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il mistero rivelato dei riti tibetani

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il mistero rivelato dei riti tibetani
Alberto Chiara
IL MISTERO RIVELATO
DEI RITI TIBETANI
Lo Yoga del ringiovanimento
Estratti dal libro
Totale pagine di questo E.book: 68
Totale pagine testo originale: 160
HERMES EDIZIONI
1
Alberto Chiara
IL MISTERO RIVELATO DEI
RITI TIBETANI
lo yoga del ringiovanimento
Alla scoperta della più antica e mai svelata dinamica energetica che
eleva la vitalità dell’organismo umano fino a indurne il
ringiovanimento.
La fonte dell’eterna giovinezza esiste davvero o è solo leggenda? Questo
libro svela per la prima volta il segreto, mai rivelato, ma sempre e solo
accennato, dell’energia Kundalinî e del suo potere taumaturgico,
attraverso il quale ogni persona può intervenire consapevolmente sulla
vitalità del proprio corpo per ottenere ringiovanimento, salute e longevità.
Il testo porta alla luce le sconosciute pratiche dello yoga – custodite
gelosamente nelle millenarie tradizioni sapienziali esoteriche – che si
celano dietro agli antichissimi riti tibetani.
Q uesti esercizi si rivelano la
porta di accesso a una più completa ed efficace disciplina del
ringiovanimento fisico, il Sushumnâ yoga, per- mettendo l’apertura del
maggior canale di energia vitale del corpo umano, il Sushumnâ-nâdî, che
corre all’interno della colonna vertebrale e rappresenta la strada maestra
dell’energia vitale Kundalinî o Shakti.
D a O riente a O ccidente tale
conoscenza è stata tramandata attraverso metafore e allusioni il cui
significato autentico era raggiungibile solo da poche menti risvegliate.
Ora finalmente, grazie a questa guida preziosa capace di condurci sul
sentiero del benessere e dell’autorealizzazione, è accessibile a tutti con un
linguaggio semplice e chiaro.
48 foto e illustrazioni
ALBERTO CHIARA, autore del libro Il potere segreto del cuore (Hermes
Edizioni), da anni appassionato ricercatore delle più antiche tradizioni
esoteriche, tiene corsi e seminari per coloro che desiderano approfondire
la meditazione e la pratica dei riti tibetani.
Per inform azioni visitate il
sito http://albertochiara.com
2
Indice
Prefazione
11
1. Il Sushumnâ Yoga e i Riti Tibetani
Il segreto dei Riti Tibetani: realtà o leggenda?
Il processo del ringiovanimento: i chakra
I quattro livelli di energia
2. Il primo livello di energia
I Cinque Riti Tibetani
Il primo rito
Il secondo rito
Il terzo rito
Il quarto rito
Il quinto rito
Le modalità di esecuzione
L’intensità nell’esecuzione
La dinamica di crescita energetica
Le pause tra un rito e l’altro
13
15
18
21
23
23
23
24
26
27
29
30
32
33
34
3. Il secondo livello di energia
Il segreto svelato dei Riti Tibetani: il Traya-bandha
Mûla-bandha
Uddîyâna-bandha
Jâlandhara-bhanda
La respirazione addominale del Sushumnâ Yoga
L’apnea nella respirazione addominale
L’esecuzione dei primi cinque riti nel Sushumnâ Yoga
37
37
38
40
41
42
43
44
Il primo rito
Il secondo rito
46
46
3
Il terzo rito
Il quarto rito
Il quinto rito
4. Il terzo livello di energia
L’energia Kundalinî
Il sesto rito tibetano
Premessa
La crescita dell’energia vitale con il sesto rito
La dinamica energetica del sesto rito
L’esecuzione del sesto rito nel Sushumnâ Yoga
La dinamica energetica delle contrazioni bandha
nel sesto rito
L’apertura del camino Sushumnâ-nâdî
47
48
49
51
51
60
60
61
63
69
5. Il centro Hara
Concentrare l’energia sull’Hara per liberare il corpo dagli accumuli energetici
Il centro Hara
Il Sushumnâ Yoga e l’attivazione del centro Hara
La forza del ventre
L’addome piatto
L’attivazione dell’ormone della crescita
6. La ridistribuzione energetica
L’attività aerobica
Esercizi di crescita energetica
Il Gtum’mo (o Tummo)
L’ Orbita Microcosmica
72
74
77
77
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80
81
82
83
91
91
92
92
95
7. Il quarto livello di energia
99
Premessa
99
Il respiro ascensionale
100
L’energia del bacino per nutrire i muscoli e la forza fisica Il quarto livello di energia: la dinamica di accumulo
energetico con il respiro ascensionale
101
La crescita della sensibilità fisica
L’innalzamento dell’energia fisica
102
103
4
Il Tao Yoga e il muscolo PC
104
Il pavimento pelvico 106
Serie e ripetizioni per allenare il muscolo pubococcigeo
L’esercizio del Cervo
107
L’esercizio del Cervo nel Sushumnâ Yoga
108
Il Tao e il punto Ren-Mo
108
La porta midollare
110
L’apertura del canale midollare
111
Il sesto rito completo
112
8. Le cause dell’invecchiamento
Il Corpo astrale e il processo del ringiovanimento fisico
La postura e il modello
115
117
126
9. Aiutare il corpo nel suo processo di innalzamento energetico 129
L’attività fisica
131
L’attività aerobica
134
La respirazione
135
L’attività anaerobica
136
L’attività fisica: conclusioni
139
Esercizi di bioenergetica per scaricare l’energia del dolore emotivo
140
La pratica del rilassamento
142
Lo Yoga per i Riti Tibetani
143
Le serie concentrate per elevare il metabolismo
148
10. Il modo corretto di alimentarsi
Il rapporto acido-basico
Una corretta sequenza di alimenti
La masticazione
Amare il sapore
Sentire il corpo rilassato mentre mangiamo
Ridurre la fame con il muscolo PC
La distribuzione dei pasti
Conclusioni: effetti dell’innalzamento energetico
151
152
153
154
156
157
157
157
159
5
Prefazione
Quale mistero si cela dietro agli ormai famosi Cinque Tibetani,
conosciuti in tutto il mondo grazie al libro di Peter Kelder?
Anche questi insegnamenti non si sottraggono alla regola che
accomuna tutti i testi esoterici e sapienziali dell’antichità, ossia che la
verità non deve essere rivelata a tutti, ma solo a coloro meritevoli di
riceverla. Per riuscire in questo, l’esoterismo ha sempre fatto uso di
simbolismi, metafore e allegorie affinché il sapere potesse sopravvivere al corso dei millenni e giungesse soltanto a chi era pronto all’iniziazione.
Il proposito del presente libro è di portare alla luce la conoscenza che
si cela dietro a questi antichissimi riti, proponendo al lettore un
viaggio nuovo, affascinante e, per molti aspetti, intrigante, verso la
conquista di vette sempre più elevate della propria vitalità fisica, alla
scoperta di quella magica alchimia custodita gelosamente per millenni dietro le spesse mura di inaccessibili templi del sapere.
Lo studio approfondito delle più antiche e sconosciute pratiche yoga
rivela per la prima volta la dinamica energetica che si nasconde dietro
a ciascun Rito Tibetano, che per semplicità qui chiameremo
Sushumnâ-yoga, e che illustra come ogni esercizio lavori in sinergia
con una particolare respirazione addominale e a definite contrazioni
perineali, dette “bandha”.
Il lettore sarà accompagnato in modo graduale alla pratica dei Riti
Tibetani, partendo dall’insegnamento originale del libro di Peter
Kelder, per poi scoprire, capitolo dopo capitolo, le parti mancanti, mai
apertamente svelate, ma sempre e solo accennate nelle pagine del testo
originale.
In questo viaggio entusiasmante verso la riscoperta di una vitalità e
una salute sempre più elevate, il praticante assisterà a un progressivo
miglioramento del proprio stato di salute, insieme a una vitalità e a
una forza in constante crescita.
Un ringraziamento speciale a Peter Kelder e al suo Editore per lo
straordinario libro I Cinque Tibetani, senza il quale oggi questo lavoro
non avrebbe avuto vita.
6
1. Il Sushumnâ Yoga e i Riti Tibetani
Il Sushumnâ Yoga può essere definito “lo Yoga del
ringiovanimento e del risveglio dell’energia Kundalinî” ed è una
pratica che permette l’apertura del Sushumnâ-nâdî, il più grande
canale di energia vitale del corpo umano, che scorre all’interno della
colonna vertebrale lungo il midollo spinale, e rappresenta la strada
maestra dell’ascesa dell’energia Kundalinî o Shakti.
Il Sushumnâ Yoga risulta un completamento e un approfondimento
del prezioso insegnamento dei famosi Riti Tibetani, descritti nel testo
di Peter Kelder I Cinque Tibetani1, svelando il profondo legame di
questi esercizi con la pratica Yoga del Traya-bandha, che si rivela qui
il naturale complemento della corretta esecuzione dei riti.
Non si conosce l’origine dei Riti Tibetani, in quanto l’antica conoscenza del Tibet, sia in campo medico che spirituale, da millenni è
mantenuta segreta tra le mura dei suoi monasteri.
Allo stesso modo non vi è certezza sull’origine dello Yoga, ovvero
se sia nato in India oppure in Tibet, in quanto è opinione diffusa tra gli
studiosi che un maestro buddhista di nome Milarepa portò lo Yoga dal
Tibet all’India intorno all’XI-XII secolo d.C.2.
Prima dell’invasione cinese sull’altopiano tibetano a 4800 metri sul
livello del mare, vi erano più di 6000 monasteri e dall’inizio dell’Ottocento vi furono numerose spedizioni di ricercatori occidentali
provenienti dall’America, dalla Russia e dalla Francia, che si
inoltrarono in queste inaccessibili terre, alla scoperta dei loro misteri.
1 Peter Kelder, I Cinque Tibetani. Nuova Edizione ampliata, Edizioni Mediterranee, Roma,
2009.
2 Peter Kelder, I Cinque Tibetani, volume 2°. Applicazioni pratiche del manuale di Peter Kelder,
Edizioni Mediterranee, Roma, 2001.
7
Qui si rivelò una cultura molto spirituale, dove più di un quarto
della popolazione maschile studiava in università monastiche
chiamate gonpa. Al ritorno dai loro viaggi questi ricercatori
raccontarono di aver conosciuto uomini che avevano centinaia di anni,
con poteri di telepatia, capaci di camminare sull’acqua e nel fuoco,
dediti alla tecnica del Lung-gom, attraverso la quale, sfruttando il
principio della levitazione, percorrevano lunghissime distanze in
pochissimo tempo fluttuando nell’aria con lunghissimi salti.
Raccontarono di monaci che, grazie a una forma di respiro chiamata
Tummo, che conosceremo nel proseguo del libro, riuscivano a vivere
tra i monti ghiacciati coperti solo di leggeri vestiti di cotone 3.
Il colonnello Bradford nel libro I Cinque Tibetani diceva: “Vi ho
insegnato tutto ciò che è possibile per ora, ma in futuro i Cinque Riti,
nel continuare la loro opera, apriranno la porta verso nuove
conoscenze e nuovi progressi”4.
L’intento del Sushumnâ Yoga è proprio quello di dare una risposta
e un seguito alle parole del colonnello Bradford e il praticante si
accorgerà che i Riti Tibetani si riveleranno l’esercizio più idoneo per
eseguire correttamente il Traya-bandha in movimento.
Si accede così a una nuova e straordinaria conoscenza che ci porta
a inaspettati progressi nel cammino verso la salute e la longevità.
Conosceremo anche il sesto rito considerato il rito per eccellenza,
che non necessita di alcuna forma di astinenza sessuale per essere
praticato efficacemente, prezioso non solo per attivare e accrescere la
vitalità dell’intero organismo, ma anche per nutrire, armonizzare e
completare la sessualità e la sua energia.
Nel Sushumnâ Yoga il desiderio sessuale non è più considerato
come un istinto animale da reprimere e di cui vergognarsi, ma come
strumento meraviglioso di vita, prezioso per far fluire nel corpo
quantità crescenti di energia vitale che non va in alcun modo repressa
o inibita, ma nutrita con amore, gioia e passione, a ogni età,
soprattutto in quelle più avanzate.
3 Ibidem. 4 Peter Kelder, I Cinque Tibetani. Nuova Edizione ampliata, cit.
5 Ibidem.
8
Con questi esercizi sperimenteremo un corpo sempre più forte,
dinamico, leggero, ricco di vitalità e salute.
Prepariamoci allora a un viaggio straordinario tra le pratiche più
antiche e sconosciute alle quali l’uomo abbia mai potuto accedere, per
giungere fino alle soglie, e a volte anche oltre, di quella via maestra
tanto agognata che porta il nome di “Fonte della Giovinezza”.
IL SEGRETO DEI RITI TIBETANI:
REALTÀ O LEGGENDA?
“La conoscenza universale può essere rivelata solo ai nostri
fratelli che hanno affrontato le nostre stesse prove. La verità va
dosata a misura dell’intelletto, dissimulata ai deboli, che
renderebbe pazzi, nascosta ai malvagi, che solo potrebbero
afferrarne qualche fram- mento di cui farebbero arma letale.
Racchiudila nel tuo cuore, e che essa parli attraverso le tue opere.
La scienza sarà la tua forza; la fede la tua spada; e il silenzio la
tua corazza impenetrabile”.
ERMETE TRISMEGISTO
La Fonte della Giovinezza esiste davvero o è solo leggenda?
Il mio cammino alla scoperta degli antichi Riti Tibetani incominciò
molti anni fa quando mi trovai a leggere il libro I Cinque Tibetani di
Peter Kelder; vi si narra la storia di un ufficiale inglese, il colonnello
Bradford, che sfida le lande remote e misteriose dell’Himalaya per
scoprire il segreto di tutti i tempi: la miracolosa “Fonte della
Giovinezza”.
Questo piacevole insegnamento propone cinque facili esercizi, più
un sesto un po’ misterioso che, se praticati ogni giorno, promettono di
donare una vitalità così elevata da ringiovanire il corpo.
Già dai primi capitoli il testo riuscì a suscitare in me molta curiosità; dalle sue pagine trasparivano entusiasmo, gioia, passione per la vita
e per l’energia che la nutre.
Incominciai a praticare gli esercizi con metodo e determinazione
per molti mesi, e questo mi portò a sperimentare importanti benefici,
ma non così sorprendenti come il libro riportava nelle sue
innumerevoli testimonianze.
Certo il mio corpo era più tonico e vitale, ma questo risultato si
ottiene anche con molte altre attività fisiche, se praticate
quotidianamente con perseveranza.
9
Dopo i primi sei-sette mesi di pratica, la mia vitalità, in costante
ascesa, cessò di crescere e si stabilizzò.
