l`euro, moneta comune europea e fonte di stabilità: ha raggiunto il
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA FACOLTÀ DI ECONOMIA “RICHARD M. GOODWIN” Corso di Laurea in Economia e Commercio Curriculum “Gestione d’impresa” L’EURO, MONETA COMUNE EUROPEA E FONTE DI STABILITÀ: HA RAGGIUNTO IL SUO SCOPO? Tesi di Laurea in Macroeconomia Relatore: Candidato: Prof. Paolo Pin Daniele Macchelli Anno Accademico 2011/2012 Indice Indice 1 Introduzione 3 1 Il percorso storico verso l’Euro 5 1.1 Per iniziare: Il Trattato di Roma ............................................................................ 5 1.1.1 L’instabilità monetaria, il Rapporto Werner e il Serpente ............................. 6 1.2 La costituzione del Sistema Monetario Europeo .................................................... 8 1.3 Il rapporto Delors e le tre tappe dell’Unione Economica Monetaria ..................... 10 1.4 Il passaggio decisivo verso una moneta unica: Il Trattato di Maastricht ............... 13 1.4.1 I criteri di convergenza ................................................................................... 15 1.5 L’impiego dell’Euro ................................................................................................. 16 1.5.1 L’adozione dei tassi di conversione e la nascita dell’”ERM2” ......................... 19 1.5.2 La Banca Centrale Europea: autonomia e profili giuridici ............................... 21 1.5.3 L’Eurogruppo e il patto di stabilità e crescita .................................................. 25 1.5.4 L’Euro: scelta azzeccata? ................................................................................ 28 2 Effetti dell’euro sull’andamento del PIL 32 2.1 La premessa sul PIL .................................................................................................. 32 2.2 Le politiche macro che modificano il PIL: ipotesi di un’economia chiusa e introduzione del modello IS‐LM ..................................................................................... 34 1 2.2.1 ……. In economia aperta? ................................................................................ 40 2.3 L’euro che stabilizza le economie: Analisi grafica .................................................... 42 2.3.1 Le motivazioni che hanno portato alla scelta di questo campione .................. 43 2.3.2 Introduzione alla scala logaritmica ................................................................... 47 2.3.3 Analisi grafica del periodo 1960‐1999 .............................................................. 48 2.3.4 Analisi grafica del periodo 1999‐2009 .............................................................. 51 2.4 Il patto di stabilità come strumento per combattere la crisi ................................... 54 2.5 Uno sguardo al futuro .............................................................................................. 56 Conclusioni 59 Bibliografia 63 Sitografia 64 Indice delle figure 66 2 Introduzione L’idea di un’adozione di una moneta unica per tutti i paesi dell’Unione Europea, è stata un passo non ben accettato da tutti. Ciascuno stato da buon nazionalista con uno spirito di forte patriottismo era fedele alla propria moneta nazionale e anche per la popolazione ormai, l’uso dello stesso conio per molti anni era diventato una consuetudine. I “potenti” però con un’Unione Economica Monetaria intendevano creare una valuta unica che garantisse stabilità, coordinasse le politiche economiche e che diventasse importante e forte nel panorama mondiale. Non tutti però credevano e credono negli stessi ideali di un’unione. Il Regno Unito e paesi come la Danimarca e la Svezia hanno voltato le spalle all’euro, almeno per ora. Altri stati invece, pur facendo parte dell’Unione Europea, aspettano trepidanti il risultato dell’esame dei cosiddetti “Parametri di Maastricht” e si vedono posticipare la data di ingresso per criteri non pienamente soddisfatti. In questi mesi che mi ritrovo a formulare un’introduzione che riesca a cogliere l’aspetto più importante di questa tesi, è sorto il problema greco e la crisi che sta subendo si è fatta sentire suscitando premesse per una possibile uscita della Grecia dalla zona euro. La visione europea quindi, appare divisa in fazioni: da una parte ci sono paesi che si rifiutano di sentir parlare di moneta comune e con referendum negativi del popolo che ormai ha acquisito nel corso degli anni un’utopia nei confronti dell’euro, si sentono sicuri di un non‐ingresso; in mezzo ci stanno i paesi che hanno l’euro e che si adeguano allo stare in “famiglia” credendo che le crisi si superano stando uniti; dall’altra parte ci sono quelle nazioni che vorrebbero entrare in questa unione ma vengono “bocciate” a ogni appello. 3 Questo lavoro intende affrontare il tema della stabilità dell’euro attraverso un’analisi effettuata ottenendo risorse dalle maggiori banche dati mondiali. Leggendo il primo capitolo che affronta le tappe storiche e tutti i Trattati europei che si sono susseguiti e che hanno condotto alla nascita dell’euro, non sembrerebbe una tesi di Macroeconomia ma più una rassegna giuridica dei più importanti fatti accaduti. Il secondo capitolo entra nel vivo della materia e va ad analizzare una variabile macroeconomica come il PIL, importante non solo come misuratore dell’economia ma in questo specifico caso anche per i Paesi dell’area euro. Quella stabilità tanto decantata nel percorso storico della moneta unica, e ripresa in ogni mezzo di comunicazione odierno che affronta questo tema, si è veramente avverata? Le pagine che seguono questa piccola introduzione, si affacciano al cammino che ha visto la nascita di varie istituzioni, successivamente smontate, monete sostituite e nuove banche nate. Spero di aver reso il tutto di facile lettura anche per i meno esperti del campo e credo di essermi impegnato a inserire fonti che completassero e rendessero il lavoro più prestigioso possibile. 4 Capitolo 1 Il percorso storico verso l’Euro 1.1. Per iniziare: Il Trattato di Roma Osservando il testo originale del Trattato di Roma, ci accorgiamo che nel preambolo emergono vari aggettivi scritti in maiuscolo e posti in evidenza all’inizio di ogni paragrafo che sembrano tutti avere la stessa funzione, ne cito alcuni “Determinati”, “Decisi”, “Risoluti”, “Desiderosi”. Lo scopo che li accumunava è quello che ha spinto i sei Stati Europei (Italia, Francia, Germania occidentale, Belgio, Olanda e Lussemburgo) a creare una Comunità Economica Europea (CEE) con il suddetto Trattato il 25 marzo 19571. I compiti affidati alla CEE erano la creazione di un mercato comune che poteva mantenere una forte stabilità, una coesione delle politiche economiche degli Stati membri e un miglioramento della condizione della popolazione all’interno di ogni Stato2. Nonostante la concezione di una moneta unica non era ancora nell’immaginario dei capi di Stato, il Trattato prevedeva alcune disposizioni che già si indirizzavano in questa direzione; l’eliminazione dei dazi doganali tra gli Stati Membri e anche una tariffa doganale esterna comune a tutti gli Stati, poteva essere un segnale d’inizio verso un’unione monetaria. Le altre istruzioni erano di politiche paritarie per l’agricoltura e il settore dei trasporti, un Fondo sociale Europeo che garantiva un sostegno alle persone 1 Trattato di Roma (1958), Preambolo consultabile su http://eur‐ lex.europa.eu/it/treaties/dat/11957E/tif/TRAITES_1957_CEE_1_XM_0332_x111x.pdf. 2 Trattato di Roma (1958), Parte Prima, Principi, art. 2, consultabile su http://eur‐ lex.europa.eu/it/treaties/dat/11957E/tif/TRAITES_1957_CEE_1_XM_0334_x222x.pdf. 5 disoccupate, una Banca europea degli investimenti orientata a finanziamenti a lungo termine e infine lo miglioramento della collaborazione tra i Paesi membri3. L’instaurazione del mercato comune, basato su quattro libertà fondamentali: libera circolazione delle persone, servizi, merci e capitali, avrebbe dovuto realizzarsi in un periodo transitorio di dodici anni suddiviso in tre tappe4. I sei paesi tralasciarono l’importanza che aveva la stabilità monetaria, coscienti che essa faceva pieno affidamento al sistema di Bretton Woods, (sistema che si basava sull’oro e sul dollaro come livelli monetari per gli scambi) e che l’avanzamento verso una comunità europea potesse avvenire attraverso la conquista degli obiettivi che recitava il Trattato di Roma. Tale visione, a qualche anno di distanza, iniziò a presentare segni d’inadeguatezza. 1.1.1 L’instabilità monetaria, il Rapporto Werner e il Serpente Alle scelte fatte con il Trattato di Roma mancava il riconoscimento di uno status di Unione economica monetaria, obiettivo che venne concretizzato al vertice dei capi di Stato e di Governo riuniti all’Aja il 2 dicembre 1969. Il disordine monetario restava però al centro delle preoccupazioni dei sei Stati fondatori; i tassi di cambio erano fissi mentre il dollaro sostenuto da riserve auree garantiva la stabilità monetaria internazionale. Il commercio internazionale che si sviluppava sempre di più generò delle conseguenze sulle economie di alcuni Stati, attacchi inflazionistici e difficoltà nella bilancia dei pagamenti divennero inevitabili. Le svalutazioni (Francia) e le rivalutazioni (Germania) delle proprie monete, diedero impulsi negativi al sistema di Bretton Woods e portò il governo statunitense a decidere di porre fine alla 3 Trattato di Roma (1958), Parte Prima, Principi, art. 3, consultabile su http://eur‐ lex.europa.eu/it/treaties/dat/11957E/tif/TRAITES_1957_CEE_1_XM_0334_x222x.pdf. 4 Trattato di Roma (1958), Parte Prima, Principi, art. 8, consultabile su http://eur‐ lex.europa.eu/it/treaties/dat/11957E/tif/TRAITES_1957_CEE_1_XM_0334_x222x.pdf. 6 convertibilità del dollaro in oro, permettendo alla valuta americana di fluttuare nei confronti delle altre valute. Si pregiudicò così, il sistema dei cambi legato agli accordi di B.W. sui quali aveva fatto pieno affidamento la CEE. Vi erano due pensieri contrapposti, da una parte i tedeschi e gli olandesi premevano più su un’integrazione economica che su una monetaria, dall’altra parte francesi e belgi vedevano la forza di una moneta unica determinante per rendere più omogenee le economie delle comunità. Il vertice dell’Aja, a tal fine, aveva chiesto ad un gruppo di esperti, la formazione di un piano a breve scadenza che individuasse un quadro di interventi realizzabili a livello comunitario in materia di stabilità monetaria. I risultati del lavoro di questo gruppo di esperti furono formalizzati nel famoso Rapporto Werner5, nel 1970. Il rapporto evidenziò le lacune esistenti nel settore della politica economica e monetaria e propose una serie di azioni che costituirono la base sulla quale il Consiglio dei ministri europeo prese le sue decisioni con una risoluzione del 22 marzo del 1971. La risoluzione dava inizio a una lunga marcia verso la moneta comune. Essa, infatti, impegnava gli Stati membri ad una più attenta politica monetaria articolata su tre punti: 1) coordinamento delle rispettive politiche nazionali monetarie; 2) cooperazione tra banche centrali; 3) rapida riduzione dei margini di fluttuazione monetaria. Fu proprio questo punto che pose l’accento alla ricerca di una fluttuazione coordinata che dopo il caos del dollaro che creò la prima citata instabilità, vide la nascita nel 1972 del cosiddetto “serpente nel tunnel”, definito dal documento predisposto dalla Commissione Europea6 come, “un meccanismo di gestione concertata della fluttuazione delle monete (il “serpente”) all’interno di margini ristretti rispetto al dollaro (il “tunnel”)”. 5 Dal nome del suo presidente, il lussemburghese Pierre Werner. Commissione Europea: Una valuta unica per un’Europa unita, Il cammino dell’Euro (2007). “Il Serpente nel tunnel”. Consultabile su, http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/publication6730_it.pdf. 6 7 Le banche centrali dei paesi membri della CEE aderenti al serpente, si impegnarono a limitare al 2,25% il margine di fluttuazione delle proprie valute, rispetto alla parità con il dollaro statunitense dichiarata presso il fondo monetario internazionale. Il Piano Werner quindi, offrì agli Stati membri l’occasione per coordinare strettamente le loro politiche in modo da fronteggiare insieme i gravi problemi esistenti, a causa di quel contesto economico mondiale. La realizzazione del Piano avrebbe donato alla Comunità una serie di poteri da sempre di esclusiva proprietà degli Stati, che sarebbero andati oltre a una semplice unione doganale avvenuta con il Trattato di Roma e che forse avrebbero dato troppe responsabilità agli Stati che non erano pronti ancora ad accettare vincoli e direttive comunitarie in tema di gestione di una moneta. Il Rapporto Werner e le sue ambiziose prospettive vennero in realtà messe da parte in quegli anni tempestosi per fare largo alla costituzione del Sistema Monetario Europeo e così il piano di una moneta unica sembrava non molto distante. 1.2 La costituzione del Sistema Monetario Europeo Il Serpente creato, dopo poco la sua adozione venne messo in difficoltà: destabilizzato dalle crisi del petrolio7, delle divergenze politiche e dalla debolezza della moneta statunitense, esso si trasformò nell’area della moneta tedesca8 e invece di svolgere una funzione di integrazione fra le varie monete, ne produsse una opposta. Il neonato “rettile” strisciò via ma non si portò con sé l’idea di solidificare una stabilità monetaria. 7 (1973), “Dovuta principalmente all’interruzione del flusso di approvvigionamento di petrolio proveniente dalle nazioni appartenenti all’Opec (esportatrici di petrolio) verso le nazioni importatrici di petrolio”. , http://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_energetica_(1973). 8 Forte della stabilità e solidità del marco. 