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Voto palese, voto segreto e forma di governo in trasformazione

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Voto palese, voto segreto e forma di governo in trasformazione
Voto palese, voto segreto
e forma di governo in trasformazione
Salvatore Curreri - Carlo Fusaro
SOMMARIO: 1. La prevalenza del voto segreto e la forma di governo fino alla transizione. – 2. Il voto segreto fino alla riforma regolamentare del 1988… – 3. Segue… – 4. Il ridimensionamento del voto segreto a vent’anni dalla riforma:
l’esperienza più recente. – 5. L’area di applicazione del voto segreto: una questione superata. – 6. Le principali questioni applicative. – 7. La prevalenza del
voto palese e la forma di governo nella transizione e oltre.
1.
La prevalenza del voto segreto e la forma di governo fino alla
transizione.
Sono passati poco meno di vent’anni da quando, a conclusione
di una dura battaglia parlamentare, a distanza di poche settimane
l’uno dall’altro, i regolamenti delle due Camere del Parlamento italiano furono incisivamente modificati negli articoli riguardanti i
modi di votazione così da restringere drasticamente l’applicazione
del voto segreto e da escluderlo nel caso di deliberazioni aventi conseguenze finanziarie1.
Gli Autori, in segno di amicizia e di stima, desiderano dedicare questo lavoro ad Armando Mannino che è stato loro vicino, in tempi diversi, agli inizi della vita accademica.
Ricordano altresì il comune Maestro di diritto parlamentare, Silvano Tosi, del quale è appena trascorso il ventennale della scomparsa (1987-2007). Il saggio è frutto di uno sforzo
comune, ma la stesura dei paragrafi 1, 2, 3 e 7 si deve a Carlo Fusaro; quella dei paragrafi
4, 5 e 6 a Salvatore Curreri.
1 L’art. 49 RC fu modificato il 13 ottobre 1988; l’art. 113 RS fu modificato il 24 e
30 novembre 1988. Si trattò di interventi coordinati, figli di una medesima strategia politico-istituzionale, quella delle forze politiche del c.d. pentapartito (Dc, Psi, Psdi, Pri,
Pli) e del finale «lodo Spadolini» (dal nome dello statista fiorentino repubblicano, allora
presidente del Senato), che portò a una più marcata differenziazione fra le soluzioni
– per il resto assai simili, eppur diverse – adottate nei due rami del Parlamento: in particolare, con la previsione secondo la quale il voto segreto avrebbe ancora potuto essere
richiesto (prevalendo sullo scrutinio palese) per le leggi elettorali (una parziale polizza
di assicurazione contro temuti interventi legislativi, considerati, in particolare ma non
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IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
Come conferma questo articolo si tratta di innovazioni ormai
largamente sedimentate nel diritto parlamentare quale si presenta nel
passaggio fra la breve XV legislatura e la successiva: chi volesse percorrere a ritroso la successione dei contributi dedicati nel tempo
dalla dottrina e anche dagli editorialisti della stampa politica al tema
del voto segreto in Parlamento, rileverebbe agevolmente che dopo
un evidente picco di attenzione durato circa un decennio (diciamo
dai primi anni Ottanta ai primi anni Novanta del secolo scorso), attenzione attestata dalla quantità e dalla qualità degli interventi, questi si sono andati rarefacendo in ambito scientifico, dando luogo ad
alcune riflessioni più approfondite, di medio periodo, mentre sono
del tutto scomparsi in ambito giornalistico2. Il tema, insomma, sembra «superato». In certo senso, per fortuna, lo è davvero, anche se,
come vedremo, spazio vi sarebbe in teoria per portare a compimento
il processo di riforma avviato 25 anni fa, e proprio nel torno di
tempo in cui questo saggio viene scritto, sembrano profilarsi le condizioni politiche perché ciò divenga anche un’ipotesi concreta, nel
quadro di una revisione regolamentare più ampia. Su questo torneremo alla fine.
Ciò che val la pena rilevare è che se si riflette sulle trasformazioni del sistema politico-istituzionale che si sono succedute a partire
da quando il tema delle riforme istituzionali entrò a far parte dell’asolo dall’opposizione dell’epoca, eversivi rispetto al sistema elettorale proporzionale allora vigente). Su questa vicenda v. G. MOSCHELLA, La riforma del voto segreto, Torino,
Giappichelli, 1992; L. BIANCHI, La riforma dei sistemi di votazione delle Camere alla
prova: il caso della legge 6 agosto 1990, n. 223, in Pol. dir., anno XXV, 151-178. A distanza di alcuni anni, in prospettiva più ampia, v. S. CURRERI, Il voto segreto nei rapporti
tra maggioranza e opposizione, in S. LABRIOLA (a cura di), Il parlamento repubblicano
(1948-1988), Milano, Giuffrè, 1999, 129-160.
2 Forse il primo saggio in materia era stato G. CONTINI, In tema di voto palese e segreto nelle assemblee legislative parlamentari e regionali, in Giur. it., fasc. 1, parte IV,
1976; poi V. DI CIOLO, Costituente e Costituzione: voto palese e voto segreto, in Civitas,
fasc. 2-3, 1978; F. LANCHESTER, L’incidenza dei sistemi e dei modi di votazione nelle assemblee parlamentari, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 4, 1980; A. PALANZA, La questione del
voto segreto, in Dem. dir., n. 6, 1982; L. ELIA, A proposito di «ridimensionamento» del
voto segreto, in Scritti in onore di E. Tosato, Milano, Giuffrè, 1984; B. PEZZINI, La questione del voto segreto in parlamento, in Dir. soc., n. 1, 1985; A. CASU, Voto segreto e voto
palese nei regolamenti parlamentari dal 1848 ai giorni nostri, in Riv. trim. dir. pubbl., n.
2, 1986; F. SPARISCI, Il voto segreto dalla Costituente ai problemi di oggi, in Boll. inf. cost.
e parlam., n. 3, 1987, 79-99.
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genda politica del nostro paese, poche singole innovazioni hanno
avuto tanta influenza e tanto successo quanto il complesso di modificazioni che hanno radicalmente cambiato i regolamenti parlamentari del 1971 e, prima di tutto, il drastico ridimensionamento del
voto segreto. Ci sarebbe davvero da chiedersi quali ancor più ardue
prove la democrazia italiana avrebbe dovuto affrontare negli anni
della transizione se questa piccola grande riforma non fosse stata
fatta: la domanda è naturalmente retorica, nel senso che per un verso
essa ha in sé stessa la risposta, per un altro si potrebbe agevolmente
argomentare che – non fosse stata fatta nel 1988 – la riforma del
modo di votare da parte dei parlamentari si sarebbe comunque imposta a furor di popolo e di primarie emergenze sistemiche negli
anni successivi.
L’analisi dello stato dell’arte della questione voto palese – voto
segreto condotta in questo articolo vuol essere funzionale rispetto ad
alcune pur sintetiche riflessioni su come essa si inquadri nel più ampio contesto dei tentativi di rendere la forma di governo italiana meglio in grado di servire gli interessi di una comunità nazionale da un
lato demograficamente invecchiata dall’altro costretta (suo malgrado,
sembrerebbe, a volte) a misurarsi con sfide esterne (quella dell’Europa economicamente unificata prima, quella della globalizzazione
planetaria oggi) che richiederebbero al tempo stesso ben altra dinamicità sistemica e ben altra capacità decisionale politica.
Si tratta, dunque, di vedere i modi di votazione in Parlamento
prima rispetto alla forma di governo italiana qual’era fino alla transizione degli anni Novanta, successivamente rispetto alla forma di governo quale appare oggi e nelle immediate prospettive.
2.
Il voto segreto fino alla riforma regolamentare del 1988…
L’obbligo di voto finale a scrutinio o a squittinio segreto, e più
in generale la prevalenza della richiesta di voto segreto rispetto alle
altre ha fatto saldamente parte del diritto costituzionale e parlamentare dell’Italia statutaria.
In particolare la votazione finale segreta era prevista dall’art. 63
dello Statuto, benché di essa non vi fosse traccia nelle altre Carte
fondamentali europee, e segnatamente in quelle francesi del 4 giugno
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1814 e del 9 agosto 1830 e in quella belga del 7 febbraio 1831, alle
quali pur lo Statuto si era principalmente ispirato ed ugualmente
fondate sui principi della rappresentanza nazionale e del divieto di
vincolo di mandato. Il che dimostra come sin da principio la preferenza per lo «squittinio segreto» trova fondamento non solo e non
tanto nella difesa della libera rappresentanza parlamentare dal potere esecutivo – egualmente avvertita in altre carte, ottriate e no, ma
non per questo tutelata mediante il voto segreto – quanto piuttosto
nella connotazione atomistica del nostro sistema parlamentare, di cui
favoriva, di conseguenza, l’evoluzione in senso assemblearista e trasformista. In questo senso si può dire che il voto segreto ha costituito
una tara originaria della nostra forma di governo.
Questo, pertanto, non poté non prevedere, quando ancora si
parlava di Parlamento Subalpino, il primo Regolamento della Camera, approvato l’8 maggio 1848: era un testo considerato provvisorio, anche perché, dati i tempi ristretti, predisposto dal Governo presieduto da Cesare Balbo e modellato – com’era scontato – sul regolamento della Chambre dés Députes francese del 1839. All’art. 29 si
prevedeva che «salvo il voto sulla legge intiera, il quale si fa sempre
coll’appello nominale ed a scrutinio segreto, la Camera esprime la sua
opinione per seduta e levata, a meno che dieci membri non dimandino
l’appello nominale e ad alta voce, o lo scrutinio segreto». Tale disposizione sarebbe durata – in pratica – oltre 140 anni.
Il successivo Regolamento del 1863, sempre provvisorio, confermò il medesimo testo (l’articolo era diventato il 31); nel 1868,
quando un nuovo Regolamento provvisorio fu approvato, le modalità di votazione (ora disciplinate dall’art. 39), ebbero l’unica modificazione significativa: fu aumentato da dieci a venti il numero di deputati necessario per chiedere il voto segreto3. Infine, con la revisione del 17 aprile 1888 e il successivo testo coordinato dell’autunno
1888, le votazioni furono disciplinate dal nuovo art. 91, che confermava la sostanza del testo di venti anni prima e chiariva col suo
comma 6 che «nel concorso di più domande, quella dello scrutinio
3 Il
Regolamento approvato il 24 novembre 1868 all’art. 39 così recitava: «Il voto
finale sulle proposte di legge si dà a squittinio segreto; gli altri voti si danno per alzata e
seduta, tranne il caso che dieci deputati chiedano la divisione, o quindici il voto espresso,
o venti lo squittinio segreto».
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segreto prevale su tutte le altre…»4. La formulazione dell’art. 91
avrebbe superato tutte le principali revisioni regolamentari successive5 e, con la parentesi del Regolamento della Camera dei fasci e
delle corporazioni, sarebbe sostanzialmente approdata, attraverso
l’art. 52 del Regolamento della Consulta nazionale, attraverso l’Assemblea costituente che mutuò il Regolamento quale era stato in vigore fino alla vigilia della marcia su Roma (1922), attraverso l’art. 90
del Regolamento della Camera repubblicana che pure aveva mutuato
il Regolamento della Camera pre-fascista6, negli artt. 49 e seguenti
del capo X del Regolamento della Camera del 1971: in particolare
era l’art. 51 a riprendere la formulazione del 1888. Le novità si riducevano all’aumento da venti a trenta del numero di deputati richiesto, alla previsione che la richiesta potesse essere avanzata anche da
uno o più presidenti di Gruppi la cui consistenza numerica fosse appunto di almeno trenta deputati, alla previsione secondo la quale –
diversamente da quanto prevedeva l’art. 49.3 – «normalmente» la
votazione per scrutinio segreto avesse luogo mediante procedimento
elettronico.
Quanto al Senato, divenuto seconda camera dotata delle stesse
attribuzioni della Camera dei deputati e di rappresentatività analoga,
per quanto eletta da un corpo elettorale meno esteso, approvò un
proprio regolamento originale, ma comunque ispirato al modello
della camera pre-fascista. Va considerato, però, che nella tornata del
4 Secondo
Tosi, che richiama il Brunialti, la prevalenza del voto segreto sarebbe
stata voluta da Ruggero Bonghi in funzione anti-ostruzionistica, in particolare ad evitare
la più lenta modalità per appello nominale con chiama e registrazione di come ogni deputato avesse votato: il voto segreto, infatti, consentiva di continuare la discussione, lasciando nel frattempo aperte le urne dove andavano depositate le palline. Cfr. S. TOSI,
Diritto parlamentare, Milano, Giuffrè, 1974, 232.
5 Ci riferiamo a quelle antiostruzionismo del 3 aprile 1900, mai applicate; a quelle
dell’1 luglio 1900 (art. 97); a quelle del 31 ottobre 1925 (art. 86); a quelle dell’1 maggio
1929 (art. 77).
6 Anche la prima Camera dei deputati decise di adottare il testo del 1920-22; poi,
con delibera del 27 aprile 1949, la Camera affidò alla Giunta del Regolamento, presieduta da Giovanni Gronchi, il compito di adeguarlo al nuovo procedimento legislativo
(con soppressione, perciò, dei procedimenti detti delle tre letture e degli uffici), nonché
al testo della Costituzione. Il testo venne presentato il 24 ottobre 1949. Alla vigilia dell’approvazione del Regolamento del 1971, l’articolo sui modi di votazione era diventato
l’art. 93.
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1° luglio 1910 del Senato del Regno erano state già introdotte importanti modifiche che erano valse a differenziare la disciplina del
voto nei due rami del Parlamento statutario: fu, infatti, stabilito che
nel caso di richieste concorrenti, il voto per appello nominale prevalesse sul voto per divisione o a scrutinio segreto (articolo 56 RS), accogliendosi così in parte quelle voci isolate che si erano levate a favore del voto palese, stimato «atto che innalza, che onora, ed un dovere per coloro che deliberano e giudicano intorno alla cosa
pubblica, siano in ufficio per voto di popolo o per volontà o scelta di
principe»7. Nonostante quindi la loro natura non elettiva – o forse
proprio in ragione di essa – i senatori avvertirono più dei deputati il
dovere di rendere conto del proprio operato davanti al Paese8, recependo per primi quel processo di trasformazione politica che da lì a
poco avrebbe trovato la sua naturale evoluzione nell’introduzione
del suffragio universale maschile (1912), del sistema proporzionale
(1919) e nella nascita dei partiti politici di massa.
