesi fascista, il PLI si ricostituì all'inizio del 1944, occupando
una posizione moderata all'interno del CLN e schierandosi con la monarchia. Indirettamente fanno riferimento all'ala liberale il 15% delle formazioni
partigiane, in gran parte formate da ex militari, apolitiche ma di tendenza
generalmente moderata o monarchica, presenti principalmente in Piemonte
e Valle d'Aosta. I Liberali hanno espresso i primi due Presidenti della Repubblica: Enrico De Nicola, Capo provvisorio dello Stato 1946/48 e primo
Presidente della Corte Costituzionale e Luigi Einaudi, primo Presidente della Repubblica Italiana 1948/55.)
Dott. Luigi
Cita
fu Alessandro e Casalini Gabriella, classe 1879.
Possidente terriero, laureato in Chimica pura, dirigente della
Banca d'Italia a Vicenza. Il papà, Cav. Alessandro, vecchio
Liberale, era stato Consigliere Comunale di Montecchio dal
1910 al 1926, e Sindaco per un brevissimo periodo nel
1914. Mai iscritto al partito fascista, dopo la Liberazione,
assieme a Giovanni Martini, è nominato dal P.L.I. vicentino
nel locale Comitato di Liberazione Nazionale.
Vedi anche Albo "Patrioti".
Giovanni
Martini
"Petenea"
fu Francesco e Stella Maria, classe 1891.
Commerciante, fratello di Giuseppe e papà di "Ettore", alias il dott. Arrigo Martini, Commissario Politico del Battaglione "Livio Campagnolo", della garibaldina Brigata "Mameli". Mai iscritto al partito fascista, dopo la Liberazione,
assieme con il dott. Luigi Cita, è nominato dal P.L.I. vicentino nel locale Comitato di Liberazione Nazionale e, successivamente, Assessore nella prima Giunta Municipale provvisoria. Vedi anche Albo "Patrioti".
370
PARTITO D'AZIONE
Formazione politica costituitasi clandestinamente in Italia tra il 1942 e il
1943, con la confluenza del movimento liberal-socialista di "Giustizia e Libertà" dei fratelli Rosselli e di Emilio Lussu, di alcuni radicali e repubblicani.
Nonostante il grande contributo dato alla Lotta di Liberazione con le sue
115 brigate "Giustizia e Libertà", il 25% delle forze partigiane, e la Presidenza del Consiglio ottenuta dal suo esponente Ferruccio Parri nel 1945, per il
suo scarso radicamento popolare, si dissolse poco dopo. La corrente liberaldemocratica di Parri e Ugo La Malfa, confluì nel Partito Repubblicano,
mentre la maggioranza aderì al Partito Socialista. Dal Partito d’Azione proviene l’attuale Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi.
Vittorio
Giaretta
fu Giovanni e Grigoletto Maria, classe 1890.
Mai iscritto al partito fascista, dopo la Liberazione, assieme
a Gio.Batta Pesavento, è nominato dal Partito d'Azione vicentino nel locale Comitato di Liberazione Nazionale e,
successivamente, componente della Giunta Municipale
provvisoria; dal 27 giugno 1945 è nominato Assessore e dal
7 settembre 1945, in sostituzione del "traghettatore" Francesco Balasso, primo Sindaco antifascista e democratico di
Montecchio Precalcino.
Vedi anche Albo "Antifascisti", "Patrioti" e "1^ Giunta
Municipale.
Gio.Batta
Pesavento
fu Giovanni e Simonato Angela, classe 1903.
Agricoltore e Carabiniere della Legione Territoriale di
Gondar, in Etiopia. Resta in servizio anche dopo la fine della esistenza italiana nel Corno d'Africa (27 novembre '41) e
la successiva occupazione inglese. Nel settembre 1943 rientra in Italia al seguito delle truppe Alleate, aderendo al Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.). Tra i componenti del
"Contingente R" dei Carabinieri che il 5 giugno 1944 entra
a Roma liberata.
L'8 giugno '44, viene assegnato alla Legione Territoriale
CC.RR. di Roma, Compagnia Comando. E' congedato il 27
maggio '45, e torna a casa il 12 giugno 1945.
Assieme a Vittorio Giaretta, completa la rappresentanza del
Partito d'Azione nel locale Comitato di Liberazione Nazionale e, successivamente, viene nominato Assessore della
371
Giunta Municipale provvisoria. Mai iscritto al partito fascista, nel dopo guerra aderisce alla Democrazia Cristiana ed è
eletto Consigliere Comunale per più legislature.
Vedi anche Albo "C.I.L.", "Carabinieri" e "1^ Giunta Municipale".
RAPPRESENTANTE DEI REDUCI E INTERNATI
Silvio
Centofante
fu Giovanni e Campagnolo Lucia, classe 1920.
Già Fante dell'11° Reggimento, Divisione "Forlì" in Grecia,
aggregato all'Ufficio Stampa del Comando Supremo dell'11^ Armata, dopo l'8 settembre è catturato dai tedeschi ed
internato in Germania. Torna a casa il 17 luglio 1945 ed è
nominato a rappresentare i Reduci e gli Internati nel locale
Comitato di Liberazione Nazionale. Mai iscritto al PNF.
Vedi anche "Resistenti 8 settembre" e Internati.
RAPPRESENTANTE DEI PARTIGIANI E PATRIOTI
Dott. Vinicio fu Benvenuto e Rigon Maria, classe 1923.
Benvenuto
Comandante "Nereo" - Studente Universitario, mai iscritto
Cortese
al PNF, figlio di Benvenuto Cortese "Valmari", ultimo Sindaco di Montecchio Precalcino (1920/25) prima del "regime".
Tra gli organizzatori della lotta armata a Levà, nell'inverno
1944/45 assumerà il comando del Battaglione "Livio Campagnolo", Brigata Garibaldina "Mameli", Divisione Garibaldina d'Assalto "Ateo Garemi". Il 29 aprile 1945, con la
Liberazione di Montecchio Precalcino, è nominato Comandante della Piazza, poi sostituito per turnazione da Angelo
Maccà, della Brigata "Loris". Vedi anche Albo "Partigiani".