Incominciai a leggere e rileggere con più attenzione ogni passaggio
del testo di Peter Kelder, alla ricerca di un mio eventuale errore
nell’esecuzione, e con grande stupore mi accorsi che esso non
riportava affatto un metodo pratico e completo di ringiovanimento,
piuttosto preziose indicazioni, utili per chi vuole intraprendere un
cammino di ricerca.
Come accade in moltissimi testi antichi e sapienziali, anche qui la
via maestra per giungere alla conoscenza viene celata, lasciando
trasparire soltanto alcune tracce preziose, attraverso le quali solo chi è
veramente motivato e spinto da una profonda e autentica aspirazione
può arrivare alla meta promessa.
Molti libri non rivelano con chiarezza gli insegnamenti di verità,
ma si esprimono in forma di metafore, allegorie e simboli: solo colui
che è disposto a ricercare in sé la via è meritevole di ricevere
l’illuminato insegnamento.
La passione del ricercatore nasconde in sé la consapevolezza che
quanto si conosce e si apprende dal verbo di un insegnamento non è
mai sufficiente a dare una visione autentica della realtà.
I Riti Tibetani, come una bussola, indicano la direzione verso cui il
praticante deve condursi per scoprire il sentiero che saprà portarlo alla
meta della salute, della vitalità e della longevità.
Colui che è disposto a praticare con costanza e metodo l’insegnamento, capace di abbandonare ogni certezza e di ascoltare i più sottili
segnali che il corpo e la mente intuitiva gli trasmettono, riesce a
cogliere quel magico filo sottile e quasi invisibile che premurosamente
lo guida a ogni passo lungo il sentiero della conoscenza.
Fu così che leggendo e rileggendo, praticando e ascoltando un
corpo sempre più vitale e sensibile, accadde che nella quiete della
mente incominciò a svelarsi dinanzi a me un cammino inviolato,
inaspettato e misterioso.
Ogni giorno nuove percezioni arrivavano a indicarmi la via da
seguire, e le parti buie lentamente si rischiaravano in me, svelando la
magia del loro mistero.
Ogni verità rivelata da un insegnamento altro non è che un aiuto e
uno stimolo a cercare in noi stessi ciò a cui aspiriamo perché, come da
sempre ci insegnano i più grandi saggi, tutta la nostra vita è emanazione della Consapevolezza divina che vive nel profondo di noi stessi.
10
Solo a chi è disposto a cercare in sé la verità rivelata l’Essenza
divina del Creato svela i suoi Tesori; questo è il più grande segreto
della Vita, ed è anche la chiave di lettura di tutti i testi sapienziali e
iniziatici.
Fu così che dopo più di dieci anni di ricerche molto approfondite e
di pratica costante e continua, dietro la guida di risultati sempre più
sorprendenti che trasformavano il mio corpo migliorandone l’aspetto e
la salute, nacque il Sushumnâ Yoga: metodo di sviluppo e
completamento dei Riti Tibetani.
All’inizio della pratica del Sushumnâ Yoga ognuno è invitato a
scrivere su un foglio, in modo molto dettagliato, tutti i suoi disturbi
fisici, per poter verificare come ogni malessere immancabilmente
manifesti segni forti e tangibili di miglioramento.
Al termine di ogni settimana, prenderemo visione del nostro
“foglio della salute” e verificheremo i miglioramenti avvenuti.
Tra gli innumerevoli benefici del Sushumnâ Yoga, che interessano
tutta la fisiologia dell’organismo, è senz’altro degno di nota il calo del
peso corporeo in chi è in sovrappeso; questo è dovuto non a una dieta,
ma semplicemente all’innalzamento del metabolismo, poiché ogni
pratica energetica di una certa efficacia eleva la capacità
dell’organismo di trasformare il cibo in energia.
Chi soffre poi di fame nervosa la vedrà scomparire in poco tempo,
perché la pratica del Sushumnâ Yoga, oltre a risvegliare la “corrente
ascendente” (Kundalinî), determina anche l’attivazione del centro
Hara, in quanto la respirazione addominale che conosceremo, insieme
alle contrazioni bandha, determina l’attivazione di questo
importantissimo centro vitale situato nella regione ombelicale.
Il primo sintomo che avvertiamo dell’attivazione dell’Hara è
proprio la scomparsa della fame in eccesso, in chi ne soffre.
Nel libro viene presentata anche una serie di esercizi preziosi per
innalzare la vitalità dell’organismo. Sarà un viaggio entusiasmante che
renderà il nostro corpo sempre più dinamico, forte, flessibile e
giovane, dove scopriremo che la crescita dell’energia vitale non è solo
sinonimo di salute e miglioramento dell’aspetto fisico, ma anche di
maggiore energia a disposizione per creare e migliorare la nostra vita,
in ogni suo aspetto.
11
IL PROCESSO DEL RINGIOVANIMENTO: I CHAKRA
Figura 1
“La prima cosa importante che mi fu insegnata al mio ingresso nel
monastero – disse il colonnello – fu questa: il corpo ha sette centri
energetici che potremmo chiamare vortici. Gli Indù li chiamano
chakra. Sono campi elettrici potenti, invisibili a occhio nudo,
tuttavia assolutamente reali. Ciascuno dei sette vortici ha il
proprio centro in una delle sette ghiandole a secrezione interna del
sistema endocrino corporeo e ha la funzione di stimolare la
produzione ormonale della ghiandola. Sono gli ormoni a regolare
tutte le funzioni
del
corpo, incluso il
processo
dell’invecchiamento”.
PETER KELDER
12
Le più antiche tradizioni mistiche orientali riconoscono che il
corpo umano è disseminato di vortici (o chakra) attraverso i quali
l’energia vitale fluisce al suo interno. Di questi centri energetici, ne
esistono sette di primaria importanza, situati proprio sulle ghiandole
endocrine. Tutte le funzioni corporee vengono regolate dagli ormoni
secreti da tali ghiandole che, immessi direttamente nel sangue,
raggiungono i vari organi.
Gli ormoni sono dei trasmettitori di informazioni, o messaggeri
chimici, che hanno il potere di agire su ogni singola cellula del corpo,
la quale, dotata di speciali recettori posti come antenne sulla sua
membrana cellulare, riceve così le informazioni ed esegue i comandi.
Le cellule, e quindi gli organi, esaltano, riducono o modificano in
questo modo tutte le loro funzioni.
Secondo i taoisti, i chakra non appartengono al corpo fisico, ma al
corpo energetico, o corpo astrale, e le ghiandole endocrine sono
ritenute delle loro propaggini “cristallizzate”.
“Recenti ricerche scientifiche testimonierebbero che lo stesso
processo dell’invecchiamento è regolato dall’attività ormonale, in
quanto sembrerebbe che la ghiandola pituitaria inizi a produrre un
‘ormone della morte’ già al principio della pubertà, che
interferirebbe con la capacità delle cellule di utilizzare ormoni
benefici come quello della crescita. Questo genererebbe un
processo di deterioramento, invecchiamento e morte dei nostri
organi”.
PETER KELDER
Il primo centro energetico, il Mûlâdhâra chakra, è situato nella
parte inferiore del tronco, nella regione perineale, tra il sesso e l’ano,
sulle ghiandole riproduttive.
Il secondo, lo Svâdhisthâna chakra, sul pancreas, nella regione
addominale.
13
Fig. 2
Il terzo, il Manipûra chakra, è localizzato sulle ghiandole surrenali
nella regione del plesso solare, tra lo sterno e l’ombelico.
Il quarto, l’Anâhata chakra, sulla ghiandola del timo, situata nel
petto, nella regione del cuore.
Il quinto, il Vishuddhi chakra, è posto sulla ghiandola tiroide che si
trova nel collo, nella regione della gola.
Il sesto e il settimo vortice, rispettivamente l’Ajnâ chakra situato
fra le sopracciglia e lo Sahasrâra chakra sulla sommità del capo,
nutrono entrambi sia la ghiandola pituitaria, posta alla base anteriore
del cervello, che coordina anche il funzionamento di tutte le altre
ghiandole endocrine, che la ghiandola pineale, alla base posteriore del
cervello.
14
“In un corpo sano, ciascuno di questi vortici ruota a grande
velocità, permettendo all’energia vitale detta anche ‘Prana’ o
‘energia eterica’ di scorrere verso l’alto attraverso il sistema
endocrino. Ma se uno di questi vortici rallenta, il flusso di energia
vitale ne risulta inibito o bloccato, ecco, è così che potremmo
definire l’invecchiamento e un cattivo stato di salute.
[...] Il modo più rapido per riacquistare giovinezza , salute e vitalità è quello di avviare il normale movimento rotatorio dei centri.
Un risultato che si può ottenere con cinque semplici esercizi [...]”.
PETER KELDER
Se i riti tendono ad armonizzare lo squilibrio dei sette centri
energetici del corpo, come afferma Peter Kelder, è possibile che
questo influenzi positivamente l’equilibrio ormonale.
Nei capitoli seguenti, vedremo come questi esercizi agiscono sulla
dinamica energetica dei chakra.
Abbiamo visto che, prima di iniziare a praticare i riti, è importante
annotarsi su un foglio di carta un elenco dettagliato di tutte le
patologie e i disturbi fisici che affliggono il nostro corpo; questo
perché il processo di ringiovanimento dei Tibetani è innanzitutto una
dinamica di guarigione così naturale e armonica che, una volta che il
nostro organismo si sarà spostato su livelli più elevati di vitalità, ci
sentiremo come se non fossimo mai stati ammalati.
Già dal primo mese, anche se eseguiamo ancora poche ripetizioni
al giorno per ciascun rito, noteremo un continuo miglioramento della
nostra salute e un aumento progressivo della vitalità.
Mese dopo mese, con la pratica dei riti, consultando l’elenco dei
nostri disturbi fisici, potremo notare come essi saranno oggetto di un
continuo e inarrestabile miglioramento, e questo ci stimolerà a non
abbandonare la pratica, soprattutto nei momenti in cui ci sentiremo
stanchi e poco invogliati a eseguire gli esercizi.
Potremo avere molti dubbi sul fatto che sia o meno possibile
ringiovanire il corpo, ma nella pratica costante dei riti ci apparirà
evidente come la nostra energia vitale continuerà inesorabilmente a
crescere con il trascorrere del tempo. Il metabolismo si eleverà sempre
più, riducendo la massa grassa del corpo. La muscolatura diverrà più
tonica e ci sentiremo sempre più vitali, dinamici, carichi di energia e
di voglia di fare e le ore di sonno necessarie per riposare inizieranno a
ridursi.
15
Ogni organismo spontaneamente tende a guarire se stesso da ogni
male e la pratica dei riti, innalzando il livello di energia vitale, aiuta il
processo di autoguarigione.
I disturbi del corpo incominceranno lentamente a svanire,
lasciando il posto a una crescente sensazione di leggerezza fisica, lo
stato d’animo migliorerà sensibilmente ogni giorno di più e,
inevitabilmente, questo benessere si rifletterà anche sul nostro aspetto
esteriore.
I QUATTRO LIVELLI DI ENERGIA
La dinamica energetica del Sushumnâ Yoga si sviluppa su quattro
livelli distinti di energia vitale, ai quali il corpo accede in modo
graduale e progressivo con la pratica quotidiana di questa antica
disciplina.
Il primo livello si raggiunge eseguendo i movimenti corretti dei
primi cinque riti, insieme alla dinamica del respiro.
Il secondo livello di energia introduce nella pratica la dinamica
energetica del Traya-bandha: le tre contrazioni fondamentali dello
Yoga, indispensabili per attivare e guidare l’energia vitale all’interno
del corpo.
Il terzo livello di energia si raggiunge con la pratica del “sesto
rito”, il più importante tra gli esercizi tibetani, capace di attivare
energeticamente il Sushumnâ-nâdî, il più grande canale di energia
vitale del corpo umano, che rappresenta la strada maestra della
Kundalinî o Shakti.
Si sperimenta qui il ruolo prioritario dell’energia Kundalinî per
innalzare la vitalità dell’organismo. Come vedremo, l’esecuzione del
sesto rito non implica affatto una rinuncia a un’appagante vita sessuale
ma, al contrario, consente di esaltarla riscoprendo una sessualità più
completa, gratificante e fortemente rivitalizzante per il corpo fisico, a
ogni età, svelandola come fonte inesauribile di salute, ma anche di
piacere, di vitalità e di giovinezza.
Accediamo al quarto livello per mezzo della dinamica di
accumulo energetico: è questa la fase del ringiovanimento vero e
proprio.
A questo stadio la pratica dei Riti Tibetani permette la liberazione
dei blocchi emotivi che inibiscono il naturale fluire dell’energia vitale
e la vitalità del corpo si accresce inarrestabile ogni giorno di più.
16
2. Il primo livello di energia
I CINQUE RITI TIBETANI
Il praticante accede a questo primo livello di energia attraverso
l’esecuzione corretta dei movimenti dei primi Cinque Riti Tibetani,
insieme alla dinamica del respiro.
Per chi accusa dolori articolari e alla schiena, è bene sentire prima
il parere di un medico specialista sull’opportunità di eseguire questi
esercizi.
Il primo rito
Fig.3
“Il primo rito è semplice. Viene
pratscopo
allo
icato esplicito di
accelerare la velocità dei vortici. Giocando i bambini lo fanno di
continuo. Tutto ciò che devi fare è stare in piedi eretto e allargare
le braccia in modo da portarle orizzontali al pavimento. Adesso
ruota su te stesso finché non avverti un leggero capogiro. È molto
importante che ruoti da sinistra verso destra”.
17
PETER KELDER
Ruotiamo e non appena incominciamo a provare un leggero giramento di testa, fermiamoci, uniamo le mani a circa venti centimetri
dal viso e fissiamo con lo sguardo i pollici. Immediatamente il senso
di vertigine si placherà.
Fig. 4
È questo l’esercizio praticato dai Maulawiyah, o più comunemente
conosciuti come i Dervisci rotanti, e serve ad accelerare la velocità di
rotazione dei chakra.
“Il volteggio dei Dervisci ha alcuni effetti molto benefici e alcuni
devastanti. La loro rotazione eccessiva produce un’iperstimolazione dei vortici tale da sfinirli. Ciò produce prima l’effetto
di accelerare il flusso di energia vitale, poi di bloccarla”.
PETER KELDER
Il secondo rito
“Dopo il primo rito – continuò il colonnello – ce n’è un secondo
che stimola ulteriormente i sette vortici [...]. È meglio stendersi su
un tappeto spesso o su una superficie imbottita.
[...] D opo esserti
steso sul dorso, distendi completamente le braccia lungo i fianchi e
appoggia i palmi delle mani sul pavimento tenendo le dita unite.
18
Poi solleva il capo da terra ripiegando il mento sul petto. Nel far
ciò, solleva le gambe con le ginocchia tese, portandole in posizione
verticale. Se riesci, estendi le gambe all’indietro verso la testa, ma
senza piegare le ginocchia.
