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ACCORDI TRA I CONIUGI IN SEDE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO

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ACCORDI TRA I CONIUGI IN SEDE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
ACCORDI TRA I CONIUGI IN SEDE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
Per una compiuta definizione e risoluzione delle problematiche di natura fiscale
nell'ambito dei procedimenti di separazione personale e divorzio è indispensabile
premettere brevi cenni in tema di causa e forma degli accordi che i coniugi
raggiungono e formalizzano in sede di procedimento di separazione consensuale (artt.
158 C.C. e 711 C.P.C.) e divorzio (art. 5 e ss. L. 898/70 e successive modifiche ed
integrazioni).
Al riguardo, premesso e precisato che la relazione non intende occuparsi degli aspetti
processuali, si deve far presente che tali accordi, tradizionalmente, contengono una
miriade di pattuizioni di svariata natura e contenuto, che è difficile sintetizzare, anche
perchè ogni elencazione sarebbe indefettibilmente lacunosa.
Si intendono qui trattare principalmente le questioni inerenti ai "trasferimenti" (latu
sensu), immobiliari e non, che "avvengono" tra i coniugi in quelle circostanze.
La terminologia che ho sopra utilizzato è volutamente e necessariamente (si scusi
l'ossimoro) atecnica, proprio alla luce della difficile definizione della causa di tali
attribuzioni, delle discussioni sollevate da questo problema, delle diverse soluzioni
pratiche adottate, delle imprecisioni o comunque approssimazioni terminologiche ed
anche dogmatiche che spesso i verbali di separazione e divorzio contengono, il che
può comportare difficoltà con la liquidazione delle imposte che l'Agenzia delle
Entrate effettua in sede di registrazione dell'accordo di separazione o divorzio o
dell'atto esecutivo degli obblighi contenuti nel verbale che suggella il suddetto
accordo.
La dottrina e la giurisprudenza più risalenti tendevano a frammentare, da un punto di
vista della definizione causale, le singole pattuizioni contenute negli accordi di
separazione e divorzio, considerando gli stessi come una somma di fattispecie a se
stanti, collegate solo dalla occasione nella quale venivano perfezionate, il che portava
a risultati non soddisfacenti, contraddittori e comunque incompleti.
Difficile, ad esempio, definire i trasferimenti quali donazioni, non fosse altro perchè
in queste fasi ben difficilmente emerge un animus donandi, anzi, non è azzardato
affermare che sono trasferimenti ove si palesa un atteggiamento reciproco contrario a
qualsiasi spontaneità, perchè lo stesso profilo della gratuità è spesso discutibile od
assente, perchè le conseguenze (specie in sede di revocabilità, obbligo di collazione,
graduazione degli obbligati all'obbligo di prestare gli alimenti in caso di stato di
bisogno del donate) sarebbero gravi e non volute dalle parti, perchè i patti sarebbero
nulli per difetto di forma, mancando i testimoni, e, ove gli accordi contenessero un
"impegno a donare" (frase che pur spesso compare nei verbali che contengono gli
accordi in questione)) tale impegno configurerebbe un preliminare di donazione,
prevalentemente ritenuto nullo dalla dottrina per difetto di spontaneità, e, comunque,
sempre per difetto di forma.
Analoghe ragioni si avanzano (salvo quelle proprie della donazione) per criticare le
tesi che riconducono i trasferimenti in oggetto allo schema causale della
compravendita, o comunque al contratto oneroso.
Minoritarie sono le tesi che riconducono la causa degli accordi in questione alla
transazione (anche per il rilievo che potrebbero mancare, e spesso mancano, le
reciproche concessioni) e/o al negozio solutorio dell'assegno di mantenimento, ciò
perchè la giurisprudenza quasi unanime, non sempre peraltro seguita dalla dottrina,
ritiene che il diritto e l'obbligo di mantenimento siano diritti di carattere inderogabile,
non transabili ex art. 1966 C.C. né suscettibili di prestazione in luogo di
adempimento, anche alla luce della rivedibilità della quantificazione di tale diritto in
relazione al mutare delle condizioni, il che contrasta con la volontà dei coniugi di
rendere definitive le attribuzioni e, comunque, l'assetto patrimoniale derivante
dall'esecuzione degli accordi di separazione e divorzio.