372
Albo d'Onore
Giunta Municipale Provvisoria
27 giugno 1945 – 31 marzo 1946
SINDACI PROVVISORI, ELETTI DAL C.L.N. LOCALE
Francesco
Balasso
fu Pietro e Muzzolin Caterina, classe 1885.
Nominato Sindaco provvisorio dal 27 giugno al 7 settembre
1945, quando presenta le sue dimissioni. Ex Popolare, già
Assessore nell'ultima Amministrazione Comunale prima del
regime fascista ('20-'26). Aderisce al Partito Nazionale Fascista nel 1924. Amministratore locale dal 1930 al 1933.
Commissario Prefettizio dal 1933 al 1934. Aderisce al Partito Fascista Repubblicano e dal 4 agosto 1944 al 29 aprile
1945 è Commissario Prefettizio dalla Repubblica Sociale Italiana. E' quindi un personaggio fortemente coinvolto con
il vecchio regime, ma la sua moderazione e forse i suoi ripensamenti interiori causati dalla morte in Russia del figlio
Antonio, lo hanno reso persona idonea all'incarico di "traghettatore", di primo Sindaco provvisorio dopo la Liberazione, anche se solo per pochi mesi.
Vittorio
Giaretta
fu Giovanni e Grigoletto Maria, classe 1890.
Assolve alla funzione di Sindaco provvisorio dal 7 settembre 1944 al 15 gennaio 1945, in attesa che il locale C.L.N.
nominasse un sostituto ufficiale di Francesco Balasso.
Con Giovanni Anapoli e Antonio Sabin, certamente la personalità democratica e antifascista di maggiore spicco di
Montecchio Precalcino.
373
Laico, socialista e militante del Partito d'Azione, il 15 gennaio 1945, lasca l'incarico al prof. Carlo Saccardo, eletto
Sindaco provvisorio all'unanimità dei componenti il locale
C.L.N.
Prof. Carlo
Saccardo
fu Vittorio e Gasser Teresa, classe 1890.
Il papà Vittorio è già stato Sindaco di Montecchio Precalcino dal 1900 al 1902 per i Liberali.
Carlo, insegnante, Patriota, è come il padre di idee liberali e
collabora con la Resistenza.
Il 15 gennaio 1946, all'unanimità del locale C.L.N., è nominato Sindaco provvisorio.
Nelle prime libere Elezioni Amministrative del 31 marzo
1946, è eletto Consigliere Comunale nella lista della Democrazia Cristiana, ma è eletto Sindaco, con Vice-Sindaco Giovanni Anapoli, da tutto il nuovo Consiglio Comunale. Carlo
sarà riconfermato Sindaco per altre due Legislature, sino al
1960.
ASSESSORI PROVVISORI, ELETTI DAL C.N.L. LOCALE
Alessandro
Campagnolo
fu Orsola Campagnolo, classe 1923.
Assessore Effettivo (PSI) dal 27 giugno 1945 al 31 marzo
1946.
Giovanni
"Gianni"
Garzaro
fu Ottone Antonio e Leoncin Antonietta, classe 1915.
Assessore Anziano (PCI) dal 27 giugno 1945 al 31 marzo
1946.
Vittorio
Giaretta
fu Giovanni e Grigoletto Maria, classe 1890.
Assessore Effettivo (Partito d'Azione) dal 27 giugno al 7
settembre 1945 e dal 15 gennaio al 31 marzo 1946.
Angelo
Gaetano
Vittorio
Maccà
fu Francesco e Marcolin Pierina, classe 1900.
Assessore Effettivo (D.C.) dal 27 giugno al 7 settembre
1945, poi dimissionario e sostituito da Floriano Savio il 15
gennaio 1946.
374
Floriano
Savio
fu Girolamo e Stella Brigida, classe 1919.
Assessore Effettivo (D.C.) dal 15 gennaio al 31 marzo 1946,
in sostituzione del dimissionario Angelo Maccà.
Giovanni
Martini
"Petenea"
fu Francesco e Stella Maria, classe 1891.
Assessore Effettivo (PLI) dal 27 giugno 1945 al 31 marzo
1946.
Gio.Batta
Pesavento
fu Giovanni e Simonato Angela, classe 1903.
Assessore Supplente (Partito d'Azione) dal 27 giugno 1945
al 31 marzo 1946.
COMMISSIONE PROVVISORIA PER LE RISOLUZIONI
IN MATERIA DI TRIBUTI LOCALI
(Commissione nominata dalla Giunta già il 27 giugno 1945)
Pesavento Giuseppe di Antonio;
Martini "Petenea" Giuseppe di Francesco;
Martini "Sguai" Francesco Primo di Gaetano;
Giaretta Bernardo di Savino;
Benincà Guido di Ernesto;
Nemo Francesco di n.n.;
Dal Lago Bruno di Amedeo.
