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L`ottica dell`occhio umano
L’ottica dell’occhio umano 1 Introduzione La radiazione elettromagnetica (EM )è una forma di energia che sotto la forma di onda trasversale (fig 2b) si sposta nello spazio ed è oscilla nel tempo. Questa è caratterizzata dalla contemporanea presenza di un campo magnetico e di uno elettrico che risultano perpendicolari tra loro e lo sono anche rispetto alla direzione di propagazione dell’onda (fig 1). Lo spettro della radiazione elettromagnetica va dai raggi cosmici sino alle onde radio (fig.2a) e viaggia nel vuoto a una velocità di circa (c) . Il parametro descrittivo della radiazione monocromatica la sua frequenza di oscillazione (frequenza ν, unità di misura è l’ Hz ) ed è legata alla lunghezza d’onda (λ, misurata in metri [m]) dalla seguente relazione: Come accennato in precedenza il singolo fotone trasporta una certa quantità di energia (E) che è correlata alla frequenza dell’onda e alla costante di Planck ( ): Dall’equazione (2) si deduce che le radiazione monocromatica a maggiore frequenza (es. raggi gamma), a parità di numero di fotoni, porta un quantitativo di energia superiore alle altre. L’uomo interagisce con tutto lo spettro elettromagnetico e le varie tipologie di onde EM vengono percepite dal corpo umano in modi differenti, ad esempio la radiazione infrarossa è associata alla sensazione di calore. C’è una particolare banda dello spettro che invece è associata alla sensazione visiva ed è quella che comunemente chiamiamo luce. Questa banda, denominata visibile, va dai 360 nm(viola) ai 830 nm (rosso, vicino infrarosso) [tabelle CIE Internation Lighting Vocabulary] ed è una porzione della banda ottica (10 nm-1000 nm). 1 Figura 1 Rappresentazione di una radiazione elettromagnetica monocromatica. : versore direzione di propagazione; : campo magnetico; : campo elettrico; λ: lunghezza d’onda Figura 2a Spettro elettromagnetico e banda visibile Figura 2b Onda trasversale L’equazione (1) si riferisce ad un’onda EM che viaggia nel vuoto quindi, nella pratica comune, è valida solo per esperimenti realizzati in laboratori specializzati. In realtà la velocità (vel) con cui si propaga l’onda è inferiore a quella della luce ed è legata a quest’ultima da una costante adimensionale nota come indice di rifrazione(n): La frequenza dell’onda EM rimane costante, invece sia la lunghezza d’onda che la velocità si riducono di un fattore proporzionale a . L’indice di rifrazione possiede le seguenti proprietà: - è un valore positivo maggiore o uguale a 1 - dipende dalle proprietà elettriche ( , permittività dielettrica relativa) e magnetiche ( , permeabilità dielettrica relativa) del materiale: 2 - è una grandezza dispersiva( d’onda della radiazione EM. ) quindi il suo valore dipende dalla lunghezza La tabella 1 riporta il valore dell’indice di rifrazione per alcuni comuni materiali. Quello dell’aria è circa 1.0003 (questo implica che velocità dell’onda EM in aria è circa inferiore a quella nel vuoto) e dato che quasi tutti i dispositivi ottici lavorano nell’atmosfera, è conveniente esprimere invece che al vuoto ( rispetto all’aria( , . Tabella 1 Indice di rifrazione di comuni materiali ottici [1] EXTRA L’effetto dispersivo dell’indice di rifrazione può essere modellato con formule matematiche 1) Formula di Cauchy: Utilizzata nello spettro del visibile, dove sono parametri caratteristici del mezzo. Una formula simile con tre parametri è nota come equazione di Conrady 2) Formula di Sellmeier: Riesce a descrivere l’indice di rifrazione in un range più ampio, dagli ultravioletti (365 nm) e gli infrarossi (2.3μm) 3 2 Ottica Geometrica Una trattazione accurata dell’interazione delle onde EM con la materia, necessità della risoluzione delle equazioni di Maxwell per determinate condizioni al contorno. Questo approccio non facilmente praticabile dal momento che, utilizzando equazioni differenziali, è necessario introdurre semplificazioni(principio di Huygens-Kirchhoff [2]) anche per la semplice analisi di un fronte d’onda che attraversa un’apertura di un ostacolo( fenomeno della diffrazione). In fisica è utilizzato un approccio semplificativo per descrivere la propagazione attraverso un sistema ottico, questo è noto come Ottica Geometrica. La semplificazione è valida nelle condizioni in cui le dimensioni dei mezzi ottici e delle aperture (diaframmi) del sistema ottico sono molto più grandi della lunghezza d’onda della luce che lo attraversa. Definiamo ora il cammino ottico (optical path length,OPL) tra due punti come: e Questa funzione contiene tutte le informazioni dei raggi contenuti nella regione tra i due punti ( , ) tenendo conto non solo della lunghezza del percorso del singolo raggio ma anche della velocità di percorrenza ed è utile per formulare il principio cardine su cui si basa l’ottica geometrica, il principio di Fermat: Il cammino che percorre un raggio di luce passante per due punti ( , ) è quello tramite cui la radiazione EM impiega il minore tempo possibile e quindi quello che minimizza OPL ( ). Dal principio di Fermat possiamo derivare le seguenti osservazioni: In un mezzo omogeneo (indice di rifrazione costante) il raggio di luce percorre una traiettoria rettilinea. Un raggio che incide con un angolo i su una superficie, la quale separa due mezzi omogenei con indice di rifrazione n e n’, viene rifratto e l’angolo di rifrazione è dato dalla legge di Snell (vedi dimostrazione al termine della sezione): Una parte del raggio incidente (angolo incidenza i) sulla superficie che separa i due mezzi omogenei viene riflessa, tale raggio riflesso giace sullo stesso piano 4 del raggio incidente e della normale alla superficie. L’angolo di riflessione (ir) è di segno opposto a quello d’incidenza ( e può essere ottenuto dall’equazione (6) assumendo . Ipotizzando di avere una fascio di luce bianca incidente sulla superficie di separazione tra n e n’, l’angolo di riflessione i’ è una funzione della lunghezza d’onda come conseguenza del fenomeno della dispersione del mezzo n’. Solitamente per un mezzo ottico, l’indice di rifrazione decresce per lunghezze d’onda crescenti quindi, sfruttando l’equazione (6), si deduce che un raggio blu è rifratto ad un angolo più vicino alla normale della superficie rispetto al raggio rosso (fig. 3). Figura 3 Illustra la dispersione di un raggio di luce bianca nei suoi colori costituenti dato dalla rifrazione Figura 4 Illustra un raggio incidente su un piano e il raggio riflesso e quello rifratto La potenza della radiazione incidente( ) è uguale alla somma della potenza riflessa ( e di quella rifratta( ) quindi, assumendo trascurabile lo scattering, è possibile scrivere l’equazione di bilanciamento energetico: Normalizziamo le quantità rispetto a trasmittanza ( ): per ottenere la riflettenza relativa( ) e la 5 ) Per piccoli angoli ( ) la trasmittanza e la riflettenza possono essere espresse come funzione dell’indice di rifrazione dei mezzi ottici ( per maggiori dettagli fare riferimento al paragrafo 1.5.3 della reference [14]): ESEMPIO: Assumendo di voler calcolare e per un comune vetro ( e.g. una finestra) e utilizzando i valori n=1 (aria) e n’=1.5 (vetro), otteniamo i seguenti risultati: Pertanto solo il 4 % della luce viene riflessa , si verifica inoltre che la somma della riflettenza e della trasmittanza è uguale al 100 % della luce incidente in accordo con l’equazione (8). DIMOSTRAZIONE: i. LEGGE DI SNELL La luce viaggia dal punto A(sorgente) al punto B (ricevitore) posto un una altro mezzo. Facendo riferimento alle grandezze fisiche mostrate nella fig. 5 possiamo scrive il cammino ottico (OPL) del raggio di luce monocromatica: 6 Figura 5 Il cammino della luce dal punto sorgente (A) in un mezzo con indice di rifrazione n al punto ricevitore (B) in un mezzo con indice n’. Utilizziamo il teorema di Pitagora per esprimere l’OPL ,le distanze Z e Z’ come segue: Applichiamo il principio di Fermat ( ): Riordiniamo e isoliamo i termini: Esprimiamo le quantità con le funzioni trigonometriche: In definitiva troviamo l’equazione di Snell: 3 Formazione dell’ Immagine 7 Un sistema ottico (S) si dice stigmatico o ideale nella condizione in cui tutti i raggi emessi dal punto dell’oggetto (O) convergono nel punto (O’) dell’immagine che è detto anche punto coniugato. La legge di rifrazione compare con una dipendenza trigonometrica, quindi non lineare, e di conseguenza un sistema ottico reale non riesce a far rispettare la condizione di stigmatismo. Lo scopo della progettazione ottica è proprio quello di raffinare un sistema ottico di questo tipo per avere la migliore corrispondenza puntuale tra oggetto e immagine. Figura 6 Un raggio dal piano oggetto attraversa il sistema ottico (S) e raggiunge il piano immagine [2] L’approssimazione largamente utilizzata in ottica geometrica per caratterizzare un sistema ottico è quella gaussiana. Questa approssimazione prevede di utilizzare lo sviluppo in serie di Mac-Laurin per la funzione trigonometrica che è presente nella legge di Snell: Possiamo considerare solo il primo termine della serie, ,quindi parlare di raggi parassiali, quando i raggi di luce siano vicini all’asse ottico e l’angolo d’inclinazione è nei dintorni dello zero. Se l’errore commesso è inferiore al 5 per mille; una buona regola è quella di utilizzare questa approssimazione nelle situazioni in cui . Se la luce attraversa una lastra di vetro a facce parallele (fig.7) con uno spessore pari a t, il fascio non subisce un cambio di direzione ma è soggetto ad uno spostamento laterale δ, quantità che dipendente dall’inclinazione del vetro (θ) e dal suo indice di rifrazione (n). 8 Figura 7 Spostamento laterale di un raggio di luce che attraversa una lastra di vetro [adattata da R.E. Fischer e B. Tadic-Galeb, 2000] Sulla base dell’osservazione sopra proposta si deduce che, utilizzando superfici planari, non è possibile focalizzare in un unico punto un fascio di luce; per poterlo fare è necessario utilizzare una combinazione di una o più superfici non planari, nota come sistema ottico. La trattazione analitica di una qualsiasi superficie può fare riferimento al diottro sferico, questo perché localmente ogni superficie può essere approssimata con una curva sferica. E’ quindi utile riportare le equazioni del diottro sferico ottenute in condizioni di ottica geometrica e in approssimazione parassiale. Per poterlo fare è necessario fornire una convenzione dei segni per le quantità utilizzate e in tal senso facciamo riferimento alla figura 8. Per le distanze dell’oggetto (z) e dell’immagine (z’) i segni positivi sono quelli rappresentati in figura 9. Figura 8 Le distanze e gli angoli sono identificati da una freccia la cui coda giace sul punto o sulla linea o sul piano preso come riferimento [3] 3.1 Diottro Sferico 9 Si definisce diottro sferico un sistema ottico composto da due mezzi omogenei ed isotropi con indice di rifrazione e separati da una superficie sferica di raggio (curvatura ).L’asse di simmetria del sistema è detto asse ottico e utilizzando l’approssimazione par assiale, la superficie più essere approssimata localmente come planare (vedi figura 9) Figura 9 Un raggio che parte dall’oggetto con una pendenza pari all’angolo u, intercetta la superficie ( raggio curvatura R) con un angolo d’incidenza i. Il raggio viene rifratto ad un angolo i’ e la sua inclinazione diviene pari a u’. z e z’ sono le distanza dal vertice della superficie dell’oggetto e dell’immagine rispettivamente [3]. Definiamo la potenza ottica(φ) della superficie: L’unità di questa grandezza è l’inverso di una lunghezza e,nella condizione in cui R sia espressa in metri, è chiamata diottria D ( ). Per una potenza ottica positiva un fascio di raggi paralleli convergono in un unico punto (fig.10.a), se invece è negativa i raggi divergono come se stessero provenendo da un punto posto prima della superficie (fig.10.b).Un superficie di rifrazione planare ( ) ha una potenza ottica nulla. Figura 20 Fascio di raggi paralleli incidono su una superficie sferica (a) potenza ottica positiva e (b) potenza ottica negativa [3]. Si definiscono coniugati tutti quei punti legati dal principio di reversibilità ( ad esempio l’oggetto e l’immagine possono essere interscambiabili). I piani che li contengono e che 10 sono perpendicolari all’asse principale sono piani coniugati. Considerando un punto dell’oggetto distante z dal vertice del diottro, possiamo individuare il suo coniugato (posto a z’) sfruttando l’equazione dei punti coniugati o formula di Gauss: Procediamo definendo due grandezze fondamentali per una generica superficie