Comments
Description
Transcript
VOTO PLURIMO E VOTO MAGGIORATO: PRIME
STUDI E OPINIONI VOTO PLURIMO E VOTO MAGGIORATO: PRIME CONSIDERAZIONI SU RICADUTE E PROSPETTIVE Il lavoro si propone di svolgere una prima analisi degli istituti, di recente introduzione, del voto plurimo e del voto maggiorato, ponendo in luce, da un lato, le principali differenze tra loro e, dall’altro, quali siano i primi e più evidenti effetti e problemi derivanti dalla loro emissione. di IRENE POLLASTRO 1. Introduzione. Tra le più significative novità introdotte nel nostro ordinamento dall’art. 20 del Decreto Competitività 2014 (D. Lgs. 24 giugno 2014, n.91, poi convertito, con relative modifiche, dalla L. 11 agosto 2014, n.116), per la materia societaria, accanto alla considerevole riduzione dell’importo del capitale sociale minimo per le S.p.A., da 120.000 a 50.000 euro, risaltano i due istituti del voto plurimo e del voto maggiorato. Se di novità si può parlare, peraltro, lo si deve principalmente al fatto che la nuova normativa spazza via dal nostro ordinamento l’ultimo esplicito divieto ancora imposto alle società, quotate e non, in materia di attribuzione non proporzionale del diritto di voto alle azioni: già sdoganate le figure delle azioni a voto limitato o prive di diritto di voto, l’art. 2351 c.c., al comma 3, disponeva, infatti, ancora che “non possono emettersi azioni a voto plurimo”. Il comma 4 dell’attuale art. 2351 stabilisce, invece, che “salvo quanto previsto da leggi speciali, lo statuto può prevedere la creazione di azioni con diritto di voto plurimo anche per particolari argomenti o subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative. Ciascuna azione a voto plurimo può avere fino ad un massimo di tre voti”. Invero, il divieto di emissione di azioni a voto plurimo permane ancora per le società quotate, che però hanno facoltà di attribuire più di un voto ad una azione tramite il similare istituto delle azioni a voto maggiorato (con il limite massimo di due voti per azione). La novità in questione è, invero, tale sotto il profilo della legislazione italiana vigente, perché gli istituti in commento erano già ben noti non solo nei dibattiti (attorno all’opportunità della loro introduzione) dei nostri giuristi nazionali, ma soprattutto nell’esperienza giuridica europea. Basta una breve indagine comparatistica che interessi IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 43 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO gli ordinamenti a noi più vicini per rilevare che le azioni a voto plurimo sono una realtà nei Paesi Bassi, in Svezia, in Finlandia e in Norvegia, nonché nel Regno Unito e in Irlanda; quanto alle azioni a voto maggiorato (o loyalty shares), uno sguardo al di là del confine permetterà di scoprire che in Francia esse sono addirittura previste come regola di default per le società quotate. Non si deve, inoltre, scordare, che invero tali figure non costituiscono una novità assoluta nemmeno per il nostro ordinamento: il Codice di Commercio del 1882, infatti, se vietava l’emissione di azioni con qualsiasi forma di limitazione o addirittura privazione del diritto di voto, ammetteva, invece, quella di azioni a voto plurimo1. Sul piano dell’innovatività degli istituti in sè, quindi, parrebbe esservi poco da dire; per contro, sembrano invece meritevoli di esame: sul piano teorico, l’impatto della nuova normativa sulla regola dispositiva “un’azione = un voto”, sulla quale si poteva ritenere, pur con importanti deroghe, fino ad oggi essere basato il nostro ordinamento societario; sul piano pratico, le ricadute funzionali e sistematiche (non solo giuridiche, ma anche economiche) che tale scelta legislativa comporta. Poichè i due istituti del voto maggiorato e del voto plurimo hanno molti punti di contatto, ma anche rilevanti differenze, non foss’altro per il fatto che riguardano tipologie di società (quotate e non, in teoria affini, ma nella pratica ormai molto distanti tra loro), converrà provvedere ad analizzarli e commentarli separatamente. Volendo per il momento accontentarsi della bipartizione azioni a voto plurimo società non quotate, azioni a voto maggiorato - società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (che, peraltro, corrisponde per lo più al vero, salvo qualche eccezione, che verrà posta in evidenza nel prosieguo del lavoro), mi pare opportuno cominciare dalle azioni a voto plurimo per due ordini di motivi: in primo luogo, è ben noto che nel nostro Paese le società chiuse sono di gran lunga più numerose delle quotate; in secondo luogo, mentre la disciplina relativa a questo istituto è entrata in vigore immediatamente, ovvero dal giorno dopo la pubblicazione della legge di conversione (L. 116 del 2014) in Gazzetta Ufficiale, quella relativa alle azioni a voto maggiorato è divenuta operativa 1 Volendo risalire ad epoca ancora più antica, limitandosi ad una sommaria lettura delle disposizioni, si scopre che nel Codice Napoleonico del 1808 e nel successivo Codice di Commercio del 1865, pur non esistendo alcuna norma che esplicitamente facoltizzava l’emissione di azioni a voto plurimo, nemmeno si leggeva alcun divieto in proposito: stante, invero, una esigua regolamentazione delle tematiche della partecipazione e del voto, la più ampia flessibilità era, infatti, consentita alle società nella propria organizzazione. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 44 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO solo dopo l’emanazione di un regolamento della Consob, finalizzato ad “assicurare la trasparenza degli assetti proprietari e della sezione II, capo II, sezione ii” del TUF (D. Lgs. 58 del 1998): approvato definitivamente il 19 dicembre 2014, con delibera n.19084 (tenuto conto delle osservazioni svolte sul documento di consultazione, precedentemente pubblicato in data 5 novembre), il regolamento è in vigore dal 1 gennaio 2015 (ovvero dal giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale). 2. Azioni a voto plurimo: cenni generali. Quanto, dunque, all’analisi delle azioni a voto plurimo, conviene prendere le mosse dalla norma dispositiva che regola il diritto di voto nel nostro ordinamento che, tradizionalmente, si è sempre individuata nell’art. 2351 del Codice Civile (rubricato proprio “Diritto di Voto”), il quale al comma 1, statuiva, e ancora, dopo la recente riforma, statuisce, che “ogni azione attribuisce il diritto di voto”. Secondo la norma dispositiva vigente, (ovvero quella che si applica quando l’autonomia privata e, nella specie, quella statutaria, non prescriva diversamente), quindi, il principio generale di tema di distribuzione del voto è ancora quello “un’azione – un voto”. Tale regola è stata utilmente specificata scindendola in tre assiomi, utilizzati generalmente dalla letteratura giuridica sul tema2: nessun voto senza azioni; nessuna azione senza voto; un’azione, un voto soltanto. Più in dettaglio, dunque, la sola titolarità della azione permette di partecipare attivamente, tramite il voto, all’orientamento delle scelte sociali; nessun titolare, anche se di una sola azione, può essere privato del diritto di votare quantomeno in assemblea generale; ad un titolo è attribuito uno ed un solo voto. Dalla lettura di diversi studi comparati, che coinvolgono principalmente gli stati appartenenti all’Unione Europea e, talvolta, gli Stati Uniti, pare potersi, poi, evincere che non solo in Italia, ma in tutti i Paesi di economia avanzata, la regola generale in tema di attribuzione di voto è quella della diretta e precisa proporzionalità tra numero di A. BUSANI, M. SAGLIOCCA, Le azioni non si contano, ma “si pesano”: superato il principio one share one vote con l’introduzione delle azioni a voto plurimo e a voto maggiorato, in Le Società, 2014, p. 1049; G. FERRI JR., Finanziamento dell’impresa e partecipazione sociale, in Riv. Dir. Comm., 2002, I, p. 126; P. FERRO-LUZZI, Riflessioni sulla Riforma; I: La società per azioni come organizzazione del finanziamento di impresa, in Riv. Dir. Comm., 2005, I, p. 687; B. Libonati, Corso di diritto commerciale, Milano, 2009, p. 267. 