375
ELEZIONI AMMINISTRATIVE ( 31 MARZO 1946)
DEMOCRAZIA CRISTIANA
SINISTRA UNITA
LISTA
ELETTI
SACCARDO CARLO
*
MARTINI GIUSEPPE
*
PESAVENTO GIO BATTA
*
PIGATO TOMMASO
*
SELLA PIETRO
*
DUSO DOMENICO
*
GIARETTA GIO BATTA
*
ZANOTTO GIROLAMO
*
DAL ZOTTO GIUSEPPE
*
ZAMBON GIUSEPPE
*
BERLATO ANTONIO
*
THIELLA LUIGI
*
CAMPAGNOLO GIUSEPPE
*
BARBIERI GIACOMO
*
ZUCCATO DOMENICO CARLO
*
BENINCÀ GIOVANNI*
*
59,85% dei voti
LISTE
1 SINISTRA UNITA
SOLE LEVANTE
2 DEMOCRAZIA CRISTIANA
SCUDO CROCIATO
LISTA
ANAPOLI GIOVANNI
RONZANI ANTONIO
LAGIONI SILVIO
PIERANTONI ANTONIO
GIARETTA VITTORIO
GARZARO GIOVANNI
DAL LAGO ROMANO
BARBIERI ANTONIO
GRIGOLETTO GIUSEPPE
BUTTIRON FRANCESCO
ZANUSO GIUSEPPE
RETIS DOMENICO
GUGLIELMI NATALE
DAL LAGO BRUNO
DE LAI ANTONIO
GROTTO CESARE
ELETTI
*
*
*
*
40,15% dei voti
SEGGIO 1
MONTECCHIO
SEGGIO 2
PREARA
SEGGIO 3
LEVÀ
TOTALE
30,39%
54,25%
35,63%
40,15%
69,61%
45,75%
64,37%
59,85%
L'8 aprile 1946, il primo Consiglio Comunale, eletto a scrutinio segreto dagli uomini e dalle donne di Montecchio Precalcino, nomina una Giunta
Municipale di unità democratica e antifascista:
CARICA
Sindaco
Vice-Sindaco - Assessore Anziano
Assessore Effettivo
Assessore Effettivo
Assessore Effettivo
Assessore Supplente
Assessore Supplente
376
NOME
dott. Saccardo Carlo
Anapoli Giovanni
Pesavento Gio.Batta
Sella Pietro
Martini Giuseppe
Campagnolo Giuseppe
Zambon Giuseppe
VOTI
19
17
16
14
12
14
14
1946 – 2006 - 60° ANNIVERSARIO DELLA REPUBBLICA
Il 2 giugno 1946 il popolo Italiano, libero e in pace, scelse la Repubblica nata dalla Resistenza.
Da sessant'anni non più sudditi ma cittadini
REFERENDUM ISTITUZIONALE MONARCHIA O REPUBBLICA
Montecchio Precalcino, 2 giugno 1946
SEGGIO 1
MONTECCHIO
SEGGIO 2
PREARA
SEGGIO 3
LEVÀ
TOTALE
REPUBBLICA
41,03%
68,12%
48,14%
52,51%
MONARCHIA
58,97%
31,88%
51,86%
47,49%
377
378
Albo d'Onore Generale
dei Combattenti
la "Guerra di Liberazione"
INNO ALLA BANDIERA
SONO
la terra, i monti, i mari, il cielo e tutte le bellezze della natura che ti circondano,
l'aria che respiri, il sangue di chi è caduto nell'adempimento di un dovere
o nel raggiungimento di un ideale, per permetterti di vivere libero,
la zolla che ricopre i tuoi Morti,
la Fede, l'amore, il vibrante entusiasmo dei tuoi avi, la fatica, l'affanno,
la gioia di chi studia e di chi produce con la mente e col braccio,
il dolore, il sudore e la struggente nostalgia degli emigranti,
la tua famiglia, la tua casa ed i tuoi affetti più cari,
la speranza, la vita dei tuoi figli.
SONO LA TUA BANDIERA, L'ITALIA,
LA TUA PATRIA.
Ricordati di me, onorami, rispettami e difendimi.
Ricordati che al di sopra di ogni ideologia mi avrai sempre
unico simbolo di concordia e di fratellanza tra gli Italiani.
Ricordati che finché apparirò libera nelle tue strade tu sarai libero.
Fammi sventolare alle tue finestre, mostra a tutti che
tu sei ITALIANO.
379
Cognome/
Nome
Anapoli
Giovanni
Anapoli
Silvio
Anzolin
Giuseppe
Anzolin
Sperandio
Aramini
Francesco
Artuso
Gino
Artuso
Stefano
Baccarin Gio
Batta "Titela"
Baccarin
Giovanni
Baio
Alessandro
Baio
Domenico
Baio
Francesco
Baio Gio Batta "Balanson"
Baio Martino
"Balanson"
Baio Primo
Balasso
Bernardino
Balasso Francesco
Balasso Giuseppe "Pino"
Baldinelli
Giuseppe
Barbieri
Antonio
Barbieri
Giacomo
Barbieri
Rino
Bassan
Andrea
Bassan
Ferdinando
Bassan Giovanni Battista
Bassan Lorenzo
Bertacco
Francesco
Bettanin
Enzo
380
ANTI CADUTI FASCISTI
RESIST
8 SETT
IMI
CIL
COMB.
ESTERO
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PARTIGIANI
*
PATRIOTI
DEPORLAVOR.
TATI
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*
Cognome/
Nome
Bettanin
Gino
Biasi
Spedito
Bonato
Antonio
Bonato
Francesco
Bonin
Girolamo
(1904)
Bonin
Girolamo "Silvano", 1908
Borin
Antonio
Borin
Bortolo
Borin
Marco
Boriero
Giovanni
Borriero
Valentino
Bortoli
Antonio "Coa"
Bortoli
Francesco
"Coa", 1921
Bortoli
Francesco
"Coa", 1925
Bortoli
Giuseppe
Coa"
Bortoli
Marco "Coa"
Bortoli
Modesto
"Coa"
Bortoli
Pietro
Boscato
Domenico
Boscato
Pierino
Brazzale
Guerrino
Brazzale
Pietro
Brazzo
Antonio
Brunale
Francesco
ANTI CADUTI FASCISTI
RESIST
8 SETT
IMI
CIL
COMB.
ESTERO
CARAB
PARTIGIANI
PATRIOTI
DEPORLAVOR.
TATI
COATTI
LAVOR.
POW
VOLON
TARI
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*
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*
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*
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*
*
381
Cognome/
Nome
Buttiron
Secondo
"Vittorio"
Campagnolo
Alessandro
Campagnolo
Antonio
"Camparo"
Campagnolo
Cesare
Campagnolo
Decimo
"Camparo"
Campagnolo
Francesco
"Checonia"
Campagnolo
Gio.Batta
Campagnolo
Livio
Campagnolo
Pietro
"Checonia"
Campagnolo
Valentino
"Oriano"
Campana
Paolo
Campana
Pietro
Campese
Antonio 1895
Campese
Antonio 1916
Campese
Emilio
Campese
Giuseppe fu
Angelo, 1902
Campese
Giuseppe fu
Giuseppe,
1904
Campese
Giuseppe fu
Giuseppe,
1922
Campese
Silvio
Caretta
Alfonso
"Rigati"
382
ANTI CADUTI FASCISTI
RESIST
8 SETT
IMI
CIL
COMB.