di rifrazione, la lunghezza focale primaria( ) e quella secondaria( ): - La lunghezza focale primaria ( ) è definita come la posizione in cui di trova l’oggetto nel caso in cui l’immagine si formi all’infinito ( ) - La lunghezza focale secondaria ( ) è definita come la posizione in cui si forma l’immagine nel caso in cui l’oggetto si trovi all’infinito ( ) Tenendo presente la precedenti definizioni, possiamo esprimere la potenza ottica come: Si evidenzia che le due lunghezze focali sono di segno opposto e di modulo diverso sulla base del rapporto degli indici di rifrazione del piano oggetto e del piano immagine ( ). L’ingrandimento (o magnificazione) laterale m è pari al rapporto della dimensione dell’immagine su quella dell’oggetto ( h’/h) e nel caso del diottro è (per maggiori informazioni [: 3.2 Le Lenti Due diottri accoppiati formano quella che comunemente chiamiamo lente, cioè un sistema ottico con due superfici sferiche rifrangenti che delimitano un mezzo omogeneo. 11 Per estendere l’analisi effettuata per il singolo diottro sferico è necessario usare “l’equazione di trasferimento” (vedi fig. 11) che tiene conto della distanza(t) tra due superfici di rifrazione e serve a mettere in relazione l’altezza del raggio ( ) alla superficie 1 con l’altezza ( ) che ha alla superficie 2. Considerando l’approssimazione parassiale , l’equazione di trasferimento si esprime come (nota è negativo per la convenzione di segni utilizzata): Figura 11 Altezza (y) del raggio tra le superfici 1 e 2. Ogni superficie ha un raggio di curvatura Ogni lente può esser classificata sulla base della forma in una delle 6 classi di base: Le prime tre lenti sono più spesse al centro che sui bordi e sono classificate come convergenti o positive, invece le altre tre sono dette lenti divergenti o negative. Per poter approfondire l’analisi ottica delle lenti è necessario fare una breve digressione utile caratterizzare per un qualsiasi sistema ottico composto anche molte superfici di rifrazione. Un sistema ottico può essere trattato come una “scatola nera” le cui caratteristiche sono definite dalle tre coppie di punti cardinali: 12 Il primo e il secondo punto focale (F1,F2) sono i punti sull’asse ottico in cui è focalizzato un fascio di raggi di luce paralleli provenienti da un oggetto posto all’infinito. Il primo e il secondo piano principale (P1,P2) : un raggio uscente dal sistema ottico sembra aver attraversato il secondo piano principale alla stessa distanza dall’asse con cui lo stesso raggio sembra aver attraversato il primo piano principale. Il punto d’intersezione del piano principale con l’asse ottico è detto punto principale. Il primo e il secondo punto nodale (N1,N2) hanno la proprietà che un raggio mirato sul uno dei due, sembra emergere dal sistema ottico dall’altro punto nodale con il solito angolo. Nella figura 12 sono rappresentati i punti cardinali per una generica lente; il termine “secondo” è utilizzato per raggi di luce provenienti da sinistra, invece il termine “primo” è legato ad un approccio con i raggi provenienti da destra. Sfruttando i punti cardinali è possibile definire inoltre: La distanza focale effettiva (efl, effective focal length) che è pari alla distanza tra il piano principale e il punto focale. La distanza focale posteriore (bfl, back focal length) è la distanza tra il vertice dell’ultima superficie rifrattiva del sistema e il secondo punto focale. La distanza focale frontale (ffl, frontal focal length) è la distanza tra il vertice della prima superficie rifrattiva del sistema e il primo punto focale. Figura 12 Punti cardinali per una lente. (a) mostra il primo punto focale (F1), i punti principali (P1,P2), la distanza focale effettiva (EFL) e la distanza focale posteriore (BFL); (b) mostra il primo punto focale (F2), i punti principali (P1,P2), la distanza focale effettiva (EFL) e la distanza focale frontale (FFL); (c) mostra i punti nodali (N1,N2) Quando il piano immagine e quello oggetto stanno in un mezzo con il medesimo indice di rifrazione, i punti nodali coincidono con i punti principali. Questa condizione è valida per le comuni fotocamere ma non lo è, come vedremo più avanti , per l’occhio umano. La conoscenza della posizione dei punti cardinali è fondamentale perché le distanze tra il 13 sistema ottico e l’immagine (z’) o l’oggetto (z) (fig. 13) sono misurate utilizzando come riferimento i punti principali. Inoltre, nella figura 13, viene mostrato il metodo di costruzione grafica della posizione dell’immagine; tale metodo prevede di tracciare il percorso di due raggi di luce che partono dal vertice più estremo dell’oggetto e attraversano il sistema ottico:il primo raggio con direzione parallela all’asse ottico, il secondo diretto verso il primo punto focale del sistema. L’immagine si forma dove i due raggi convergono. Figura 13 Costruzione grafica della posizione dell’immagine tramite il ray-tracing di due raggi che partono dall’oggetto [4]. Un’immagine si definisce reale se ponendo uno schermo nella posizione in cui si trova, l’immagine appare su tale schermo, questo si verifica solo quando la distanza z’ è positiva (fig. 14a). Al contrario, un’immagine si definisce virtuale se z’ è negativa (fig. 14b) e quindi, per un osservatore posto dopo il sistema ottico (a destra) , l’immagine sembrerà provenire da una posizione “fittizia” poiché il sistema tende a divergere i raggi di luce. Figura 14 Formazione dell’immagine; (a) immagine reale (b) immagine virtuale Sfruttando le grandezze sino ad ora definite, possiamo andare a scrivere, come già fatto per il diottro sferico, le equazioni descrittive delle proprietà ottiche delle lenti spesse 14 (ovvero quelle per cui lo spessore della lente non è trascurabile). Facendo riferimento alla figura 13, tenendo contro del potere rifrattivo delle due superfici rifrattive ( e ) che compongono la lente e della distanza tra loro ( della lente ( ) è il seguente: ), il potere rifrattivo Dall’equazione 20a si nota come la potenza ottica totale della lente dipenda non solo dalla somma dei poteri ottici delle singole superfici ma anche da un termine misto che tiene conto della loro distanza e del mezzo ottico che li separa. Gli altri parametri ottici della lente sono: Per le comuni lenti , di conseguenza i punti nodali coincidono con i punti