Voto palese, voto segreto e forma di governo in trasformazione
by user
Comments
Transcript
Voto palese, voto segreto e forma di governo in trasformazione
Voto palese, voto segreto e forma di governo in trasformazione Salvatore Curreri - Carlo Fusaro SOMMARIO: 1. La prevalenza del voto segreto e la forma di governo fino alla transizione. – 2. Il voto segreto fino alla riforma regolamentare del 1988… – 3. Segue… – 4. Il ridimensionamento del voto segreto a vent’anni dalla riforma: l’esperienza più recente. – 5. L’area di applicazione del voto segreto: una questione superata. – 6. Le principali questioni applicative. – 7. La prevalenza del voto palese e la forma di governo nella transizione e oltre. 1. La prevalenza del voto segreto e la forma di governo fino alla transizione. Sono passati poco meno di vent’anni da quando, a conclusione di una dura battaglia parlamentare, a distanza di poche settimane l’uno dall’altro, i regolamenti delle due Camere del Parlamento italiano furono incisivamente modificati negli articoli riguardanti i modi di votazione così da restringere drasticamente l’applicazione del voto segreto e da escluderlo nel caso di deliberazioni aventi conseguenze finanziarie1. Gli Autori, in segno di amicizia e di stima, desiderano dedicare questo lavoro ad Armando Mannino che è stato loro vicino, in tempi diversi, agli inizi della vita accademica. Ricordano altresì il comune Maestro di diritto parlamentare, Silvano Tosi, del quale è appena trascorso il ventennale della scomparsa (1987-2007). Il saggio è frutto di uno sforzo comune, ma la stesura dei paragrafi 1, 2, 3 e 7 si deve a Carlo Fusaro; quella dei paragrafi 4, 5 e 6 a Salvatore Curreri. 1 L’art. 49 RC fu modificato il 13 ottobre 1988; l’art. 113 RS fu modificato il 24 e 30 novembre 1988. Si trattò di interventi coordinati, figli di una medesima strategia politico-istituzionale, quella delle forze politiche del c.d. pentapartito (Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli) e del finale «lodo Spadolini» (dal nome dello statista fiorentino repubblicano, allora presidente del Senato), che portò a una più marcata differenziazione fra le soluzioni – per il resto assai simili, eppur diverse – adottate nei due rami del Parlamento: in particolare, con la previsione secondo la quale il voto segreto avrebbe ancora potuto essere richiesto (prevalendo sullo scrutinio palese) per le leggi elettorali (una parziale polizza di assicurazione contro temuti interventi legislativi, considerati, in particolare ma non 244 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 Come conferma questo articolo si tratta di innovazioni ormai largamente sedimentate nel diritto parlamentare quale si presenta nel passaggio fra la breve XV legislatura e la successiva: chi volesse percorrere a ritroso la successione dei contributi dedicati nel tempo dalla dottrina e anche dagli editorialisti della stampa politica al tema del voto segreto in Parlamento, rileverebbe agevolmente che dopo un evidente picco di attenzione durato circa un decennio (diciamo dai primi anni Ottanta ai primi anni Novanta del secolo scorso), attenzione attestata dalla quantità e dalla qualità degli interventi, questi si sono andati rarefacendo in ambito scientifico, dando luogo ad alcune riflessioni più approfondite, di medio periodo, mentre sono del tutto scomparsi in ambito giornalistico2. Il tema, insomma, sembra «superato». In certo senso, per fortuna, lo è davvero, anche se, come vedremo, spazio vi sarebbe in teoria per portare a compimento il processo di riforma avviato 25 anni fa, e proprio nel torno di tempo in cui questo saggio viene scritto, sembrano profilarsi le condizioni politiche perché ciò divenga anche un’ipotesi concreta, nel quadro di una revisione regolamentare più ampia. Su questo torneremo alla fine. Ciò che val la pena rilevare è che se si riflette sulle trasformazioni del sistema politico-istituzionale che si sono succedute a partire da quando il tema delle riforme istituzionali entrò a far parte dell’asolo dall’opposizione dell’epoca, eversivi rispetto al sistema elettorale proporzionale allora vigente). Su questa vicenda v. G. MOSCHELLA, La riforma del voto segreto, Torino, Giappichelli, 1992; L. BIANCHI, La riforma dei sistemi di votazione delle Camere alla prova: il caso della legge 6 agosto 1990, n. 223, in Pol. dir., anno XXV, 151-178. A distanza di alcuni anni, in prospettiva più ampia, v. S. CURRERI, Il voto segreto nei rapporti tra maggioranza e opposizione, in S. LABRIOLA (a cura di), Il parlamento repubblicano (1948-1988), Milano, Giuffrè, 1999, 129-160. 2 Forse il primo saggio in materia era stato G. CONTINI, In tema di voto palese e segreto nelle assemblee legislative parlamentari e regionali, in Giur. it., fasc. 1, parte IV, 1976; poi V. DI CIOLO, Costituente e Costituzione: voto palese e voto segreto, in Civitas, fasc. 2-3, 1978; F. LANCHESTER, L’incidenza dei sistemi e dei modi di votazione nelle assemblee parlamentari, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 4, 1980; A. PALANZA, La questione del voto segreto, in Dem. dir., n. 6, 1982; L. ELIA, A proposito di «ridimensionamento» del voto segreto, in Scritti in onore di E. Tosato, Milano, Giuffrè, 1984; B. PEZZINI, La questione del voto segreto in parlamento, in Dir. soc., n. 1, 1985; A. CASU, Voto segreto e voto palese nei regolamenti parlamentari dal 1848 ai giorni nostri, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 2, 1986; F. SPARISCI, Il voto segreto dalla Costituente ai problemi di oggi, in Boll. inf. cost. e parlam., n. 3, 1987, 79-99. SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 245 genda politica del nostro paese, poche singole innovazioni hanno avuto tanta influenza e tanto successo quanto il complesso di modificazioni che hanno radicalmente cambiato i regolamenti parlamentari del 1971 e, prima di tutto, il drastico ridimensionamento del voto segreto. Ci sarebbe davvero da chiedersi quali ancor più ardue prove la democrazia italiana avrebbe dovuto affrontare negli anni della transizione se questa piccola grande riforma non fosse stata fatta: la domanda è naturalmente retorica, nel senso che per un verso essa ha in sé stessa la risposta, per un altro si potrebbe agevolmente argomentare che – non fosse stata fatta nel 1988 – la riforma del modo di votare da parte dei parlamentari si sarebbe comunque imposta a furor di popolo e di primarie emergenze sistemiche negli anni successivi. L’analisi dello stato dell’arte della questione voto palese – voto segreto condotta in questo articolo vuol essere funzionale rispetto ad alcune pur sintetiche riflessioni su come essa si inquadri nel più ampio contesto dei tentativi di rendere la forma di governo italiana meglio in grado di servire gli interessi di una comunità nazionale da un lato demograficamente invecchiata dall’altro costretta (suo malgrado, sembrerebbe, a volte) a misurarsi con sfide esterne (quella dell’Europa economicamente unificata prima, quella della globalizzazione planetaria oggi) che richiederebbero al tempo stesso ben altra dinamicità sistemica e ben altra capacità decisionale politica. Si tratta, dunque, di vedere i modi di votazione in Parlamento prima rispetto alla forma di governo italiana qual’era fino alla transizione degli anni Novanta, successivamente rispetto alla forma di governo quale appare oggi e nelle immediate prospettive. 2. Il voto segreto fino alla riforma regolamentare del 1988… L’obbligo di voto finale a scrutinio o a squittinio segreto, e più in generale la prevalenza della richiesta di voto segreto rispetto alle altre ha fatto saldamente parte del diritto costituzionale e parlamentare dell’Italia statutaria. In particolare la votazione finale segreta era prevista dall’art. 63 dello Statuto, benché di essa non vi fosse traccia nelle altre Carte fondamentali europee, e segnatamente in quelle francesi del 4 giugno 246 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 1814 e del 9 agosto 1830 e in quella belga del 7 febbraio 1831, alle quali pur lo Statuto si era principalmente ispirato ed ugualmente fondate sui principi della rappresentanza nazionale e del divieto di vincolo di mandato. Il che dimostra come sin da principio la preferenza per lo «squittinio segreto» trova fondamento non solo e non tanto nella difesa della libera rappresentanza parlamentare dal potere esecutivo – egualmente avvertita in altre carte, ottriate e no, ma non per questo tutelata mediante il voto segreto – quanto piuttosto nella connotazione atomistica del nostro sistema parlamentare, di cui favoriva, di conseguenza, l’evoluzione in senso assemblearista e trasformista. In questo senso si può dire che il voto segreto ha costituito una tara originaria della nostra forma di governo. Questo, pertanto, non poté non prevedere, quando ancora si parlava di Parlamento Subalpino, il primo Regolamento della Camera, approvato l’8 maggio 1848: era un testo considerato provvisorio, anche perché, dati i tempi ristretti, predisposto dal Governo presieduto da Cesare Balbo e modellato – com’era scontato – sul regolamento della Chambre dés Députes francese del 1839. All’art. 29 si prevedeva che «salvo il voto sulla legge intiera, il quale si fa sempre coll’appello nominale ed a scrutinio segreto, la Camera esprime la sua opinione per seduta e levata, a meno che dieci membri non dimandino l’appello nominale e ad alta voce, o lo scrutinio segreto». Tale disposizione sarebbe durata – in pratica – oltre 140 anni. Il successivo Regolamento del 1863, sempre provvisorio, confermò il medesimo testo (l’articolo era diventato il 31); nel 1868, quando un nuovo Regolamento provvisorio fu approvato, le modalità di votazione (ora disciplinate dall’art. 39), ebbero l’unica modificazione significativa: fu aumentato da dieci a venti il numero di deputati necessario per chiedere il voto segreto3. Infine, con la revisione del 17 aprile 1888 e il successivo testo coordinato dell’autunno 1888, le votazioni furono disciplinate dal nuovo art. 91, che confermava la sostanza del testo di venti anni prima e chiariva col suo comma 6 che «nel concorso di più domande, quella dello scrutinio 3 Il Regolamento approvato il 24 novembre 1868 all’art. 39 così recitava: «Il voto finale sulle proposte di legge si dà a squittinio segreto; gli altri voti si danno per alzata e seduta, tranne il caso che dieci deputati chiedano la divisione, o quindici il voto espresso, o venti lo squittinio segreto». SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 247 segreto prevale su tutte le altre…»4. La formulazione dell’art. 91 avrebbe superato tutte le principali revisioni regolamentari successive5 e, con la parentesi del Regolamento della Camera dei fasci e delle corporazioni, sarebbe sostanzialmente approdata, attraverso l’art. 52 del Regolamento della Consulta nazionale, attraverso l’Assemblea costituente che mutuò il Regolamento quale era stato in vigore fino alla vigilia della marcia su Roma (1922), attraverso l’art. 90 del Regolamento della Camera repubblicana che pure aveva mutuato il Regolamento della Camera pre-fascista6, negli artt. 49 e seguenti del capo X del Regolamento della Camera del 1971: in particolare era l’art. 51 a riprendere la formulazione del 1888. Le novità si riducevano all’aumento da venti a trenta del numero di deputati richiesto, alla previsione che la richiesta potesse essere avanzata anche da uno o più presidenti di Gruppi la cui consistenza numerica fosse appunto di almeno trenta deputati, alla previsione secondo la quale – diversamente da quanto prevedeva l’art. 49.3 – «normalmente» la votazione per scrutinio segreto avesse luogo mediante procedimento elettronico. Quanto al Senato, divenuto seconda camera dotata delle stesse attribuzioni della Camera dei deputati e di rappresentatività analoga, per quanto eletta da un corpo elettorale meno esteso, approvò un proprio regolamento originale, ma comunque ispirato al modello della camera pre-fascista. Va considerato, però, che nella tornata del 4 Secondo Tosi, che richiama il Brunialti, la prevalenza del voto segreto sarebbe stata voluta da Ruggero Bonghi in funzione anti-ostruzionistica, in particolare ad evitare la più lenta modalità per appello nominale con chiama e registrazione di come ogni deputato avesse votato: il voto segreto, infatti, consentiva di continuare la discussione, lasciando nel frattempo aperte le urne dove andavano depositate le palline. Cfr. S. TOSI, Diritto parlamentare, Milano, Giuffrè, 1974, 232. 5 Ci riferiamo a quelle antiostruzionismo del 3 aprile 1900, mai applicate; a quelle dell’1 luglio 1900 (art. 97); a quelle del 31 ottobre 1925 (art. 86); a quelle dell’1 maggio 1929 (art. 77). 6 Anche la prima Camera dei deputati decise di adottare il testo del 1920-22; poi, con delibera del 27 aprile 1949, la Camera affidò alla Giunta del Regolamento, presieduta da Giovanni Gronchi, il compito di adeguarlo al nuovo procedimento legislativo (con soppressione, perciò, dei procedimenti detti delle tre letture e degli uffici), nonché al testo della Costituzione. Il testo venne presentato il 24 ottobre 1949. Alla vigilia dell’approvazione del Regolamento del 1971, l’articolo sui modi di votazione era diventato l’art. 93. 