ESTERO
CARAB
*
PARTIGIANI
PATRIOTI
DEPORLAVOR.
TATI
COATTI
LAVOR.
POW
VOLON
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GIUNTA
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CLN
*
*
Cognome/
Nome
Caretta
Antonio
"Rigati"
Caretta
Felice
Caretta
Florindo
Caretta
Francesco
"Rigati" 1903
Caretta
Francesco
"Rigati", 1914
Caretta
Francesco
"Fiolo", 1910
Caretta
Francesco fu
Francesco
1914
Caretta
Giovanni "Rigati"
Caretta
Guido
Caretta
Luigi "Rigati"
Caretta
Oreste
Caretta
Paolo "Fiolo"
Caretta
Pietro
Carollo
Domenico
Carollo
Giovanni
Carolo
Andrea
Carolo
Antonio
Carolo
Bertillo
Carolo
Bortolo
Carolo
Pasqualino
Carolo
Sante
Casarotto
Antonio
Casarotto
Domenico
Centofante
Silvio
ANTI CADUTI FASCISTI
RESIST
8 SETT
IMI
*
*
*
*
CIL
COMB.
ESTERO
CARAB
PARTIGIANI
PATRIOTI
DEPORLAVOR.
TATI
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LAVOR.
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GIUNTA
MUNICIPALE
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*
*
383
Cognome/
Nome
Chemello
Luigi
Cita
Luigi
Clavello
Bortolo
Cortese
Aristide "Valmari"
Cortese Vinicio "Valmari"
Costa
Luigi
Costa
Pietro
Costalunga
Antonio "Bulo"
Cozza
Rino
Cozza
Sereno
Dal Carobbo
Antonio
Dal Cengio
Attilio
Dal Ferro
Giuseppe
Dal Lago
Romano
Dall'Amico
Adriano
Dall'Amico
Francesco
Dall'Osto
Agostino
Dall'Osto
Antonio "Toni"
Dall'Osto
Bortolo
Dall'Osto
Eugenio
Dall'Osto
Francesco
Dall'Osto
Gino
Dall'Osto
Guerrino
Dall'Osto
Primo
Dall'Osto
Rino
Dall'Osto
Umberto
384
ANTI CADUTI FASCISTI
*
RESIST
8 SETT
IMI
*
*
CIL
COMB.
ESTERO
CARAB
PARTIGIANI
PATRIOTI
DEPORLAVOR.
TATI
COATTI
LAVOR.
POW
VOLON
TARI
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CLN
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MUNICIPALE
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Cognome/
Nome
Dal Santo
Alessandro
"Marusco"
Dal Santo
Angelo
"Marusco"
Dal Santo
Giovanni
"Marusco"
Dal Zotto
Umberto
Dal Zotto
Vittorio
Danazzo
Antonio
Danazzo
Ottavio
Danazzo
Vincenzo
Decalli
Beniamino
Decalli
Orazio
De Vicari
Giuseppe
De Vicari
Vittorio
Doria
Andrea
Doria
Federico
Fabrello
Antonio
Faccio
Domenico
Faccio
Silvio
Fantinato
Pietro
Farinea
Adelino
Ferracin
"Luciano"
Giovanni
Ferrara
Corrado
Filippetto
Annibale
Filippetto
Giovanni
Filippetto
Giuseppe
Fina
Bortolo
Fina
Paolino
ANTI CADUTI FASCISTI
RESIST
8 SETT
IMI
CIL
COMB.
ESTERO
CARAB
PARTIGIANI
*
*
*
*
PATRIOTI
DEPORLAVOR.
TATI
COATTI
LAVOR.
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GIUNTA
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*
385
Cognome/
Nome
Fina
Valentino
Folladore
Giovanni
Fontana
Ferruccio
Fortuna
Giovanni
Francescon
Achille
Frigo
Antonio
Frigo
Giuseppe
Gabrieletto
Emilio
Gabrieletto
Giovanni
"Moraro"
Gabrieletto
Irma
"Moraro"
Gabrieletto
Luigi
"Gino Baci"
Gallio
Giuseppe
Gallio
Pierino
Gallio
Sante
Galliolo
Giovanni
Garzaro
Francesco
Garzaro
Gaetano
Garzaro
Giovanni
"Millearte"
Garzaro
Michele
"Millearte"
Garzaro
Romeo "Millearte"
Garziera
Giuseppe
Gasparella
Stefano
Gasparini
Giuseppe
Giaretta
Angelo
Giaretta
Giovanni
386
ANTI CADUTI FASCISTI
RESIST
8 SETT
IMI
CIL
COMB.
ESTERO
CARAB
PARTIGIANI
PATRIOTI
DEPORLAVOR.
TATI
COATTI
LAVOR.
POW
VOLON
TARI
CLN
GIUNTA
MUNICIPALE
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Cognome/
Nome
Giaretta
Mario
Giaretta
Michelangelo
Giaretta
Sebastiano
Giaretta
Vittorio
Girardi
Bonifacio
Gnata
Gaetano
Gnata
Giuseppe
Gnata
Guerrino
Gnata
Paolo
Gonzato
Bernardino
"Consatelo"
Gonzato
Giuseppe
"Consatelo"
Gonzato
Natale
"Consatelo"
Gonzato
Palmiro
"Consatelo"
Gonzato
Tommaso
Grazian
Pietro
Grendene
Vasco
Grigoletto
Giulio
Grigoletto
Giuseppe
Grotto
Arturo
Grotto
Giuseppe
Guglielmi
Desiderio
Lagioni
Angelo
Lagioni
Silvio
La Notte
Pellegrino
Lavarda
Giuseppe
Leoni
Bruno
ANTI CADUTI FASCISTI
*
RESIST
8 SETT
IMI
*
*
CIL
COMB.
