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La definizione di conflitto armato nel diritto internazionale

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La definizione di conflitto armato nel diritto internazionale
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
ISTITUTO DI DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE
EUROPEA
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN
DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA
CICLO XXIII
La definizione di conflitto armato nel diritto internazionale
umanitario
TUTOR
Chiar.mo Prof. Paolo Palchetti
DOTTORANDO
Dott.ssa Renata Tallarico
COORDINATORE
Chiar.mo Prof. Paolo Palchetti
ANNO 2011
1
INDICE
INTRODUZIONE ------------------------------------------------------------------------------------------- 4
CAPITOLO I: LE CATEGORIE DI CONFLITTO ARMATO QUALI RISULTANO DAI
TRATTATI DI DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO -------------------------------- 7
Introduzione --------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 7
1. La definizione di conflitto armato internazionale contenuta nell‘art. 2 comune alle quattro
Convenzioni di Ginevra del 1949. --------------------------------------------------------------------------------- 11
2. La definizione di conflitti armati non internazionali contenuta nelle convenzioni di diritto
internazionale umanitario. ------------------------------------------------------------------------------------------- 19
3. La definizione di conflitto armato non internazionale contenuta nell‘art. 8, par. 2 (f), dello
Statuto della Corte Penale Internazionale. ---------------------------------------------------------------------- 36
4. Conclusioni. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------- 38
CAPITOLO II: I CONFLITTI ARMATI “INTERNAZIONALIZZATI” --------------------- 40
Introduzione ------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 40
1.La qualificazione del conflitto in caso di sostegno dato da uno Stato a gruppi armati operanti in
un altro Stato. ----------------------------------------------------------------------------------------------------------- 43
2. L‘intervento diretto dell‘esercito di uno Stato terzo in un conflitto interno a sostegno di una
delle fazioni in lotta. --------------------------------------------------------------------------------------------------- 49
3. L‘intervento dello Stato terzo a favore del governo legittimo in lotta contro fazioni interne. -- 53
4. L‘applicazione del diritto umanitario a conflitti armati interni pre-esistenti qualora subentri
un fattore di ―internazionalizzazione‖: approccio ―misto‖ ed approccio ―globale‖. --------------- 54
4.1 La teoria dell‘approccio misto--------------------------------------------------------------------------- 54
4.2 La teoria dell‘approccio globale ------------------------------------------------------------------------ 56
5. La fine di un conflitto armato internazionalizzato. -------------------------------------------------------- 58
CAPITOLO III: IL TERRORISMO E LA QUALIFICAZIONE DEI CONFLITTI
ARMATI ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 64
Introduzione ------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 64
1. La nozione di terrorismo nel diritto internazionale -------------------------------------------------------- 66
1.1. Diritto internazionale umanitario e terrorismo ------------------------------------------------------- 68
1.2. La nozione autonoma di terrorismo internazionale ------------------------------------------------- 72
2. Qualificazione dei conflitti armati e ‗war on terror'. ------------------------------------------------------ 78
2
2.1. La prassi americana ed israeliana favorevole al riconoscimento del terrorismo come
conflitto armato ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 80
2.2. La posizione spagnola a seguito degli attentati terroristici del 2004 --------------------------- 87
2.3. La posizione del Regno Unito all‘indomani degli attentati terroristici del 2005 ------------ 90
3. Conclusioni ----------------------------------------------------------------------------------------------------------- 91
CAPITOLO IV: LE AZIONI ARMATE CONDOTTE DA UNO STATO CONTRO
GRUPPI ARMATI NON STATALI SUL TERRITORIO DI UN ALTRO STATO. --------- 94
Introduzione ------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 94
1. Legittima difesa contro attacchi di privati e implicazioni sul piano della qualificazione del
conflitto.------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 96
2. I problemi di qualificazione del conflitto sollevati dall‘intervento armato degli Stati Uniti in
Afghanistan contro Al Qaeda.--------------------------------------------------------------------------------------102
3. La posizione della Corte Suprema americana in relazione al riconoscimento della guerra al
terrorismo come conflitto armato internazionale. ------------------------------------------------------------106
4. La reazione armata di Israele contro gli Hezbollah in Libano. ---------------------------------------111
5. Il problema dell‘inquadramento giuridico di azioni armate contro gruppi non statali che
coinvolgono lo Stato territoriale. ---------------------------------------------------------------------------------117
6. Conclusioni ----------------------------------------------------------------------------------------------------------122
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ------------------------------------------------------------------- 134
3
Introduzione
Recenti sviluppi hanno accresciuto in modo significativo il dibattito
scientifico riguardante gli elementi e le caratteristiche che identificano la
nozione di conflitto armato nel diritto internazionale umanitario. Il dibattito è
alimentato da diversi fattori come l‟emergere di situazioni di violenza
perpetrate da gruppi armati non statali ma anche della tesi, avanzata
soprattutto dagli Stati Uniti d‟America, che la “guerra al terrorismo” sia un
conflitto armato.
