ACCORDI TRA I CONIUGI IN SEDE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
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ACCORDI TRA I CONIUGI IN SEDE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO
ACCORDI TRA I CONIUGI IN SEDE DI SEPARAZIONE E DIVORZIO Per una compiuta definizione e risoluzione delle problematiche di natura fiscale nell'ambito dei procedimenti di separazione personale e divorzio è indispensabile premettere brevi cenni in tema di causa e forma degli accordi che i coniugi raggiungono e formalizzano in sede di procedimento di separazione consensuale (artt. 158 C.C. e 711 C.P.C.) e divorzio (art. 5 e ss. L. 898/70 e successive modifiche ed integrazioni). Al riguardo, premesso e precisato che la relazione non intende occuparsi degli aspetti processuali, si deve far presente che tali accordi, tradizionalmente, contengono una miriade di pattuizioni di svariata natura e contenuto, che è difficile sintetizzare, anche perchè ogni elencazione sarebbe indefettibilmente lacunosa. Si intendono qui trattare principalmente le questioni inerenti ai "trasferimenti" (latu sensu), immobiliari e non, che "avvengono" tra i coniugi in quelle circostanze. La terminologia che ho sopra utilizzato è volutamente e necessariamente (si scusi l'ossimoro) atecnica, proprio alla luce della difficile definizione della causa di tali attribuzioni, delle discussioni sollevate da questo problema, delle diverse soluzioni pratiche adottate, delle imprecisioni o comunque approssimazioni terminologiche ed anche dogmatiche che spesso i verbali di separazione e divorzio contengono, il che può comportare difficoltà con la liquidazione delle imposte che l'Agenzia delle Entrate effettua in sede di registrazione dell'accordo di separazione o divorzio o dell'atto esecutivo degli obblighi contenuti nel verbale che suggella il suddetto accordo. La dottrina e la giurisprudenza più risalenti tendevano a frammentare, da un punto di vista della definizione causale, le singole pattuizioni contenute negli accordi di separazione e divorzio, considerando gli stessi come una somma di fattispecie a se stanti, collegate solo dalla occasione nella quale venivano perfezionate, il che portava a risultati non soddisfacenti, contraddittori e comunque incompleti. Difficile, ad esempio, definire i trasferimenti quali donazioni, non fosse altro perchè in queste fasi ben difficilmente emerge un animus donandi, anzi, non è azzardato affermare che sono trasferimenti ove si palesa un atteggiamento reciproco contrario a qualsiasi spontaneità, perchè lo stesso profilo della gratuità è spesso discutibile od assente, perchè le conseguenze (specie in sede di revocabilità, obbligo di collazione, graduazione degli obbligati all'obbligo di prestare gli alimenti in caso di stato di bisogno del donate) sarebbero gravi e non volute dalle parti, perchè i patti sarebbero nulli per difetto di forma, mancando i testimoni, e, ove gli accordi contenessero un "impegno a donare" (frase che pur spesso compare nei verbali che contengono gli accordi in questione)) tale impegno configurerebbe un preliminare di donazione, prevalentemente ritenuto nullo dalla dottrina per difetto di spontaneità, e, comunque, sempre per difetto di forma. Analoghe ragioni si avanzano (salvo quelle proprie della donazione) per criticare le tesi che riconducono i trasferimenti in oggetto allo schema causale della compravendita, o comunque al contratto oneroso. Minoritarie sono le tesi che riconducono la causa degli accordi in questione alla transazione (anche per il rilievo che potrebbero mancare, e spesso mancano, le reciproche concessioni) e/o al negozio solutorio dell'assegno di mantenimento, ciò perchè la giurisprudenza quasi unanime, non sempre peraltro seguita dalla dottrina, ritiene che il diritto e l'obbligo di mantenimento siano diritti di carattere inderogabile, non