Nel regolamento del 1948 la disciplina della votazione si ritrovava negli artt. 76 e seguenti: il primo riproponeva sostanzialmente il
modello Camera del 1888, incluso il numero di senatori la cui richiesta era necessaria (venti). Anche nel caso del Senato, il Regolamento
del 1971 non cambiava sul punto che interessa, pur prevedendosi anche in questa camera il ricorso, per il voto segreto, al procedimento
elettronico (art. 117 RS).
Quest’ultima notazione non è marginale. Infatti, ad eccezione
del voto finale che in epoca statutaria era, come abbiamo detto, obbligatorio, il ricorso al voto segreto era caduto praticamente in desuetudine fino al momento in cui, nello stupore generale, esso fu
richiesto in Assemblea costituente a scopo sostanzialmente ostruzionistico: dovendosi allora votare col sistema della chiama e della
deposizione delle palline (o pallottole o palle) bianche e nere, fre7 Dalla
relazione del sen. Manfrin cit. da M. MANCINI, U. GALEOTTI, Norme ed usi
del Parlamento italiano, Roma, 1887, 291.
8 «Se il Senato non ha responsabilità davanti agli elettori, l’ha intera e continua
davanti al Paese, ed il voto per appello nominale serve spesse volte a contrapporre la
qualità dei vinti contro il numero dei vincitori e dà luogo ad esprimere a ciascuno, che
sente il proprio decoro, quelle virtuali incompatibilità, che non derivano dalla legge ma
dal costume» (dalla relazione del sen. Manfrin cit. da V. MICELI, Principii di diritto costituzionale, II ed., Milano, 1913, 776 nt. 1).
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quenti richieste di voto segreto erano destinate a rallentare il procedimento. Il ricorso alla forma elettronica avrebbe eliminato questo
problema (indirettamente favorendo la moltiplicazione delle votazioni segrete).
D’altra parte, la questione se mantenere in Costituzione l’obbligo di votazione segreta finale, già previsto dall’art. 63 St. Al. si
pose in Assemblea costituente: ma la proposta di introdurre anche
nella carta repubblicana quella disposizione fu messa ai voti senza risultare approvata. Ciò, anche alla luce di ciò che diremo, non può
sorprendere dato che 100 anni non erano passati invano, e la Costituente era un’assemblea saldamente organizzata in gruppi parlamentari corrispondenti alle forze politiche che si erano affermate in Italia
nella Resistenza prima e dopo l’8 settembre in forma pubblica mano
a mano che il territorio nazionale veniva liberato dagli Alleati. Prevalse così l’opinione che la scelta sulle modalità di votazione dovesse
essere rimessa ai regolamenti parlamentari.
Piuttosto il costituente, attenendosi alla distinzione tra deliberazioni ed elezioni, preferì dettare una disciplina espressa solo per
quelle materie – come quella fiduciaria per la quale l’articolo 94
Cost. prescrive il voto per appello nominale9 – riguardo alle quali
giudicò gli obblighi di trasparenza e di responsabilità del parlamentare nei confronti del gruppo e del partito politico di appartenenza
nonché, loro tramite, verso il corpo elettorale e l’opinione pubblica
in generale, o – al contrario – le esigenze di segretezza a tutela della
libertà di volizione dell’elettore, cittadino (articolo 48 Cost.) o parlamentare che fosse, in tal caso correlate alla garanzia di imparzialità
dell’eletto, senza alcun vincolo di responsabilità10 a tal punto prevalenti da non consentire disciplina diversa.
In conclusione, i costituenti mostrarono di non far proprio il
pregiudizio costituzionale, si può ben dire, a favore della modalità di
votazione segreta, vecchio quanto e più dello stesso ordinamento
unitario. In realtà, come molti istituti affermatisi in un contesto radi9 Cfr. per tutti M. GALIZIA, Fiducia parlamentare, in Enc. dir., XVII, Milano, 1968,
413 e Lineamenti generali del rapporto di fiducia fra Parlamento e Governo, Milano,
1959, ripubblicato in Studi sui rapporti tra Parlamento e Governo, Milano, 1972, 463.
10 Elezione del presidente della Repubblica (art. 83 Cost.); elezione dei giudici costituzionali (art. 3 l. cost. 22 novembre 1967, n. 2) e dei membri del Consiglio superiore
della magistratura (artt. 104 Cost. e 22, l. 24 marzo 1958, n. 195).
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calmente diverso, proprio la vicenda italiana dimostra che anche il
voto segreto ha assunto nel tempo un ruolo e una funzione che ben
poco o nulla hanno a che vedere con le ragioni che ne avevano giustificato l’introduzione. Che il modello costituzionale statutario fosse
in origine quello della monarchia costituzionale è assolutamente pacifico: come è pacifico che il secolo XIX fu in tutta Europa il secolo
dell’affermazione progressiva e non incontrastata delle assemblee
rappresentative. Esse, fino al suffragio universale, furono la sede
dove si esprimevano, non solo ma prima di tutto, gli interessi della
borghesia come classe sociale guida che affermava sé stessa contendendo con crescente e inesorabile successo alle monarchie ereditarie
la conduzione degli affari collettivi. Fu una contesa aspra e non
breve: all’inizio della quale la tendenzialmente rigida separazione dei
poteri e la tutela rigorosa delle prerogative dei rappresentanti della
nazione in assemblea furono strumenti considerati indispensabili ai
fini di quel braccio di ferro, così come il rifiuto di qualsiasi mandato
imperativo espressione storica di una società organicisticamente divisa in classi e «stati». È questo il quadro generale nel quale va collocata la scelta piemontese di garantire che – nella votazione finale e
dunque decisiva sulle leggi da approvare, e ogni volta che se ne fosse
avvertita la necessità – i singoli deputati potessero votare in segreto:
un segreto che valeva agli inizi a proteggerli dalle ipotetiche angherie
di un potere esecutivo che era ancora il governo del re e che valse
successivamente per molto tempo nei confronti di esecutivi via via
sempre meno legati alla casa regnante e sempre più bisognosi del sostegno dell’assemblea rappresentativa, ma anche in grado a lungo di
condizionare se non spesso anche «costruire» l’elezione dei singoli
parlamentari attraverso la longa manus dei propri prefetti. In Italia
(come e ancor più che in Francia, a causa della strutturale debolezza
di governi ancora non saldamente collegati alle assemblee da un sistema di partiti politici che tardava ad affermarsi e consolidarsi) fino
ben dentro il Novecento, e massicciamente fino al suffragio universale, i governi considerarono loro diritto e dovere «gestire» le elezioni in modo da assicurare il controllo del circuito governo-Parlamento agli esponenti di quei ceti sociali modernizzatori che in
alleanza con la monarchia si trovarono a combattere contemporaneamente insorgenze rivoluzionarie e brigantaggio, l’alleanza fra
plebe incolta e nobiltà filo borbonica, le resistenze di gran parte del
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mondo cattolico al seguito di una Chiesa contro la quale si era fatta
l’unità d’Italia, e, avvicinandosi il nuovo secolo, le masse proletarie
che il socialismo andava finalmente organizzando. Per fronteggiare a
un tempo rivoluzionari e retrivi, il sostegno ai candidati governativi
(i «costituzionali») fu considerato nient’altro che un diritto e un dovere.
Per far breve una storia lunga, tutto muta col Novecento, il secolo dell’organizzazione dei cittadini in partiti di massa secondo il
modello socialdemocratico, del suffragio universale, del progressivo
rafforzamento degli esecutivi nel tentativo di dare risposta alle esigenze che l’irruzione nella rappresentanza dei nuovi ceti imponevano
di affrontare. Già nella seconda metà dell’Ottocento nel Regno
Unito, ma poi via via dappertutto, cambia la forma di governo, cambiano i rapporti fra esecutivo e assemblee rappresentative, cambia la
natura e il ruolo dei partiti, cambia anche il rapporto fra cittadini
(corpo elettorale) – assemblee – governi, mediato dai partiti. Di qui
tutto quello che sappiamo, a partire dal modo stesso di essere, di
funzionare, di interpretare il proprio ruolo da parte di assemblee che
non sono più accolite di notabili in relazione più o meno diretta con
gli interessi da una parte e il governo di sua maestà dall’altra, ma la
sede nella quale si agisce organizzati in gruppi che corrispondono
più o meno direttamente ai partiti politici presenti nella società.
Ciò concorre a spiegare perché il ricorso al voto segreto era caduto in desuetudine già nell’Italia statutaria. Esso conosce, poi, una
nuova stagione nell’Italia repubblicana dove, come si è visto, era approdato per ragioni di continuità nella tradizione, per il tramite dei
regolamenti parlamentari, nella sicura buona fede che non se ne sarebbe fatto un utilizzo distorto, anzi probabilmente senza neppure
immaginarne la possibilità. Eredità del costituzionalismo dei tempi
della monarchia costituzionale, usbergo contro rischi divenuti sempre più improbabili, sostanzialmente superato nei fatti e nella prassi,
in una lunga prima fase della vita costituzionale repubblicana, la possibilità di ricorso – con prevalenza su ogni altra modalità – del voto
segreto in entrambe le Camere, non costituì un elemento in grado di
incidere sulle dinamiche della forma di governo. Neppure si può veramente dire che esso avesse mantenuto una funzione simile a quella
originaria, sia pure a minaccia mutata: secondo la tesi in base alla
quale, in presunta coerenza con il rifiuto di riconoscimento di qual-
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IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
siasi vincolo di mandato (art. 67 Cost.), il parlamentare dovrebbe essere protetto non più dalle eventuali angherie del governo del re ma
da quelle del partito politico, il moderno principe (successivamente
alquanto decaduto).
Infatti, fermo quanto nei regolamenti vi è sempre stato e presumibilmente sempre rimarrà (l’obbligo di scrutinio segreto per le votazioni che riguardano persone e le votazioni mediante schede), ciò
che i regolamenti hanno sempre prevista è stata la facoltà di chiedere
lo scrutinio segreto: rimessa a un numero minimo di parlamentari sin
dal 1848 e mai meno di trenta alla Camera e venti al Senato in epoca
repubblicana. Per cui o il voto segreto poteva essere richiesto da
tanti capigruppo quanti rappresentassero almeno trenta deputati (ma
allora non si vede come potesse essere giustificato allo scopo di
garantire la libertà di coscienza individuale dei propri componenti)
oppure doveva (e deve) essere richiesto da trenta singoli deputati a
tutela della propria individuale libertà di votare in incognito: circostanza che non si può escludere, ma che certo non può che immaginarsi assai rara.
E infatti, se ci si rifà ai dati delle votazioni segrete in rapporto
alle sedute (non in rapporto alle votazioni effettuate), si vede che
fino alla VI legislatura inclusa (dal 1948 al 1976) le votazioni segrete
alla Camera sono state da una ogni undici sedute (1958-1963) a una
ogni sei sedute (1948-1953, 1953-1958), a una ogni tre sedute (19631968, 1972-1976) con la relativa eccezione della V legislatura (19681972, la prima interrotta anticipatamente), quando salirono a una votazione segreta ogni due sedute. È solo dopo, a partire dalla VII legislatura (1976-1979, nella quale la crisi politico-istituzionale si
accentua, basti pensare all’assassinio di Aldo Moro, ed entrano in
Parlamento partiti decisi ad utilizzare tutte le armi previste dal regolamento indifferenti alla funzionalità dell’organo11) che il ricorso al
voto segreto si fa patologico: nella VII legislatura si registrano tre votazioni segrete ogni due sedute; nell’VIII e nella IX le votazioni segrete diventano circa quattro ogni seduta; nella X legislatura, fino
11 Nella
VII legislatura entrano alla Camera radicali e demo-proletari; i gruppi diventano nove; nella X saranno saliti a undici con l’aggiunta dei Verdi). Al di là di ogni
valutazione di merito, che l’ingresso dei radicali in Parlamento abbia portato in pochi
anni all’avvio di una progressiva riforma dei regolamenti del 1971 è un dato di fatto.
SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO
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alla riforma erano salite a quasi sette ogni seduta. Si pensi che nella
IX legislatura si registrò la bellezza di oltre 2.500 votazioni segrete12:
difficile immaginare altrettanti potenziali casi di coscienza da tutelare
per almeno trenta deputati in meno di cinque anni; difficile poter
contestare l’affermazione secondo la quale si era ormai davanti a un
fenomeno al tempo stesso patologico e da inquadrarsi in un contesto
sistemico che ne rendeva il ricorso per certi versi vantaggioso per altri versi funzionale a strategie politiche non individuali, ma diverse e
più ampie13.
3.
Segue…
La forma di governo parlamentare italiana, strutturalmente debole perché non sorretta da appropriati istituti di razionalizzazione
(quasi assenti dal testo della Costituzione del 1948 per molte, concorrenti e arcinote ragioni), si era dovuta poggiare sin dall’inizio su
un sistema di partiti polarizzato (per distanza ideologica fra di essi) e
frammentato (sette partiti alla Camera già dopo il 18 aprile 1948):
con la conseguenza che i governi – per di più costretti a contare su
una maggioranza in entrambi i rami del Parlamento – hanno sempre
dovuto avere a sostegno coalizioni di partiti, mai un solo partito. In
questo senso l’Italia repubblicana non ha conosciuto il c.d. «governo
di partito». Così, dopo una prima breve fase in cui il regime politicoistituzionale parve orientarsi nella sua dinamica secondo modalità assimilabili all’interpretazione britannica del parlamentarismo (I legislatura), fallito il tentativo di rafforzare il ruolo della Dc, partito di
maggioranza relativa (assoluta solo al Senato) mediante una legge
elettorale con premio di maggioranza concepita proprio per liberare
quel partito da rapporti di coalizione troppo faticosi14, la forma di
12 I dati sono nostre elaborazioni su basi offerte in parte dai servizi parlamentari,
in parte tratti da S. TRAVERSA, Il Parlamento nella Costituzione e nella prassi, Milano,
Giuffrè, 1989, 473-476.