Altra tesi dottrinale configura gli accordi in questione come convenzioni
matrimoniali: anch'essa è stata criticata, adducendo che le convenzioni matrimoniali
sembra debbano necessariamente collegarsi con un regime patrimoniale
programmatico della famiglia, nel senso che debbano potersi porre come fonte di uno
dei regimi patrimoniali della famiglia ammessi dalla legge (ex art. 159 e ss. C.C.), il
che non si riscontra negli accordi in questione; da un punto vista formale, poi, difetta
la forma dell'atto pubblico con necessaria presenza dei testimoni, infine è impossibile
con gli accordi in questione disciplinare il regime degli acquisti dei coniugi separati,
o, peggio, dei non più coniugi a seguito di divorzio.
La tesi che pare preferibile, che si è affermata sia in dottrina che in giurisprudenza,
pur, si ribadisce, convivendo con altre teorie, così che non si può dire che il dibattito
sia concluso sull'argomento, od anche solo sopito, delinea la fattispecie come un
negozio con causa atipica, caratterizzato dallo scopo e dalla funzione di soddisfare gli
interessi dei coniugi a dare un assetto ai rapporti personali e patrimoniali della
famiglia per il periodo successivo alla separazione e al divorzio.
Le pronunzie e le opinioni dottrinali riconducibili a tale corrente sono molto
numerose e, forse proprio a causa dell'evocata atipicità della causa, hanno spesso
contenuti convergenti e diversificati per frammenti, ed un margine di ambiguità e
genericità che è spesso il frutto o dell'analisi di fattispecie particolari, le affermazioni
riguardo alle quali non è detto sia possibile generalizzare, o dell'analisi di aspetti
particolari delle singole fattispecie, che non debbono, probabilmente, essere
generalizzate proprio perchè non nate per esserlo.
Mi si consenta un apparente salto logico, al termine del quale riprenderò le fila del
discorso: pare abbastanza pacifica in giurisprudenza l'affermazione di atto pubblico
del verbale che sancisce gli accordi tra i coniugi in caso di separazione e divorzio,
quindi di titolo trascrivibile ed iscrivibile presso i registri immobiliari.
Atteso ciò giungiamo alle prime conclusioni:
* E' ben possibile che in sede di separazione e/o divorzio i coniugi concludano
accordi che, di tale sede trovino soltanto occasione ed appoggio e non siano in alcun
modo diretti a tratteggiare l'assetto dei reciproci rapporti personali e patrimoniali
dopo la fase "fisiologica" del matrimonio, la giurisprudenza li ammette, ma, mi si
passi l'espressione, mantiene "mani libere" sulla definizione causale, pertanto:
-- Occorre prestare attenzione ad inserire, magari per ragioni di convenienza fiscale,
negozi che con l'assetto dei rapporti patrimoniali dei coniugi in dipendenza della
separazione o del divorzio nulla hanno a che vedere, essi potrebbero rivelarsi nulli
per difetto di forma (donazioni) o, come vedremo poi, ripresi alla tassazione
ordinaria, con probabile nuovo contenzioso tra i coniugi, od, infine, comunque
impugnati per simulazione, ove l'expressio causae contenuta nei verbali fosse,
effettivamente, simulata, e quindi dare luogo ad altro contenzioso.
-- E' opportuno, peraltro, che l'expressio causae venga fatta emergere dal contenuto
dei verbali, sia perchè parte della giurisprudenza e della dottrina ritiene irrinunziabile
l'enunciazione della causa, sia allo scopo di usufruire con maggiore tranquillità del
trattamento fiscale agevolato riconosciuto dalla legge e dalla sentenza della Corte
Costituzionale oltre citata.