Fig. 5
Fig. 6
Poi, lentamente riporta a terra sia il capo che le gambe, tenendo le
ginocchia tese. Rilassa tutti i muscoli, poi ripeti il rito.
O gni volta
che lo esegui, instaura un ritmo respiratorio: inspira
profondamente quando sollevi le gambe e il capo, espira
completamente quando li abbassi.
[...] Se non riesci a tendere perfettamente le ginocchia, piegale
quanto ti è necessario. Continuando a eseguire il rito, riuscirai a
tenderle al massimo”.
PETER KELDER
Innanzitutto, prima di incominciare l’esercizio, è importante fare
una profonda inspirazione e una profonda espirazione: mentre espiriamo facciamo aderire bene tutta la schiena al pavimento, soprattutto la
curva lombare, in modo che quando inspiriamo siano i muscoli
addominali a far salire le gambe, senza che i muscoli della schiena
19
intervenga- no nello sforzo. Se facendo salire le gambe percepiamo
dolore alla schiena, è bene eseguire l’esercizio a gambe piegate,
almeno fino a quando il dolore sarà cessato.
Mentre solleviamo il capo e le gambe, l’inspirazione deve essere
completa, tale da riempire completamente i polmoni d’aria. Restiamo
qualche istante in apnea, con i polmoni pieni (apnea piena) mentre iniziamo a fare scendere le gambe dolcemente, quindi espiriamo,
lasciando scendere insieme le gambe e il capo a terra, e rilassiamo
completamente il corpo, anche se solo per qualche secondo, mentre
permettiamo che i polmoni si svuotino completamente dell’aria. È in
questa fase di abbandono che l’energia attivata dall’esercizio si
distribuisce uniformemente nel corpo. Con la pratica l’organismo
imparerà a rilassarsi sempre più profondamente in questi brevi istanti
nei quali terminiamo di espirare e ci prepariamo a inspirare
nuovamente per ripetere l’esercizio.
Tra un rito e l’atro, come vedremo, sono sufficienti pochi secondi
per recuperare le forze, giusto il tempo di qualche respiro, in quanto
ogni rito deve essere eseguito fino a quando non sentiamo sopraggiungere la fatica.
Il terzo rito
“Il terzo rito deve essere praticato immediatamente dopo il
secondo. [...] Come nel secondo rito è opportuno instaurare uno
schema ritmico di respirazione. Inspira profondamente quando
inarchi la spina dorsale, espira quando ritorni in posizione eretta.
[...] Il respiro profondo è altamente benefico, quindi introduci nei
pol- moni quanta più aria è possibile”.
PETER KELDER
Dobbiamo inginocchiarci sul pavimento tenendo il corpo ben
eretto, con le dita dei piedi puntate al suolo e le mani appoggiate sui
muscoli posteriori delle cosce.
Dopo aver espirato profondamente, restiamo un brevissimo istante
in apnea (apnea vuota), incliniamo il capo e il collo in avanti,
ripiegando così il mento sul petto, fino a sentire tirare i tendini dietro
il collo.
20
Fig. 7
Quindi, inspirando profondamente, riportiamo dolcemente il capo
all’indietro, inarcando contemporaneamente all’indietro tutta la spina
dorsale, dal bacino fino al collo. Ci sosteniamo nel movimento
afferrando la parte posteriore delle cosce.
Al termine dell’inspirazione, restiamo qualche istante in apnea
(piena) e poi iniziamo a espirare ritornando lentamente in posizione
eretta, rilassando tutti i muscoli. Una volta svuotati completamente i
polmoni, ricominciamo nuovamente il rito, restando un breve istante
in apnea (vuota) e ripiegando il capo in avanti, dopodiché, inspirando,
ci inarchiamo all’indietro ripetendo l’esercizio.
Lo Yoga insegna che la schiena prima si allunga verso l’alto e poi
si inarca all’indietro, in modo che le vertebre si allontanino un po’
l’una dall’altra e non si comprimano tra di loro, mentre ci inarchiamo.
Anche qui, mentre espiriamo, cerchiamo di rilassare
completamente il corpo, anche se solo per brevissimi istanti.
Il quarto rito
“[...] Siedi a terra con le gambe distese davanti a te e divaricate di
circa trenta centimetri. Tenendo il busto eretto, appoggia i palmi
delle mani sul pavimento di fianco ai glutei”.
PETER KELDER13
Seduti per terra, dopo aver espirato profondamente, restiamo un
istante in apnea (vuota) e nel contempo pieghiamo il mento in avanti
21
sul petto fin dove ci è possibile, quindi raddrizziamo il collo e,
inspirando, iniziamo a sollevare il corpo in modo che le ginocchia si
pieghino e le braccia rimangano tese.
Fig. 8
Il busto dovrebbe formare con la parte superiore delle gambe una
linea retta, parallela al pavimento. Il capo si abbandona leggermente
all’indietro. Poi tendiamo ogni muscolo del corpo restando qualche
breve istante in apnea (piena). Espirando, torniamo alla posizione
iniziale seduta con la schiena eretta, rilassando completamente tutti i
muscoli.
“La respirazione è importante anche per questo rito. Inspira
profondamente quando sollevi il corpo. Trattieni il respiro quando
tendi i muscoli. Espira completamente quando scendi a terra”.
PETER KELDER
Se il bacino sale poco, probabilmente è perché l’articolazione delle
spalle non ci consente un movimento ampio. Nella fase di
inspirazione, mentre facciamo salire il bacino, concentriamoci sulle
spalle rilassandole il più possibile, in modo da permettere loro un
movimento sempre più completo.
22
La contrazione al termine dell’inspirazione serve a distribuire uniformemente l’energia su tutto il corpo. Al termine di ogni espirazione,
quando ci troviamo seduti, ricordiamoci sempre di abbandonare completamente il corpo.
Il quinto rito
“Inizia con le braccia perpendicolari al suolo e la schiena
inarcata, cosicché il corpo ne risulti incurvato. A questo punto
inclina dolcemente il capo all’indietro il più possibile. Poi piegati
all’altezza dei fianchi e solleva il corpo fino a fargli formare una V
capovolta. [...] Contemporaneamente ripiega il mento sul petto,
spingi i talloni verso terra, mantenendo le gambe perfettamente
tese e contrai tutti i muscoli restando in apnea (piena). Quindi
espirando scendi alla posizione di partenza.
[...] Quando sarai diventato abile lascia cadere il corpo dalla
posizione sollevata fino a fargli quasi toccare il pavimento senza
peraltro entrarne veramente a contatto. Tendi i muscoli per un
attimo sia nel punto di elevazione che in quello di abbassamento.
Segui lo stesso schema respiratorio degli altri riti, inspira
profondamente quando sollevi il corpo. Espira completamente
quando lo abbassi”.
PETER KELDER
Fig. 9
Restando appoggiati sulle braccia tese, rilassiamo completamente il
corpo mentre espiriamo. Quindi, inspirando, facciamo nuovamente
salire il bacino verso l’alto.
Al termine del rito ci rilassiamo completamente supini.
Impariamo a percepire come ogni rito attiva in noi un’energia
diver- sa che contribuisce a incrementare la nostra vitalità e la nostra
salute.
23
LE MODALITÀ DI ESECUZIONE
“Non devi in nessun caso affaticarti. Sarebbe controproducente.
Esercitati quando ti è possibile e aumenta gradatamente”.
PETER KELDER
Come indicato nel libro di Peter Kelder, ogni rito va eseguito la
prima settimana solo tre volte, la seconda settimana cinque volte, la
terza sette, fino ad arrivare al numero massimo di ventuno ripetizioni.
Bisogna eseguire i riti senza affaticarsi ed è per questo motivo che
si aumenta il numero delle ripetizioni con molta gradualità, perché lo
sforzo inibisce la dinamica energetica attivata dai riti.
Tale programma è solo indicativo: la regola generale è comunque
quella di eseguire ciascun rito fino a quando non incominciamo ad
avvertire i primi sintomi di affaticamento. Questa ci permette di
rendere la pratica quotidiana degli esercizi molto piacevole, stimolante
e rigenerante, perché ogni volta che ci apprestiamo a eseguire i riti
sappiamo bene che stiamo per impegnarci in una sequenza di
movimenti che in alcun modo ci affaticheranno, ma al contrario
faranno immediatamente aumentare la nostra vitalità e il nostro
benessere.
Il numero massimo di ripetizioni consigliato, per ciascun rito, è di
ventuno volte.
Anche se, dopo molti mesi di pratica quotidiana, non avremo problemi a eseguire le ventuno ripetizioni per ogni rito, il mio consiglio è
comunque quello di attenersi alla ferrea regola di non affaticarsi mai.
Ripetiamo ogni rito per il numero di volte che riusciamo a eseguirlo senza avvertire sforzo. Non appena iniziamo a sentire i primi sintomi di affaticamento, passiamo a eseguire il rito successivo. Questo
farà sì che la pratica sarà sempre molto piacevole, stimolante e rigenerante ogni volta che la eseguiremo.
Accade così che, in certi giorni, riusciamo a fare più ripetizioni per
ogni rito che in altri, secondo il livello energetico del corpo in quel
momento, e ogni rito può essere ripetuto per un numero di volte
differente dagli altri, anche se, con il tempo, il livello di affaticamento tende a uniformarsi molto. Succederà che in certi giorni la nostra
vitalità sarà così elevata, che arriveremo a eseguire ventuno ripetizioni per ogni rito senza fare alcuna fatica; ma questo non dovrà in alcun
modo rappresentare la regola, in quanto il livello energetico del corpo
a volte raggiunge picchi molto elevati, per poi scendere su livelli
inferiori. Indipendentemente dal numero di ripetizioni che eseguiamo
24
per ogni rito, se impariamo a fermarci non appena avvertiamo i primi
sintomi di affaticamento, assisteremo a un continuo innalzamento del
livello della nostra vitalità fisica.
Gli esercizi si possono eseguire in qualunque momento della
giornata, ma la massima stimolazione energetica si raggiunge
praticandoli due volte al giorno: la prima volta nel corso della
mattinata e la seconda durante il pomeriggio-sera.
“I riti si possono praticare di sera o di mattina, in qualunque
momento risulti opportuno. Io li eseguo sia al mattino che la sera,
ma non consiglierei mai a un principiante una stimolazione così
potente. Dopo aver praticato i riti per circa quattro mesi, puoi iniziare a eseguire il numero completo al mattino, e la sera ripetere
tre volte ciascuno dei riti. Aumenta a poco a poco questi ultimi
come hai fatto precedentemente fino a giungere al numero
prescritto di ventuno. Non è comunque necessario effettuare i riti
più di ventun volte [...]”.
PETER KELDER17
La capacità del praticante deve essere quella di percepire un equilibrio armonico nell’esecuzione degli esercizi, consapevole che sta
lavorando per “attivare” canali energetici. La tonificazione del corpo
sarà una piacevole conseguenza dell’accrescersi della sua vitalità, che
potrà impiegare svolgendo un’attività fisica nel corso della giornata,
con un giusto equilibrio tra attività aerobica e anaerobica. Lo svolgimento dei riti farà sì che ogni allenamento che eseguirà al di fuori dei
riti si dimostri incredibilmente efficace, perché avrà i canali energetici che faranno fluire molta più energia nell’organismo.
LA DINAMICA DI CRESCITA ENERGETICA
Solo praticando i riti tutti i giorni, possiamo attivare nel corpo una
dinamica energetica in costante crescita.
Dobbiamo lasciare che in noi aumenti, ogni giorno di più, la passione per l’innalzamento della nostra energia fisica che, oltre a donarci un corpo sempre più in salute, leggero, dinamico e vitale, ci fornisce l’energia e la forza per creare la vita che più desideriamo, a qualunque età. Possiamo associare la pratica dei riti a una ruota molto
25
pesante da far girare. Attraverso gli esercizi quotidiani, questa ruota
incomincia a ruotare, incrementando ogni giorno di più la sua velocità
e con essa l’energia che fluisce in noi. Il peso della ruota fa sì che tra
una pratica dei riti e l’altra, essa non perda velocità, e ogni volta che
pratichiamo gli esercizi diamo a essa un’ulteriore spinta,
aumentandone così la rotazione. Solo eseguendo i riti quotidianamente
possiamo incrementarne la velocità che, in senso figurato, rappresenta
la velocità di rotazione dei nostri chakra. Il corpo accetta di attivare i
suoi canali energetici solo quando ogni giorno forniamo a esso una
crescente quantità di energia vitale attraverso i Riti Tibetani.
Questa dinamica accomuna un po’ tutte le pratiche che riguardano il corpo e la sua vitalità. Anche chi svolge una normale attività
fisica, aerobica o anaerobica, trae benefici e spesso si innamora di essa
solo quando la pratica è quotidiana, costante e regolare. Anche la
meditazione, che interessa i nostri corpi più sottili e spirituali, svela le
sue infinite potenzialità solo con una pratica continua, senza
interruzioni.
LE PAUSE TRA UN RITO E L’ALTRO
“Occorrono più o meno venti minuti per farli tutti e cinque. E una
persona fisicamente idonea può effettuarli in dieci minuti o anche
meno”.
PETER KELDER
Riuscirete a effettuare i riti in pochi minuti, perché eseguendo gli
esercizi senza fare sforzo, la pausa tra un rito e l’altro diventa molto
breve: il tempo di qualche respiro appena. Pause troppo lunghe
generano un calo del livello energetico e sono sintomatiche di un
eccessivo sforzo.
“I riti funzionano dandosi la mano l’un l’altro”. PETER KELDER
26
3. Il secondo livello di energia
IL SEGRETO SVELATO DEI RITI TIBETANI:
IL TRAYA-BANDHA
Dopo aver acquisito una buona padronanza con i movimenti e il
respiro, il praticante è pronto per accedere al secondo livello di
energia, dove inizia la pratica del Sushumnâ Yoga, capace di donare
vitalità, salute e longevità. La porta di accesso a questo livello
superiore di energia è la dinamica del Traya-bandha, detto anche Triabandha 21, che è l’insieme delle tre contrazioni fondamentali dello
Yoga: il Mûla-bandha, l’Uddîyâna-bandha e il Jâlandhara-bandha.
Tali contrazioni muscolari hanno la funzione di attivare e guidare
l’energia vitale lungo specifici canali energetici del corpo che, se
praticate durante i riti, ne accrescono fortemente il potere
rivitalizzante.
Il maestro indiano di Yoga B.K.S. Iyengar descrive i bandha come
gli interruttori di un circuito elettrico.
Con la pratica delle contrazioni bandha, incominciamo a scoprire il
perché questi esercizi hanno il potere di innalzare l’energia vitale dell’organismo.
I Riti Tibetani sono esercizi Yoga che permettono l’esecuzione del
Traya-bandha sfruttando l’energia dinamica del movimento, mentre il
sesto rito è il Traya-bandha per antonomasia, e fa salire l’energia
vitale che si condensa nel bacino.