8 Bastò un discorso di Roy Jenkins9 in cui candidava un’unione economica e monetaria per aprire la strada alla nascita del Sistema Monetario Europeo nel marzo 1979. Lo SME si componeva di tre elementi complementari: l’ECU (European Currency Unit), il “meccanismo di cambio” e quello della solidità finanziaria. L’ECU, quale unità monetaria di riferimento, costituiva l’elemento centrale dello SME. Il suo valore era costituito da un paniere cui contribuivano tutte le monete della Comunità secondo una percentuale basata sul peso dell’economia di ogni singolo paese. Il meccanismo di cambio (ERM, Exchange Rate Mechanism), invece, prevedeva che ogni moneta facente parte dello SME fosse in rapporto di cambio con l’ecu secondo una banda di fluttuazione del 2,25% in ambedue le direzioni. Il cambio di ogni moneta, in pratica, poteva variare del 2,25% in più o in meno rispetto alla parità centrale che era quella dell’ecu. Ogni qualvolta una moneta avesse raggiunto i limiti della banda rispetto a un’altra moneta, le banche centrali dei due paesi erano obbligate a intervenire vendendo e comprando moneta per mantenere il livello di cambio nella banda di oscillazione10. Il terzo elemento dello SME, la solidità finanziaria, era garantito da un meccanismo di credito che metteva a disposizione dei paesi che ne avessero avuto bisogno le risorse necessarie per interventi di riequilibrio della bilancia dei pagamenti, precisamente, “ogni Stato membro trasferisce a un fondo comune il 20% delle sue riserve in valuta e in oro”11. Quando lo SME cominciò a funzionare, non tutti i paesi vi aderirono e entrarono alle stesse condizioni: L’Italia vi entrò chiedendo una banda di oscillazione più ampia, fino 9 Presidente della CE dal 1977 al 1981. Il cosiddetto “meccanismo di intervento”, http://www.europarl.europa.eu/factsheets/5_2_0_it.htm 11 L’Europa in 12 lezioni, L’Unione Economica e monetaria e l’euro, http://europa.eu/abc/12lessons/lesson_7/index_it.htm. 10 9 al 6%, con l’impegno di adottare la banda del 2,25%, non appena la lira avesse raggiunto una maggiore stabilità. Il restringimento della banda e quindi il conseguimento della stabilità, avvenne nel 1990 ma durò pochi anni, a seguito delle sfiducie del governo sul dissesto finanziario del paese e una debolezza della lira, l’Italia lasciò temporaneamente lo SME insieme alla sterlina inglese, dopo aver subito faticose svalutazioni nei confronti del marco tedesco12. In realtà, sei anni dopo, l’Italia ci rientrò. 1.3 Il Rapporto Delors e le tre tappe dell’Unione Economica Monetaria Grazie ai successi dello SME, il processo comunitario sulla strada dell’integrazione economica e monetaria continuò ad andare avanti. Un traguardo importante per la piena realizzazione dell’integrazione europea è stato raggiunto con la stipulazione dell’Atto Unico Europeo13 sottoscritto a Lussemburgo il 17 febbraio 1986 ed entrato in vigore il 1 luglio 1987. Esso si articolava in un preambolo, un titolo sulle disposizioni comuni, due titoli centrali e un titolo conclusivo. E’ proprio sui titoli centrali che voglio “far luce”: uno comprendeva le modifiche istituzionali ai Trattati di Roma e le misure per conseguire l’obiettivo del completamento del mercato unico entro il 1992; l’altro, fissava le disposizioni sulla cooperazione politica, cioè sulla collaborazione tra gli Stati membri per definire una politica estera comune che per la prima volta veniva contemplata. Esiguo sembrava invece, il riferimento alla cosiddetta “capacità monetaria”. 12 Enciclopedia DeAgostini, Lira (moneta), Storia: l’adesione allo SME, http://www.sapere.it/enciclopedia/lira+(moneta).html. 13 Testo integrale Atto Unico Europeo (1986), consultabile su http://www.lavoce.info/binary/la_voce/documenti/Atto_unico_europeo_Trattato_Lussemburgo_17_fe bbraio_1986_e_L_Aja_28_febbraio_1986.1202481306.pdf. 10 Pur essendo posta nel preambolo dell’Atto come obiettivo, nel testo ci si limitava a sottolineare che “ la cooperazione monetaria avrebbe tenuto conto delle esperienze acquisite grazie alla cooperazione nell’ambito del sistema monetario europeo (SME) e allo sviluppo dell’ecu14”. Fu solo nel Consiglio Europeo di Hannover del 27 e 28 giugno 1988 che i dodici (Italia, Gran Bretagna, Germania occidentale, Spagna, Portogallo, Belgio, Danimarca, Olanda, Francia, Irlanda, Grecia e Lussemburgo) riaprirono il fascicolo sull’unione economica e monetaria e decisero di dare vita a un comitato per analizzare e proporre le tappe per arrivare alla moneta unica. Il comitato avrebbe dovuto riferire le proprie conclusioni, di lì ad un anno, al Consiglio Europeo in programma a Madrid nel giugno del 1989. A presiederlo c’era Jacques Delors divenuto presidente della commissione della CE il 1° gennaio 1995. Tale rapporto ebbe un ruolo decisivo in quanto avrebbe portato agli accordi di Maastricht e quindi alla marcia verso una moneta unica. Delors, non si limitò a esporre concetti sull’idea di una moneta unica, ma fissò alcune condizioni politiche precise per l’avvio del “nuovo cammino” insieme a indicazioni e suggerimenti per conseguire l’obiettivo. Il raggiungimento dell’Unione Economica Monetaria (UEM) era legato a varie condizioni indispensabili: completa liberalizzazione dei movimenti di capitale, piena integrazione dei mercati finanziari, totale convertibilità delle monete europee, fissazione irrevocabile dei tassi di cambio e possibilità di sostituire le monete nazionali con una valuta unica. Alla luce di queste condizioni, si indicava che tale traguardo poteva essere raggiunto in tre tappe. La prima tappa doveva tendere a una maggiore convergenza dei risultati economici degli Stati membri, attraverso il rafforzamento del coordinamento tra le varie politiche economiche e monetarie nazionali. 14 Atto Unico Europeo, Titolo II, Capo II, Sezione II, Sottosezione II, Capacità monetaria, articolo 20. 11 La seconda tappa era caratterizzata da modifiche istituzionali. Sul fronte economico dovevano essere riesaminati i risultati raggiunti con il mercato unico, potenziate le politiche strutturali e ampliate e rafforzate le procedure di convergenza. Sul fronte monetario, veniva prevista, la nascita di un organo, l’Istituto Monetario Europeo (IME) che sostituiva gli organi precedenti. L’IME, “rafforzava la cooperazione tra le banche centrali nazionali degli Stati membri, coordinava le politiche monetarie garantendo la stabilità dei prezzi, sorvegliava il funzionamento dello SME, agevolava l’impiego dell’ecu ed esercitava la supervisione sul suo sviluppo”15. La terza fase infatti, segnava il momento definitivo della fissazione dei tassi di cambio in maniera irreversibile per l’eventuale introduzione della moneta unica e prevedeva l’istituzione della Banca Centrale Europea (BCE)16. A Madrid fu quindi deciso, che la prima tappa dell’unione economica monetaria sarebbe partita il 1° luglio 199017. Intanto, alcune settimane dopo il vertice nella capitale spagnola, nell’Europa orientale cadeva il potere sovietico: nella notte tra il 9 e 10 novembre del 1989 crollava il muro di Berlino e si accendeva inaspettatamente la questione della riunificazione tedesca. Lorenzo Pinna scrive: “ l’Unione europea con una moneta unica deve insomma il suo impulso chiave, il cristallizzarsi della volontà politica, a questo imprevisto avvenimento18”. 15 Versione consolidata Trattato CE (2002), articolo 117, http://eur‐ lex.europa.eu/it/treaties/dat/12002E/pdf/12002E_IT.pdf 16 Vedere paragrafo 1.5.2. 17 Data in cui entrò in vigore la direttiva del 1988 sulla libera circolazione dei capitali. La liberalizzazione veniva così estesa alle operazioni a carattere monetario o quasi monetario, come i prestiti finanziari, i depositi in valuta o le operazioni sui titoli. 18 Lorenzo Pinna, La malattia (mortale?) dell’euro, Consultabile su http://www.lorenzopinna.com/?p=1297. 12 1.4 Il passaggio decisivo verso una moneta unica: il Trattato di Maastricht L’esigenza di procedere alle necessarie riforme per la concreta attuazione dell’unione economica e monetaria (UEM) era divenuta ormai imprescindibile e venne finalmente soddisfatta con il Trattato di Maastricht. I capi di Stato e di governo dei “Dodici” raggiunsero l’accordo sul trattato l’11 dicembre 1991 e lo firmarono due mesi dopo il 7 febbraio 1992. L’UEM costituisce la grande novità del Trattato di Maastricht. In esso è contenuto l’impegno degli Stati membri di instaurare progressivamente suddetta unione e in particolare una politica e un sistema monetario uniforme, gestiti e regolati da strutture istituzionali comunitarie. Il Trattato riconfermava le proposte del rapporto Delors e le decisioni già prese nel Consiglio Europeo di Madrid (giugno 1989) a proposito delle tre fasi19 per la realizzazione dell’UEM. Per capire meglio il percorso delle tre tappe occorre scendere sul piano giuridico, gli articoli 120 (ex art. 98 del TCE) e s.s. del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea20 lo individuano. La prima fase ha avuto inizio il 1 luglio 199021 ed è terminata il 13 dicembre 1993. Nel corso di questa gli Stati membri, hanno attuato le loro politiche monetarie sulla scorta degli indirizzi di massima stabiliti dal Consiglio mediante raccomandazione, come stabilito all’art. 121, par. 4, tenendo conto della circostanza che esse costituiscono “una questione di interesse comune” (art. 121, par. 1, ex art. 99 TCE). In sostanza detta fase, ha rappresentato soltanto un primo passo verso l’instaurazione di 19 Vedere paragrafo 1.3. Il Trattato che istituisce la Comunità europea venne ridenominato “Trattato sul funzionamento dell’unione Europea”, dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 1° dicembre 2009, Consultabile su, http://eur‐lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2010:083:FULL:IT:PDF. 21 Vedere riferimento paragrafo 1.3, nota 17. 20 13 una politica economica e monetaria comune, in quanto si limitava a disporre l’assunzione a livello centralizzato delle necessarie determinazioni e la loro successiva attuazione da parte dei singoli Stati membri. Il carattere non vincolante degli impegni incombenti sugli Stati appare confermato dalle lievità delle sanzioni previste. Il Trattato infatti, stabilisce soltanto che in ipotesi di scarsa coerenza delle politiche nazionali con gli indirizzi assunti dal Consiglio, quest’ultimo “..deliberando a maggioranza qualificata su raccomandazione della Commissione, può rivolgere allo Stato membro in questione le necessarie raccomandazioni. Il Consiglio, poi, a maggioranza qualificata, su proposta della Commissione, può decidere di rendere pubbliche le proprie raccomandazioni” (art. 121, par. 4, ex art. 99 TCE); nel senso che la pubblicazione costituisca una forma di sanzione. Si è arrivati poi, al 1 gennaio 1994, data di inizio della seconda fase che è durata fino al 1 gennaio 1999. A partire da questa data, il Trattato di Maastricht, ha imposto agli Stati il rispetto di obblighi più precisi al fine di raggiungere un’elevata convergenza economica. Perciò è stato fatto divieto alle Banche centrali nazionali e alla BCE di finanziare con scoperti in conto corrente o altre facilitazioni creditizie il debito pubblico statale, specie delle pubblica amministrazione e delle imprese pubbliche, e il divieto per quest’ultime di accedere in via privilegiata al credito delle istituzioni finanziarie (art. 123 e 124, ex art. 101 e 102 TCE, in relazione all’art. 116, par. 3 TCE22). Lo scopo di tali impegni è quello di condurre gli Stati ad evitare disavanzi pubblici eccessivi (art. 116, par. 4 TCE). Al fine di garantire questi risultati, il Trattato riserva alle istituzioni comunitarie un compito di sorveglianza e di valutazione, sulle situazioni di bilancio e dell’entità del debito pubblico (art. 126, ex art. 104 TCE). La seconda fase introdusse rilevanti novità anche a livello istituzionale con la costituzione, nel 1994, e l’avvio dell’istituto monetario europeo (IME). L’IME, era composto da un presidente nominato dal Consiglio, e dai Governatori delle banche centrali degli Stati membri. La sua funzione, come accennava lo scorso paragrafo, era 22 Cita espressamente che saranno “applicati a decorrere dall’inizio della seconda fase”, http://eur‐ lex.europa.eu/it/treaties/dat/12002E/pdf/12002E_IT.pdf. 14 quella di coordinare la politica e l’azione delle banche centrali, controllare il sistema monetario europeo nonché quello di preparare le procedure necessarie per attuare la politica monetaria unica della terza fase. L’IME era quindi un corpo intermedio volto a gettare le basi per il Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC) ed è stato anche responsabile della preparazione tecnica della banconota che divenne la nuova moneta unica. Dal 1995 al 1997, la Commissione e l’IME lavorarono intensamente per preparare rapporti, studi e proposte per le decisioni e le misure politiche regolamentari necessarie al fine di prepararsi con successo per la terza fase dell’UEM, che come si decise nel Consiglio di Dublino23 del 1996, non avrebbe potuto cominciare prima del 1 gennaio 1999. 1.4.1 I criteri di convergenza Per l’ingresso nella terza fase, quella che è ancora in atto, nella quale si è proceduto a una definitiva instaurazione dell’Unione Economica e Monetaria, caratterizzata dalla perdita, da parte degli Stati partecipanti, dei poteri di coniare una propria moneta e di condurre una politica monetaria autonoma, il Trattato di Maastricht imponeva e impone tuttora, il rispetto dei cosiddetti “criteri di convergenza”. Ad ogni Stato quindi, viene chiesto di mettere ordine nella propria economia e presentarsi all’”appuntamento” con la moneta unica in modo tale da assicurare il rispetto di una serie di condizioni, ossia dei cosiddetti parametri di Maastricht risultanti dagli articoli 126 e 140, Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e dal protocollo n°1324. 