13 Si pensi che nel corso nei suoi 1.059 giorni il primo governo Craxi, uno dei più
lunghi del dopoguerra, dovette subire ben 163 sconfitte col voto segreto, cfr. Cronaca
delle imboscate. La media? Una la settimana, in Il Sole 24 Ore, 29 giugno 1986.
14 Quello che la Dc degasperiana sperava di conseguire con la legge elettorale
n. 148/1953 era – in buona sostanza – la possibilità di sfuggire a coalizioni imposte e
sgradite (a partire da quella con l’estrema destra della quale erano fautori all’epoca in-
254
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
governo si è orientata nella direzione di una ricerca progressiva di
più larghe basi di sostegno parlamentare, ovvero di sostegno parlamentare assicurato da un sempre maggior numero di partiti.
È davvero singolare, o forse si potrebbe ottimisticamente dire, è
segno di quanto i tempi siano mutati, che l’intera più recente fase
politico-istituzionale (2006-2008) sia stata vissuta in Italia all’insegna
della crescente insofferenza nei confronti di coalizioni di governo
frammentate, poco coese, ed anzi internamente rissose e programmaticamente poco omogenee. È singolare perché questa e non altra
è stata (a dir poco dalla fine degli anni Cinquanta, ma anche prima,
a ben vedere: se vogliamo sin dai tempi della Costituente) una specifica caratteristica della forma di governo italiana.
Senza supporti istituzionali assicurati dalla Costituzione, con
una legislazione elettorale nata proporzionale e – dopo il fallimento
del 1953 – resa ancor più proporzionale in ogni suo aspetto (di formula e di legislazione di contorno) ed estesa altresì a tutti i livelli di
governo fino alla sua esaltazione (la legge elettorale per l’elezione dei
componenti italiani del Parlamento europeo)15, la governabilità della
fresca democrazia italiana, mano a mano che quella proporzionalizzazione integrale sviluppava i suoi effetti, assecondata da un contesto
sociale caratterizzato da una molteplicità di cleavages (nord-sud; ricchi-poveri; cattolici-non cattolici; filoamericani-filosovietici, eccetera) e da ultrasecolare propensioni al familismo, allo spirito di fazione, all’individualismo narcisistico e al tendenziale rifiuto delle esigenze imposte dalla modernizzazione, non ha avuto di meglio che
cercare di allargare in forma esplicita e trasparente o anche in forma
nascosta e sotterranea le proprie basi di consenso partitico in Parlamento. Chiusa ogni strada a destra (ma dei monarchici si fece più
volte uso più o meno clandestino), la via obbligata fu l’apertura a sinistra: prima con il centro-sinistra, poi nell’emergenza dell’attacco
brigatista allo Stato, con la solidarietà nazionale e l’inclusione del
maggior partito di opposizione, il Partito comunista.
fluenti circoli vaticani): a ben vedere né più né meno l’obiettivo che si propongono a cavallo fra XV e XVI legislatura, 55 anni dopo, i leader delle due attuali maggiori forze
politiche (Silvio Berlusconi e Walter Veltroni), con la decisiva differenza che oggi due, e
non una sola, sono le forze politiche che si contendono il diritto di governare, entrambe
parimenti legittimate.
15 Facevano eccezione, alla fine del processo, i soli comuni sotto i 3.000 abitanti.
SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO
255
Ancor prima, il coinvolgimento del Pci era stato a lungo ricercato a livello parlamentare: in particolare il sistema delle commissioni in sede legislativa e, per l’appunto, il voto segreto risultarono
funzionali a questo scopo. Contro il Pci era difficile governare; con il
Pci non si poteva governare (fino alla fine degli anni Ottanta): per
cui la scelta fu di esaltare una presunta centralità del Parlamento anche al prezzo di vieppiù indebolire l’esecutivo, al quale funzioni venivano sottratte per portarle nell’egida appunto delle Camere, in
modo che quel partito di formale opposizione (fino al 1977) potesse
concorrere a una larga parte delle principali politiche pubbliche
(tutte, tranne la politica estera e di difesa). Assolutamente chiusa la
strada del riformismo istituzionale per la quale – semplicemente –
non esistevano le condizioni politiche (in parte perché la Costituzione stessa doveva finire di essere attuata; in parte perché per ragioni storiche il revisionismo costituzionale era rimasto appannaggio
di minoranze antisistema di estrema destra, al punto che anche
quando uomini non di destra, e magari neppure di centro, osavano
suggerire qualcosa in quella direzione, per anni ed anni finirono bollati come fascisti16), altra via non fu trovata, e forse non c’era, in attesa che certe divisioni fossero superate.
Sta di fatto che la forma di governo italiana continuò ad essere
caratterizzata da assenza di alternative ai governi ad egemonia Dc, da
nessun periodico ricambio ed anzi da grande continuità di classe politica dirigente, accompagnate da notevole instabilità di governo (durata media delle compagini fino agli anni Novanta nell’ordine di soli
undici mesi), lunghe crisi di governo, barocche ed alambiccate forme
di passaggio da una fase politica all’altra, incidenza solo indiretta del
voto popolare, frequenti scioglimenti anticipati (la regola dopo le
elezioni del 1968) e in ultimo forme (aperte o nascoste) di associazione al potere di gran parte dell’opposizione parlamentare, appunto: a queste ultime fu, poi, attribuita l’etichetta di consociativismo, mutuando la formula usata da Lijphardt per descrivere i ben diversi regimi di paesi come Paesi Bassi e Svizzera. Al di là delle
dispute dottrinali che qui non interessano, questo modo di condurre
16 Basti
pensare che uno dei capi delle Brigate antifasciste in Spagna, Randolfo
Pacciardi, fautore di una riforma in direzione del governo presidenziale dovette aspettare i primi anni Ottanta per scrollarsi di dosso l’etichetta di para-fascista!
256
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
gli affari del paese si tradusse nella virtuale rinuncia a una rigorosa
applicazione del principio di responsabilità politica, nonché, a partire dalla fine anni Settanta, nel sistematico saccheggio delle risorse
pubbliche per spese volte a soddisfare non solo i legittimi e trasparenti interessi rappresentati dai vari partiti, ma anche le diverse clientele su cui questi si sostenevano, una burocrazia e servizi pubblici
poco efficienti e popolati da personale in misura pletorica (anche a
causa della generalizzata connivenza nel non controllarsi a vicenda),
nonché, infine, per alimentare – anche con forme di sistematica illegalità, cui tutti i principali partiti (in una forma o nell’altra) partecipavano (nonostante il finanziamento pubblico introdotto dal 1974) –
apparati famelici e costosi.
In un contesto del genere, il voto segreto in Parlamento veniva
utilizzato, come abbiamo visto, con sempre maggiore frequenza, per
una molteplicità di fini diversi, ma quasi mai davvero a tutela dell’autonomia di espressione nel voto di parlamentari a fronte di vere o presunte prevaricazioni altrui (partitiche o, figuriamoci, governative).
Primariamente il ricorso al voto segreto servì, nella forma di governo fino alla transizione: (a) per minare la già debole compattezza
della maggioranza di sostegno dell’esecutivo e quindi la stabilità dell’esecutivo medesimo, tenendolo costantemente «sotto tiro»; o al
contrario (b) per far confluire voti di opposizione su provvedimenti
del governo, eventualmente concorrendo a neutralizzare le iniziative
di coloro che, nel campo della maggioranza, avrebbero fatto mancare
il loro voto (in vista di qualche compensazione su altro terreno, o
proprio per permettere l’approvazione di misure che l’opposizione
stessa riteneva, al di là della propria posizione di facciata, preferibile
fossero varate); (c) per ostacolare l’assunzione di decisioni sgradite in
sé, magari sotto l’inconfessabile influenza di questo o quell’interesse
esterno. Al primo obiettivo potevano essere cointeressati in molti:
semplici parlamentari di maggioranza delusi per non essere stati prescelti a far parte delle affollate compagini governative; correnti organizzate interne ai partiti maggiori (segnatamente la Dc e il Partito socialista), le quali furono a lungo partiti nei partiti, con le proprie strategie e le proprie alleanze trasversali, vuoi finalizzate ad obiettivi di
breve periodo (accrescere la propria presenza nei gangli del potere
politico ed amministrativi, ostacolare quella delle altre correnti), vuoi
finalizzate a incidere sull’indirizzo politico attraverso la modifica-
SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO
257
zione del quadro delle alleanze in vista di equilibri diversi dei quali
fossero magari protagoniste forze politiche per il momento da essi
escluse; gruppi parlamentari di minoranza estrema, ma decisi a contrastare le relazioni consociative fra maggioranza e maggior opposizione; la stessa maggior opposizione, allo scopo di tenere in scacco
un governo reso più debole ancora di quanto già non potesse essere
per la scarsa omogeneità e coesione della sua maggioranza di sostegno. Al secondo obiettivo, era interessati gli stessi dirigenti dei partiti di maggioranza e di opposizione coinvolti, oltre che, ovviamente,
il governo. Al terzo obiettivo, un po’ tutti.
Al di là di valutazioni d’ordine etico, secondo il giudizio unanime della dottrina e degli osservatori, la prevalenza del voto segreto
in seno alla due camere, e segnatamente alla Camera dei deputati
(perché al Senato se ne fece sempre un uso molto più parco quasi
fosse percepito come meno congeniale alla natura di quell’Assemblea in continuità con l’antica scelta regolamentare del 1910), risultò
a lungo funzionale a un’interpretazione del regime parlamentare che
molti chiamarono «a tendenza assembleare» per la somiglianza con
certe fasi della Terza Repubblica francese (1875-1940); essa certamente concorse a far sì che la nostra forma di governo risultasse particolarmente inadeguata a guidare una comunità bisognosa di prestazioni unitarie, di indirizzi chiari e stabili, di una guida in grado di
contrastare evidenti tendenze disgregatrici e affetta da una cronica
propensione alla fuga dalle responsabilità collettive e dagli sforzi di
lungo periodo.
Non desta dunque alcuno stupore che, quando alla fine degli
anni Settanta apparve sempre più chiaro che si erano esaurite tutte le
possibilità di dare ancora risposta in termini di alleanze politiche alla
difficile governabilità (la politica di allargamento delle basi partitiche
degli esecutivi si era esaurita per il semplice motivo che non c’era più
nessuno da coinvolgere e anche coloro che si erano fatti coinvolgere
non erano più disponibili) e si prospettò come ineludibile una strategia di riforme istituzionali, la riforma dei regolamenti parlamentari
e prima di tutto l’abolizione o il ridimensionamento drastico del voto
segreto entrassero nell’agenda delle priorità, dalla quale non sarebbero uscite se non a riforma regolamentare compiuta.
Per ragioni internazionali ed interne, la politica di solidarietà
nazionale fu superata con un’altra coalizione ampia, che abbiamo già
258
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
richiamato, il c.d. pentapartito (che lasciava il Pci all’opposizione).
Questa, sin dall’inizio si caratterizzò per la propria strategia di pur
prudente rinnovamento istituzionale (a partire dal Rapporto del ministro della funzione pubblica Massimo Severo Giannini, nel 1979).
Mentre il Psi spingeva per una «grande riforma» sul modello che in
Francia aveva permesso i successi di François Mitterrand, anche per
rompere le residue tentazioni di rapporti diretti fra Dc e Pci, e la Dc
sembrava piuttosto orientata a tentare la strada di riforme elettorali
che – di nuovo – le permettessero di coalizzarsi senza subire il potere
di condizionamento di troppi e troppo competitivi alleati, un consenso sufficiente fu infine raggiunto sulle c.d. riforme possibili: quelle
che avrebbero permesso di raggiungere un minimo comun denominatore fra i diversi interessi delle maggioranze interne che guidavano
allora la Dc e il Psi, senza scontri drammatici col Pci. Ciò non evitò
che da parte di questo e di altre minoranze parlamentari venissero
resistenze consistenti: le stesse che concorsero a far fallire la prima
Commissione parlamentare bicamerale per le riforme istituzionali
(quella presieduta dal 1983 al 1985, prima fase della IX legislatura,
da Aldo Bozzi)17.
Si trattava, infatti, di riscoprire, ed applicare con maggiore determinazione che non in passato, il principio maggioritario come strumento per decidere e per governare. Le riforme possibili del pentapartito furono in larga parte un tentativo in questa direzione che peraltro si attestò sin dall’inizio sul lato di un maggioritarismo di
funzionamento senza di fatto mai tentare la più ambiziosa e difficile
strada del maggioritarismo di composizione. Come si capisce, in particolare in relazione al circuito governo-Parlamento, il primo aveva
come obiettivo superare le logiche unanimistiche (esemplificate dalle
norme sull’organizzazione dei lavori parlamentari dei regolamenti
del 1971 e in particolare da quelle sulla formazione di programma,
calendario ed ordine del giorno) per applicare la regola in base alla
quale di norma è la maggioranza a decidere (per maggioranza intendendosi al tempo stesso, come ovvio, il maggior numero, ma anche i
gruppi parlamentari impegnati come parti del rapporto fiduciario col
17 Su
questa vicenda e sul ruolo che vi ebbe la questione del voto segreto in Parlamento, cfr. C. FUSARO, Forma di governo e principio maggioritario. La Commissione
Bozzi e le strategie istituzionali dei partiti, in Scritti in onore di A. Bozzi, Padova, Cedam,
1992, 223 ss.
SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO
259
Governo, dal Governo stesso guidati); il secondo avrebbe avuto
come obiettivo quello di favorire, incentivare o addirittura garantire
una formazione delle assemblee rappresentative tale che il voto dei
cittadini permettesse di eleggere in forma quasi diretta o diretta una
maggioranza precisamente individuata e di norma autosufficiente, in
grado di sostenere lealmente il proprio governo.