principali e la lunghezza focale effettiva efl, in modulo, è la stessa sia per un fascio di luce proveniente da destra che per uno proveniente da sinistra. L’equazione che regola la 15 formazione dell’immagine è uguale al quella del diottro sferico (NOTA:l’immagine giace in un mezzo con indice di rifrazione ed è posta ad una distanza dalla lente pari a ): Nota: le distanze z e z’ vanno misurate ,rispettivamente, la primo punto principale all’oggetto e dal secondo punto principale all’immagine. L’ ingrandimento laterale ( ) della lente (per maggiori dettagli paragrafo 6.4.1 della reference [3]): Un modello approssimato per la lente è quello denominato come lente sottile. Questo modello può essere utilizzato nelle condizioni in cui lo spessore della lente sia molto più piccolo degli altri parametri (raggi curvatura,diametro). Approssimando lo spessore a zero ( ), le equazioni diventano più semplici da trattare analiticamente sia in fase di progettazione che in fase di analisi del sistema: La potenza totale della lente è data dalla somma del potere focale delle due superfici rifrattive I punti principali e i punti nodali coincidono con il punto dell’asse equatoriale di simmetria della lente che interseca l’asse ottico Proponiamo, infine, un metodo di analisi di un qualsiasi sistema ottico composto da più componenti, in funzione dei parametri dei singoli elementi e della loro distanza. L’esempio riportato fa riferimento ad un sistema composto(fig.15) da due lenti spesse 16 distanti d (misurata dal secondo punto principale della lente a al primo punto principale della lente b), ma più essere esteso a più componenti tramite un approccio iterativo. Figura 15 Combinazione di due lenti spesse (a e b). Sono mostrati i punti principali dell’intero sistema e di ogni lente [5]. Come accennato in precedenza, l’intero sistema può essere trattato come una “blackbox” le cui proprietà ottiche dipendono da quelle delle sue componenti: La potenza ottica: La distanza focale posteriore: La distanza focale frontale: La posizione dei punti principali: Formazione dell’immagine : ESEMPIO: 17 Quale è la posizione e la dimensione dell’immagine formata da un fiore di altezza pari a 7.6 cm posto a 1 metro da una lente sottile convessa (parametri ) Nota: piano immagine e oggetto hanno indice di rifrazione pari a 1 (aria) 1) Lunghezza focale della lente: (la lente è convergente:potere focale positivo) 2) La distanza tra dell’oggetto dalla lente (z) è pari a 100 cm. Sfruttando l’equazione (22) ; . Per poter mettere a fuoco l’immagine sulla pellicola è necessario posizionarla 5.26 cm a destra della lente; si nota inoltre che, nella messa a fuoco, la lente deve essere tanto più distante dalla pellicola quanto più vicino è l’oggetto. 3) L’ingrandimento è: . L’immagine risulta quindi capovolta e rimpicciolita. 3.3 Aperture e Pupille di un Sistema Ottico 18 Le condizioni di illuminazione dell’immagine non dipendono solo dalle caratteristiche ambientali, ma anche dalle proprietà dell’apertura (aperture stop) del sistema ottico utilizzato per acquisirla. Il termine apertura è associato al più piccolo elemento (i.e. diaframma, lente,specchio ) che limita la quantità di luce che raggiunge il foto rilevatore. Individuata l’apertura, possiamo introdurre il concetto di pupilla. Ogni sistema ottico presenta due pupille che sono le immagini coniugate dell’apertura. La pupilla d’entrata è l’immagine dell’apertura osservandola dal piano dell’oggetto ed è la pupilla d’uscita l’immagine dell’apertura osservata dal piano immagine (vedi fig. 27). Figura 27 Apertura e sue immagini coniugate (pupilla d’entrata e d’uscita) per un sistema ottico composto da due lenti e un diaframma NOTA In assenza di lenti alla sinistra (rispetto alla figura 27) dell’apertura (i.e. diagramma) la pupilla d’entrata coincide con l’apertura stessa. Discorso è valido anche per la pupilla d’uscita se non vi sono lenti alle destra dell’apertura. 3.4 Apertura Numerica e F-number La luminosità dell’immagine è una funzione della lunghezza focale del sistema ottico e del diametro della pupilla d’entrata. Per poter descrivere le proprietà di luminosità, del’intero sistema ottico, si utilizzano due parametri tra loro dipendenti: l’F-number (F#) e l’apertura numerica (NA numerical aperture) Per un oggetto posto all’infinito, i due parametri hanno la seguente descrizione matematica: 19 F-number è il rapporto tra la lunghezza focale effettiva del sistema ( sistema in figura 28) e il diametro della pupilla d’entrata( per il ) L’apertuta numerica è definita come l’indice di rifrazione del mezzo dell’oggetto moltiplicato per il seno dell’angolo del raggio più esterno entrante nel sistema (detto anche raggio marginale). In approssimazione parassiale e per l’oggetto posto all’infinito è inversamente proporzionale all’F/#. Figura 28 F-number per un sistema ottico con una pupilla d’entrata (diametro Dent) e lunghezza focale (f) Sistemi ottici con piccolo F-number (elevata apertura numerica) sono detti “veloci”. Questo perché presentano un grande diametro, l’immagine è più luminosa ed è quindi necessario un minor tempo di esposizione del foto trasduttore. Un loro limite è che presentano una piccola profondità di campo ( ampiezza della profondità dell’immagine che risulta a fuoco). Se invece F-number è elevato ( piccola apertura numerica) è richiesto un maggiore tempo di esposizione, la profondità di campo è più ampia e il sistema è detto “lento”. L’ F-number è misurato utilizzando un sequenza geometrica in cui elementi successivi sono legati da un rapporto a number: . L’ i-esimo elemento della scala di misura presenta il seguente F- Da qui f/1; f/1.4; f/2; f/2.8.. etc. 4 Le Aberrazioni 20 Nei paragrafi precedenti abbiamo considerato valida l’ipotesi di raggi monocromatici con approssimazione gaussiana ( raggi parassiali, diottri sferici con piccola apertura e sistemi centrati con oggetto e immagini poco distanti dall’asse ottico). Nella realtà l’immagine non è stigmatica ma presenta dei difetti dovuti al fatto che gli angoli in gioco non sono piccoli, le superfici non sono solo sferiche, alcuni elementi possono essere decentrati e i fasci di luce non sono monocromatici (trascuriamo in questa trattazione il fenomeno della diffrazione). Le differenze tra l’immagine reale e