23 Discorso del Presidente del Parlamento europeo di fronte al Consiglio europeo, tenutosi il 13 dicembre 1996, consultabile su http://www.europarl.europa.eu/summits/dub3_it.htm. 24 Consultabili su, http://eur‐lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2010:083:FULL:IT:PDF. 15 Il primo criterio consiste nel raggiungimento di un “alto grado di stabilità dei prezzi”. Questo, si intende raggiunto con un tasso di inflazione “prossimo” a quello dei tre Stati membri con i migliori risultati in termini di stabilità di prezzo. Secondo il protocollo sui criteri di convergenza, per tale “prossimità” s’intende che il tasso di inflazione dello Stato oggetto di esame non deve superare dell’1,5% la media dei tassi dei tre Paesi a più basso livello di inflazione25. Il secondo criterio, collegato al primo, richiede che i tassi di interesse a lungo termine26 degli Stati membri non superino del 2% quelli dei tre Stati con il più basso tasso di inflazione. Il terzo criterio richiede che le valute degli Stati membri rimangono “nei normali margini di fluttuazione consentiti dal meccanismo del tasso di cambio del Sistema monetario europeo, senza gravi tensioni per almeno due anni prima dell’esame”. Il quarto criterio è quello relativo alla finanza pubblica che richiede una situazione di bilancio “non caratterizzata da un disavanzo eccessivo”. L’art. 1 del Protocollo n°12 (sulla procedura per disavanzi eccessivi), parla di un disavanzo pubblico non superiore al 3% del prodotto interno lordo (PIL) ai prezzi di mercato). Il quinto criterio, richiede invece, un debito pubblico non superiore al 60% del PIL. 1.5 L’impiego dell’euro Il 1998 è l’anno dell’euro. Alla fine di marzo dello stesso anno, venivano verificati i conti dei Paesi candidati all’ingresso nella moneta unica. 25 Viene citato che “l’inflazione si misura mediante l’indice dei prezzi al consumo (IPC)”. Viene citato che “i tassi di interesse si misurano sulla base delle obbligazioni a lungo termine emesse dallo Stato o su titoli analoghi”. 26 16 Sempre l’art. 140 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, contiene la procedura che ha condotto il Consiglio, riunito nella composizione dei Capi di Stato e di Governo, a individuare nel maggio del ’98, nel rispetto di tale principio, gli Stati membri che soddisfacevano le condizioni necessarie per l’adozione della moneta unica. Gli Stati ammessi a partecipare a pieno titolo alla terza fase dell’UEM dal 1° gennaio 1999, erano 11 degli allora 15 membri dell’Ue: Italia, Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Austria, Irlanda e Finlandia. Gli altri 4 Stati, Danimarca, Regno Unito, Svezia e Grecia, ne facevano parte con “deroga”. I primi due, anche se in regola con i parametri, avevano manifestato la volontà di non partecipare all’UEM, avvalendosi della clausola dell’”opting out” che consisteva nella facoltà di non partecipare se l’opinione pubblica era contraria27. Anche la Svezia, decideva di non abbandonare la propria moneta, formalmente la sua esclusione era motivata dal fatto che la corona svedese non avesse mai fatto parte del meccanismo di cambio europeo. Infine la Grecia non avendo soddisfatto nessuno dei cinque criteri economici, non ha potuto da subito adottare la moneta unica, infatti il suo ingresso nell’UEM, avvenne il 1° gennaio 2001. La partecipazione della Grecia fece seguito alla decisione adottata il 19 giugno 2000 dal Consiglio dell’Ue, riunito nella composizione dei capi di Stato o di governo, che sanciva l’adempimento dei criteri di convergenza da parte della stessa28. L’Euro fu materialmente introdotto nei mercati con banconote e monete dal 1° gennaio 2002, anche se per un certo periodo, non più di sei mesi (in Italia fino al febbraio 2002), circolavano contemporaneamente pezzi in euro e monete nazionali e non potevano essere emessi assegni in valuta nazionale. Queste indicazioni erano contenute negli articoli 10 e 15 del regolamento 974/9829. Alla fine di questa scadenza, 27 Danimarca e Svezia hanno tenuto referendum popolari sull’introduzione dell’euro con esiti negativi, http://it.wikipedia.org/wiki/Opt‐out_nell'Unione_europea. 28 Come cita espressamente l’articolo 1 della decisione del Consiglio, consultabile su, http://eur‐ lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2000:167:0019:0021:IT:PDF. 29 Regolamento CE N° 974/98 del Consiglio del 3 maggio 1998, relativo all’introduzione dell’euro, http://www.bancaditalia.it/bancomonete/monete/Reg_CE_974_98.pdf. 17 il passaggio alla moneta unica fu completo e l’euro diventò l’unica moneta avente corso legale negli Stati dell’UEM. Prima di proseguire con la storia di questa conclamata moneta, intendo fare una parentesi sull’Unione economica monetaria odierna. Attualmente, l’euro è stato adottato da 17 degli attuali 27 stati membri dell’Ue. Il percorso che ha portato ai 17, ha visto l’entrata nell’UEM, della Slovenia nel 200730, di Cipro e Malta nel 200831, della Slovacchia nel 200932 e dell’Estonia nel 201133. In linea di massima, tutti gli Stati membri dell’Ue, dovrebbero inglobare la terza fase dell’UEM adottando quindi, la moneta unica euro. Tuttavia alcuni Stati membri non soddisfano i termini economici e finanziari richiesti. Al momento, Regno Unito e Danimarca hanno negoziato uno status speciale: i protocolli34 allegati ai trattati fondatori dell’Ue, precisamente il numero 15, 16 e 17, conferiscono a questi due Paesi, la riserva di decidere se approvare o meno la terza fase. Entrambi i due Stati, si sono avvalsi della clausola di esenzione, comunicando al Consiglio dell’Ue, di non volere entrare a far parte dell’area euro. 30 Relazione sulla proposta di decisione del Consiglio relativa all’adozione della moneta unica da parte della Slovenia il 1° gennaio 2007, consultabile su, http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=‐//EP//NONSGML+REPORT+A6‐2006‐ 0200+0+DOC+PDF+V0//IT. 31 Relazione sulla proposta di decisione del Consiglio relativa all’adozione della moneta unica da parte di Cipro il 1° gennaio 2008, consultabile su, http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=‐ //EP//NONSGML+REPORT+A6‐2007‐0244+0+DOC+PDF+V0//IT&language=IT. Relazione sulla proposta di decisione del Consiglio relativa all’adozione della moneta unica da parte di Malta il 1° gennaio 2008, consultabile su, http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=‐ //EP//NONSGML+REPORT+A6‐2007‐0243+0+DOC+PDF+V0//IT&language=IT. 32 Relazione sulla proposta di decisione del Consiglio relativa all’adozione della moneta unica da parte della Slovacchia il 1° gennaio 2009, consultabile su, http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=‐//EP//NONSGML+REPORT+A6‐2008‐ 0231+0+DOC+PDF+V0//IT. 33 Relazione sulla proposta di decisione del Consiglio relativa all’adozione della moneta unica da parte dell’Estonia il 1° gennaio 2011, consultabile su, http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=‐//EP//NONSGML+REPORT+A7‐2010‐ 0182+0+DOC+PDF+V0//IT&language=IT. 34 Protocolli allegati al Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, consultabili su, http://eur‐ lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2010:083:0201:0328:IT:PDF. 18 Gli altri Paesi rimanenti facenti parte dell’Ue (Svezia, Polonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Romania, Bulgaria e Repubblica Ceca), sono tutt’oggi membri in “deroga” non avendo le condizioni per l’adozione dell’euro, chiaramente non sono soggetti alle disposizioni che si applicano all’entrata nella terza fase e a tutti i provvedimenti che importano i compiti di politica monetaria al Consiglio direttivo della BCE. 1.5.1 L’adozione dei tassi di conversione e la nascita dell’”ERM2” Ritorniamo sui nostri passi. Decisi gli Stati ammessi a partecipare alla terza fase, restava da risolvere il problema dei valori di conversione di ciascuna valuta nazionale rispetto alla nuova moneta unica. A tal proposito, l’art. 12335 (ex. art 109L) del Trattato che istituisce la Comunità Europea, stabiliva che alla data di inizio della terza fase, il Consiglio, “all’unanimità degli Stati membri senza deroga”, su proposta della commissione e previa consultazione della Banca Centrale Europea, decideva i tassi di conversione ai quali le monete sarebbero state irrevocabilmente vincolate e il tasso, anch’esso irrevocabile, al quale l’ecu andava a sostituire suddette valute divenendo essa valuta a pieno titolo. La fissazione dei tassi di conversione intervenne bene sei mesi dopo l’individuazione degli Stati partecipanti alla terza fase. La decretazione dei tassi, in realtà, non poteva essere anticipata in quanto sempre l’art. 123 (ex art. 109L), citato precedentemente, affermava che l’adozione della moneta unica “non doveva comportare una modifica del valore esterno dell’ecu”. Quindi, dato che non tutte le valute che componevano l’ecu divennero euro, attendere l’ultimo valore ufficiale dell’ecu espresso il 31 dicembre 1998 sembrava la strada più ragionevole. 35 Art. 123 (ex art. 109L), paragrafo 4, Trattato che istituisce la Comunità Europea, versione consolidata del 1997, consultabile su, http://eur‐ lex.europa.eu/it/treaties/dat/11997E/htm/11997E.html#0173010078. Questo articolo è stato successivamente modificato dal Trattato di Nizza del 2001. 19 Per evitare che in questo lasso di tempo si verificassero movimenti speculativi finalizzati a dirigere la decisione sui valori della singole valute, i ministri degli undici Stati senza deroga, i governatori della banche centrali nazionali e l’IME decisero in anticipo il metodo per il calcolo dei tassi di conversione. Andrea Bonanni in un articolo36 del Corriere della Sera del 31 dicembre 1998 scriveva: “ i mercati valutari sapientemente pilotati dalle banche centrali, hanno tempestivamente e ordinatamente anticipato il cambiamento, allineando perfettamente le parità bilaterali tra le varie monete della zona euro a quelle definitive” e continua, “.. i governatori delle banche centrali prenderanno atto delle parità esistenti e le comunicheranno alla Commissione che proporrà i tassi di conversione tra le singole valute e l’euro”. Alla luce di ciò, il 31 dicembre 1998, vennero irrevocabilmente decisi i tassi di conversione con decorrenza dal 1° gennaio 1999. Il regolamento 2866/9837, modificato più volte a seguito dell’entrata di altri Paesi nella zona euro, decideva che un euro corrispondeva a 1936,27 lire italiane. Il metodo che portava alla determinazione dei tassi di conversione irrevocabili della dracma greca e di tutte le altre valute38 che sono sfociate in un secondo momento nell’euro, fu stabilito sempre dall’Ecofin nella medesima maniera. Contestualmente, lo SME, il sistema che ha condizionato le politiche di cambio europee dal 1979, cessò di esistere, insieme ad esso vennero meno anche gli elementi su cui si fondava, vale a dire l’ecu e il meccanismo di cambio tra le monete partecipanti al sistema. Apparve quindi l’esigenza, di prevedere un meccanismo di cambio tra l’euro 36 Andrea Bonanni, Nasce l’euro, la lira si avvia al tramonto, pubblicato sul Corriere della Sera del 31 dicembre 1998. Consultabile su, http://archiviostorico.corriere.it/1998/dicembre/31/Nasce_euro_lira_avvia_tramonto_co_0_98123111 851.shtml. 37 Regolamento CE del Consiglio del 31 dicembre 1998 sui tassi di conversione tra l’euro e le monete degli Stati membri che adottano l’euro. Consultabile su, http://eur‐ lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CONSLEG:1998R2866:20110101:IT:PDF. 38 In ordine di entrata: tallero sloveno, lira cipriota, lira maltese, corona slovacca e corona estone. 20 e le monete degli Stati membri non partecipanti. Il Consiglio di Amsterdam del giugno del 1997, adottò una risoluzione che fissava caratteristiche e meccanismi del cosiddetto “ERM2”. Questo meccanismo fu inaugurato e divenne operativo a partire dal 1° gennaio 1999 a seguito di un accordo tra la BCE e le banche centrali nazionali degli Stati che non partecipavano all’euro. L’ERM2, si caratterizza e si caratterizzava per avere al suo centro l’euro, rispetto al quale viene definita la parità centrale per ogni altra valuta, con una banda di oscillazione piuttosto ampia del più/meno 15%. 1.5.2 La Banca Centrale Europea: autonomia e profili giuridici Con l’inizio della terza fase dell’UEM, come ho detto nel paragrafo 1.3, l’Istituto Monetario Europeo (IME) è stato sostituito dal Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC). Dal punto di vista giuridico, questo impianto attualmente, è prescritto dagli articoli 127 (ex art. 105 TCE) e s.s., dalla sezione 6 del Trattato (comprendenti articoli 282, 283 e 284) e dal protocollo n°4, riguardante lo statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. “La Banca centrale europea (BCE) e le banche centrali nazionali costituiscono il Sistema europeo di banche centrali (SEBC)39”, in questa chiarificazione si inserisce anche il termine “Eurosistema” che è invece utilizzato per designare la BCE e le BCN degli Stati membri che hanno come moneta l’euro. Le BCN degli Stati membri che non aderiscono all’area dell’euro, tuttavia, godono all’interno del SEBC di uno status particolare; se da un lato possono condurre le rispettive politiche monetarie 39 Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, Protocollo n°4, articolo 1, consultabile su, http://eur‐lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2010:083:FULL:IT:PDF. 21 nazionali40, dall’altro esse non partecipano né alla formulazione né all’attuazione delle decisioni relative alla politica monetaria unica dell’area dell’euro. IL SEBC non è un vero e proprio organo di poteri decisionali poiché in realtà è retto dagli organi della BCE41. Proprio quest’ultima, nata ufficialmente il 1 luglio 1998, operativa dal 1°gennaio 1999, gode a norma dell’art. 282 e dell’art. 9 del protocollo, di “personalità giuridica”, ed è governata da un Comitato esecutivo composto da un presidente42, un vicepresidente e quattro membri43 nominati “tra persone di riconosciuta levatura ed esperienza professionale nel settore monetario o bancario44”, tutti designati per un periodo di otto anni, senza alcuna possibilità di rinnovo del mandato, su comune accordo degli Stati membri, su raccomandazione del Consiglio Europeo, del parlamento e del Consiglio direttivo. Questo Consiglio è composto dal Comitato esecutivo e dai governatori delle Banche centrali degli Stati membri senza deroga, ovvero che hanno adottato l’euro e riveste il ruolo di ordinario ente decisionale. I ruoli e i poteri del SEBC sono fissati ufficialmente all’art. 127 (ex art. 105 TCE)45, ripresi anche all’articolo 3, paragrafo 1 del protocollo n°4 di suddetto Trattato. L’articolo elenca i compiti fondamentali attribuiti al SEBC, in particolare, quello di “definire e attuare la politica monetaria dell’Unione”, di “svolgere operazioni sui cambi..”, di “detenere e gestire riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri” e infine quello di “promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento” della Comunità. Lo stesso articolo, nel quinto paragrafo, chiede al SEBC di contribuire “a una buona conduzione delle politiche perseguite dalle competenti autorità per 40 Riferimento all’articolo 42 (ex art. 43) del protocollo n°4, capo IX, riguardante le disposizioni transitorie e disposizioni varie per il SEBC. 41 Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, articolo 129 e protocollo n°4, articolo 8, consultabili su, http://eur‐lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2010:083:FULL:IT:PDF. 42 Attualmente il presidente della BCE è il connazionale Mario Draghi. 