-- E' opportuno evitare di qualificare in termini di donazione e vendita gli eventuali
negozi traslativi e di impegno contenuti nei verbali, sia per non rischiare pesanti
implicazioni civilistiche (donazione) o fiscali (vendita) con impegno di probabile
altro contenzioso per acclarare la materia e possibile imputazione di responsabilità al
professionista che suggerisca soluzioni non idonee.
-- Non c'è troppo da contare sul fatto che, vertendo in tema di protezione di diritti
familiari (latu sensu) comunque legati a situazioni in cui sempre esiste, quasi per
definizione, un coniuge debole, e quindi un interesse degno di tutela quasi
tralatiziamente annoverato tra gli interessi "forti", protetti dal sistema, l'atto
dispositivo benefici di una robustissima opponibilità ai terzi: non esiste alcuna norma
che sancisca l'impignorabilità dei beni ricevuti a seguito di separazione e/o divorzio
tout court o da parte dei creditori estranei alle obbligazioni contratte per soddisfare gli
interessi della famiglia, mentre la giurisprudenza, come in tema di atti fra coniugi e
principalmente di fondo patrimoniale, non fa discendere dalla qualificazione causale
che si è detta preferibile una definizione della stessa in termini di onerosità tout-court,
si riserva (vedi Cass. 5741 del 23/3/2004) di verificare, di volta in volta, la ricorrenza
dei presupposti che consentono di ravvisare nelle suddette attribuzioni l'esistenza
della gratuità alla luce del disposto dell'art. 2901 C.C., il che, in presenza di coniugi
con creditori "alle calcagna", non deve far pensare alla possibilità di impiegare un
facile strumento per sfuggire a possibili revocatorie o sottrarre facilmente i beni da
una ventilabile procedura concorsuale.
Ecco che la latitudine della fattispecie rischia di trasformarsi in un elemento di
incertezza, tra l'altro non facilmente percepibile all'esterno.
Attenzione, infine, al fatto che pacificamente l'omologazione del giudice è qualificata
come condicio iuris di efficacia dell'accordo, il che non fa sussumere gli accordi in
questione tra i provvedimenti giudiziali impugnabili coi normali mezzi processuali,
ma vere e proprie fattispecie negoziali, non sottratte alle nullità ordinarie in materia
urbanistica (terreni e fabbricati) o fiscale (indivisibilità del c.d. compendio unico) o di
altra indole e natura, alle cause d'inefficacia, ai possibili ed innumerevoli problemi di
circolazione che i singoli beni coinvolti nelle attribuzioni possono comportare
(clausole o norme che sanciscono prelazioni aventi efficacia reale, come per le quote
sociali o i terreni agricoli, sempre nelle società, esistenza di clausole di gradimento,
di intrasferibilità, patti parasociali etc).
Infine un cenno sul ruolo dell'omologazione giudiziale in relazione all'accordo dei
coniugi sulla separazione personale.
E' noto che, per svariati motivi, i coniugi, a volte, concludono accordi coevi o
precedenti rispetto alla formalizzazione del verbale contenente la separazione
consensuale che sarà omologata, il cui contenuto è estraneo ad esso, ovvero
modificano, attraverso accordi che non vengono sottoposti al vaglio giudiziale, il
contenuto degli accordi omologati.
Il tutto in apparente contrasto col contenuto dell'art. 158 C.C. e con la posizione che
annette all'omologazione il ruolo di condicio iuris dell'accordo.
Riguardo agli accordi anteriori o coevi alla separazione, la giurisprudenza prevalente
propende per la validità a condizione che non interferiscano con l'accordo omologato,
in particolare è stato ritenuto senz'altro ammissibile un accordo che incrementi
l'importo dell'assegno di mantenimento a carico di un coniuge, ovvero detti disciplina
di dettaglio e specificazione del contenuto dell'accordo omologato.
Per quanto riguarda gli accordi successivi, la giurisprudenza e la dottrina più risalenti
li consideravano nulli tout court, successivamente venne distinto tra gli accordi aventi
ad oggetto obblighi od attribuzioni patrimoniali dei coniugi, validi perchè espressione
della volontà negoziale degli stessi, e quelli concernenti gli obblighi personali o di
mantenimento dei figli minori, ritenuti invalidi perchè non soggetti ad omologazione.