quella stigmatica(ideale) sono note come aberrazioni. Per interpretare meglio la propagazione di un raggio attraverso un sistema ottico fare riferimento alla teoria del terzo ordine: In questo caso nascono 5 aberrazioni monocromatiche: l’aberrazione sferica (fig. 16): è definita come la variazione del fuoco in funzione dell’altezza d’incidenza del raggio di luce con il sistema ottico. Per raggi ad altezza più elevata la lunghezza focale diventa più piccola rispetto all’approssimazione par assiale. Figura 16 Aberrazione sferica per una lente. I raggi che intersecano la lente nelle regioni marginali hanno un diverso fuoco [6]. coma (fig. 17): per oggetti fuori-asse , il raggio obliquo che passa nella regione marginale del sistema ottico subisce una deflessione differente rispetto a quello passante per il centro del sistema ottico. Questo causa la comparsa di una 21 “cometa” nel piano immagine e la dimensione del coma varia linearmente con la distanza dell’oggetto dall’asse ottico. Figura 17 Coma per una lente. A e B sono due raggi che provengono da un oggetto fuori asse e passano al margine della lente. P è il raggio passante per il centro della lente. Nel piano immagine i raggi giungono a diverse altezze [4] astigmatismo (fig. 18): questa aberrazione nasce per oggetti fuori asse, a seguito della diversa curvatura e quindi del diverso fuoco del piano tangenziale e di quello sagittale della lente. Figura 18 Astigmatismo per una lente. L’immagine mostra il ray-tracing per un fascio che giace sul piano sagittale e per uno sul piano tangenziale [6]. Campo di curvatura (fig. 19): ogni sistema ottico è soggetto a questo tipo di aberrazione come conseguenza del fatto che l’immagine “perfetta” si potrebbe formare solo su una superficie curva , nota come superficie di Petzval. Figura 19 Curvatura di campo per una lente senza astigmatismo [4]. Distorsione (fig. 20): in presenza di oggetti che si estendono in regioni del piano dell’immagine molto fuori-asse, l’immagine è soggetta a questo tipo di 22 aberrazione dovuta al fatto che l’ingrandimento varia con l’angolo di campo. La distorsione può essere positiva (barrel) o negativa (pincushion). Figura 20 Distorsione: (a) oggetto; (b) immagine con distorsione negativa (pincushion); (c) immagine con distorsione positiva (barrel) [3]. La dispersione a cui sono soggetti i materiali che compongono il sistema ottico, fa si che l’immagine sia affetta anche dall’aberrazione cromatica (fig 21). Il sistema ottico ha un fuoco che è funzione della lunghezza d’onda della luce che lo attraversa. Figura 21 Aberrazione cromatica di una lente su cui incidono due fasci : il primo rosso e il secondo blu [7]. NOTA Le aberrazioni nascono per la funzione trigonometrica che determina l’effetto rifrattivo, quindi le lenti anche se accuratamente progettate presentano sempre aberrazioni (anche estendendo all’infinito l’approssimazione descritta dalla serie di MacLaurin).Discorso diverso va fatto per gli specchi che utilizzando l’effetto di rifrazione possono essere realizzati in modo da avere aberrazioni nulle (i.e. i telescopi utilizzano gli specchi come elementi di focalizzazione dell’immagine). EXTRA Ad ogni materiale si associa un parametro, noto come Abbe number (V, range 20-90), descrittivo del suo grado di dispersione. Un valore dell’ Abbe number maggiore di 55 è 23 specifico di materiali poco dispersivi (crown), invece per V inferiore a 50 il materiale è classificato come molto dispersivo(flint). Tale valore lo si ottiene combinando insieme l’indice di rifrazione ottenuto ad opportune ‘linee’ ottiche : helium d line (587.6 nm), hydrogen F line (486.1 nm) e C line(656.3 nm). 5 L’occhio Umano 5.1 Introduzione Le prime forme di vita erano incapaci di veder il sole o il paesaggio circostante. La luce solare è stata la più potente forza selettiva che ha controllato lo sviluppo degli organismi viventi. Questa “selezione solare” è evidente dell’occhio che è l’organo adibito all’estrazione dell’informazione proveniente dalla luce riflessa o emessa dagli oggetti. Le proprietà della luce utili all’organismo (e.g. lunghezza d’onda, polarizzazione) dipendono dai fotorecettori che l’organismo possiede,ad esempio i recettori di cui dispone l’occhio umano riescono a percepire la radiazione compresa tra 400 e 700 nm, ma per molti altri animali ( compresi uccelli,pesci e insetti) la sensibilità spettrale si estende anche all’ ultravioletto (400-320 nm) [8]. L’occhio non è il risultato di un’ accurata progettazione, come può essere un microscopio o un telescopio, ma è il risultato dell’evoluzione di milioni di anni. Le strutture ottiche, i materiali, e fotorecettori sono il frutto degli stimoli ambientali e delle necessità di cui l’organismo vivente ha bisogno. I falchi hanno bisogno di una elevata acuità visiva, invece un lombrico si “accontenta” di una risoluzione visiva più grossolana. Tuttavia, non possiamo dire che l’occhio del falco è migliore di quello del lombrico perché essi si sono evoluti in ambienti diversi e con obbiettivi differenti, ma possiamo affermare che l’occhio del falco è capace di fornire più informazioni al suo possessore. Sono due le principali proprietà che riassumono le performance ottiche dell’occhio : L’acuità visiva e la risoluzione: è il più piccolo bersaglio che l’intero apparato visivo riesce a discriminare. Anche la risoluzione è misurata come il più piccolo bersaglio che però è discriminabile a livello dei fotorecettori (escludendo 24 l’elaborazione che viene fatta dalle componenti neurali (retinali e post-retinali) . Perciò la risoluzione più essere stimata tenendo conto dalle caratteristiche dell’apparato ottico ( iride, lenti) e dalle dimensioni dei fotorecettori. Sia l’acuità visiva che la risoluzione sono espresse in cicli per grado (cycles/deg) o cicli per radiante (cycles/rad) (fig.22) Figura 22 Unita della risoluzione visiva: (a) 1 cicli/deg ; (b) 2 cicli/deg La sensitività: si riferisce all’abilità dell’occhio di raccogliere sufficiente luce per sfruttare a pieno le potenzialità dei foto recettori. 