ESTERO
CARAB
PARTIGIANI
PATRIOTI
*
DEPORLAVOR.
TATI
COATTI
LAVOR.
POW
VOLON
TARI
CLN
GIUNTA
MUNICIPALE
*
*
*
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*
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*
*
*
*
387
Cognome/
Nome
Limosani
Giuseppe
Lonitti
Giuseppe
Lorenzi
Giovanni
Lorenzi
Secondo
Lubian
Serafino
Maccà
Angelo
Maccà
Francesco
"Checheto"
1909
Maccà
Francesco
1931
Marchiorato
Angelo
Marchiorato
Domenico
Marchiorato
Pietro
Marangoni
Gaetano
Don Marcon
Giovanni
"Martini" ..?..
"Broeia"
Martini
Arrigo
"Petenea"
Martini
Francesco
"Sguai"
Martini
Gaetano
Martini
Giovanni "Petenea"
Martini
Giuseppe
"Petenea"
Martini
Guido "Petenea"
Martini
Silvio
"Brusolo"
Matteazzi
Giuseppe
Meneghini
Giovanni
388
ANTI CADUTI FASCISTI
RESIST
8 SETT
IMI
CIL
COMB.
ESTERO
CARAB
PARTIGIANI
PATRIOTI
DEPORLAVOR.
TATI
COATTI
LAVOR.
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Cognome/
Nome
Meneghini
Giuseppe
Monticello
Sergio
Moro
Agostino
Moro
Antonio
"Secco"
Moro
Giuseppe
Mussi
Giuseppe
Nemo
Alfredo
Papini
Angelo
Papini
Mario
Parise
Alessandro
Parise
Angelo
Parise
Francesco
Parise
Giuseppe fu
Giovanni,
1904
Parise
Giuseppe fu
Augusto,1913
Parise
Giuseppe fu
Bortolo, 1915
Parise
Lelio
Pasqualotto
Giuseppe
Pauletto
Antonio
Pauletto
Emilio
Paulin
Erminio
Peron
Antonio
Peron
Pietro
Persico
Bortolo
Peruzzo
Antonio
Peruzzo
Guerrino
ANTI CADUTI FASCISTI
RESIST
8 SETT
IMI
CIL
COMB.
ESTERO
CARAB
PARTIGIANI
PATRIOTI
DEPORLAVOR.
TATI
COATTI
LAVOR.
POW
VOLON
TARI
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389
Cognome/
Nome
Peruzzo
Isidoro
Peruzzo
Massimiliano
Peruzzo
Pietro
Peruzzo
Vittorio
Pesavento
Aldo "Piri"
Pesavento
Antonio
Pesavento
Beniamino
Pesavento
Egidio
Pesavento
Felice
Pesavento
Gio.Batta
Pesavento
Riccardo
Pesavento
Valentino
Pierantoni
Rizieri
"Mistrello"
Pigato
Giovanni
Pigato
Giuseppe
Pobbe
Antonio
Poletto
Francesco
Resti
Umberto
Rodella
Francesco
Rodella
Pio
Rossetto
Antonio
Roncaglia
Antonio
Sabin
Aldo
Sabin
Amelio
Sabin
Antonio
Sabin
Giuseppe
Saccardo
Bruno
390
ANTI CADUTI FASCISTI
*
RESIST
8 SETT
IMI
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CIL
COMB.
ESTERO
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PARTIGIANI
PATRIOTI
DEPORLAVOR.
TATI
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TARI
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Cognome/
Nome
Saccardo
Carlo
Saccardo
Giuseppe
Saccardo
Mariano
Saggin
Vittorio
Saggionato
Silvio
Sattezzi
Francesco
Savio
Floriano
Savio
Valentino
"Nello"
Sbabo
Alfredo
Sbabo
Lino
Sella
Giovanni
Soardi
Pietro
Squarzon
Albino
Squarzon
Angelo
Stella
Angelo
Stocchero
Clemente
Tagliapietra
Bortolo
Tagliapietra
Giuseppe
Testolin
Tullio
Todeschini
Gio.Batta
Todeschini
Giuseppe
Todeschini
Nicola
Tosin
Antonio
Trabaldo
Silvano
Tresanti
Alessandro
Tresanti
Giuseppe
Tretti
Alberto
ANTI CADUTI FASCISTI
RESIST
8 SETT
IMI
CIL
COMB.
ESTERO
CARAB
PARTIGIANI
PATRIOTI
DEPORLAVOR.
TATI
COATTI
LAVOR.
POW
VOLON
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391
Cognome/
Nome
Tretti
Giovanni
Valerio
Giovanni
"Marangon"
Valerio
Vincenzo
"Marangon"
Valtiero
Napoleone
Velgi
Emilio
Vendramin
Antonio
Vendramin
Giuseppe
Veroncelli
Bruno
Vespertini
Lino
Viero
Desiderio
"Derio"
Viero
Gaetano
"Nello"
Viero
Giovanni
"Cielo"
Zambon
Ottorino
Zancan
Carlo
Zancan
Giuseppe
Zanin
Ettore
Zanin
Gregorio
Zanin
Umberto
Don Zocche
Giuseppe
Zordan
Giovanni
Zordan
Marco
ANTI CADUTI FASCISTI
Totale N° 322 16
392
RESIST
8 SETT
IMI
CIL
COMB.
ESTERO
CARAB
PARTIGIANI
PATRIOTI
DEPORLAVOR.
TATI
COATTI
LAVOR.
POW
VOLON
TARI
CLN
GIUNTA
MUNICIPALE
13
10
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15
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137
97
25
4
21
38
66
7
15
30
30
MEMORIA E PACIFICAZIONE
Purtroppo, come l'8 settembre del 1943 non ci aveva portato la pace, così
la fine della guerra non segnò il placarsi dell'odio fra molti di quegli italiani
che si erano battuti su opposti fronti. A partire da quel momento si passò
dallo scontro armato a quello ideologico, sul significato di anti-fascismo e
di anti-comunismo fino ai giorni nostri, quando quei due termini avrebbero
già dovuto esaurire la loro valenza politica.