Peraltro la giurisprudenza più recente della Corte di Cassazione ha poi ribaltato il
suddetto orientamento (si veda, per tutte, Cass. 24.02.1993 n. 2270), facendo leva sul
fatto che l'art. 158 C.C. prevede sì che il controllo omologatorio si appunti
particolarmente sugli obblighi di affidamento e mantenimento della prole, ma esso
investe anche l'intero contenuto degli accordi in quanto tali e nel loro complesso,
quale espressione di un momento negoziale, altrimenti, aderendo all'orientamento
che ritiene l'omologazione come estesa solo agli aspetti riguardanti la prole minore,
si dovrebbe concludere che una coppia senza figli potrebbe concludere accordi di
separazione a prescindere da qualsiasi omologazione giudiziale.
Mancando, nella fase successiva agli accordi, la previsione di un procedimento
omologatorio ad hoc, la Cass. ha statutito la non necessità di un... impossibile
procedimento omologatorio in quella sede e, quindi, la piena validità di tali accordi,
salvo il limite, verificabile giudizialmente in sede contenziosa o di richiesta di
revisione dell'accordo, del rispetto dell'interesse dei figli.
Peraltro la dottrina più recente, facendo appunto riferimento alla natura degli accordi
tra i coniugi come espressione della loro capacità negoziale (il giudice non può in
sede di separazione consensuale dettare condizioni, ma solo invitare i coniugi a
rivedere l'accordo ed, al limite rifiutare l'omologazione sin quando non venga trovata
soluzione idonea che non necessariamente deve coincidere con le sue indicazioni)
tende ad estendere le soluzioni raggiunte dalla giurisprudenza in tema di accordi
successivi alla separazione, anche agli accordi anteriori o coevi, suggerendo che il
controllo del giudice ben possa esplicarsi in caso di eventuale impugnazione
dell'accordo.
Da un punto di vista fiscale l'art. 19 della L. 74/87, che ha riformato in alcuni punti
l'originaria L. 898/70 sullo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del
matrimonio, ha sancito letteralmente "l'esenzione degli atti, dei documenti, e dei
provvedimenti relativi di procedimenti di scioglimento o cessazione degli effetti civili
del matrimonio, nonchè ai procedimenti esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la
corrisponsione od a garantire la revisione degli assegni di cui alla L. 898/70, artt. 5 e
10, dall'imposta di registro, di bollo, e da ogni altra tassa".
L'A.F. ha opposto molte resistenze all'applicazione delle suddette "agevolazioni"
anche agli accordi di separazione, la Corte Costituzionale ha dovuto intervenire due
volte per giungere ad un unico trattamento tributario delle due fattispecie, dapprima
ne ha esteso l'applicazione all'iscrizione dell'ipoteca legale a garanzia delle
obbligazioni assunte dal coniuge nel giudizio di separazione (C. Cost. 15/4/92 n.
176), successivamente per estendere, finalmente e conclusivamente, il suddetto
trattamento tributario a tutti gli atti, procedimenti e documenti relativi al
procedimento di separazione personale tra i coniugi (C. Cost. 10/5/1999 n. 154).
Tali pronunzie hanno indotto la A.F. ad emanare, una prima circolare, n. 49/E del 16
marzo 2000, con la quale venne preso atto del superamento dell'art. 8 lett. f della
Tariffa, parte I, allegata alla L. del registro (DPR 131/86) in base alla quale erano
considerati soggetti ad imposta fissa di registro unicamente i trasferimenti tra coniugi
in sede di separazione personale purchè avessero ad oggetto beni già ricadenti nella
comunione fra i coniugi
Con la suddetta circolare l'A.F. dava atto dell'"ampia valenza esentativa"
rappresentata dalla sentenza della Corte Costituzionale, chiarendo l'applicazione del
trattamento fiscale agevolato esteso per effetto della pronunzia agli atti anteriori,
purchè oggetto di impugnazione e non definiti con procedimenti esauriti, ribadendo
che presupposto dell'esenzione è la mancata rilevabilità degli accordi come indici di
capacità contributiva, statuendo che rientrano nel regime esentativo sia i trasferimenti
contenuti nei verbali che sanciscono gli accordi di separazione, sia quelli contenuti
negli atti che a tali accordi diano esecuzione, purchè l'accordo sia formalizzato nel
verbale e possa, quindi, rilevarsi una connessione tra i due documenti.