5.2 La Struttura dell’Occhio Umano La maggior parte dei sistemi ottici fanno riferimento all’occhio umano come elemento finale del sistema stesso, quindi la conoscenza delle caratteristiche dell’organo adibito alla visione sono fondamentali . Inoltre, la struttura e le funzionalità dell’occhio umano possono essere fonte d’inspirazione nella progettazione di nuovi dispositivi (e.g. lenti a fuoco variabile). Il bulbo oculare assomiglia ad un guscio di plastica riempito da una sostanza gelatinosa che fornisce alla camera una pressione sufficiente a far mantenere la sua forma. Si trova in un’infossatura ossea del cranio e giace su cuscinetti di carne e grasso. Viene mantenuto in posizione e ruotato per mezzo di sei muscoli che lo circondano. La figura 23 mostra le principali strutture: La cornea: è la struttura ottica che funziona da accoppiamento con l’ambiente esterno che quindi è a contatto con l’aria. La sclera: è un tessuto denso e fibroso, di colore bianco e ha la funzione di proteggere l’intero occhio. E’ approssimativamente sferico con un raggio di curvatura di circa 12 mm. 25 L’humor aqueo: riempie la camera tra la cornea e l’iride. Ha un indice di rifrazione simile all’acqua. L’iride: è una struttura sottile circolare responsabile del controllo del diametro della pupilla (l’apertura). Muscoli ciliari: sono una porzione di tessuto muscolare di forma anulare che hanno il compito di modificare la forma del cristallino durante la fase di accomodamento dell’occhio [10]. Zonule: è un anello di tessuto fibroso che connette i muscoli ciliari con il cristallino. Il cristallino: è una lente trasparente di forma bi-convessa. E’ costituito da una massa di tessuto, con un indice di rifrazione non uniforme, incapsulato in una struttura elastica [11]. Questa lente gioca un ruolo fondamentale durante l’accomodamento dell’occhio. L’humor vitreo: riempie la camera tra il cristallino e la retina. La retina: è costituito da uno strato di cellule foto-sensibili , da uno strato di pigmenti e da fibre nervose [12]. I fotorecettori sono di due tipologie: i bastoncelli ( adatti ad una visione in condizioni di bassa luminosità in cui non è richiesta un’elevata risoluzione spaziale) e tre tipi di coni (ciascuno con una maggiore sensibilità ad uno dei tre colori base: rosso,verde e blu; sono adibiti ad una visione in condizioni di buona luminosità e forniscono un’elevata acuità visiva) La fovea: è una regione che occupa circa un millesimo della retina ed è dotata della migliore risoluzione grazie alla predominanza dei coni. Quando viene fissato un oggetto, il centro dell’immagine si forma al centro della fovea con un’inclinazione di circa 5° rispetto all’asse ottico (fatto legato alla visione bioculare) [12]. 26 Figura 23 Sezione orizzontale dell’occhio. Sono mostrate le principali strutture che lo compongono [9] L’occhio è dotato di due fondamentali processi di visione che sono: 1) L’accomodamento: in un occhio “ a riposo” il cristallino ha la forma “più piatta” che più assumere e l’occhio è in gradi di mettere a fuoco, sulla retina, un oggetto che idealmente si trova all’infinito (nella realtà si trova nel punto remoto dell’occhio). Per poter focalizzare oggetti più vicini è necessario incrementare il potere ottico dell’intero occhio ( quindi diminuire la lunghezza focale). Questo è reso possibile dai muscoli ciliari che contraendosi permettono al cristallino di assumere una forma più rotondeggiante con una conseguente riduzione dei raggi di curvatura che causa l’incremento del potere diottrico e la diminuzione della lunghezza focale [5]. 2) Aggiustamento delle dimensioni della pupilla: la quantità di luce che raggiunge la retina è regolata dalla variazione del diametro della pupilla. Tale diametro può variare da 2 mm, in condizioni di elevata illuminazione, a 8 mm al buio. La luminosità è inversamente proporzionale al quadrato del diametro della pupilla [9]. 5.3 Le Proprietà Ottiche L’occhio umano è un sistema ottico vivente e le sue caratteristiche non solo variano da individuo ad individuo, ma sono legate all’età. Inoltre, le condizioni ambientali in cui lavora influenzano notevolmente il comportamento dell’occhio. I dati presentati nella 27 tabella 2 devono essere considerati come il valor medio della distribuzione in condizioni di occhio rilassato e servono solo come indicazione. Per la cornea sono state assunte due superfici sferiche, ma nella realtà questa componente rifrattiva è asferica (con il raggio di curvatura che aumenta dal vertice verso i margini).L’asfericità costituisce un “trucco biologico” utile per diminuire l’aberrazione sferica dell’intero occhio, un altro elemento che riduce le aberrazioni è la distribuzione non uniforme dell’indice di rifrazione all’interno del cristallino. La regione centrale della lente adibita all’accomodamento ha un indice di rifrazione più elevato (1.406) rispetto alla periferia (1.386), questo fa si che all’interno del cristallino i raggi non compiano percorsi rettilinei (vedi principio Fermat) e in termini ottici la lente può essere sostituita con un elemento ad indice di rifrazione uniforme ma con valore più lato (1.42) [12]. Cornea Anterior radius (mm) Thickness (mm) Posterior radius(mm) Refractive index Equatorial diameter (mm) 7.7 0.5 6.8 1.376 12 Thickness (mm) Refractive index 3.3 1.336 Anterior radius (mm) Thickness (mm) Posterior radius(mm) Refractive index -center Refractive index -edge Refractive index-equivalent Diameter (mm) 11 3.5 -6 1.406 1.386 1.42 9 Thickness (mm) Refractive index 16 1.336 Diameter(mm) 24 Humor Aqueous Crystalline lens Humor Vitreous Ocular chamber Tabella 2 Valori medi degli indici di rifrazione e delle dimensioni di un occhio umano rilassato [12] Il potere ottico dell’occhio rilassato è circa 60 D e questo valore è distribuito tre le due lenti che lo compongono: 28 I. II. alla cornea circa i due terzi (42.1 D) come conseguenza del fatto che è a contatto con l’aria e quindi è soggetta all’elevata variazione dell’indice di rifrazione. al cristallino il restante terzo (18.3 D). Il suo potere focale è inferiore alla cornea proprio perché si trova a contatto con due liquidi biologici (humor vitreo e humor aqueo) che hanno indice di rifrazione (circa 1.33) più elevato che quello dell’aria. I punti cardinali , rappresentati in figura 24,hanno le seguenti posizioni [12]: - i punti principali P1,P2 si trovano 1.5 e 1.8 mm dietro al cornea i punti nodali N1,N2 sono 7.1 e 7.4 mm dietro la cornea i primo punto focale F1 si trova 15.6 mm fuori dall’occhio il secondo punto focale F2 si trova sulla retina Si nota subito che i punti nodali e quelli principali non coincidono proprio perché il piano oggetto si trova in un mezzo con indice di rifrazione pari a 1 (aria) invece il piano immagine (la retina) è a contatto con l’ humor vitreo (indice di rifrazione 1.336). Una ulteriore conseguenza è che le lunghezze focali sono diverse: . La distanza tra il secondo punto nodale e la retina è pari a 17.1 mm ed è nota come distanza nodale posteriore (posterior nodal distance PND) . Figura 24 3 Modello par assiale dell’occhio rilassato. Sono mostrate le posizioni dei punti cardinali [13]. 