2 IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 45 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO azioni possedute e numero di voti attribuiti3. Un sistema di tal genere, basato appunto sulla stretta proporzionalità, implica che l’orientamento ed il controllo della società siano nelle mani di coloro che hanno maggiormente investito nella stessa: la correlazione tra potere e rischio fa sì che gli azionisti di maggioranza, avendo investito di più, abbiano più interesse a curare il buon andamento della società (garantendo, così, indirettamente, l’interesse collettivo dei consociati) e, parallelamente, rischiando di più, meno interesse ad orientare il proprio voto al raggiungimento di obiettivi privati, in conflitto con quelli della società. Questo ragionamento, più pratico ed economicamente orientato, ben si concilia con quello più strettamente giuridico, che conforma la scelta generale dell’ordinamento al rispetto di un principio di “democrazia plutocratica”: in altre parole, è giusto che chi più investe abbia diritto, in proporzione, ad un maggior numero di voti, che gli consenta di pilotare le scelte della società, e, conseguentemente ad una maggior quota di utili, qualora queste si rivelino vincenti, o alla sopportazione di una maggiore parte delle perdite, qualora queste risultino errate. Infine, e marginalmente, si può considerare che, in un processo di progressiva smaterializzazione della partecipazione, volta a favorirne la circolazione, il fatto che ogni titolo abbia caratteristiche semplici e uguali a tutte le altre azioni, rende molto più rapidi e privi di intoppi i processi di negoziazione e trasferimento delle partecipazioni azionarie. Nonostante le considerazioni appena svolte, vale la pena far rilevare che in nessuno degli ordinamenti di cui poc’anzi si parlava la regola one share – one vote è stata mai imposta come cogente o inderogabile: il fatto che, in assenza di diversa regolamentazione, sembri la regola di funzionamento più ragionevole, non implica che essa sia l’unica possibile ed anzi, tutti gli ordinamenti consentono all’autonomia statutaria l’introduzione di importanti deroghe. Venendo all’ordinamento italiano, che è quello che in questa sede interessa, credo si possa tranquillamente affermare che, alla luce dell’ultima riforma e con l’introduzione della facoltà di emettere azioni a voto plurimo, anche l’ultimo divieto in materia di attribuzione non proporzionale del voto all’azione è ormai caduto. Se ancora qualche dubbio residuasse, servendosi del trinomio prima esposto, tale assunto potrà essere facilmente dimostrato. Quanto alla regola “nessun voto senza azione”, dal 2003 è 3 Per una dettagliata trattazione del tema si vedano S. ALVARO, A. CIAVARELLA, D. D'ERAMO, N. LINCIANO, La deviazione dal principio “un'azione – un voto” e le azioni a voto multiplo, Quaderno giuridico Consob 5/2014 e lo studio del 2007, realizzato su iniziativa della Commissione Europea, dal titolo Report on the Proportionality Principle in the European Union. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 46 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO possibile riconoscere il diritto di voto, seppur solo su determinati argomenti, ai possessori di strumenti finanziari diversi dalle azioni4; quanto alla deroga al principio “nessuna azione senza voto”, hanno ormai cittadinanza nel nostro ordinamento le figure delle azioni a voto limitato, delle azioni senza voto e i meccanismi di voto scalare o limitato ad un tetto massimo5; l’ultimo assunto (“una azione, un voto soltanto”) era l’unico per il quale, fino ad oggi, permaneva nel nostro ordinamento il divieto, contenuto al comma 3 dell’art. 2351, c.c., di emissione di azioni a voto plurimo: con l’ultima riforma, introdotta dalla L. 116 del 2014, anche tale ultimo limite è caduto. Pare, dunque, utile, passare in rassegna quelli che sono i contorni di questo nuovo strumento e, parallelamente, interrogarsi sulle possibili ricadute che la sua adozione ha sulla normativa vigente e, più in generale, sulle dinamiche societarie. 3. Azioni a voto plurimo e dinamiche endosocietarie: natura, introduzione e ricadute. Basta una prima indagine sommaria degli istituti per rendersi conto che, a differenza delle azioni a voto maggiorato, quelle a voto plurimo, se adottate, costituiscono senz’altro una categoria speciale di azioni ai sensi dell’art. 2348, c.2 c.c., con la conseguenza che alle stesse corrisponderà anche una assemblea speciale (art. 2376 c.c.) e, soprattutto, che il voto plurimo si manterrà con la circolazione del titolo, come si vedrà in seguito. L’art. 2346, c. 6, c.c., che regolamenta l’emissione delle azioni, nel finale precisa che “resta salva la possibilità che la società, a seguito dell'apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi, emetta strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti.”; l’art. 2349 c.c., al c. 2, prevede, poi, che “l'assemblea straordinaria può altresì deliberare l'assegnazione ai prestatori di lavoro dipendenti della società o di società controllate di strumenti finanziari, diversi dalle azioni, forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti.”; l’art. 2351, c. 5, c.c. stabilisce, infine, che “gli strumenti finanziari di cui agli articoli 2346, sesto comma, e 2349, secondo comma, possono essere dotati del diritto di voto su argomenti specificamente indicati e in particolare può essere ad essi riservata, secondo modalità stabilite dallo statuto, la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco.”. 5 La facoltà di introduzione di questi ultimi è stata estesa dall’ultima riforma anche alle società quotate. 4 IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 47 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO Una volta delineata con chiarezza la natura di tali titoli, conviene indagare, anzitutto, sulla loro modalità di introduzione. Costituendo l’emissione di tali azioni una modifica statutaria che incide sul diritto di voto, sono richieste le maggioranze previste dagli artt. 2368 e 2369 c.c. per le assemblee straordinarie: in prima convocazione, quorum costitutivo e quorum deliberativo coincidono e sono pari a più della metà del capitale sociale; in seconda convocazione il quorum costitutivo scende ad un terzo del capitale sociale, mentre perché la delibera sia approvata sono necessari i voti favorevoli di tanti soci che rappresentino i due terzi del capitale rappresentato in assemblea. Questa regola, tuttavia, vale per le società create ed iscritte al Registro delle Imprese dopo il 31 agosto 2014 che, successivamente alla loro nascita, vogliano introdurre nel loro statuto azioni a voto plurimo. Trattandosi, evidentemente, di uno strumento potenzialmente molto incisivo, specie sui diritti della minoranza che verrebbero ancor più menomati, il legislatore ha innalzato i quorum necessari ad introdurre tali tipi di azioni in società già costituite alla data di entrata in vigore della riforma: il D. Lgs. 91 del 2014 richiede, infatti, che, anche in prima convocazione, fermo il quorum costitutivo della metà più uno del capitale sociale, la delibera per essere approvata necessiti dei voti favorevoli della maggioranza qualificata dei due terzi del capitale rappresentato in assemblea. Accanto a tale misura a tutela della minoranza, rimane, poi, lo strumento di reazione principe a tutti i casi di “modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto e partecipazione”, previsto dall’art. 2437 c.c.: i soci che non hanno concorso all’adozione della delibera hanno diritto di recedere dalla società con tutte o parte delle azioni in loro possesso. Nulla quaestio, invece, qualora la società decida di dotarsi, accanto alle azioni ordinarie, di quelle a voto plurimo in sede di costituzione: in questo caso, gli azionisti che intendono sottoscrivere il contratto sociale ne negoziano ed accettano le regole ab origine, essendo, dunque, consci dei rapporti di potere che l’emissione di azioni di tal sorta potrà creare. Non pare, conseguentemente, che in questo caso si possa riconoscere il diritto di recesso a coloro che, in fase di discussione sulla formazione dell’atto costitutivo, si dimostrino contrari alla possibilità di emettere azioni dotate di più di uno voto: nel caso la regola fosse per loro intollerabile, potrebbero limitarsi a non sottoscrivere il contratto sociale; con l’adesione allo stesso, invece, il consenso a tutte le sue regole, così come stilate, è da considerarsi pacifico6. Ancora, pare potersi dare l’opzione di introduzione del voto plurimo tramite la via di un aumento di capitale: di nuovo, che la delibera sia assunta come modifica statutaria che permette, in caso di un futuro aumento di capitale, di emettere azioni cui sia attribuito più di un voto, o che la 6 A. BUSANI, M. SAGLIOCCA, Le azioni non si contano, ma “si pesano”, cit., p. 1054. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 48 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO delibera di aumento di capitale preveda direttamente la loro emissione, non pare farsi luogo a dubbi sulla necessità delle maggioranze poc’anzi illustrate. Si potrebbe, però, in questo caso, riscontrare qualche problema in relazione al diritto di opzione. Di nuovo, nessuna complicazione pare sorgere qualora le azioni a voto plurimo di nuova emissione siano offerte in opzione a tutti i soci: in questo caso, infatti, rimarrebbe intatta la possibilità di ognuno di mantenere lo stesso peso all’interno della compagine sociale (ma, inutile, d’altra parte sarebbe allora l’introduzione di azioni dotate di tale privilegio). Ha senso, soprattutto, discutere sulla facoltà di offrire in opzione tali azioni solo ad una parte del capitale sociale. Se l’art. 2441 c.c. prevede, al suo primo comma, che le azioni di nuova emissione e le obbligazioni convertibili in azioni debbano essere offerte in opzione ai soci in proporzione al numero delle azioni possedute, al successivo quinto comma stabilisce anche che il diritto di opzione possa essere limitato o escluso “quando l’interesse della società lo esige”: essendo difficile procedere ad una delimitazione dei contorni di tale assioma, in linea teorica non pare che una offerta di opzione “non proporzionale” sia vietata.7 Come già chiarito in apertura del paragrafo, le azioni a voto plurimo, una volta introdotte, andranno a costituire una categoria speciale di azioni. Se tale prima considerazione non pare sollevare particolari problemi, qualche riflessione, di nuovo, potrebbe sorgere all’atto della valutazione dell’impatto della loro introduzione sulle azioni già esistenti. Sarebbe opportuno chiedersi, anzitutto, se la loro emissione potrebbe in qualche modo creare un pregiudizio ai diritti di altra categoria speciale di azioni: in questo caso, infatti, oltre al necessario raggiungimento delle maggioranze qualificate di cui poco sopra si diceva, sarebbe necessaria anche l’approvazione 7 Lungi dal voler fornire in questa sede una esauriente trattazione del problema, pare comunque opportuno segnalare le diverse posizioni che la dottrina ha ipotizzato riguardo al contenuto dell’”esigenza” in relazione all’interesse sociale: mentre alcuni, adottando una posizione più estensiva, ritengono sufficiente che sia la soluzione ragionevolmente più conveniente per la collettività societaria (tralasciato, naturalmente, in questo caso, l’interesse del singolo socio), altri adottando una soluzione più restrittiva, ritengono che l’utilizzo del verbo esigere, per la sua forza, suggerisca che tale esclusione debba rispondere ad una più stretta necessità della società. Si vedano ad esempio, M. FRATTINI, G. BASCHETTI, Le società di capitali: percorsi giurisprudenziali, Milano, 2010, p. 709; D. FICO, Le operazioni sul capitale sociale nella s.p.a. e nella s.r.l., Milano, 2010, p.59. Pare, tuttavia, aderendo alle correnti più supportate anche dalla giurisprudenza, che la prima soluzione sia quella preferibile (a tal proposito si vedano Trib. Milano, 31 gennaio 2005, in Giur. It., 2005, p. 1865, con nota di S. CERRATO; Trib. Saluzzo, 10 febbraio 2001, in Giur. Comm., 2001, p. 623). IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 49 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO dell’assemblea speciale delle azioni i cui diritti subirebbero una menomazione (che si troverebbe, quindi, di fatto, ad avere un potere di veto)8. Nella pratica, tuttavia, pare difficile immaginare una ipotesi del genere, tanto più che il pregiudizio al diritto della categoria, secondo la dottrina dominante (pur non mancando qualche autorevole sostenitore della teoria opposta), deve essere diretto9. Ancora, ci si potrebbe chiedere se, una volta che nello statuto sia stata prevista la possibilità di emettere azioni a voto plurimo, i soci di maggioranza possano votare al fine di convertire le proprie azioni ordinarie in azioni di tal specie, posto che l’art. 2350 c.c. nulla prevede né vieta in proposito. In questo caso, infatti, le azioni che “subirebbero” un pregiudizio dato dal calo fattuale del potere di influenzare le decisioni assemblea sarebbero azioni ordinarie, quindi non dotate di quell’assemblea speciale che avrebbe il potere di opporsi alla operazione; neanche, prima facie, si potrebbe ravvisare la possibilità di annullamento della delibera per conflitto di interessi, ai sensi dell’art. 2373 c.c., posto che il conflitto in questione dovrebbe essere tra i soci che hanno adottato la delibera e la società, e non tra soci e soci, come parrebbe, invece, essere in questo caso. Per invalidare la delibera occorrerebbe ricorrere alla figura dell’abuso della maggioranza ai danni della minoranza10, sulla configurabilità ed i confini della quale, peraltro, sussiste ancora qualche dubbio in dottrina11. La mancanza dell’approvazione della categoria speciale (ove, ovviamente, necessaria), infatti, secondo l’opinione dominante, non è un semplice motivo di annullabilità della delibera adottata dall’assemblea generale; tale approvazione, costituisce, al contrario, una vera e propria condizione legale di efficacia della delibera, in mancanza della quale la stessa si può considerare improduttiva di effetti. Un esempio su tutti in G.F. Campobasso, in Diritto Commerciale 2, Diritto delle Società, Milano, 2013, p. 211 e riferimenti in nota. 9 P. GROSSO, Categorie di azioni ed assemblee speciali, Milano, 1999, pp. 173 e ss.; P. FERRO LUZZI, B. LIBONATI, Categorie di azioni e aumento del capitale con emissione di sole azioni ordinarie, in Riv. Dir. Comm., 1990, I, pp. 703 e ss.; R. Costi, Aumento di capitale, categorie di azioni e assemblee speciali, in Giur. comm., 1990, I, pp. 563 e ss.. 10 Tale soluzione è stata proposta da A. BUSANI, M. SAGLIOCCA, op. cit., p. 1056. 11 Il problema, in questo caso, è se il voto dei singoli soci sia sindacabile e, inoltre, se sia possibile imporre agli stessi di votare non nel loro interesse, ma nell’interesse sociale. Certa giurisprudenza ha dato al quesito una risposta positiva (Cass. Civ., Sez. I, 11017/94 ): nella specie, l’annullabilità della delibera frutto di abuso di potere della maggioranza trae legittimità non da norme specifiche sulle società, ma dalla più generale violazione dei principi di correttezza e di buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.). Il tema diviene abbastanza spinoso poiché i giudici, nel sindacare i casi in cui i soci perseguano un interesse proprio al solo fine di 8 IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 50 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO Quanto, invece, agli altri diritti che competono ai soci di minoranza, come ad esempio il diritto di chiedere la convocazione dell’assemblea ex art. 2376 c.c., l’azione di responsabilità contro gli amministratori ex art. 2393 bis c.c., o la denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c., non sembra darsi luogo a dubbi: tali facoltà sono concepite a tutela di azionisti che, pur non detenendo una quota maggioritaria, raggiungano comunque una determinata percentuale di capitale sociale, che li legittimi ad agire in situazioni in cui la maggioranza potrebbe abusare della propria posizione per indirizzare scelte della società o coprirne la mala gestio. In questi casi, dunque, la presenza di azioni a voto plurimo tra quelle emesse dalla società non ha alcun rilievo. Venendo, poi, allo svolgimento dell’assemblea, canale tipico in cui si estrinseca il diritto di voto, ovvero quello su cui questa nuova categoria di azioni va ad incidere, il primo problema che salta agli occhi riguarda il calcolo dei quorum previsti dalla legge per il suo funzionamento. Mentre per le società con azioni quotate, la riforma, al comma 8 del nuovo art. 127 quinquies del D. Lgs. 58 del 1998 (Testo Unico della Finanza), prevede che “se lo statuto non dispone diversamente, la maggiorazione del diritto di voto si computa anche per la determinazione dei quorum costitutivi e deliberativi che fanno riferimento ad aliquote del capitale sociale”, per le società chiuse nulla è espressamente stabilito. In linea del tutto teorica, potrebbe quantomeno sorgere il dubbio della possibilità della applicazione analogica della normativa speciale del TUF a quella generale del codice civile, tanto più che le azioni a voto maggiorato sono, come già specificato, istituto diverso da quelle a voto plurimo. Se si adottasse tale rigorosa interpretazione, dunque, non vi sarebbe nessun cambiamento quanto al calcolo dei quorum: ciò avrebbe ricadute negative non tanto su quello costitutivo, poiché rimarrebbe necessaria la partecipazione all’assemblea di tanti soci rappresentanti almeno la metà (o i due terzi) del capitale sociale, ma l’utilità di queste azioni sarebbe di fatto frustrata in sede di calcolo di quello deliberativo, essendo comunque necessaria l’approvazione dei soci possessori di una certa aliquota del capitale sociale rappresentato, indipendentemente dal numero di voti danneggiare la minoranza, potrebbero finire per dare una valutazione di merito sulle scelte relative alla gestione societaria, che strictu sensu non compete loro. Sull’argomento, si vedano P.G. JAEGER, F. DENOZZA, Appunti di diritto commerciale, Milano, 1997, pp. 352 e ss.; A. GAMBINO, Il principio di correttezza nell'ordinamento delle società per azioni (abuso di potere nel procedimento assembleare), Milano, 1987; GRIPPO, L'assemblea nella società per azioni, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, Torino, 1985, p. 418. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 51 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO agli stessi effettivamente spettanti.12 Per risolvere tale aporia, si dovrebbe allora optare per l’applicazione analogica della normativa del TUF, che potrebbe essere supportata anche dalla considerazione del fatto che l’art. 2368 c.c. specifica che le azioni, diverse dalle ordinarie per qualche ragione che attiene ai diritti di voto (ovvero, le azioni senza voto o le azioni a voto limitato, nei casi in cu non votano), non sono computate al fine del calcolo del quorum costitutivo (e, quindi, nemmeno poi per quello deliberativo): in questo caso, dunque, l’effetto “distorsivo” dei meccanismi di partecipazione alla gestione, in senso lato, della società, sarebbero amplificati. In primo luogo, perché l’assemblea sia regolarmente costituita, basterebbe una partecipazione di soci molto inferiore; in secondo luogo, ovviamente, per l’approvazione della delibera, basterebbe una maggioranza (e, quindi, un investimento di capitale) davvero esigua. In altre parole, qualora il capitale fosse composto solo da azioni ordinarie ed azioni a voto plurimo, dotate ognuna di tre voti, basterebbe avere il 25% (+1) del capitale sociale per avere la maggioranza in assemblea. Tale conclusione non genera, oggi, un grande stravolgimento nei principi di proporzionalità tra rischio e potere: intendo dire che lo stesso risultato poteva già essere raggiunto, prima della riforma, dividendo il capitale sociale in azioni ordinarie e azioni senza voto, nella misura massima concessa dalla legge (ovvero, la metà del capitale sociale)13. L’effetto distorsivo di tali meccanismi può, però, oggi essere portato all’estremo, se si fa l’ipotesi di una società il cui capitale fosse costituito per metà (ovvero, per il massimo consentito) da azioni prive di voto e per metà da azioni a voto plurimo con tre voti ciascuna: in questo caso, basterebbe avere il 12,5 % (+1) del capitale sociale per essere in grado di approvare qualunque delibera di assemblea ordinaria.14 Questa soluzione parrebbe dunque paradossale, anche se l’esordio dello stesso comma 8 dell’art. 127 quinquies contempla la possibilità che lo statuto opti per non considerare la maggiorazione di voto al fine del calcolo dei quorum, come a dire che, qualora l’autonomia privata lo ritenesse opportuno o sensato, anche questa soluzione sarebbe percorribile. 13 L’art. 2351, c.2, c.c. statuisce ancora che “salvo quanto previsto dalle leggi speciali, lo statuto può prevedere la creazione di azioni senza diritto di voto, con diritto di voto limitato a particolari argomenti, con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative. Il valore di tali azioni non può complessivamente superare la metà del capitale sociale.” 14 Alle stesse conclusioni giunge N. ABRIANI, Azioni a voto plurimo e maggiorazione del diritto di voto degli azionisti fedeli: nuovi scenari ed inediti problemi interpretativi, 2014, www.giustiziacivile.com 12 IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 52 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO Ancora, un effetto ampiamente distorsivo sul calcolo dei quorum, che arreca un sensibile danno al peso del voto di azioni ordinarie, potrebbe derivare dal caso in cui la società proceda a un acquisto di azioni proprie dotate di voto multiplo: l’art. 2357 ter c.c., al comma 2, stabilisce che tali titoli, pur avendo diritto di voto sospeso, vanno comunque computati ai fini del calcolo dei quorum costitutivi e deliberativi. Se la norma aveva la ratio di evitare che l’acquisto di azioni proprie fosse utilizzato dalla maggioranza come strumento per abbassare i quorum e facilitare l’adozione di decisioni dalla stessa caldeggiate, è pur vero che l’adozione delle delibere era resa generalmente più difficile dal fatto che nel calcolo dei quorum rientrassero azioni nella pratica prive del diritto di votare; se tali azioni sono a voto plurimo, l’effetto ancor più negativo sulla possibilità per i detentori di azioni ordinarie di raggiungere la maggioranza e deliberare in assemblea diventa evidente. La riforma, dunque spiana la strada alla possibilità che il voto abbia un rilievo molto superiore a quello “triplo” previsto dalla riforma: ciò, tuttavia, può dar luogo ad una accentuazione esagerata dei conflitti tra maggioranza e minoranza. A tal proposito, vale la pena fare un accenno in ottica comparatistica al fatto che molti ordinamenti di Paesi vicini che permettono emissione di azioni a voto plurimo vietano viceversa l’esistenza di azioni prive del diritto di voto, appunto ad evitare l’estremizzazione di tale squilibrio15. Qualche cenno merita, infine, la questioni del voto divergente. L’istituto è, ormai, generalmente ritenuto ammissibile16 sulla base del fatto che coloro che sono incaricati di esprimere il voto in assemblea per un certo pacchetto azionario potrebbero essere invero rappresentanti di soggetti diversi, con interessi differenti (ad esempio, le società fiduciarie o la persona giuridica che partecipa come socio ad altra società) o che il singolo detentore di un pacchetto azionario potrebbe voler votare disgiuntamente (per esempio, perché solo parte delle sue azioni sono vincolate da un patto di sindacato di voto): nel caso del voto plurimo, tuttavia, non sembra potersi ravvisare una situazione di 15 Così M.S. SPOLIDORO, Il voto plurimo: i sistemi europei, Atto del XXVIII convegno di studio su “Unione Europea: concorrenza tra imprese e concorrenza tra stati”, in www.fondazionecourmayeur.it/notizie-unione-europea-concorrenza-tra-imprese-e-concorrenzatra-stati.1.5.html?n=941. 16 P. G. JAEGER, Il voto “divergente” nella società per azioni, Milano, 1976; ID., Il voto divergente, in Trattato delle società per azioni, a cura di G. Colombo, G. Portale, 1994, p.406. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 53 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO interessi tale da giustificare, in ragione del possesso di un’ azione, l’espressione, per esempio, di due voti a favore dell’approvazione della delibera e di uno contrario.17 4. Azioni a voto plurimo e ricadute esosocietarie: recesso e circolazione. Fin qui, ci si è occupati delle principali ricadute che l’introduzione di azioni a voto plurimo può dispiegare sulle dinamiche endosocietarie. Considerando, tuttavia, anche la possibilità di modifiche nella composizione del capitale sociale in conseguenza della loro introduzione o circolazione, pare opportuno analizzare qualche ulteriore profilo. Anzitutto, va posto in luce il fatto che, a fronte dell’emissione di azioni a voto plurimo, è garantito ai soci che non hanno concorso all’approvazione della delibera in oggetto il diritto di recesso ai sensi dell’art. 243718. Nel caso in cui tale diritto venga effettivamente esercitato, pare potersi sottolineare che i titolari di azioni a voto plurimo, hanno, ancora una volta, una posizione privilegiata: se i titolari di azioni ordinarie che non vogliano vedere diminuito il loro “peso” all’interno della società saranno costretti ad esercitare il diritto di opzione sulla parte di azioni, proporzionale alla loro partecipazione, in relazione alle quali è esercitato il recesso, coloro che sono divenuti titolati ad esprimere voto plurimo subiscono in maniera proporzionalmente minore l’effetto dell’annacquamento della partecipazione e, di conseguenza, hanno minore necessità di nuovi investimenti se vogliono mantenere una partecipazione rilevante nella società. Vi è, poi, da considerare, il possibile depauperamento della società che potrebbe derivare da una simile situazione: l’art. 2437 ter, c. 2, c.c., regolando la valutazione delle azioni al fine della liquidazione conseguente al recesso, prescrive che essa sia formulata dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, “tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni”. E’, quindi, chiaro, che tale valorizzazione è basata su criteri diversi da Così si esprime P. G. JAEGER, Il voto “divergente” nella società per azioni, Milano, 1976, p. 84. 18 Tra le cause di recesso (non eliminabili per disposizione statutaria) riconosciute dalla legge sono comprese, infatti, “le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione”. 17 IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 54 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO quelli secondo i quali si determinerà il prezzo al quale le azioni verranno successivamente acquistate dagli stessi soci o da terzi: se in sede di liquidazione in seguito all’esercizio del diritto di recesso, dunque, non si potrà, in via di stretto rigore, tener conto degli effetti della nuova introduzione del voto plurimo, in sede di collocazione delle stesse azioni in capo ad altri soggetti, il prezzo si determinerà tenendo conto del pregiudizio indiretto che le azioni ordinarie subiranno quanto alla perdita di “peso” del loro singolo voto in sede assembleare. Quanto, invece, al profilo della circolazione dell’azione dotata di voto plurimo, il dato certo è che il privilegio ad essa attribuito circola con il titolo. Le azioni, infatti, come già detto, fanno pacificamente parte di una categoria speciale, dotata di particolari diritti, che competono “geneticamente” al titolo in quanto tale: gli stessi, pertanto, permangono anche in caso di trasferimento della titolarità della partecipazione (a differenza di quanto, tra poco, si vedrà per le azioni a voto maggiorato di cui si posso dotare la società quotate). 