Questo comporta che eventuali accordi tra coniugi che non siano contenuti nel
verbale o non diano ad esso esecuzione, perchè anteriori o contestuali od integrativi
dello stesso, non vengono, allo stato, ritenuti agevolabili.
Si potrebbe dubitare della conclusione almeno nel caso che un eventuale accordo
anteriore fosse subordinato alla condizione dell'omologa dell'accordo di separazione e
l'accordo, perfezionato successivamente, in qualche modo richiami l'atto perfezionato
anteriormente.
Il trattamento fiscale largamente esentativo può sintetizzarsi nell'esenzione
dell'imposta di registro, di bollo, dalle imposte ipotecaria e catastale e dalla ormai
abolita INVIM: in questi termini venne sollevata la questione di costituzionalità nella
vertenza che ha portato alla pronunzia della Corte Costituzionale n. 154/1999.
L'ambito di applicazione dell'esenzione va, peraltro, attentamente valutato alla luce
della lettera della legge e delle varie prese di posizione in argomento.
L'art. 19 della L. 74/87 parla di esenzione dall'imposta di bollo, di registro e da ogni
altra "tassa".
Non è chiara la portata di quest'ultimo termine: la Commissione Tributaria di Milano,
sollevando la questione di legittimità costituzionale che portò alla pronunzia della
Corte Costituzionale 154/99, tentò di sollecitare la Corte a pronunziarsi sull'ampiezza
dell'esenzione, suggerendo un'interpretazione tesa ad equiparare l'espressione "tassa"
all'espressione "tributo" alla luce della ratio della norma: favorire i coniugi in una
fase difficile del rapporto famigliare e prendere atto della mancata rilevanza di ogni
espressione di capacità contributiva nella conclusione degli accordi e nell'esecuzione
dei trasferimenti.
La Corte, non ha preso posizione espressa, sancendo l'illegittimità costituzionale in
particolare sotto il profilo dell'art. 3 della Cost., peraltro accennando anche
all'irragionevolezza della norma in relazione agli artt. 21, 31 e 53 Cost., ma non
soffermandosi granchè sul punto, probabilmente perchè lo dava per scontato, ma non
tenendo conto che spesso l'A.F. se ha assunto un atteggiamento di iniziale chiusura
che viene improvvisamente scoperchiato, tende, magari dopo un po' di tempo, a
riprendere il percorso già intrapreso che, maliziosamente,va ritenuto il proprio spesso
immutabile ed effettivo pensiero.
La circolare 49/E del 16/3/2000 pare evidenziare un atteggiamento di larghissima, ma
generica, apertura dell'A.F. sulla portata dell'esenzione, in essa viene fatto riferimento
alle tipiche imposte d'atto di cui era stato chiesto rimborso nel giudizio nel quale si
innestò la questione di legittimità costituzionale sfociata nella sentenza 154/99, ma si
sottolinea che "Accertato che dalla richiamata giurisprudenza dell'organo
costituzionale traspare appieno che intento del legislatore, al di là delle enunciazioni
formali, è stato quello di non aggravare con oneri tributari i procedimenti de
quo......ad attribuire ad essa la più ampia portata agevolativa".
Ma le implicazioni possibili di natura fiscale, oltre che di natura civilistica, dei nostri
trasferimenti sono molte, e, ripeto non aiuta la genericità ed ambiguità, perchè troppo
late, delle enunciazioni sulla causa.