5.4 Le performance La distanza più grande a cui si trova l’oggetto quando l’occhio riesce a metterlo a fuoco, è nota come punto remoto (idealmente dovrebbe essere infinito).Viceversa,si definisce punto vicino la distanza minima a cui il soggetto riesce a mettere a fuoco l’oggetto, questo parametro dovrebbe variare tra i 10 cm per un adolescente e i 25 cm per un adulto (>50 anni). Per poter creare l’immagine sulla retina di un oggetto posto a 10 cm di fronte alla cornea, il cristallino deve incrementare,rispetto alla condizione di riposo, il suo potere 29 ottico di 10 D sino a raggiungere un valore complessivo di circa 30 D. Questo è reso possibile dal processo di accomodamento descritto nel paragrafo 5.1. Infine, voglio riportare il valore della l’acuità visiva per l’uomo che è circa 60 cicli/deg [8]. Nel mondo animale siamo “superati “solo dagli uccelli rapaci (140 cicli/deg), gli altri animali hanno occhi in grado di distinguere oggetti con minore accuratezza, esempio i gatti hanno un’acuità visiva di circa 5 cicli/deg. Le limitazioni alla risoluzione ottica dipendono dai parametri fisici degli elementi che compongono il sistema di visione, e sono : la distanza tra i recettori: fotorecettori più vicini tra di loro permettono di avere una migliore acuità visiva (uomo 2.5 μm vs rapace 1.6 μm) la dimensione della pupilla: una pupilla più larga permette di ridurre il fenomeno della diffrazione (che limita notevolmente la risoluzione spaziale del sistema ottico). In buone condizioni di luce il diametro della pupilla dell’uomo è circa 3 mm, invece quello dell’uccello rapace è circa 6mm la PND: una maggiore distanza tra il punto nodale e la retina incrementa la risoluzione ottica. (uomo 17.1 mm vs rapace 22.6 mm) ESEMPIO: Di quanto deve incrementare il potere ottico dell’occhio umano, rispetto alla condizione di riposo (60 D), per poter mettere a fuoco un oggetto che si trova a 19.85 cm dal vertice della cornea? 1) La distanza tra l’oggetto e l’occhio (z) deve essere misurata a partire dal primo punto principale( ), quindi : (vedi al posizione dei punti cardinali per l’occhio rilassato) 2) L’oggetto si trova immerso in aria (n=1) e ipotizzando che lo spostamento del primo punto principale sia trascurabile durante l’accomodamento, possiamo scrivere: La contrazione dei muscoli ciliari deve produrre una variazione della forma del cristallino tale da aumentarne il potere diottrico dell’intero occhio di 5D. 30 NOTA: l’incremento di 5 D del potere ottico totale del sistema, non si traduce in un aumento del potere ottico del cristallino di 5 D, questo perché l’occhio è composto da due lenti (cornea e cristallino) e quindi per una trattazione analitica del problema dovremmo fare riferimento all’equazione (25) tenendo contro del termine derivante dal rapporto tra la distanza delle lenti e l’indice di rifrazione dell’humor aqueo. 5.5 Il Modello “Semplificato” Il processo di riduzione di un sistema complesso ad un modello “semplificato” che ne imiti le proprietà, è direttamente connesso alla scelta delle caratteristiche che vogliamo prendere in esame. Per l’occhio umano, nel corso degli anni, sono stati sviluppati un grande numero di modelli [12]: L’occhio “esatto” di Gullstrand , noto anche come modello numero 1 (1909) Il modello “esatto” di La Grand (1980) Il modello “semplificato” di Gullstrand-Emsley, noto ance come modello numero 2 (1952) Il modello “semplificato” di Bennet e Rabbetts (1998) Il modello di occhio “ridotto” di Emsley-Gullstrand (1952) Il modello di occhio “ridotto” di Bennet e Rabbetts (1989) I modelli “esatti” approssimano tutti gli elementi rifrattivi con superfici sferiche simili,il più possibile, a quelle dell’occhio umano. Questi modelli richiedono come minimo quattro superfici rifrattive, due per la cornea e due per il cristallino. I modelli “semplificati” sono utilizzati per descrivere situazioni in cui i raggi di luce raggiungono l’occhio in condizioni di parassialità e quando è richiesto un basso carico computazionale, questo perché la cornea viene ridotta ad un’unica superficie e il cristallino viene schematizzato con un indice di rifrazione uniforme. Quando sono necessari semplici calcoli, ad esempio la stima delle dimensioni dell’immagine sulla retina, è possibile utilizzare i modelli di occhio “ridotto” nei quali le semplificazioni sono ancora più “forti” (e.g. unica superficie rifrattiva per l’intero occhio). L’utilizzo dei modelli sopra proposti è fondamentale per chi debba progettare dispositivi che abbiano come termine ultimo l’occhio umano, ad esempio:per il design di lenti a contatto o occhiali sono utilizzati i modelli “esatti” o “semplificati”, invece se dobbiamo determinare la distanza ottimale a cui guardare uno schermo a LED, possiamo utilizzare i modelli di occhio “ridotto”. 