43 L’articolo 283 (ex art. 112 TCE) paragrafo 2, sezione 6 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, cita espressamente che i membri sono quattro. 44 Riferimento all’articolo 11 del protocollo n°4, Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. 45 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, articolo 127 (ex art. 105 TCE), consultabile su, http://eur‐lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2010:083:FULL:IT:PDF. 22 quanto riguarda la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario”. Lo scopo di tutte queste azioni deve essere sempre secondo l’art. 127 (ex art. 105 TCE) paragrafo 1, “un mantenimento della stabilità dei prezzi” e quindi un basso tasso di inflazione. La BCE ha altri compiti di rilievo affidatigli dallo stesso articolo nel paragrafo 4. Essa svolge un ruolo consultivo sia nei confronti delle istituzioni comunitarie, per gli atti comunitari, sia nei confronti dell’autorità nazionali in merito a qualunque disposizione che “rientra nelle sue competenze”. Principalmente però, la BCE esercita il “diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote (..) che costituiscono l’unico corso legale all’interno dell’Unione46”. Gli Stati membri continuano ad avere il potere di emettere monete metalliche ma la BCE controlla il “volume del conio”. Passiamo all’aspetto dell’indipendenza. L’articolo 130 (ex art. 108 TCE) del suddetto Trattato, si dedica al carattere dell’indipendenza del SEBC, della BCE e delle BCN nel loro processo decisionale, prevedendo che da un lato i membri della BCE e della Banche nazionali e dei rispettivi organi non possano sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni comunitarie e dai governi nazionali e dall’altro che questi ultimi si impegnano a rispettare tale principio. Alla BCE è stato anche garantito un livello inusuale di potere di regolamentazione. In base al dettato dell’art. 132 (ex art. 110 TCE), essa ha la facoltà di stabilire norme volte ad attivare la sua politica monetaria per la Comunità, le è stata riconosciuta anche la libertà di prendere decisioni vincolanti e emettere pareri o raccomandazioni. Può poi, infliggere alle imprese “ammende o penalità di mora in caso di inosservanza degli obblighi imposti dai regolamenti e dalle decisioni da essa adottati47”. 46 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, articolo 128 (ex art. 106 TCE), consultabile su, http://eur‐lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2010:083:FULL:IT:PDF. 47 Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, articolo 132 (ex art. 110 TCE) paragrafo 3, consultabile su, http://eur‐lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2010:083:FULL:IT:PDF. 23 Passiamo al processo decisionale. Per il Consiglio direttivo le cui responsabilità consistono: “nell’adottare le decisioni e gli indirizzi necessari ad assicurare l’assolvimento dei compiti48 affidati al SEBC”, nel “formulare la politica monetaria dell’Unione, ivi comprese, a seconda dei casi, le decisioni relativa agli obiettivi monetari intermedi, ai tassi di interesse guida e all’offerta di riserve nel SEBC e nello stabilire gli indirizzi necessari per la loro attuazione”, l’articolo 10 paragrafo 2 dello statuto, prescrive un quorum dei due terzi e l’adozione della maggioranza semplice oltre a garantire al presidente il voto decisivo in caso di parità. Non sono ammesse deleghe, mentre è consentito il voto tramite teleconferenza. Per i sei componenti del Comitato esecutivo, le cui responsabilità sono sempre riassunte nell’articolo 12 dello Statuto, consistono: “nell’attuare la politica monetaria secondo le decisioni e gli indirizzi stabiliti dal consiglio direttivo” e nel contempo, “impartire le necessarie istruzioni alle banche centrali nazionali” ed esercitare i poteri ad esso delegati dal Consiglio direttivo della BCE, l’articolo 11 dello Statuto, stabilisce che svolgono i loro compiti a tempo pieno e prescrive le regole di voto del Comitato che vanno nella stessa via di quelle del Consiglio direttivo. Secondo l’articolo 13, poi, il Presidente “presiede il consiglio direttivo e il comitato esecutivo della BCE” e “rappresenta la BCE all’esterno”. Questa autonomia citata viene definita un “bene” a dispetto del rispetto di quattro condizioni: deve avere dei fini indiscussi, deve essere chiara, deve giustificare il suo volere e ci deve essere una comunicazione benevola a lungo termine tra i governi e la stessa Banca; per confermare la positività della BCE è doveroso che si verificano delle modificazioni, l’Eurogruppo per esempio, si potrebbe esprimere sulla stabilità dei prezzi49. 48 L’articolo 12 del protocollo n° 4 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, parla di Responsabilità degli organi decisionali, consultabile su, http://eur‐ lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2010:083:FULL:IT:PDF. 49 Charles Wyplosz, 04 novembre 2007, DOVE FINISCE L’INDIPENDENZA DELLA BCE, http://www.lavoce.info/binary/la_voce/articoli/cache_pdf/DOVE‐FINISCE‐L‐INDIPENDENZA‐DELLA‐BCE‐ 1000102.pdf. 24 1.5.3 L’Eurogruppo e il patto di stabilità e crescita Intendo effettuare una parentesi per quanto riguarda l’Eurogruppo. Leggendo su una qualsiasi enciclopedia o su un libro di testo, l’Eurogruppo, viene descritto come un “Organo di coordinamento consultivo e informale formato dai ministri dell’Economia e delle Finanze dei diciassette Stati membri dell’Unione europea che hanno adottato l’euro50”. Con questa affermazione, le sue funzioni non sono ben chiare. Andando avanti nella definizione trovo che “l’Eurogruppo si riunisce alla vigilia degli incontri dell’Ecofin (..) e ha lo scopo di intensificare il dialogo sulle questioni legate all’Unione monetaria”. Dal 2005, il presidente di questa istituzione è il primo ministro lussemburghese, Jean‐Claude Juncker51. In realtà si parla di “Eurogruppo” dalla recente modifica avvenuta con il Trattato di Lisbona (2009), infatti, nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, il protocollo n°14 è dedicato interamente ad esso. Recentemente l’Eurogruppo è stato coinvolto nel nuovo patto di stabilità chiamato “MES” (Meccanismo Europeo di Stabilità), un fondo di salvataggio europeo che è sorto dalle modifiche52 del Trattato di Lisbona, approvate il 25 marzo 2011 dal Parlamento Europeo e ratificate l’11 luglio 2011 dal Consiglio Europeo. Questo fondo, che entrerà in vigore da luglio 2012, andrà a sostituire gli altri due fondi e come dice la prima considerazione del Trattato che istituisce il Meccanismo Europeo di Stabilità, 50 Ho scelto la definizione di Eurogruppo nell’enciclopedia on‐line Treccani, http://www.treccani.it/enciclopedia/. 51 Recentemente ha manifestato la volontà di dimettersi lasciando il posto a un successore per ora ignoto. In lizza c’è il ministro delle finanze tedesco, Wolfang Schaeuble, candidato anche dalla cancelliera tedesca, Angela Merkel. http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012‐03‐17/merkel‐vuole‐ schauble‐testa‐081659.shtml?uuid=Ab9CFb9E. 52 Per modifiche si intende la modifica che ha subito l’art. 136 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea a seguito della Decisione del Consiglio Europeo del 25 marzo 2011. All’art. 136, è stato aggiunto un paragrafo: “Gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità”. La Decisione del Consiglio Europeo è consultabile su, http://eur‐ lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2011:091:0001:0002:IT:PDF. 25 “assumerà il compito attualmente svolto dal Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) e dal meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (EFSM)53”. Come obiettivo il MES ha quello di “mobilizzare risorse finanziarie e fornire un sostegno alla stabilità, secondo condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto, a beneficio dei membri del MES che già si trovino o rischino di trovarsi in gravi problemi finanziari, se indispensabile per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso e quella dei suoi Stati membri. A questo scopo è conferito al MES il potere di raccogliere fondi con l’emissione di strumenti finanziari o la conclusione di intese o accordi finanziari o di altro tipo con i propri membri, istituzioni finanziarie o terzi54”. Il Patto di stabilità e crescita originario invece risale al Trattato di Amsterdam (1997) e le decisioni riguardanti questo patto sono state rese operanti con due regolamenti entrambi datati 7 luglio 1997 ed entrati in vigore il 1° luglio 1998 e il 1° luglio 1999. La prima decisione che era contenuta nel regolamento n°1466/9755, relativo alla sorveglianza sulle posizioni di bilancio e le politiche economiche, mirava a migliorare il flusso di informazioni economiche dagli Stati membri alla commissione e allo stesso Consiglio. A tal fine, era previsto che ciascun Stato partecipante alla terza fase dell’UEM e quindi che avrebbe adottato l’euro, si dotasse di un “Programma di stabilità”, definito nella sezione 2, all’articolo 3 di suddetto regolamento, contenente obiettivi di bilancio di medio termine che dimostravano il surplus o almeno il pareggio di detto bilancio e che fornivano dati rilevanti e prospettive sugli sviluppi economici. Questi programmi venivano valutati dalla Commissione e dal Consiglio a norma dell’articolo 5 del regolamento. Per quanto riguarda gli Stati che non facevano parte dell’area dell’euro, erano previsti dei “Programmi di Convergenza”. Tale regolamento è 53 Trattato che istituisce il meccanismo europeo di stabilità, Considerazioni (1), consultabile su, http://www.european‐council.europa.eu/media/582889/08‐tesm2.it12.pdf. 54 Trattato che istituisce il meccanismo europeo di stabilità, Articolo 3, Obiettivo. 55 Regolamento (CE) n° 1466/97 del Consiglio del 7 luglio 1997, per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche , consultabile su, http://eur‐ lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:1997:209:0001:0005:IT:PDF. 26 stato poi modificato da un successivo regolamento (CE) n° 1055/2005 del Consiglio del 27 giugno 2005. Il secondo regolamento, n° 1467/9756, sulla messa in atto delle procedure per deficit eccessivi, ribadiva l’obbligo di continuare ad evitare deficit eccessivi per gli Stati membri che partecipavano alla fase finale dell’UEM. Come ho detto nel paragrafo 1.4 quello riguardante i criteri di convergenza, il valore di riferimento per il disavanzo eccessivo è il 3% del PIL. Come afferma l’articolo 2 di suddetto regolamento: “ il superamento del valore di riferimento per il disavanzo pubblico è considerato eccezionale e temporaneo”, precisando che eccezionale può essere determinato da un “evento inconsueto” che non è gestibile dallo Stato membro interessato e influisce negativamente sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione, oppure da una grave recessione economica. La situazione temporanea invece, se al cessare dell’evento inconsueto o della recessione economica il disavanzo diminuirà al di sotto del valore di riferimento. La procedura può essere sospesa, ai sensi dell’articolo 9, sezione 2, di suddetto regolamento: “qualora lo Stato membro interessato ottemperi alle raccomandazioni” del Consiglio, e “qualora lo Stato membro partecipante interessato ottemperi all’intimazione” del Consiglio. Interessante è il fronte delle sanzioni. L’articolo 11 afferma che la sanzione in un primo momento è costituita da un deposito infruttifero presso la Comunità e continua con l’articolo 12, paragrafo 1: “ l’ammontare del primo deposito è costituito da un elemento fisso, pari allo 0,2% del PIL e da un elemento variabile pari a un decimo della differenza tra il disavanzo espresso in percentuale del PIL nell’anno precedente ed il 3% del valore di riferimento del PIL”. E’ previsto un deposito aggiuntivo, e l’importo dei 56 Regolamento (CE) n° 1467/97 del Consiglio del 7 luglio 1997, per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi, consultabile su, http://eur‐ lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:1997:209:0006:0011:IT:PDF. 27 due depositi “non può superare il massimale dello 0,5% del PIL57”. A norma dell’articolo 13, esso può essere convertito in “ammenda” dal Consiglio se il disavanzo non viene corretto entro due anni successivi. Spetta al Consiglio, la decisione di abrogare in tutto o in parte le relative sanzioni se ci sono stati “progressi compiuti dallo Stato membro partecipante nel correggere il disavanzo eccessivo” oppure se “la decisione sull’esistenza di un disavanzo eccessivo è abrogata” a norma degli articoli 14 e 15 di suddetto regolamento. Anche questo regolamento è stato modificato da un successivo regolamento (CE) n° 1056/2005 del Consiglio del 27 giugno 2005. Appare evidente come le politiche economiche e il loro coordinamento siano affidate alla competenza del Consiglio, mentre come abbiamo confermato nel precedente paragrafo la politica monetaria è gestita in piena autonomia dalla Banca centrale europea. 