transabili ex art. 1966 C.C. né suscettibili di prestazione in luogo di adempimento, anche alla luce della rivedibilità della quantificazione di tale diritto in relazione al mutare delle condizioni, il che contrasta con la volontà dei coniugi di rendere definitive le attribuzioni e, comunque, l'assetto patrimoniale derivante dall'esecuzione degli accordi di separazione e divorzio. Altra tesi dottrinale configura gli accordi in questione come convenzioni matrimoniali: anch'essa è stata criticata, adducendo che le convenzioni matrimoniali sembra debbano necessariamente collegarsi con un regime patrimoniale programmatico della famiglia, nel senso che debbano potersi porre come fonte di uno dei regimi patrimoniali della famiglia ammessi dalla legge (ex art. 159 e ss. C.C.), il che non si riscontra negli accordi in questione; da un punto vista formale, poi, difetta la forma dell'atto pubblico con necessaria presenza dei testimoni, infine è impossibile con gli accordi in questione disciplinare il regime degli acquisti dei coniugi separati, o, peggio, dei non più coniugi a seguito di divorzio. La tesi che pare preferibile, che si è affermata sia in dottrina che in giurisprudenza, pur, si ribadisce, convivendo con altre teorie, così che non si può dire che il dibattito sia concluso sull'argomento, od anche solo sopito, delinea la fattispecie come un negozio con causa atipica, caratterizzato dallo scopo e dalla funzione di soddisfare gli interessi dei coniugi a dare un assetto ai rapporti personali e patrimoniali della famiglia per il periodo successivo alla separazione e al divorzio. Le pronunzie e le opinioni dottrinali riconducibili a tale corrente sono molto numerose e, forse proprio a causa dell'evocata atipicità della causa, hanno spesso contenuti convergenti e diversificati per frammenti, ed un margine di ambiguità e genericità che è spesso il frutto o dell'analisi di fattispecie particolari, le affermazioni riguardo alle quali non è detto sia possibile generalizzare, o dell'analisi di aspetti particolari delle singole fattispecie, che non debbono, probabilmente, essere generalizzate proprio perchè non nate per esserlo. Mi si consenta un apparente salto logico, al termine del quale riprenderò le fila del discorso: pare abbastanza pacifica in giurisprudenza l'affermazione di atto pubblico del verbale che sancisce gli accordi tra i coniugi in caso di separazione e divorzio, quindi di titolo trascrivibile ed iscrivibile presso i registri immobiliari. Atteso ciò giungiamo alle prime conclusioni: * E' ben possibile che in sede di separazione e/o divorzio i coniugi concludano accordi che, di tale sede trovino soltanto occasione ed appoggio e non siano in alcun modo diretti a tratteggiare l'assetto dei reciproci rapporti personali e patrimoniali dopo la fase "fisiologica" del matrimonio, la giurisprudenza li ammette, ma, mi si passi l'espressione, mantiene "mani libere" sulla definizione causale, pertanto: -- Occorre prestare attenzione ad inserire, magari per ragioni di convenienza fiscale, negozi che con l'assetto dei rapporti patrimoniali dei coniugi in dipendenza della separazione o del divorzio nulla hanno a che vedere, essi potrebbero rivelarsi nulli per difetto di forma (donazioni) o, come vedremo poi, ripresi alla tassazione ordinaria, con probabile nuovo contenzioso tra i coniugi, od, infine, comunque impugnati per simulazione, ove l'expressio causae contenuta nei verbali fosse, effettivamente, simulata, e quindi dare luogo ad altro contenzioso. -- E' opportuno, peraltro, che l'expressio causae venga fatta emergere dal contenuto dei verbali, sia perchè parte della giurisprudenza e della dottrina ritiene irrinunziabile l'enunciazione della causa, sia allo scopo di usufruire con maggiore tranquillità del trattamento fiscale agevolato riconosciuto dalla legge e dalla sentenza della Corte