A distanza di tempo si può affermare che le modificazioni regolamentari dell’autunno 1988 della strategia di riforme all’insegna del
maggioritarismo di funzionamento rappresentarono il momento più
alto, forse quello di scontro più duro con le opposizioni, ma anche
una delle più influenti innovazioni di quel periodo, destinata a incidere profondamente sul costume e sul modo d’essere stesso del Parlamento e, in ultima analisi, sulla salute stessa della democrazia italiana che certamente ne guadagnò in trasparenza, responsabilità e,
nonostante critiche ingenerose, in compattezza delle maggioranze
governative: il lascito più duraturo della leadership dell’allora segretario della Dc e presidente del Consiglio Ciriaco De Mita, il quale
proprio sul ridimensionamento del voto segreto rinsaldò il rapporto
di alleanza concorrenziale con il Partito socialista di Bettino Craxi e
quello con gli altri alleati, tutti schierati per l’abolizione del voto segreto18.
D’altra parte, dopo le riforme del 1988, nulla sarebbe stato più
come prima anche per il Partito comunista, il quale proprio in quel
torno di tempo stava prendendo finalmente atto che, lungi dall’impedire per altri decenni l’alternativa (come i conservatori dentro il
Pci continuavano a pensare), questa avrebbe un giorno non lontano
potuto diventare realtà solo grazie all’introduzione nell’ordinamento
di alcuni caratteri, almeno, della democrazia maggioritaria (come
aveva ben compreso Achille Occhetto, facilitato poi nel suo compito
dal mutare improvviso del quadro internazionale).
Furono questi i prodromi, tutti interni, della transizione: la
quale avrebbe avuto origine di lì a pochi anni (il tempo che si esaurisse la X legislatura), proprio a causa dei limiti di una strategia isti18 Vale la pena ricordare che sulle modifiche regolamentari del 1988 era stato
stretto un preciso accordo di maggioranza. Conformemente, il presidente del Consiglio
De Mita aveva inviato due esplicite lettere ai presidenti di ciascuna Camera, suscitando
per questo vivaci polemiche. Si trattò, indubbiamente, di una riforma maggioritaria nel
metodo oltre che nel contenuto.
260
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
tuzionale che – nel rispetto del patto fra soci – non volle e non seppe
andare al di là del maggioritarismo funzionale: il simbolo di questa indisponibilità fu la scelta del governo Andreotti, a cavallo fra 1989 e
1990, di porre la questione di fiducia ben quattro volte di seguito per
impedire che una larga maggioranza trasversale introducesse nella
riforma dell’ordinamento degli enti locali, allora in discussione alle
Camere, l’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle province.
Quella decisione, infatti, fu proprio ciò che dette il là alla strategia
dei referendum elettorali, la quale altro non fu che il tentativo, sostanzialmente riuscito, di imporre il rinnovamento della forma di governo attraverso forme di maggioritarismo di composizione o strutturale. Il resto è storia nota.
4.
Il ridimensionamento del voto segreto a vent’anni dalla riforma:
l’esperienza più recente.
I vent’anni dall’approvazione delle modifiche regolamentari dell’autunno 1988 non sono trascorsi invano. Essi hanno contribuito a
consolidare nei soggetti politici ed istituzionali le singole soluzioni
interpretative e, ancor prima, il carattere ormai irreversibile di una
riforma, invece, inizialmente percepita da una parte delle forze politiche come un’inaccettabile attentato alla libertà del singolo parlamentare e, con esso, del Parlamento19.
Come detto, la previsione dello scrutinio palese quale metodo
ordinario di voto è stato il primo passo verso una democrazia parlamentare maggioritaria. In precedenza, infatti, il voto segreto era stato
un formidabile strumento che le opposizioni escluse dal governo per
le note ragioni politico-ideologiche e internazionali (la c.d. conventio
ad excludendum) avevano utilizzato per condizionare e volgere a proprio favore le contraddizioni e le divisioni delle forze politiche di
maggioranza. Il voto segreto era stata la condizione essenziale per raggiungere convergenze ed accordi tra un’opposizione che non poteva
governare, ma nemmeno poteva essere ignorata e maggioranze sì ampie ma non così coese da poter sempre reggere lo scontro parlamen19 Ancora
un anno dopo Luciano Violante scriveva che «la conoscibilità del
voto… può alterare il rapporto fra governo e Parlamento e quello fra partiti e Parlamento» e che il voto segreto serviva a «garantire la dipendenza del Governo dal Parlamento».
SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO
261
tare, politico e sociale, e perciò inclini a trovare, al riparo del segreto
dell’urna, intese politiche trasversali (conventio ad includendum)20.
L’affermazione del voto palese come normale modo di votazione
ha costretto invece l’opposizione a ripensare il suo ruolo, avviando
quel processo, catalizzato da ben altri fattori (due su tutti: il crollo
dei regimi comunisti e l’approvazione della nuova legge maggioritaria), in base a cui ormai oggi essa, anziché pretendere di condizionare l’operato della maggioranza, sfruttandone le divisioni interne, si
propone agli elettori come credibile sua alternativa al governo del
paese. In tale nuovo scenario il voto segreto non serve più alla maggioranza per acquisire il sostegno sotterraneo di parte dell’opposizione, ma è utilizzato dall’opposizione non per condizionare la maggioranza, quanto piuttosto per svelarne dinanzi all’elettorato le divisioni interne e, quindi, l’incapacità di governo. Il voto segreto prima
era funzionale al consociativismo, oggi all’alternanza.
In questo senso quanto accaduto durante la XIV legislatura ci
sembra emblematico21. Nonostante la maggioranza di governo potesse contare su 90 deputati e 42 senatori in più rispetto all’opposizione, si sono ugualmente avute votazioni segrete contrarie al governo. È vero che tali votazioni non sono state mai decisive – solo
una volta esse hanno comportato la bocciatura di un progetto di
legge del governo22 – toccando per lo più aspetti marginali dei provvedimenti in esame. Ma è anche vero che, considerato il suddetto
vantaggio numerico, esse non sono state solo espressione della libertà di coscienza del parlamentare, ma hanno piuttosto rappresentato una segnale politicamente significativo del disagio, se non del
malcontento, di settori non identificati ma significativi della compo20 Sempre secondo Violante, il voto segreto era stato un elemento essenziale del
«meccanismo di induzione alla convergenza», tipico della forma di governo italiana: in
altre parole del consociativismo, appunto. Sulla fondamentale valenza anti-consociativa
del ridimensionamento del voto segreto del 1988, la dottrina è assolutamente unanime.
21 Cfr. C. DI ANDREA, Della fortuna e dell’oblio di taluni istituti parlamentari, intervento del 16 luglio 2004, in Quaderni costituzionali, 2004, n. 3, 606 s.; R. DI CESARE,
L’applicazione delle norme regolamentari sul voto segreto nella XIV legislatura, in Le regole del diritto parlamentare nella dialettica tra maggioranza e opposizione, a cura di E.
Gianfrancesco e N. Lupo, Roma, Luiss University Press, 2007, 261 ss.
22 L’unico caso in tal senso riguarda l’approvazione nella seduta della Camera del
5 novembre 2003 delle questioni pregiudiziali presentate dall’opposizione in relazione al
disegno di legge sulla istituzione delle sezioni specializzate per la famiglia e per i minori
e procedimenti in materia di separazione dei coniugi e di divorzio.
262
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
sita maggioranza parlamentare di centro destra verso provvedimenti
ad essa imposti dal Governo23.
Il fatto che le richieste di voto segreto avanzate dall’opposizione
siano aumentate nella XIV legislatura24, nonostante l’ampia maggio23 Diversi
sono i casi in cui la maggioranza è stata sconfitta in votazioni su cui
l’opposizione aveva chiesto lo scrutinio segreto; tra gli altri:
1) nella seduta dell’11 ottobre 2001, durante l’esame del disegno di legge di conversione del decreto legge 20 agosto 2001, n. 336 «Disposizioni urgenti per contrastare
i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive» (poi legge 19 ottobre
2001, n. 377) è stato approvato l’emendamento 1.60 presentato dal deputato Bontempo
su cui la Commissione aveva espresso parere contrario e il Governo si era rimesso all’Assemblea;
2) nella seduta del 27 settembre 2001, durante l’esame del disegno di legge sulla
ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra Italia e Svizzera sull’assistenza giudiziaria in materia penale (poi legge 5 ottobre 2001, n. 367), nonostante il parere contrario di Commissione e governo, sono stati approvati l’emendamento Pisapia 1.02 ed il subemendamento Fanfani 0.17.13.1.
3) nella seduta del 12 dicembre 2001, durante l’esame del disegno di legge di conversione del decreto legge 12 ottobre 2001 «Misure urgenti per contrastare il finanziamento del terrorismo internazionale» (poi legge 14 dicembre 2001, n. 431), nonostante
il parere contrario di Commissione e Governo, è stato approvato l’emendamento Pisapia 5.3; tra l’altro i commentatori politici hanno notato in tale occasione uno scarso
coordinamento tra i gruppi parlamentari di maggioranza delle due camere, dato che le
modifiche introdotte dal Senato al testo originariamente approvato dalla Camera avevano messo a rischio la conversione del decreto legge; v. R.R., Terrorismo: Governo sotto,
poi il sì, in Il Sole 24 Ore, 13 dicembre 2001, 10.
4) nella seduta del 12 ottobre 2005, durante l’esame della riforma del sistema elettorale (poi legge n. 270/2005) la Camera ha respinto l’emendamento 1.620 della Commissione accettato dal governo volto ad assicurare una quota di donne nelle liste bloccate non inferiore al 30%.
24 Alla Camera nella XIII legislatura le votazioni segrete furono 169 su 34.805
(0,4%); nella XIV sono state 742 su 27.072 (pari allo 2,74%). Per quanto aumentate, le
votazioni segrete rimangono comunque rare. Tale aumento non sembra imputabile ad
un orientamento presidenziale più incline ad accogliere le richieste di voto segreto,
quanto piuttosto alla discussione di particolari disegni di legge su materie su cui esso è
possibile: ad esempio sulla legge di riordino del sistema radiotelevisivo si sono avute 266
votazioni segrete mentre 23 sono state le richieste sulla legge sul legittimo sospetto. Inoltre bisogna tenere conto del rapporto tra votazioni segrete richieste e votazioni segrete
accordate. Ad esempio i dinieghi al voto segreto per questioni attinenti ai diritti personali sono stati 785; v. Casini: inconsueto il voto di fiducia sulle riforme, intervista di
G. Padovani, in La Stampa, 8 novembre 2003, p. 3). Che l’aumento sia da attribuirsi
all’oggetto specifico del disegno di legge lo dimostra il fatto che nell’appena conclusa
XV legislatura (al 31 dicembre 2007) le votazioni segrete sono state appena 19 su 4.693
(0,4%).
SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO
263
ranza esistente in entrambe le camere, dimostra come il principale
suo obiettivo fosse, ancor prima di battere la maggioranza, palesarne
innanzi tutto le divisioni interne. Da questo punto di vista il voto segreto conserva la sua natura di strumento attraverso cui l’opposizione può far emergere le aree di dissenso nella maggioranza.
Ben più delicato e complesso appare il profilo riguardante più
strettamente la tutela della libertà di voto del singolo parlamentare,
cui il voto segreto è teoricamente funzionale. In passato, in presenza
di identità politiche radicate nella storia e nella cultura politica del
paese, lo scrutinio segreto veniva invocato come l’ultimo baluardo
che il parlamentare poteva opporre per sottrarsi alla disciplina di
gruppo per perseguire interessi o scopi più o meno confessabili. Non
a caso gli oppositori alla riforma del voto segreto prefiguravano foschi scenari, con parlamentari soggetti al pieno ed incontrollato dominio delle segreterie di partito.
Tale previsione non si è però realizzata, almeno non nei termini
paventati. Ciò perché da un lato il maggioritario quantomeno non ha
diminuito l’importanza che il singolo parlamentare ha nel partito.
Ma soprattutto perché, a partire dal 1994, complice l’instabilità del
quadro politico, con la continua creazione di nuovi soggetti politici
di stampo fortemente personale a margine di quelli che hanno raccolto l’eredità politica dei partiti della c.d. prima repubblica, è venuto meno il presupposto su cui si fondava la funzione di garanzia
del voto segreto, e cioè la capacità del partito, attraverso l’espulsione
del parlamentare ribelle, di decretarne la fine della carriera politica.
Dalla XIII legislatura, infatti, è esploso il fenomeno del c.d.
transfughismo parlamentare, cioè il passaggio dei parlamentari, da
soli o in piccole correnti politiche, da un gruppo parlamentare ad un
altro, anche dell’opposto schieramento politico, magari appositamente creato e quindi privo di autentica identità politico-elettorale.
Anche nei casi in cui singoli parlamentari hanno votato contro direttive imperative del partito per il quale si erano candidati, venendone
di conseguenza espulsi, il più delle volte essi non hanno subito conseguenze politicamente rilevanti, avendo trovato accoglienza e promesse di ricandidatura da parte di un altro partito. In questo senso,
la possibilità di votare in incognito non aggiunge nulla alla possibilità
di esprimere un dissenso che non incontra remore nel manifestarsi in
modo palese: la sanzione della non ricandidatura non suscita più i ti-
264
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
mori di un tempo, in un contesto partitico nel quale sembra in declino ogni etica della responsabilità.
Certamente, tra le aspettative tradite del maggioritario, deve annoverarsi quella di un maggiore radicamento degli eletti nel territorio e di una loro migliore selezione da parte dei partiti, dal momento
che i candidati venivano spesso scelti sulla base di una scientifica ripartizione, tra i partiti coalizzati, dei collegi considerati «sicuri». Ma
è anche vero che l’apporto personale del candidato ai fini della vittoria nel collegio non poteva essere sempre ritenuto marginale o
ininfluente: ciò, quantomeno potenzialmente, permetteva all’eletto
una certa autonomia nei confronti del gruppo di appartenenza, talvolta utilizzata non dentro il partito, ma fuori e contro di esso, come
testimoniano i casi di mobilità parlamentare (nella XIV legislatura si
sono registrati alla Camera 50 trasferimenti individuali e 12 collettivi) da un gruppo ad un altro (nella XIII 151 e 96); al Senato rispettivamente 18 e 10 (contro 89 e 74).