Come vedremo, questi esercizi consentono all’energia vitale di
venire sospinta lungo il canale energetico che scorre all’interno della
colonna vertebrale, che l’antica tradizione indiana chiama con il nome
di Sushumnâ-nâdî.
21
Philippe de Méric, Yoga per tutti, Garzanti, Milano, 1971.
27
Esaminiamo ora in dettaglio le tre contrazioni, prima di conoscere
come vengono impiegate nella pratica dei riti.
Mûla-bandha
La parola Mûla significa “radice, fonte, causa, base”. Il Mûla-bandha interessa la base del corpo, o basamento pelvico, in particolare la
regione perineale che si trova tra l’ano e i genitali. Questa contrazione
impegna il muscolo pubococcigeo (o muscolo PC) situato tra l’ano e
gli organi genitali. In prossimità del perineo è localizzato anche il
Mûlâdhâra chakra (o chakra della radice, o primo vortice) canale di
entrata dell’energia vitale.
La contrazione del muscolo PC stimola e attiva il chakra della radice, creando una corrente energetica ascensionale che sospinge
l’energia vitale fino alla sommità del capo, lungo il canale energetico
che la tradizione Yoga chiama Sushumnâ-nâdî. Affinché questo
bandha agisca efficacemente, come consiglia anche il maestro Yoga
Krishnamacharya, occorre che la contrazione del muscolo PC avvenga
a polmoni vuoti.
Nell’esecuzione dei riti faremo questa contrazione solo quando i
polmoni saranno completamente vuoti, quindi al termine di ogni
espirazione, prima di entrare nell’esercizio inspirando.
Il neurologo viennese Gerhard Eggetsberger, fondatore dell’Istituto
di Biocibernetica Applicata di Vienna, ha scoperto, nel corso di
centinaia di test sull’uomo, che il muscolo pubococcigeo è in grado di
pompare fino al cervello, attraverso il midollo spinale, energia
elettrica effettivamente misurabile.
Eggetsberger, nel corso di una serie di esperimenti incominciati nel
1993 per misurare l’energia sessuale, costatò che questo muscolo, e
soltanto questo, trasmetteva scosse elettriche al cervello attraverso il
midollo spinale. Bastava contrarlo per alcuni secondi e poi rilasciarlo,
ripetendo l’esercizio per alcune volte, avendo sempre l’accortezza di
mantenere la schiena ben dritta 23.
23 Vedi Christian Salvesen, Il sesto tibetano, Edizioni Mediterranee, Roma, 2003.
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“A seguito di un training di quattro settimane, si è potuto constatare nei soggetti testati un miglioramento significativo della
condizione generale psicofisica, specialmente nel caso di difficoltà
nell’apprendimento e nella concentrazione, stati di depressione,
disturbi del sonno e della sfera sessuale”.
GERHARD H. EGGETSBERGER
Vedremo quanto è importante accompagnare l’esecuzione dei riti
alla contrazione del muscolo PC, in quanto essa oltre a stimolare e
attivare il Mûlâdhâra chakra, determina un progressivo rafforzamento
del muscolo pubococcigeo, che acquisisce così una sempre maggior
capacità di sospingere verso l’alto l’energia che fluisce nel corpo
attraverso l’attivazione del chakra.
“Se il muscolo PC è forte, diventa il maggior generatore di
energia dell’uomo, una vera centrale elettrica. [...] Se il muscolo
PC non viene tenuto in esercizio mediante una regolare attività
sessuale, o un allenamento mirato, diventa sempre più debole e si
atrofizza, a quanto sostengono i medici”.
GERHARD H. EGGETSBERGER
L’energia che nutre il corpo fisico e le nostre cellule è quella che
fluisce nell’organismo principalmente dai primi tre vortici inferiori: il
Mûlâdhâra chakra (alla base del bacino fra l’ano e i genitali), lo
Svâdhisthâna chakra (alla base della colonna vertebrale, all’altezza dei
genitali) e il Manipûra chakra (all’altezza dell’ombelico). L’energia
che proviene dai chakra superiori nutre i corpi più sottili e per questo
si dice che essa guidi l’energia che proviene dal basso.
“L’energia fisica sale dal basso e l’energia che scende dall’alto la
guida”.
EZIO CERIANA
Una nota importante riguardo alla contrazione del muscolo PC è
che essa mantiene tonica tutta la muscolatura perineale, sospingendo
verso l’alto l’intero basamento pelvico e mantenendo in tal modo
elastici ed efficienti tutti i tessuti della regione sessuale e anale.
Il muscolo pubococcigeo controlla lo sfintere dell’ano, dell’uretra e
la cavità vaginale nella donna. Un eventuale rilassamento del muscolo
PC porta inevitabilmente a un indebolimento della muscolatura del
pavimento pelvico, facendo perdere elasticità e tonicità agli sfinteri
29
che riducono la loro capacità di chiudersi spontaneamente e di
trattenere l’energia vitale.
I muscoli perineali vengono esercitati e mantenuti tonici naturalmente durante l’attività sessuale, in quanto avviene una contrazione
ritmica e continua per tutta la durata del rapporto. Con l’avanzare
dell’età sovente l’attività sessuale si riduce e inevitabilmente la
muscolatura del basamento pelvico si indebolisce. Uno degli effetti
più evidenti di questo processo è l’incontinenza, tipica delle persone
anziane.
Come vedremo, con la pratica giornaliera dei riti si esercita moltissimo questo importantissimo gruppo muscolare perineale, rendendolo
sempre più forte, tonico e capace di attivare l’energia del primo vortice e sospingerla poi verso l’alto.
Uddîyâna-bandha
L’Uddîyâna-bandha insieme al Mûla-bandha determina una
fortissima stimolazione dei primi tre chakra che, insieme al
movimento dinamico dei cinque riti, genera un accumulo di energia
vitale nel bacino.
Uddîyâna vuol dire “prendere il volo”. Questa contrazione bandha
agisce come una pompa aspirante che fa salire verso l’alto, fino alla
sommità del capo, l’energia vitale che si condensa nel bacino.
Vedremo meglio in seguito la sua dinamica completa, per ora è
sufficiente accennare che per attivare questo bandha occorre durante
l’espirazione svuotare bene i polmoni, facendo rientrare l’addome al
suo interno, che assume così una forma concava, e successivamente,
inspirare molto profondamente. La dilatazione dell’addome che
consegue all’inspirazione genera un effetto “pompa aspirante” che
risucchia verso l’alto, lungo il canale Sushumnâ-nâdî, l’energia vitale
accumulata nel bacino.
È importante quindi che, durante l’esecuzione dei riti, la respirazione sia sempre addominale, generando così questa dinamica energetica a ogni respiro. Quando espiriamo (l’aria fuoriesce) la pancia rientra. Quando inspiriamo (l’aria entra) e la pancia si dilata.
Una buona respirazione addominale attiva questa dinamica “aspirante” dell’addome che, a ogni respiro, “risucchia” verso l’alto l’energia vitale che si accumula nella regione sottostante.
La respirazione addominale stimola e attiva anche il Manipûra
chakra (o terzo vortice, all’altezza dell’ombelico) che alimenta il
centro Hara, il centro energetico più importante del corpo umano.
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Jâlandhara-bandha
Il nome significa “contrazione della rete”, la rete delle nâdî o canali energetici che dal basso giungono fino al collo e attraverso cui
scorre la forza energetica che ha origine nella regione pelvica del
basso ventre. Secondo gli insegnamenti yogici, queste correnti di
energia fluiscono lungo veri e propri canali, detti nâdî, che sono tre:
Idâ per l’energia femminile e Pingalâ per quella maschile, che si
intrecciano intorno al terzo canale, Sushumnâ, che corre all’interno
della colonna vertebrale e arriva fino alla sommità del capo.
“Idâ e Pingalâ rappresentano le due polarità energetiche; la
prima è l’energia di tipo lunare, fredda, intuitiva, femminile; la
seconda è l’energia solare, calda, razionale, maschile”.
ALBERTO STIPO 26
Il Jâlandhara-bandha consiste nella pressione del mento contro la
gola e più che una contrazione muscolare è una chiusura della gola
che serve a proteggere la testa da un flusso eccessivo di energia.
L’esecuzione dei riti, insieme alle contrazioni bandha (Mûla-bandha e Uddîyâna-bandha), sospinge l’energia vitale dalla zona perineale fino alla sommità del capo. Il Jâlandhara-bandha impedisce a quest’energia che sale lungo il canale Sushumnâ di fluire in modo eccessivamente violento nelle zone delicate della testa, dove può generare
anche dolori e problemi alla vista, innalzando la pressione oculare.
Lo Yoga ha prestato sempre molta attenzione a questa chiusura:
non a caso essa è presente in ogni rito, a eccezione del primo, e la troveremo anche nel sesto rito, anche se qui verrà eseguita in modo differente; non portando il mento verso lo sterno, bensì alzando le spalle
e facendo scendere appena un po’ il mento, in modo da mantenere la
schiena dritta. Lo vedremo in dettaglio quando approfondiremo il
sesto rito.
26 Alberto Stipo, Il libro completo delle tecniche Yoga, Magnanelli, Torino, 2002.
31
LA RESPIRAZIONE ADDOMINALE
DEL SUSHUMNÂ YOGA
Abbiamo visto nel Sushumnâ Yoga che, nell’esecuzione dei riti, la
respirazione deve essere assolutamente addominale: a ogni inspirazione l’addome si espande leggermente all’infuori e a ogni espirazione
l’addome rientra il più possibile all’interno, facendo una piccola
caverna.
Fig. 10
Questa respirazione è molto importante perché il movimento dell’addome, a ogni respiro, attiva l’Uddîyâna-bandha “aspirando” verso
l’alto l’energia vitale che si condensa nella parte inferiore del bacino,
e nel contempo energizza fortemente il centro Hara, o plesso solare,
importante per la vitalità dell’intero organismo.
Occorre esercitarsi con la respirazione addominale, affinché essa
avvenga in modo spontaneo durante la pratica dei riti.
Acquisendo abilità possiamo incominciare a spingere con forza la
fase finale dell’espirazione, in modo che l’ultimo 20% dell’aria che
resta nei polmoni fuoriesca rapidamente, lasciando così rientrare più
32
velocemente l’addome verso il suo interno. Questo ci permette di
svuotare completamente i polmoni dell’aria residua: condizione
necessaria per rendere efficace la contrazione del muscolo
pubococcigeo, che riesce a spingere l’energia fino alla sommità del
capo, solo quando i polmoni sono completamente vuoti.
Sarà questo il nostro modo di respirare durante l’esecuzione dei
riti; lunghe inspirazioni e lunghe espirazioni addominali, che
termineranno, queste ultime, con una forzatura nell’esalazione
dell’aria che svuoterà completamente i polmoni, facendo rientrare
rapidamente l’addome verso la colonna vertebrale.
La respirazione addominale ha anche il pregio di aumentare la
nostra capacità polmonare, perché ci permette di sfruttare la parte
inferiore dei polmoni che molto spesso non usiamo e che per questo
tende a ridurre la sua funzione respiratoria.
L’ESECUZIONE DEI PRIMI CINQUE RITI
NEL SUSHUMNÂ YOGA
Il movimento fisico dei riti, insieme alla dinamica dei bandha, crea
una corrente ascendente di energia vitale che sale dal bacino fino alla
sommità del capo, all’interno della colonna vertebrale, lungo quel
canale energetico che l’antica tradizione Yoga chiama Sushumnânâdî.
Il Mûla-bandha, per mezzo della contrazione del muscolo
perineale, attiva il primo e il secondo vortice, il Mûlâdhâra e lo
Svâdhisthâna chakra, sospingendo verso l’alto l’energia vitale che
fluisce nel basso ventre.
L’Uddîyâna-bandha, mediante la dilatazione improvvisa dell’addome a ogni inspirazione, risucchia dal basso, come una pompa aspirante, l’energia che si condensa nella regione sottostante, contribuendo così all’ascesa di questa corrente di energia.
Inoltre, il movimento dell’addome a ogni respiro stimola e attiva il
terzo vortice, il Manipûra chakra, caricando di energia il centro Hara,
il centro energetico più importante dell’intero organismo, ed è per
questo motivo che il continuo movimento dell’addome a ogni respiro
viene denominato “il motore dei Tibetani”.
Questa dinamica, attivata dal movimento della pancia, evidenzia
quanto sia importante la respirazione addominale nell’esecuzione dei
riti.
33
L’Uddîyâna-bandha deve lavorare insieme con il Mûla-bandha,
poiché se i polmoni non vengono prima svuotati completamente
forzando l’espirazione e facendo rientrare l’addome (Uddîyânabandha), la contrazione del muscolo PC (Mûla-bandha) non riesce a
sospingere efficacemente l’energia dal bacino fino alla sommità del
capo.
Questi esercizi creano una struttura fisica capace di assorbire la
crescente energia vitale che, dal basso, gradatamente ma progressivamente si riversa sempre più copiosa nell’organismo.
Vediamo ora nel dettaglio l’esecuzione dei primi cinque riti con la
dinamica del Traya-bandha insieme alla respirazione addominale
forzata. Qui incominciamo a entrare nella pratica del Sushumnâ Yoga.
Rispetto all’esecuzione dei riti vista in precedenza, ogni volta che
espiriamo, svuotiamo completamente i polmoni forzando la parte
terminale dell’espirazione, dopodiché eseguiamo una forte
contrazione perineale (a polmoni vuoti) e inspirando profondamente,
entriamo nell’esercizio.
34
4. Il terzo livello di energia
L’ENERGIA KUNDALINÎ
La Kundalinî viene descritta come l’energia universale o “forza
generativa” che risiede alla base della colonna vertebrale, sopra il
Mûlâdhâra chakra.
Le tecniche che provocano l’ascesa della Kundalinî, le Laya Kriya,
fanno parte dei segreti più custoditi dello Yoga. Il simbolo più
frequentemente associato a questa energia è il serpente, emblema di
un sapere esoterico, segreto, conosciuto da pochi eletti.
Fin dall’antichità, il serpente, grazie alla sua capacità di mutare la
pelle, è stato anche considerato il simbolo della trasformazione, della
rinascita, della fertilità, associato al benessere fisico e spirituale.
Shiva, un’antichissima configurazione del Divino, è spesso rappresentata con un cobra intorno al collo, alla quale le innumerevoli scuole
di pensiero induiste hanno attribuito un’importanza, un potere e una
natura a volte molto differenti tra di loro.
La Kundalinî, anche nota nella filosofia induista con il termine
Shakti (dal sanscrito energia, potenza), viene intesa come l’energia
vitale che scaturisce da Shiva e trasforma l’energia potenziale in atto
creativo.
La Kundalinî, il cui nome deriva dalla parola Kundala, che
significa avvolto, arrotolato, spiraliforme, è tradizionalmente
raffigurata in due modi distinti, che descrivono due diverse realtà
fisiche del cammino evolutivo dell’uomo.