Con quei concetti ebbero a misurarsi i nostri padri Costituenti, oltre due
generazioni fa, nel formulare le regole della Costituzione Italiana, per cercare di epurarla da ogni sospetto di totalitarismo o di elitarismo. Una Costituzione ancora oggi tra le più moderne d'Europa. Essa fu promulgata il 27 dicembre del 1947, ma, già un anno prima il concetto di pacificazione, fra partigiani e fascisti, ebbe il suo occasionale punto di partenza in un luogo considerato estraneo all'umana passione; un cimitero, dove, durante la guerra
erano state tumulate alcune salme di caduti di entrambe le parti. A tal proposito, vi ripropongo un editoriale di allora, di estrema attualità, scritto da
un partigiano, ex ufficiale dell'Esercito, decorato al Valor Militare e rivolto
ai suoi compagni:
"Il giorno di Capodanno del 1947, nel cimitero di Perugia, partigiani e fascisti delle brigate nere, si sono incontrati ed hanno deposto una corona di
fiori sulle tombe dei caduti della guerra '15-'18.
Non è questo un comune fatto di cronaca. E' un avvenimento.
Il gesto compiuto, davanti alle salme dei caduti, da coloro che furono gli
antagonisti di una sanguinosa guerra, ci deve far riflettere, freddamente e a
lungo.
Invitiamo ogniuno di noi ad un esame di coscienza che, per noi combattenti, è come un esame della situazione politica e morale italiana.
Vinti e vincitori si sono dati convegno entro un recinto di un cimitero ed
hanno chinato il loro capo davanti ai fratelli morti in quella che è stata
chiamata la quarta guerra del risorgimento italiano.
I vinti sono stati coloro che hanno indossato la camicia nera della Repubblica di Salò, che hanno impugnato le armi al fianco dei tedeschi e che hanno combattuto con essi, per essi, vittime folli ed esasperate di una passione
che li aveva travolti.
I vincitori sono stati coloro che avevano portato al collo i fazzoletti rossi,
azzurri, tricolori, e che avevano lottato per monti e piani col mitra, e, nell'orrore delle celle, avevano lottato con il loro corpo legato dalle corde della
tortura. Sono stati coloro che hanno fatto della loro vita una bandiera di sfi-
393
da, perché la vita senza libertà non era che una lunga ed esasperante agonia
che faceva desiderare la morte stessa.
Ebbene, costoro si sono riuniti ed hanno, per la prima volta, curvato assieme il capi davanti ai fratelli caduti, in quello stesso cimitero dove una volta i fascisti avevano perfino vietato portare un fiore sulle fosse dei partigiani
mitragliati.
Ogniuno sente che tutto ciò non è stato un semplice fatto di cronaca locale, ma un avvenimento che supera la breve cerchia d'un recinto, e va al di là
dell'Umbria, si proietta su tutta l'Italia, in ogni coscienza di partigiani e di
coloro che di essi furono nemici.
Per la prima volta, si è schiusa una porta, e rientrarono, per essa, nella stessa casa, coloro che ci avevano assalito e odiato. Si sono ravveduti? L'odio
che essi nutrivano contro i partigiani si è trasformato in rancore o in desiderio di giustizia contro coloro che li hanno cacciati nei misfatti e nella follia di
una guerra fratricida?
Un dubbio ci fa riflettere: e se dietro costoro che hanno errato, e che oggi
si sono realmente pentiti del loro errore, dovessero entrare per questa porta
schiusa, anche coloro che furono i veri colpevoli, ordinatori di massacri, seviziatori, approfittatori, senza fede alcuna, senza ideale alcuno?
Davanti a questi interrogativi restiamo rigidamente severi, così come una
volta, così come nei giorni del combattimento. Sentinelle vigili. E in questo
momento il nostro pensiero corre ad abbracciare tutto quel vasto periodo
della nostra storia partigiana, per riviverlo in noi, in tutta la sua drammatica
intensità.
La realtà di tutt'Italia: città distrutte, animi abbattuti, una miseria grigia negli
spiriti e nelle cose, come può essere la miseria nella soffitta di un palazzo diroccato.
Chi dovrà ricostruire su tanta rovina materiale e morale? Tutti.
Anche coloro che una volta hanno distrutto ed errato, se pure in buona fede? Sì, anch'essi, perché a nessuno bisogna negare la possibilità di redimersi.
E noi, ora che la guerra è finita, perché non dovremmo ascoltare la voce
dei ravveduti che ci chiedono di lavorare insieme per il bene della Patria
comune? Non dimentichiamo; anche quando infuriava il combattimento,
abbiamo raccolto, alle volte, tra le nostre fila, degli sbandati e dei ravveduti
che provenivano dalle brigate nere. Con noi hanno combattuto anche costoro; con noi hanno vinto, riscattando alle volte, col loro stesso sangue, il
loro passato.
A noi una sola, logica conclusione: la Patria abbisogna per la sua ricostruzione materiale e morale, di tutti, di chi non errò ed anche di chi ha errato,
purché oggi chieda di lavorare per l'avvenire della democrazia italiana".
394
Pacificare, non nel senso di predicare o pretendere un livellamento dei meriti o un giudizio di parità fra le opposte tesi. Pacificazione vuol dire ascoltare e cercare di capire le ragioni degli altri, di coloro cioè che, in buona fede,
si sono votati unicamente alla difesa della Patria, anche se incapaci di comprendere allora, che la loro scelta era dalla parte sbagliata ed oggi, riconoscono il valore della Liberazione e della Costituzione.
Pacificazione non vuol dire dimenticare, perché coloro che non si ricordano del passato sono condannati a riviverlo, ma soprattutto a farlo rivivere
agli altri, ai propri figli.