Come è noto, a seguito degli attentati terroristici dell‟11 settembre
2001, il Governo statunitense ha sostenuto l‟esistenza di una c.d. “global war
on terror”, nella quale rientravano le azioni armate che gli Stati avrebbero
intrapreso nei confronti del gruppo terroristico di Al Qaeda. Attraverso la
nozione di “global war on terror” il Governo statunitense ha operato una
propria ricostruzione delle regole di diritto internazionale umanitario
applicabile nei casi di azioni armate contro gruppi terroristici, partendo
dall‟idea che tale nozione non sarebbe potuta ricadere né nella definizione di
conflitto armato internazionale né in quella di conflitto armato non
internazionale, così come definite dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 e dai
due Protocolli addizionali. La ricostruzione delle regole di diritto
internazionale umanitario fatta dall‟Amministrazione americana, soprattutto in
materia di trattamento dei detenuti, ha sollevato numerosi interrogativi in
4
dottrina intorno alla nozione di conflitto armato e all‟adeguatezza delle
categorie previste dai trattati di diritto internazionale umanitario a disciplinare
tali azioni armate contro gruppi terroristici1. La difficoltà riscontrata in
dottrina quanto alla classificazione degli interventi armati è particolarmente
evidente se si prendono in considerazione le divergenze emerse nelle
valutazioni delle recenti azioni armate condotte rispettivamente dagli Stati
Uniti in Afghanistan e da Israele in Libano.
Il presente studio, oltre a ripercorrere il più recente dibattito sulla
guerra al terrorismo, si propone di analizzare la nozione di conflitto armato
sulla base di un più generale approccio che terrà quindi in considerazione le
diverse tipologie di conflitti che sono emersi nella prassi. Peraltro, la
qualificazione di una situazione come conflitto armato è condotta nella
prospettiva di stabilire se sussistano le condizioni per l‟applicazione delle
disposizioni del diritto internazionale umanitario o se sia sufficiente
l‟applicazione del diritto dei diritti umani.
Oltre al caso di azioni armate contro gruppi terroristici, un esempio di
conflitto non facilmente classificabile in base alle regole convenzionali, che
verrà trattato nei capitoli di studio seguenti, è il c.d. conflitto armato
1
Tra i molti autori che hanno affrontato l‟analisi della tesi statunitense giungendo a posizioni
anche molto diverse basta qui ricordare Lietzau, Combating Terrorism: Law Enforcement or
War?, in Schmitt e Beruto, Terrorism and international law, Challenges and Responses, San
Remo, 2002, p. 80; M. Sassoli, “Terrorism and War”, in JICJ 2006, p. 959 ss. e Balendra,
Defining Armed Conflict, Working Paper, New York, 2007, p. 2463.
5
“internazionalizzato” che presenta simultaneamente caratteristiche di conflitto
armato interno ed internazionale2.
Inoltre, il presente studio cercherà di analizzare quali siano i requisiti
da soddisfare per poter qualificare atti di terrorismo come conflitti armati. Alla
luce di recenti avvenimenti, inoltre, il riconoscimento di atti di terrorismo, di
qualsiasi natura ed intensità, come situazioni di conflitto armato ha portato
alcuni Stati a fare uso di esecuzioni mirate o vere e proprie azioni militari
contro gruppi armati transnazionali stanziati sul territorio di Stati terzi.
Vedremo quindi quale sia il ruolo del diritto internazionale umanitario in
relazione a tali fattispecie concrete. L‟ultimo capitolo sarà dedicato al
problema di come debba essere qualificato il conflitto condotto da uno Stato
contro un gruppo armato nel territorio di uno Stato terzo.
2
J. Stewart, Hacia una definicion unica de conflicto armado en el derecho internacional
umanitario. Una crítica de los conflictos armados internacionalizados, in Revista Internacional
de la Cruz Roja, 2003. E‟ possibile reperire anche la versione inglese: J. Stewart, Towards a
single definition of armed conflict in International Humanitarian law: A critique of
internationalized armed conflict, in IRRC, 2003.
6
CAPITOLO I: Le categorie di conflitto armato
trattati di diritto internazionale umanitario
quali risultano dai
Sommario: Introduzione. - 1. La definizione di conflitto armato internazionale
contenuta nell‟art. 2 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949. - 2.
La definizione di conflitti armati non internazionali contenuta nei trattati di
diritto internazionale umanitario. – 3. La definizione di conflitto armato non
internazionale contenuta nell‟art. 8 par. 2(f) dello Statuto della Corte Penale
internazionale.- 4. Conclusioni.
Introduzione
Il dibattito in dottrina circa la nozione di conflitto armato muove
generalmente dalle definizioni contenute nelle Convenzioni di Ginevra del
1949 e nei Protocolli Addizionali del 1977, che rappresentano il nucleo
fondante delle regole di diritto umanitario3. Come è noto, questi accordi
compiono una distinzione fondamentale tra due categorie di conflitto armato:
3
Convenzione sul miglioramento della sorte dei feriti e dei malati delle forze armate in
campagna, firmata a Ginevra il 12 agosto 1949; Convenzione sul miglioramento della sorte dei
feriti, dei malati e dei naufraghi delle forze marittime, firmata a Ginevra il 12 agosto 1949;
Convenzione sul trattamento dei prigionieri di guerra, firmata a Ginevra il 12 agosto 1949;
Convenzione sulla protezione dei civili in tempo di guerra, firmata a Ginevra il 12 agosto 1949 ed
i Protocolli Addizionali; Protocollo Addizionale I alle Convenzioni di Ginevra, firmato a Ginevra
l‟8 giugno 1977 e Protocollo Addizionale II alle Convenzioni di Ginevra, firmato a Ginevra l'8
giugno
1977.