Nella prima, tipica dell’individuo “non risvegliato”, la Kundalinî
viene rappresentata come un serpente ancora addormentato, avvolto
intorno alla base della spina dorsale in tre giri e mezzo.
Nella seconda essa viene simboleggiata come un serpente intento a
salire, oppure un serpente alato, a raffigurare che il potere
taumaturgico di questa energia vitale si manifesta quando essa sale
35
verso l’alto, per esattezza dal bacino, dove vive sopita, fino alla
sommità del capo.
La Kundalinî o Shakti, così come viene raffigurata nella
simbologia più antica, è l’energia sessuale che si può attivare e
trasformare in forza, in energia creativa e di autoespressione, che può
arrivare a risvegliare nell’individuo i suoi poteri spirituali.
“Idâ-nâdî è un canale che nasce nel perineo, si intreccia sui
chakra e raggiunge la narice sinistra: è una corrente lunare,
femminile, calmante. Pingalâ–nâdî è un canale energetico che
nasce nel perineo, si intreccia sui chakra e raggiunge la narice
destra; è una corrente solare, maschile, eccitante.
Il canale centrale o Sushumnâ-nâdî è il più grande canale di
energia e va dal perineo alla sommità del capo; contiene il midollo
spinale ed è la strada maestra della Kundalinî o Shakti cosmica”.
Piero Foassa, Il mio Yoga, Magnanelli, Torino, 2001.
Secondo i più antichi insegnamenti, questa straordinaria energia
vitale va risvegliata e lasciata fluire verso l’alto all’interno di quel
canale energetico chiamato Sushumnâ-nâdî, che dalla base del coccige
scorre verso l’alto all’interno della colonna vertebrale, lungo il
midollo spinale e attraversa tutti i chakra, attivandoli e purificandoli,
fino a giungere alla sommità del capo, dove risiede il settimo chakra,
il Sahasrâra chakra, detto anche “loto dai mille petali”. Qui la
Kundalinî completa il suo percorso portando l’individuo nello stato
del “risveglio”, che nella simbologia antica viene raffigurato con il
disco solare alato, o il copricapo alato degli dei, dove il sole
rappresenta la consapevolezza che si illumina e le ali simboleggiano
l’apertura dei due emisferi celebrali, il destro e il sinistro, l’intuitivo e
il razionale.
Il disco solare alato compare già nella tradizione egizia e poi in
quella greca e cristiana, oltre che in tutte quelle del Medio Oriente
antico; è simboleggiato da un sole con le due ali aperte e rappresenta
solo la parte superiore dell’intero sistema energetico della Kundalinî.
La parte inferiore viene raffigurata spesso da un bastone, una
colonna, o una spada, intorno a cui si intrecciano due serpenti. La
parte verticale simboleggia la colonna vertebrale, il suo canale
energetico, il Sushumnâ, mentre i due serpenti che s’intrecciano
intorno simboleggiano Idâ e Pingalâ, le due energie, il femminile e il
maschile, che salgono sospingendo la Kundalinî fino al sole,
36
all’altezza del capo in corrispondenza della ghiandola pineale, posta
tra i due emisferi del cervello.
“Il disco solare nell’antichità era sempre posto all’interno del
tempio, perché il tempio era la rappresentazione dell’uomo. La
simbologia della Kundalinî la troviamo in tutte le tradizioni
antiche, non solo in quella induista, in quanto tutte le tradizioni
avevano lo stesso tipo di conoscenza segreta”.
Adriano Forgione, intervento del 17 febbraio 2008 a Torino.
Il sistema energetico della Kundalinî o Shakti viene rappresentato
in modo completo nel caduceo o “bastone alato”, uno dei simboli più
antichi nella storia dell’umanità, comune a molte civiltà diverse.
Il caduceo è costituito da un bastone dotato nella parte superiore di
due ali, con due rettili attorcigliati in senso inverso che salgono verso
la sua sommità, posti l’uno di fronte all’altro. In questo intreccio, i
serpenti si accoppiano e il maschio, di ascendenza solare, è posto a
destra mentre quello femminile, di ascendenza lunare, è posto a
sinistra.
La parola “caduceo” deriva dal greco Kerykeion e indica l’insegna
o il bastone dell’araldo o messaggero degli dei.
Il caduceo è un simbolo che viene rappresentato sui monumenti
egizi.
Fig. 12 - Caduceo
Anche l’antichissima divinità egizia Anubi, protettrice dei defunti,
viene a volte rappresentata
con in m ano un caduceo.
37
Lo stesso serpente attorcigliato al bastone è sempre stato inteso
come simbolo di arte medica: Egizi, Greci, Romani, Indiani e
Sudamericani se ne servivano a questo nobile scopo.
Nell’India antica il caduceo era costituito da due serpenti
attorcigliati attorno a un terzo serpente (alato) ed era il simbolo della
guarigione. Sono state rinvenute raffigurazioni del caduceo su
tavolette dell’antica civiltà vedica.
Il reperto archeologico più antico è una coppa appartenuta al re
Gudea della città mesopotamica di Lagash, alla confluenza dei fiumi
Tigri ed Eufrate, sulla quale è nitidamente inciso il simbolo del
caduceo.
Nella mitologia babilonese troviamo il serpente che accompagna
sempre il dio Mindzida.
La sua immagine, raffigurante spesso due serpenti attorcigliati in
senso inverso intorno a una verga ornata di ali, è stata rinvenuta nei
templi greco-romani.
Nell’antica tradizione greca Apollo è spesso raffigurato con il serpente e non dimentichiamo che Apollo era il padre di Asclepio
(Esculapio per i Romani), dio della medicina, e anche di Igea, dea
della salute in Roma. L’Asclepio dei Greci e l’Esculapio dei Romani,
entrambi dei della medicina, venivano sempre rappresentati con il
caduceo.
Il caduceo fu attribuito come emblema a Ermete Trismegisto
(Trismegisto significa “tre volte grande”), mitico progenitore dell’arte magica tradizionale, intesa come nobile sintesi del sapere universale in ogni sua applicazione. Il mito di Ermete risale alla civiltà egizia più remota; fu ripreso dalla mitologia greca che ne trasse il dio
Hermes, poi divenuto il Mercurio dei romani.
Ermete Trismegisto, patriarca indiscusso della Scienza Alchemica,
è una figura mitica nata dall’identificazione con il più antico Ermete
Thoth, “misterioso e primigenio iniziatore dell’Egitto alle sacre
dottrine”.
Anche Asclepio, il dio della medicina, portava sempre con sé un
bastone con un serpente avvolto intorno.
Nell’antica Grecia si pensava che bastasse dormire in un santuario
consacrato da Asclepio per guarire da ogni malattia.
38
Fig. 13 – Ermete Trismegisto
Sempre nella mitologia greca, il dio Hermes impugna un bastone
con due serpenti; è il dio dei viaggiatori, dei pastori, degli oratori, dei
poeti, della letteratura, dell’atletica, dei pesi e delle misure, del
commercio, dei ladri e dell’astuzia. Hermes funge anche da interprete
e messaggero da parte degli dei presso gli uomini. Molte leggende lo
ritraggono come l’unico dio, oltre ad Ade e Persefone, che avesse il
potere di entrare e uscire dagli inferi senza problemi.
Nelle epoche più antiche, l’iconografia di Hermes era piuttosto
39
Fig. 14 – Asclepio
diversa da quella adottata nel periodo classico; egli era immaginato
come un dio più anziano, barbuto e dotato di un fallo di notevoli
dimensioni, a simboleggiare la natura sessuale di questa energia, ma
nel VI secolo a.C. la figura fu trasformata in quella di un giovane
dall’aspetto atletico e le sue statue furono diffusamente sistemate negli
stadi e nei ginnasi di tutta la Grecia.
Nella mitologia romana, il corrispondente di Hermes è Mercurio;
sebbene sia un dio di derivazione etrusca, possiede molte caratteristiche simili a Hermes: è il dio dei commerci, dell’eloquenza ed è il
messaggero degli dei. Mercurio comunica la guarigione e presenta sul
capo il disco solare alato. La sua bacchetta, il caduceo, raffigurata con
i due serpenti, è diventata simbolo della medicina.
40
Fig. 15 – Hermes
“Mercurio rappresenta colui che, avendo risvegliato la Kundalinî,
diventa il messaggero degli dei.”
Adriano Forgione, intervento del 17 febbraio 2008 a Torino.
41
Fig. 16 – Mercurio
Questa simbologia svela come la Kundalinî risvegli nell’uomo i
poteri degli dei, quindi la forza fisica, le capacità intellettuali, il potere
di guarigione e sviluppi la coscienza spirituale.
Dalle civiltà più remote, la colonna con in cima la pigna simboleggia il potere, in quanto la colonna rappresenta la colonna vertebrale e
l’ascesi della Kundalinî, e la pigna rappresenta la ghiandola pineale.
42
Lo scettro di Osiris
Abbiamo visto fin qui come nell’antichità viene rappresentato il
sistema energetico della Kundalinî; con i suoi tre canali o nâdî: il
Sushumnâ (verticale) e Idâ e Pingalâ che si attorcigliano intorno,
accompagnando verso l’alto la Kundalinî o Shakti.
Troviamo il serpente come ornamento sulla testa dei re d’Egitto, a
esprimere come nel faraone l’energia sia salita fino al capo a
risvegliare in lui il potere e la saggezza degli dei.
43
Fig. 17
Nella “Tomba Belzoni”, in Egitto, è raffigurato un serpente alato
con tre teste (Atma-Buddhi- Manas) e con quattro gambe umane, che
ne raffigurano il carattere androgino.
Sui muri della discesa che conduce alla camera sepolcrale di
Ramsete V, si trova raffigurato un serpente con le ali di un avvoltoio,
poiché sia l’avvoltoio che il falco sono simboli solari.
44
“Il Meissi (la cui parola ricorda il Messia), significa: ‘Parola
Sacra’, ed era un serpente buono”, scrive Bonwick nel suo libro
Egyptian Belief. “Questo serpente di bontà, con la testa incoronata,
era montato su una croce, e in Egitto costituiva uno stendardo sacro”.
Atena, dea di ogni scienza, tiene in mano e sul petto il serpente da
cui nascono altre divinità e Iside porta sulla fronte il cobra reale,
simbolo di conoscenza, sovranità ed eterna giovinezza.
Fig. 18
Il misterioso animale non manca mai nelle raffigurazioni greche e
romane del dio della salute. In un bassorilievo votivo si vede il serpente attorcigliato a un albero, ai piedi del quale tre giovani depongono
una barella con un malato.
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“In alcune sette gnostiche che vanno sotto il nome di Ofiti (dal
greco ophis, ‘serpente’), Gesù era soprannominato e venerato
come ‘Gesù il Serpente’”.
ANDRÉ NOIRE
Nell’antica tradizione cinese troviamo il serpente alato o il drago,
simbolo di benessere e rigenerazione, che con le sue ali porta verso
l’alto l’energia del fuoco.
Nella tradizione sudamericana troviamo il Quetzalcoatl, che è il dio
che rinasce in forma di “serpente piumato”, divinità del Messico
precolombiano, patrono dei sacerdoti, simbolo di morte e
resurrezione, che ha la sua origine fra i Toltechi, ma che entrò ben
presto nel culto azteco.
Nella filosofia indiana è associato all’albero della vita e nel simbolismo buddhista si vede il cobra con il cappuccio aperto che sovrasta il
Buddha mentre medita.
Fig. 19 – Mosè
46
Anche nella Bibbia ritroviamo questa stessa simbologia; il serpente
bronzeo attorcigliato al bastone di Mosè possiede il potere di guarire e
ridare vita ai moribondi, salvandoli dal morso degli scorpioni.
Il serpente di fuoco sull’insegna di medici assiri, il geroglifico del
serpente a sonagli del Messico o del Brasile, il serpente alato, l’ofide
sul bastone magico di Apollo, le ali del caduceo, il copricapo alato
degli dei, il cobra sulla testa dei faraoni dell’antico Egitto, il cobra con
il cappuccio aperto che sovrasta il Buddha; sono tutte rappresentazioni
simboliche del principio vitale occulto dell’energia Kundalinî che, dal
basso ventre, dove vive addormentata, si risveglia e sale fino alla sommità del capo donando la conoscenza e rendendo il possessore un
essere divino, dotato di poteri soprannaturali.
Fig. 20
La raffigurazione simbolica della Kundalinî o Shakti è molto
importante poiché ci mostra come essa sia un’energia fisica e non
spirituale, poiché quella fisica ha la caratteristica di fluire sempre dal
47
basso verso l’alto, entrando nell’organismo attraverso i chakra
inferiori (principalmente il Mûlâdhâra e lo Svâdhisthâna chakra)
mentre l’energia spirituale fluisce dall’alto, entrando attraverso i
chakra superiori. Questo a testimonianza del fatto che sono proprio i
corpi più sottili a creare il corpo fisico.
L’energia fisica, che è l’energia che nutre la cellula, fluisce nel
corpo dal basso verso l’alto mentre, al contrario, l’energia
spirituale che fluisce dall’alto la guida nella sua ascesa”.
EZIO CERIANA
(Alcuni brani di questo paragrafo sono tratti dalle seguenti pagine
web: <http://www.wikipedia.org>;
<http://w w w .andreapangos.it>;
<http://www.members.xoom.alice.it>)
IL SESTO RITO TIBETANO
Premessa
Nel terzo livello di energia del Sushumnâ Yoga apprendiamo il
ruolo prioritario dell’energia Kundalinî, o Shakti, nel processo che
rivitalizza il corpo fisico.
Il simbolismo antico cela questo grande segreto: affinché l’essere
umano sviluppi in sé il potere alchemico e taumaturgico, occorre che
l’energia vitale del bacino si elevi dal basso ventre e salga fino alla
sommità del capo.
Abbiamo visto come la mitologia abbia raffigurato in molti modi la
dinamica energetica della Kundalinî, soprattutto nella forma del
serpente che sale verso l’alto. Il serpente da sempre rappresenta
l’energia sessuale che, una volta risvegliata, se lasciata salire fino al
capo svela nell’individuo i poteri degli dei, come la forza invincibile,
la sapienza, il talento, la saggezza, l’intuizione e il potere della
guarigione.
Il sesto rito tibetano ha l’importantissima funzione di risvegliare
questa energia vitale, facendola salire dalla base della colonna
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vertebrale fino alla sommità del capo, lungo quel canale energetico
che corre all’interno del midollo spinale denominato Sushumnâ-nâdî.
La Shakti fluisce nel corpo attraverso i primi due chakra: il
Mûlâdhâra o chakra della Radice (nel perineo) e lo Svâdhisthâna o
chakra sacrale (alla base della colonna vertebrale).
“Il Mûlâdhâra chakra significa ‘sostegno della radice’ [...] e si
manifesta a livello fisico attraverso le gonadi e il plesso pelvico.