1.5.4 L’Euro: scelta azzeccata? L’ultimo paragrafo di questo primo capitolo, cerca di analizzare in modo sintetico le forze e le debolezze (se ci sono), che l’Euro ha portato dalla sua introduzione ad oggi. Il lungo percorso che ha portato a questa moneta unica ha donato sicuramente più spunti positivi che effetti negativi. Inizio da un vantaggio che mi viene più comodo definirlo “istituzionale”. Un punto forte su cui l’Unione economica monetaria trova giovamento, è sicuramente la presenza di vari organismi come, il Sistema europeo delle banche centrali (SEBC) e quindi anche la Banca centrale europea che come più volte ripetuto gestisce la politica monetaria; la Commissione europea, organo istituzionale ed esecutivo dell’UE, che la protegge, amministra i suoi programmi e ha la “prima mossa” 57 Regolamento (CE) n° 1467/97 del Consiglio del 7 luglio 1997, per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi, Sezione 4, Articolo 12 , paragrafo 3. 28 riguardo al potere legislativo58; il Consiglio Ecofin (dei ministri dell’Economia e delle Finanze) che possiede varie mansioni, dalla direzione alla guardia degli affari economici, controlla i vari agganci economici con i paesi terzi, si occupa del Patto di stabilità e crescita e infine aspetto più importante, disciplina l’Euro in tutte le sue “facce”59; l’Eurogruppo, che da ultimo “nato” ha a cuore l’area euro. L’instaurazione di un mercato unico, proposito iniziale della Comunità Europea sin dal 1958, è stato rafforzato dalla creazione dell’euro e dall’eliminazione dei cosiddetti “costi di transazione” nei Paesi che godono di questa moneta, “consentendo di risparmiare a chi viaggia per lavoro, per studio o per piacere60”. Un’attenta osservazione61 della Commissione Europea dimostra che i vantaggi ci sono per tutti delineando quattro categorie di “portatori di interessi”: CONSUMATORI, dalla facilità con cui questi soggetti hanno la facoltà di comperare beni per sé stessi nei Paesi europei, implicando un contrapporre di prezzi che scaturisce nella variazione in aumento o in diminuzione dei prezzi di beni e servizi di fornitori che si sentono in competizione, all’”euro‐bufala” di una possibile inflazione che si rivela appunto una burla in quanto nell’anno 2002 (introduzione dell’euro), l’inflazione è calata al 2,2% arrivando a 2% nel 2003, si parla piuttosto di un’”anomalia italiana62” dovuta ad una bassa concorrenza in determinati settori; IMPRESE, per loro la possibilità di investimenti a lungo termine è una certezza grazie alla stabilità economica e alla riduzione dei tassi d’interesse dovuta appunto ad una bassa inflazione. L’utilizzo di una valuta unica elimina il 58 Commissione Europea, cfr, http://it.wikipedia.org/wiki/Commissione_europea. Consiglio Ecofin, cfr, http://it.wikipedia.org/wiki/Consiglio_Ecofin. 60 Commissione Europea, Una valuta unica per un’Europa unita, Il cammino dell’Euro (2007). “La valuta unica completa il mercato unico”. Consultabile su, http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/publication6730_it.pdf.. 61 Commissione Europea, Perché tutti beneficiamo dell’euro (2007), http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/publication9869_it.pdf. 62 Riccardo Faini, 10 febbraio 2004, DOVE NASCE L’EURO‐DISAGIO, http://www.lavoce.info/articoli/‐ moneta_inflazione/pagina907.html. 59 29 problema del “cambio” e rende facilitata la chance per “scambi transfrontalieri” migliori e più efficienti, questo si può tradurre in un maggiore rendimento e progresso e ha come possibile conseguenza diretta il potenziamento dei posti di lavoro nelle aziende. STATI DELL’AREA EURO, il doveroso rispetto dei parametri di Maastricht per l’entrata nell’euro fa sì che uno Stato rispetti e tuteli il proprio stato di salute dando una scossa positiva alle risorse pubbliche. L’area dell’euro, forte della sua fermezza economica è in grado di reagire soddisfacentemente ai comuni “shock” economici, come per esempio un possibile aumento dei prezzi dell’ “oro nero”. ECONOMIA EUROPEA, l’Euro primeggia nella cornice internazionale e si trova a competere con le forze mondiali e con le valute considerate da sempre superiori negli scambi commerciali e finanziari, solo il dollaro statunitense lo supera, anche se negli ultimi anni la posizione si è invertita arrivando attualmente ad una cambio di circa 1.3$63. Solitamente dopo aver elencato una serie di “pro” che vanno a favore di un determinato argomento, in questo specifico caso, la moneta unica euro, arrivano a darci fastidio i cosiddetti “contro”. Un primo svantaggio che ci viene incontro è sicuramente la percezione di questa moneta da parte della popolazione. In Italia per esempio, la scomparsa della lira è stata avvertita con un senso di negatività: il cambio euro‐lira, fissato come precedentemente detto a 1936,27 lire, veniva erroneamente arrotondato a 2000 lire, generando un senso psicologico di indebolimento nelle tasche italiane rispetto alla precedente vita con la moneta nazionale64. A dire la verità anche io, all’epoca quasi tredicenne, credevo e applicavo ingenuamente senza riserve questo cambio “fai da te”. L’ingrediente linguistico poi, è certamente un punto interrogativo. Nell’area euro e più 63 Precisamente alla data di oggi, 12 Aprile 2012, il cambio si attesta all’ 1.3131$. Fonte: http://www.cambioeurodollaro.it/. 64 Luigi Guiso, 29 agosto 2002, L’EURO E L’INFLAZIONE: DOVE STA LA VERITA’?, http://www.lavoce.info/articoli/‐moneta_inflazione/pagina77.html. 30 in dettaglio nell’Unione Europea sono presenti varie differenze linguistiche, culture e costumi distanti tra loro: “la presenza di molte lingue parlate può costituire un impedimento alla mobilità (..) ma può essere anche un’opportunità65”. Le recenti crisi dei debiti sovrani e delle finanze pubbliche, italiane e soprattutto greche66, ci fanno riflettere sulla possibilità di tornare ai ”vecchi tempi” dunque al passato conio. Pietro Manzini in un articolo pubblicato sul sito lavoce.info, “Si può uscire dall’euro”, parla della possibilità da parte di uno Stato di abbandonare la moneta unica. Ovviamente la risposta è negativa in quanto i Trattati non lo permettono. Dire se l’adozione dell’euro è stata una scelta giusta è in un tal senso un aspetto soggettivo di ogni Paese che lo ha impiegato. Nel prossimo capitolo, andrò ad analizzare un variabile macroeconomica che è al centro dei pensieri di ogni Stato, soprattutto di chi ha adottato l’Euro, in quanto rientra in uno dei parametri di Maastricht, il PIL (Prodotto Interno Lordo). Una delle ambizioni iniziali dei “potenti” che completarono il Trattato di Roma era appunto, la stabilizzazione delle economie, una “coordinazione delle politiche economiche degli Stati membri”. L’utilizzo dell’euro ha confermato questa preposizione? 65 Alfonso Arpaia, 31 agosto 2011, Tutti i pro e i contro della moneta unica, pubblicato sulla rivista on line “Gli euros”, http://www.glieuros.eu/Tutti‐i‐pro‐e‐i‐contro‐della,5075.html?lang=fr. 66 Si fa riferimento anche all’acronimo PIGS, che evidenzia i quattro paesi che nel 2010 avevano un debito pubblico molto elevato, Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna, si è aggiunta tutt’oggi anche l’Italia, trasformando l’acronimo in PIIGS. http://it.wikipedia.org/wiki/PIGS. 31 Capitolo 2 Effetti dell’euro sull’andamento del PIL 2.1 La premessa sul PIL Da sempre sentiamo parlare di PIL, ci capita in ogni occasione e risulta una parola familiare alle orecchie dei lettori: guardando un telegiornale, leggendo i quotidiani, sentendolo come notizia flash alla radio oppure semplicemente “per sentito dire”. Che cosa rappresenta in realtà questo termine? Partendo dall’acronimo (PIL) che sta per Prodotto Interno Lordo, in inglese (Gross Domestic Product, GDP), emergono tre termini diversi. La parola prodotto ci fa venire in mente tante cose, forse i meno esperti del campo penseranno subito al prodotto come “moltiplicazione” oppure prodotto come “quell’oggetto che serve per”, in verità, prodotto è collegato al termine produzione, più precisamente rappresenta i beni e servizi. L’altro termine, “Interno”, completa il prodotto perché indica che si tratta di beni e servizi prodotti sullo spazio nazionale, escludendo la provenienza nazionale del produttore. Infine Lordo, ci dice che il PIL è al lordo degli ammortamenti, cioè quel procedimento che utilizza varie tecniche ripartendo i costi di beni a lungo termine di diversa natura in più esercizi67. Tre sono i modi attraverso i quali si può definire il PIL, tutti e tre equivalenti. 67 Ammortamento, cfr, http://it.wikipedia.org/wiki/Ammortamento. 32 Una prima definizione lo vede come “valore dei beni e servizi finali prodotti nell’economia in una dato periodo di tempo68”. Da questa preposizione quello che va sottolineato è la parola “finali”, in quanto vengono tenuti in considerazione solo i beni e servizi che andranno all’utilizzatore finale quindi alla figura del consumatore e non quelli che sono serviti per produrli, i cosiddetti beni o servizi intermedi. La motivazione dell’isolamento di questi beni sta nel fatto che se fossero inseriti nel calcolo del PIL, verrebbero conteggiati due volte. La seconda definizione si ricollega in un certo senso alla prima in quanto elimina anch’essa i beni o servizi intermedi, introducendo il concetto di valore aggiunto. La locuzione “valore aggiunto”, in questo specifico caso, indica la differenza tra il ricavo che si ha dalla vendita dei beni e servizi e le spese sostenute per acquistare quei beni e quelle materie che sono servite nella loro produzione. Diciamo che è molto simile a quello che si fa in materia di contabilità: quando abbiamo davanti un Conto Economico, sottraiamo i costi della produzione dal valore della produzione, ottenendo il Margine Operativo Lordo o appunto, il Valore Aggiunto. Il PIL è quindi il valore aggiunto aggregato, cioè la somma dei valori aggiunti di ogni produttore. L’ultima definizione rientra nell’aspetto del reddito. Il PIL è la somma delle retribuzioni (redditi da lavoro), dei redditi da capitale e delle imposte indirette69. Questa variabile macroeconomica può essere distinta anche in nominale o reale. Il PIL nominale è sostanzialmente la somma delle quantità dei beni e servizi finali prodotti valutati al loro prezzo corrente, infatti viene detto PIL a prezzi correnti70. Ciò che lo differenzia nettamente da quello reale è la valutazione a prezzi costanti anziché correnti, sinonimo quindi di PIL a prezzi costanti. L’andamento nel tempo cambia se si 68 Olivier Blanchard, Scoprire la Macroeconomia (2006), Vol. I, Cap. II, Paragrafo 1.1. La Scienza delle Finanze ci insegna che le imposte indirette sono quelle che colpiscono una manifestazione mediata di capacità contributiva dei consumatori al momento degli acquisti o vendite di un bene o di un servizio. Bosi P. , Guerra M. Cecilia, I tributi nell’economia italiana (2011), Cap. I. 70 Olivier Blanchard, Scoprire la Macroeconomia (2006), Vol. I, Cap. II, Paragrafo 1.2. 69 33 tratta di PIL reale (varia solo la produzione) o di PIL nominale (varia la produzione, i prezzi o entrambi). Questo paragrafo oltre a introdurre il concetto di PIL, vuole far capire che questa incognita macroeconomica è utile per definire il benessere di un Paese, la salute della popolazione, misurare l’economia, affermando o no se uno Stato sta attraversando un periodo di espansione o uno di recessione. Esso però può essere modificato. Vediamo come. 2.2 Le politiche macro che influiscono sul PIL: ipotesi di un’economia chiusa e introduzione del modello IS‐LM. Quando ho affrontato per la prima volta la Macroeconomia, (dopo aver inizialmente discusso sulle principali variabili come il PIL, l’inflazione e la disoccupazione), mi è stato detto che per raggiungere un equilibrio sia nel mercato dei beni sia nel mercato finanziario nel breve periodo, occorreva utilizzare un modello chiamato IS‐LM e che dovevo fare attenzione al caso di un’economia chiusa (ipotesi in cui l’economia di un paese non commerci con il resto del mondo, una visione a dir poco “fiabesca”) o di un’economia aperta (ipotesi in cui l’economia si presta all’acquisto o alla vendita di beni o servizi anche all’estero). Secondo la teoria, per completare l’equilibrio generale occorre anche basarsi sul mercato del lavoro utilizzando quindi un altro modello, quello dell’offerta aggregata e della domanda aggregata, il modello AS‐AD (“Aggregate Supply”‐“Aggregate Demand”), in questa sede però, mi occuperò solo del modello IS‐ LM. Il modello IS‐LM (“Investment Saving” – “Liquidity Money”) parte dal pensiero dell’economista John Maynard Keynes71. 71 John Maynard Keynes è considerato il padre della macroeconomia, con la sua opera principale “Teoria generale dell’occupazione , dell’interesse e della moneta” ha gettato le basi per ogni tipo di tema macroeconomico., http://it.wikipedia.org/wiki/John_Maynard_Keynes. 34 Prima di poter definire la curva IS e tutto l’intero modello occorre affrontare la famigerata teoria, cercherò di farlo in modo sintetico, iniziando da questa equazione72: Equazione 1 – Domanda di beni Z ≡ C + I + G + X ‐ IM L’equazione 1, assume come “Z” la domanda di beni e possiamo dire che è un’identità73 che rivela la somma del Consumo (C), gli Investimenti (I), la Spesa pubblica (G), le Esportazioni (X) alle quali si sottraggono le Importazioni (IM). Se si assume che l’economia è chiusa le esportazioni e le importazioni sono nulle, pari a zero. In realtà gli Investimenti come ho spiegato in seguito dipendono da due fattori. Occorre definire il consumo. Partendo dalla concezione che il consumo è funzione del reddito disponibile e all’aumentare del reddito disponibile aumenta positivamente anche il consumo, si può delineare questa equazione74 che viene detta “funzione del consumo”: Equazione 2 – Funzione del consumo C = C (Yd) Scrivendo la funzione del consumo, ponendo C = c0 + c1 Yd, dove c1 è un parametro che indica la propensione marginale al consumo75 e c0 rappresenta l’intercetta della funzione del consumo in caso di reddito disponibile nullo e successivamente ponendo Yd = Y – T, dove Y rappresenta il reddito e T le imposte al netto dei trasferimenti, 72 Olivier Blanchard, Scoprire la Macroeconomia (2006), Vol. I, Cap. III, Paragrafo 2. Da notare l’inserimento del simbolo matematico nell’equazione: “≡”. 74 O. Blanchard (2006), Op. cit., Cap. III, Paragrafo 2.1. 75 “Effetto di un’unità aggiuntiva di reddito disponibile sul livello di consumo”, in altri termini ci dice quanto incrementano i consumi all’aumentare del reddito, O. Blanchard (2006), Op. cit., Glossario. 