Per
maggiori
approfondimenti
http://www.icrc.org/Web/Eng/siteeng0.nsf/htmlall/genevaconventions. Il diritto internazionale
classico distingueva tra tre diverse tipologie di conflitti armati: 1. La guerra (tra due o più Stati);
2. La guerra civile (considerata essenzialmente come affare interno e quindi non soggetto al
diritto internazionale); 3. Resort to force short of war (uso della forza limitato nel tempo e con
7
1. I conflitti armati internazionali, che si caratterizzano per il fatto
che le parti al conflitto sono due o più Stati4;
2. I conflitti armati non internazionali, ossia conflitti tra forze armate
di uno Stato e gruppi armati non statali o solo tra gli stessi gruppi armati.
Questi ultimi conflitti sono distinti in conflitti che rientrano nell‟art. 3 comune
alle Convenzioni di Ginevra del 1949 e conflitti armati non internazionali che
ricadono nella definizione contemplata dall‟art. 1 del II Protocollo
addizionale5.
Tuttavia, a parte queste indicazioni di massima, non è sempre chiaro
stabilire quali siano le differenze o i criteri identificativi delle nozioni di
conflitto armato internazionale e non internazionale6. L‟identificazione delle
differenze e dei criteri distintivi è complessa anche perché la nozione di
“conflitto armato” non appare del tutto statica; difatti, tale definizione è talora
uno scopo ben preciso. Con la Carta delle Nazioni Unite del 1945 e le Convenzioni di Ginevra del
1949 fu introdotta una nuova regolamentazione che ha reso “quasi” impossibile agli Stati eludere
il divieto di fare ricorso alla guerra e l‟applicazione del diritto internazionale umanitario. Per
maggiori approfondimenti Schindler, The Different Types of Armed Conflicts According to the
Geneva Conventions and Protocols, in RCADI, 1979, pp.125-127.
4
Si veda, per tutti, J. Pejic, Status of Armed conflict, in E. Wilmshurst e S. Breu, Perspectives on
the ICRC Study on Customary International Humanitarian Law, Cambridge, 2007, pp. 79-80.
Sembra che non ci sia alcuna obiezione in dottrina all‟idea che il conflitto armato internazionale è
necessariamente un conflitto avente natura inter-statale.
5
Sul punto cfr. International Committee of the Red Cross (ICRC), How is the term ―Armed
Conflict‖
Defined
in
International
Humanitarian
Law,
2008,
http://www.icrc.org/web/eng/siteeng0.nsf/htmlall/armed-conflict-article-170308?opendocument.
6
J. Pejic, Status of Armed conflict, in E. Wilmshurst e S. Breu, Perspectives on the ICRC Study
on Customary International Humanitarian Law, Cambridge, 2007, p. 78.
8
soggetta a processi di ridefinizione per riuscire a farvi rientrare situazioni che
non appaiono a prima vista catalogabili nelle categorie tradizionali. In
particolare, i problemi sollevati dal terrorismo internazionale portano oggi a
ripensare il paradigma del conflitto armato per includere l‟ampia varietà delle
risposte degli Stati al terrorismo7.
La presente indagine muoverà dall‟esame della nozione di “conflitto
armato” usato nelle Convenzioni di Ginevra e nei Protocolli aggiuntivi,
ponendo in evidenza quelle situazioni che, pur non apparendo contemplate,
almeno a prima vista, nella definizione così come contemplata dal diritto
umanitario convenzionale8, si sono manifestate nella prassi. Peraltro, occorre
ricordare che oltre a casi apparentemente non rientranti nelle definizioni del
diritto convenzionale, anche la netta distinzione operata dal Diritto
internazionale umanitario, tra norme applicabili ai casi di conflitto armato
internazionale e norme applicabili ai casi di conflitto armato a carattere non
internazionale, è stata oggetto, nel tempo, di considerazioni critiche. Molti
autori considerano tale distinzione come “arbitraria” perché non basata su
un‟osservazione oggettiva della realtà. Alcuni autori sostengono che i conflitti
armati nel mondo reale non sempre possano essere incasellati perfettamente in
7
N. Balendra, Defining Armed Conflict, Working Paper, New York, 2007, p. 2467. Sul tema, si si
vedano anche M.Sassoli, Transnational Armed Groups and International Humanitarian Law, in
HPCR Occasional Paper Series, New York, 2006; J. Fitzpatrick, Speaking Law to Power: The
war against Terrorism and Human Rights, in European Journal of international Law, 2003.
8
N. Balendra, Defining Armed Conflict, Working Paper, New York, 2007, p. 2468.
9
una delle due categorie – internazionale o non internazionale9. Altri ancora
ritengono che l‟alto livello di generalità, legato alla definizione giuridica di
conflitto, renda la qualificazione di una situazione di violenza suscettibile di
valutazione politica10.
Le tensioni emerse intorno alla definizione di conflitto armato, hanno
condotto recentemente il Comitato Internazionale della Croce Rossa ad
avviare una analisi, conclusasi nel marzo 2008, sulla definizione di “conflitto
armato”11. Lo studio del Comitato assume particolare rilevanza ai fini del
presente studio.