Costituzionale oltre citata. -- E' opportuno evitare di qualificare in termini di donazione e vendita gli eventuali negozi traslativi e di impegno contenuti nei verbali, sia per non rischiare pesanti implicazioni civilistiche (donazione) o fiscali (vendita) con impegno di probabile altro contenzioso per acclarare la materia e possibile imputazione di responsabilità al professionista che suggerisca soluzioni non idonee. -- Non c'è troppo da contare sul fatto che, vertendo in tema di protezione di diritti familiari (latu sensu) comunque legati a situazioni in cui sempre esiste, quasi per definizione, un coniuge debole, e quindi un interesse degno di tutela quasi tralatiziamente annoverato tra gli interessi "forti", protetti dal sistema, l'atto dispositivo benefici di una robustissima opponibilità ai terzi: non esiste alcuna norma che sancisca l'impignorabilità dei beni ricevuti a seguito di separazione e/o divorzio tout court o da parte dei creditori estranei alle obbligazioni contratte per soddisfare gli interessi della famiglia, mentre la giurisprudenza, come in tema di atti fra coniugi e principalmente di fondo patrimoniale, non fa discendere dalla qualificazione causale che si è detta preferibile una definizione della stessa in termini di onerosità tout-court, si riserva (vedi Cass. 5741 del 23/3/2004) di verificare, di volta in volta, la ricorrenza dei presupposti che consentono di ravvisare nelle suddette attribuzioni l'esistenza della gratuità alla luce del disposto dell'art. 2901 C.C., il che, in presenza di coniugi con creditori "alle calcagna", non deve far pensare alla possibilità di impiegare un facile strumento per sfuggire a possibili revocatorie o sottrarre facilmente i beni da una ventilabile procedura concorsuale. Ecco che la latitudine della fattispecie rischia di trasformarsi in un elemento di incertezza, tra l'altro non facilmente percepibile all'esterno. Attenzione, infine, al fatto che pacificamente l'omologazione del giudice è qualificata come condicio iuris di efficacia dell'accordo, il che non fa sussumere gli accordi in questione tra i provvedimenti giudiziali impugnabili coi normali mezzi processuali, ma vere e proprie fattispecie negoziali, non sottratte alle nullità ordinarie in materia urbanistica (terreni e fabbricati) o fiscale (indivisibilità del c.d. compendio unico) o di altra indole e natura, alle cause d'inefficacia, ai possibili ed innumerevoli problemi di circolazione che i singoli beni coinvolti nelle attribuzioni possono comportare (clausole o norme che sanciscono prelazioni aventi efficacia reale, come per le quote sociali o i terreni agricoli, sempre nelle società, esistenza di clausole di gradimento, di intrasferibilità, patti parasociali etc). Infine un cenno sul ruolo dell'omologazione giudiziale in relazione all'accordo dei coniugi sulla separazione personale. E' noto che, per svariati motivi, i coniugi, a volte, concludono accordi coevi o precedenti rispetto alla formalizzazione del verbale contenente la separazione consensuale che sarà omologata, il cui contenuto è estraneo ad esso, ovvero modificano, attraverso accordi che non vengono sottoposti al vaglio giudiziale, il contenuto degli accordi omologati. Il tutto in apparente contrasto col contenuto dell'art. 158 C.C. e con la posizione che annette all'omologazione il ruolo di condicio iuris dell'accordo. Riguardo agli accordi anteriori o coevi alla separazione, la giurisprudenza prevalente propende per la validità a condizione che non interferiscano con l'accordo omologato, in particolare è stato ritenuto senz'altro ammissibile un accordo che incrementi l'importo dell'assegno di mantenimento a carico di un coniuge, ovvero detti disciplina di dettaglio e specificazione del contenuto dell'accordo omologato. Per quanto riguarda gli accordi successivi, la giurisprudenza e la dottrina più risalenti