Per tradizione questo chakra controlla le funzioni sessuali negli
esseri umani (una responsabilità condivisa con il chakra
successivo, lo Svâdhisthâna)”.
John Mumford, Manuale dei chakra e della
Kundalini, Hermes Edizioni, Roma, 2003.
Questa energia ha una caratteristica molto particolare: non sale mai
in modo naturale verso l’alto in quanto deve concentrarsi nel bacino
per assicurare la funzione riproduttiva dell’organismo umano.
Questa è la ragione per cui molte tra le più antiche discipline nate
con l’intento di rivitalizzare e restituire la salute al corpo fisico, come
lo Yoga, il Kryia, il Tantra, il Tao, i Riti Tibetani e molte altre, hanno
sempre cercato il modo di far salire questa potente energia vitale, non
appena essa si accumula nel basso ventre.
“L’arte e la creatività non sono altro che espressione
dell’energia sessuale”.
Osho, L’amore nel Tantra, Oshoba, Tradate (VA), 2004
Il sesto rito tibetano appartiene a quelle pratiche che fanno salire la
forza vitale che si cumula nel bacino e ha la funzione di sospingere
fino alla sommità del capo questa straordinaria energia, in modo che
tutto il corpo possa finalmente attingere a essa, trasformandola in
energia rivitalizzante, creativa e di autoespressione.
“Far scorrere l’energia vitale verso l’alto è una cosa
semplicissima, tuttavia nel corso dei secoli l’uomo ha di solito
fallito i propri tentativi. In Occidente tutti gli ordini religiosi
hanno provato a ottenere tale risultato senza per altro riuscirvi,
perché hanno tentato di dominare l’energia riproduttiva
sopprimendola. Il modo giusto per dominare quello stimolo
49
potente non è far svanire o sopprimere, ma trasmutare l’energia e
farla salire”.
PETER KELDER
La crescita dell’energia vitale con il sesto rito
Quando viviamo uno stato di eccitazione sessuale, i vortici
inferiori, rispettivamente il chakra della Radice (il Mûlâdhâra) e il
chakra sacrale (lo Svâdhisthâna) si attivano fortemente lasciando
fluire copiosa l’energia vitale che, entrando nel corpo, “eccita” gli
organi riproduttivi accumulandosi poi nel basso ventre.
Per un apparente paradosso della natura, il corpo umano non riesce
ad attingere a questa preziosa e rivitalizzante forza vitale a causa di
una ragione molto semplice: l’energia sessuale che si accumula nel
bacino non può fluire nel resto del corpo, in quanto deve potersi
condensare per entrare “in pressione” e generare quella che viene
comunemente denominata “la scarica orgasmica”.
L’orgasmo, che normalmente rappresenta il culmine dell’atto sessuale, provoca una vera e propria scarica energetica che sospinge
all’esterno del corpo tutta l’energia vitale che si è accumulata nel
basso ventre durante lo stato di eccitazione. Questa scarica energetica
è anche accompagnata da una secrezione di liquido seminale
nell’uomo e da una secrezione di liquido vaginale nella donna.
Nel maschio la scarica orgasmica fa fuoriuscire dal pene l’energia
vitale accumulata nel bacino per irrorare l’utero della donna, nutrendo
energeticamente il processo del concepimento, mentre nella donna
sospinge all’interno dell’utero l’energia condensata nel bacino, per poi
lasciarla fuoriuscire lentamente all’esterno attraverso il canale
vaginale.
Nell’uomo questa scarica energetica è così forte da sospingere
all’esterno del corpo non solo tutta l’energia sessuale accumulata nel
bacino durante lo stato di eccitazione, ma anche una considerevole
quantità di energia fisica, generando in questo modo un forte e
improvviso calo della vitalità. Il maschio dopo una brevissima e
intensa sensazione di piacere dovuta all’orgasmo, soffre poi di
stanchezza e spesso anche di una forma di depressione postorgasmica.
È questo il prezzo che l’organismo paga in termini di vitalità, per la
riproduzione della specie.
50
A questo proposito basta ricordare che in natura numerose specie
animali muoiono subito dopo aver avuto l’orgasmo, perché l’energia
che fuoriesce con la “scarica orgasmica” è così abbondante da ridurre
eccessivamente la vitalità di questi organismi.
La donna avverte meno il calo energetico generato dalla scarica
orgasmica, in quanto il suo corpo riesce a riassorbire, attraverso i
tessuti, una parte dell’energia orgasmica che viene “scaricata”
nell’utero, prima che essa fuoriesca all’esterno attraverso il canale
vaginale.
È vero che tra il corpo della donna e dell’uomo, durante tutto l’amplesso, c’è uno scambio energetico molto forte, dove i corpi secernono
rivitalizzanti endorfine, ma questa crescita di vitalità non riesce a
compensare il forte calo energetico generato poi dalla scarica
orgasmica.
Incominciamo a comprendere l’insegnamento che si nasconde
dietro il precetto del celibato del libro di Peter Kelder, in quanto
l’attività sessuale nella sua fase culminante, quella orgasmica, riduce
fortemente il livello della vitalità fisica, soprattutto nell’uomo.
La dinamica energetica del sesto rito
La funzione del sesto rito è di far salire la Shakti o Kundalinî dal
bacino fino alla sommità del capo, lungo il canale energetico che corre
all’interno della colonna vertebrale denominato Sushumnâ-nâdî.
Questo flusso di energia, mentre sale, stimola e regolarizza i sette
principali chakra, elevando così il livello di vitalità del corpo, che
finalmente può attingere anche alla potentissima energia che si
accumula nel basso ventre.
La Shakti, salendo, libera sempre di più il Sushumnâ-nâdî da ogni
occlusione che, come la canna fumaria di un camino, incomincia “a
tirare”, ad aspirare verso l’alto l’energia che si accumula nel bacino
durante lo stato di eccitazione, attivando ulteriormente i due chakra
inferiori, quello della Radice e quello sacrale.
Anche nel sesto rito, come nei primi cinque, agisce la dinamica del
Traya-bandha, la quale, con le sue contrazioni bandha, sospinge e
guida l’energia vitale dalla regione perineale fino alla sommità del
capo.
Ogni volta che il corpo vive uno stato di eccitazione sessuale,
l’energia vitale fluisce copiosa nel basso ventre e normalmente si
presentano due alternative comportamentali: la prima è quella di far
51
crescere lo stato di eccitazione e avere una scarica orgasmica che
riversa all’esterno del corpo tutta l’energia che si è accumulata nel
bacino. La seconda è quella di lasciare svanire lo stato di eccitazione,
aspettando che l’energia vitale addensata nel bacino fuoriesca
naturalmente dal corpo attraverso gli stessi vortici mediante i quali è
entrata. Ricordiamo, a questo proposito, che i chakra fanno sia entrare
che uscire l’energia dal nostro corpo.
Con il sesto rito abbiamo una terza alternativa; quella di permettere
all’energia vitale accumulata nel basso ventre di riversarsi completamente all’interno del corpo, anziché fluire all’esterno con la scarica
orgasmica o attraverso i chakra.
Vediamo come il “colonnello Bradford” nel libro di Peter Kelder
introduce il sesto rito tibetano.
“‘Vi ho insegnato cinque riti che si propongono di restituire la
salute della giovinezza e la vitalità. Vi aiuteranno inoltre a
riacquistare un aspetto più giovane. Ma se volete recuperare
completamente la salute e l’aspetto della giovinezza, dovete
effettuare un sesto rito. Non ve ne ho parlato finora perché sarebbe
stato inutile se non aveste prima ottenuto dei buoni risultati con gli
altri cinque’.
[...] Nell’uomo e nella donna medi, una parte spesso consistente
della forza vitale che alimenta i sette vortici, viene incanalata nell’energia riproduttiva. La maggior parte di tale energia viene
dissipata nel primo vortice e non ha mai alcuna possibilità di
raggiungere gli altri sei.
Per poter diventare un uomo o una donna eccezionale, tale possente forza vitale va preservata e diretta verso l’alto, per poter essere
utilizzata da tutti i vortici, specialmente il settimo. In altre parole è
necessario abbracciare il celibato perché l’energia riproduttiva
venga reincanalata e usata per scopi più elevati.
[...] Il modo giusto per dominare quello stimolo potente non è far
svanire o sopprimere, ma trasmutare l’energia e contemporaneamente farla salire. In questo modo non solo avrete scoperto
‘l’Elisir di Lunga Vita’, come lo chiamavano gli antichi, ma lo
avrete anche messo in opera, cosa che gli antichi di rado erano in
grado di fare. Ebbene, eseguire il sesto rito è la cosa più semplice
della terra. Praticatelo solo quando avvertite un eccesso di energia
sessuale, o provate il desiderio naturale di esprimerla.
52
Fortunatamente il rito è così semplice che potete praticarlo
ovunque, a qualunque ora, ogni qualvolta avvertite lo stimolo”.
PETER KELDER
Le parole del “colonnello Bradford” devono essere interpretate
correttamente, in quanto non chiariscono come deve trasformarsi la
vita sessuale di chi desidera praticare il sesto rito. Questo concetto è
comprensibile nella sostanza, ma non nella forma in cui viene enunciato.
Le frasi che necessitano di chiarezza sono quelle che esprimono il
precetto secondo il quale “è necessario abbracciare il celibato” per
poter praticare il sesto rito. Se per “abbracciare il celibato” il colonnello intende esprimere in senso lato il concetto di non avere rapporti
sessuali, questa interpretazione è incompleta e fuorviante, in quanto
induce il lettore a non avere più una vita sessuale per poter praticare
questo rito.
La pratica corretta del sesto rito non implica affatto una rinuncia
alla propria vita sessuale, ma al contrario consente di esaltarla riscoprendo una sessualità infinitamente più completa, gratificante, esaltante e fortemente rivitalizzante per il corpo fisico, a ogni età, svelandola come fonte inesauribile di piacere, vitalità, giovinezza e salute.
Intanto, perché il colonnello Bradford parla di celibato? Se con
questa parola egli intende l’astinenza sessuale, questa non si coniuga
affatto con la parte successiva del suo insegnamento, dove esprime
l’importanza di avvertire un potente stato di eccitazione per poter
effettuare il sesto rito.
“[...] eseguire il sesto rito è la cosa più semplice della terra.
Praticatelo solo quando avvertite un eccesso di energia sessuale o
provate il desiderio naturale di esprimerla”
“[...] Vi prego di cercare di comprendere che per eseguire il sesto
rito è assolutamente indispensabile che nell’individuo sia presente lo stimolo sessuale attivo. Nessuno può trasmutare l’energia
riproduttiva se c’è poco o niente da trasmutare”37.
PETER KELDER
Per mantenere viva in noi la capacità di avvertire un “eccesso di
energia sessuale” o uno “stimolo sessuale attivo” non possiamo
abbandonare la pratica della sessualità, perché per una legge fisica, in
natura tutto ciò che non si usa viene immancabilmente privato di
53
energia vitale e si atrofizza, ed è per questo che nel corpo l’energia
vitale fluisce solo negli organi che usiamo.
Pensiamo a cosa accade quando un braccio o una gamba vengono
ingessati a causa di una frattura; anche se mangiamo regolarmente,
l’arto riduce fortemente la massa muscolare insieme alla sua
funzionalità, rendendo poi necessaria una lunga e dolorosa
riabilitazione per recuperarne lo stato originario.
Se pratichiamo l’astinenza sessuale, i nostri organi riproduttivi gradatamente perdono la loro funzionalità insieme alla naturale capacità
di nutrire stati di eccitazione, inibendo completamente la capacità di
attrarre a sé energia vitale.
Se per celibato l’autore avesse inteso l’astinenza sessuale, questo
inevitabilmente avrebbe portato molto presto all’impossibilità di praticare il sesto rito, in quanto quest’ultimo necessita di uno stimolo
perfettamente attivo, capace di generare “un eccesso di energia
sessuale”, impossibile a chi pratica l’astinenza.
Cerchiamo allora di comprendere ciò che il colonnello Bradford,
nel libro I Cinque Tibetani, intende esprimere con queste due citazioni
apparentemente contraddittorie, ma entrambe indispensabili per poter
eseguire il sesto rito, dove da un lato sembrerebbe imporre l’astinenza
sessuale (“[...] è necessario abbracciare il celibato [...]”) dall’altro
invece esalta l’importanza dello stato di eccitazione (“[...] solo quando
avvertite un eccesso di energia sessuale [...]”).
Nel testo leggiamo la condanna a ogni forma di repressione della
sessualità e inibire un istinto naturale forte come quello sessuale
rappresenta una repressione fortissima. L’autore comprende bene che
nella repressione dell’eros c’è la repressione dell’energia vitale:
“Far scorrere l’energia vitale verso l’alto è una cosa
semplicissima, tuttavia nel corso dei secoli l’uomo ha di solito
fallito i propri tentativi. In Occidente tutti gli ordini religiosi
hanno provato a ottenere tale risultato senza per altro riuscirvi,
perché hanno tentato di dominare l’energia riproduttiva
sopprimendola. Il modo giusto per dominare quello stimolo
potente non è far svanire o sopprimere, ma trasmutare l’energia e
farla salire”.
PETER KELDER
Quest’ultimo pensiero è un’ulteriore riprova che l’espressione del
colonnello Bradford di “abbracciare il celibato” non vuole significare
l’astinenza sessuale, in quanto essa porterebbe inevitabilmente a far
54
svanire l’energia riproduttiva. Al contrario, egli parla di “[...] dominare quello stimolo potente”, per cui la sessualità non deve venire
repressa ma stimolata e accresciuta a tal punto da trovarci a dover
dominare uno stimolo potente, e poi trasmutata.
Per fare ulteriore chiarezza, esaminiamo le due fasi in cui si
esprime un atto sessuale.
Nella prima si crea lo stato di eccitazione: questo attiva i chakra
inferiori, attraverso i quali l’energia vitale incomincia a fluire copiosa
all’interno del corpo e ad accumularsi nel bacino. Se lo stato di
eccitazione perdura, l’energia continua a entrare e ad accumularsi fino
a raggiunge un livello di pressione tale da indurre la scarica
orgasmica. Si entra così nella seconda fase dell’atto sessuale, dove
avviene la scarica orgasmica che spinge all’esterno del corpo tutta
l’energia accumulata nel bacino. È in questo secondo momento che si
determina il forte calo di vitalità dell’organismo, poiché questo flusso
energetico che si riversa all’esterno trascina con sé non solo l’energia
accumulata nella fase di eccitazione, ma anche molta dell’energia
vitale. Nella prima fase, quella dell’eccitazione, la vitalità
dell’organismo cresce, in quanto esso, attraverso i chakra inferiori,
richiama a sé energia dall’esterno; nella seconda, l’energia vitale
decresce fortemente, in quanto fluisce all’esterno.