9
G. Aldrich, The laws of war on land, in American Journal of International Law, 2000, p.62. Si
veda anche R.J. Dupuy e A. Leonetti, la notion de conflict armé à caractère non International, in
A. Cassese, The New Humanitarian Law of Armed Conflict, Napoli, 1971, p. 258.
10
J. Pejic, Status of Armed conflict, in E. Wilmshurst e S. Breu, Perspectives on the ICRC Study
on Costumary International Humanitarian Law, Cambridge, 2007, p. 79-80. Il livello di
generalità cui fa riferimento la Pejic è legato alla tendenza da parte del Consiglio di Sicurezza
ONU, dell‟Assemblea Generale ONU, delle organizzazioni inter-governative regionali; delle
Corti Nazionali ed anche delle Corti Internazionali di adottare sentenze, risoluzioni o altri
strumenti facendo ricorso al solo termine “conflitto”, lasciando quasi sempre aperta la questione
del tipo di conflitto. A tal proposito, l‟autrice argomenta questa affermazione portando alcuni
esempi come il caso delle ostilità avutesi in Cecenia. Nel 1995 la Corte Costituzionale Russa
affermò l‟applicabilità del II Protocollo addizionale ai combattimenti in Cecenia ma quando le
ostilità ripresero nel 1999, l‟Esecutivo si riferì all‟accaduto come azioni terroristiche. Per
approfondimenti sullo status legale qualificazione della situazione in Cecenia si veda L. Moir, The
Law of internal Armed Conflict, Cambridge, 2002. Schindler, The Different Types of Armed
Conflicts According to the Geneva Conventions and Protocols, in RCADI, 1979, p.129.
11
in
International Committee of the Red Cross (ICRC), How is the Term ―Armed Conflict‖ defined
International
Humanitarian
Law?,
Opinion
Paper,
Marzo
2008,
http://www.icrc.org/web/eng/siteeng0.nsf/htmlall/armed-conflict-article-170308?opendocument.
Il conferimento di tale compito da parte degli Stati è reso possibile ex art. 5 par. 2 lettera g dello
10
Analizzando le convenzioni internazionali pertinenti in materia, la
dottrina, la prassi e la giurisprudenza si cercherà di capire se, su base
consuetudinaria o anche per analogia, sia possibile un‟interpretazione
estensiva della nozione di conflitto armato e quindi una consequenziale
applicazione del diritto internazionale umanitario in casi di difficile
classificazione.
1. La definizione di conflitto armato internazionale contenuta
nell‟art. 2 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949.
La definizione ed i requisiti identificativi di una situazione di violenza
come conflitto armato internazionale sono contenuti nell‟art. 2 comune alle
quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 che prevede quanto segue:
1. In addition to the provisions which shall be
implemented in peace time, the present Convention shall
apply to all cases of declared war or of any other armed
conflict which may arise between two or more of the
High Contracting Parties, even if the state of war is not
recognized by one of them.
2. The Convention shall also apply to all cases of partial
or total occupation of the territory of a High Contracting
Statues of the International Red Cross and Red Crescent Movement …”to work for the
understanding and dissemination of knowledge of international humanitarian law applicable in
armed conflict and to prepare any development thereof‖…
11
Party, even if the said occupation meets with no armed
resistance.
3. Although one of the Powers in conflict may not be a
party to the present Convention, the Powers who are
parties thereto shall remain bound by it in their mutual
relations. They shall furthermore be bound by the
Convention in relation to the said Power, if the latter
accepts and applies the provisions thereof.
In base al paragrafo 1 dell‟art. 2 comune, i conflitti armati
internazionali sono tali solo se vedono contrapporsi le c.d. “Alte Parti
Contraenti”, ossia Stati. In relazione a quanto appena affermato, i conflitti
armati internazionali sono da considerarsi tali se uno o più Stati ricorrono alla
forza armata contro un altro Stato, senza
prendere in considerazione le
ragioni che hanno portato allo scoppio delle ostilità o senza riguardo
all‟intensità dello scontro. Dalla norma si evince chiaramente che le
Convenzioni di Ginevra si applicano ai casi rientranti nella categoria giuridica
di conflitto armato internazionale, anche in assenza di una formale
dichiarazione di guerra o in caso di mancato riconoscimento dello stato di
guerra. L‟esistenza o meno di un conflitto armato internazionale sembra
quindi dipendere solo da condizioni fattuali. Attraverso l‟adozione di questa
soluzione, la disposizione in esame persegue lo scopo di evitare che gli Stati
possano escludere o eludere l‟applicazione del DIU sulla base di puri
12
formalismi.12. In conclusione, l‟applicabilità del diritto internazionale
umanitario è automatica nel momento in cui si da avvio alle ostilità in termini
anche unicamente operativi13.
Inoltre, per alcuni autori,
il paragrafo 1 dell‟art. 2 comune,
implicherebbe che le Convenzioni si applichino a tutti i casi di guerra
dichiarata, indipendentemente dal fatto che uno Stato dia o meno seguito a
tale dichiarazione con alcun tipo di ostilità14. Si sostiene inoltre che ai fini
dell‟esistenza o meno di un conflitto armato è irrilevante che gli Stati coinvolti
si riconoscano reciprocamente come governi legittimi15.
In senso contrario, alcuni autori hanno sostenuto che in assenza di
criteri formali sia compito degli Stati valutare se una situazione implicante
l‟uso della forza armata, inclusi gli incidenti di frontiera, costituisca un
12
Per maggiori approfondimenti si faccia riferimento al Report on the Work of the Preliminary
Conference of National Red Cross Societies for the study of the conventions and of Various
problems relative to the Red Cross, Geneva, July 26 August, 1946, p.15.
13
Commentary on the Convention (I) for the Amelioration of the Condition of the wounded and
sick in Armed Forces in the Field. Geneva, 12 August 1949. Il Commentario è reperibile
all‟indirizzo
http://www.icrc.org/ihl.nsf/COM/365-570005?OpenDocument.
Per
maggiori
approfondimenti si veda Schindler, The Different Types of Armed Conflicts According to the
Geneva Conventions and Protocols, in RCADI, 1979, p.125-163.