248 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 1° luglio 1910 del Senato del Regno erano state già introdotte importanti modifiche che erano valse a differenziare la disciplina del voto nei due rami del Parlamento statutario: fu, infatti, stabilito che nel caso di richieste concorrenti, il voto per appello nominale prevalesse sul voto per divisione o a scrutinio segreto (articolo 56 RS), accogliendosi così in parte quelle voci isolate che si erano levate a favore del voto palese, stimato «atto che innalza, che onora, ed un dovere per coloro che deliberano e giudicano intorno alla cosa pubblica, siano in ufficio per voto di popolo o per volontà o scelta di principe»7. Nonostante quindi la loro natura non elettiva – o forse proprio in ragione di essa – i senatori avvertirono più dei deputati il dovere di rendere conto del proprio operato davanti al Paese8, recependo per primi quel processo di trasformazione politica che da lì a poco avrebbe trovato la sua naturale evoluzione nell’introduzione del suffragio universale maschile (1912), del sistema proporzionale (1919) e nella nascita dei partiti politici di massa. Nel regolamento del 1948 la disciplina della votazione si ritrovava negli artt. 76 e seguenti: il primo riproponeva sostanzialmente il modello Camera del 1888, incluso il numero di senatori la cui richiesta era necessaria (venti). Anche nel caso del Senato, il Regolamento del 1971 non cambiava sul punto che interessa, pur prevedendosi anche in questa camera il ricorso, per il voto segreto, al procedimento elettronico (art. 117 RS). Quest’ultima notazione non è marginale. Infatti, ad eccezione del voto finale che in epoca statutaria era, come abbiamo detto, obbligatorio, il ricorso al voto segreto era caduto praticamente in desuetudine fino al momento in cui, nello stupore generale, esso fu richiesto in Assemblea costituente a scopo sostanzialmente ostruzionistico: dovendosi allora votare col sistema della chiama e della deposizione delle palline (o pallottole o palle) bianche e nere, fre7 Dalla relazione del sen. Manfrin cit. da M. MANCINI, U. GALEOTTI, Norme ed usi del Parlamento italiano, Roma, 1887, 291. 8 «Se il Senato non ha responsabilità davanti agli elettori, l’ha intera e continua davanti al Paese, ed il voto per appello nominale serve spesse volte a contrapporre la qualità dei vinti contro il numero dei vincitori e dà luogo ad esprimere a ciascuno, che sente il proprio decoro, quelle virtuali incompatibilità, che non derivano dalla legge ma dal costume» (dalla relazione del sen. Manfrin cit. da V. MICELI, Principii di diritto costituzionale, II ed., Milano, 1913, 776 nt. 1). SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 249 quenti richieste di voto segreto erano destinate a rallentare il procedimento. Il ricorso alla forma elettronica avrebbe eliminato questo problema (indirettamente favorendo la moltiplicazione delle votazioni segrete). D’altra parte, la questione se mantenere in Costituzione l’obbligo di votazione segreta finale, già previsto dall’art. 63 St. Al. si pose in Assemblea costituente: ma la proposta di introdurre anche nella carta repubblicana quella disposizione fu messa ai voti senza risultare approvata. Ciò, anche alla luce di ciò che diremo, non può sorprendere dato che 100 anni non erano passati invano, e la Costituente era un’assemblea saldamente organizzata in gruppi parlamentari corrispondenti alle forze politiche che si erano affermate in Italia nella Resistenza prima e dopo l’8 settembre in forma pubblica mano a mano che il territorio nazionale veniva liberato dagli Alleati. Prevalse così l’opinione che la scelta sulle modalità di votazione dovesse essere rimessa ai regolamenti parlamentari. Piuttosto il costituente, attenendosi alla distinzione tra deliberazioni ed elezioni, preferì dettare una disciplina espressa solo per quelle materie – come quella fiduciaria per la quale l’articolo 94 Cost. prescrive il voto per appello nominale9 – riguardo alle quali giudicò gli obblighi di trasparenza e di responsabilità del parlamentare nei confronti del gruppo e del partito politico di appartenenza nonché, loro tramite, verso il corpo elettorale e l’opinione pubblica in generale, o – al contrario – le esigenze di segretezza a tutela della libertà di volizione dell’elettore, cittadino (articolo 48 Cost.) o parlamentare che fosse, in tal caso correlate alla garanzia di imparzialità dell’eletto, senza alcun vincolo di responsabilità10 a tal punto prevalenti da non consentire disciplina diversa. In conclusione, i costituenti mostrarono di non far proprio il pregiudizio costituzionale, si può ben dire, a favore della modalità di votazione segreta, vecchio quanto e più dello stesso ordinamento unitario. In realtà, come molti istituti affermatisi in un contesto radi9 Cfr. per tutti M. GALIZIA, Fiducia parlamentare, in Enc. dir., XVII, Milano, 1968, 413 e Lineamenti generali del rapporto di fiducia fra Parlamento e Governo, Milano, 1959, ripubblicato in Studi sui rapporti tra Parlamento e Governo, Milano, 1972, 463. 10 Elezione del presidente della Repubblica (art. 83 Cost.); elezione dei giudici costituzionali (art. 3 l. cost. 22 novembre 1967, n. 2) e dei membri del Consiglio superiore della magistratura (artt. 104 Cost. e 22, l. 24 marzo 1958, n. 195). 250 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 calmente diverso, proprio la vicenda italiana dimostra che anche il voto segreto ha assunto nel tempo un ruolo e una funzione che ben poco o nulla hanno a che vedere con le ragioni che ne avevano giustificato l’introduzione. Che il modello costituzionale statutario fosse in origine quello della monarchia costituzionale è assolutamente pacifico: come è pacifico che il secolo XIX fu in tutta Europa il secolo dell’affermazione progressiva e non incontrastata delle assemblee rappresentative. Esse, fino al suffragio universale, furono la sede dove si esprimevano, non solo ma prima di tutto, gli interessi della borghesia come classe sociale guida che affermava sé stessa contendendo con crescente e inesorabile successo alle monarchie ereditarie la conduzione degli affari collettivi. Fu una contesa aspra e non breve: all’inizio della quale la tendenzialmente rigida separazione dei poteri e la tutela rigorosa delle prerogative dei rappresentanti della nazione in assemblea furono strumenti considerati indispensabili ai fini di quel braccio di ferro, così come il rifiuto di qualsiasi mandato imperativo espressione storica di una società organicisticamente divisa in classi e «stati». È questo il quadro generale nel quale va collocata la scelta piemontese di garantire che – nella votazione finale e dunque decisiva sulle leggi da approvare, e ogni volta che se ne fosse avvertita la necessità – i singoli deputati potessero votare in segreto: un segreto che valeva agli inizi a proteggerli dalle ipotetiche angherie di un potere esecutivo che era ancora il governo del re e che valse successivamente per molto tempo nei confronti di esecutivi via via sempre meno legati alla casa regnante e sempre più bisognosi del sostegno dell’assemblea rappresentativa, ma anche in grado a lungo di condizionare se non spesso anche «costruire» l’elezione dei singoli parlamentari attraverso la longa manus dei propri prefetti. In Italia (come e ancor più che in Francia, a causa della strutturale debolezza di governi ancora non saldamente collegati alle assemblee da un sistema di partiti politici che tardava ad affermarsi e consolidarsi) fino ben dentro il Novecento, e massicciamente fino al suffragio universale, i governi considerarono loro diritto e dovere «gestire» le elezioni in modo da assicurare il controllo del circuito governo-Parlamento agli esponenti di quei ceti sociali modernizzatori che in alleanza con la monarchia si trovarono a combattere contemporaneamente insorgenze rivoluzionarie e brigantaggio, l’alleanza fra plebe incolta e nobiltà filo borbonica, le resistenze di gran parte del SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 251 mondo cattolico al seguito di una Chiesa contro la quale si era fatta l’unità d’Italia, e, avvicinandosi il nuovo secolo, le masse proletarie che il socialismo andava finalmente organizzando. Per fronteggiare a un tempo rivoluzionari e retrivi, il sostegno ai candidati governativi (i «costituzionali») fu considerato nient’altro che un diritto e un dovere. Per far breve una storia lunga, tutto muta col Novecento, il secolo dell’organizzazione dei cittadini in partiti di massa secondo il modello socialdemocratico, del suffragio universale, del progressivo rafforzamento degli esecutivi nel tentativo di dare risposta alle esigenze che l’irruzione nella rappresentanza dei nuovi ceti imponevano di affrontare. Già nella seconda metà dell’Ottocento nel Regno Unito, ma poi via via dappertutto, cambia la forma di governo, cambiano i rapporti fra esecutivo e assemblee rappresentative, cambia la natura e il ruolo dei partiti, cambia anche il rapporto fra cittadini (corpo elettorale) – assemblee – governi, mediato dai partiti. Di qui tutto quello che sappiamo, a partire dal modo stesso di essere, di funzionare, di interpretare il proprio ruolo da parte di assemblee che non sono più accolite di notabili in relazione più o meno diretta con gli interessi da una parte e il governo di sua maestà dall’altra, ma la sede nella quale si agisce organizzati in gruppi che corrispondono più o meno direttamente ai partiti politici presenti nella società. Ciò concorre a spiegare perché il ricorso al voto segreto era caduto in desuetudine già nell’Italia statutaria. Esso conosce, poi, una nuova stagione nell’Italia repubblicana dove, come si è visto, era approdato per ragioni di continuità nella tradizione, per il tramite dei regolamenti parlamentari, nella sicura buona fede che non se ne sarebbe fatto un utilizzo distorto, anzi probabilmente senza neppure immaginarne la possibilità. Eredità del costituzionalismo dei tempi della monarchia costituzionale, usbergo contro rischi divenuti sempre più improbabili, sostanzialmente superato nei fatti e nella prassi, in una lunga prima fase della vita costituzionale repubblicana, la possibilità di ricorso – con prevalenza su ogni altra modalità – del voto segreto in entrambe le Camere, non costituì un elemento in grado di incidere sulle dinamiche della forma di governo. Neppure si può veramente dire che esso avesse mantenuto una funzione simile a quella originaria, sia pure a minaccia mutata: secondo la tesi in base alla quale, in presunta coerenza con il rifiuto di riconoscimento di qual- 252 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 siasi vincolo di mandato (art. 67 Cost.), il parlamentare dovrebbe essere protetto non più dalle eventuali angherie del governo del re ma da quelle del partito politico, il moderno principe (successivamente alquanto decaduto). Infatti, fermo quanto nei regolamenti vi è sempre stato e presumibilmente sempre rimarrà (l’obbligo di scrutinio segreto per le votazioni che riguardano persone e le votazioni mediante schede), ciò che i regolamenti hanno sempre prevista è stata la facoltà di chiedere lo scrutinio segreto: rimessa a un numero minimo di parlamentari sin dal 1848 e mai meno di trenta alla Camera e venti al Senato in epoca repubblicana. Per cui o il voto segreto poteva essere richiesto da tanti capigruppo quanti rappresentassero almeno trenta deputati (ma allora non si vede come potesse essere giustificato allo scopo di garantire la libertà di coscienza individuale dei propri componenti) oppure doveva (e deve) essere richiesto da trenta singoli deputati a tutela della propria individuale libertà di votare in incognito: circostanza che non si può escludere, ma che certo non può che immaginarsi assai rara. E infatti, se ci si rifà ai dati delle votazioni segrete in rapporto alle sedute (non in rapporto alle votazioni effettuate), si vede che fino alla VI legislatura inclusa (dal 1948 al 1976) le votazioni segrete alla Camera sono state da una ogni undici sedute (1958-1963) a una ogni sei sedute (1948-1953, 1953-1958), a una ogni tre sedute (19631968, 1972-1976) con la relativa eccezione della V legislatura (19681972, la prima interrotta anticipatamente), quando salirono a una votazione segreta ogni due sedute. È solo dopo, a partire dalla VII legislatura (1976-1979, nella quale la crisi politico-istituzionale si accentua, basti pensare all’assassinio di Aldo Moro, ed entrano in Parlamento partiti decisi ad utilizzare tutte le armi previste dal regolamento indifferenti alla funzionalità dell’organo11) che il ricorso al voto segreto si fa patologico: nella VII legislatura si registrano tre votazioni segrete ogni due sedute; nell’VIII e nella IX le votazioni segrete diventano circa quattro ogni seduta; nella X legislatura, fino 11 Nella VII legislatura entrano alla Camera radicali e demo-proletari; i gruppi diventano nove; nella X saranno saliti a undici con l’aggiunta dei Verdi). Al di là di ogni valutazione di merito, che l’ingresso dei radicali in Parlamento abbia portato in pochi anni all’avvio di una progressiva riforma dei regolamenti del 1971 è un dato di fatto. SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 253 alla riforma erano salite a quasi sette ogni seduta. Si pensi che nella IX legislatura si registrò la bellezza di oltre 2.500 votazioni segrete12: difficile immaginare altrettanti potenziali casi di coscienza da tutelare per almeno trenta deputati in meno di cinque anni; difficile poter contestare l’affermazione secondo la quale si era ormai davanti a un fenomeno al tempo stesso patologico e da inquadrarsi in un contesto sistemico che ne rendeva il ricorso per certi versi vantaggioso per altri versi funzionale a strategie politiche non individuali, ma diverse e più ampie13. 3. Segue… La forma di governo parlamentare italiana, strutturalmente debole perché non sorretta da appropriati istituti di razionalizzazione (quasi assenti dal testo della Costituzione del 1948 per molte, concorrenti e arcinote ragioni), si era dovuta poggiare sin dall’inizio su un sistema di partiti polarizzato (per distanza ideologica fra di essi) e frammentato (sette partiti alla Camera già dopo il 18 aprile 1948): con la conseguenza che i governi – per di più costretti a contare su una maggioranza in entrambi i rami del Parlamento – hanno sempre dovuto avere a sostegno coalizioni di partiti, mai un solo partito. In questo senso l’Italia repubblicana non ha conosciuto il c.d. «governo di partito». Così, dopo una prima breve fase in cui il regime politicoistituzionale parve orientarsi nella sua dinamica secondo modalità assimilabili all’interpretazione britannica del parlamentarismo (I legislatura), fallito il tentativo di rafforzare il ruolo della Dc, partito di maggioranza relativa (assoluta solo al Senato) mediante una legge elettorale con premio di maggioranza concepita proprio per liberare quel partito da rapporti di coalizione troppo faticosi14, la forma di 12 I dati sono nostre elaborazioni su basi offerte in parte dai servizi parlamentari, in parte tratti da S. TRAVERSA, Il Parlamento nella Costituzione e nella prassi, Milano, Giuffrè, 1989, 473-476. 