li consideravano nulli tout court, successivamente venne distinto tra gli accordi aventi ad oggetto obblighi od attribuzioni patrimoniali dei coniugi, validi perchè espressione della volontà negoziale degli stessi, e quelli concernenti gli obblighi personali o di mantenimento dei figli minori, ritenuti invalidi perchè non soggetti ad omologazione. Peraltro la giurisprudenza più recente della Corte di Cassazione ha poi ribaltato il suddetto orientamento (si veda, per tutte, Cass. 24.02.1993 n. 2270), facendo leva sul fatto che l'art. 158 C.C. prevede sì che il controllo omologatorio si appunti particolarmente sugli obblighi di affidamento e mantenimento della prole, ma esso investe anche l'intero contenuto degli accordi in quanto tali e nel loro complesso, quale espressione di un momento negoziale, altrimenti, aderendo all'orientamento che ritiene l'omologazione come estesa solo agli aspetti riguardanti la prole minore, si dovrebbe concludere che una coppia senza figli potrebbe concludere accordi di separazione a prescindere da qualsiasi omologazione giudiziale. Mancando, nella fase successiva agli accordi, la previsione di un procedimento omologatorio ad hoc, la Cass. ha statutito la non necessità di un... impossibile procedimento omologatorio in quella sede e, quindi, la piena validità di tali accordi, salvo il limite, verificabile giudizialmente in sede contenziosa o di richiesta di revisione dell'accordo, del rispetto dell'interesse dei figli. Peraltro la dottrina più recente, facendo appunto riferimento alla natura degli accordi tra i coniugi come espressione della loro capacità negoziale (il giudice non può in sede di separazione consensuale dettare condizioni, ma solo invitare i coniugi a rivedere l'accordo ed, al limite rifiutare l'omologazione sin quando non venga trovata soluzione idonea che non necessariamente deve coincidere con le sue indicazioni) tende ad estendere le soluzioni raggiunte dalla giurisprudenza in tema di accordi successivi alla separazione, anche agli accordi anteriori o coevi, suggerendo che il controllo del giudice ben possa esplicarsi in caso di eventuale impugnazione dell'accordo. Da un punto di vista fiscale l'art. 19 della L. 74/87, che ha riformato in alcuni punti l'originaria L. 898/70 sullo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ha sancito letteralmente "l'esenzione degli atti, dei documenti, e dei provvedimenti relativi di procedimenti di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonchè ai procedimenti esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corrisponsione od a garantire la revisione degli assegni di cui alla L. 898/70, artt. 5 e 10, dall'imposta di registro, di bollo, e da ogni altra tassa". L'A.F. ha opposto molte resistenze all'applicazione delle suddette "agevolazioni" anche agli accordi di separazione, la Corte Costituzionale ha dovuto intervenire due volte per giungere ad un unico trattamento tributario delle due fattispecie, dapprima ne ha esteso l'applicazione all'iscrizione dell'ipoteca legale a garanzia delle obbligazioni assunte dal coniuge nel giudizio di separazione (C. Cost. 15/4/92 n. 176), successivamente per estendere, finalmente e conclusivamente, il suddetto trattamento tributario a tutti gli atti, procedimenti e documenti relativi al procedimento di separazione personale tra i coniugi (C. Cost. 10/5/1999 n. 154). Tali pronunzie hanno indotto la A.F. ad emanare, una prima circolare, n. 49/E del 16 marzo 2000, con la quale venne preso atto del superamento dell'art. 8 lett. f della Tariffa, parte I, allegata alla L. del registro (DPR 131/86) in base alla quale erano considerati soggetti ad imposta fissa di registro unicamente i trasferimenti tra coniugi in sede di separazione personale purchè avessero ad oggetto beni già ricadenti nella comunione fra i coniugi Con la suddetta circolare l'A.F. dava