Quindi, salvaguardare la memoria della nostra piccola comunità e non dimenticare, anzi onorare, questa "generazione sfortunata" a cui tutti dobbiamo molto, vuol dire contribuire concretamente alla pacificazione in vista di
quel lungo cammino comune che ci attende, come italiani e come cittadini
europei.
Un'ultima annotazione. Il comportamento e la scelta di "resistere" di tutti
questi Uomini, di tutti questi nostri concittadini, che con questo lavoro di
ricerca abbiamo voluto onorare, avrebbe anche potuto essere diverso, così
come diverse sarebbero state le conseguenze delle loro azioni, troppo spesso conclusesi con il sacrificio della vita.
Esiste un modo per fotografare questa scelta diversa, ed è quella espressa
dalla frase con cui si conclude una celebre commedia di Eduardo De Filippo: "Ha da passà a nottata!", che significa semplicemente che si può anche attendere, senza esporsi troppo, che il peggio finisca.
Ma così facendo noi, oggi, avremmo ben poco da ricordare degno di futura
memoria.
Pierluigi Damiano Dossi "Busoi"
Il Centro Studi Storici "Giovanni Anapoli" e il curatore di questo lavoro, si
rammaricano di non essere riusciti a rintracciare tutti i dati e che, in carenza di essi,
forse qualche concittadino non è stato menzionato o lo è stato in modo incompleto o, peggio, inesatto; ma la ricerca non è finita, anzi è solo al suo inizio.
In proseguo, l'Albo continuerà ad essere aggiornato ed eventualmente ripubblicato, ma soprattutto è scopo del Centro Studi Storici "Giovanni Anapoli" approfondire ogni specifico argomento che l'Albo stesso ha sollevato. Pertanto per chi desiderasse portare il suo personale contributo all'attività del Centro e/o far conoscere
nuovi dati, storie, memorie, fotografie e documenti, può scrivere al seguente indirizzo: Centro Studi Storici "Giovanni Anapoli" – Via Stivanelle n° 10, 36030, Montecchio Precalcino (Vi), o mettersi in contatto direttamente chiamando al
348.3580316.
395
396
LE FONTI PRINCIPALI DELLA RICERCA:
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- AA.VV. – La Resistenza Europea e gli alleati, Ed. Lerici, Milano, 1962.
- G. Pisanò – Storia delle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana, Ed Mondadori, Milano, 1965.
- R. Pranovi e S. Caneva – Resistenza civile e armata nel Vicentino, OTV Stocchero Spa, Vicenza, 1972.
- E. Brunetta – Correnti politiche e classi sociali all'origine della Resistenza nel Veneto, in Studi e
Documenti, 2, Ed. N. Pozza, Vicenza, 1974.
- AA.VV. - Militari italiani caduti nei lager nazisti di prigionia e di sterminio, a cura del Ministero
della Difesa, Roma, 1975.
- AA.VV. – La Resistenza Italiana. Dall'opposizione al fascismo alla lotta popolare, Ed. Mondadori, Milano, 1975.
- G. Bocca – La Repubblica di Mussolini, Ed. La Terza, Bari, 1977.
- A. Ferrara - I Carabinieri, nella Resistenza e nella Guerra di Liberazione, Ed. Carabinieri,
Roma 1978.
- AA.VV. - La tradotta arriva. Le Forze Armate nella Resistenza e nella liberazione del Veneto,
Reg. Veneto, 1978.
- G. Mayda, Ebrei sotto Salò. La persecuzione antiebraica 1943 – 1945, Ed. Feltrinelli, Milano,
1978.
- I. Montanelli e M. Cervi - Storia d'Italia, Rizzoli Ed., Milano, 1980.
- P. Gios – Resistenza, Parrocchia e Società nella diocesi di Padova, 1943-1945, Ed. Marsilio,
Venezia, 1981.
- E. Franzina – La classe gli uomini e i partiti. Storia del movimento operaio e socialista in una provincia bianca: il Vicentino (1873 – 1948), 2 vol., Ed. Odeonlibri, Vicenza, 1982.
- G. Giraudi – A Cefalonia e a Corfù si combatte, Ed. Cavallotti, Milano, 1982.
- E. Kuby - Il tradimento tedesco. Come il Terzo Reich portò l'Italia alla rovina, Ed. Mondadori,
Milano, 1983.
- R. Lazzero – Le Brigate Nere, Ed. Rizzoli, Milano, 1983.
- I. Mantiero – Con la Brigata Loris, vicende di guerra 1943-1945, a cura dell'AVL di Vicenza,
Aprile 1984.
- P. Casciola – G. Sermasi – Vita di Blasco. Pietro Tresso dirigente del movimento operaio internazionale (Magrè di Schio 1893 – Houte Loire 1944?), Odeonlibri, Vicenza, 1985.
- E. Franzina – Operai e Sindacato a Vicenza, Ed. Odeonlibri, Vicenza, 1985.
- AA.VV. – Annali di Storia Pavese, a cura dell'Amm. Provinciale di Pavia, N° 12 e 13
1986.
- F. Visentini – In Spagna per la Libertà, Volontari antifascisti vicentini nella guerra civile spagnola
(1936-1939), a cura dell'ANPI di Vicenza, Settembre 1987.
- E. Franzina – "Bandiera Rossa ritornerà, nel cristianesimo la libertà". Storia di Vicenza popolare
sotto il fascismo, Ed. Bertani, Verona, 1987.
- S. Zuccotti – L'Olocausto in Italia, Ed. Mondadori, 1988.
- AA.VV., Vicenza e i suoi Caduti 1848 – 1945, a cura del Comune di Vicenza, Vicenza,
1988.
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- Z. Meneghin – Fra cronaca e storia, 1989.
- C. Corna – Monterosa. Storia della Divisione Alpina Monterosa della Repubblica Sociale Italiana
1944 – 1945, Ed. E. Alberti, Parma, 1989.
- A. Serena – I giorni di Caino. Il dramma dei vinti nei crimini ignorati dalla storia ufficiale, Panda,
Padova, 1990.