73 35 possiamo riscrivere l’equazione finale del consumo sostituendovi queste equazioni appena effettuate, ottenendone un’altra: Equazione 3 ‐ Consumo C = c0 + c1 (Y‐T) Dall’equazione 3 si evince che un aumento del reddito fa aumentare di conseguenza il consumo ma un aumento delle imposte lo fa diminuire. Riscrivendo quindi la domanda di beni decurtando le importazioni e le esportazioni e chiarendo meglio il consumo, si giunge a Z = c0 + c1 (Y‐T) + I + G . Avendo fissato la domanda di beni (ricordando che in un’economia chiusa le importazioni e le esportazioni sono nulle) e il consumo, è necessario spostarsi sul lato dell’equilibrio. L’equilibrio nel mercato dei beni si ottiene con l’uguaglianza dell’offerta con la domanda, Y = Z, sostituendo la Z riscritta all’equazione, raggiungiamo: Equazione 4 – Equazione di equilibrio Y = c0 + c1 (Y‐T) + I + G76 Questa condizione è sufficiente per esporre quello che è la curva IS. Per completare il modello è indispensabile anche la curva LM che si ricava dalla seguente equazione77: Equazione 5 – Domanda di moneta 76 77 O. Blanchard (2006), Op. cit., Cap. III, Paragrafo 3. O. Blanchard (2006), Op. cit., Cap IV, Paragrafo 1. 36 Md = €Y L(i) L’equazione 5, ci dice che la domanda di moneta, la moneta che la popolazione vuole detenere, sia uguale al reddito nominale (reddito in euro), moltiplicato per una funzione del tasso di interesse L(i); la relazione con il tasso di interesse i, è una relazione negativa: l’aumento del tasso provoca una diminuzione della domanda di moneta e viceversa. Ovviamente l’offerta di moneta deve essere uguale alla domanda di moneta, dunque Md = Ms, usando la condizione Ms = M, la condizione di equilibrio78 sarà: M = €Y L(i). Gli investimenti nel mercato dei beni come ho accennato in precedenza dipendono da due variabili: una è il tasso d'interesse e l’altra è il livello delle vendite. Questo ci dice che posso riscrivere la condizione di equilibrio nel mercato dei beni in questo modo: Y = C (Y‐T) + I (Y,i ) + G ;79 gli investimenti dipendono positivamente dalle vendite ma negativamente dal tasso di interesse. Avevo assunto che nella domanda di moneta e nella condizione di equilibrio nel mercato finanziario, il reddito che appariva era un reddito nominale, è più conveniente riscriverla come reddito reale, dividendo entrambi i lati dell’equazione per il livello dei prezzi, (P): M/P = Y L(i)80 . Avendo tutto il necessario per costruire il modello possiamo derivare le due curve, che a questo punto saranno: Equazione 6 – Curva IS Y = C (Y‐T) + I (Y, i ) + G Equazione 7 – Curva LM 78 O. Blanchard (2006), Op. cit., Cap IV, Paragrafo 2.1. O. Blanchard (2006), Op. cit., Cap V, Paragrafo 1.2. 80 O. Blanchard (2006), Op. cit., Cap V, Paragrafo 2.1. 79 37 M / P = Y L(i) Tasso di interesse , i Il modello IS‐LM, rappresentato graficamente, si può osservare nella Figura 1. Figura 1 – Modello IS‐LM LM EQUILIBRIO SUI MERCATI FINANZIARI EQUILIBRIO SUL A MERCATO DEI BENI IS Produzione , Y La Figura 1, mostra sia la curva IS che la curva LM; per semplicità ho disegnato le due, somiglianti a due rette. Nell’asse delle ordinate troviamo il tasso d'interesse (i) e nell’asse delle ascisse troviamo la produzione (Y). La retta IS è inclinata negativamente: all’aumentare del tasso d'interesse la produzione diminuisce. La retta LM è inclinata positivamente: all’aumentare del tasso d'interesse aumenta anche il reddito (produzione). Il punto A, corrisponde all’equilibrio generale, sia nel mercato dei beni sia nei mercati finanziari, comprendente un certo livello di produzione (Y) e un certo tasso di interesse (i)81. 81 O. Blanchard (2006), Op. Cit., Cap V, Paragrafo 3. 38 Scopo di questo paragrafo era la scoperta di politiche macroeconomiche che influenzavano il PIL, quindi la produzione. Le politiche macroeconomiche esistenti possono essere di due tipologie: politiche fiscali e politiche monetarie. Le politiche fiscali giocano sul fatto di un aumento o diminuzione della spesa pubblica (G) o delle imposte (T). Se il governo opera su un aumento delle imposte o riduce la spesa pubblica, si parla di “contrazione fiscale” mentre se avviene il contrario si parlerà di “espansione fiscale”. Una politica espansiva sul modello IS‐LM farà spostare sicuramente la curva IS verso destra, aumentando così la produzione e il tasso d'interesse; la curva LM non viene discussa, in quanto le imposte o la spesa pubblica non figurano nella relazione. Una politica restrittiva, farà spostare la curva IS verso sinistra, riducendo la produzione e il tasso d'interesse; la curva LM non viene discussa neanche in questo caso. La politica monetaria si basa invece su un aumento o una diminuzione dell’offerta di moneta. Si parla quindi di “espansione monetaria” o “contrazione monetaria”. Questa politica interessa la curva LM, la curva IS non viene discussa. Gli effetti di un’espansione monetaria si riassumono in un aumento della produzione e una riduzione del tasso d'interesse (la curva LM si sposta verso il basso). Diversi sono gli effetti nel medio periodo: con una politica di espansione monetaria, produzione e tasso d'interesse non vengono influenzati in quanto ritornano al loro livello di partenza dopo gli aggiustamenti ma si genera un aumento proporzionale del livello dei prezzi (nell’altro modello AS‐AD) che si traduce nell’aspetto della neutralità della moneta82. Un aumento della quantità di moneta con il passare del tempo, è indifferente sulle variabili come il PIL e il tasso di interesse ma non con il livello dei prezzi. Gli effetti di una contrazione monetaria si riassumono in una diminuzione della produzione e un aumento del tasso d'interesse (la curva LM si sposta verso l’alto). 82 O. Blanchard (2006), Op. cit., Cap VII, Paragrafo 4.3. 39 Le due tipologie di politiche possono essere conciliate e quindi far emergere varie opzioni e soprattutto vari risultati, il cosiddetto mix di politiche economiche. 2.2.1 …….. In economia aperta? Valutare un’economia aperta, ipotesi decisamente realistica rispetto alla precedente, vuol dire tener conto oltre che alle importazioni e alle esportazioni anche ai tassi di cambio, i vari tassi di interesse e agli eventuali deprezzamenti o apprezzamenti di valute. Con un mercato di beni o finanziario aperto infatti, la popolazione e coloro che investono ma anche lo stesso Governo o le stesse imprese esistenti, si trovano a decidere se acquistare o meno beni nazionali o beni esteri, generando un aumento della produzione nazionale nel primo caso oppure un aumento di quella estera nel secondo83. La considerazione che fanno questi soggetti appena elencati ma anche un semplice viaggiatore che proviene per esempio da un paese europeo come l’Italia che vuole visitare un paese estero come gli Stati Uniti e intende fare della sua vacanza una gita a tutto shopping, è l’interessamento al sapere quanto costeranno in termini reali quei beni in una città come New York rispetto a quanto richiede Roma. Ecco che l’attenzione si sposta più verso il cosiddetto tasso di cambio reale rispetto a quello nominale84. La dottrina ci dice che il tasso di cambio reale corrisponde a questa seguente equazione: Equazione 8 – Tasso di cambio reale ɛ ≡ EP / P* 83 O. Blanchard (2006), Op. cit., Cap. XIV, Paragrafo 1.2. Il tasso di cambio nominale indica il prezzo della moneta nazionale in termini di moneta estera, quanto vale un’unità di una valuta in termini di un’altra, nel nostro esempio quanti dollari potrò avere in cambio di qualche euro. Cfr, O‐ Blanchard (2006), Op. cit., Cap XIV, Paragrafo 1.3. 84 40 L’equazione 8, introduce il concetto di deflatore del PIL. Il deflatore del PIL è il rapporto tra PIL nominale e PIL reale e corrisponde all’indice dei prezzi dei beni e servizi finali originati in un’economia85. La formula appena esposta infatti, afferma che il tasso di cambio reale (ɛ) corrisponde alla moltiplicazione tra il tasso di cambio nominale (E) e il deflatore del PIL del paese nazionale (P), fratto il deflatore del PIL del paese estero (P*). L’aumento del tasso di cambio reale genererà un apprezzamento reale, la diminuzione, un deprezzamento reale. Stessa cosa vale anche per il tasso di cambio nominale citato in precedenza. La diminuzione del tasso di cambio reale influisce sia sulle importazioni sia sulle esportazioni, più precisamente sulle esportazioni nette. Esse sono influenzate positivamente da un deprezzamento in quanto, le esportazioni aumentano (la domanda estera di beni nazionali aumenta a causa del basso costo dei beni europei all’estero) e le importazioni diminuiscono (la domanda di beni nazionali aumenta a seguito dell’elevato costo dei beni esteri). L’effetto di un deprezzamento è sempre positivo, si convalida così la condizione di Marshall‐Lerner che favorisce in un certo modo i beni nazionali e ostacola i beni esteri che essendo più costosi, apporteranno meno acquisti da parte degli individui a seguito della riduzione del livello di benessere86. In un’Unione Economica Monetaria, le cose si fanno difficili. L’Italia e tutti i paesi che hanno sposato l’idea della moneta unica, hanno rinunciato a operazioni di manovra monetaria e ai tassi di cambio ma anche alle politiche fiscali poiché per rimanere nell’area euro devono attenersi a un limite del 60% del PIL per l’indebitamento e al 3% del PIL per il deficit pubblico oltre che agli altri indicatori (Parametri di Maastricht). I Paesi che hanno aderito a un’unione economica monetaria si sono arresi sicuramente a perdere una propria sovranità monetaria: ogni singolo Paese non può intervenire liberamente sul mercato dei cambi e quindi sacrifica una politica monetaria 85 86 O. Blanchard (2006), Op. cit., Glossario. O. Blanchard (2006), Op. cit., Cap. XV, Paragrafo 4.2. 41 indipendente. La possibile conseguenza è che questa situazione può generare degli shock negativi, dovuti a una cattiva diligenza nelle politiche di bilancio, che nell’area euro, verrebbero trasmessi a ogni singolo membro dato che nessun paese può fare affidamento ad una situazione di solitudine. Dietro a tutta questa severità, alle rinunce, alla poca indipendenza, c’è un voler evitare “tensioni inflazionistiche nell’area euro”, dipendenti come detto in precedenza, da atteggiamenti scorretti di un paese nella conduzione della gestione di una politica fiscale87. Preoccupazione principale infatti, resta l’inflazione in tutta l’area, non a caso, il parametro fondamentale di Maastricht è proprio il mantenimento di un alto grado di stabilità dei prezzi88. 2.3. L’euro che stabilizza le economie: Analisi grafica. Il tragitto che ha percorso una semplice idea di una moneta unica, dalle origini alla sua costituzione, ha evidenziato principalmente il desiderio comune di una stabilità, almeno europea, delle economie. Il concetto di stabilità in questo elaborato, viene posizionato non solo in riferimento all’economia ma un po’ dappertutto, “alto grado di stabilità dei prezzi”, “il Patto di stabilità e crescita”, “stabilità monetaria”, “stabilità finanziaria”. Per capire le intenzioni che avevano e che hanno tuttora i “potenti”, è necessario consultare un vocabolario alla parola “stabilità”. Oltre ad affermare che stabilità è sintomo proprio di stabile in senso stretto, “ben basato e ben equilibrato, capace di resistere a forze e sollecitazioni esterne”, scorrendo la lettura viene data anche un’accezione economica: “situazione di condizioni, grandezze, valori economici caratterizzata non da immobilità ma da continue lievi oscillazioni intorno a un 87 Francesca Falcone, Aspetti e problemi di economia internazionale monetaria (1997), Sintesi degli aggiornamenti indispensabili per il volume dopo l’entrata in vigore dell’euro, consultabili on‐ line su, http://www.cedam.com/statici/Falcone_97.pdf. 88 Cfr, Cap I, Paragrafo, 1.4. 42 determinato livello89”, il livello di cui si parla corrisponde a tutte quelle combinazioni verificate finora (prezzi, moneta, economie..). In altri termini stabilizzare significa rendere uguale un qualcosa, fare andare in un certo senso l’area euro verso un determinato livello, “essere sulla stessa linea d’onda”. Questo paragrafo è una breve premessa su cui si basano i successivi sottoparagrafi. L’analisi grafica che ho affrontato, si basa essenzialmente sulla variabile macroeconomica che ho introdotto all’inizio del secondo capitolo e che sta alla base del benessere di ogni economia, il PIL. Per comodità nell’esposizione dei dati e nell’esecuzione dei grafici ho scelto di analizzare soltanto un campione di paesi che riflettono varie caratteristiche. 2.3.1 Le motivazioni che hanno portato alla scelta di questo campione Per la scelta dei paesi che fanno parte del campione che ho analizzato, sono partito sostanzialmente da quei territori da cui è partito il piano di una creazione di un’Unione, non per forza monetaria ma che comunque, si sarebbe intravista di lì a poco. Tutto è partito dal Trattato di Roma con la costituzione della CEE. I paesi cui vi aderirono furono 6: Italia, Francia, Germania occidentale, Belgio, Olanda e Lussemburgo90. Esaminando i sei paesi mi sono accorto che due di loro non potevano fare parte dell’analisi. 89 Anche per la definizione di “stabilità”, ho scelto l’Enciclopedia on‐line Treccani, http://www.treccani.it/vocabolario/stabilita/. 90 Cfr, Cap I, Paragrafo, 1.1. 