14
Schindler, The Different Types of Armed Conflicts According to the Geneva Conventions and
Protocols, in RCADI, 1979, p.132. L‟autore per argomentare i casi di Guerra dichiarata ma senza
avvio di ostilità, fa riferimento alla Seconda guerra Mondiale quando, molti Stati LatinoAmericani dichiararono guerra contro le Potenze dell‟Asse senza mai partecipare alle ostilità.
15
How is the term ―Armed Conflict‖ Defined in International Humanitarian Law? International
Committee of the Red Cross (ICRC), Opinion Paper, Marzo 2008. Si veda anche Fleck, The
Handbook of humanitarian Law in armed Conflicts, Oxford, 1995.
13
conflitto armato al quale si applica il diritto internazionale umanitario16.
Questa tesi mette in evidenza come la valutazione politica di una situazione
implicante l‟uso della forza possa influire sull‟applicazione del diritto
internazionale umanitario, sollevando quindi la questione di un necessario
adeguamento del diritto a situazioni giuridicamente incerte. A tal proposito,
come già osservato, l‟applicazione del diritto umanitario dovrebbe avvenire
automaticamente ma la mancanza di criteri di identificazione formale, invece
di garantire una generale applicazione del diritto, facilitano gli Stati nel
disconoscere i casi riconducibili alla categoria di conflitto internazionale. Il
nobile intento del paragrafo 1 dell‟art 2 comune di favorire la certezza del
diritto viene quindi aggirato dalla valutazione politica delle Parti in conflitto.
La disposizione prevista dal par. 2 dell‟art. 2 comune estende
l‟applicazione del diritto internazionale umanitario ai casi di parziale o totale
occupazione militare del territorio di una delle Parti contraenti, anche qualora
non vi sia alcuna resistenza da parte dello Stato o della popolazione soggetta
ad occupazione. Tale disposizione potrebbe sembrare superflua poiché, in
mancanza di resistenza militare, non sarebbe possibile identificare le vittime,
ma il valore di questo paragrafo si manifesta in relazione alla protezione che
16
Si veda per tutti Dinstein, War, Aggression and Self-Defence, Cambridge, 2005, p.11-15.
14
garantisce non tanto alle persone quanto ai i beni, alle strutture e alla proprietà
più in generale17.
Continuando l‟analisi dell‟articolo 2 comune alle Convenzioni di
Ginevra, il paragrafo 3 contempla il caso in cui il conflitto armato veda
contrapporsi uno Stato parte delle Convenzioni e uno o più Stati non parti
delle stesse. Sullo stesso punto, l‟art. 96 par. 2 del I Protocollo Addizionale
contiene una norma che ribadisce in sostanza quanto previsto dall‟art. 2, par.
318. L‟unica differenza riscontrabile tra le due disposizioni è di tipo
terminologico: se nell‟art. 2 comune alle Convenzioni si parla di Powers
(Potenze), nel I Protocollo Addizionale si parla di Parties (Parti). A questo
proposito sarebbe da chiedersi cosa si intenda per “Potenze”, come previsto
dall‟art. 2, par. 3 comune alle Convenzioni, e cosa si intenda per “Parte”,
come previsto dall‟art. 96 par. 2 del I Protocollo Addizionale. Con questi
termini si intendono gli Stati che possono accedere alle Convenzioni ed al
Protocollo, inclusi gli Stati non-riconosciuti. In realtà, l‟uso dei due termini
non si limita alla considerazione dello Stato in quanto tale ma lascia dedurre
che tali categorie includano anche le Nazioni Unite nonché gli insorti in una
17
Commentary on the Convention (I) for the Amelioration of the Condition of the wounded and
sick in Armed Forces in the Field. Geneva, 12 August 1949. Il Commentario è visionabile
all‟indirizzo http://www.icrc.org/ihl.nsf/COM/365-570005?OpenDocument.
18
Art. 96 par. 2 I Protocollo Addizionale: “Se una delle Parti in conflitto non è legata dal
presente Protocollo, le Parti del presente Protocollo resteranno vincolate nondimeno da
quest‘ultimo nei loro reciproci rapporti. Esse saranno inoltre vincolate dal presente Protocollo
verso la detta Parte, se questa ne accetta e ne applica le disposizioni‖.
15
guerra civile, nel caso in cui fossero considerati come Party o Power dal
Governo a cui essi si oppongono. Così i termini suddetti non includono solo
gli Stati ma anche altre entità19.
La seconda parte del par. 3 non risulta rilevante ai fini
dell‟identificazione di una situazione di violenza come conflitto internazionale
ma è importante nel definire l‟ambito di applicazione del diritto internazionale
umanitario. Difatti, tale disposizione subordina l‟applicazione del diritto
umanitario alla formale accettazione dello Stato non contraente. A questo
proposito ci si chiede cosa accadrebbe nel caso in cui lo Stato non contraente
si rifiutasse di applicare il diritto internazionale umanitario: la Parte contraente
può considerarsi sciolta dall‟obbligo di rispettare le disposizioni in questione?
In realtà tale disposizione contenuta al paragrafo 3 non è chiara. Se si vanno
ad analizzare i lavori preliminari alle Convenzioni del 1949, è facile notare
che esse riconoscono l‟esigenza di dare applicazione al DIU sin dal momento
in cui le ostilità hanno inizio, almeno fino alla notifica delle intenzioni
(accettazione o rifiuto) della Parte non contraente20.