Si potrebbe obiettare che la recente modifica della legge elettorale – e, segnatamente, l’abolizione dei collegi uninominali e la generalizzazione delle liste proporzionali bloccate, cioè senza voto di
preferenza – abbia inciso sul rapporto tra eletti e partito, nel senso di
un maggior senso di appartenenza (dipendenza?) dei primi verso il
secondo. Il partito, infatti, può decidere di non ricandidare il parlamentare ribelle, senza per questo temere contraccolpi, considerato
che si vota primariamente per lista e non per la persona.
I dati della appena conclusa XV legislatura stanno però lì a dimostrare come la mobilità non solo non è significativamente diminuita alla Camera (58 trasferimenti, di cui 26 individuali, contro i 62
della precedente legislatura) ma è anzi aumentata al Senato (57, di
cui 24 individuali, contro 28), con la conseguente creazione di nuovi
gruppi privi d’identità politico-elettorale. È il caso alla Camera del
gruppo Sinistra democratica per il socialismo e delle componenti politiche de La Destra, Socialisti per la costituente, e Repubblicani, Liberali, Riformatori). Lo stesso dicasi al Senato, dove è nel gruppo
misto che si è registrata la maggiore fibrillazione, complice l’assenza
di una disciplina delle sue componenti politiche riconosciute incidentalmente dal primo comma dell’art. 156-bis. Si sono pertanto costituite otto componenti politiche (Italia dei valori, Popolari-Udeur,
Costituente socialista, La Destra, Partito democratico meridionale,
SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO
265
Italiani nel mondo, Sinistra critica, Movimento politico dei cittadini)
mentre altre due risultano oggi sciolte (Italia di mezzo e Lista consumatori).
Benché quindi le liste siano bloccate, il parlamentare sembra avvertire comunque come meno vincolante la disciplina di partiti che,
dopo il crollo delle ideologie tradizionali, stentano ad enucleare un
idem sentire, e tendono soprattutto ad identificarsi con i loro leader.
Anche sotto questo profilo, quindi, il voto segreto appare sempre
meno l’ultimo usbergo nei confronti di presunte pretese prevaricanti
del partito.
Del resto sono gli stessi partiti, soprattutto nelle materie di particolare rilevanza etica (ad esempio, là dove si tratta della libertà di
ricerca scientifica), a rinunciare ad assumere posizioni ufficiali o, comunque, a imporre una disciplina di voto25. Ciò accade nella convinzione che qualunque posizione ufficiale finirebbe inesorabilmente
per scontarsi con i convincimenti personali di robuste minoranze –
di ispirazione cattolica o al contrario laiche – presenti al loro interno,
le quali spesso sono risultate decisive nella formazione di maggioranze trasversali. Si registra così una tendenza in base alla quale la libertà di coscienza dei parlamentari si afferma rispetto a qualsiasi direttiva di partito parallelamente al passaggio dalla micro alla macro
legislazione. Si tratta di una tendenza che suscita perplessità laddove
porta i partiti a non prendere posizione su grandi questioni di carattere etico, sociale e civile, in realtà decisive per il nostro futuro, affidandole al libero volere dei singoli parlamentari26.
La rinuncia del partito a prese di posizione ufficiali, e la conseguente assenza di disciplina di gruppo, lascia pertanto ritenere che la
libertà di coscienza del parlamentare sia già tutelata, e che egli nel
votare non abbia a temere ritorsioni di sorta.
Se nelle moderne democrazie, infatti, il voto segreto è stato considerato strumento di tutela dei parlamentari nei confronti del partito
25 In
questo senso l’appello alla libertà di voto recentemente formulato dal sen.
Cossiga (Teodem, imitiamo Lord Alton: chiediamo il free-vote, in Il Riformista, 25 gennaio 2008, 1) sembrerebbe sfondare una porta aperta, se non fosse che tra i temi eticamente sensibili, oltre all’aborto e all’eutanasia, egli annovera anche la pace e la guerra…
26 Da qui l’opportunità che simili questioni siano, se possibile, rimesse al giudizio
degli elettori tramite referendum; sul punto v. T.E. FROSINI, Fecondazione assistita: la decisione a the People, in www.forumcostituzionale.it, 12 dicembre 2003.
266
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
(e non ovviamente nei confronti degli elettori, i quali hanno diritto di
conoscere come votano i propri rappresentanti), nelle materie in cui i
partiti lasciano libertà di voto al parlamentare, nel senso che si impegnano a non sanzionare in alcun modo le loro scelte quali che esse
siano, il voto segreto appare non solo superfluo, ma addirittura nocivo: esso infatti può diventare lo schermo dietro il quale si realizzino
accordi trasversali su questioni delicatissime e, appunto, di coscienza,
in cui le scelte dovrebbero essere trasparenti e responsabili.
Infatti, com’è ovvio, celando il voto, non si consente a quella
parte dell’elettorato che ritiene la questione decisiva ai fini delle proprie scelte (si pensi solo all’importanza del voto cattolico sulle grandi
questioni etiche e morali) di conoscere come ciascun parlamentare si
è pronunciato. Un ulteriore argomento, a ben vedere, a favore del
voto rigorosamente palese. In realtà, al di là di luoghi comuni, il voto
segreto ha poco o nulla a che vedere con la libertà di coscienza del
parlamentare.
5.
L’area di applicazione del voto segreto: una questione superata.
L’ambito di applicazione dello scrutinio segreto costituisce oggi
un dato ormai acquisito nella prassi parlamentare e, ancor prima,
nella stessa concezione del ruolo del parlamentare e del Parlamento
maturata nei soggetti politici ed istituzionali che di essa sono protagonisti. Il punto di equilibrio individuato nel 1988 tra libertà e responsabilità del singolo parlamentare, tra riservatezza e trasparenza
dei processi decisionali partitici e parlamentari appare una mediazione politica tuttora condivisa, rispetto alla quale le questioni interpretative e gli sporadici tentativi di modifica denotano più che altro
un certo grado di strumentalità.
A tale consolidamento, al Senato ha senza dubbio contribuito la
tradizione favorevole allo scrutinio palese, tant’è che, rispetto alla
Camera, poche sono state le richieste di votazioni segrete e ancor
meno le questioni interpretative sollevate. Le motivazioni di tale
orientamento vanno ricercate non solo nel fatto che l’area in cui è
possibile chiedere il voto segreto è più ristretta, ma anche in un diverso costume politico27, di cui è parte ad esempio l’abitudine del27 Sintomatico quanto accaduto in occasione dell’esame del disegno di legge Modifica degli articoli 45, 46, 47, 48 e 49 del codice di procedura penale, c.d. «Legge sul le-
SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO
267
l’opposizione di sondare gli orientamenti del Presidente prima di
presentare una richiesta di voto segreto su una materia a tal fine di
dubbia interpretazione. Tale conclusione trova significativa conferma
nella XV legislatura nella quale il ricorso al voto segreto al Senato è
rimasto marginale nonostante l’esiguo vantaggio numerico della
maggioranza sull’opposizione potesse rendere concreta la prospettiva di sconfiggere, attraverso il voto segreto, lo schieramento governativo28.
Al Senato piuttosto il dissenso si manifesta talvolta attraverso la
mancanza del numero legale29. I due strumenti, però, non sono equivalenti: la richiesta di verifica del numero legale è più funzionale all’ostruzionismo mentre lo scrutinio segreto è più funzionale all’alternativa.
gittimo sospetto» o «Legge Cirami» (poi legge n. 248/2002) quando, a fronte di 32 votazioni a scrutinio segreto (incluso il voto finale) svoltesi complessivamente alla Camera
nelle due letture su 111 votazioni (sedute del 10 ottobre e 5 novembre 2002), se n’è
svolta appena una al Senato (1 agosto 2002).
28 Questi i dati: nella XII legislatura 12 votazioni segrete su 522 (2,29%); nella
XIII 43 su 3.393 (1,26%); nella XIV 140 su 6.770 (2,06%), nella XV (al 28 novembre
2007) 42 su 1.432 (2,93%), di cui 37 (88,09%) obbligatorie. Nella XIV legislatura, se si
tolgono le votazioni in cui lo scrutinio segreto è obbligatorio (22, pari al 15,71%),
emerge che su 118 richieste di voto segreto ben 83 (pari al 70,33%) si sono concentrate
in occasione della discussione della legge Gasparri di riforma dell’assetto del sistema radiotelevisivo.
29 Al Senato nella XII legislatura le verifiche del numero legale sono state 202 in
49 sedute (media 4,12 a seduta); il numero legale è mancato 52 volte su 579 votazioni
qualificate (8,98%); nella XIII le verifiche del numero legale sono state 2382 in 519 sedute (media 4,58 a seduta); il numero legale è mancato 659 volte su 3.586 votazioni qualificate (18,37%); nella XIV legislatura le richieste di verifica del numero legale sono
state 7.879 in 513 sedute (media 15,35 a seduta); il numero legale è mancato 917 volte
su 6.883 votazioni qualificate (13,22%); nella XV legislatura (fino al 17 gennaio 2008) le
verifiche del numero legale sono state 216 in 94 sedute (media 2,29 a seduta); il numero
legale è mancato 64 volte su 1.437 votazioni qualificate (4,45%). Da questi dati emerge
che le richieste di numero legale si sono intensificate nella XIV legislatura ad opera del
centro sinistra (media 15,35 a seduta contro una media intorno a 4,5 nelle legislature
precedenti), il che ha provocato un aumento dei casi di mancanza del numero legale
(13,22%), però inferiore a quello che si era registrato nella XIII legislatura (18,37%
contro l’8,98% della XII). È soprattutto l’opposizione di centro sinistra a fare ricorso,
nell’ottica della sua strategia parlamentare, alle richieste di verifica del numero legale,
con conseguente aumento del numero in cui esso è mancato. Allo stesso tempo, però, i
casi di mancanza del numero legale registratisi nella XIII legislatura sono imputabili più
alle assenze nei banchi della maggioranza di centro sinistra che all’aumento delle richieste in tal senso avanzate dal centro destra.
268
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
Alla Camera, invece, ai fini della definizione di un quadro di riferimento certo e condiviso per l’applicazione della riforma del voto
segreto, fu decisiva la scelta del Presidente Casini, a meno di anno
dall’inizio della XIV legislatura, di convocare la Giunta per il regolamento (sedute del 7 febbraio e 7 marzo 2002) e di enunciare, sulla
base del dibattito sviluppatosi al suo interno, i criteri interpretativi ai
quali, nell’ambito della propria responsabilità istituzionale, egli si sarebbe da allora in poi attenuto nell’interpretare l’art. 49.1 RC. Una
decisione tanto più significativa perché s’inserisce in un indirizzo
presidenziale poco incline a convocare la Giunta per il regolamento
(appena 24 sedute nella XIV legislatura contro le 145 della precedente), in particolare per promuovere e portare a compimento quel
processo di adeguamento del regolamento ai mutamenti intervenuti
nell’ultimo decennio nel quadro politico-istituzionale iniziato dal suo
predecessore, come tale non alternativo o subordinato ma complementare al coevo processo di revisione costituzionale. In ciò non si
può non scorgere una diversa sensibilità del Presidente della Camera
rispetto a quella palesata, quantomeno inizialmente, dal suo collega
Pera al Senato, attraverso l’elaborazione di alcune linee direttrici per
una riforma regolamentare basata sulla configurazione rispettivamente di uno «statuto del governo» e di uno «statuto dell’opposizione»30.
Va inoltre notato che l’essere stato, il Presidente della Camera,
anche il leader di un partito di maggioranza trovatosi più volte in dissenso con gli orientamenti del Governo, ha esposto le sue decisioni
in materia di voto segreto, per quanto giuridicamente ineccepibili, al
sospetto che fossero influenzate soprattutto da considerazioni di natura strettamente politica31.
Sui criteri applicativi proposti dal Presidente si è registrato in
Giunta una larga e sostanziale convergenza. Strumentali e, di conseguenza, irrilevanti ai fini della registrazione di un significativo dissenso devono infatti considerarsi le opposte ipotesi interpretative
formulate da esponenti sia della maggioranza sia dell’opposizione,
sulla base, a ben considerare, di argomenti rilevanti solo de iure con30 V.
Giunta per il regolamento del Senato, seduta del 10 ottobre 2002.
P. ARMAROLI, Sul voto segreto l’eccezione non diventi regola, in Il Giornale,
24 novembre 2003, 8.
31 Cfr.
SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO
269
dendo, non de iure condito. È evidente, infatti, che maggioranza ed
opposizioni hanno un interesse contrapposto, rispettivamente a restringere o ad allargare l’ambito di applicazione dello scrutinio segreto; ed è parimenti evidente che dietro i tradizionali argomenti rispettivamente invocati (la responsabilità del parlamentare da un lato,
la sua libertà di mandato dall’altro), sta piuttosto l’esigenza della
maggioranza di difendersi dal tentativo dell’opposizione di sfruttare
il voto segreto per palesarne le divisioni interne ed eroderne la compattezza e quella dell’opposizione di fare esattamente quello. Soggetti a tali spinte contrapposte, i criteri interpretativi proposti dal
Presidente si sono quindi facilmente imposti come «un punto di
equilibrio rispetto alle diverse interpretazioni prospettate», suscettibile di revisione solo «ove emergessero orientamenti largamente condivisi»32.
Nell’ottica strumentale di cui dicevamo ci sembra vada annoverato ad esempio l’interpretazione restrittiva33 secondo cui sui principi ed i diritti di libertà di cui agli articoli della Costituzione citati
dall’art. 49.1 RC possono «incidere» solo le leggi costituzionali e non
quelle ordinarie. Una simile interpretazione, infatti, contrasta palesemente con i lavori preparatori e la ratio della riforma, avente ad oggetto la disciplina delle votazioni in generale. Del resto va ricordato
che il principio emendativo diretto ad estendere lo scrutinio segreto
alle leggi costituzionali e di revisione costituzionale fu respinto34. Né
è vero che solo le leggi costituzionali sono suscettibili di incidere sui
principi e sui diritti di libertà costituzionali richiamati dall’art. 49.1
RC. Come limpidamente chiarito dal Presidente della Camera nella
seduta della Giunta per il regolamento del 7 marzo 2002, «il termine
“incidono” costituisce un’opzione normativa intermedia tra quella
che, utilizzando il termine “intaccano” o altra similare, avrebbe portato a limitare il voto segreto alle sole norme costituzionali di modifica di quegli articoli e quella opposta che, con l’uso di un termine
più generico, quale, ad esempio, “attengono” (contenuto nell’originaria formulazione della proposta di modifica regolamentare, succes32 Così il Presidente della Camera nella seduta della Giunta per il regolamento del
7 marzo 2002.