43 L’analisi si basa su due grafici che prendono in considerazione due periodi, il primo grafico tratta un periodo che va dall’anno 1960 all’anno 1999. L’altro, il periodo 1999 – 2009. Ho scelto il periodo 1960 – 1999 per osservare come il PIL è variato dalle origini dell’unione alla concretizzazione dell’euro. L’altro intervallo ha come base una linea del tempo inferiore, dal procedimento dei tassi di conversione avvenuto appunto nel 1999, ai giorni d’oggi. I due paesi che ho escluso dall’osservazione sono la Germania e il Lussemburgo. La Germania ha subito molti mutamenti nel corso degli anni: dopo aver raggiunto l’unificazione nel 1871, si è vista divisa in due stati contrapposti al termine della Seconda Guerra Mondiale. La Repubblica Federale Tedesca (Germania occidentale) e la Repubblica Democratica Tedesca (Germania orientale) erano vere e proprie nazioni, aventi una diversa economia, un sistema politico differente, limitate da quel muro che venne costruito nel 1961 e poi conseguentemente abbattuto nel 1989. Con due economie che si muovono separate, diventa difficoltoso analizzare il periodo 1960‐ 1999. Il Lussemburgo, paese che è passato dalla neutralità, violata più volte dalla Germania, a un passo importante come uno dei fondatori della Comunità Economica Europea, possiede un PIL troppo inferiore a quello che risulta negli altri paesi91. Le nazioni escluse sono state rimpiazzate da due stati importanti a livello europeo e mondiale: Stati Uniti e Regno Unito. L’inserimento degli Stati Uniti è servito come termine di confronto con gli altri paesi, avendo la maggiore economia del mondo con un PIL che si attesta sui 14 miliardi di dollari e mezzo stimati per l’anno 201092. Come vedremo poi dai grafici, il trend che emerge è un trend che differisce di gran lunga dagli altri. La presenza del Regno Unito è anch’essa di rilievo in quanto è la terza 91 Il Lussemburgo nella lista dei paesi per PIL a parità dei poteri di acquisto figura al 95° posto sia nella lista del Fondo monetario internazionale sia in quella della Banca Mondiale, con un PIL che si attesta sui 40‐45 milioni di dollari statunitensi. La lista è consultabile su, http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_stati_per_PIL_(PPA). 92 La stima viene fatta dal Fondo Monetario Internazionale e gli Stati uniti si attestano al 1° posto nella lista di Stati del mondo classificati per PIL a parità dei poteri di acquisto. http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_stati_per_PIL_(PPA). 44 economia93 europea dopo Germania e Francia. Questo paese è rimasto fedele alla sua moneta e pur facendo parte dell’Unione Europea è in deroga verso un’unione monetaria94. Prima di passare al prossimo paragrafo che introduce la scala logaritmica, mostro due grafici con l’andamento del PIL espresso in miliardi di dollari95 nei due periodi considerati, 1960‐1999 e 1999‐2009. Figura 2 – Andamento del PIL (non normalizzato), 1960‐1999 10.000.000.000.000 9.000.000.000.000 8.000.000.000.000 PIL miliardi di dollari ($) 7.000.000.000.000 6.000.000.000.000 5.000.000.000.000 4.000.000.000.000 3.000.000.000.000 2.000.000.000.000 1.000.000.000.000 IT FR UK US NL BE 93 Il Regno unito è la sesta economia a livello mondiale. http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_stati_per_PIL_(PPA). 94 Cfr, Cap I, Paragrafo 1.5. 95 I dati del PIL provengono dalla banca dati “World Data Bank”, http://data.worldbank.org/. 45 1998 1996 1994 1992 1990 1988 1986 1984 1982 1980 1978 1976 1974 1972 1970 1968 1966 1964 1962 1960 0 Figura 3 – Andamento del PIL (non normalizzato), 1999‐2009 16.000.000.000.000 14.000.000.000.000 12.000.000.000.000 PIL miliardi di dollari ($) 10.000.000.000.000 8.000.000.000.000 6.000.000.000.000 4.000.000.000.000 2.000.000.000.000 0 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 IT FR UK US NL BE Tutto ciò risulta difficoltoso da commentare. Entrambi i grafici giustificano l’utilizzo della misura di una scala logaritmica nell’asse verticale, in quanto si profilano andamenti simili tra i Paesi europei con un grande divario da metà anni ’80 e un trend esponenziale per gli USA nel primo grafico (1960‐1999); andamenti con poche variazioni ma con grandi discrepanze dovute al PIL posseduto da ciascun paese considerato, con la conferma del trend solitario degli Stati Uniti nel secondo grafico (1999‐2009). 46 2.3.2 Introduzione alla scala logaritmica La scala logaritmica viene presa in considerazione quando si trattano argomenti riguardanti variabili fisiche. Non a caso, questo tipo di scala è usata per misurare la percezione dell’intensità del suono o l’ampiezza di un intervallo tra due suoni96. Le dimensioni di un terremoto in termini di potenza, per esempio, si misurano con questa scala, utilizzata anche nella scala Richter nell’ambito dei terremoti. Possiamo dire che la scala logaritmica, rappresenta una scala di volumi o prezzi dove “lo stesso incremento proporzionale di una variabile è rappresentato dalla stessa distanza sull’asse verticale97”. Nell’ambito matematico, occorre scendere sul piano delle derivate. La derivata di una funzione logaritmo corrisponde alla seguente regola: d ln f (x) = f ‘ (x) dx f (x) La scala logaritmica quindi evidenzia nel modo più corretto di quanto è variato il PIL in quanto, la derivata rispetto al tempo di un logaritmo di una variabile (PIL) che subisce un movimento in un arco temporale corrisponde proprio al tasso di crescita della nostra variabile di riferimento98: d ln Yt = Yt ‘ ≈ Yt+1 ‐ Yt = Yt+1 ‐ 1 dt Yt Yt Yt 96 Scala logaritmica, cfr, http://it.wikipedia.org/wiki/Scala_logaritmica. O. Blanchard (2006), Op. cit., Glossario. 98 Slides disponibili sulla pagina personale di Paolo Pin, consultabili on‐line al sito, http://www.econ‐ pol.unisi.it/paolopin/. La lezione di riferimento è la n°16 di Macroeconomia sostenuta nell’anno accademico 2010‐2011. 97 47 Per i due grafici svolti ho scelto quindi una rappresentazione con la scala logaritmica che andasse a capire meglio di quanto il PIL è variato in aumento o in diminuzione, in altri termini, l’”importanza dei movimenti, a dispetto di una scala lineare che individua solamente un’immagine istantanea dell’andamento della variabile99”. 2.3.3 Analisi grafica del periodo 1960‐1999 Il primo grafico analizzato prende in considerazione il periodo che intercorre dall’anno 1960 all’anno 1999. Come precedentemente accennato, ho scelto un periodo “pre‐ euro” che partisse dagli anni immediatamente successivi alla stipula del Trattato di Roma e quindi alla nascita della CEE e attraversasse quel percorso storico che ha visto la nascita del Sistema Monetario Europeo, l’avvicendarsi di vari Rapporti, Trattati e leggi e che è culminato nella ratifica di questa moneta unica. La situazione che è emersa è raffigurata nella Figura 4. Figura 4 – Andamento del PIL, 1960‐1999 99 Scala lineare e Scala logaritmica, Quotidiano economico e finanziario Soldi on line, http://www.soldionline.it/guide/analisi‐tecnica/scala‐lineare‐e‐scala‐logaritmica. 48 PIL normalizzato ($) 100 10 IT FR UK US NL 1998 1996 1994 1992 1990 1988 1986 1984 1982 1980 1978 1976 1974 1972 1970 1968 1966 1964 1962 1960 1 BE E’ doveroso fare alcune precisazioni. I dati del PIL cui ho fatto riferimento sono stati rielaborati tenendo conto di un PIL normalizzato, figurante nell’asse delle ordinate, 49 assumendo quindi un anno indice100. La scala che ho assunto per l’asse delle ordinate è appunto una scala logaritmica in base 10. La Figura 4, rappresenta come il PIL dei sei paesi del campione analizzato, è variato in questo arco di tempo preso in esame. Si nota immediatamente che l’andamento degli Stati Uniti è pressoché lineare, simile a una retta e non subisce variazioni significative se non piccole diminuzioni di crescita che intercorrono nei primi anni ’70 e metà degli anni ’80, proseguendo negli ultimi anni in una crescita rettilinea che non si distrae da nessuno. I Paesi europei iniziano con dei trend molto simili, ma il Regno Unito si discosta dagli altri a partire dal 1968 subendo una diminuzione lieve, seguita da una ripresa rapida fino a una nuova discesa avvenuta a metà anni ’70. I due momenti più salienti si notano nel calo degli anni 1981‐1984 e nello sprint finale dai primi anni ’90 alla fine del millennio. Il trend inglese si può definire quello più altalenante. Francia e Belgio sembrano andare a braccetto avendo un trend molto simile fino agli anni ’80 per poi subire delle diminuzioni, lievi per la Francia, più sostanziali per il Belgio. I due proseguono con una crescita simile ma che si impone più nel paese francese per poi stabilizzarsi negli ultimi anni ’90. L’andamento italiano affine inizialmente agli altri esaminati, non subisce quella contrazione avvenuta per la Francia e il Belgio nei primi anni ’80 se non piccolissime variazioni negative, per poi espandersi in ottica positiva fino al 1992, mantenendosi al passo europeo. Infine, l’Olanda, che a differenza degli altri, possiede una crescita più sviluppata, maggiormente visibile dal grafico, fino al 1980. Nella prima metà degli anni ’80 subisce 100 Come si nota dal grafico, tutti gli andamenti del PIL dei sei paesi partono da 1, assumendo come anno indice il 1960. Per calcolare il PIL normalizzato ho posto a denominatore sempre il solito PIL dell’anno indice (1960), per tutti gli anni dal 1960 al 1999. I dati del PIL sono espressi in dollari. La fonte da cui provengono i dati è http://data.worldbank.org/. 50 una variazione negativa portandosi in linea italiana con crescite e abbassamenti leggeri, concludendo con una crescita maggiore degli altri paesi europei. Possiamo terminare il paragrafo, affermando che: Fino agli anni ’80, i paesi europei, escluso il Regno Unito, hanno un flusso omogeneo che viene interrotto nel periodo immediatamente successivo fino al 2000 con un divario evidente. Gli Stati Uniti possiedono un andamento solitario che progredisce in anno in anno, forte della stabilità del dollaro. Il Regno Unito differisce solo per le molteplici variazioni subite e il divario che emerge rispetto agli altri stati europei. Nel prossimo paragrafo, vedremo se la discrepanza che emerge dopo la prima metà degli anni ’80 viene eliminata con l’acquisto della moneta unica. 2.3.4 Analisi grafica del periodo 1999‐2009 Il secondo grafico elaborato prende in considerazione il periodo che intercorre dall’anno 1999 all’anno 2009. L’arco temporale “post‐euro”, inizia con il 1999, anno in cui furono attuati i tassi di conversione con la nuova valuta e prosegue in quello che sono stati i dieci anni dell’euro. La situazione che si è presentata è rappresentata dalla Figura 5. 51 Figura 5 – Andamento del PIL, 1999‐2009 PIL normalizzato ($) 10 1 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 0,1 IT FR UK 52 US NL BE 2009 Come nell’altro grafico anche qui ho assunto un anno indice che è l’anno 1999101. La scala che ho posto per l’asse delle ordinate è sempre una scala logaritmica in base 10. E’ evidente come l’andamento del PIL nel campione europeo è pressoché identico almeno fino al 2007. Il divario che emergeva nell’altro grafico, è eliminato nel periodo considerato e vediamo come le economie si sono stabilizzate e vadano di pari passo. Il Regno Unito, pur non avendo la stessa moneta dell’area euro, si mantiene con un andamento stabile fino al 2007. Dal 2007 infatti, il Regno Unito subisce un brusco calo che culmina nel 2009. Questa caduta può essere ricondotta alla crisi della sterlina di quel periodo. La sterlina fu svalutata per coprire dei problemi all’interno dell’economia inglese favorendo le competitività e quindi anche le esportazioni; si è riveduta la possibilità di un’entrata nell’euro per arginare la crisi della moneta nazionale ma oltre al non rispetto dei cinque parametri di convergenza, l’allora primo ministro inglese, Gordon Brown affermò che “la decisione di non farne parte è giusta sia per la Gran Bretagna che per l’Europa102”. Il messaggio di Brown si è riversato anche nel pensiero del popolo inglese in quanto secondo un sondaggio fatto tra il 2 e il 4 luglio 2011, circa l’81% della popolazione è contraria all’adozione dell’euro103. Gli Stati Uniti come nel primo grafico, anche in questo periodo analizzato si mostrano in una crescita rettilinea che si stabilizza negli ultimi tre anni, dal 2007 al 2009. Questo paragrafo ci dice che: 101 Cfr, Riferimento alla nota a piè di pagina n° 105 del precedente paragrafo. Marion Laboure, 22 maggio 2009, Gran Bretagna: riuscirà la sterlina a salvare l’economia inglese, pubblicato sulla rivista on‐line “Gli euros”, http://www.glieuros.eu/Gran‐Bretagna‐riuscira‐la‐ Sterlina,2850.html?lang=fr. 103 Angus Reid Public Opinion, Sondaggio del 2‐4 luglio 2011, Tavola 20, (81% i contrari, 9% i favorevoli e 11% sono gli indecisi), consultabile su, http://www.angus‐reid.com/wp‐ content/uploads/2011/07/table_eu_jul2011.pdf. 102 53 La discrepanza che si era creata da metà anni ’80 fino al 2000 è stata eliminata con l’introduzione dell’euro e le economie in un certo modo si sono stabilizzate, allineandosi. Il Regno Unito pur essendo fuori dell’area euro, mantiene la stabilità con essa almeno fino al 2007. Gli USA sono abbastanza isolati in questa analisi e procedono per la loro strada con un’espansione e poi un’attestazione negli ultimi anni considerati. 2.4 Il Patto di stabilità come strumento per combattere la crisi Dando un’occhiata al grafico esposto nel precedente paragrafo (analisi periodo 1999‐ 2009), abbiamo confermato che l’adozione dell’euro ha stabilizzato in un certo senso le economie dei paesi che vi hanno aderito. Non sappiamo con certezza se l’unicità del trend è dovuta all’impiego della moneta comune oppure è un effetto della globalizzazione che coesiste fra i vari paesi, il libero scambio di beni e servizi con l’eliminazione dei dazi doganali professati dal Trattato di Roma ma anche del libero scambio di lavoratori. Non avendo i dati ufficiali del PIL degli anni successivi al 2009 ma solo delle stime formulate dal Fondo Monetario Internazionale ci limitiamo a esporre nel prossimo paragrafo lo stesso grafico esaminato in precedenza con l’aggiunta di un periodo successivo al 2009, dando così uno sguardo al futuro. Prima però, ritorniamo su un aspetto considerato nel primo capitolo. La scelta di un uso di una moneta unica da parte dell’UEM, ha peccato nella mancanza di un regime di regole nell’ambito bancario e di una vigilanza più marcata nei riguardi della zona euro. Paesi come Stati Uniti e Gran Bretagna hanno già adottato delle linee guida a riguardo104 elaborate da due comitati a Bali: il Comitato sul controllo bancario e la 104 Charles Wyplosz, 30 luglio 2010, EUROPA: QUANDO MANCANO LE REGOLE, http://www.lavoce.info/binary/la_voce/articoli/cache_pdf/EUROPA‐QUANDO‐MANCANO‐LE‐REGOLE‐ 1001840.pdf. 54 Commissione di stabilità finanziaria. Nella zona euro, la questione non si pone e non è limpida ancora la situazione delle banche e della finanza in generale. Tutto ruota attorno alla finanza che porta poi delle difficoltà. La crisi finanziaria ha portato all’evidenza la mancanza di regole di bilancio e l’insufficienza dei meccanismi di supervisione europei. Il Patto di stabilità è visto come uno strumento per combattere la crisi. Esso risale al 1997 e si compone di due regolamenti, successivamente modificati nel 2005105. Concordando obiettivi di bilancio di medio termine, i Paesi manterranno fino al loro raggiungimento una crescita della spesa pubblica inferiore alla crescita del PIL, garantendo una maggiore fermezza nei bilanci della zona euro. Gioca un ruolo fondamentale il criterio di convergenza del debito pubblico inferiore al 60% del PIL. I paesi infatti, si devono adeguare a ridurre il proprio debito pubblico, stando attenti anche all’altro criterio del 3% del PIL nei riguardi del deficit. Nel 2010, tutti i Paesi della zona euro (tranne Lussemburgo‐15.8%, Slovenia‐38.5%, Slovacchia‐ 40.4% e Finlandia‐45.5%106), dovevano ridurlo per non andare incontro a sanzioni quali un deposito infruttifero dello 0,2% del PIL eventualmente convertibile in un’ammenda107. Il rispetto del criterio del debito pubblico però comporta gravi difficoltà, il professore Manasse ne individua tre108: Maggiori tagli richiesti incidono sulla maggiore frequenza di aggiustamenti che si avranno nelle politiche di bilancio. 