19
Schindler, The Different Types of Armed Conflicts According to the Geneva Conventions and
Protocols, in RCADI, 1979, p.130. Per indicazioni sul punto si veda anche Seyersted, United
Nations Forces and Law of peace and war, Leyden, 1966, pp. 352-383.
20
Forse questa interpretazione potrebbe non essere una soluzione interamente giuridica basata su
un‟ esegesi letterale ma secondo ICRC, questa è l‟unica soluzione ragionevole partendo dallo
spirito con il quale sono state scritte ed adottate le Convenzioni. Commentary on the Convention
(I) for the Amelioration of the Condition of the wounded and sick in Armed Forces in the Field.
Geneva,
12
August
1949.
Il
Commentario
è
visionabile
all‟indirizzo
http://www.icrc.org/ihl.nsf/COM/365-570005?OpenDocument.
16
La prima delle due condizioni che devono essere soddisfatte affinché le
Convenzioni siano applicabili, ai sensi del par. 3 dell‟art. 2, concerne
l‟accettazione espressa da parte dello Stato non contraente; la seconda
riguarda l‟applicazione de facto delle Convenzioni. Circa il primo
presupposto, il Commentario dell‟ICRC (International Committee of the Red
Cross) afferma che l‟accettazione dovrebbe avvenire in base ad una
dichiarazione formale dello Stato parte del conflitto ma non contraente delle
Convenzioni. Tale dichiarazione potrebbe non essere necessaria nel caso in
cui uno Stato non contraente agisca in modo conforme alle regole previste dal
DIU21. Difatti, sembra essere sufficiente soddisfare il secondo requisito per far
applicare il diritto internazionale umanitario così come previsto dalle
Convenzioni del 1949. Non vi è alcuna condizione che identifichi
l‟accettazione espressa come requisito necessario per l‟applicazione da parte
di uno Stato non contraente22.
Dopo aver analizzato, paragrafo per paragrafo, l‟art. 2 comune alle
Convenzioni in materia di applicazione del diritto dei conflitti internazionali,
rimane da chiarire quale sia il passaggio che ha portato a preferire il termine
“conflitto armato” a quello di “guerra”.
21
Commentary on the Convention (I) for the Amelioration of the Condition of the wounded and
sick in Armed Forces in the Field. Geneva, 12 August 1949. Il Commentario è visionabile
all‟indirizzo http://www.icrc.org/ihl.nsf/COM/365-570005?OpenDocument.
22
Ibidem.
17
Un motivo che ha spinto a promuovere l‟utilizzo del termine
“conflitto” può essere ricondotto all‟infinito dibattito attorno all‟esatta
definizione di “guerra”. David, nell‟analizzare i motivi che hanno portato a
tale cambiamento, riconosce la coesistenza di una ragione terminologica e di
una giuridica. La ragione terminologica risiede nella stessa nozione di
“conflitto armato”, che sembra ricomprendere un più largo spettro di
situazioni rispetto al termine di “guerra”, il quale invece ha un significato
piuttosto restrittivo23. La ragione giuridica risiederebbe invece nello stesso art.
2, par. 1 comune alle quattro Convenzioni in cui si afferma che l‟applicazione
non avviene solo in caso di “guerra dichiarata”24. Come già osservato, in ogni
caso in cui tra due o più Stati si ricorra ad operazioni di tipo militare si parlerà
di conflitto armato, anche se le Parti, o una delle due, dovessero negarne
l‟esistenza per il fatto che non vi è stata una formale dichiarazione di guerra.
In tal modo, la nozione di conflitto ricomprende un più ampio spettro di atti di
natura ostile, tale per cui gli Stati risultano avere un margine d‟azione limitato
nell‟identificare azioni implicanti l‟uso della forza come meri atti di polizia.
23
E. David, Principes de Droit des Conflits armes, Bruxelles, 1994, p.93-95.
24
Ibidem.
18
2. La definizione di conflitti armati non internazionali contenuta
nelle convenzioni di diritto internazionale umanitario.
Prima di affrontare l‟esame della definizione di conflitto armato non
internazionale, è necessario avere chiaro il funzionamento generale del
sistema del diritto internazionale umanitario applicabile nei diversi casi
convenzionalmente
riconosciuti.
A
tal
proposito,
per
agevolare
la
comprensione del sistema delle regole applicabili alle fattispecie concrete,
David ha esemplificato il diritto internazionale umanitario utilizzando un
sistema di cerchi concentrici,25definendo quanto segue:
1.
Il nucleo centrale sarebbe costituito dalle regole minime
applicabili a tutti i conflitti armati (art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra
del 1949 e l‟art. 19 della Convenzione dell‟Aja del 1954);
2.
Nel cerchio intermedio, alle regole minime se ne aggiungono
altre applicabili a conflitti armati non internazionali di una certa entità;
3. Nel cerchio esterno, si inseriscono l‟insieme delle regole del diritto
dei conflitti armati internazionali.
Nello specifico, in caso di conflitti armati non internazionali, il
contenuto delle regole applicabili cambia a seconda delle caratteristiche del
conflitto. Più il conflitto armato non internazionale è grave, più sono
25
E. David, Principes de Droit des Conflits armes, Bruxelles, 1994, p.93-95. Nella tesi
dell‟autore ogni cerchio corrisponde ad un tipo di conflitto armato e le regole presenti nel cerchio
centrale si applicano anche ai conflitti situati nei cerchi periferici, l‟inverso non è mai possibile.
19
numerose e complesse le regole del diritto internazionale umanitario che ad
esso si applicano. Al contrario, se un conflitto armato rimane di importanza
limitata ad esso si applicheranno solo le regole minime26.