atto dell'"ampia valenza esentativa" rappresentata dalla sentenza della Corte Costituzionale, chiarendo l'applicazione del trattamento fiscale agevolato esteso per effetto della pronunzia agli atti anteriori, purchè oggetto di impugnazione e non definiti con procedimenti esauriti, ribadendo che presupposto dell'esenzione è la mancata rilevabilità degli accordi come indici di capacità contributiva, statuendo che rientrano nel regime esentativo sia i trasferimenti contenuti nei verbali che sanciscono gli accordi di separazione, sia quelli contenuti negli atti che a tali accordi diano esecuzione, purchè l'accordo sia formalizzato nel verbale e possa, quindi, rilevarsi una connessione tra i due documenti. Questo comporta che eventuali accordi tra coniugi che non siano contenuti nel verbale o non diano ad esso esecuzione, perchè anteriori o contestuali od integrativi dello stesso, non vengono, allo stato, ritenuti agevolabili. Si potrebbe dubitare della conclusione almeno nel caso che un eventuale accordo anteriore fosse subordinato alla condizione dell'omologa dell'accordo di separazione e l'accordo, perfezionato successivamente, in qualche modo richiami l'atto perfezionato anteriormente. Il trattamento fiscale largamente esentativo può sintetizzarsi nell'esenzione dell'imposta di registro, di bollo, dalle imposte ipotecaria e catastale e dalla ormai abolita INVIM: in questi termini venne sollevata la questione di costituzionalità nella vertenza che ha portato alla pronunzia della Corte Costituzionale n. 154/1999. L'ambito di applicazione dell'esenzione va, peraltro, attentamente valutato alla luce della lettera della legge e delle varie prese di posizione in argomento. L'art. 19 della L. 74/87 parla di esenzione dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra "tassa". Non è chiara la portata di quest'ultimo termine: la Commissione Tributaria di Milano, sollevando la questione di legittimità costituzionale che portò alla pronunzia della Corte Costituzionale 154/99, tentò di sollecitare la Corte a pronunziarsi sull'ampiezza dell'esenzione, suggerendo un'interpretazione tesa ad equiparare l'espressione "tassa" all'espressione "tributo" alla luce della ratio della norma: favorire i coniugi in una fase difficile del rapporto famigliare e prendere atto della mancata rilevanza di ogni espressione di capacità contributiva nella conclusione degli accordi e nell'esecuzione dei trasferimenti. La Corte, non ha preso posizione espressa, sancendo l'illegittimità costituzionale in particolare sotto il profilo dell'art. 3 della Cost., peraltro accennando anche all'irragionevolezza della norma in relazione agli artt. 21, 31 e 53 Cost., ma non soffermandosi granchè sul punto, probabilmente perchè lo dava per scontato, ma non tenendo conto che spesso l'A.F. se ha assunto un atteggiamento di iniziale chiusura che viene improvvisamente scoperchiato, tende, magari dopo un po' di tempo, a riprendere il percorso già intrapreso che, maliziosamente,va ritenuto il proprio spesso immutabile ed effettivo pensiero. La circolare 49/E del 16/3/2000 pare evidenziare un atteggiamento di larghissima, ma generica, apertura dell'A.F. sulla portata dell'esenzione, in essa viene fatto riferimento alle tipiche imposte d'atto di cui era stato chiesto rimborso nel giudizio nel quale si innestò la questione di legittimità costituzionale sfociata nella sentenza 154/99, ma si sottolinea che "Accertato che dalla richiamata giurisprudenza dell'organo costituzionale traspare appieno che intento del legislatore, al di là delle enunciazioni formali, è stato quello di non aggravare con oneri tributari i procedimenti de quo......ad attribuire ad essa la più ampia portata agevolativa". Ma le implicazioni possibili di natura fiscale, oltre che di natura civilistica, dei nostri trasferimenti sono molte, e, ripeto non aiuta la genericità