31 L’esempio che viene riportato in questo paragrafo è quello del modello “semplificato” di Gullstrand- Emsley (fig.25a)nel quale le proprietà ottiche sono date dai raggi di curvatura delle superfici rifrattive, dalla loro distanza e dagli indici di rifrazione (tab. 3). La cornea, l’humor vitreo e l’humor aqueo hanno il medesimo indice rifrattivo, invece il cristallino presenta una struttura asimmetrica con un indice di rifrazione costante. Per l’occhio rilassato il potere rifrattivo è simile a quello riportato nel paragrafo 5.3 ( 60D) e il rapporto tra potere ottico della cornea e del cristallino è circa 2:1. Il processo di accomodamento(fig. 25b) produce (vedi tab.4) un diminuzione notevole del raggio di curvatura anteriore del cristallino (-46%) e una conseguente diminuzione della distanza tra le due lenti (cornea,cristallino). L’occhio subisce un incremento del potere diottrico di 8.599 D e il cristallino di 8.487 D. Figura 25 4 Modello di occhio semplificato di Gullstrand-Emsley: (a) occhio rilassato, (b) occhio accomodato al punto vicino Medium n Air R[mm] D [mm] Surface Component 42.735 42.735 Whole eye 1 7.8 Cornea 4/3 3.6 10 Crystalline lens 8.267 1.416 3.6 60.483 21.755 -6 Vitreous Equivalent Power [D] 13.778 4/3 16.6962 Tabella 3 Parametri degli elementi dell’occhio rilassato per il modello semplificato di Gullstrand-Emsley Medium n R[mm] d[mm] Equivalent Power [D] Surface 32 Componen Whole eye . t Air 1 7.8 Cornea 4/3 42.735 3.2 5 Crystalline lens 1.416 8.267 6 4/3 69.082 30.242 -5 Vitreous 42.735 13.778 16.6962 Tabella 4 Parametri degli elementi dell’occhio accomodato per il modello semplificato di Gullstrand-Emsley 5.6 I difetti Ottici L’occhio è detto emmetrope se il punto focale per un oggetto posto all’infinito sta sulla retina e quando questo non avviene si parla di ametropia. Un occhio emmetrope mostra un potere corneale tra 39 e 48 D, un potere del cristallino tra 16 e 24 D e un asse oculare di 22-26 mm. Viceversa,un occhio ametrope con un errore rifrattivo compreso tra -4D e +6D può mostrare un comportamento simile a quelle emmetrope se gli errori di due o più componenti si combinano in moda da compensarsi, ad esempio una cornea con minore potere ottico e un’asse oculare più lungo, in questo caso si parla di occhio ametrope correlato. Per errori rifrattivi fuori dal range compreso tra -4D e + 6D, la lunghezza dell’asse oculare sembra essere la causa dell’ametropia. I principali difetti ametropi sono: - La miopia (fig 26a): l’asse oculare sembra essere troppo lungo e i fasci di luce provenienti da un oggetto posto all’infinito si focalizzano prima della retina. - L’ipermetropia (fig 26b): l’asse oculare sembra essere troppo corto e l’immagine di un oggetto posto nel punto vicino si forma dopo la retina. Clinicamente viene corretta se il punto vicino è ad una distanza superiore di 25 cm. - L’astigmatismo: la superficie anteriore della cornea è spesso soggetta a toricità, ovvero ad una differente curvatura del piano sagittale rispetto al piano tangenziale e quindi un diverso fuoco per i raggi di luce che giacciono su questi piani. 33 Figura 265 Ametropie: (a) miopia; (b) ipermetropia Un difetto ottico che non rientra tra quelli ametropi, è la presbiopia. Questa è definita come la diminuzione del range di accomodamento del cristallino ed è legata all’età dell’individuo. Il punto vicino si “allontana” e può essere la conseguenza di una ipermetropia non corretta. L’individuazione di una certo difetto permette all’oculista di prescrivere al paziente la soluzione migliore per poterlo correggere: La miopia: può essere corretta introducendo un elemento (lente a contatto, occhiale ) con potere focale negativo quindi divergente (fig 27a). Soluzioni chirurgiche prevedono di andare a modificare la curvatura della cornea con l’utilizzo di un laser. La ipermetropia : può essere corretta utilizzando un elemento (lente a contatto, occhiale) con potere focale positivo quindi convergente (fig. 27b). Tecniche alternative in uso sono quelle chirurgiche: laser, cheratoplastica conduttiva, sostituzione del cristallino. L’astigmatismo: è molto comune, può essere tratta con lenti oftalmiche cilindriche o toriche, oppure con lenti a contatto. La chirurgia refrattiva (laser) più bloccare l’evoluzione dell’astigmatismo andando a modificare la curvatura della cornea. La presbiopia: sono comunemente utilizzate lenti a contatto di tipo multifocale o lenti oftalmiche. La chirurgia refrattiva non può essere d’aiuto, ma sono in corso studi e prove d’impianto di cristallini progressivi. 34 Figura 276 Correzione delle ametropie: (a) la miopia; (b) la ipermetropia. ESEMPIO: Un soggetto è affetto da ipermetropia e ha il punto vicino a 80 cm di distanza dall’occhio; vogliamo progettare una occhiale che gli permetta di correggere il suo difetto e di poter mettere a fuoco oggetti a 25 cm di distanza (NOTA:le distanze sono considerate prendendo come riferimento il primo punto principale dell’intero occhio). 1) L’occhio del soggetto in fase di accomodamento ha un potere ottico non noto; per poter mettere a fuoco un oggetto posto a 25 cm, devo introdurre una lente che mi fornisca un ulteriore . Questa lente dovrà fare si che l’oggetto posto a 25 cm (z) venga percepito dal soggetto a 80 cm (-z’, il segno negativo è dovuto al fatto che l’immagine debba essere percepita come se si trovi al di fuori dell’occhio, vedi convenzione dei segni ) Se utilizziamo una lente a contatto, questa dovrà avere proprio un potere ottico pari a , se invece utilizziamo una lente montata su un occhiale è necessario risolvere le equazioni che descrivono il sistema composto da due elementi (l’occhio e la lente) , misurando la potenza ottica dell’occhio accomodato e la distanza tra la cornea e la lente , vedi paragrafo 3.2. Note dell’autore:. Per segnalare eventuali errori o per chiedere spiegazioni su parti poco chiare, contattare l’autore all’indirizzo email: [email protected] utilizzando come oggetto “DISPENSA OTTICA”. Ultimo aggiornamento 25 novembre 2012 35 Riferimenti [1]: Handbook of optical design 2nd edition. Daniel Malacara and Zacarias Malacara. MARCEL DEKKER,INC. [2]: Geometric optics: theory and design of astronomical optical system using Mathematica® .Antonio Romano. SPRINGER SCIENCE [3]: Geometrical and trigonometric optics. Eustace L. Dereniak and Teresa D. Dereniak. CAMBRIDGE UNIVERSITY PRESS,2008 [4]: Fundamental of optics 4th edition. F.A. Jenkins and H.E. White. McGRAW-HILL(2001) [5] : Modern optical engineering 3th Edition. Warren J. Smith. SPIE PRESS-McGRAW HILL (2000) [6]: Aberration Theory. Geunyoung Yoon. C [7]: Lens design fundamental 2nd Edition. Kingslake,Rudolf, R.Barry ELSERVIER 2010 [8]: Animal eyes. M. F. Land and D-E Nilsson. OXFORD ANIMAL BIOLOGY SERIES. (2002) [9]:Handbook of optics.vol I , 2nd edition. Michael Bass. McGRAW-HILL. [10]: Dictionary of eye terminology. Gainsville, Cassin, B. and Solomon, S. .Florida: Triad Publishing Company, (1990) [11]: Refractive index gradient of human lenses. Pierscionek BK and Chan D.Y. Optometry and vision science. (1989) [12]:Optics of the human eye. D.A. Atchinson,G. Smith. 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