33 Si veda in tal senso quanto sostenuto nella seduta della Giunta per il regolamento del 7 febbraio 2002 dai deputati Vito e Leone.
34 V. la seduta della Camera dei deputati del 7 ottobre 1988.
270
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
sivamente emendata), avrebbe consentito indistintamente il ricorso
al voto segreto su tutte le disposizioni di legge ordinaria collegabili
alle norme costituzionali citate. Il voto segreto deve quindi ritenersi
ammesso solo per le norme che, rispetto ai principi e ai diritti costituzionali indicati dall’articolo 49, comma 1, introducano una disciplina significativamente divergente rispetto a quella esistente o modifichino le condizioni sostanziali per l’esercizio dei diritti in questione. Rimangono, pertanto, escluse dall’area di ammissibilità della
predetta modalità di votazione le disposizioni che, non incidendo sui
tratti essenziali di tale disciplina, non alterino le caratteristiche fondamentali del quadro normativo vigente nel suo rapporto con le
norme costituzionali».
Tale precisazione è tanto più significativa ove si consideri che
l’espressione «attengono» è esattamente quella utilizzata dall’art.
113.4 RS in relazione alle deliberazioni sui rapporti civili ed etico sociali di cui agli articoli costituzionali ivi citati su cui può chiedersi il
voto segreto. Ferma restando ovviamente l’autonomia interpretativa
di ciascuna Camera sul proprio regolamento, l’ambito di applicazione al Senato dello scrutinio segreto sulle leggi ordinarie attinenti
alle disposizioni costituzionali in questione sembrerebbe quindi almeno in teoria essere più ampio rispetto a quello della Camera, dove
invece prevale il canone interpretativo della stretta attinenza di cui
all’art. 49.1-quinquies R.C. E ciò a dispetto di una prassi in cui, come
detto, il voto palese prevale35.
35 L’esatta
interpretazione del criterio di attinenza previsto dall’art. 113.4 RS è
stata al centro del dibattito sviluppatosi nella seduta della Giunta per il regolamento del
Senato del 27 settembre 2007 in relazione alle modalità di voto cui sottoporre emendamenti riferiti ad una pluralità di disposizioni «solo alcune delle quali eventualmente attinenti ai rapporti civili ed etico-sociali cui fa riferimento il comma 4 del predetto articolo 113». Alla fine sono emerse due opposte interpretazioni, sostenute da un eguale
numero di senatori: per la prima, il giudizio di prevalenza, previsto dall’art. 113.7 RS in
riferimento al voto finale, andrebbe di conseguenza escluso per le votazioni delle singole
proposte emendative, sulle quali, quindi, anche se indirettamente attinenti ad una delle
predette materie, potrebbe richiedersi il voto segreto; per la seconda, invece, il giudizio
di prevalenza ex art. 113.7 RS andrebbe applicato anche alle materie trattate da singole
proposte emendative sulle quali quindi il voto segreto potrebbe richiedersi solo se direttamente attinenti ad un diritto di libertà; ove invece esse avessero una portata di natura organizzativa ovvero meri effetti sospensivi di norme vigenti non potrebbero essere
soggette a scrutinio segreto.
SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO
271
Analogamente infondata, e nondimeno ugualmente avanzata, appare la tesi per cui la sola presenza di una disposizione di carattere finanziario comporti di per sé l’obbligo di voto finale palese del disegno di legge anche quando come detto esso incide sui principi e diritti di libertà di cui agli articoli citati nell’art. 49.1 RC. Una simile tesi
sembrerebbe trarre conforto dal fatto che l’art. 49.1-bis, nel fare riferimento alle conseguenze finanziarie, adotta il termine «deliberazioni», di per sé più ampio e meno puntuale di «votazioni», aggiungendo peraltro l’avverbio rafforzativo «comunque»36. Ma è fin troppo
evidente che seguendo questo indirizzo basterebbe strumentalmente
aggiungere a qualsiasi legge un onere finanziario per sottrarla al voto
finale segreto, svuotando del tutto la ratio dell’art. 49.1-quater37. Il
Presidente della Camera ha avuto più volte occasione di ribadire (v.
Giunta per il regolamento, sedute del 7 febbraio e 7 marzo 2002, 23
novembre 2005), di non volersi discostare dalla prassi favorevole a
circoscrivere l’applicazione della suddetta norma regolamentare a singole disposizioni e non al voto finale delle leggi, pur dichiarandosi comunque «disponibile ad un ulteriore approfondimento alla luce dei
precedenti sulla materia». Così egli ha ammesso il voto segreto sulle
due questioni pregiudiziali38, presentate al disegno di legge di delega
al Governo per l’istituzione delle sezioni specializzate per la famiglia
e per i minori nonché per la disciplina dei procedimenti in materia di
separazione dei coniugi e di divorzio (A. C. 2517), ritenendo qualitativamente prevalenti i profili incidenti sui diritti di cui agli articoli 29
e 31.2 Cost. su quelli finanziari in relazione alla natura del provvedimento (v. seduta del 5 novembre 2003)39.
Solo de iure condendo può altresì valutarsi l’osservazione secondo cui il voto finale su progetti di legge contenenti disposizioni
36 V.
quanto dichiarato dal deputato Vito nella seduta del 5 novembre 2003.
avvertito dal Presidente della Camera nel corso della seduta del 7 febbraio 2002 della Giunta per il regolamento, un caso del genere si sarebbe potuto porre
per i progetti di legge in materia di procreazione medicalmente assistita, poi approvati a
scrutinio segreto.
38 Anche la prassi di votare le questioni pregiudiziali allo stesso modo del voto finale, in forza del comune valore deliberativo, è stata contestata dal deputato Vito nella
seduta del 15 dicembre 2004.
39 Cfr. P. GAMBALE, Il voto segreto è inammissibile in relazione a tutte le deliberazioni aventi conseguenze finanziarie?, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, 16
marzo 2004.
37 Come
272
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
assoggettabili a scrutinio segreto dovrebbe avvenire sempre a scrutinio palese, pena una inaccettabile duplicazione delle ragioni poste a
sostegno del voto segreto40; diversamente, essa è chiaramente in contrasto con l’art. 49.1-quater secondo cui «la votazione finale delle
leggi avviene a scrutinio palese, salvo i casi previsti dal comma 1…».
Anziché tentare di mutarne l’interpretazione, si è puntato piuttosto sulla modifica della normativa regolamentare in tema di voto
segreto. Ma si è trattato di iniziative sporadiche di singoli parlamentari, prive di seguito, a conferma del sostanziale consenso che circonda la disciplina vigente.
Così al Senato, nella XIV legislatura l’unica proposta di modifica dell’art. 113 del regolamento in materia di voto segreto è stata
presentata dalla senatrice Alberti Casellati (Forza Italia)41, con l’intento di restringere lo scrutinio segreto ai soli casi in cui esso è
obbligatorio, e cioè le votazioni riguardanti persone e le elezioni
mediante schede, eliminando per il resto tutti i casi in cui oggi è possibile richiederlo. Tale proposta, pur appoggiata dal partito di appartenenza42, non è stata nemmeno discussa in Giunta per il regolamento, nonostante fosse funzionale all’interesse dell’allora maggioranza di centro destra ad estendere l’area del voto palese così da
potersi difendere innanzi tutto da quella che la stessa proponente definiva «opposizione incorporata».
Parimenti una soltanto è stata la proposta di modifica regolamentare presentata alla Camera nella XIV legislatura. Al contrario di
quanto avvenuto al Senato, essa è stata presentata da un deputato
dell’opposizione (l’on. Pisicchio, allora appartenente al gruppo La
Margherita), con l’opposto intento di allargare l’area dello scrutinio
segreto, prevedendo che esso potesse essere sempre richiesto per
qualunque votazione43. Anche questa proposta non è stata nemmeno
discussa dalla Giunta per il regolamento.
40 V. quanto dichiarato dal deputato Cristaldi nella seduta del 7 febbraio 2002
della Giunta per il regolamento.
41 Doc. II, n. 13 comunicato alla Presidenza il 4 dicembre 2003. Tale proposta è
stata ripresentata dalla stessa senatrice nella XV legislatura (doc. II, n. 2 comunicato alla
Presidenza l’11 maggio 2006).
42 V. in tal senso le dichiarazioni dell’on. Vito nella seduta della Giunta per il regolamento della Camera del 7 febbraio 2002.
43 Doc. II, n. 5, presentato il 12 giugno 2002 e ripresentato nell’attuale XV legislatura (doc. II, n. 4, presentato il 10 gennaio 2007).
SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO
6.
273
Le principali questioni applicative.
Sotto il profilo strettamente applicativo, non si registrano novità
significative. Il che conferma come gli indirizzi interpretativi siano
ormai consolidati e costituiscano un solido punto di riferimento per
la giurisprudenza dei Presidenti delle due camere. Ciò non significa,
ovviamente, che non vi siano stati tentativi di profittare della portata
innovativa della questione insorta per cercare ora di ampliare ora di
restringere l’area di applicazione del voto segreto. Ma è pur vero che
tali tentativi si sono quasi sempre infranti contro il muro dei precedenti costruito in questi ultimi venti anni.
Così, per quanto riguarda le votazioni su persone e le elezioni, è
stato ribadito l’orientamento44 per cui al voto segreto – obbligatorio
in entrambe le camere – deve ricorrersi quando il nesso tra voto e
persona è diretto ed immediato. Tale presupposto è in re ipsa
quando si tratti di elezioni (alle quali, al contrario dell’art. 113.3 RS,
l’art. 49.1 RC non fa espresso riferimento) e nomine45, pareri su
nomine46 o dimissioni; non ricorre invece quando si tratti di votare provvedimenti legislativi sulla titolarità di cariche pubbliche47 o
44 Cfr. S. CURRERI, Il voto segreto tra questioni applicative e prospettive di riforma,
in Rass. parlam., 2000, 1, 151 ss.
45 A scrutinio segreto pertanto si eleggono il Presidente ed i membri dell’Ufficio
di Presidenza di ciascuna Camera; i membri effettivi e supplenti della Commissione parlamentare per i procedimenti d’accusa; i membri effettivi e supplenti della delegazione
italiana alle Assemblee del Consiglio d’Europa e dell’Unione dell’Europa occidentale; i
membri effettivi e supplenti della Commissione di vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti e sugli Istituti di previdenza; i componenti la Commissione per la vigilanza sull’Istituto di emissione e sulla circolazione dei biglietti di banca; i componenti la Commissione per la vigilanza sull’amministrazione del debito pubblico; i componenti dell’Autorità di garanzia per la tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei
dati personali; i componenti dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni; i membri
del Consiglio di Presidenza di Giustizia Tributaria; i membri del Consiglio di Presidenza
della giustizia amministrativa.
46 È appena il caso di ricordare che, rispetto al passato, l’introduzione del voto segreto obbligatorio sui pareri parlamentari sulle proposte di nomine che per legge il Governo è tenuto a chiedere alle camere ai sensi della legge n. 14/1978 costringe la Commissione competente ad essere in numero legale.
47 In forza di tale distinzione nella seduta dell’8 febbraio 2005 il Presidente della
Camera ha respinto la richiesta del deputato Boccia (Margherita) di votare a scrutinio
segreto due emendamenti soppressivi dell’art. 2 del decreto legge n. 314 del 2004 (A.C.
5521, recante Proroga di termini, poi legge n. 262/2005). Secondo il richiedente, infatti,
274
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
atti di indirizzo al governo48 in cui il riferimento alla qualità delle
persone destinate pro tempore a ricoprirle rimane comunque indiretto, accessorio ed eventuale. Non si deve, pertanto, votare a scrutinio segreto quanto riguardi la titolarità di un ufficio sol perché
da esso possano indirettamente derivare conseguenze sulla persona
che lo ricopre. Diversamente, del resto, si avrebbe un’estensione dell’area dello scrutinio segreto obbligatorio dalla «persona» al «personale».
Sotto questo profilo la diversa formulazione dell’art. 113.3 RS
(«votazioni comunque riguardanti persone») rispetto all’art. 49.1 RC
(«votazioni riguardanti le persone»), come tale suscettibile di una interpretazione più ampia, non sembra essere la causa delle differenti
opzioni interpretative a suo tempo segnalate49 e che tuttora permangono fra le due camere in tema di votazioni sulle materie di cui agli
artt. 68 e 96 Cost.: essa va piuttosto cercata nella diversa impostazione data al rapporto tra profilo funzionale e profilo personale.
Così sulle autorizzazioni a procedere in giudizio per reati ministeriali (doc. IV-bis) la Camera, quando necessario50, continua a votare a scrutinio segreto, ritenendo prevalente l’elemento personale51,
considerato invece secondario dal Senato, ove all’opposto si vota a
tale disposizione, nel fissare a 72 anni il limite di età oltre cui un magistrato non può essere preposto alla Direzione nazionale antimafia, mirava in realtà ad escludere da tale incarico una specifica persona (il procuratore della Repubblica Caselli); v. R. DI CESARE,
Ai fini dell’applicabilità del voto segreto, è votazione riguardante persone quella su una disposizione che ha un solo destinatario?, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, 20
aprile 2005. Analogamente è stata respinta la richiesta di voto segreto sull’art. 28 della
poi legge n. 262/2005 Riforma della vigilanza sulle assicurazioni e sui fondi pensione, poiché la disciplina in essa contenuta circa la durata della carica di Governatore della
Banca d’Italia assumeva una valenza generale ed astratta rispetto alla quale le conseguenze sul titolare pro tempore assumevano un rilievo affatto accessorio.
48 Cfr. da ultimo il precedente relativo alle mozioni Violante ed altri n. 1-00043 e
Cicchitto ed altri n. 1-00046 concernenti l’ufficio europeo per la lotta antifrode
(OLAF), discusse nelle sedute della Camera del 28 e 30 gennaio 2002.