13 Si pensi che nel corso nei suoi 1.059 giorni il primo governo Craxi, uno dei più lunghi del dopoguerra, dovette subire ben 163 sconfitte col voto segreto, cfr. Cronaca delle imboscate. La media? Una la settimana, in Il Sole 24 Ore, 29 giugno 1986. 14 Quello che la Dc degasperiana sperava di conseguire con la legge elettorale n. 148/1953 era – in buona sostanza – la possibilità di sfuggire a coalizioni imposte e sgradite (a partire da quella con l’estrema destra della quale erano fautori all’epoca in- 254 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 governo si è orientata nella direzione di una ricerca progressiva di più larghe basi di sostegno parlamentare, ovvero di sostegno parlamentare assicurato da un sempre maggior numero di partiti. È davvero singolare, o forse si potrebbe ottimisticamente dire, è segno di quanto i tempi siano mutati, che l’intera più recente fase politico-istituzionale (2006-2008) sia stata vissuta in Italia all’insegna della crescente insofferenza nei confronti di coalizioni di governo frammentate, poco coese, ed anzi internamente rissose e programmaticamente poco omogenee. È singolare perché questa e non altra è stata (a dir poco dalla fine degli anni Cinquanta, ma anche prima, a ben vedere: se vogliamo sin dai tempi della Costituente) una specifica caratteristica della forma di governo italiana. Senza supporti istituzionali assicurati dalla Costituzione, con una legislazione elettorale nata proporzionale e – dopo il fallimento del 1953 – resa ancor più proporzionale in ogni suo aspetto (di formula e di legislazione di contorno) ed estesa altresì a tutti i livelli di governo fino alla sua esaltazione (la legge elettorale per l’elezione dei componenti italiani del Parlamento europeo)15, la governabilità della fresca democrazia italiana, mano a mano che quella proporzionalizzazione integrale sviluppava i suoi effetti, assecondata da un contesto sociale caratterizzato da una molteplicità di cleavages (nord-sud; ricchi-poveri; cattolici-non cattolici; filoamericani-filosovietici, eccetera) e da ultrasecolare propensioni al familismo, allo spirito di fazione, all’individualismo narcisistico e al tendenziale rifiuto delle esigenze imposte dalla modernizzazione, non ha avuto di meglio che cercare di allargare in forma esplicita e trasparente o anche in forma nascosta e sotterranea le proprie basi di consenso partitico in Parlamento. Chiusa ogni strada a destra (ma dei monarchici si fece più volte uso più o meno clandestino), la via obbligata fu l’apertura a sinistra: prima con il centro-sinistra, poi nell’emergenza dell’attacco brigatista allo Stato, con la solidarietà nazionale e l’inclusione del maggior partito di opposizione, il Partito comunista. fluenti circoli vaticani): a ben vedere né più né meno l’obiettivo che si propongono a cavallo fra XV e XVI legislatura, 55 anni dopo, i leader delle due attuali maggiori forze politiche (Silvio Berlusconi e Walter Veltroni), con la decisiva differenza che oggi due, e non una sola, sono le forze politiche che si contendono il diritto di governare, entrambe parimenti legittimate. 15 Facevano eccezione, alla fine del processo, i soli comuni sotto i 3.000 abitanti. SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 255 Ancor prima, il coinvolgimento del Pci era stato a lungo ricercato a livello parlamentare: in particolare il sistema delle commissioni in sede legislativa e, per l’appunto, il voto segreto risultarono funzionali a questo scopo. Contro il Pci era difficile governare; con il Pci non si poteva governare (fino alla fine degli anni Ottanta): per cui la scelta fu di esaltare una presunta centralità del Parlamento anche al prezzo di vieppiù indebolire l’esecutivo, al quale funzioni venivano sottratte per portarle nell’egida appunto delle Camere, in modo che quel partito di formale opposizione (fino al 1977) potesse concorrere a una larga parte delle principali politiche pubbliche (tutte, tranne la politica estera e di difesa). Assolutamente chiusa la strada del riformismo istituzionale per la quale – semplicemente – non esistevano le condizioni politiche (in parte perché la Costituzione stessa doveva finire di essere attuata; in parte perché per ragioni storiche il revisionismo costituzionale era rimasto appannaggio di minoranze antisistema di estrema destra, al punto che anche quando uomini non di destra, e magari neppure di centro, osavano suggerire qualcosa in quella direzione, per anni ed anni finirono bollati come fascisti16), altra via non fu trovata, e forse non c’era, in attesa che certe divisioni fossero superate. Sta di fatto che la forma di governo italiana continuò ad essere caratterizzata da assenza di alternative ai governi ad egemonia Dc, da nessun periodico ricambio ed anzi da grande continuità di classe politica dirigente, accompagnate da notevole instabilità di governo (durata media delle compagini fino agli anni Novanta nell’ordine di soli undici mesi), lunghe crisi di governo, barocche ed alambiccate forme di passaggio da una fase politica all’altra, incidenza solo indiretta del voto popolare, frequenti scioglimenti anticipati (la regola dopo le elezioni del 1968) e in ultimo forme (aperte o nascoste) di associazione al potere di gran parte dell’opposizione parlamentare, appunto: a queste ultime fu, poi, attribuita l’etichetta di consociativismo, mutuando la formula usata da Lijphardt per descrivere i ben diversi regimi di paesi come Paesi Bassi e Svizzera. Al di là delle dispute dottrinali che qui non interessano, questo modo di condurre 16 Basti pensare che uno dei capi delle Brigate antifasciste in Spagna, Randolfo Pacciardi, fautore di una riforma in direzione del governo presidenziale dovette aspettare i primi anni Ottanta per scrollarsi di dosso l’etichetta di para-fascista! 256 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 gli affari del paese si tradusse nella virtuale rinuncia a una rigorosa applicazione del principio di responsabilità politica, nonché, a partire dalla fine anni Settanta, nel sistematico saccheggio delle risorse pubbliche per spese volte a soddisfare non solo i legittimi e trasparenti interessi rappresentati dai vari partiti, ma anche le diverse clientele su cui questi si sostenevano, una burocrazia e servizi pubblici poco efficienti e popolati da personale in misura pletorica (anche a causa della generalizzata connivenza nel non controllarsi a vicenda), nonché, infine, per alimentare – anche con forme di sistematica illegalità, cui tutti i principali partiti (in una forma o nell’altra) partecipavano (nonostante il finanziamento pubblico introdotto dal 1974) – apparati famelici e costosi. In un contesto del genere, il voto segreto in Parlamento veniva utilizzato, come abbiamo visto, con sempre maggiore frequenza, per una molteplicità di fini diversi, ma quasi mai davvero a tutela dell’autonomia di espressione nel voto di parlamentari a fronte di vere o presunte prevaricazioni altrui (partitiche o, figuriamoci, governative). Primariamente il ricorso al voto segreto servì, nella forma di governo fino alla transizione: (a) per minare la già debole compattezza della maggioranza di sostegno dell’esecutivo e quindi la stabilità dell’esecutivo medesimo, tenendolo costantemente «sotto tiro»; o al contrario (b) per far confluire voti di opposizione su provvedimenti del governo, eventualmente concorrendo a neutralizzare le iniziative di coloro che, nel campo della maggioranza, avrebbero fatto mancare il loro voto (in vista di qualche compensazione su altro terreno, o proprio per permettere l’approvazione di misure che l’opposizione stessa riteneva, al di là della propria posizione di facciata, preferibile fossero varate); (c) per ostacolare l’assunzione di decisioni sgradite in sé, magari sotto l’inconfessabile influenza di questo o quell’interesse esterno. Al primo obiettivo potevano essere cointeressati in molti: semplici parlamentari di maggioranza delusi per non essere stati prescelti a far parte delle affollate compagini governative; correnti organizzate interne ai partiti maggiori (segnatamente la Dc e il Partito socialista), le quali furono a lungo partiti nei partiti, con le proprie strategie e le proprie alleanze trasversali, vuoi finalizzate ad obiettivi di breve periodo (accrescere la propria presenza nei gangli del potere politico ed amministrativi, ostacolare quella delle altre correnti), vuoi finalizzate a incidere sull’indirizzo politico attraverso la modifica- SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 257 zione del quadro delle alleanze in vista di equilibri diversi dei quali fossero magari protagoniste forze politiche per il momento da essi escluse; gruppi parlamentari di minoranza estrema, ma decisi a contrastare le relazioni consociative fra maggioranza e maggior opposizione; la stessa maggior opposizione, allo scopo di tenere in scacco un governo reso più debole ancora di quanto già non potesse essere per la scarsa omogeneità e coesione della sua maggioranza di sostegno. Al secondo obiettivo, era interessati gli stessi dirigenti dei partiti di maggioranza e di opposizione coinvolti, oltre che, ovviamente, il governo. Al terzo obiettivo, un po’ tutti. Al di là di valutazioni d’ordine etico, secondo il giudizio unanime della dottrina e degli osservatori, la prevalenza del voto segreto in seno alla due camere, e segnatamente alla Camera dei deputati (perché al Senato se ne fece sempre un uso molto più parco quasi fosse percepito come meno congeniale alla natura di quell’Assemblea in continuità con l’antica scelta regolamentare del 1910), risultò a lungo funzionale a un’interpretazione del regime parlamentare che molti chiamarono «a tendenza assembleare» per la somiglianza con certe fasi della Terza Repubblica francese (1875-1940); essa certamente concorse a far sì che la nostra forma di governo risultasse particolarmente inadeguata a guidare una comunità bisognosa di prestazioni unitarie, di indirizzi chiari e stabili, di una guida in grado di contrastare evidenti tendenze disgregatrici e affetta da una cronica propensione alla fuga dalle responsabilità collettive e dagli sforzi di lungo periodo. Non desta dunque alcuno stupore che, quando alla fine degli anni Settanta apparve sempre più chiaro che si erano esaurite tutte le possibilità di dare ancora risposta in termini di alleanze politiche alla difficile governabilità (la politica di allargamento delle basi partitiche degli esecutivi si era esaurita per il semplice motivo che non c’era più nessuno da coinvolgere e anche coloro che si erano fatti coinvolgere non erano più disponibili) e si prospettò come ineludibile una strategia di riforme istituzionali, la riforma dei regolamenti parlamentari e prima di tutto l’abolizione o il ridimensionamento drastico del voto segreto entrassero nell’agenda delle priorità, dalla quale non sarebbero uscite se non a riforma regolamentare compiuta. Per ragioni internazionali ed interne, la politica di solidarietà nazionale fu superata con un’altra coalizione ampia, che abbiamo già 258 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 richiamato, il c.d. pentapartito (che lasciava il Pci all’opposizione). Questa, sin dall’inizio si caratterizzò per la propria strategia di pur prudente rinnovamento istituzionale (a partire dal Rapporto del ministro della funzione pubblica Massimo Severo Giannini, nel 1979). Mentre il Psi spingeva per una «grande riforma» sul modello che in Francia aveva permesso i successi di François Mitterrand, anche per rompere le residue tentazioni di rapporti diretti fra Dc e Pci, e la Dc sembrava piuttosto orientata a tentare la strada di riforme elettorali che – di nuovo – le permettessero di coalizzarsi senza subire il potere di condizionamento di troppi e troppo competitivi alleati, un consenso sufficiente fu infine raggiunto sulle c.d. riforme possibili: quelle che avrebbero permesso di raggiungere un minimo comun denominatore fra i diversi interessi delle maggioranze interne che guidavano allora la Dc e il Psi, senza scontri drammatici col Pci. Ciò non evitò che da parte di questo e di altre minoranze parlamentari venissero resistenze consistenti: le stesse che concorsero a far fallire la prima Commissione parlamentare bicamerale per le riforme istituzionali (quella presieduta dal 1983 al 1985, prima fase della IX legislatura, da Aldo Bozzi)17. Si trattava, infatti, di riscoprire, ed applicare con maggiore determinazione che non in passato, il principio maggioritario come strumento per decidere e per governare. Le riforme possibili del pentapartito furono in larga parte un tentativo in questa direzione che peraltro si attestò sin dall’inizio sul lato di un maggioritarismo di funzionamento senza di fatto mai tentare la più ambiziosa e difficile strada del maggioritarismo di composizione. Come si capisce, in particolare in relazione al circuito governo-Parlamento, il primo aveva come obiettivo superare le logiche unanimistiche (esemplificate dalle norme sull’organizzazione dei lavori parlamentari dei regolamenti del 1971 e in particolare da quelle sulla formazione di programma, calendario ed ordine del giorno) per applicare la regola in base alla quale di norma è la maggioranza a decidere (per maggioranza intendendosi al tempo stesso, come ovvio, il maggior numero, ma anche i gruppi parlamentari impegnati come parti del rapporto fiduciario col 17 Su questa vicenda e sul ruolo che vi ebbe la questione del voto segreto in Parlamento, cfr. C. FUSARO, Forma di governo e principio maggioritario. La Commissione Bozzi e le strategie istituzionali dei partiti, in Scritti in onore di A. Bozzi, Padova, Cedam, 1992, 223 ss. SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 259 Governo, dal Governo stesso guidati); il secondo avrebbe avuto come obiettivo quello di favorire, incentivare o addirittura garantire una formazione delle assemblee rappresentative tale che il voto dei cittadini permettesse di eleggere in forma quasi diretta o diretta una maggioranza precisamente individuata e di norma autosufficiente, in grado di sostenere lealmente il proprio governo. A distanza di tempo si può affermare che le modificazioni regolamentari dell’autunno 1988 della strategia di riforme all’insegna del maggioritarismo di funzionamento rappresentarono il momento più alto, forse quello di scontro più duro con le opposizioni, ma anche una delle più influenti innovazioni di quel periodo, destinata a incidere profondamente sul costume e sul modo d’essere stesso del Parlamento e, in ultima analisi, sulla salute stessa della democrazia italiana che certamente ne guadagnò in trasparenza, responsabilità e, nonostante critiche ingenerose, in compattezza delle maggioranze governative: il lascito più duraturo della leadership dell’allora segretario della Dc e presidente del Consiglio Ciriaco De Mita, il quale proprio sul ridimensionamento del voto segreto rinsaldò il rapporto di alleanza concorrenziale con il Partito socialista di Bettino Craxi e quello con gli altri alleati, tutti schierati per l’abolizione del voto segreto18. D’altra parte, dopo le riforme del 1988, nulla sarebbe stato più come prima anche per il Partito comunista, il quale proprio in quel torno di tempo stava prendendo finalmente atto che, lungi dall’impedire per altri decenni l’alternativa (come i conservatori dentro il Pci continuavano a pensare), questa avrebbe un giorno non lontano potuto diventare realtà solo grazie all’introduzione nell’ordinamento di alcuni caratteri, almeno, della democrazia maggioritaria (come aveva ben compreso Achille Occhetto, facilitato poi nel suo compito dal mutare improvviso del quadro internazionale). Furono questi i prodromi, tutti interni, della transizione: la quale avrebbe avuto origine di lì a pochi anni (il tempo che si esaurisse la X legislatura), proprio a causa dei limiti di una strategia isti18 Vale la pena ricordare che sulle modifiche regolamentari del 1988 era stato stretto un preciso accordo di maggioranza. Conformemente, il presidente del Consiglio De Mita aveva inviato due esplicite lettere ai presidenti di ciascuna Camera, suscitando per questo vivaci polemiche. Si trattò, indubbiamente, di una riforma maggioritaria nel metodo oltre che nel contenuto. 