Naturalmente per atto sessuale s’intende sia quello praticato in
coppia, che quello praticato singolarmente, attraverso l’auto-erotismo.
In entrambi i casi, i due momenti in cui si esprime l’atto sessuale
avvengono in modo completo: prima lo stato di eccitazione e poi la
scarica orgasmica.
Comprendiamo che il precetto del colonnello Bradford di “abbracciare il celibato” riguarda solo la seconda fase dell’atto sessuale, quella della “scarica orgasmica”, dove avviene la fuoriuscita di energia
vitale dall’organismo, in quanto egli esalta l’importanza della prima
fase, quella dello stato di eccitazione in cui si crea “lo stimolo
potente”.
“[...] eseguire il sesto rito è la cosa più semplice della terra. Praticatelo solo quando avvertite un eccesso di energia sessuale o
pro- vate il desiderio naturale di esprimerla”.
PETER KELDER
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“L’energia del sesso sta alla base della creatività di ogni individuo
geniale. Non c’è mai stato, ne mai ci sarà, un grande leader, un
artista, o un innovatore a cui manchi la forza stimolante della sessualità. Il desiderio dell’espressione sessuale è l’emozione umana
di gran lunga più potente: perciò, se lo sfruttiamo e lo trasmutiamo
in azione pratica, diversa dall’atto erotico, potremo compiere
grandi imprese”.
NAPOLEON HILL
Da millenni molti ordini religiosi hanno cercato di inibire la
sessualità per ridurre il più possibile la fuoriuscita di energia vitale
dall’organismo, senza per altro rendersi conto che, così facendo, si
inibisce anche la fase di eccitazione, ossia quella adibita a far entrare
energia vitale nel corpo.
Antiche discipline hanno invece esaltato la fase di eccitazione
inibendo quella orgasmica, ma l’energia sessuale accumulata fuoriesce
comunque all’esterno del corpo attraverso i chakra inferiori, dai quali
è entrata.
Rinunciare alla scarica orgasmica permette all’uomo e alla donna
di non disperdere i rispettivi liquidi seminali e vaginali, ricchi di
sostanze nutritive (specie quelli dell’uomo); ma essi rappresentano
una minima parte della vitalità dell’organismo che va perduta
all’esterno, attraverso i chakra.
Esaminando il sesto rito scopriamo che esso permette all’energia
vitale, che si accumula nel basso ventre durante uno stato di eccitazione, di fluire nel resto del corpo, anziché disperdersi all’esterno
attraverso i chakra o la scarica orgasmica.
Con un ragionamento semplificato, possiamo dire che l’invecchiamento del corpo è generato da un calo della sua energia vitale, in
quanto registriamo su di esso tutti i nostri stati emotivi.
I conflitti emotivi che viviamo vengono memorizzati sulle cellule,
che reagiscono contraendosi e gli organi si contraggono a loro volta
riducendo il livello di energia vitale. In questo modo, nel tempo, il
livello di vitalità dell’organismo scende.
Con i Riti Tibetani abbiamo modo di contrastare questo calo di
vitalità, immettendo nel corpo quantità crescenti di energia vitale.
Fino a oggi, la società in cui viviamo spesso ci ha indotti a vivere
la sessualità come un istinto animale che mal si concilia con l’idea
della persona evoluta spiritualmente e intellettualmente.
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Nei Riti Tibetani la sessualità è vissuta invece come una
meravigliosa alchimia energetica, in grado di attrarre nel corpo umano
una sempre maggior quantità di energia vitale, capace di donare
benessere, salute e longevità.
Ogni volta che sentiamo sorgere in noi uno stato di eccitazione,
sappiamo che quella è energia preziosa alla quale il corpo può
attingere per rigenerarsi, rivitalizzarsi e guarirsi.
La sessualità è qui percepita come un meraviglioso strumento di
vita e i nostri organi sessuali sono, semplicemente, lo strumento che la
natura ci ha offerto per assorbire questa energia vitale dall’esterno.
L’esecuzione del sesto rito nel Sushumnâ Yoga
Vediamo come Peter Kelder spiega il sesto rito che promette di ringiovanire il corpo.
“[...] Eseguire il sesto rito è la cosa più semplice della terra.
Praticatelo solo quando avvertite un eccesso di energia sessuale e
provate il desiderio naturale di esprimerla. Fortunatamente il rito
è così semplice che potete praticarlo ovunque, a qualunque ora,
ogni qualvolta avvertite lo stimolo.
[...] Mettetevi in piedi con la schiena perfettamente dritta e
lentamente lasciate uscire tutta l’aria dai polmoni. Nel frattempo,
piegatevi appoggiando le mani sulle ginocchia. Forzate
l’esalazione finché non rimanga alcuna traccia d’aria; poi, a
polmoni vuoti, tornate in posizione eretta. Ponete le mani sui
fianchi e spingete verso il basso. Questo gesto vi costringerà a
sollevare le spalle. Contemporaneamente ritraete il più possibile
l’addome e sollevate il torace. Mantenete la posizione il più a
lungo possibile. Quando, in ultimo, sarete costretti a immettere
aria nei polmoni vuoti, fatela fluire all’interno attraverso il naso.
Dopo aver riempito i polmoni, esalate con la bocca. Espirando,
rilassate le braccia, lasciandole pendere naturalmente lungo i
fianchi. Fate diverse respirazioni profonde con la bocca o con il
naso, e lasciate uscire l’aria dalla bocca o dal naso.
[...] Alla
maggior parte delle persone sono necessarie tre esecuzioni per reindirizzare l’energia sessuale e dirigere verso l’alto la sua forza
potente”.
PETER KELDER
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In questo terzo livello di energia, al quale siamo approdati con la
pratica dell’ultimo dei riti, il sesto, non apportiamo alcuna modifica
alla nostra vita sessuale di coppia (per chi ne ha una), ma
semplicemente ci limitiamo a praticare il sesto rito quando siamo soli,
nella nostra intimità, ogni qualvolta sentiamo lo stimolo sessuale,
sapendo che in questo modo facciamo fluire nel corpo tutta l’energia
vitale che si accumula nel bacino.
La sorpresa che si svela a questo punto della trattazione è che il
sesto rito altro non è che il Traya-bandha, già impiegato nei primi
cinque riti, eseguito però nella sua versione più completa, in uno stato
di eccitazione sessuale, e facendo rientrare molto bene l’addome verso
l’interno. Nei primi cinque riti si pratica il Traya-bandha, ma in una
sua forma ridotta, in quanto, essendo in movimento, l’addome non
rientra di molto e vi è poca energia vitale nel bacino.
La dinamica energetica delle contrazioni bandha
del sesto rito
Il sesto tibetano è il Traya-bandha nella sua versione completa,
dove agiscono simultaneamente le tre contrazioni bandha dello Yoga
che abbiamo già conosciuto nei primi cinque riti: il Mûla-bandha,
l’Uddîyâna-bandha e il Jâlandhara-bandha.
Il Mûla-bandha, attraverso la contrazione del muscolo perineale
che si trova alla base del bacino, tra il sesso e l’ano, attiva il primo e il
secondo chakra, e crea quella corrente ascensionale che sospinge
verso l’alto l’energia vitale che si condensa nel basso ventre durante lo
stato di eccitazione.
L’Uddîyâna-bandha, prima attraverso la contrazione dell’addome
durante l’espirazione e poi con la dilatazione dell’addome durante
l’inspirazione, aspira verso l’alto l’energia vitale, lasciandola fluire
fino al capo, lungo il Sushumnâ-nâdî. Il flusso energetico in ascesa è
davvero molto forte e per questo occorre frenarlo prima che arrivi alla
testa, in quanto il capo è molto delicato. Interviene allora il
Jâlandhara-bandha, che chiude la gola attraverso il movimento
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verso l’alto delle spalle, impedendo così al potente flusso energetico
della Kundalinî o Shakti di irrompere troppo violentemente nella testa.
Vediamo meglio nel dettaglio come agisce il Traya-bandha nelle
diverse fasi del sesto rito.
Quando sentiamo che il nostro corpo vive uno stato di eccitazione
sessuale, ci portiamo in piedi, con la schiena dritta e facendo una
lunga espirazione svuotiamo i polmoni, quindi ci chiniamo in avanti
espiriamo ancora l’aria residua. Basta che nei polmoni ci sia una
piccola quantità di aria per ridurre fortemente l’efficacia
dell’esercizio. Quindi ci alziamo, restando in apnea (vuota)
contraiamo alcune volte il muscolo PC (Mûla-bandha) facciamo
rientrare l’addome il più possibile (Uddîyâna-bandha), e spingiamo le
spalle verso l’alto (Jâlandhara-bandha).
Lo svuotamento completo dei polmoni apre la porta midollare,
consentendo così all’energia vitale che si accumula nel bacino durante
lo stato di eccitazione, di fluire su per il canale Sushumnâ- nâdî, e
rende attivo il Mûla-bandha, in quanto la contrazione del muscolo PC
riesce a sospingere efficacemente l’energia vitale verso l’alto solo
quando i polmoni sono vuoti.
Spingendo poi le spalle verso l’alto creiamo la chiusura della gola
o Jâlandhara-bandha, necessaria per proteggere la testa dal forte flusso
di energia Kundalinî che arriva dal basso ventre. Normalmente questa
chiusura avviene portando il mento verso lo sterno; qui però è
necessaria una chiusura che permetta alla colonna vertebrale di restare
dritta per lasciar subito dopo fluire l’energia. Restiamo così in apnea
(vuota) fino a quando riusciamo, quindi incominciamo a rilasciare
l’addome e inspirando torniamo a immettere aria nei polmoni; questo
farà fluire verso l’alto l’energia accumulata nella regione sottostante.
L’inspirazione deve essere graduale nella prima fase d’inalazione
dell’aria, per poi crescere progressivamente man mano che inspiriamo,
per non creare sbalzi troppo forti di energia.
Dopo l’inspirazione profonda segue una profonda espirazione,
dopodiché respiriamo liberamente, abbandonando le braccia lungo i
fianchi. Sentiremo l’energia arrivare fino alla sommità del capo e, nel
contempo, lo stato di eccitazione incomincerà a scemare.
Continueremo a respirare liberamente mantenendo la posizione eretta,
fino a che non sentiremo diminuire la sensazione di calore che arriverà
al capo.
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Ripetiamo il rito una o due volte solo se proviamo ancora lo
stimolo sessuale.
“Vi prego di cercare di comprendere che per eseguire il sesto
rito è assolutamente indispensabile che nell’individuo sia
presente lo stimolo sessuale attivo. Nessuno può trasmutare
l’energia riproduttiva se c’è poco o niente da trasmutare. È
assolutamente impossibile che una persona che ha perduto
l’impulso sessuale effettui questo rito. Non dovrebbe nemmeno
provarci perché ne verrebbe scoraggiata ricavandone più male
che bene. Dovrebbe invece, senza tenere conto della età,
praticare gli altri cinque riti e provare nuovamente un impulso
sessuale normale. Solo dopo aver conseguito un risultato del
genere, potrà intraprendere l’opera di trasformazione di se
stessa in essere eccezionale”.
PETER KELDER
Lo stimolo sessuale ci dona la sicurezza che l’energia vitale sta
fluendo, attraverso i primi due chakra, all’interno del bacino e si sta
accumulando in esso. In questo modo il sesto rito avrà sufficiente
energia da sospingere verso l’alto. Eseguire il rito senza essere in uno
stato di eccitazione sessuale è dannoso, perché esso, con la sua forza
aspirante, non trovando energia nel bacino, sospingerà verso l’alto
l’energia vitale dagli organi del basso ventre, indebolendoli.
L’APERTURA DEL CAMINO SUSHUMNÂ-NÂDÎ
Abbiamo visto che il sesto rito permette all’energia che si condensa
nel basso ventre, nel serbatoio della Shakti o Kundalinî durante lo
stato di eccitazione sessuale, di fluire fino alla sommità del capo.
Questo flusso copioso di energia, che dal bacino sale verso l’alto
ogni volta che eseguiamo il sesto rito, libera da ogni “ostruzione” il
canale Sushumnâ che, proprio come la canna fumaria di un camino,
inizia ad attivare la sua funzione di “tiraggio” aspirando energia dal
basso e stimolando in questo modo i due principali chakra inferiori: il
Mûlâdhâra e lo Svâdhisthâna.
In altre parole, la funzionalità del Mûlâdhâra (nel perineo) e dello
Svâdhisthâna (alla base della colonna vertebrale), che sono i vortici
energetici che alimentano e nutrono il corpo fisico, dipende dal potere
di “tiraggio” del Sushumnâ-nâdî.
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Cominceremo così a percepire sensazioni di calore e formicolio
nella zona perineale e alla base della colonna vertebrale, inizialmente
per qualche ora soltanto dopo la pratica dei riti e successivamente per
tutto l’arco della giornata, a testimonianza che l’energia vitale sta
fluendo con continuità all’interno del nostro corpo.
La dinamica dei Sei Riti Tibetani produce un grande cambiamento
energetico nell’organismo umano, in quanto genera l’apertura del
Sushumnâ-nâdî che, a sua volta, determina una corrente di energia
vitale ascensionale, la Kundalinî, che, a partire dai chakra inferiori,
nutre e attiva la funzionalità di tutti gli altri vortici presenti lungo la
colonna vertebrale. La Shakti, una volta salita, ha poi modo di
distribuirsi uniformemente in tutto il corpo.
Con la progressiva apertura del canale Sushumnâ, le contrazioni
bandha hanno sempre più energia da sospingere verso l’alto
nell’esecuzione di tutti i Sei Riti Tibetani, rendendoli sempre più
potenti, rivitalizzanti e ringiovanenti.
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5. Il centro Hara
IL SUSHUMNÂ YOGA E L’ATTIVAZIONE
DEL CENTRO HARA
Nella pratica dei Riti Tibetani la respirazione addominale con il
movimento dell’addome a ogni respiro, insieme alle contrazioni del
muscolo pubococcigeo, determina l’attivazione dell’Hara. Ciò accade
perché il funzionamento di questo centro energetico è strettamente
legato alla stimolazione dei primi due bandha; il Mûla-bandha e
l’Uddîyâna-bandha.
Il primo sintomo che avvertiamo dell’attivazione dell’Hara è un
calo sensibile dello stimolo della fame, questo perché la dinamica
nutre di energia vitale tutta la regione addominale.
Occorre dunque prestare molta attenzione ad assumere la giusta
quantità giornaliera di alimenti perché, senza più un elevato stimolo
della fame, si rischia di non nutrire a sufficienza il nostro organismo.
Se abbiamo un corpo in sovrappeso e desideriamo dimagrire,
questo avverrà in modo naturale, grazie al metabolismo che inizierà a
crescere con l’aumentare progressivo del livello della nostra energia
vitale, e non perché incominceremo a non nutrire più a sufficienza il
nostro organismo.