I paragrafi seguenti si occuperanno della definizione di conflitto
armato non internazionale e delle principali disposizioni pattizie in materia.
I conflitti non aventi natura internazionale sono contemplati nelle
seguenti disposizioni:
-
L‟art. 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 194927;
-
Il II Protocollo Addizionale del 1977.
L‟art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra del 1949 così recita:
―In the case of armed conflict not of an international
character occurring in the territory of one of the High
Contracting Parties, each Party to the conflict shall be
bound to apply, as a minimum, the following provisions:
(1) Persons taking no active part in the hostilities,
including members of armed forces who have laid down
their arms and those placed hors de combat by sickness,
26
27
E. David, Principes de Droit des Conflits armes, Bruxelles, 1994, pp.102-117.
La disciplina umanitaria che regola i conflitti armati non internazionali ha trovato espressione
solo con l‟art. 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra. In precedenza, le guerre civili erano
considerate una questione rientrante nel dominio esclusivo e riservato degli Stati. Con
l‟introduzione dell‟art. 3 comune alle quattro Convenzioni del 1949, vengono dettate le
diposizioni atte a costituire il minimo standard umanitario cui le parti in conflitto, ossia il governo
legittimo e gli insorti, hanno l‟obbligo di attenersi. Ibidem, p.102.
20
wounds, detention, or any other cause, shall in all
circumstances be treated humanely, without any adverse
distinction founded on race, colour, religion or faith, sex,
birth or wealth, or any other similar criteria. To this end
the following acts are and shall remain prohibited at any
time and in any place whatsoever with respect to the
above-mentioned persons:
(a) violence to life and person, in particular murder of all
kinds,
mutilation,
cruel
treatment
and
torture;
(b) taking of hostages;(c) outrages upon personal dignity,
in particular, humiliating and degrading treatment;(d) the
passing of sentences and the carrying out of executions
without previous judgment pronounced by a regularly
constituted court affording all the judicial guarantees
which are recognized as indispensable by civilized
peoples.
(2) The wounded and sick shall be collected and cared for.
An impartial humanitarian body, such as the International
Committee of the Red Cross, may offer its services to the
Parties to the conflict. The Parties to the conflict should
further endeavor to bring into force, by means of special
21
agreements, all or part of the other provisions of the
present Convention.The application of the preceding
provisions shall not affect the legal status of the Parties to
the conflict.‖
Come chiarito nel par. 1 della norma in esame, l‟applicazione delle
disposizioni in essa contenute valgono solo nel caso in cui sussista un
“conflitto armato non avente carattere internazionale”. Ciò che si deduce
immediatamente dall‟art. 3, a differenza di quanto contemplato dall‟art. 2
comune analizzato nei paragrafi precedenti, è che la norma in esame non fa
alcun riferimento a quali siano le caratteristiche che determinano quando
ricorre un conflitto non internazionale. Difatti, non menziona alcun requisito
necessario all‟identificazione di tale nozione. Per esempio, non viene
affrontata la questione della soglia minima di intensità delle ostilità, che come
vedremo
successivamente, è
invece
contemplata
dal
II
Protocollo
addizionale28.
L‟art. 3 comune alle quattro Convenzioni del 1949 non fornisce
indicazioni precise sulla questione di sapere quando ricorre un conflitto non
28
Ronzitti, Diritto Internazionale dei Conflitti armati, Torino, 2006, p. 321. L‟autore osserva
come il minimo standard garantito dall‟art. 3 sia ben al di sotto dei diritti garantiti dagli strumenti
internazionali in materia di diritti umani. Inoltre afferma che al di sotto di tali standard c‟è solo la
barbarie.
22
internazionale; esso ha tuttavia il merito di dettare le diposizioni atte a
costituire il minimo standard umanitario29.
Il par. 1 dell‟art. 3 comune stabilisce in quale caso le norme in esso
contenute trovano applicazione, a tal proposito chiarisce che tale applicazione
avviene quando un ―conflitto armato privo di carattere internazionale
scoppia sul territorio di una delle Alte Parti contraenti‖. La norma identifica
il primo requisito indispensabile perché le disposizioni, in essa definite,
vengano applicate. A tal proposito, la ratifica universale delle Convenzioni di
Ginevra fa sì che la condizione per cui lo scoppio debba avvenire sul territorio
di uno Stato contraente, nei fatti, perda di importanza30. Tale requisito aveva
valore durante la fase transitoria di ratifica delle Convenzioni del 1949, in cui
non tutti gli Stati si erano vincolati al rispetto delle norme in esse contenute e
quindi risultava necessario stabilire un criterio di applicazione, ma ora a
seguito dell‟avvenuta ratifica da parte di tutti gli Stati, il criterio in esame ha
perso sostanzialmente valore.
29
E. David, Principes de Droit des Conflits armes, Bruxelles, 1994, p.95-100. L‟autore si
sofferma anche sul fatto che l‟art. 3, in realtà, presuppone la soggettività internazionale non solo
del legittimo governo ma anche degli insorti, anch‟essi titolari di situazioni giuridiche soggettive
e tenute al rispetto delle disposizioni ivi contenute. Inoltre, l‟autore si chiede come gli insorti
possano essere vincolati dall‟art. 3 dal momento che è loro impedita una formale adesione alle
Convenzioni. Per maggiori approfondimenti si vedano i lavori preparatori al Protocollo sulle mine
annesso alla Convenzione sulle armi inumane in cui viene specificato che le parti del conflitto, a
prescindere se Stato o insorti, sono obbligate ad applicare le disposizioni del Protocollo.