260 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 tuzionale che – nel rispetto del patto fra soci – non volle e non seppe andare al di là del maggioritarismo funzionale: il simbolo di questa indisponibilità fu la scelta del governo Andreotti, a cavallo fra 1989 e 1990, di porre la questione di fiducia ben quattro volte di seguito per impedire che una larga maggioranza trasversale introducesse nella riforma dell’ordinamento degli enti locali, allora in discussione alle Camere, l’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle province. Quella decisione, infatti, fu proprio ciò che dette il là alla strategia dei referendum elettorali, la quale altro non fu che il tentativo, sostanzialmente riuscito, di imporre il rinnovamento della forma di governo attraverso forme di maggioritarismo di composizione o strutturale. Il resto è storia nota. 4. Il ridimensionamento del voto segreto a vent’anni dalla riforma: l’esperienza più recente. I vent’anni dall’approvazione delle modifiche regolamentari dell’autunno 1988 non sono trascorsi invano. Essi hanno contribuito a consolidare nei soggetti politici ed istituzionali le singole soluzioni interpretative e, ancor prima, il carattere ormai irreversibile di una riforma, invece, inizialmente percepita da una parte delle forze politiche come un’inaccettabile attentato alla libertà del singolo parlamentare e, con esso, del Parlamento19. Come detto, la previsione dello scrutinio palese quale metodo ordinario di voto è stato il primo passo verso una democrazia parlamentare maggioritaria. In precedenza, infatti, il voto segreto era stato un formidabile strumento che le opposizioni escluse dal governo per le note ragioni politico-ideologiche e internazionali (la c.d. conventio ad excludendum) avevano utilizzato per condizionare e volgere a proprio favore le contraddizioni e le divisioni delle forze politiche di maggioranza. Il voto segreto era stata la condizione essenziale per raggiungere convergenze ed accordi tra un’opposizione che non poteva governare, ma nemmeno poteva essere ignorata e maggioranze sì ampie ma non così coese da poter sempre reggere lo scontro parlamen19 Ancora un anno dopo Luciano Violante scriveva che «la conoscibilità del voto… può alterare il rapporto fra governo e Parlamento e quello fra partiti e Parlamento» e che il voto segreto serviva a «garantire la dipendenza del Governo dal Parlamento». SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 261 tare, politico e sociale, e perciò inclini a trovare, al riparo del segreto dell’urna, intese politiche trasversali (conventio ad includendum)20. L’affermazione del voto palese come normale modo di votazione ha costretto invece l’opposizione a ripensare il suo ruolo, avviando quel processo, catalizzato da ben altri fattori (due su tutti: il crollo dei regimi comunisti e l’approvazione della nuova legge maggioritaria), in base a cui ormai oggi essa, anziché pretendere di condizionare l’operato della maggioranza, sfruttandone le divisioni interne, si propone agli elettori come credibile sua alternativa al governo del paese. In tale nuovo scenario il voto segreto non serve più alla maggioranza per acquisire il sostegno sotterraneo di parte dell’opposizione, ma è utilizzato dall’opposizione non per condizionare la maggioranza, quanto piuttosto per svelarne dinanzi all’elettorato le divisioni interne e, quindi, l’incapacità di governo. Il voto segreto prima era funzionale al consociativismo, oggi all’alternanza. In questo senso quanto accaduto durante la XIV legislatura ci sembra emblematico21. Nonostante la maggioranza di governo potesse contare su 90 deputati e 42 senatori in più rispetto all’opposizione, si sono ugualmente avute votazioni segrete contrarie al governo. È vero che tali votazioni non sono state mai decisive – solo una volta esse hanno comportato la bocciatura di un progetto di legge del governo22 – toccando per lo più aspetti marginali dei provvedimenti in esame. Ma è anche vero che, considerato il suddetto vantaggio numerico, esse non sono state solo espressione della libertà di coscienza del parlamentare, ma hanno piuttosto rappresentato una segnale politicamente significativo del disagio, se non del malcontento, di settori non identificati ma significativi della compo20 Sempre secondo Violante, il voto segreto era stato un elemento essenziale del «meccanismo di induzione alla convergenza», tipico della forma di governo italiana: in altre parole del consociativismo, appunto. Sulla fondamentale valenza anti-consociativa del ridimensionamento del voto segreto del 1988, la dottrina è assolutamente unanime. 21 Cfr. C. DI ANDREA, Della fortuna e dell’oblio di taluni istituti parlamentari, intervento del 16 luglio 2004, in Quaderni costituzionali, 2004, n. 3, 606 s.; R. DI CESARE, L’applicazione delle norme regolamentari sul voto segreto nella XIV legislatura, in Le regole del diritto parlamentare nella dialettica tra maggioranza e opposizione, a cura di E. Gianfrancesco e N. Lupo, Roma, Luiss University Press, 2007, 261 ss. 22 L’unico caso in tal senso riguarda l’approvazione nella seduta della Camera del 5 novembre 2003 delle questioni pregiudiziali presentate dall’opposizione in relazione al disegno di legge sulla istituzione delle sezioni specializzate per la famiglia e per i minori e procedimenti in materia di separazione dei coniugi e di divorzio. 262 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 sita maggioranza parlamentare di centro destra verso provvedimenti ad essa imposti dal Governo23. Il fatto che le richieste di voto segreto avanzate dall’opposizione siano aumentate nella XIV legislatura24, nonostante l’ampia maggio23 Diversi sono i casi in cui la maggioranza è stata sconfitta in votazioni su cui l’opposizione aveva chiesto lo scrutinio segreto; tra gli altri: 1) nella seduta dell’11 ottobre 2001, durante l’esame del disegno di legge di conversione del decreto legge 20 agosto 2001, n. 336 «Disposizioni urgenti per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive» (poi legge 19 ottobre 2001, n. 377) è stato approvato l’emendamento 1.60 presentato dal deputato Bontempo su cui la Commissione aveva espresso parere contrario e il Governo si era rimesso all’Assemblea; 2) nella seduta del 27 settembre 2001, durante l’esame del disegno di legge sulla ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra Italia e Svizzera sull’assistenza giudiziaria in materia penale (poi legge 5 ottobre 2001, n. 367), nonostante il parere contrario di Commissione e governo, sono stati approvati l’emendamento Pisapia 1.02 ed il subemendamento Fanfani 0.17.13.1. 3) nella seduta del 12 dicembre 2001, durante l’esame del disegno di legge di conversione del decreto legge 12 ottobre 2001 «Misure urgenti per contrastare il finanziamento del terrorismo internazionale» (poi legge 14 dicembre 2001, n. 431), nonostante il parere contrario di Commissione e Governo, è stato approvato l’emendamento Pisapia 5.3; tra l’altro i commentatori politici hanno notato in tale occasione uno scarso coordinamento tra i gruppi parlamentari di maggioranza delle due camere, dato che le modifiche introdotte dal Senato al testo originariamente approvato dalla Camera avevano messo a rischio la conversione del decreto legge; v. R.R., Terrorismo: Governo sotto, poi il sì, in Il Sole 24 Ore, 13 dicembre 2001, 10. 4) nella seduta del 12 ottobre 2005, durante l’esame della riforma del sistema elettorale (poi legge n. 270/2005) la Camera ha respinto l’emendamento 1.620 della Commissione accettato dal governo volto ad assicurare una quota di donne nelle liste bloccate non inferiore al 30%. 24 Alla Camera nella XIII legislatura le votazioni segrete furono 169 su 34.805 (0,4%); nella XIV sono state 742 su 27.072 (pari allo 2,74%). Per quanto aumentate, le votazioni segrete rimangono comunque rare. Tale aumento non sembra imputabile ad un orientamento presidenziale più incline ad accogliere le richieste di voto segreto, quanto piuttosto alla discussione di particolari disegni di legge su materie su cui esso è possibile: ad esempio sulla legge di riordino del sistema radiotelevisivo si sono avute 266 votazioni segrete mentre 23 sono state le richieste sulla legge sul legittimo sospetto. Inoltre bisogna tenere conto del rapporto tra votazioni segrete richieste e votazioni segrete accordate. Ad esempio i dinieghi al voto segreto per questioni attinenti ai diritti personali sono stati 785; v. Casini: inconsueto il voto di fiducia sulle riforme, intervista di G. Padovani, in La Stampa, 8 novembre 2003, p. 3). Che l’aumento sia da attribuirsi all’oggetto specifico del disegno di legge lo dimostra il fatto che nell’appena conclusa XV legislatura (al 31 dicembre 2007) le votazioni segrete sono state appena 19 su 4.693 (0,4%). SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 263 ranza esistente in entrambe le camere, dimostra come il principale suo obiettivo fosse, ancor prima di battere la maggioranza, palesarne innanzi tutto le divisioni interne. Da questo punto di vista il voto segreto conserva la sua natura di strumento attraverso cui l’opposizione può far emergere le aree di dissenso nella maggioranza. Ben più delicato e complesso appare il profilo riguardante più strettamente la tutela della libertà di voto del singolo parlamentare, cui il voto segreto è teoricamente funzionale. In passato, in presenza di identità politiche radicate nella storia e nella cultura politica del paese, lo scrutinio segreto veniva invocato come l’ultimo baluardo che il parlamentare poteva opporre per sottrarsi alla disciplina di gruppo per perseguire interessi o scopi più o meno confessabili. Non a caso gli oppositori alla riforma del voto segreto prefiguravano foschi scenari, con parlamentari soggetti al pieno ed incontrollato dominio delle segreterie di partito. Tale previsione non si è però realizzata, almeno non nei termini paventati. Ciò perché da un lato il maggioritario quantomeno non ha diminuito l’importanza che il singolo parlamentare ha nel partito. Ma soprattutto perché, a partire dal 1994, complice l’instabilità del quadro politico, con la continua creazione di nuovi soggetti politici di stampo fortemente personale a margine di quelli che hanno raccolto l’eredità politica dei partiti della c.d. prima repubblica, è venuto meno il presupposto su cui si fondava la funzione di garanzia del voto segreto, e cioè la capacità del partito, attraverso l’espulsione del parlamentare ribelle, di decretarne la fine della carriera politica. Dalla XIII legislatura, infatti, è esploso il fenomeno del c.d. transfughismo parlamentare, cioè il passaggio dei parlamentari, da soli o in piccole correnti politiche, da un gruppo parlamentare ad un altro, anche dell’opposto schieramento politico, magari appositamente creato e quindi privo di autentica identità politico-elettorale. Anche nei casi in cui singoli parlamentari hanno votato contro direttive imperative del partito per il quale si erano candidati, venendone di conseguenza espulsi, il più delle volte essi non hanno subito conseguenze politicamente rilevanti, avendo trovato accoglienza e promesse di ricandidatura da parte di un altro partito. In questo senso, la possibilità di votare in incognito non aggiunge nulla alla possibilità di esprimere un dissenso che non incontra remore nel manifestarsi in modo palese: la sanzione della non ricandidatura non suscita più i ti- 264 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 mori di un tempo, in un contesto partitico nel quale sembra in declino ogni etica della responsabilità. Certamente, tra le aspettative tradite del maggioritario, deve annoverarsi quella di un maggiore radicamento degli eletti nel territorio e di una loro migliore selezione da parte dei partiti, dal momento che i candidati venivano spesso scelti sulla base di una scientifica ripartizione, tra i partiti coalizzati, dei collegi considerati «sicuri». Ma è anche vero che l’apporto personale del candidato ai fini della vittoria nel collegio non poteva essere sempre ritenuto marginale o ininfluente: ciò, quantomeno potenzialmente, permetteva all’eletto una certa autonomia nei confronti del gruppo di appartenenza, talvolta utilizzata non dentro il partito, ma fuori e contro di esso, come testimoniano i casi di mobilità parlamentare (nella