5. Azioni a voto maggiorato: cenni generali. Volendo ora fornire un primo commento dell’istituto delle azioni a voto maggiorato, introdotto per le società quotate, in qualche modo speculare alle azioni a voto plurimo per le società chiuse, pare opportuna una preliminare indicazione sistematica: l’analisi sarà condotta evidenziando le principali differenze con la categoria delle azioni a voto multiplo e provvedendo altresì, in relazione agli argomenti trattati, a fornire specifiche indicazioni in merito alle innovazioni introdotte dalla legge e alle successive precisazioni fornite dal Regolamento Consob menzionato nell’introduzione . Va segnalato, anzitutto, che le azioni a voto maggiorato sono concepite, dal nuovo art. 127 quinquies, D. Lgs. 58 del 1998, come loyalty shares, ovvero “premio” all’azionista fedele che detiene continuativamente l’azione per un tempo prolungato, pari, ai sensi del comma 1, ad almeno 24 mesi: decorso tale termine, gli saranno automaticamente attribuiti un massimo due voti. Da tale disposizione, si rileva, da un lato, che il limite della maggiorazione è posto a due voti (e non a tre, come per il voto plurimo); dall’altro, la locuzione “un massimo” di due voti, suggerisce che potrebbe essere attribuito anche un voto superiore ad uno ma inferiore a due, potendosi, quindi, configurare un voto pari ad una cifra decimale, ad esempio 1,5. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 55 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO Non è, dunque, mai possibile che ad una azione di società quotata (di nuova introduzione), vengano attribuiti tre voti: a norma del successivo art. 127 sexies, infatti, per le quotate è posto il divieto di emettere azioni a voto plurimo come regolate dal comma 4 dell’art. 2351, c.c.. Se la norma si fosse limitata alla disposizione di questo primo comma, sarebbe stato frustrato il motivo di opportunità che ha spinto il legislatore ad introdurre la categoria delle azioni a voto plurimo nelle società chiuse, ovvero quello di incentivarle alla quotazione (come si vedrà nella conclusione di questo lavoro). Opportuna risulta, quindi, la norma che al comma 2 statuisce che “le azioni a voto plurimo emesse anteriormente all'inizio delle negoziazioni in un mercato regolamentato mantengono le loro caratteristiche e diritti”: in questo modo, i soci di controllo di una società per azioni chiusa, che decidono di quotarsi, manterranno il saldo possesso del pacchetto di controllo, precostituito tramite l’attribuzione del voto plurimo alle loro azioni pre-quotazione. Complementare a questa previsione, il prosieguo del comma 2 prevede una deroga al divieto di emissione di azioni a voto plurimo, con le medesime caratteristiche e diritti di quelle già emesse, per “le società che hanno emesso azioni a voto plurimo ovvero le società risultanti dalla fusione o dalla scissione di tali società”, nei soli casi di aumento di capitale a titolo gratuito ex art. 2442, c.c., (ovvero tramite imputazione a capitale di riserve o altri fondi classificati a bilancio come disponibili); di aumento di capitale realizzato mediante nuovi conferimenti, ma senza esclusione o limitazione del diritto d'opzione; infine, nei casi di fusione e scissione. Tale correttivo è stato introdotto al fine di “mantenere inalterato il rapporto tra le varie categorie di azioni”. Di nuovo, se la norma si fermasse a questo punto, si creerebbe uno scenario in cui le società quotate potrebbero avere una serie di azioni a voto multiplo e decidere di emetterne altre a voto maggiorato, arrivando così a portare all’estremo la distorsione della proporzionalità tra investimento e potere di orientamento e controllo della società. Ad arginare un effetto così fortemente modificativo degli equilibri sociali (e, conseguentemente, del prezzo delle azioni sul mercato), il legislatore della riforma al comma 3 ha introdotto il divieto per le quotate che già hanno, per i motivi poco sopra illustrati, all’interno del loro capitale una categoria di azioni a voto plurimo, di dotare altre categorie di azioni di ulteriori maggiorazioni di voto o di emetterne di nuove ai sensi dell'art. 127 quinquies. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 56 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO 6. Azioni a voto maggiorato e dinamiche endosocietarie: introduzione e funzionamento. Venendo, dunque, al momento della loro potenziale introduzione, i quorum costitutivi e deliberativi richiesti sono, anche in questo caso, quelli previsti dagli artt. 2368 e 2369, c.c., per le assemblee straordinarie. La riforma ha, tuttavia, in questo caso (al contrario delle azioni a voto plurimo, di cui si è detto sopra) previsto una fase transitoria, disponendo che, fino al 31 gennaio 2015, le delibera modificative dello statuto nel senso dell’introduzione di azioni a voto maggiorato possono assunte, anche in prima convocazione, con la maggioranza semplice dei presenti. Questa ultima norma, insieme alla previsione del comma 6 dell’art. 127 quinquies, che esclude il diritto di recesso in capo agli azionisti che non hanno concorso all’approvazione della delibera, dimostra un particolare favor per l’istituto da parte del legislatore: la ratio che giustifica tale approccio e la loro introduzione è quella di favorire gli investimenti di lungo termine, che permettono un consolidamento del pacchetto di controllo ed un più effettivo potere di monitoring e di indirizzo costante alla gestione. Vale la pena di condurre una breve riflessione sul motivo dell’esclusione del diritto di recesso. L’unico motivo che parrebbe poter logicamente giustificare tale esclusione è che le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione di cui al comma 1, punto g, dell’art 2437, c.c., nel caso delle azioni a voto maggiorato, non sono stabili, né permanenti: esse dipendono, infatti, dalla decisione dei singoli azionisti, di detenere o meno la partecipazione per un periodo di tempo superiore ai 24 mesi; quand’anche ciò avvenisse, e si verificasse la maggiorazione del voto, la stessa potrebbe venire poi meno in seguito alla vendita delle azioni sul mercato. Tale motivazione, che è senza dubbio dotata di coerenza, non pare però sufficiente ad escludere un diritto così importante per gli azionisti che, non avendo contribuito alla delibera, vengono comunque danneggiati dall’introduzione di un privilegio di tale genere. In questo caso, il punto focale non è tanto da porsi sul principio di consentire all’azionista di liberarsi della partecipazione in una società di cui non condivide più le regole poiché, essendo la stessa società quotata sul mercato, il socio potrebbe agilmente liberarsene vendendo il titolo. La questione va spostata sul potenziale pregiudizio economico che l’azionista avrebbe dalla vendita sul mercato, ai prezzi dallo stesso stabiliti, di una partecipazione svalutata dall’introduzione del voto maggiorato; se, viceversa, avesse diritto al recesso, il valore della liquidazione andrebbe determinato, ai sensi del 3° comma dell’art. 2347 ter, c.c., facendo esclusivo riferimento IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 57 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi che precedono la pubblicazione ovvero la ricezione dell’avviso di convocazione dell’assemblea le cui deliberazioni legittimano il recesso. Resta, comunque, il fatto che, specie se si approfitta della breve finestra temporale che consente una deroga alle maggioranze qualificate di norma richieste per approvare le delibere in assemblea straordinaria, l’adozione dello strumento risulta particolarmente agevole. Nonostante ciò, allo stato, pochissime società quotate sembrano aver approfittato di tale deroga: pare, infatti, che solo tre di queste (Amplifon, Astaldi e Campari) abbiano convocato un’assemblea straordinaria con proposta di modificare i loro statuti nel senso dell’introduzione del voto maggiorato19. Nel prosieguo del lavoro, accanto alle indicazioni fornite dal Regolamento Consob ad integrazione e specificazione della normativa ordinaria, si provvederà anche ad illustrare come, nella pratica, le prime società avrebbero inteso adattare ed inserire il nuovo strumento nella propria regolamentazione statutaria20. Una volta introdotta in statuto la facoltà di emettere azioni a voto maggiorato, occorre, anzitutto, verificare il requisito del possesso duraturo (per 24 mesi continuativi), in ragione del quale la maggiorazione verrà effettivamente attribuita all'azionista. La riforma parla della creazione di un apposito elenco, nel quale gli azionisti dovranno iscrivere il proprio titolo: la creazione di questo elenco e una prima lettura del comma 1 dell’art. 127 quinquies, TUF, parrebbero suggerire che occorre che gli azionisti si iscrivano allo stesso e che, decorsi due anni dall’iscrizione (durante i quali abbiano continuativamente posseduto il titolo), potranno automaticamente godere del privilegio della maggiorazione del voto. Se si legge più attentamente la norma, tuttavia, si potrebbe scorgere un difetto nella sua formulazione: la disposizione statuisce, infatti, che “gli statuti possono disporre che sia attribuito voto maggiorato, fino a un massimo di due voti, per ciascuna azione appartenuta al medesimo soggetto per un periodo continuativo non inferiore a ventiquattro mesi a decorrere dalla data di 19 Così A. BUSANI, Prime assemblee per varare azioni a voto maggiorato, in www.quotidianodiritto.ilsole24ore.com (14.1.2015) 20 Si specifica fin d’ora che tali modifiche statutarie non sono ancora state effettivamente approvate dalle rispettive società: Amplifon ha convocato gli aventi diritto in assemblea straordinaria, in unica convocazione, il giorno 29 gennaio 2015; Astaldi in prima convocazione il 29 gennaio 2015 e in seconda convocazione il 30 gennaio 2015; Campari in unica convocazione il 28 gennaio 2015. Nonostante ciò, pare comunque interessante riportare le prime proposte di applicazione pratica della normativa. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 58 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO iscrizione nell'elenco previsto dal comma 2”. Sulla base della mera lettura della disposizione, non pare possa dirsi pacifico che si debba attendere due anni dalla iscrizione del registro, indipendentemente dall’effettivo tempo per cui si è posseduta l’azione, perchè la stessa sia dotata di voto maggiorato o se basta, una volta dimostrato il possesso continuativo per i 24 mesi, effettuare l’iscrizione all’elenco per vedersi immediatamente attribuito il privilegio21. Tale differenza, nella pratica, non sarebbe di poco conto, se si tiene presente che l’attribuzione di un privilegio come il voto maggiorato a determinate azioni, andando ad incidere (seppur indirettamente) in negativo sui poteri ed i diritti della altre (per così dire ordinarie22), potrà modificarne sensibilmente il prezzo di mercato: in società le cui azioni sono giornalmente scambiate, dunque, è evidente che di molto peso per il prezzo delle azioni ordinarie sarà l’effettivo momento di entrata in vigore del privilegio. Tale dubbio potrebbe, poi, essere alimentato anche tenendo conto della formulazione del successivo comma 7, in cui si prevede che, “qualora la deliberazione di modifica dello statuto di cui al comma 623 sia adottata nel corso del procedimento di quotazione in un mercato regolamentato delle azioni di una società non risultante da una fusione che coinvolga una società con azioni quotate, la relativa clausola può prevedere che ai fini del possesso continuativo previsto dal comma 1 sia computato anche il possesso anteriore alla data di iscrizione nell'elenco previsto dal comma 2.”: se, dunque, la norma consente di computare il possesso continuativo (anteriore all’iscrizione nell’elenco) di azioni di una società non quotata, nella quale, per natura, la composizione della compagine sociale è di gran lunga più Se così si legge codesta disposizione “gli statuti possono disporre che sia attribuito voto maggiorato, fino a un massimo di due voti, per ciascuna azione appartenuta al medesimo soggetto, per un periodo continuativo non inferiore a ventiquattro mesi a decorrere dalla data di iscrizione nell'elenco previsto dal comma 2”, allora prevarrà la prima soluzione; ma se la si interpretasse come “gli statuti possono disporre che sia attribuito voto maggiorato, (fino a un massimo di due voti, per ciascuna azione appartenuta al medesimo soggetto per un periodo continuativo non inferiore a ventiquattro mesi), a decorrere dalla data di iscrizione nell'elenco previsto dal comma 2”, allora potrebbe prevalere la seconda soluzione. 22 Anche se, in questa sede, il termine non è utilizzato in maniera propria, in quanto le azioni a voto maggiorato, come si vedrà tra poco, non costituiscono una categoria speciale di azioni, differenziate da quelle ordinarie. 23 Ovvero, proprio la modifica statutaria volta a consentire la maggiorazione del voto attribuibile ad alcune azioni. 21 IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 59 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO stabile24, ci si potrebbe domandare perché il “fedele” mantenimento di un titolo quotato, di gran lunga più innaturale, non dovrebbe ricevere quantomeno lo stesso trattamento. Il dubbio pare, però, risolto dalla pubblicazione del documento di consultazione della Consob25 (contenente le proposte di modifica al Regolamento Emittenti in materia di voto plurimo), che in più punti chiarisce che, per le società già quotate, il periodo di 24 mesi decorre dalla data di iscrizione dell’elenco, nulla contando il già precedente possesso dell’azione26. Anche se, di nuovo, il documento Consob sugli esiti della consultazione, pubblicato sul sito internet in data 23 dicembre 2014, con una formulazione potenzialmente fuorviante, in apertura del paragrafo 1, definisce “costitutiva del diritto di voto maggiorato” l’iscrizione nell’elenco, la successiva trattazione conferma quanto chiarito nel documento di consultazione. Prova ne sia il fatto che, in tutte e tre le proposte di modifica degli statuti delle società sopra menzionate, è previsto sia un procedimento di iscrizione nell’elenco, che specificato il momento di effettiva attribuzione del beneficio27. 24 Evidente è che, non essendoci un mercato organizzato sul quale è possibile scambiare le azioni, il loro trasferimento ad altro titolare è indubitabilmente meno semplice e spedito. 25 Il 5 novembre 2014, in www.consob.it, in vista dell’emanazione del Regolamento, di cui già si è fatta menzione alla fine del primo paragrafo di questo lavoro, che decreterà la definitiva entrata in vigore della disciplina del TUF, relativa al voto maggiorato. 26 Già nell’introduzione si legge, infatti, che “il possesso continuativo per almeno 24 mesi si computa a decorrere dalla data di iscrizione in un apposito elenco tenuto dalle società, fatta salva l’ipotesi in cui la delibera di modifica dello statuto sia assunta nel corso del procedimento di quotazione in un mercato regolamentato delle azioni di una società non risultante da una fusione e che coinvolga una società con azioni quotate, potendosi a tal fine computare il possesso anteriore alla data di iscrizione dell’elenco citato.”. Ancora, il primo paragrafo del documento, dedicato ai chiarimenti sulla maggiorazione del voto e sulla natura dell’elenco, chiarisce che “L’articolo 127 quinquies, comma 2, del TUF demanda alle società quotate l’individuazione in via statutaria delle modalità per l’attribuzione del voto maggiorato e per l’accertamento dei relativi presupposti, fermo restando la necessità che le stesse prevedano un apposito elenco in cui devono iscriversi i soci che intendano beneficiare del voto maggiorato, al termine del periodo di 24 mesi che decorre, appunto, dalla medesima iscrizione”; e ancora che “l’iscrizione si pone quale presupposto indefettibile ai fini del computo del periodo di possesso continuato previsto dalla disposizione, costitutivo del diritto di voto maggiorato.”. 27 Queste le relative previsioni statutarie: Amplifon, che propone in merito la disciplina più dettagliata, prevederebbe che “al fine di ottenere l’attribuzione del voto maggiorato, l’azionista esibisce alla società apposita certificazione, attestante altresì la durata di detenzione delle azioni per le quali il diritto di voto è oggetto di maggiorazione, pari ad almeno 24 mesi dall’Iscrizione IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 60 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO Quanto, poi, alla natura dell’elenco cui è necessario iscriversi per ottenere il beneficio della maggiorazione, è lo stesso Regolamento Consob a proporre di considerarlo parte del Libro Soci (così estendendogli le relative norme del codice civile su contenuto ed obblighi pubblicitari) e non un libro sociale a sé. Mentre la maggior parte dei partecipanti alla consultazione hanno aderito a tale proposta, qualche voce dissonante ha proposto, invece, di considerarlo un libro autonomo, con apposite e più stringenti regole, in ragione dell’importanza del beneficio attribuito a coloro che nello stesso verranno iscritti. All’esito della consultazione, anche se nulla di esplicito è specificato nelle modifiche approvate all’articolato del Regolamento Emittenti, pare potersi pacificamente concludere che l’elenco degli aventi diritto al voto maggiorato nell’Elenco”, e ancora che “dal momento in cui la Società riceve l’attestazione di cui al punto precedente, le azioni cui si riferisce l’attestazione medesima attribuiscono due voti in tutte le assemblee ordinarie e straordinarie la cui record date cade in un giorno successivo al momento stesso); Astaldi, meno chiara, prevede solo che “Sono attribuiti