ESERCIZI DI CRESCITA ENERGETICA
Vediamo ora due antichissime pratiche che non solo hanno la proprietà di aiutare il corpo a ridistribuire l’energia vitale che si accumula
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con i riti, ma hanno anche una straordinaria capacità di elevare la
vitalità dell’intero organismo. Nello specifico si tratta dell’esercizio
del Tummo e dell’Orbita Microcosmica. Nelle più antiche tradizioni
del Laya Kriya e del Tao questi esercizi vengono utilizzati per donare
vitalità, forza e longevità.
Il Gtum’mo (o Tummo)
Fra i segreti più custoditi per rivitalizzare il corpo fisico ci sono le
tecniche del Laya Yoga, ossia le Laya Kriya, che provocano l’ascesa
della Kundalinî lungo il canale Sushumnâ.
Secondo questi antichi insegnamenti il risveglio della Kundalinî si
caratterizza normalmente per la comparsa di alcuni sintomi molto particolari, il principale dei quali è il calore psichico.
L’allievo incomincia a percepire delle correnti che scorrono su e
giù lungo la spina dorsale, circolando anche nella regione del plesso
solare. Con la pratica le correnti diventano calde al punto che se
qualcuno appoggia una mano sulla colonna vertebrale della persona,
sentirà distintamente delle onde di calore proprio in corrispondenza
dei chakra che vengono raggiunti dalla Kundalinî in ascesa.
Queste onde di calore fluiscono dalla base della colonna vertebrale
fino alla sommità della regione cervicale.
Nel XX secolo, Alexandra David-Neel contribuì molto a
diffondere in Occidente la conoscenza di un’antica pratica tibetana: il
Tummo o Gtum’mo, ma la fama di questa pratica varcò le frontiere
dell’Asia già durante l’impero romano; Cicerone ne parla nel
Tusculanae, a riprova che la sua origine è antecedente all’introduzione
del Buddhismo in Tibet.
Attraverso il Tummo gli yogi tibetani riescono a far crescere il
calore psichico nel loro organismo al punto da resistere al freddo più
intenso e poter vagare nudi, o semplicemente coperti da un abito lungo
di cotone, sulle montagne innevate dell’Himalaya, oppure da far
sciogliere la neve intorno a loro, o ancora, asciugare indumenti umidi
che ricoprono il loro corpo.
Evans-Wentz 48 descrive così questa pratica:
“Secondo gli insegnamenti segreti, la parola Gtum’mo indica un
modo per estrarre prana dalla riserva inesauribile costituita dalla
natura e per serbarlo nella batteria del corpo umano. Esso verrà
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poi utilizzato per trasformare il liquido seminale in una energia
sottile che sprigiona un calore interno psico-fisico, che poi circola
nei canali del sistema nervoso simpatico”.
Jaques Keyaerts 49 commenta così le parole di Evans-Wentz: “[...] la pratica del Gtum’mo permette all’iniziato di accumulare
energia cosmica nella quale si esplica la forza sessuale.
Quest’ultima subisce una trasformazione: è sviata dal suo obiettivo
abituale e, circolando nel corpo psichico, sprigiona un intenso
calore. Che sia vero o meno, questo insegnamento permette
all’adepto di ottenere risultati spettacolari”.
È proprio il sesto rito tibetano che ci permette di accedere a questa
prodigiosa tecnica energetica, dirottando l’energia sessuale dalla scarica orgasmica al corpo fisico, nutrendo così il calore psichico che,
lasciato scorrere liberamente su e giù lungo la spina dorsale e nella
regione del plesso solare, crea delle correnti di energia sempre più
calde. In altre parole, il calore psichico può accrescere la sua energia
quando l’energia sessuale non viene più dispersa all’esterno, bensì
incanalata all’interno del corpo.
Se desideriamo sperimentare la pratica di questo straordinario esercizio, dopo aver eseguito il sesto rito tibetano possiamo incominciare
a lasciare salire e scendere l’energia lungo la spina dorsale guidandola
con la nostra attenzione, in modo continuativo e senza interruzione.
Percepiremo con sempre maggiore facilità questo calore muoversi e
crescere lungo la colonna vertebrale insegnando al corpo a rilassarsi.
Inizialmente riusciremo a mantenere la concentrazione solo per
qualche minuto, ma con la pratica ci accorgeremo di poter eseguire
l’esercizio per tempi sempre più lunghi e sentire l’energia che,
progressivamente più calda, incomincerà a scaldare anche tutta la
regione addominale del plesso solare (centro Hara).
Il calore incomincerà a diffondersi in tutte le parti del corpo che
abbisognano di energia curativa e rivitalizzante. La mente diventerà
sempre più quieta e silenziosa perché l’attenzione sarà catturata dalle
meravigliose sensazioni che la pratica saprà donarci. Al termine dell’esercizio è consigliabile concentrare l’energia nel centro Hara con
l’esercizio visto in precedenza (cap.5) per non rischiare accumuli
eccessivi in qualche parte del corpo.
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“Gli indiani del nord-ovest si servono dell’asse centrale del corpo
per le loro pratiche di guarigione”.
John Mann e Lar Short, Corpo di Luce, cit.
7. Il quarto livello di energia
Premessa
Abbiamo visto che la dinamica energetica del Sushumnâ Yoga si
sviluppa su quattro livelli distinti di energia vitale, ai quali accediamo
in modo graduale e naturale tramite l’esercizio quotidiano di questa
antica disciplina.
Nel primo livello i movimenti dinamici dei Riti Tibetani donano
vitalità e forza all’organismo attraverso il lavoro muscolare, l’allungamento dei tendini e il movimento simultaneo della colonna vertebrale.
Nel secondo livello è stata introdotta la dinamica del Sushumnâ
Yoga. Qui, la respirazione addominale forzata e le contrazioni bandha
permettono all’energia vitale di fluire prima all’interno del bacino, per
poi salire verso l’alto lungo il principale canale energetico del corpo:
il Sushumnâ-nâdî. Il movimento dell’addome stimola e attiva l’Hara a
ogni respiro.
Nel terzo livello si introduce il sesto rito, strumento prezioso non
solo per far scorrere quantità crescenti di energia, ma anche per mantenere libero da ostruzioni il canale energetico che procede all’interno
della colonna vertebrale e che, come la canna fumaria di un camino,
aspira l’energia che si condensa nel bacino, lasciandola fluire fino al
capo. Questa azione di “tiraggio” del Sushumnâ-nâdî stimola tutti i
chakra e in particolare modo i primi due: il Mûlâdhâra, situato nel
perineo, e lo Svâdhisthâna, sito alla base della colonna vertebrale, permettendo all’energia vitale di entrare sempre più copiosa nel nostro
organismo.
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Ogni volta che viviamo uno stato di desiderio sessuale, i chakra
inferiori del nostro corpo lasciano fluire all’interno del bacino grandi
quantità di energia vitale che, se lo desideriamo, possiamo far salire
nel resto dell’organismo, attraverso il sesto rito, e trasformare in fonte
preziosa di benessere, di vitalità, guarigione e ringiovanimento.
Questa dinamica permette al corpo di diventare ogni giorno più
sano e leggero, accrescendo la nostra voglia di realizzare e di vivere
con entusiasmo la vita.
IL QUARTO LIVELLO DI ENERGIA: LA DINAMICA DI
ACCUMULO ENERGETICO CON IL RESPIRO ASCENSIONALE
L’attività orgasmica riduce fortemente la vitalità dell’organismo
sia nell’uomo che nella donna; per questo motivo più diminuiamo il
numero degli orgasmi, sostituendoli con il sesto rito, e maggiormente
si eleva il livello di vitalità del corpo. Proprio quest’ultimo assioma ci
introduce al quarto livello di energia del Sushumnâ Yoga, quello
dell’accumulazione energetica.
Accediamo al quarto livello man mano che sostituiamo ogni forma
di scarica orgasmica con il sesto rito. Il dover rinunciare
all’abbandono meraviglioso dell’orgasmo sembrerà a molti inaudito e
spiacevole, ma chi avrà il desiderio di addentrarsi in questa magica
alchimia presto scoprirà un piacere così grande nel sentire l’energia
vitale che va a nutrire e rivitalizzare il proprio corpo che non accetterà
più l’idea di disperdere all’esterno di sé questa meravigliosa forza.
Nel rapporto sessuale è possibile praticare il sesto rito nella forma
del respiro ascensionale appena visto nel paragrafo precedente, in
quanto esso ci permette di non interrompere l’amplesso nel quale
siamo impegnati.
Durante il rapporto sessuale, non appena incominciamo a percepire
che la nostra sensibilità fisica sta crescendo e ci sta portando verso
l’orgasmo, senza interrompere il movimento nel quale siamo
impegnati, facciamo una profonda espirazione svuotando il più
possibile i polmoni, l’addome rientra spontaneamente verso il suo
interno, eseguiamo alcune contrazioni con il muscolo PC restando in
apnea (vuota) fin quando riusciamo a trattenere il fiato; quindi
inspiriamo profondamente dal naso, restiamo qualche istante in apnea
piena ed espirando riprendiamo a respirare normalmente.
Il respiro ascensionale, facendo salire verso l’alto solo una parte
dell’energia vitale che si sta accumulando nel bacino, riduce la
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pressione che inevitabilmente condurrebbe velocemente il corpo
all’orgasmo, permettendoci così di continuare nell’atto sessuale, senza
incorrere nella scarica orgasmica.
Non appena sentiamo nuovamente crescere la soglia
dell’eccitazione, eseguiamo un altro respiro ascensionale, in modo da
allontanare nuovamente lo stimolo orgasmico.
Quando i numerosi respiri ascensionali avranno fatto svanire dolcemente il nostro stato di eccitazione, potremo abbandonarci nelle
braccia del partner immersi in un meraviglioso stato di benessere e di
grande leggerezza e vitalità.
LA CRESCITA DELLA SENSIBILITÀ FISICA
Durante il rapporto sessuale ogni respiro ascensionale fa fluire
all’interno del nostro corpo grandissime quantità di energia vitale che
ne accrescono la sensibilità fisica, rendendoci capaci di provare le più
alte vette di piacere mai raggiunte, e nutrendo il corpo di un’energia
preziosa che dona salute e giovinezza.
L’atto sessuale si prolunga a nostro piacimento, trasformandosi in
una fonte inesauribile di vitalità e di piacere.
Dopo alcuni respiri ascensionali, con i quali facciamo fluire nel
resto del corpo parte dell’energia vitale che si accumula nel basso
ventre, ci accorgeremo di vivere stati di benessere così elevati e
durevoli, che il piacere provato nel brevissimo attimo dell’orgasmo ci
sembrerà ben poca cosa al confronto.
L’INNALZAMENTO DELL’ENERGIA FISICA
Con il Sushumnâ Yoga l’energia fisica si accresce progressivamente, rendendoci dinamici, intraprendenti, con sempre più voglia di vivere, di fare e di realizzare nuovi progetti.
Le ore di sonno necessarie per riposarci si ridurranno sensibilmente
e ci troveremo ad avere più tempo a disposizione per costruire e creare
la vita che desideriamo.
Sentiremo in noi una crescente vitalità che ci renderà sempre più
forti e capaci di affrontare con successo tutte le meravigliose sfide che
la vita ci offre.
Il Sushumnâ Yoga ci porta a vivere la sessualità semplicemente
come un piacevole e naturale strumento per lasciare fluire l’energia
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vitale all’interno del corpo. Ogni stato di desiderio sessuale altro non è
che un mezzo a disposizione dell’organismo per attrarre a sé l’energia
vitale che gli permette di curarsi e rivitalizzarsi.
Imparare a nutrire la propria sessualità diventa importantissimo per
la salute, soprattutto con l’avanzare dell’età, e questo
indipendentemente dal fatto se abbiamo, oppure no, una vita sessuale
di coppia. Vivremo la sessualità come mezzo naturale per aprire il
corpo all’energia universale, nella quale vive immerso, e per questo
avvertiremo ogni stato di eccitazione del corpo semplicemente come
un’apertura naturale dei suoi canali energetici, attraverso i quali
l’energia vitale potrà prendersi cura di noi.
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CONCLUSIONI: EFFETTI DELL’INNALZAMENTO ENERGETICO
L’aumento del livello energetico, oltre a influire positivamente
sulla salute, aiutando il corpo nel suo processo di autoguarigione, dona
al nostro organismo un aspetto più salutare e giovanile e ha
importantissime ripercussioni sulla nostra realtà psichica.
Al crescere dell’energia vitale, migliora in noi lo stato d’animo e il
modo di percepire la vita, insieme a una più positiva visione di essa.
Sentiamo come la voglia di fare, e soprattutto di crescere e di
migliorarci, sia strettamente legata al livello energetico del nostro
corpo.
Con la pratica incominciamo a percepire noi stessi sempre più forti
e dinamici, in grado di affrontare ogni situazione. Sentiremo di avere
forza fisica non solo per noi stessi, ma anche da donare agli altri.
Al crescere del livello energetico acquisiremo più lucidità mentale,
concentrazione e memoria.
Con un livello più elevato di energia fisica migliora tutta la nostra
vita; ogni esperienza viene percepita in modo completamente diverso
rispetto a quando la vivevamo su un livello inferiore di vitalità.
Aumenta anche la nostra forza realizzativa, sotto ogni punto di vista.
Abbiamo più energia a disposizione per realizzare i desideri e
recuperare efficienza in ogni aspetto della vita.
Su questo cammino una nuova passione ci conquisterà; quella per
l’accrescimento dell’energia vitale in noi, indipendentemente dalla
nostra età anagrafica.
È meraviglioso vedere persone, anche molto avanti negli anni,
riscoprire la passione per la propria vitalità e come essa si trasformi in
un prezioso stimolo emotivo per la conquista di sempre nuovi
traguardi.
Se desideriamo sperimentare una dinamica di evoluzione e di
crescita, capace di sospingerci verso livelli sempre più elevati di
consapevolezza, di gioia e di amore per la vita, allora il nostro
compito è innanzitutto quello di lavorare per innalzare la vitalità
fisica. Questo farà sì che avremo finalmente l’energia che ci
supporterà nel processo di evoluzione, generando progressivamente un
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miglioramento di tutta la nostra vita, dal livello più materiale a quello
più spirituale.
Il corpo è animato e plasmato da un’Intelligenza che sovrintende
ogni suo singolo processo. La scienza ci insegna che ogni parte
dell’organismo non svolge le sue funzioni in modo casuale e
disordinato, ma risponde a una precisa dinamica Intelligente, che la
guida con la massima precisione in ogni funzione. Il calo dell’energia
fisica inibisce e disturba questo naturale processo intelligente,
generando disfunzioni, malattie e invecchiamento.
La crescita energetica manifesterà i suoi effetti già dalle prime settimane di pratica e, all’aumentare del livello dell’energia fisica,
assisteremo a una progressiva regressione naturale di tutti i nostri
malesseri.
E ora, che il miracolo si compia
70
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