XIV legislatura si sono registrati alla Camera 50 trasferimenti individuali e 12 collettivi) da un gruppo ad un altro (nella XIII 151 e 96); al Senato rispettivamente 18 e 10 (contro 89 e 74). Si potrebbe obiettare che la recente modifica della legge elettorale – e, segnatamente, l’abolizione dei collegi uninominali e la generalizzazione delle liste proporzionali bloccate, cioè senza voto di preferenza – abbia inciso sul rapporto tra eletti e partito, nel senso di un maggior senso di appartenenza (dipendenza?) dei primi verso il secondo. Il partito, infatti, può decidere di non ricandidare il parlamentare ribelle, senza per questo temere contraccolpi, considerato che si vota primariamente per lista e non per la persona. I dati della appena conclusa XV legislatura stanno però lì a dimostrare come la mobilità non solo non è significativamente diminuita alla Camera (58 trasferimenti, di cui 26 individuali, contro i 62 della precedente legislatura) ma è anzi aumentata al Senato (57, di cui 24 individuali, contro 28), con la conseguente creazione di nuovi gruppi privi d’identità politico-elettorale. È il caso alla Camera del gruppo Sinistra democratica per il socialismo e delle componenti politiche de La Destra, Socialisti per la costituente, e Repubblicani, Liberali, Riformatori). Lo stesso dicasi al Senato, dove è nel gruppo misto che si è registrata la maggiore fibrillazione, complice l’assenza di una disciplina delle sue componenti politiche riconosciute incidentalmente dal primo comma dell’art. 156-bis. Si sono pertanto costituite otto componenti politiche (Italia dei valori, Popolari-Udeur, Costituente socialista, La Destra, Partito democratico meridionale, SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 265 Italiani nel mondo, Sinistra critica, Movimento politico dei cittadini) mentre altre due risultano oggi sciolte (Italia di mezzo e Lista consumatori). Benché quindi le liste siano bloccate, il parlamentare sembra avvertire comunque come meno vincolante la disciplina di partiti che, dopo il crollo delle ideologie tradizionali, stentano ad enucleare un idem sentire, e tendono soprattutto ad identificarsi con i loro leader. Anche sotto questo profilo, quindi, il voto segreto appare sempre meno l’ultimo usbergo nei confronti di presunte pretese prevaricanti del partito. Del resto sono gli stessi partiti, soprattutto nelle materie di particolare rilevanza etica (ad esempio, là dove si tratta della libertà di ricerca scientifica), a rinunciare ad assumere posizioni ufficiali o, comunque, a imporre una disciplina di voto25. Ciò accade nella convinzione che qualunque posizione ufficiale finirebbe inesorabilmente per scontarsi con i convincimenti personali di robuste minoranze – di ispirazione cattolica o al contrario laiche – presenti al loro interno, le quali spesso sono risultate decisive nella formazione di maggioranze trasversali. Si registra così una tendenza in base alla quale la libertà di coscienza dei parlamentari si afferma rispetto a qualsiasi direttiva di partito parallelamente al passaggio dalla micro alla macro legislazione. Si tratta di una tendenza che suscita perplessità laddove porta i partiti a non prendere posizione su grandi questioni di carattere etico, sociale e civile, in realtà decisive per il nostro futuro, affidandole al libero volere dei singoli parlamentari26. La rinuncia del partito a prese di posizione ufficiali, e la conseguente assenza di disciplina di gruppo, lascia pertanto ritenere che la libertà di coscienza del parlamentare sia già tutelata, e che egli nel votare non abbia a temere ritorsioni di sorta. Se nelle moderne democrazie, infatti, il voto segreto è stato considerato strumento di tutela dei parlamentari nei confronti del partito 25 In questo senso l’appello alla libertà di voto recentemente formulato dal sen. Cossiga (Teodem, imitiamo Lord Alton: chiediamo il free-vote, in Il Riformista, 25 gennaio 2008, 1) sembrerebbe sfondare una porta aperta, se non fosse che tra i temi eticamente sensibili, oltre all’aborto e all’eutanasia, egli annovera anche la pace e la guerra… 26 Da qui l’opportunità che simili questioni siano, se possibile, rimesse al giudizio degli elettori tramite referendum; sul punto v. T.E. FROSINI, Fecondazione assistita: la decisione a the People, in www.forumcostituzionale.it, 12 dicembre 2003. 266 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 (e non ovviamente nei confronti degli elettori, i quali hanno diritto di conoscere come votano i propri rappresentanti), nelle materie in cui i partiti lasciano libertà di voto al parlamentare, nel senso che si impegnano a non sanzionare in alcun modo le loro scelte quali che esse siano, il voto segreto appare non solo superfluo, ma addirittura nocivo: esso infatti può diventare lo schermo dietro il quale si realizzino accordi trasversali su questioni delicatissime e, appunto, di coscienza, in cui le scelte dovrebbero essere trasparenti e responsabili. Infatti, com’è ovvio, celando il voto, non si consente a quella parte dell’elettorato che ritiene la questione decisiva ai fini delle proprie scelte (si pensi solo all’importanza del voto cattolico sulle grandi questioni etiche e morali) di conoscere come ciascun parlamentare si è pronunciato. Un ulteriore argomento, a ben vedere, a favore del voto rigorosamente palese. In realtà, al di là di luoghi comuni, il voto segreto ha poco o nulla a che vedere con la libertà di coscienza del parlamentare. 5. L’area di applicazione del voto segreto: una questione superata. L’ambito di applicazione dello scrutinio segreto costituisce oggi un dato ormai acquisito nella prassi parlamentare e, ancor prima, nella stessa concezione del ruolo del parlamentare e del Parlamento maturata nei soggetti politici ed istituzionali che di essa sono protagonisti. Il punto di equilibrio individuato nel 1988 tra libertà e responsabilità del singolo parlamentare, tra riservatezza e trasparenza dei processi decisionali partitici e parlamentari appare una mediazione politica tuttora condivisa, rispetto alla quale le questioni interpretative e gli sporadici tentativi di modifica denotano più che altro un certo grado di strumentalità. A tale consolidamento, al Senato ha senza dubbio contribuito la tradizione favorevole allo scrutinio palese, tant’è che, rispetto alla Camera, poche sono state le richieste di votazioni segrete e ancor meno le questioni interpretative sollevate. Le motivazioni di tale orientamento vanno ricercate non solo nel fatto che l’area in cui è possibile chiedere il voto segreto è più ristretta, ma anche in un diverso costume politico27, di cui è parte ad esempio l’abitudine del27 Sintomatico quanto accaduto in occasione dell’esame del disegno di legge Modifica degli articoli 45, 46, 47, 48 e 49 del codice di procedura penale, c.d. «Legge sul le- SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 267 l’opposizione di sondare gli orientamenti del Presidente prima di presentare una richiesta di voto segreto su una materia a tal fine di dubbia interpretazione. Tale conclusione trova significativa conferma nella XV legislatura nella quale il ricorso al voto segreto al Senato è rimasto marginale nonostante l’esiguo vantaggio numerico della maggioranza sull’opposizione potesse rendere concreta la prospettiva di sconfiggere, attraverso il voto segreto, lo schieramento governativo28. Al Senato piuttosto il dissenso si manifesta talvolta attraverso la mancanza del numero legale29. I due strumenti, però, non sono equivalenti: la richiesta di verifica del numero legale è più funzionale all’ostruzionismo mentre lo scrutinio segreto è più funzionale all’alternativa. gittimo sospetto» o «Legge Cirami» (poi legge n. 248/2002) quando, a fronte di 32 votazioni a scrutinio segreto (incluso il voto finale) svoltesi complessivamente alla Camera nelle due letture su 111 votazioni (sedute del 10 ottobre e 5 novembre 2002), se n’è svolta appena una al Senato (1 agosto 2002). 28 Questi i dati: nella XII legislatura 12 votazioni segrete su 522 (2,29%); nella XIII 43 su 3.393 (1,26%); nella XIV 140 su 6.770 (2,06%), nella XV (al 28 novembre 2007) 42 su 1.432 (2,93%), di cui 37 (88,09%) obbligatorie. Nella XIV legislatura, se si tolgono le votazioni in cui lo scrutinio segreto è obbligatorio (22, pari al 15,71%), emerge che su 118 richieste di voto segreto ben 83 (pari al 70,33%) si sono concentrate in occasione della discussione della legge Gasparri di riforma dell’assetto del sistema radiotelevisivo. 29 Al Senato nella XII legislatura le verifiche del numero legale sono state 202 in 49 sedute (media 4,12 a seduta); il numero legale è mancato 52 volte su 579 votazioni qualificate (8,98%); nella XIII le verifiche del numero legale sono state 2382 in 519 sedute (media 4,58 a seduta); il numero legale è mancato 659 volte su 3.586 votazioni qualificate (18,37%); nella XIV legislatura le richieste di verifica del numero legale sono state 7.879 in 513 sedute (media 15,35 a seduta); il numero legale è mancato 917 volte su 6.883 votazioni qualificate (13,22%); nella XV legislatura (fino al 17 gennaio 2008) le verifiche del numero legale sono state 216 in 94 sedute (media 2,29 a seduta); il numero legale è mancato 64 volte su 1.437 votazioni qualificate (4,45%). Da questi dati emerge che le richieste di numero legale si sono intensificate nella XIV legislatura ad opera del centro sinistra (media 15,35 a seduta contro una media intorno a 4,5 nelle legislature precedenti), il che ha provocato un aumento dei casi di mancanza del numero legale (13,22%), però inferiore a quello che si era registrato nella XIII legislatura (18,37% contro l’8,98% della XII). È soprattutto l’opposizione di centro sinistra a fare ricorso, nell’ottica della sua strategia parlamentare, alle richieste di verifica del numero legale, con conseguente aumento del numero in cui esso è mancato. Allo stesso tempo, però, i casi di mancanza del numero legale registratisi nella XIII legislatura sono imputabili più alle assenze nei banchi della maggioranza di centro sinistra che all’aumento delle richieste in tal senso avanzate dal centro destra. 268 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 Alla Camera, invece, ai fini della definizione di un quadro di riferimento certo e condiviso per l’applicazione della riforma del voto segreto, fu decisiva la scelta del Presidente Casini, a meno di anno dall’inizio della XIV legislatura, di convocare la Giunta per il regolamento (sedute del 7 febbraio e 7 marzo 2002) e di enunciare, sulla base del dibattito sviluppatosi al suo interno, i criteri interpretativi ai quali, nell’ambito della propria responsabilità istituzionale, egli si sarebbe da allora in poi attenuto nell’interpretare l’art. 49.1 RC. Una decisione tanto più significativa perché s’inserisce in un indirizzo presidenziale poco incline a convocare la Giunta per il regolamento (appena 24 sedute nella XIV legislatura contro le 145 della precedente), in particolare per promuovere e portare a compimento quel processo di adeguamento del regolamento ai mutamenti intervenuti nell’ultimo decennio nel quadro politico-istituzionale iniziato dal suo predecessore, come tale non alternativo o subordinato ma complementare al coevo processo di revisione costituzionale. In ciò non si può non scorgere una diversa sensibilità del Presidente della Camera rispetto a quella palesata, quantomeno inizialmente, dal suo collega Pera al Senato, attraverso l’elaborazione di alcune linee direttrici per una riforma regolamentare basata sulla configurazione rispettivamente di uno «statuto del governo» e di uno «statuto dell’opposizione»30. Va inoltre notato che l’essere stato, il Presidente della Camera, anche il leader di un partito di maggioranza trovatosi più volte in dissenso con gli orientamenti del Governo, ha esposto le sue decisioni in materia di voto segreto, per quanto giuridicamente ineccepibili, al sospetto che fossero influenzate soprattutto da considerazioni di natura strettamente politica31. Sui criteri applicativi proposti dal Presidente si è registrato in Giunta una larga e sostanziale convergenza. Strumentali e, di conseguenza, irrilevanti ai fini della registrazione di un significativo dissenso devono infatti considerarsi le opposte ipotesi interpretative formulate da esponenti sia della maggioranza sia dell’opposizione, sulla base, a ben considerare, di argomenti rilevanti solo de iure con30 V. Giunta per il regolamento del Senato, seduta del 10 ottobre 2002. P. ARMAROLI, Sul voto segreto l’eccezione non diventi regola, in Il Giornale, 24 novembre 2003, 8. 31 Cfr. SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 269 dendo, non de iure condito. È evidente, infatti, che maggioranza ed opposizioni hanno un interesse contrapposto, rispettivamente a restringere o ad allargare l’ambito di applicazione dello scrutinio segreto; ed è parimenti evidente che dietro i tradizionali argomenti rispettivamente invocati (la responsabilità del parlamentare da un lato, la sua libertà di mandato dall’altro), sta piuttosto l’esigenza della maggioranza di difendersi dal tentativo dell’opposizione di sfruttare il voto segreto per palesarne le divisioni interne ed eroderne la compattezza e quella dell’opposizione di fare esattamente quello. Soggetti a tali spinte contrapposte, i criteri interpretativi proposti dal Presidente si sono quindi facilmente imposti come «un punto di equilibrio rispetto alle diverse interpretazioni prospettate», suscettibile di revisione solo «ove emergessero orientamenti largamente condivisi»32. Nell’ottica strumentale di cui dicevamo ci sembra vada annoverato ad esempio l’interpretazione restrittiva33 secondo cui sui principi ed i diritti di libertà di cui agli articoli della Costituzione citati dall’art. 49.1 RC possono «incidere» solo le leggi costituzionali e non quelle ordinarie. Una simile interpretazione, infatti, contrasta palesemente con i lavori preparatori e la ratio della riforma, avente ad oggetto la disciplina delle votazioni in generale. Del resto va ricordato che il principio emendativo diretto ad estendere lo scrutinio segreto alle leggi costituzionali e di revisione costituzionale fu respinto34. Né è vero che solo le leggi costituzionali sono suscettibili di incidere sui principi e sui diritti di libertà costituzionali richiamati dall’art. 49.1 RC. Come limpidamente chiarito dal Presidente della Camera nella seduta della Giunta per il regolamento del 7 marzo 2002, «il termine “incidono” costituisce un’opzione normativa intermedia tra quella che, utilizzando il termine “intaccano” o altra similare, avrebbe portato a limitare il voto segreto alle sole norme costituzionali di modifica di quegli articoli e quella opposta che, con l’uso di un termine più generico, quale, ad esempio, “attengono” (contenuto nell’originaria formulazione della proposta di modifica regolamentare, succes32 Così il Presidente della Camera nella seduta della Giunta per il regolamento del 7 marzo 2002. 