49 Cfr. S. CURRERI, Il voto segreto, cit., 155 ss.
50 Ai sensi dell’articolo 18-ter. 8 RC la proposta della Giunta di concedere l’autorizzazione s’intende accettata se non sono state formulate, e poi approvate, proposte diverse; così, ad esempio, la Camera, nella seduta dell’8 febbraio 2006, approvò la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell’allora ministro delle politiche agricole Alemanno (doc. IV-bis, n. 1-A).
51 Cfr. la seduta della Camera del 15 aprile 1998 sulla richiesta di autorizzazione a
procedere nei confronti dell’allora ministro della sanità Bindi (doc. IV-bis 2-A).
SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO
275
scrutinio palese mediante votazione nominale con procedimento
elettronico52.
Ugualmente diverso, ma in senso opposto, è l’orientamento
delle due camere sulle deliberazioni in materia di insindacabilità ex
art. 68.1 Cost. (doc. IV-ter): alla Camera si vota a scrutinio palese
(anche per alzata di mano), considerandosi preminente il profilo funzionale della guarentigia parlamentare su quello personale; al Senato,
invece, per le ragioni opposte si vota a scrutinio segreto mediante
procedimento elettronico senza registrazione dei nomi53.
La prevalenza alla Camera del profilo funzionale anche nelle
«votazioni in materia di verifica del poteri, ineleggibilità, incompatibilità e decadenza» trova espressa conferma nell’art. 2.2 del regolamento della Giunta delle elezioni della Camera, approvato il 6
ottobre 1998, secondo cui esse «non costituiscono votazioni riguardanti persone ai sensi dell’articolo 49, comma 1, del Regolamento
della Camera». Infatti, le deliberazioni riguardanti la regolarità dei titoli di ammissione e la sussistenza di cause d’ineleggibilità o incompatibilità ai fini del mantenimento dello status di deputato (doc. III
e III-bis), ancor prima che sulla persona del deputato, sono considerate incidenti sulla regolare composizione del plenum. Tale orientamento, ribadito nella seduta della Giunta per il regolamento della
Camera del 6 giugno 2007 alla luce delle norme regolamentari, dei
precedenti e delle interpretazioni assunte dalla Presidenza in materia
di scrutinio segreto, è ormai così consolidato che quanti ritengono
invece trattarsi «evidentemente di votazioni riguardanti persone»,
come tali da sottoporre obbligatoriamente allo scrutinio segreto, si
sono risolti a presentare un’apposita proposta di modifica regolamentare54.
Questa proposta può trarre conforto dalla prassi seguita al Senato dove, al contrario della Camera, vengono considerate votazioni
su persone, e come tali effettuate obbligatoriamente a scrutinio segreto, le deliberazioni riguardanti elezioni contestate ed in materia di
52 Così infatti nella seduta del 14 febbraio 2007 è stata negata l’autorizzazione a
procedere nei confronti dell’ex ministro della giustizia Castelli (doc. IV-bis n. 2).
53 V. ad esempio le sedute del Senato del 30 gennaio 2007 e della Camera del successivo 7 febbraio.
54 V. la proposta di modifica al regolamento (doc. II, n. 7) presentata il 6 giugno
2007 dai deputati Leone e La Loggia (entrambi di Forza Italia).
276
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
ineleggibilità, originaria o sopravvenuta, e di incompatibilità (art.
135-ter RS)55.
A fronte di simili non lievi divergenze, appare significativo invece l’indirizzo concorde di Camera e Senato sulle richieste di autorizzazione a procedere di cui al secondo e terzo comma dell’art. 68
Cost. In entrambe le Camere, infatti, il voto segreto continua ad essere facoltativo e non obbligatorio poiché si tratta di votazioni non su
persone ma su provvedimenti limitativi delle libertà di cui agli articoli
13 e seguenti della Costituzione (arresto e altri atti privativi della libertà personale, perquisizioni personali e domiciliari, intercettazioni
di conversazioni e comunicazioni, sequestro di corrispondenza)56.
Circa le votazioni sugli altri diritti costituzionali di libertà, non
si registrano novità di rilievo. Come in passato, il problema delle modalità di voto sulla libertà di manifestazione del pensiero e di stampa
ex art. 21 Cost. si è posto in relazione ai provvedimenti riguardanti
l’informazione ed il sistema radiotelevisivo. Al Senato, come detto,
tali votazioni hanno costituito la gran parte delle votazioni a scrutinio segreto.
Alla Camera, il Presidente ha ribadito l’indirizzo precedente in
base al quale non può ammettersi il voto segreto sulle disposizioni
aventi contenuto procedurale o organizzatorio, come tali non direttamente o immediatamente incisive sui principi e i diritti di libertà di
cui all’art. 49 RC (così in occasione della discussione della legge n.
112/2004 c.d. legge Gasparri)57. Piuttosto il giudizio dei Presidenti
delle Camere sulla prevalenza o meno di tali disposizioni ai fini del
carattere complessivo del provvedimento è stato decisivo ai fini dell’accoglimento o meno della richiesta di voto finale segreto58. In particolare, sul voto finale della c.d. legge Gasparri, i Presidenti sono
pervenuti a conclusione opposte: alla Camera, infatti, le due votazioni
55 Ad esempio nella seduta del 6 febbraio 2003 il Senato ha approvato a scrutinio
segreto la proposta di annullamento dell’elezione del sen. Magri (doc. III, n. 1).
56 V. le sedute del 6 maggio 1993 e del 7 marzo 2002 della Giunta per il regolamento rispettivamente di Senato e Camera.
57 V. sedute Camera dell’1 e 2 aprile e dell’1 e 2 ottobre 2003.
58 Per tali motivi il Presidente della Camera, nella seduta del 17 febbraio 2004,
non ha accolto la richiesta di voto finale segreto sul disegno di legge di conversione, con
modificazioni, del decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 352, recante disposizioni urgenti
concernenti modalità di definitiva cessazione del regime transitorio della legge 31 luglio
1997, n. 249 (c.d. decreto Retequattro).
SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO
277
finali a cui tale legge è stata sottoposta (la seconda dopo il rinvio del
testo da parte del Presidente della Repubblica) si sono svolte a scrutinio segreto (v. sedute del 2 aprile e 2 ottobre 2003); al Senato, all’opposto, a scrutinio palese, nonostante numerose siano state le votazioni
segrete (v. sedute del 22 luglio e 2 dicembre 2003). Pare evidente che
una così radicalmente diversa valutazione su un identico testo sia difficilmente riconducibile ai differenti criteri della «stretta attinenza» e
della «prevalenza» cui in tali casi i Presidenti delle due Camere devono ispirarsi ai sensi rispettivamente degli artt. 49.1-quinquies RC e
113.7 RS. Essa appare frutto di quell’ineliminabile margine di discrezionalità e di elasticità cui il Presidente è chiamato nel valutare la finalità primaria di un progetto di legge dal contenuto disomogeneo,
come tale solo in parte riconducibile ai principi e diritti di libertà per
i quali si può chiedere lo scrutinio segreto. Ai fini dell’ammissibilità
del voto finale segreto, infatti, il giudizio del Presidente non può che
fondarsi su una ponderazione non meramente quantitativa ma anche,
e soprattutto, qualitativa dei vari aspetti del provvedimento in votazione e delle sue preminenti finalità59.
In questa prospettiva rimane ancora impregiudicata la questione
circa l’ammissibilità del voto segreto sulle leggi costituzionali che incidono sui diritti e libertà su cui per regolamento è possibile chiedere il voto segreto, nonostante si sia avuta l’occasione per chiarirla.
Complice il consenso quasi unanime che circondava la proposta, il
voto segreto non è stato chiesto sulla proposta di legge costituzionale
che ha abolito la pena di morte anche in tempo di guerra, modificando un articolo – il 27 Cost. – espressamente richiamato dagli articoli 49.1 RC e 113.4 RS60.
Piuttosto, per quanto riguarda il voto sulle leggi ordinarie relative agli organi costituzionali dello Stato e delle regioni, il Presidente
della Camera, facendo seguito a quanto stabilito nelle sedute della
Giunta per il regolamento del 25 febbraio e del 7 marzo 2002, l’11
febbraio 2004 non ha accolto la richiesta di voto finale a scrutinio
59 V. quanto dichiarato dal Presidente della Camera nella seduta del 25 settembre
2002 durante la discussione del disegno di legge Modifica degli articoli 45, 46, 47, 48 e
49 del codice di procedura penale, c.d. «Legge sul legittimo sospetto» o «Legge Cirami»
(poi legge n. 248/2002); v. inoltre S. CURRERI, Il voto segreto, cit., 149 ss.
60 Si è votato, invece, per appello nominale sia alla Camera (sedute del 10 ottobre
2006 e del 2 maggio 2007) che al Senato (sedute del 7 marzo e 25 settembre 2007).
278
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
segreto sulle norme di attuazione dell’art. 87 Cost. in materia di concessione della grazia. Egli ha, infatti, ritenuto che quel provvedimento avesse un contenuto prevalentemente procedurale e organizzatorio, senza riguardare la posizione del Presidente della Repubblica, o regolarne l’esercizio dei poteri costituzionali, o incidere sulle
caratteristiche dell’istituto della grazia.
In precedenza, nella citata seduta del 25 febbraio 2002 il Presidente aveva escluso, ai fini dell’applicazione del contingentamento
dei tempi ai sensi dell’art. 24.12 RC, che il disegno di legge sui conflitti di interesse contenesse disposizioni assoggettabili allo scrutinio
segreto, perché, oltreché non incidere su alcuno dei diritti costituzionali richiamati dall’articolo 49.1 RC, non poteva qualificarsi come
legge ordinaria relativa agli organi costituzionali dello Stato o delle
regioni, riguardando esso non le caratteristiche strutturali e funzionali degli organi di Governo, bensì la posizione soggettiva dei titolari
di vari organi pubblici, e, in particolare, situazioni e obblighi di comportamento delle persone fisiche titolari delle cariche di governo.
Tra le leggi ordinarie costituzionalmente rilevanti (o materialmente costituzionali), una considerazione a sé stante meritano le leggi
elettorali su cui, com’è noto, solo alla Camera può richiedersi il voto
segreto (art. 49.1). Su questa materia si registra un’ulteriore stretta
interpretativa. In precedenza, infatti, nell’ambito del sistema elettorale, il voto segreto veniva ammesso solo sulle disposizioni riguardanti il procedimento elettorale e la trasformazione dei voti in seggi
(formula elettorale). Così, in occasione dell’esame del disegno di
legge sul voto dei cittadini italiani residenti all’estero (oggi legge n.
459/2001), il Presidente della Camera nella seduta del 20 novembre
2001 aveva ammesso la richiesta di voto segreto sulla disposizione
avente per oggetto la disciplina della fase di presentazione dei contrassegni e delle liste per l’attribuzione dei seggi da assegnare nella
circoscrizione Estero; l’aveva invece respinta sugli emendamenti riferiti a disposizioni riguardanti l’elettorato passivo. Nella seduta della
Giunta per il regolamento della Camera del 7 marzo 2002 si è però
stabilito che, ai fini della richiesta del voto segreto, per «legge elettorale» s’intendono solo «le norme che riguardano il meccanismo di
trasformazione dei voti in seggi», con l’esclusione «in ogni caso» di
«tutte le altre norme, comprese quelle di carattere organizzativo,
quelle che attengono alla presentazione delle candidature» – inciso
SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO
279
non presente nei criteri interpretativi formulati dal Presidente nella
precedente seduta del 7 febbraio – «e quelle che riguardano fasi del
procedimento elettorale che di per sé non concorrono a definire le
caratteristiche essenziali del sistema elettorale medesimo».
Tale indirizzo interpretativo ha trovato un impegnativo banco di
prova alla Camera nel 2005 in occasione dell’approvazione del disegno di legge contenente «Modifiche alle norme per l’elezione della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica» (legge n. 270/
2005)61. Da segnalare, al riguardo, che le opposizioni hanno chiesto
ed ottenuto dal Presidente il voto finale a scrutinio segreto, per cercare ovviamente di mettere in crisi la maggioranza; nel contempo,
però, esse hanno deciso di non partecipare al voto, sia per manifestare nel modo più radicale il loro dissenso dal progetto di riforma
elettorale sia per evitare che il voto segreto potesse essere sfruttato
dalle forze politiche di opposizione favorevoli al ritorno alla proporzionale.
Per quanto riguarda l’applicazione del voto segreto sulle deliberazioni non legislative, continua ad essere assolutamente pacifica l’assimilazione delle votazioni sulle questioni pregiudiziali (di costituzionalità o di merito) a quelle finali in forza dell’eguale valore conclusivo. Il che porta il Presidente già in questa sede ad anticipare il
giudizio, ai fini della votazione finale, della prevalenza degli aspetti su
cui è possibile chiedere lo scrutinio segreto62. Piuttosto il voto segreto
non è ammesso sulle questioni sospensive poiché la loro approvazione
«non costituisce una decisione normativa, non determinando effetti
sull’ordinamento né incidendo, in alcun modo, sul merito del provvedimento. La questione sospensiva, a differenza della pregiudiziale, incide sull’iter del progetto di legge che mira a sospendere, ma non
comporta, in sé, conseguenze sul merito dello stesso»63. Rispetto a tali
61 Durante la discussione alla Camera, svoltasi dall’11 al 13 ottobre 2005, ben 104
sono state le votazioni segrete (compreso il voto finale) su un totale di 202. Al Senato si
è votato a scrutinio segreto su alcuni emendamenti riguardanti le minoranze linguistiche, rientranti perciò nelle deroghe di cui all’art. 113, comma 4 del regolamento (4 su
151 nella seduta del 30 novembre 2005).
62 Così, ad esempio, nella seduta del 25 settembre 2002 la Camera ha respinto a
scrutinio segreto le due questioni pregiudiziali di costituzionalità presentate in relazione
alla legge c.d. sul legittimo sospetto (poi legge n. 248/2002).
63 Così il Presidente della Camera nella seduta del 25 settembre 2002; v. anche la
seduta dell’11 febbraio 2004.