- Don A. Frigo – Ricordi, perché non siano come suono di corno che muore lontano nel vento, Nuovo
Progetto, Vicenza, 1991.
- L. Picciotto Fargion, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall'Italia (194 –1945), Mursia,
Milano, 1991.
- C. Pavone – Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, Ed. Einaudi, Torino, 1991.
- R. De Felice – Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Ed. Einaudi, Torino, 1993.
- L. Klinkhammer – L'occupazione tedesca in Italia, Bollati Boringhieri Ed., Torino, 1993.
- G. Pansa – Il gladio e l'alloro. L'esercito di Salò, Ed. Mondadori, Milano, 1993.
- B. Gramola – Le donne e la Resistenza, Interviste a staffette e partigiane vicentine, La Serenissima, Vicenza, 1994.
- F. Pizzato – Terre rosse ed altre terre, memorie, La Serenissima Ed., Vicenza, 1994.
- E. Franzina – Stranieri d'Italia. Studi sull'emigrazione italiana dal Risorgimento al fascismo,
Ed. Odeonlibri, Vicenza, 1994
- E. M. Simini – Di fronte e di profilo. Tutti gli schedari della polizia in provincia di Vicenza dal
1893 al 1945, Odeonlibri – Ismos, Schio (Vi), 1995.
- L. Poli – Le forze armate nella guerra di liberazione, Stabilimento Grafico Militare, Gaeta,
1995.
- B. Gramola, A. Maistrello - La Divisione Partigiana "Vicenza", e il suo Battaglione Guastatori,
La Serenissima Ed. Vicenza, 1995.
- G. Giraudi – La Resistenza dei militari italiani all'estero, Rivista Militare, Roma 1995.
- O. Vangelista "Aramin" – Guerriglia al Nord, Ed. Sas, Milano, 1995.
- P. Gonzato, L. Sbabo - C'eravamo anche noi, ricordi della Resistenza a Montecchio Precalcino, a
cura dell'ANPI di Vicenza, Agosto 1996.
- G. Schreiber, I militari italiani internati nei campi di concentramento del Terzo Reich (19431945), Stato Maggiore dell'Esercito, Roma, 1997.
- G. Vescovi – Resistenza nell'Alto Vicentino, Storia della Divisione Alpina "Monte Ortigara"
1943 – 1945, La Serenissima Ed., Vicenza, 1997.
- M. Faggion, G. Ghirardini – Figure della Resistenza vicentina, Profili e testimonianze, Odeonlibri, Magrè di Schio (Vi), 1997.
- R. De Felice, Mussolini l'alleato, Ed. Einaudi, Torino, 1997.
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- AA.VV. – Il Veneto nella Resistenza. Contributi per la storia della lotta di liberazione, a cura dell'Ass. ex Consiglieri Regionali della Regione Veneto, Venezia, 1997.
- F. Brunello – Battaglione Alpini Val Leogra, Rossato Ed., Novale – Valdagno (Vi) 1998.
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Ed., Milano, 1998.
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- D. Gagliani – Brigate Nere, Ed. Bollati Boringhieri, Torino, 1999.
- L. Ganapini – La repubblica delle camice nere. I combattenti, i politici, gli amministratori, i socializzatori, Ed. Garzanti, Milano, 1999.
- M. Martelli – Le Brigate Nere. L'esercito di Pavolini e la Repubblica di Salò, Ed. Il Segnalibro,
Firenze, 1999.
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parte dei tedeschi. Un'epopea di eroi dimenticati. Longanesi Ed., Milano 2000.
- P. Gios – Clero, Guerra e Resistenza nelle relazioni dei Parroci, Tip. Moderna, Asiago (Vi),
2000.
- R. De Felice – Il Fascismo. Le interpretazioni dei contemporanei e degli storici, ed. Laterza, Milano, 2001.
- B. Gramola – Fraccon e Farina, Cattolici nella Resistenza, La Serenissima Ed, Vicenza, 2001.
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- F.Offelli – L'eccidio dei Gasparini. La strage fascista del 20 novembre 1944, a cura del Comune
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- C. Di Sante – Italiani senza onore, i crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951), Ombre Corte Ed., Verona, Febbraio 2005.
399
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una ricerca, Cierre Ed., Istituto Storico della Resistenza e dell'età contemporanea della
Provincia di Vicenza "Ettore Gallo", Vicenza 2005.
- AA.VV. – Aggiungi una testimonianza. L'antifascismo nel Vicentino raccontato dai protagonisti e
raccolto dagli studenti, curato dal prof. Ferdinando Offelli, a cura Sindacati Pensionati di
CGIL, CISL,UIL per il 60° della Resistenza, Vicenza, 2005.
- Diari, Memorie e Testimonianze di: Romano Dal Lago, Michelangelo Giaretta, Federico Doria, Lino Sbabo, Palmiro Gonzato, Giuseppe Grotto, Attilio Dal Cengio, Gaetano Marangoni, Vittorio Peruzzo, Lino Vespertini, Francesco Bortoli, Emilio Campese,
Bortolo Fina, Narciso Poletto, Giovanni Anapoli, Luigi Gabrieletto, Angelo Giaretta,
Bruno Saccardo, Fam. Baio "Balanson", Fam. Martini "Petenea", Fam. Limosani, Fam.
Zocche, Fam. Francescon, Fam. Buttiron, Fam. Faccio.
- Archivio del Comune di Montecchio Precalcino.
- Archivi delle Associazioni d'Arma e Partigiane di Montecchio Precalcino.
- Archivi delle Ass. Naz. Combattenti e Reduci di Montecchio Precalcino e Levà.
- Archivio Centrale dello Stato di Roma.
- Archivio di Stato di Vicenza.
- Archivio Ufficio Matricola – Distretto Militare di Vicenza.
- Archivio Ufficio Documentazione e Matricola – Distretto Militare di Verona.
- Archivio Storico della Curia Vescovile di Vicenza.
- Libro cronistorico della Parrocchia di Montecchio Precalcino.
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