33 Si veda in tal senso quanto sostenuto nella seduta della Giunta per il regolamento del 7 febbraio 2002 dai deputati Vito e Leone. 34 V. la seduta della Camera dei deputati del 7 ottobre 1988. 270 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 sivamente emendata), avrebbe consentito indistintamente il ricorso al voto segreto su tutte le disposizioni di legge ordinaria collegabili alle norme costituzionali citate. Il voto segreto deve quindi ritenersi ammesso solo per le norme che, rispetto ai principi e ai diritti costituzionali indicati dall’articolo 49, comma 1, introducano una disciplina significativamente divergente rispetto a quella esistente o modifichino le condizioni sostanziali per l’esercizio dei diritti in questione. Rimangono, pertanto, escluse dall’area di ammissibilità della predetta modalità di votazione le disposizioni che, non incidendo sui tratti essenziali di tale disciplina, non alterino le caratteristiche fondamentali del quadro normativo vigente nel suo rapporto con le norme costituzionali». Tale precisazione è tanto più significativa ove si consideri che l’espressione «attengono» è esattamente quella utilizzata dall’art. 113.4 RS in relazione alle deliberazioni sui rapporti civili ed etico sociali di cui agli articoli costituzionali ivi citati su cui può chiedersi il voto segreto. Ferma restando ovviamente l’autonomia interpretativa di ciascuna Camera sul proprio regolamento, l’ambito di applicazione al Senato dello scrutinio segreto sulle leggi ordinarie attinenti alle disposizioni costituzionali in questione sembrerebbe quindi almeno in teoria essere più ampio rispetto a quello della Camera, dove invece prevale il canone interpretativo della stretta attinenza di cui all’art. 49.1-quinquies R.C. E ciò a dispetto di una prassi in cui, come detto, il voto palese prevale35. 35 L’esatta interpretazione del criterio di attinenza previsto dall’art. 113.4 RS è stata al centro del dibattito sviluppatosi nella seduta della Giunta per il regolamento del Senato del 27 settembre 2007 in relazione alle modalità di voto cui sottoporre emendamenti riferiti ad una pluralità di disposizioni «solo alcune delle quali eventualmente attinenti ai rapporti civili ed etico-sociali cui fa riferimento il comma 4 del predetto articolo 113». Alla fine sono emerse due opposte interpretazioni, sostenute da un eguale numero di senatori: per la prima, il giudizio di prevalenza, previsto dall’art. 113.7 RS in riferimento al voto finale, andrebbe di conseguenza escluso per le votazioni delle singole proposte emendative, sulle quali, quindi, anche se indirettamente attinenti ad una delle predette materie, potrebbe richiedersi il voto segreto; per la seconda, invece, il giudizio di prevalenza ex art. 113.7 RS andrebbe applicato anche alle materie trattate da singole proposte emendative sulle quali quindi il voto segreto potrebbe richiedersi solo se direttamente attinenti ad un diritto di libertà; ove invece esse avessero una portata di natura organizzativa ovvero meri effetti sospensivi di norme vigenti non potrebbero essere soggette a scrutinio segreto. SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 271 Analogamente infondata, e nondimeno ugualmente avanzata, appare la tesi per cui la sola presenza di una disposizione di carattere finanziario comporti di per sé l’obbligo di voto finale palese del disegno di legge anche quando come detto esso incide sui principi e diritti di libertà di cui agli articoli citati nell’art. 49.1 RC. Una simile tesi sembrerebbe trarre conforto dal fatto che l’art. 49.1-bis, nel fare riferimento alle conseguenze finanziarie, adotta il termine «deliberazioni», di per sé più ampio e meno puntuale di «votazioni», aggiungendo peraltro l’avverbio rafforzativo «comunque»36. Ma è fin troppo evidente che seguendo questo indirizzo basterebbe strumentalmente aggiungere a qualsiasi legge un onere finanziario per sottrarla al voto finale segreto, svuotando del tutto la ratio dell’art. 49.1-quater37. Il Presidente della Camera ha avuto più volte occasione di ribadire (v. Giunta per il regolamento, sedute del 7 febbraio e 7 marzo 2002, 23 novembre 2005), di non volersi discostare dalla prassi favorevole a circoscrivere l’applicazione della suddetta norma regolamentare a singole disposizioni e non al voto finale delle leggi, pur dichiarandosi comunque «disponibile ad un ulteriore approfondimento alla luce dei precedenti sulla materia». Così egli ha ammesso il voto segreto sulle due questioni pregiudiziali38, presentate al disegno di legge di delega al Governo per l’istituzione delle sezioni specializzate per la famiglia e per i minori nonché per la disciplina dei procedimenti in materia di separazione dei coniugi e di divorzio (A. C. 2517), ritenendo qualitativamente prevalenti i profili incidenti sui diritti di cui agli articoli 29 e 31.2 Cost. su quelli finanziari in relazione alla natura del provvedimento (v. seduta del 5 novembre 2003)39. Solo de iure condendo può altresì valutarsi l’osservazione secondo cui il voto finale su progetti di legge contenenti disposizioni 36 V. quanto dichiarato dal deputato Vito nella seduta del 5 novembre 2003. avvertito dal Presidente della Camera nel corso della seduta del 7 febbraio 2002 della Giunta per il regolamento, un caso del genere si sarebbe potuto porre per i progetti di legge in materia di procreazione medicalmente assistita, poi approvati a scrutinio segreto. 38 Anche la prassi di votare le questioni pregiudiziali allo stesso modo del voto finale, in forza del comune valore deliberativo, è stata contestata dal deputato Vito nella seduta del 15 dicembre 2004. 39 Cfr. P. GAMBALE, Il voto segreto è inammissibile in relazione a tutte le deliberazioni aventi conseguenze finanziarie?, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, 16 marzo 2004. 37 Come 272 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 assoggettabili a scrutinio segreto dovrebbe avvenire sempre a scrutinio palese, pena una inaccettabile duplicazione delle ragioni poste a sostegno del voto segreto40; diversamente, essa è chiaramente in contrasto con l’art. 49.1-quater secondo cui «la votazione finale delle leggi avviene a scrutinio palese, salvo i casi previsti dal comma 1…». Anziché tentare di mutarne l’interpretazione, si è puntato piuttosto sulla modifica della normativa regolamentare in tema di voto segreto. Ma si è trattato di iniziative sporadiche di singoli parlamentari, prive di seguito, a conferma del sostanziale consenso che circonda la disciplina vigente. Così al Senato, nella XIV legislatura l’unica proposta di modifica dell’art. 113 del regolamento in materia di voto segreto è stata presentata dalla senatrice Alberti Casellati (Forza Italia)41, con l’intento di restringere lo scrutinio segreto ai soli casi in cui esso è obbligatorio, e cioè le votazioni riguardanti persone e le elezioni mediante schede, eliminando per il resto tutti i casi in cui oggi è possibile richiederlo. Tale proposta, pur appoggiata dal partito di appartenenza42, non è stata nemmeno discussa in Giunta per il regolamento, nonostante fosse funzionale all’interesse dell’allora maggioranza di centro destra ad estendere l’area del voto palese così da potersi difendere innanzi tutto da quella che la stessa proponente definiva «opposizione incorporata». Parimenti una soltanto è stata la proposta di modifica regolamentare presentata alla Camera nella XIV legislatura. Al contrario di quanto avvenuto al Senato, essa è stata presentata da un deputato dell’opposizione (l’on. Pisicchio, allora appartenente al gruppo La Margherita), con l’opposto intento di allargare l’area dello scrutinio segreto, prevedendo che esso potesse essere sempre richiesto per qualunque votazione43. Anche questa proposta non è stata nemmeno discussa dalla Giunta per il regolamento. 40 V. quanto dichiarato dal deputato Cristaldi nella seduta del 7 febbraio 2002 della Giunta per il regolamento. 41 Doc. II, n. 13 comunicato alla Presidenza il 4 dicembre 2003. Tale proposta è stata ripresentata dalla stessa senatrice nella XV legislatura (doc. II, n. 2 comunicato alla Presidenza l’11 maggio 2006). 42 V. in tal senso le dichiarazioni dell’on. Vito nella seduta della Giunta per il regolamento della Camera del 7 febbraio 2002. 43 Doc. II, n. 5, presentato il 12 giugno 2002 e ripresentato nell’attuale XV legislatura (doc. II, n. 4, presentato il 10 gennaio 2007). SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 6. 273 Le principali questioni applicative. Sotto il profilo strettamente applicativo, non si registrano novità significative. Il che conferma come gli indirizzi interpretativi siano ormai consolidati e costituiscano un solido punto di riferimento per la giurisprudenza dei Presidenti delle due camere. Ciò non significa, ovviamente, che non vi siano stati tentativi di profittare della portata innovativa della questione insorta per cercare ora di ampliare ora di restringere l’area di applicazione del voto segreto. Ma è pur vero che tali tentativi si sono quasi sempre infranti contro il muro dei precedenti costruito in questi ultimi venti anni. Così, per quanto riguarda le votazioni su persone e le elezioni, è stato ribadito l’orientamento44 per cui al voto segreto – obbligatorio in entrambe le camere – deve ricorrersi quando il nesso tra voto e persona è diretto ed immediato. Tale presupposto è in re ipsa quando si tratti di elezioni (alle quali, al contrario dell’art. 113.3 RS, l’art. 49.1 RC non fa espresso riferimento) e nomine45, pareri su nomine46 o dimissioni; non ricorre invece quando si tratti di votare provvedimenti legislativi sulla titolarità di cariche pubbliche47 o 44 Cfr. S. CURRERI, Il voto segreto tra questioni applicative e prospettive di riforma, in Rass. parlam., 2000, 1, 151 ss. 45 A scrutinio segreto pertanto si eleggono il Presidente ed i membri dell’Ufficio di Presidenza di ciascuna Camera; i membri effettivi e supplenti della Commissione parlamentare per i procedimenti d’accusa; i membri effettivi e supplenti della delegazione italiana alle Assemblee del Consiglio d’Europa e dell’Unione dell’Europa occidentale; i membri effettivi e supplenti della Commissione di vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti e sugli Istituti di previdenza; i componenti la Commissione per la vigilanza sull’Istituto di emissione e sulla circolazione dei biglietti di banca; i componenti la Commissione per la vigilanza sull’amministrazione del debito pubblico; i componenti dell’Autorità di garanzia per la tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali; i componenti dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni; i membri del Consiglio di Presidenza di Giustizia Tributaria; i membri del Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa. 46 È appena il caso di ricordare che, rispetto al passato, l’introduzione del voto segreto obbligatorio sui pareri parlamentari sulle proposte di nomine che per legge il Governo è tenuto a chiedere alle camere ai sensi della legge n. 14/1978 costringe la Commissione competente ad essere in numero legale. 47 In forza di tale distinzione nella seduta dell’8 febbraio 2005 il Presidente della Camera ha respinto la richiesta del deputato Boccia (Margherita) di votare a scrutinio segreto due emendamenti soppressivi dell’art. 2 del decreto legge n. 314 del 2004 (A.C. 5521, recante Proroga di termini, poi legge n. 262/2005). Secondo il richiedente, infatti, 274 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 atti di indirizzo al governo48 in cui il riferimento alla qualità delle persone destinate pro tempore a ricoprirle rimane comunque indiretto, accessorio ed eventuale. Non si deve, pertanto, votare a scrutinio segreto quanto riguardi la titolarità di un ufficio sol perché da esso possano indirettamente derivare conseguenze sulla persona che lo ricopre. Diversamente, del resto, si avrebbe un’estensione dell’area dello scrutinio segreto obbligatorio dalla «persona» al «personale». Sotto questo profilo la diversa formulazione dell’art. 113.3 RS («votazioni comunque riguardanti persone») rispetto all’art. 49.1 RC («votazioni riguardanti le persone»), come tale suscettibile di una interpretazione più ampia, non sembra essere la causa delle differenti opzioni interpretative a suo tempo segnalate49 e che tuttora permangono fra le due camere in tema di votazioni sulle materie di cui agli artt. 68 e 96 Cost.: essa va piuttosto cercata nella diversa impostazione data al rapporto tra profilo funzionale e profilo personale. Così sulle autorizzazioni a procedere in giudizio per reati ministeriali (doc. IV-bis) la Camera, quando necessario50, continua a votare a scrutinio segreto, ritenendo prevalente l’elemento personale51, considerato invece secondario dal Senato, ove all’opposto si vota a tale disposizione, nel fissare a 72 anni il limite di età oltre cui un magistrato non può essere preposto alla Direzione nazionale antimafia, mirava in realtà ad escludere da tale incarico una specifica persona (il procuratore della Repubblica Caselli); v. R. DI CESARE, Ai fini dell’applicabilità del voto segreto, è votazione riguardante persone quella su una disposizione che ha un solo destinatario?, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, 20 aprile 2005. Analogamente è stata respinta la richiesta di voto segreto sull’art. 28 della poi legge n. 262/2005 Riforma della vigilanza sulle assicurazioni e sui fondi pensione, poiché la disciplina in essa contenuta circa la durata della carica di Governatore della Banca d’Italia assumeva una valenza generale ed astratta rispetto alla quale le conseguenze sul titolare pro tempore assumevano un rilievo affatto accessorio. 