ed ambiguità, perchè troppo late, delle enunciazioni sulla causa. Così docce fredde in tema di trasferimento o costituzione di diritti sulla casa famigliare: molte separazioni avvengono nei primi anni di matrimonio e, spesso, proprio anche a causa dei sacrifici richiesti dall'acquisto di un'abitazione che costituisce la prima casa: è noto che la nota II bis, alla tariffa, parte I allegata al D.P.R. 131/86, punto 4, prevede la decadenza dell'agevolazione per l'acquisto della prima casa, ed il recupero delle normali imposte dovute, una sanzione del 30% sulla differenza tra le imposte pagate in sede di registrazione e quelle ordinarie recuperate nonchè l'obbligo di pagamento degli interessi in caso di cessione, a qualsiasi titolo, dell'immobile avvenuta prima di 5 anni dall'acquisto e mancato riacquisto di un immobile a titolo abitativo entro 1 anno dalla cessione e sua destinazione ad abitazione principale del cedente entro lo stesso termine; l'A.F. con risoluzione n. 35/E del 1 febbraio 2002 riconobbe la rilevanza della forza maggiore, causata da un impedimento sopraggiunto, imprevedibile e non soggettivo, al fine di evitare la decadenza (in quel caso forza maggiore era costituita da un sisma che colpì l'intero Comune ove il contribuente avrebbe dovuto spostare la residenza). Ma la Corte di Cassazione, con sentenza della sez. 5 n. 2552 del 20 febbraio 2003, pur rilevando che l'impossibilità di riacquisto in relazione alla necessità di sistemazioni patrimoniali conseguenti ad un procedimento di separazione personale non avrebbe dato luogo ad applicazione di sanzioni, riconosce natura recuperatoria alla pretesa dell'A.F. di applicare le normali imposte a seguito di decadenza per mancato riacquisto annuale di un'abitazione, ritenendo insussistente una causa di forza maggiore e quindi la mancata decadenza. Ancora, con risoluzione dell'A.R. Toscana dell'A.F. in risposta ad un interpello presentato da un Notaio in tema di applicazione del trattamento tributario previsto dall'art. 19 della L. 74/87 all'IVA, l'A.F. statuisce che il predetto trattamento tributario deve riferirsi unicamente ai beni già facenti parte del patrimonio di uno o entrambi i coniugi, che, quindi, si deve trattare di atti tra privati che non debbono coinvolgere terzi, quindi nessuna esenzione per ciò che comporta l'IVA, il che lascia evidentemente scoperte tutte le ipotesi in cui un coniuge, imprenditore individuale, trasferisca un bene, merce o strumentale, fiscalmente a carico dell'azienda dell'esenzione, presupponendo un istantaneo, precedente auto consumo dello stesso, si suppone. Ma la più pesante restrizione, ingiustificata, è posta dall'A.F. in tema di intestazione dei beni ad uno o più figli. La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con sentenza 30 maggio 2005 accoglie il ricorso dei contribuenti diretto ad invocare le agevolazioni in questione anche agli atti di trasferimento a favore dei figli, sul rilievo che, comunque si tratterebbe di atti comunque diretti alla definizione degli assetti patrimoniali della famiglia in conseguenza della separazione e/o divorzio. Questi trasferimenti sono molto frequenti proprio alla luce della resistenza da parte di un coniuge a trasferire all'altro il proprio patrimonio, e, d'altro canto, sono spesso tesi a contribuire, sia pur in modo atipico, al mantenimento dei figli. Tali trasferimenti, dunque vanno incontro proprio a tutte le esigenze che la Corte Costituzionale ha posto a base delle proprie decisioni in materia degli atti inerenti a separazioni e divorzi, compresa la compressione della litigiosità e la possibilità di accedere ad un nuovo equilibrio nei rapporti, anche personali, tra i coniugi litiganti. Ma l'A.F. con risoluzione n. 151/E del 19 ottobre 2005, successiva alla suddetta sentenza della Corte di Cassazione sopra richiamata e che aveva visto soccombere