280
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
conclusioni, una valutazione a parte meriterebbero le questioni sospensive sine die poiché esse potrebbero per loro natura comportare
la definitiva reiezione di quanto oggetto del voto.
Circa invece gli atti di indirizzo al governo, il Presidente della
Camera, nelle citata seduta della Giunta per il regolamento del 7
marzo 2007, ha escluso il voto segreto perché tali atti non possono
per loro natura produrre effetti sui principi e sui diritti costituzionali
di cui all’art. 49.1 RC.
Infine, nonostante i dubbi di parte della dottrina64, ormai consolidata appare la giurisprudenza presidenziale sull’ammissione della
questione di fiducia nelle materie in cui il voto segreto è facoltativo,
e non obbligatorio, dato che l’art. 116.4 R.C., con formula assai
chiara espressamente vieta di porla «su tutti quegli argomenti per i
quali il Regolamento prescrive votazioni per alzata di mano o per
scrutinio segreto»65.
7.
La prevalenza del voto palese e la forma di governo nella transizione e oltre.
Nella perdurante impossibilità di incidere per via costituzionale
sulla forma di governo, i tentativi di riforma sono stati condotti in
Italia negli anni Novanta per il tramite della modifica dei sistemi
elettorali. Non è stata tanto questione di scelta quanto di mancanza
di autentiche alternative, nonché – da parte dei dirigenti dei partiti –
della necessità di fare i conti con la spinta, in alcuni anni poderosa,
che proveniva da una parte inizialmente minoritaria della leadership
politica, interprete di una società che cercava vie d’uscita a sempre
più difficilmente tollerabili inefficienze sistemiche (messe in evidenza
fra l’altro dalla sfida europea e subite con sofferenza soprattutto nel
Nord del paese).
A ben vedere, la strategia referendaria altro non fu che il tentativo di introdurre quelle forme di maggioritarismo di composizione o
strutturale che i partiti politici dell’epoca non erano disposti a ri64 Cfr. A. MANZELLA, Il Parlamento, Bologna, Mulino, 2003, 292 e L. BIANCHI, La
riforma dei sistemi di votazione delle Camere alla prova: il caso della legge 6 agosto 1990,
n. 223, in Politica del diritto, anno XXV, 1994, 175.
65 V. la dichiarazione del Presidente della Camera nella seduta del 24 novembre
2004.
SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO
281
schiare, preferendo la reciproca polizza d’assicurazione della proporzionale che, oltretutto, permetteva loro di negoziare appena condizionati dal voto fra un’elezione e l’altra.
A partire dalla legge 81/1993, che introdusse l’elezione diretta
dei vertici esecutivi degli enti locali, attraverso le due leggi elettorali
per Senato e Camera 276 e 277/1993, la legge elettorale regionale
43/1995, completata dall’art. 5 della l. cost. 1/1999, per finire con la
legge per l’elezione delle due Camere 270/2005, a tutti i livelli di governo, europeo escluso, dosi di maggioritarismo strutturale hanno
modificato incisivamente la forma di governo: vuoi in via diretta, a livello locale e regionale, vuoi in via sia indiretta sia semi-diretta a livello nazionale (causa la perdurante incapacità di agire sul titolo II
della Costituzione).
Le forme di governo della transizione italiana, come sono state
definite66, hanno tutte avuto la caratteristica comune di perseguire
l’introduzione di forme di investitura diretta (a) di esecutivi dotati,
grazie a un surplus di seggi a vantaggio dei vincitori (il premio), di
maggioranza garantita nell’assemblea (b), cui si univa (c) la garanzia
di un ampio pluralismo rappresentativo, nella stessa assemblea,
spinto fino alla frammentazione (che, contrariamente a ciò che talvolta si legge, mai fu contrastata: anzi, lo scambio fu proprio elezione
diretta contro virtuale abolizione di qualsiasi sbarramento). Sotto questo aspetto si comprende perché Roberto D’Alimonte, ad esempio,
consideri più in linea con le altre leggi la pur vituperata legge
270/2005, rispetto alle due leggi del 1993, che perseguivano obiettivi
analoghi, ma per il tramite di quei tre quarti di seggi uninominali che
le caratterizzavano.
Stando così le cose, tuttavia, se una buona dose di stabilità è
stata finalmente assicurata ai livelli sub-statali, più faticosa e inconclusa è risultata la transizione a livello nazionale. Qui la legislazione
elettorale del 1993 aveva prodotto in poche tornate elettorali la trasformazione della struttura della competizione partitica in competizione bipolare e di conseguenza aveva anche dato luogo a forme periodiche di alternativa, prima approssimative (1994), poi ben definite
66 V.
C. FUSARO, in A. CHIARAMONTE E R. D’ALIMONTE (A CURA DI), Il maggioritario
regionale, Bologna, Mulino, 2000, 49-53 e, recentemente, R. D’ALIMONTE, in R. D’ALIMONTE e A. CHIARAMONTE (a cura di), Proporzionale ma non solo, Bologna, Mulino,
2007, 59-66.
282
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
(1996, e soprattutto 2001), ma solo nella XIV legislatura (2001-2006)
con maggioranze sufficientemente larghe.
L’entità del margine di seggi a vantaggio di una maggioranza
deve essere valutata alla stregua delle tradizioni e del costume politico del sistema considerato. Nel nostro ordinamento, l’antica prevalenza del voto segreto e un’interpretazione per nulla matura della democrazia parlamentare hanno sempre costretto le maggioranze (fino
ad anni recenti non direttamente legittimate dal corpo elettorale e
alla mercé di una costante competizione esterna ed interna ad una
larga pluralità di partiti spesso tutti determinanti) a dimostrarsi tali
in permanenza, seduta dopo seduta, in ciascuna delle due Camere67.
Per questo, per dirla così, non si è mai affermata l’abitudine a governare con pochi voti di maggioranza e sono sempre state necessarie
maggioranze consistenti (solo così a prova di «franchi tiratori», finché il voto segreto fu la norma, e, dopo, a prova di dissenzienti):
tutto ciò aggravato dal 1992 in poi, appunto, dalla grave crisi del sistema politico-istituzionale e dal crollo del sistema partitico che si
era consolidato dal 1948 in poi, con i fenomeni di transfughismo di
cui s’è detto e il lungo terremoto, con scosse di assestamento durate
anni, che ha portato alla nascita, alla morte e alla risurrezione senza
posa di partiti, gruppi e componenti parlamentari.
In questo quadro è lecito ritenere che la riforma che ha introdotto l’ordinaria prevalenza ed anche – per la materia finanziaria –
l’obbligo del voto palese abbia concorso in maniera decisiva a tamponare certi fenomeni e a ridimensionare una tendenziale instabilità
che avrebbe probabilmente reso le legislature dalla XII in poi ancora
più critiche di quanto siano state, e la governabilità letteralmente impossibile. Pensiamo in particolare alla XIII legislatura, e, ancor di
67 Non
solo ignota ma neppure immaginabile, in Italia a tutt’oggi, la prassi anglosassone del pairing of members, in base alla quale ci si preoccupa, anche da parte dell’opposizione, di neutralizzare l’incidenza di eventuali assenze che possano alterare gli
equilibri emersi in occasione delle elezioni, v. P. MASSA, Parlamentarismo razionalizzato e
procedura parlamentare. Lineamenti di diritto parlamentare comparato, Milano, Giuffrè,
2003, 59. Da noi, al contrario, si è sin qui concepita l’opposizione in Parlamento soprattutto come guerriglia spesso anche ostruzionistica volta a fare dispetti e sgambetti al
governo e alla maggioranza: per cui mettere sotto il governo in una pur marginalissima
votazione, vale titoli sui giornali e spazio televisivo, assai più che non presentare serie e
meditate proposte alternative denunciando perché quelle governative sarebbero sbagliate.
SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO
283
più alla breve XV. Il calvario in Senato del governo Prodi II è stato
indubbiamente penoso, continuamente costellato da votazioni in
grado di mettere a repentaglio la vita di un governo che, alla fine,
non ha più retto: nondimeno, va notato che il governo Prodi nel gennaio 2008 è caduto (così come era successo al I governo Prodi, alla
fine del 1998) a seguito della più trasparente delle decisioni parlamentari, assunta per appello nominale. Diversamente, esso è stato in
grado di varare due complesse leggi finanziarie nonché altri provvedimenti, arrivando a durare 20 mesi e 618 giorni, risultando alla fine,
chi l’avrebbe pensato, il settimo per durata su tutti i cinquantanove
governi dell’epoca repubblicana68.
Si deve escludere che il governo Prodi II avrebbe potuto durare
così a lungo con i regolamenti parlamentari del 1971, o anche con
quelli in vigore prima della riforma del 1988: o forse un simile governo neppure sarebbe nato. Resta il fatto che, da un lato l’immagine
di precarietà che la maggioranza composita che ha caratterizzato la
XV legislatura ha lasciato si deve anche alle più accentuate aspettative che – legittimamente – sono ormai presenti nell’opinione pubblica anche qualificata (diversamente da un passato pur recente che,
a leggere certi giudizi, pare rimosso), dall’altro lo spazio di manovra
di guastatori parlamentari che non sono certo meno spregiudicati di
quelli del passato si è fatto davvero ridotto. Al di là di giudizi sommari, ne ha fortemente guadagnato la trasparenza e la responsabilità
di singoli, fazioni, correnti, gruppi e partiti. Di imboscate parlamentari i governi non muoiono più; chi vuole minarne capacità realizzativa e durata difficilmente può farlo senza assumerne la responsabilità.
Due parole, per concludere, sul futuro che i modi di votazione
in Parlamento hanno davanti. Già qualche anno fa, riflettendo sulle
vicende del ridimensionamento del voto segreto, si scrisse che opportuno sarebbe sembrato completare la riforma e abolire senz’altro
– ad eccezione delle elezioni e dei voti sulle persone, ovviamente – la
possibilità stessa che i rappresentanti eletti dai cittadini possano vo68 La
maggior stabilità degli anni dal 1994 al 2008 è confermata dalla media di durata degli otto governi che si sono succeduti, pari alla durata del governo Prodi II, ventun mesi. La durata media totale in epoca repubblicana è fra i dodici e i tredici mesi, ma
per il periodo dal 1946 al 1994 è appena oltre gli undici mesi.
284
IL FILANGIERI - QUADERNO 2007
tare in incognito (così come è in quasi tutte le assemblee rappresentative substatali e di altri ordinamenti)69: opportuno per ragioni etiche e politiche, opportuno per non lasciare, con la possibilità di voto
segreto, aree politicamente franche, opportuno per rafforzare un’interpretazione maggioritaria propria di una democrazia che aspira a
considerarsi compiuta.
Ebbene, a meno di tre anni dalla riforma elettorale (la criticatissima legge 270/200570), dopo che la XV legislatura ha largamente dimostrato quanto fossero fondate certe preoccupazioni (prima fra
tutte che essa, ancorché maggioritaria plurinominale alla Camera,
avrebbe prodotto difficile governabilità, a causa del modo come i
premi sono assegnati al Senato, e, soprattutto, avrebbe incentivato la
frammentazione al di là di quanto il sistema potesse sopportare), grazie all’iniziativa dei nuovi referendum elettorali, dichiarati ammissibili dalla Corte costituzionale il 16 gennaio 2008 e grazie al nuovo
grado di maturazione raggiunto dalle maggiori forze politiche, ci si
avvicina a nuove elezioni, quelle per il Parlamento della XVI legislatura, in un contesto di rapporti politici assai diverso da quello degli
ultimi 15 anni. Per la prima volta dall’avvento della transizione e
dalla sperimentazione di logiche maggioritarie, sembra affermarsi la
consapevolezza che, ragionevolmente consolidato il maggioritarismo
funzionale, il più recente maggioritarismo di composizione non può
essere interpretato, ignorando la necessità di dar vita a qualcosa che
davvero somigli al governo di partito: dovendosi intendere per tale
quello che fonda il governo su una sola forza politica o, almeno, su
limitate coalizioni programmaticamente e idealmente omogenee. Ci
si è resi conto, in altre parole, che, tramontata dai primi anni Novanta l’epoca della ingovernabilità da instabilità cronica (con coalizioni poco omogenee), si era passati nel quindicennio successivo ad
una governabilità più stabile ma comunque impotente (per eccesso
di frammentazione di coalizioni costruite per vincere, più che per governare): di qui il tentativo di ridisegnare formato e struttura del sistema partitico in modo da offrire, invece, all’elettore alternative in69 V. S. CURRERI, Il voto segreto tra questioni applicative, cit., 204 e S. CURRERI, Il
voto segreto: uso, abuso, eccezione, in Storia d’Italia. Annali 17. Il Parlamento, a cura di
L. VIOLANTE con F. PIAZZA, Torino, Einaudi, 2001, 542.
70 V. per esempio i saggi contenuti nel volume collettaneo R. D’ALIMONTE e A.
CHIARAMONTE, Proporzionale ma non solo, Bologna, Mulino, 2007.
SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO
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ternamente più omogenee e apertamente gerarchizzate a vantaggio di
un principale partito di riferimento e del suo leader71.
Gli anni a venire diranno se questo tentativo avrà avuto successo. Fosse così, anche solo in parte, coerenti riforme legislative e
regolamentari, nonché limitate, ma incisive, riforme costituzionali,
certamente dovranno seguire. Fra le riforme regolamentari, la definitiva abolizione del voto segreto potrebbe entrare nel novero delle
cose possibili e concrete: tanto più se davvero – in una fase intermedia di durata imprecisabile – si avranno gruppi parlamentari, come è
auspicabile e come ora si promette, corrispondenti alle liste ancora
pluripartitiche, presentate agli elettori. Per assicurare o favorire la
compattezza di gruppi parlamentari del genere, e per non ostacolare
la nascita, un giorno, anche di partiti che uniscano ciò che è ancora
diviso, il voto sempre e comunque palese potrebbe risultare strumento
necessario e prezioso.
71 Così
ci sembra si debbano leggere le vicende seguite alla caduta del II governo
Prodi e le elezioni del 13-14 aprile 2008: le quali dimostrano altresì che, al di là dei pregi
e dei difetti della legislazione elettorale, molto (anzi: il più) dipende dalle scelte dei partiti e dei loro leader.
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