48 Cfr. da ultimo il precedente relativo alle mozioni Violante ed altri n. 1-00043 e Cicchitto ed altri n. 1-00046 concernenti l’ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), discusse nelle sedute della Camera del 28 e 30 gennaio 2002. 49 Cfr. S. CURRERI, Il voto segreto, cit., 155 ss. 50 Ai sensi dell’articolo 18-ter. 8 RC la proposta della Giunta di concedere l’autorizzazione s’intende accettata se non sono state formulate, e poi approvate, proposte diverse; così, ad esempio, la Camera, nella seduta dell’8 febbraio 2006, approvò la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell’allora ministro delle politiche agricole Alemanno (doc. IV-bis, n. 1-A). 51 Cfr. la seduta della Camera del 15 aprile 1998 sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell’allora ministro della sanità Bindi (doc. IV-bis 2-A). SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 275 scrutinio palese mediante votazione nominale con procedimento elettronico52. Ugualmente diverso, ma in senso opposto, è l’orientamento delle due camere sulle deliberazioni in materia di insindacabilità ex art. 68.1 Cost. (doc. IV-ter): alla Camera si vota a scrutinio palese (anche per alzata di mano), considerandosi preminente il profilo funzionale della guarentigia parlamentare su quello personale; al Senato, invece, per le ragioni opposte si vota a scrutinio segreto mediante procedimento elettronico senza registrazione dei nomi53. La prevalenza alla Camera del profilo funzionale anche nelle «votazioni in materia di verifica del poteri, ineleggibilità, incompatibilità e decadenza» trova espressa conferma nell’art. 2.2 del regolamento della Giunta delle elezioni della Camera, approvato il 6 ottobre 1998, secondo cui esse «non costituiscono votazioni riguardanti persone ai sensi dell’articolo 49, comma 1, del Regolamento della Camera». Infatti, le deliberazioni riguardanti la regolarità dei titoli di ammissione e la sussistenza di cause d’ineleggibilità o incompatibilità ai fini del mantenimento dello status di deputato (doc. III e III-bis), ancor prima che sulla persona del deputato, sono considerate incidenti sulla regolare composizione del plenum. Tale orientamento, ribadito nella seduta della Giunta per il regolamento della Camera del 6 giugno 2007 alla luce delle norme regolamentari, dei precedenti e delle interpretazioni assunte dalla Presidenza in materia di scrutinio segreto, è ormai così consolidato che quanti ritengono invece trattarsi «evidentemente di votazioni riguardanti persone», come tali da sottoporre obbligatoriamente allo scrutinio segreto, si sono risolti a presentare un’apposita proposta di modifica regolamentare54. Questa proposta può trarre conforto dalla prassi seguita al Senato dove, al contrario della Camera, vengono considerate votazioni su persone, e come tali effettuate obbligatoriamente a scrutinio segreto, le deliberazioni riguardanti elezioni contestate ed in materia di 52 Così infatti nella seduta del 14 febbraio 2007 è stata negata l’autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro della giustizia Castelli (doc. IV-bis n. 2). 53 V. ad esempio le sedute del Senato del 30 gennaio 2007 e della Camera del successivo 7 febbraio. 54 V. la proposta di modifica al regolamento (doc. II, n. 7) presentata il 6 giugno 2007 dai deputati Leone e La Loggia (entrambi di Forza Italia). 276 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 ineleggibilità, originaria o sopravvenuta, e di incompatibilità (art. 135-ter RS)55. A fronte di simili non lievi divergenze, appare significativo invece l’indirizzo concorde di Camera e Senato sulle richieste di autorizzazione a procedere di cui al secondo e terzo comma dell’art. 68 Cost. In entrambe le Camere, infatti, il voto segreto continua ad essere facoltativo e non obbligatorio poiché si tratta di votazioni non su persone ma su provvedimenti limitativi delle libertà di cui agli articoli 13 e seguenti della Costituzione (arresto e altri atti privativi della libertà personale, perquisizioni personali e domiciliari, intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, sequestro di corrispondenza)56. Circa le votazioni sugli altri diritti costituzionali di libertà, non si registrano novità di rilievo. Come in passato, il problema delle modalità di voto sulla libertà di manifestazione del pensiero e di stampa ex art. 21 Cost. si è posto in relazione ai provvedimenti riguardanti l’informazione ed il sistema radiotelevisivo. Al Senato, come detto, tali votazioni hanno costituito la gran parte delle votazioni a scrutinio segreto. Alla Camera, il Presidente ha ribadito l’indirizzo precedente in base al quale non può ammettersi il voto segreto sulle disposizioni aventi contenuto procedurale o organizzatorio, come tali non direttamente o immediatamente incisive sui principi e i diritti di libertà di cui all’art. 49 RC (così in occasione della discussione della legge n. 112/2004 c.d. legge Gasparri)57. Piuttosto il giudizio dei Presidenti delle Camere sulla prevalenza o meno di tali disposizioni ai fini del carattere complessivo del provvedimento è stato decisivo ai fini dell’accoglimento o meno della richiesta di voto finale segreto58. In particolare, sul voto finale della c.d. legge Gasparri, i Presidenti sono pervenuti a conclusione opposte: alla Camera, infatti, le due votazioni 55 Ad esempio nella seduta del 6 febbraio 2003 il Senato ha approvato a scrutinio segreto la proposta di annullamento dell’elezione del sen. Magri (doc. III, n. 1). 56 V. le sedute del 6 maggio 1993 e del 7 marzo 2002 della Giunta per il regolamento rispettivamente di Senato e Camera. 57 V. sedute Camera dell’1 e 2 aprile e dell’1 e 2 ottobre 2003. 58 Per tali motivi il Presidente della Camera, nella seduta del 17 febbraio 2004, non ha accolto la richiesta di voto finale segreto sul disegno di legge di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 352, recante disposizioni urgenti concernenti modalità di definitiva cessazione del regime transitorio della legge 31 luglio 1997, n. 249 (c.d. decreto Retequattro). SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 277 finali a cui tale legge è stata sottoposta (la seconda dopo il rinvio del testo da parte del Presidente della Repubblica) si sono svolte a scrutinio segreto (v. sedute del 2 aprile e 2 ottobre 2003); al Senato, all’opposto, a scrutinio palese, nonostante numerose siano state le votazioni segrete (v. sedute del 22 luglio e 2 dicembre 2003). Pare evidente che una così radicalmente diversa valutazione su un identico testo sia difficilmente riconducibile ai differenti criteri della «stretta attinenza» e della «prevalenza» cui in tali casi i Presidenti delle due Camere devono ispirarsi ai sensi rispettivamente degli artt. 49.1-quinquies RC e 113.7 RS. Essa appare frutto di quell’ineliminabile margine di discrezionalità e di elasticità cui il Presidente è chiamato nel valutare la finalità primaria di un progetto di legge dal contenuto disomogeneo, come tale solo in parte riconducibile ai principi e diritti di libertà per i quali si può chiedere lo scrutinio segreto. Ai fini dell’ammissibilità del voto finale segreto, infatti, il giudizio del Presidente non può che fondarsi su una ponderazione non meramente quantitativa ma anche, e soprattutto, qualitativa dei vari aspetti del provvedimento in votazione e delle sue preminenti finalità59. In questa prospettiva rimane ancora impregiudicata la questione circa l’ammissibilità del voto segreto sulle leggi costituzionali che incidono sui diritti e libertà su cui per regolamento è possibile chiedere il voto segreto, nonostante si sia avuta l’occasione per chiarirla. Complice il consenso quasi unanime che circondava la proposta, il voto segreto non è stato chiesto sulla proposta di legge costituzionale che ha abolito la pena di morte anche in tempo di guerra, modificando un articolo – il 27 Cost. – espressamente richiamato dagli articoli 49.1 RC e 113.4 RS60. Piuttosto, per quanto riguarda il voto sulle leggi ordinarie relative agli organi costituzionali dello Stato e delle regioni, il Presidente della Camera, facendo seguito a quanto stabilito nelle sedute della Giunta per il regolamento del 25 febbraio e del 7 marzo 2002, l’11 febbraio 2004 non ha accolto la richiesta di voto finale a scrutinio 59 V. quanto dichiarato dal Presidente della Camera nella seduta del 25 settembre 2002 durante la discussione del disegno di legge Modifica degli articoli 45, 46, 47, 48 e 49 del codice di procedura penale, c.d. «Legge sul legittimo sospetto» o «Legge Cirami» (poi legge n. 248/2002); v. inoltre S. CURRERI, Il voto segreto, cit., 149 ss. 60 Si è votato, invece, per appello nominale sia alla Camera (sedute del 10 ottobre 2006 e del 2 maggio 2007) che al Senato (sedute del 7 marzo e 25 settembre 2007). 278 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 segreto sulle norme di attuazione dell’art. 87 Cost. in materia di concessione della grazia. Egli ha, infatti, ritenuto che quel provvedimento avesse un contenuto prevalentemente procedurale e organizzatorio, senza riguardare la posizione del Presidente della Repubblica, o regolarne l’esercizio dei poteri costituzionali, o incidere sulle caratteristiche dell’istituto della grazia. In precedenza, nella citata seduta del 25 febbraio 2002 il Presidente aveva escluso, ai fini dell’applicazione del contingentamento dei tempi ai sensi dell’art. 24.12 RC, che il disegno di legge sui conflitti di interesse contenesse disposizioni assoggettabili allo scrutinio segreto, perché, oltreché non incidere su alcuno dei diritti costituzionali richiamati dall’articolo 49.1 RC, non poteva qualificarsi come legge ordinaria relativa agli organi costituzionali dello Stato o delle regioni, riguardando esso non le caratteristiche strutturali e funzionali degli organi di Governo, bensì la posizione soggettiva dei titolari di vari organi pubblici, e, in particolare, situazioni e obblighi di comportamento delle persone fisiche titolari delle cariche di governo. Tra le leggi ordinarie costituzionalmente rilevanti (o materialmente costituzionali), una considerazione a sé stante meritano le leggi elettorali su cui, com’è noto, solo alla Camera può richiedersi il voto segreto (art. 49.1). Su questa materia si registra un’ulteriore stretta interpretativa. In precedenza, infatti, nell’ambito del sistema elettorale, il voto segreto veniva ammesso solo sulle disposizioni riguardanti il procedimento elettorale e la trasformazione dei voti in seggi (formula elettorale). Così, in occasione dell’esame del disegno di legge sul voto dei cittadini italiani residenti all’estero (oggi legge n. 459/2001), il Presidente della Camera nella seduta del 20 novembre 2001 aveva ammesso la richiesta di voto segreto sulla disposizione avente per oggetto la disciplina della fase di presentazione dei contrassegni e delle liste per l’attribuzione dei seggi da assegnare nella circoscrizione Estero; l’aveva invece respinta sugli emendamenti riferiti a disposizioni riguardanti l’elettorato passivo. Nella seduta della Giunta per il regolamento della Camera del 7 marzo 2002 si è però stabilito che, ai fini della richiesta del voto segreto, per «legge elettorale» s’intendono solo «le norme che riguardano il meccanismo di trasformazione dei voti in seggi», con l’esclusione «in ogni caso» di «tutte le altre norme, comprese quelle di carattere organizzativo, quelle che attengono alla presentazione delle candidature» – inciso SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 279 non presente nei criteri interpretativi formulati dal Presidente nella precedente seduta del 7 febbraio – «e quelle che riguardano fasi del procedimento elettorale che di per sé non concorrono a definire le caratteristiche essenziali del sistema elettorale medesimo». Tale indirizzo interpretativo ha trovato un impegnativo banco di prova alla Camera nel 2005 in occasione dell’approvazione del disegno di legge contenente «Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica» (legge n. 270/ 2005)61. Da segnalare, al riguardo, che le opposizioni hanno chiesto ed ottenuto dal Presidente il voto finale a scrutinio segreto, per cercare ovviamente di mettere in crisi la maggioranza; nel contempo, però, esse hanno deciso di non partecipare al voto, sia per manifestare nel modo più radicale il loro dissenso dal progetto di riforma elettorale sia per evitare che il voto segreto potesse essere sfruttato dalle forze politiche di opposizione favorevoli al ritorno alla proporzionale. Per quanto riguarda l’applicazione del voto segreto sulle deliberazioni non legislative, continua ad essere assolutamente pacifica l’assimilazione delle votazioni sulle questioni pregiudiziali (di costituzionalità o di merito) a quelle finali in forza dell’eguale valore conclusivo. Il che porta il Presidente già in questa sede ad anticipare il giudizio, ai fini della votazione finale, della prevalenza degli aspetti su cui è possibile chiedere lo scrutinio segreto62. Piuttosto il voto segreto non è ammesso sulle questioni sospensive poiché la loro approvazione «non costituisce una decisione normativa, non determinando effetti sull’ordinamento né incidendo, in alcun modo, sul merito del provvedimento. La questione sospensiva, a differenza della pregiudiziale, incide sull’iter del progetto di legge che mira a sospendere, ma non comporta, in sé, conseguenze sul merito dello stesso»63. Rispetto a tali 61 Durante la discussione alla Camera, svoltasi dall’11 al 13 ottobre 2005, ben 104 sono state le votazioni segrete (compreso il voto finale) su un totale di 202. Al Senato si è votato a scrutinio segreto su alcuni emendamenti riguardanti le minoranze linguistiche, rientranti perciò nelle deroghe di cui all’art. 113, comma 4 del regolamento (4 su 151 nella seduta del 30 novembre 2005). 62 Così, ad esempio, nella seduta del 25 settembre 2002 la Camera ha respinto a scrutinio segreto le due questioni pregiudiziali di costituzionalità presentate in relazione alla legge c.d. sul legittimo sospetto (poi legge n. 248/2002). 