proprio l'A.F., ha, pur adottando un linguaggio che pare lasciare ampi spazi al dubbio (la risoluzione contrariamente al solito, fa ampio uso del verbo "sembra") assunto una posizione di chiusura, ripeto grave alla luce della quasi coeva sentenza che ha visto tale posizione soccombere, ritenendo che trasferimenti a favore di terzi, pur se contenuti nell'accordo di separazione, palesano una causa liberale a favore di un soggetto estraneo al rapporto matrimoniale, quindi non si ricollegano funzionalmente all'accordo di separazione. Il quadro tracciato non può che suggerire prudenza ed incertezza riguardo ad altre questioni che si potrebbero dire aperte, ad esempio il trattamento ai fini IRPEF di eventuali attribuzioni tra i coniugi che potrebbero dar luogo a plusvaleze imponibili ex art. 67 del DPR 917/86, ove ricorrano i presupposti, che però, per fortuna, non ricorrono quasi mai in caso di assegnazione e/o cessione dell'abitazione principale. Ricorrono, però, ove si tratti di altri beni immobili o quote societarie, strumenti finanziari, quando si tratta di beni d'impresa, specialmente quando l'accordo prevede la dazione di una somma di denaro da parte dell'accipiens (o l'accollo di un debito). Se l'interpretazione della Corte Costituzionale sembrerebbe giustificare l'insussistenza di ogni pretesa fiscale, altrettanto non può dirsi per l'atteggiamento dell'A.F. che, ove la fattispecie minimamente traligni dai suoi confini classici ed un po’ stereotipati, oppone resistenza all'applicazione dell'esenzione donde viene ribadita la necessità di una attenta enunciazione causale nell'accordo, onde prevenire eventuali richieste fiscali. Peraltro in tema di reddito d'impresa, si sottolinea che l'art. 58 n. 3 del DPR 9/7/86 ritiene si verifichi una plusvalenza imponibile ove un bene d'impresa sia destinato al consumo personale o familiare dell'imprenditore, o comunque sia destinato a finalità estranee all'impresa. Un'ultima notazione: si ribadisce, che alcuni negozi tipici traggono dal verbale che sancisce l'accordo di separazione e/o divorzio semplicemente occasione di formalizzazione del consenso, comunque, momento utile per stipula, visto che potrebbe essere poi difficile formalizzarli dopo alla luce di atteggiamento spesso non amichevole e conciliante tra i coniugi post separazione e/o divorzio. Tali patti non sono causalmente qualificati dalla sistemazione delle reciproche situazioni patrimoniali dei coniugi post separazione e/o divorzio, probabilmente non sono attratti dal trattamento tributario agevolato, hanno proprie regole di forma e sostanza che vanno strettamente rispettate. Uno dei casi più frequenti è la divisione dei beni già ricadenti in comunione legale, riguardo a ciò: - è discutibile che possa ritenersi attratta al trattamento fiscale esentativo (la comunione si scioglie per molteplici cause, non solo per separazione personale), - è possibile stipularla nell'ambito dell'accordo di separazione e divorzio, avendo questo forma scritta ed addirittura essendo considerato atto pubblico, - vanno rispettate le norme di cui agli art. 194 e ss. C.C., - è altamente opportuno condizionarne l'efficacia all'avvenuta omologazione dell'accordo di separazione e/o divorzio, che non può ritenersi tout court condicio iuris della divisione, ma l'efficacia della quale consente lo scioglimento della comunione, altrimenti inscindibile se non al verificarsi di una delle altre cause di scioglimento della stessa. Peraltro alcune pronunzie di merito sembrano considerare comunque l'efficacia di tutti i patti contenuti nel verbale che sancisce la separazione consensuale all'omologazione del giudice, quindi a condizionare comunque l'efficacia dei trasferimenti appunto all'omologazione, ma, testualmente, l'accordo dei coniugi acquista efficacia dopo l'omologazione nelle sole materie indicate dall'art. 158 u.c. C.C.