105 Cfr, Cap I, Paragrafo 1.5.3. Paolo Manasse, 1 ottobre 2010, LE CONSEGUENZE DEL PATTO RIFORMATO, http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001927.html. 107 Cfr, Cap I, Paragrafo 1.5.3. 108 Paolo Manasse, 1 ottobre 2010, LE CONSEGUENZE DEL PATTO RIFORMATO, http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001927.html. 106 55 La rigidità del sistema non offre nessun spunto positivo ma fa ottenere i comportamenti desiderati soltanto offrendo “multe”. I ricavi conseguiti a seguito di privatizzazioni alleggeriscono il debito ma non l’altra variabile che è il deficit, portando con le nuove regole ad assidue richieste di cartolarizzazioni a prezzi vantaggiosi. 2.5 Uno sguardo al futuro Cosa ci aspettiamo dal futuro? Il Fondo Monetario Internazionale ha effettuato delle stime109 riguardanti il PIL dopo il 2009, precisamente fino all’anno 2016. Essendo nel 2012, il 2016 non è un futuro così lontano, anzi. Ho riportato lo stesso grafico visto in precedenza che analizzava il periodo 1999‐ 2009 e ho aggiunto le stime del FMI. Il grafico che è emerso è rappresentato in Figura 6. Figura 6 – Andamento del PIL, 1999‐2016 109 Le stime sono state effettuate dallo staff del Fondo Monetario Internazionale nel mese di Settembre 2011. La fonte da cui provengono le stime è quindi, http://www.Imf.org , nella sezione “Dati e Statistiche”. 56 2016* 2015* 2014* 2013* 2012* 2011* 2010* 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2003 2002 2001 2000 1 1999 PIL normalizzato ($) 10 0,1 IT FR UK US NL BE Come nel precedente grafico anche qui l’anno indice è il 1999 con l’asse verticale in scala logaritmica. Gli Stati Uniti confermano il loro trend solitario in crescita eccetto nel 2009 dove subiscono un piccolissimo calo. 57 Il Regno Unito come detto nell’altro grafico, fino al 2007 mantiene una certa stabilità con l’area euro per poi subire un calo decisivo fino al 2009. Le stime ci dicono che negli anni successivi acquista una crescita esponenziale che li porta superiori anche agli USA. I paesi dell’area euro che avevano confermato un andamento stabile fino al 2009, nell’immediato periodo successivo mantengono sempre questa linea. Belgio e Olanda hanno un trend pressoché identico e gli altri due, Italia e Francia, mantengono una certa stabilità anche in queste previsioni. Osservando il grafico possiamo dire che nel prossimo futuro, i paesi dell’area euro avranno sempre una certa stabilità che li terrà uniti. 58 Conclusioni La stesura della tesi è giunta al termine. La domanda che ci eravamo posti all’inizio di questo lavoro era appunto se l’euro, moneta unica europea aveva o meno raggiunto la stabilità all’interno dei paesi che vi hanno aderito, che per altro è stata ripresa anche dal titolo di questo elaborato. Il periodo trascorso, passato alla ricerca assidua di fonti concrete mi ha permesso di radunare tutte le informazioni sufficienti riguardanti il percorso storico che ha compiuto la moneta europea dalle origini dove era solo un’ambizione da raggiungere, fino alla concretezza avvenuta a fine anni novanta, anni della sua consacrazione. I sei Stati europei fondatori del Trattato di Roma (tra cui anche l’Italia), non avevano come ambizione una moneta unica per la presenza del forte sistema di Bretton Woods ma si basavano solo sul coordinamento delle politiche economiche conseguendo un determinato “welfare” per il popolo. Solo dopo la dipartita del sistema americano si vide creare un Sistema Monetario Europeo (SME) che gettò le basi per una stabilità monetaria prevedendo oltre che una valuta di riferimento (ecu), un meccanismo di cambio e una solidità finanziaria garantita da un meccanismo di credito. Imminente fu però la creazione di un’Unione Economica Monetaria che grazie alle tre tappe poteva raggiungere il traguardo di una moneta comune europea. La meta da agguantare (l’euro) non fu di facile presa: le tre tappe infatti prevedevano adeguamenti su vari fronti; la prima tappa consisteva in una convergenza delle politiche economiche e monetarie degli Stati membri, la seconda, oltre ad un rafforzamento dei risultati raggiunti nella prima fase di convergenza, istituiva l’IME (Istituto Monetario Europeo) che andava a sostenere la cooperazione fra le varie banche centrali nazionali coordinando le politiche economiche e sostenendo la 59 stabilità monetaria e poi andava a vigilare sullo SME e sullo sviluppo dell’ecu. L’IME ha gettato le basi per il Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC) e quindi si è potuto assistere alla nascita della Banca Centrale Europea (BCE), autonoma nelle decisioni e che principalmente ha la funzione di autorizzare l’emissione di banconote della valuta euro. La fatica più evidente era ed è l’ingresso nella terza fase, fase che è ancora in atto in quanto non tutti gli Stati membri riescono a soddisfare i famigerati parametri di Maastricht disciplinati dal protocollo n°13 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Solo 11 dei 15 paesi membri dell’Ue, infatti, presero parte il 1°gennaio 1999 a questa fase. Negli anni successivi si sono visti inglobare nella terza fase, Grecia, Slovenia, Cipro e Malta, Slovacchia e l’ultima arrivata, Estonia. La terza tappa non è stata ancora conquistata pienamente, solo 17 dei 27 paesi dell’Ue hanno l’euro. Viene lecito pensare che forse il non raggiungimento di questa fase è dovuto essenzialmente alla rigidità dei criteri previsti. Un paese che vuole l’euro e si vuole inserire in questa “grande famiglia” infatti, deve rispettare il parametro dell’inflazione, mantenendo un alto grado di stabilità dei prezzi, la stabilità dei tassi di interesse a lungo termine, le valute devono rientrare nella fluttuazione prevista dal meccanismo di cambio e infine i parametri del disavanzo e del debito pubblico sono confrontati tutti e due con il PIL. (inferiori al 3% e al 60%). Gli ultimi due criteri sono sicuramente quelli più ostici per ogni paese. Le molteplici crisi causate dall’elevato debito pubblico di certe nazioni, Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e la stessa Italia, hanno scosso quello che è il quieto vivere di una Comunità, ormai pienamente consolidata. Proprio in questi giorni si sente parlare di una possibile uscita della Grecia dalla zona euro e forse la stabilità tra i paesi, quella globalizzazione che li tiene uniti o la stessa moneta euro che giustifica il tutto, si incrinerà. 60 Ma è davvero possibile che un paese abbandoni l’euro e torni alla precedente vita? Come detto nel primo capitolo questo non è possibile. L’euro è una scelta irrevocabile. I Trattati europei che si sono susseguiti non prevedono questa disposizione e una nuova regolamentazione su questo tema sprecherebbe un sacco di risorse e farebbe cadere la fermezza di quelle regole su cui si sono basati i “potenti” fino ad oggi. Si parla di programmi di emergenza, di aiuti e anche della voglia di far rimanere il popolo greco all’interno dell’area euro. Quella stessa area che, come nelle analisi emerse nel periodo immediatamente successivo al 1999, ha mantenuto livelli di PIL molto simili, garantendo una stabilità all’interno dell’area. Questa Comunità, se così si può chiamare, è convissuta con un mantenimento e una solidità per 10 anni. Si può dire quindi che l’euro è rimasto stabile per dieci anni. Le stime previste dal Fondo Monetario Internazionale ci dicono che il futuro dell’area euro vivrà un periodo roseo. Sono di buon auspicio infatti, le previsioni previste per il 2012 e gli anni avvenire, dal grafico previsionale emerge una situazione di stabilità e addirittura un allineamento all’unisono tra Olanda e Belgio. Tutto questo va in contrasto con quello che sta accadendo nell’area euro odierna. Ovviamente le stime del Fondo Monetario Internazionale sono state formulate nel mese di settembre 2011 e in 9 mesi sono accaduti fatti che hanno scosso l’Europa e soprattutto l’area euro. Possiamo dire che le previsioni non si sono avverate e che forse il FMI è stato un po’ troppo ottimista nel prevedere una forte stabilità nel prossimo futuro. Intanto un importante passo è stato fatto con l’introduzione a luglio 2012 del nuovo meccanismo europeo di stabilità (MES) che andrà a sostituire i due fondi precedenti e dell’ormai Patto di stabilità e crescita risalente al 1997 e più volte modificato con regolamenti durante questi anni. 61 Confidiamo nel patto che prevede la fissazione di obiettivi a medio lungo termine da tutti i paesi per mantenere la spesa pubblica inferiore al PIL e in questo nuovo fondo che garantirà come previsto la mobilitazione di risorse finanziare e quella stabilità che è necessaria, per far sì che la valuta unica torni a mantenersi uniforme all’interno dell’habitat comunitario e che tutti i paesi aderenti finalmente possano tirare un sospiro di sollievo. 62 Bibliografia ARPAIA, A. Tutti i pro e i contro della moneta unica, 31 agosto 2011, http://www.glieuros.eu BLANCHARD, O. (2006). Scoprire la Macroeconomia: Quello che non si può non sapere (IV ed.) (F. Giavazzi, & A. Amighini, A cura di) Editore: Il Mulino. BOSI, P. GUERRA, M. C. (2011). I tributi nell’economia italiana. Editore: il Mulino. BONANNI, A. Nasce l’euro, la lira si avvia al tramonto, 31 dicembre 1998, http://archiviostorico.corriere.it FAINI, R. DOVE NASCE L’EURO‐DISAGIO, 10 febbraio 2004, http://www.lavoce.info FALCONE, F. (1997). Aggiornamenti del volume: Aspetti e problemi di economia internazionale monetaria, http://www.cedam.com GUISO, L. L’EURO E L’INFLAZIONE: DOVE STA LA VERITA’?, 29 agosto 2002, http://www.lavoce.info LABOURE, M. Gran Bretagna: riuscirà la sterlina a salvare l’economia inglese, 22 maggio 2009, http://www.glieuros.eu MANASSE, P. LE CONSEGUENZE DEL PATTO RIFORMATO, 1 ottobre 2010, http://www.lavoce.info PINNA, L. La malattia (mortale?) dell’euro, http://www.lorenzopinna.com WYPLOSZ, C. DOVE FINISCE L’INDIPENDENZA DELLA BCE, 04 novembre 2007, http://www.lavoce.info WYPLOSZ, C. EUROPA: QUANDO MANCANO LE REGOLE, 30 luglio 2010, http://www.lavoce.info 63 Sitografia I Trattati dell’Unione Europea e della Comunità europea cui è dedicata gran parte dell’attenzione al primo capitolo, in particolare il Trattato di Roma (1958), Trattato CE versione consolidata (1997), Trattato CE versione consolidata (2002), Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (2009), sono reperibili sul sito web http://eur‐lex.europa.eu Il testo integrale dell’Atto Unico Europeo (1986) è reperibile sul sito web http://www.lavoce.info Il Trattato che istituisce il meccanismo europeo di stabilità è consultabile sul sito web del Consiglio Europeo, http://www.european‐council.europa.eu I vari Regolamenti (1466/97, 2866/98) e i protocolli in allegato ad ogni Trattato provengono sempre da sito web http://www.eur‐lex.europa.eu Il Regolamento CE n° 974/98 è reperibile sul sito web http://www.bancaditalia.it Le varie Relazioni sulle proposte di decisioni del Consiglio relative alle adozioni della moneta unica da parte di Slovenia, Cipro, Malta, Slovacchia ed Estonia e la spiegazione usata del meccanismo di intervento, sono consultabili sul sito web http://www.europarl.europa.eu Il discorso del Presidente del Parlamento europeo tenutosi il 13 dicembre 1996 di fronte al Consiglio europeo è consultabile sul sito web http://www.europarl.europa.eu Le due pubblicazioni della Commissione Europea datate 2007, sono reperibili dal sito web della Commissione Europea nella sezione “Affari Economici e Finanziari” http://ec.europa.eu/economy_finance I dati del PIL che sono serviti per effettuare le due analisi del periodo 1960‐ 2009 provengono dal sito web della banca dati, http://data.worldbank.org I dati stimati del periodo 2010‐2016 provengono dal sito web del Fondo Monetario Internazionale, http://www.Imf.org 64 Il sondaggio effettuato tra il 2 e il 4 luglio 2011 alla popolazione inglese in riferimento al pensiero di una futura adozione dell’euro proviene dal sito web http://www.angus‐reid.com Molte definizioni e chiarimenti sono stati ripresi dal sito web http://it.wikipedia.org Altre definizioni provengono dalle enciclopedie on line Treccani e DeAgostini (http://www.treccani.it e http://www.sapere.it) Il sito ufficiale dell’Unione Europea (http://www.europa.eu) http://www.econ‐pol.unisi.it/paolopin http://www.soldionline.it http://www.cambioeurodollaro.it http://www.ilsole24ore.com 65 Indice delle figure Equazione 1 – Domanda di beni Equazione 2 – Funzione del Consumo Equazione 3 – Consumo Equazione 4 – Equazione di equilibrio Equazione 5 – Domanda di moneta Equazione 6 – Curva IS Equazione 7 – Curva LM Figura 1 – Modello IS‐LM Equazione 8 – Tasso di cambio reale Figura 2 – Andamento del PIL (non normalizzato), 1960‐1999 Figura 3 – Andamento del PIL (non normalizzato), 1999‐2009 Figura 4 – Andamento del PIL, 1960‐1999 Figura 5 – Andamento del PIL, 1999‐2009 Figura 6 – Andamento del PIL, 1999‐2016 66