63 Così il Presidente della Camera nella seduta del 25 settembre 2002; v. anche la seduta dell’11 febbraio 2004. 280 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 conclusioni, una valutazione a parte meriterebbero le questioni sospensive sine die poiché esse potrebbero per loro natura comportare la definitiva reiezione di quanto oggetto del voto. Circa invece gli atti di indirizzo al governo, il Presidente della Camera, nelle citata seduta della Giunta per il regolamento del 7 marzo 2007, ha escluso il voto segreto perché tali atti non possono per loro natura produrre effetti sui principi e sui diritti costituzionali di cui all’art. 49.1 RC. Infine, nonostante i dubbi di parte della dottrina64, ormai consolidata appare la giurisprudenza presidenziale sull’ammissione della questione di fiducia nelle materie in cui il voto segreto è facoltativo, e non obbligatorio, dato che l’art. 116.4 R.C., con formula assai chiara espressamente vieta di porla «su tutti quegli argomenti per i quali il Regolamento prescrive votazioni per alzata di mano o per scrutinio segreto»65. 7. La prevalenza del voto palese e la forma di governo nella transizione e oltre. Nella perdurante impossibilità di incidere per via costituzionale sulla forma di governo, i tentativi di riforma sono stati condotti in Italia negli anni Novanta per il tramite della modifica dei sistemi elettorali. Non è stata tanto questione di scelta quanto di mancanza di autentiche alternative, nonché – da parte dei dirigenti dei partiti – della necessità di fare i conti con la spinta, in alcuni anni poderosa, che proveniva da una parte inizialmente minoritaria della leadership politica, interprete di una società che cercava vie d’uscita a sempre più difficilmente tollerabili inefficienze sistemiche (messe in evidenza fra l’altro dalla sfida europea e subite con sofferenza soprattutto nel Nord del paese). A ben vedere, la strategia referendaria altro non fu che il tentativo di introdurre quelle forme di maggioritarismo di composizione o strutturale che i partiti politici dell’epoca non erano disposti a ri64 Cfr. A. MANZELLA, Il Parlamento, Bologna, Mulino, 2003, 292 e L. BIANCHI, La riforma dei sistemi di votazione delle Camere alla prova: il caso della legge 6 agosto 1990, n. 223, in Politica del diritto, anno XXV, 1994, 175. 65 V. la dichiarazione del Presidente della Camera nella seduta del 24 novembre 2004. SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 281 schiare, preferendo la reciproca polizza d’assicurazione della proporzionale che, oltretutto, permetteva loro di negoziare appena condizionati dal voto fra un’elezione e l’altra. A partire dalla legge 81/1993, che introdusse l’elezione diretta dei vertici esecutivi degli enti locali, attraverso le due leggi elettorali per Senato e Camera 276 e 277/1993, la legge elettorale regionale 43/1995, completata dall’art. 5 della l. cost. 1/1999, per finire con la legge per l’elezione delle due Camere 270/2005, a tutti i livelli di governo, europeo escluso, dosi di maggioritarismo strutturale hanno modificato incisivamente la forma di governo: vuoi in via diretta, a livello locale e regionale, vuoi in via sia indiretta sia semi-diretta a livello nazionale (causa la perdurante incapacità di agire sul titolo II della Costituzione). Le forme di governo della transizione italiana, come sono state definite66, hanno tutte avuto la caratteristica comune di perseguire l’introduzione di forme di investitura diretta (a) di esecutivi dotati, grazie a un surplus di seggi a vantaggio dei vincitori (il premio), di maggioranza garantita nell’assemblea (b), cui si univa (c) la garanzia di un ampio pluralismo rappresentativo, nella stessa assemblea, spinto fino alla frammentazione (che, contrariamente a ciò che talvolta si legge, mai fu contrastata: anzi, lo scambio fu proprio elezione diretta contro virtuale abolizione di qualsiasi sbarramento). Sotto questo aspetto si comprende perché Roberto D’Alimonte, ad esempio, consideri più in linea con le altre leggi la pur vituperata legge 270/2005, rispetto alle due leggi del 1993, che perseguivano obiettivi analoghi, ma per il tramite di quei tre quarti di seggi uninominali che le caratterizzavano. Stando così le cose, tuttavia, se una buona dose di stabilità è stata finalmente assicurata ai livelli sub-statali, più faticosa e inconclusa è risultata la transizione a livello nazionale. Qui la legislazione elettorale del 1993 aveva prodotto in poche tornate elettorali la trasformazione della struttura della competizione partitica in competizione bipolare e di conseguenza aveva anche dato luogo a forme periodiche di alternativa, prima approssimative (1994), poi ben definite 66 V. C. FUSARO, in A. CHIARAMONTE E R. D’ALIMONTE (A CURA DI), Il maggioritario regionale, Bologna, Mulino, 2000, 49-53 e, recentemente, R. D’ALIMONTE, in R. D’ALIMONTE e A. CHIARAMONTE (a cura di), Proporzionale ma non solo, Bologna, Mulino, 2007, 59-66. 282 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 (1996, e soprattutto 2001), ma solo nella XIV legislatura (2001-2006) con maggioranze sufficientemente larghe. L’entità del margine di seggi a vantaggio di una maggioranza deve essere valutata alla stregua delle tradizioni e del costume politico del sistema considerato. Nel nostro ordinamento, l’antica prevalenza del voto segreto e un’interpretazione per nulla matura della democrazia parlamentare hanno sempre costretto le maggioranze (fino ad anni recenti non direttamente legittimate dal corpo elettorale e alla mercé di una costante competizione esterna ed interna ad una larga pluralità di partiti spesso tutti determinanti) a dimostrarsi tali in permanenza, seduta dopo seduta, in ciascuna delle due Camere67. Per questo, per dirla così, non si è mai affermata l’abitudine a governare con pochi voti di maggioranza e sono sempre state necessarie maggioranze consistenti (solo così a prova di «franchi tiratori», finché il voto segreto fu la norma, e, dopo, a prova di dissenzienti): tutto ciò aggravato dal 1992 in poi, appunto, dalla grave crisi del sistema politico-istituzionale e dal crollo del sistema partitico che si era consolidato dal 1948 in poi, con i fenomeni di transfughismo di cui s’è detto e il lungo terremoto, con scosse di assestamento durate anni, che ha portato alla nascita, alla morte e alla risurrezione senza posa di partiti, gruppi e componenti parlamentari. In questo quadro è lecito ritenere che la riforma che ha introdotto l’ordinaria prevalenza ed anche – per la materia finanziaria – l’obbligo del voto palese abbia concorso in maniera decisiva a tamponare certi fenomeni e a ridimensionare una tendenziale instabilità che avrebbe probabilmente reso le legislature dalla XII in poi ancora più critiche di quanto siano state, e la governabilità letteralmente impossibile. Pensiamo in particolare alla XIII legislatura, e, ancor di 67 Non solo ignota ma neppure immaginabile, in Italia a tutt’oggi, la prassi anglosassone del pairing of members, in base alla quale ci si preoccupa, anche da parte dell’opposizione, di neutralizzare l’incidenza di eventuali assenze che possano alterare gli equilibri emersi in occasione delle elezioni, v. P. MASSA, Parlamentarismo razionalizzato e procedura parlamentare. Lineamenti di diritto parlamentare comparato, Milano, Giuffrè, 2003, 59. Da noi, al contrario, si è sin qui concepita l’opposizione in Parlamento soprattutto come guerriglia spesso anche ostruzionistica volta a fare dispetti e sgambetti al governo e alla maggioranza: per cui mettere sotto il governo in una pur marginalissima votazione, vale titoli sui giornali e spazio televisivo, assai più che non presentare serie e meditate proposte alternative denunciando perché quelle governative sarebbero sbagliate. SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 283 più alla breve XV. Il calvario in Senato del governo Prodi II è stato indubbiamente penoso, continuamente costellato da votazioni in grado di mettere a repentaglio la vita di un governo che, alla fine, non ha più retto: nondimeno, va notato che il governo Prodi nel gennaio 2008 è caduto (così come era successo al I governo Prodi, alla fine del 1998) a seguito della più trasparente delle decisioni parlamentari, assunta per appello nominale. Diversamente, esso è stato in grado di varare due complesse leggi finanziarie nonché altri provvedimenti, arrivando a durare 20 mesi e 618 giorni, risultando alla fine, chi l’avrebbe pensato, il settimo per durata su tutti i cinquantanove governi dell’epoca repubblicana68. Si deve escludere che il governo Prodi II avrebbe potuto durare così a lungo con i regolamenti parlamentari del 1971, o anche con quelli in vigore prima della riforma del 1988: o forse un simile governo neppure sarebbe nato. Resta il fatto che, da un lato l’immagine di precarietà che la maggioranza composita che ha caratterizzato la XV legislatura ha lasciato si deve anche alle più accentuate aspettative che – legittimamente – sono ormai presenti nell’opinione pubblica anche qualificata (diversamente da un passato pur recente che, a leggere certi giudizi, pare rimosso), dall’altro lo spazio di manovra di guastatori parlamentari che non sono certo meno spregiudicati di quelli del passato si è fatto davvero ridotto. Al di là di giudizi sommari, ne ha fortemente guadagnato la trasparenza e la responsabilità di singoli, fazioni, correnti, gruppi e partiti. Di imboscate parlamentari i governi non muoiono più; chi vuole minarne capacità realizzativa e durata difficilmente può farlo senza assumerne la responsabilità. Due parole, per concludere, sul futuro che i modi di votazione in Parlamento hanno davanti. Già qualche anno fa, riflettendo sulle vicende del ridimensionamento del voto segreto, si scrisse che opportuno sarebbe sembrato completare la riforma e abolire senz’altro – ad eccezione delle elezioni e dei voti sulle persone, ovviamente – la possibilità stessa che i rappresentanti eletti dai cittadini possano vo68 La maggior stabilità degli anni dal 1994 al 2008 è confermata dalla media di durata degli otto governi che si sono succeduti, pari alla durata del governo Prodi II, ventun mesi. La durata media totale in epoca repubblicana è fra i dodici e i tredici mesi, ma per il periodo dal 1946 al 1994 è appena oltre gli undici mesi. 284 IL FILANGIERI - QUADERNO 2007 tare in incognito (così come è in quasi tutte le assemblee rappresentative substatali e di altri ordinamenti)69: opportuno per ragioni etiche e politiche, opportuno per non lasciare, con la possibilità di voto segreto, aree politicamente franche, opportuno per rafforzare un’interpretazione maggioritaria propria di una democrazia che aspira a considerarsi compiuta. Ebbene, a meno di tre anni dalla riforma elettorale (la criticatissima legge 270/200570), dopo che la XV legislatura ha largamente dimostrato quanto fossero fondate certe preoccupazioni (prima fra tutte che essa, ancorché maggioritaria plurinominale alla Camera, avrebbe prodotto difficile governabilità, a causa del modo come i premi sono assegnati al Senato, e, soprattutto, avrebbe incentivato la frammentazione al di là di quanto il sistema potesse sopportare), grazie all’iniziativa dei nuovi referendum elettorali, dichiarati ammissibili dalla Corte costituzionale il 16 gennaio 2008 e grazie al nuovo grado di maturazione raggiunto dalle maggiori forze politiche, ci si avvicina a nuove elezioni, quelle per il Parlamento della XVI legislatura, in un contesto di rapporti politici assai diverso da quello degli ultimi 15 anni. Per la prima volta dall’avvento della transizione e dalla sperimentazione di logiche maggioritarie, sembra affermarsi la consapevolezza che, ragionevolmente consolidato il maggioritarismo funzionale, il più recente maggioritarismo di composizione non può essere interpretato, ignorando la necessità di dar vita a qualcosa che davvero somigli al governo di partito: dovendosi intendere per tale quello che fonda il governo su una sola forza politica o, almeno, su limitate coalizioni programmaticamente e idealmente omogenee. Ci si è resi conto, in altre parole, che, tramontata dai primi anni Novanta l’epoca della ingovernabilità da instabilità cronica (con coalizioni poco omogenee), si era passati nel quindicennio successivo ad una governabilità più stabile ma comunque impotente (per eccesso di frammentazione di coalizioni costruite per vincere, più che per governare): di qui il tentativo di ridisegnare formato e struttura del sistema partitico in modo da offrire, invece, all’elettore alternative in69 V. S. CURRERI, Il voto segreto tra questioni applicative, cit., 204 e S. CURRERI, Il voto segreto: uso, abuso, eccezione, in Storia d’Italia. Annali 17. Il Parlamento, a cura di L. VIOLANTE con F. PIAZZA, Torino, Einaudi, 2001, 542. 70 V. per esempio i saggi contenuti nel volume collettaneo R. D’ALIMONTE e A. CHIARAMONTE, Proporzionale ma non solo, Bologna, Mulino, 2007. SALVATORE CURRERI - CARLO FUSARO 285 ternamente più omogenee e apertamente gerarchizzate a vantaggio di un principale partito di riferimento e del suo leader71. Gli anni a venire diranno se questo tentativo avrà avuto successo. Fosse così, anche solo in parte, coerenti riforme legislative e regolamentari, nonché limitate, ma incisive, riforme costituzionali, certamente dovranno seguire. Fra le riforme regolamentari, la definitiva abolizione del voto segreto potrebbe entrare nel novero delle cose possibili e concrete: tanto più se davvero – in una fase intermedia di durata imprecisabile – si avranno gruppi parlamentari, come è auspicabile e come ora si promette, corrispondenti alle liste ancora pluripartitiche, presentate agli elettori. Per assicurare o favorire la compattezza di gruppi parlamentari del genere, e per non ostacolare la nascita, un giorno, anche di partiti che uniscano ciò che è ancora diviso, il voto sempre e comunque palese potrebbe risultare strumento necessario e prezioso. 71 Così ci sembra si debbano leggere le vicende seguite alla caduta del II governo Prodi e le elezioni del 13-14 aprile 2008: le quali dimostrano altresì che, al di là dei pregi e dei difetti della legislazione elettorale, molto (anzi: il più) dipende dalle scelte dei partiti e dei loro leader.