due voti per ciascuna azione appartenuta la medesimo azionista per un periodo continuativo non inferiore a ventiquattro mesi a decorrere dalla data di iscrizione nell’elenco”, demandando poi agli amministratori il compito di emanare un regolamento di dettaglio, quanto alle modalità di iscrizione, tenuta e aggiornamento dell’elenco; Campari, infine, proporrebbe che ciascuna azione dia diritto a voto doppio qualora siano rispettate le due seguenti condizioni: “a) il diritto di voto sia spettato al medesimo soggetto in forza di un diritto reale legittimante per un periodo continuativo di almeno ventiquattro mesi; b) la ricorrenza del presupposto sub a) sia attestata dall’iscrizione continuativa, per un periodo di almeno ventiquattro mesi, nell’elenco”. Curioso notare che, a fronte della appena vista coincidenza di disposizioni, le tre società, nella autonomia loro concessa dalla norma di legge, regolamenterebbero in modo diverso i momenti di iscrizione: Amplifon parrebbe permettere l’iscrizione in ogni momento, alla sola condizione dell’esibizione della certificazione prevista dall’art.83 quinquies, comma 3, TUF; Astaldi, accanto alla certificazione di cui sopra, prevede, invece, che “la Società provvede alle iscrizioni e all’aggiornamento dell’Elenco secondo una periodicità trimestrale – 1° marzo, 1° giugno, 1° settembre, 1° dicembre”; Campari, ancora diversamente, richiede sia la certificazione ai sensi dell’art.83 quinquies, comma 3, TUF, che una attestazione sottoscritta dal soggetto richiedente (contenente una dichiarazione di piena titolarità del diritto di voto e un impegno a comunicare l’eventuale perdita del beneficio del voto maggiorato) e propone che “la richiesta di iscrizione nell’elenco speciale può essere sottoposta alla Società nel corso dei primi tre mesi dell’anno solare”. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 61 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO sarà considerato parte del libro soci28: è il nuovo art. 143 quater dello stesso, poi, a dare indicazioni più specifiche sul suo contenuto29. E’ di nuovo la normativa, evidentemente più dettagliata di quella introdotta nel Codice Civile per le azioni a voto plurimo, a regolare i meccanismi di funzionamento delle assemblee alla luce dell’introduzione del voto maggiorato: l’ultimo comma dell’art. 127 quinquies, TUF, stabilisce infatti che “se lo statuto non dispone diversamente, la maggiorazione del diritto di voto si computa anche per la determinazione dei quorum costitutivi e deliberativi che fanno riferimento ad aliquote del capitale sociale. La maggiorazione non ha effetto sui diritti, diversi dal voto, spettanti in forza del possesso di determinate aliquote di capitale.”. In questo caso, dunque, è chiarito dalla stessa norma che i quorum vanno calcolati non più in ragione della quota di capitale sociale posseduta dall’azionista, ma in dipendenza del numero di voti che allo stesso sono attribuiti. Quanto ai diritti diversi dal voto attribuiti all’azionista (come la convocazione dell’assemblea, l’esercizio di azione di responsabilità o l’impugnazione della delibera), si raggiunge la stessa conclusione già 28 Si fa notare che, nella sola proposta di modifica dello statuto della società quotata Campari, si dice che “è istituito, presso la sede della Società, l’elenco speciale per la legittimazione al beneficio del voto doppio. Esso non costituisce parte del Libro Soci.”. Va, altresì, rilevato, però, che tale avviso di convocazione è stato inviato in data 19.12.2014, ovvero prima della pubblicazione del Regolamento Consob; e che nella relazione allegata il presidente del Consiglio di Amministrazione puntualizza che “ci si riserva comunque la facoltà di apportare (…) eventuali modifiche e/o integrazioni che dovessero rendersi necessarie o opportune a seguito della definitiva approvazione delle modifiche regolamentari”. Non pare dunque da escludersi che, se approvata, tale disposizione verrà emendata in conformità all’orientamento dominante espresso dalla Consob. 29 L’art. 143 quater prevede, infatti, che “l’elenco previsto dall’art. 127 quinquies, comma 2, del Testo unico, contiene almeno le seguenti informazioni: a) i dati identificativi degli azionisti che hanno richiesto l’iscrizione; b) il numero delle azioni per le quali è stata richiesta l’iscrizione con indicazione dei trasferimenti e dei vincoli ad esse relativi; c) la data di iscrizione.” e che “In apposita sezione dell’elenco sono altresì indicati: a) i dati identificativi degli azionisti che hanno conseguito la maggiorazione del diritto di voto; b) il numero delle azioni con diritto di voto maggiorato, con indicazione dei trasferimenti e dei vincoli ad esse relativi, nonché degli atti di rinuncia; c) la data di conseguimento della maggiorazione del voto.”. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 62 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO raggiunta, pur in mancanza di espressa previsione, per le società chiuse che decidano di dotarsi di azioni a voto plurimo30. 7. Azioni a voto maggiorato e ricadute esosocietarie: circolazione e perdita del beneficio. Quanto, infine, al tema della circolazione delle azioni, il primo punto da chiarire è che quelle a voto maggiorato, non costituendo, ai sensi del comma 5 dell’art. 127 quinquies, TUF, una categoria speciale di azioni (come regolata dall’art. 2348 c.c.), non mantengono il privilegio del voto doppio a fronte di trasferimento. La ratio, del resto, è chiara: la maggiorazione del voto in questo caso non è una caratteristica intrinseca e genetica del titolo (come nel caso delle azioni a voto plurimo), ma un privilegio attribuito allo stesso in presenza di determinate caratteristiche del soggetto che lo detiene (ovvero, il fatto di essere azionista di lungo periodo). E’ lo stesso comma 3 del medesimo articolo, infatti, a specificare che “la cessione dell'azione a titolo oneroso o gratuito, ovvero la cessione diretta o indiretta di partecipazioni di controllo in società o enti che detengono azioni a voto maggiorato in misura superiore alla soglia prevista dall'articolo 120, comma 2, comporta la perdita della maggiorazione del voto”. Quello della cessione, come appena illustrata, tuttavia, non è l’unico caso in cui il beneficio della maggiorazione può venir meno: il documento che riporta gli esiti della consultazione svolta ai fini dell’emanazione del Regolamento Consob, così come tutte le proposte di modifica agli statuti di quotate che si sono analizzati nel corso della trattazione, specificano che al voto doppio si può anche rinunciare31. 30 A tali esplicite regole sul calcolo dei quorum si adeguano, infatti, tutti e tre le proposte di modifica degli statuti di Amplifon, Astaldi e Campari che in queste pagine si sono analizzate. 31 Secondo il contributo dei Professori Piergaetano Marchetti e Chiara Mosca, “la rinuncia, in tutto o in parte, alla maggiorazione deve essere prevista nello statuto ed è sempre irrevocabile. Tale rinuncia sarebbe da intendersi come definitiva decadenza dalla maggiorazione, a meno di soddisfare in un secondo periodo il requisito dell’appartenenza ininterrotta”. A questa linea teorica si conforma la proposta di modifica allo statuto di Astaldi, che prevede che “l’azionista cui spetta il diritto di voto maggiorato può rinunciarvi, per tutte o solo alcune delle sue azioni; alla rinuncia consegue automaticamente la cancellazione dall’Elenco delle azioni per le quali il diritto di voto maggiorato è stato rinunciato. Resta fermo il diritto del medesimo azionista di richiedere nuovamente l’iscrizione nell’Elenco al fine di far decorrere un nuovo periodo continuativo per le azioni per le quali il diritto di voto maggiorato è stato rinunciato.”. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 63 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO La perdita del beneficio del voto maggiorato comporta il sorgere di un problema speculare a quello già evidenziato in sede di analisi del momento di effettiva attribuzione (e conseguente possibilità di esercizio) del voto doppio: ci si chiede, in altre parole, da che momento l’azione cui erano collegati due voti, torni ad essere azione ordinaria. Tale problema risulta di non poca importanza nelle società quotate, poiché è noto che l’art. 83 sexies del TUF prevede che la legittimazione all’intervento e al voto in assemblea sia subordinata all’invio di una attestazione trasmessa dall’intermediario all’emittente del titolo quotato: tra la data di tale comunicazione (c.d. data di registrazione o record date) e la data effettiva dell’assemblea intercorre un periodo di tempo nel quale, seppur esiguo, la titolarità delle azioni può cambiare, dando così luogo al fenomeno del c.d. empty voting, ovvero l’intervento in assemblea da parte di chi non è più detentore del titolo che lo legittima a farlo (in quanto la cessione è avvenuta, appunto, medio tempore, ovvero in un momento successivo alla record date, ma precedente alla riunione). Nel caso di cessione di azioni con voto maggiorato in questo breve lasso di tempo, dunque, il fenomeno dell’empty voting risulterebbe altrettanto maggiorato. Il prosieguo della disposizione contenuta nell’art. 127 quinquies, comma 3, specifica, poi, quali sono i casi eccezionali in cui la maggiorazione del voto si mantiene, sempre salva la libertà dello statuto di disporre diversamente: la stessa è, dunque, conservata in caso di successione per causa di morte nonché in caso di fusione o di scissione della società titolare delle azioni oppure nell’eventualità di azioni di nuova emissione in sede di aumento di capitale ai sensi dell'art. 2442 c.c. (aumento a titolo gratuito)32. Oltre a 32 Le fattispecie citate sono quelle previste dal testo della norma. Tuttavia, come previsto, l’autonomia statutaria può estendere o precisare la casistica delle ipotesi in cui il voto maggiorato non si perde. La modifica allo statuto di Amplifon propone che “il diritto di voto maggiorato: (i) sia conservato in caso di successione per causa di morte e in caso di fusione o scissione del titolare delle azioni; (ii) si estenda alle azioni di nuova emissione in caso di aumento di capitale ai sensi dell’art. 2442 del codice civile; (iii) possa spettare anche alle azioni assegnate in cambio di quelle cui è attribuito il voto maggiorato, in caso di fusione o di scissione, qualora ciò sia previsto dal relativo progetto; (iv) si estenda proporzionalmente alle azioni emesse in esecuzione di un aumento di capitale mediante nuovi conferimenti.”. La proposta di modifica allo statuto di Astaldi, poi, prevede le stesse fattispecie di conservazione del beneficio della maggiorazione. Più dettagliato è, forse, il potenziale nuovo articolato dello statuto di Campari, che aggiunge le fattispecie del trasferimento a titolo gratuito in forza di un patto di famiglia, o a favore di un ente di cui lo stesso trasferente o i di lui eredi siano beneficiari e specifica che, in caso di fusione o scissione, il diritto al voto maggiorato è IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 64 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO queste fattispecie, occorre fare un cenno anche alle ipotesi di costituzione di pegno o usufrutto o della sottoposizione a sequestro delle azioni: nel primo caso, la costituzione di pegno pare potersi ritenere equivalente ad una cessione solo qualora sia unita ad un riconoscimento del diritto di voto in capo al creditore pignoratizio; nel caso dell’usufrutto, ancora, la maggiorazione del voto non è persa qualora il diritto di voto rimanga in capo all’azionista, di lungo periodo; quanto al sequestro, infine, non pare che di per sé solo sia un provvedimento idoneo ad interrompere il termine biennale imposto ai fini della maggiorazione del diritto di voto33. In chiusura, pare tuttavia opportuno rilevare che, senza addentrarsi in scenari di complicate operazioni societarie, si potrebbe immaginare la possibilità di aggirare tale imperativa perdita del privilegio in seguito alla cessione, mediante scissione del pacchetto di azioni a voto maggiorato, insieme a qualche altra azione ordinaria o di altra categoria, e di successiva fusione con altra entità societaria: in questo modo, nella “nuova società” entrerebbero azioni già dotate di voto multiplo. 8. Conclusione. Dopo una più ampia analisi delle ricadute giuridiche, pare opportuna una generale considerazione delle conseguenze più materiali della novella, che si riverberano soprattutto sullo scenario economico. In generale, quasi banale sembra la considerazione della inevitabile diminuzione del valore delle azioni ordinarie a fronte della emissione di azioni dotate di voto multiplo (plurimo o maggiorato che sia): le prime, infatti, subirebbero un indiretto danno, dato dalla diluizione del loro potere di influenzare la gestione della società tramite il voto, a fronte del quale, per giunta, non verrebbe attribuita loro nessuna contropartita34; dico indiretto, perché questo non è arrecato tramite la diretta limitazione mantenuto qualora queste operazioni straordinarie non determinino, di fatto, un cambio di controllo. 33 Così gli interlocutori della Consob, i cui pareri sono raccolti nel documento sugli esiti della consultazione avviata sul mercato al fine dell’approvazione del Regolamento. 34 Se si pensa alla nota categoria delle azioni di risparmio, infatti, a fronte della privazione del diritto di voto sono attribuiti privilegi in sede di distribuzione degli utili e di rimborso della quota attribuita in seguito a liquidazione. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 65 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO od esclusione del diritto di voto delle azioni ordinarie, ma tramite il potenziamento del voto di azioni di altra categoria35. Quanto alle società non quotate, di poco conto (e probabilità) pare il caso di emissione di una tale categoria di azioni in società chiuse che tali vogliono rimanere: chi ha il controllo della società (e il possesso delle maggioranze necessarie all’introduzione di tale modifica), non avrà necessità di utilizzare tale strumento per garantirsi la stabilità del controllo, che si manterrà senza problemi anche in caso di trasferimento inter vivos o mortis causa della partecipazione. Più senso, anche considerata la struttura prevalentemente familiare o comunque ristretta che connota l’imprenditoria italiana, ha vedere tale novella come misura volta ad invogliare e favorire la quotazione (e così il reperimento di capitali) delle società chiuse, senza che i soci fondatori perdano il controllo effettivo. Chiaro è che, anche in questo caso, il valore delle azioni ordinarie immesse sul mercato risentirà della presenza di tale altra categoria di azioni dotate di un privilegio riguardante il diritto di voto, ma è il “prezzo” che i soci di maggioranza, che decidano di quotare la loro società, scelgono di pagare a fronte della “garanzia” del mantenimento del controllo. Anche per quanto riguarda le società già quotate in mercati regolamentati, la maggiorazione del voto nasce comunque come misura volta a favorire la stabilità dei pacchetti di controllo. Le ricadute positive di tale solidità, di primo acchito, posso parere notevoli: in primo luogo, gli azionisti che hanno una partecipazione rilevante e duratura nella società hanno più possibilità ed interesse ad un puntuale monitoraggio del management, anche a tutela degli interessi degli altri azionisti, la cui partecipazione è tanto esigua da non permettere poteri di sorta; parallelamente, questa continuità permetterà loro di influenzare l’indirizzo della società su di una linea più o meno costante, favorendo, fra l’altro, anche la formazione dei prezzi nei listini; infine, la stabilità del pacchetto di controllo limita o, addirittura, impedisce, la possibilità di scalate ostili o che il controllo delle società nazionali cada nelle mani di abbienti investitori esteri. Accantonata la domanda, quasi più teorica, se la granitica stabilità del controllo sia sempre un elemento positivo, o se, invece, un ricambio ai vertici di società così capillarmente diffuse sul mercato non sia un bene (quantomeno per il fatto che potrebbe 35 Il che, peraltro, come dimostrato nello svolgimento del lavoro in sede di discussione delle percentuali oggi necessarie al controllo di una società chiusa, porta nella pratica al medesimo risultato. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 66 STUDI E OPINIONI AZIONI A VOTO PLURIMO impedire abusi della maggioranza al fine di favorire i suoi propri interessi, invece che quelli della società), sembra più utile, in questa sede, interrogarsi sulle conseguenze che la adozione di tale tipologia di azioni potrebbe dispiegare nella pratica. Oltre a quelle positive, già viste, pare opportuno, infatti, vagliare attentamente anche le possibili ricadute negative. Anzitutto, la vendita di una parte del proprio pacchetto azionario sul mercato per reperire capitale, a fronte della maggiorazione del voto delle rimanenti azioni (che permette comunque il mantenimento del controllo), si rivela essere una strategia più efficiente nel breve che nel lungo periodo: vero è che, nell’immediato, si otterrà liquidità, ma bisogna considerare anche che la vendita di parte delle azioni significa rinunciare ai dividendi che dalle stesse sarebbero derivati nel lungo periodo. In secondo luogo, forse, varrebbe la pena, prima di procedere all’introduzione di tale nuova tipologia di azioni, di sondare gli umori del mercato a riguardo, e specie quelli degli investitori esteri che detengono pacchetti azionari rilevanti delle nostre società quotate: tale operazione sarebbe opportuna quantomeno al fine di evitare pesanti disinvestimenti e immediata vendita dei suddetti pacchetti, che influenzerebbero in maniera fortemente negativa il valore ed il mercato dei nostri titoli. IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 2/2015 67