Così docce fredde in tema di trasferimento o costituzione di diritti sulla casa
famigliare: molte separazioni avvengono nei primi anni di matrimonio e, spesso,
proprio anche a causa dei sacrifici richiesti dall'acquisto di un'abitazione che
costituisce la prima casa: è noto che la nota II bis, alla tariffa, parte I allegata al
D.P.R. 131/86, punto 4, prevede la decadenza dell'agevolazione per l'acquisto della
prima casa, ed il recupero delle normali imposte dovute, una sanzione del 30% sulla
differenza tra le imposte pagate in sede di registrazione e quelle ordinarie recuperate
nonchè l'obbligo di pagamento degli interessi in caso di cessione, a qualsiasi titolo,
dell'immobile avvenuta prima di 5 anni dall'acquisto e mancato riacquisto di un
immobile a titolo abitativo entro 1 anno dalla cessione e sua destinazione ad
abitazione principale del cedente entro lo stesso termine; l'A.F. con risoluzione n.
35/E del 1 febbraio 2002 riconobbe la rilevanza della forza maggiore, causata da un
impedimento sopraggiunto, imprevedibile e non soggettivo, al fine di evitare la
decadenza (in quel caso forza maggiore era costituita da un sisma che colpì l'intero
Comune ove il contribuente avrebbe dovuto spostare la residenza).
Ma la Corte di Cassazione, con sentenza della sez. 5 n. 2552 del 20 febbraio 2003,
pur rilevando che l'impossibilità di riacquisto in relazione alla necessità di
sistemazioni patrimoniali conseguenti ad un procedimento di separazione personale
non avrebbe dato luogo ad applicazione di sanzioni, riconosce natura recuperatoria
alla pretesa dell'A.F. di applicare le normali imposte a seguito di decadenza per
mancato riacquisto annuale di un'abitazione, ritenendo insussistente una causa di
forza maggiore e quindi la mancata decadenza.
Ancora, con risoluzione dell'A.R. Toscana dell'A.F. in risposta ad un interpello
presentato da un Notaio in tema di applicazione del trattamento tributario previsto
dall'art. 19 della L. 74/87 all'IVA, l'A.F. statuisce che il predetto trattamento
tributario deve riferirsi unicamente ai beni già facenti parte del patrimonio di uno o
entrambi i coniugi, che, quindi, si deve trattare di atti tra privati che non debbono
coinvolgere terzi, quindi nessuna esenzione per ciò che comporta l'IVA, il che lascia
evidentemente scoperte tutte le ipotesi in cui un coniuge, imprenditore individuale,
trasferisca un bene, merce o strumentale, fiscalmente a carico dell'azienda
dell'esenzione, presupponendo un istantaneo, precedente auto consumo dello stesso,
si suppone.
Ma la più pesante restrizione, ingiustificata, è posta dall'A.F. in tema di intestazione
dei beni ad uno o più figli.
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con sentenza 30 maggio 2005 accoglie il
ricorso dei contribuenti diretto ad invocare le agevolazioni in questione anche agli atti
di trasferimento a favore dei figli, sul rilievo che, comunque si tratterebbe di atti
comunque diretti alla definizione degli assetti patrimoniali della famiglia in
conseguenza della separazione e/o divorzio.
Questi trasferimenti sono molto frequenti proprio alla luce della resistenza da parte di
un coniuge a trasferire all'altro il proprio patrimonio, e, d'altro canto, sono spesso tesi
a contribuire, sia pur in modo atipico, al mantenimento dei figli.
Tali trasferimenti, dunque vanno incontro proprio a tutte le esigenze che la Corte
Costituzionale ha posto a base delle proprie decisioni in materia degli atti inerenti a
separazioni e divorzi, compresa la compressione della litigiosità e la possibilità di
accedere ad un nuovo equilibrio nei rapporti, anche personali, tra i coniugi litiganti.
Ma l'A.F. con risoluzione n. 151/E del 19 ottobre 2005, successiva alla suddetta
sentenza della Corte di Cassazione sopra richiamata e che aveva visto soccombere
proprio l'A.F., ha, pur adottando un linguaggio che pare lasciare ampi spazi al dubbio
(la risoluzione contrariamente al solito, fa ampio uso del verbo "sembra") assunto una
posizione di chiusura, ripeto grave alla luce della quasi coeva sentenza che ha visto
tale posizione soccombere, ritenendo che trasferimenti a favore di terzi, pur se
contenuti nell'accordo di separazione, palesano una causa liberale a favore di un
soggetto estraneo al rapporto matrimoniale, quindi non si ricollegano funzionalmente
all'accordo di separazione.
Il quadro tracciato non può che suggerire prudenza ed incertezza riguardo ad altre
questioni che si potrebbero dire aperte, ad esempio il trattamento ai fini IRPEF di
eventuali attribuzioni tra i coniugi che potrebbero dar luogo a plusvaleze imponibili
ex art. 67 del DPR 917/86, ove ricorrano i presupposti, che però, per fortuna, non
ricorrono quasi mai in caso di assegnazione e/o cessione dell'abitazione principale.
Ricorrono, però, ove si tratti di altri beni immobili o quote societarie, strumenti
finanziari, quando si tratta di beni d'impresa, specialmente quando l'accordo prevede
la dazione di una somma di denaro da parte dell'accipiens (o l'accollo di un debito).
Se l'interpretazione della Corte Costituzionale sembrerebbe giustificare
l'insussistenza di ogni pretesa fiscale, altrettanto non può dirsi per l'atteggiamento
dell'A.F. che, ove la fattispecie minimamente traligni dai suoi confini classici ed un
po’ stereotipati, oppone resistenza all'applicazione dell'esenzione donde viene
ribadita la necessità di una attenta enunciazione causale nell'accordo, onde prevenire
eventuali richieste fiscali.
Peraltro in tema di reddito d'impresa, si sottolinea che l'art. 58 n. 3 del DPR 9/7/86
ritiene si verifichi una plusvalenza imponibile ove un bene d'impresa sia destinato al
consumo personale o familiare dell'imprenditore, o comunque sia destinato a finalità
estranee all'impresa.
Un'ultima notazione: si ribadisce, che alcuni negozi tipici traggono dal verbale che
sancisce l'accordo di separazione e/o divorzio semplicemente occasione di
formalizzazione del consenso, comunque, momento utile per stipula, visto che
potrebbe essere poi difficile formalizzarli dopo alla luce di atteggiamento spesso non
amichevole e conciliante tra i coniugi post separazione e/o divorzio.
Tali patti non sono causalmente qualificati dalla sistemazione delle reciproche
situazioni patrimoniali dei coniugi post separazione e/o divorzio, probabilmente non
sono attratti dal trattamento tributario agevolato, hanno proprie regole di forma e
sostanza che vanno strettamente rispettate.
Uno dei casi più frequenti è la divisione dei beni già ricadenti in comunione legale,
riguardo a ciò:
- è discutibile che possa ritenersi attratta al trattamento fiscale esentativo (la
comunione si scioglie per molteplici cause, non solo per separazione personale),
- è possibile stipularla nell'ambito dell'accordo di separazione e divorzio, avendo
questo forma scritta ed addirittura essendo considerato atto pubblico,
- vanno rispettate le norme di cui agli art. 194 e ss. C.C.,
- è altamente opportuno condizionarne l'efficacia all'avvenuta omologazione
dell'accordo di separazione e/o divorzio, che non può ritenersi tout court condicio
iuris della divisione, ma l'efficacia della quale consente lo scioglimento della
comunione, altrimenti inscindibile se non al verificarsi di una delle altre cause di
scioglimento della stessa.
Peraltro alcune pronunzie di merito sembrano considerare comunque l'efficacia di
tutti i patti contenuti nel verbale che sancisce la separazione consensuale
all'omologazione del giudice, quindi a condizionare comunque l'efficacia dei
trasferimenti appunto all'omologazione, ma, testualmente, l'accordo dei coniugi
acquista efficacia dopo l'omologazione nelle sole materie indicate dall'art. 158 u.c.
C.C.
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