30
Per maggiori approfondimenti si veda Sassoli, Transnational Armed Groups and International
Humanitarian Law, Boston, 2006.
23
L‟espressione “non internazionale”, come specificazione giuridica del
conflitto, è riferita alla partecipazione alle ostilità di uno o più gruppi armati
non governativi. Tale condizione, relativa alla natura delle parti in conflitto
non è contenuta nell‟art. 3 comune ma verrà successivamente chiarita
dall‟analisi del II Protocollo.
Pur non chiarendone la natura, l‟articolo in esame fa espressamente
richiamo a “ciascuna delle Parti belligeranti” quindi, la sua applicazione
dipende dal presupposto che siano almeno due le Parti in conflitto.
Ovviamente il problema non sorge in relazione al coinvolgimento dello Stato
ma, molti dubbi possono sorgere nell‟identificare un gruppo armato non
statale come “Parte” delle ostilità31. A seconda delle situazioni i conflitti
armati non internazionali possono vedere contrapporsi le forze armate
governative e i gruppi armati o anche i soli gruppi armati tra di loro.
La sostanziale mancanza di una definizione di conflitto armato a
carattere non internazionale ha spinto molti delegati presenti alla Conferenza
diplomatica del 1949 a sostenere che l‟art. 3 copra tutti i casi in cui si ricorra
all‟uso della forza come in situazioni di anarchia, di ribellioni ed anche di atti
31
J. Pejic, Status of Armed conflict, in E. Wilmshurst e S. Breu, Perspectives on the ICRC Study
on Costumary International Humanitarian Law, Cambridge, 2007, p.85. Anche in questo caso
l‟identificazione non avviene attraverso criteri stabiliti ma sempre su base fattuale e prassi,
inoltre, il diritto umanitario necessita di parti identificabili perché la realtà dei conflitti armati,
qualunque sia la tipologia, prevede regole che si basano sull‟assunto che vi siano diritti e doveri
reciproci.
24
di vandalismo32. Alla Conferenza diplomatica furono presentate alcune
proposte atte a delimitare il campo di applicazione della disposizione in
esame,
introducendo
alcuni
criteri
identificativi
del
carattere
non
internazionale di conflitto armato33. Tuttavia, l‟introduzione di questi criteri
non fu accolta. Nonostante ciò, il Comitato della Croce Rossa Internazionale
ha voluto identificare, sulla base degli emendamenti presentati dagli Stati in
occasione della stessa Conferenza diplomatica, una lista di criteri atti a
chiarire il carattere non internazionale di un conflitto34. Tali criteri sono
generalmente utilizzati come requisiti da soddisfare per il riconoscimento
delle situazioni di conflitto35.
Si tratta dei seguenti criteri:
1.
La Parte in rivolta contro il governo legittimo deve possedere
una forza militare organizzata, un autorità responsabile, che agisce in un
32
Il Commentario all‟art.3 Comune a tutte le Convenzioni di Ginevra realizzato dall‟ICRCè
visionabile all‟indirizzo web http://www.icrc.org/ihl.nsf/COM/365-570006?OpenDocument
33
Per maggiori nformazioni sulle proposte presentate dagli Stati parte alla Conferenza del 1949 si
faccia riferimento a International Committee of the Red Cross (ICRC), How is the term ―Armed
Conflict‖ Defined in International Humanitarian Law?, Opinion Paper, Marzo 2008,
http://www.icrc.org/web/eng/siteeng0.nsf/htmlall/armed-conflict-article 170308?opendocument.
34
Il Commentario all‟art.3 Comune a tutte le Convenzioni di Ginevra realizzato dall‟ICRC
http://www.icrc.org/ihl.nsf/COM/365-570006?OpenDocument .
35
in
International Committee of the Red Cross (ICRC), How is the term ―Armed Conflict‖ Defined
International
Humanitarian
Law?,
Opinion
Paper,
Marzo
2008,http://www.icrc.org/web/eng/siteeng0.nsf/htmlall/armed-conflict-article170308?opendocument.
25
determinato territorio e ha i mezzi per garantire il rispetto delle Convenzioni.
Il carattere organizzato dell‟ente belligerante è un elemento di assoluta
importanza per l‟identificazione di una situazione di conflitto come conflitto
armato non internazionale a cui si applicano le norme del DIU. In assenza di
tale requisito l‟art. 3 comune e il II Protocollo addizionale non trovano
applicazione. Il che sta a significare che le azioni armate, a prescindere dal
livello di intensità, se perpetrate da gruppi non organizzati, non sono coperte
dal diritto internazionale umanitario.
2.
Il governo parte del conflitto dovrebbe ricorrere a forze armate
regolari contro gli insorti organizzati come forza militare e in possesso
(controllo) di una parte del territorio;
3. Il governo parte del conflitto deve riconoscere agli insorti lo status
di belligeranti36.
Come affermato in relazione all‟applicazione delle disposizioni
contenute nell‟art. 2 comune riguardo ai conflitti internazionali, anche le
disposizioni previste dall‟art. 3 comune dovrebbero essere applicate
sistematicamente in caso di conflitto armato non internazionale 37. Ma spesso,
anche in questo caso, il governo legittimo per evitare di applicare le
36
Schindler, The Different Types of Armed Conflicts According to the Geneva Conventions and
Protocols, in RCADI, 1979, p.163. Per una analisi dettagliata di questo criterio si faccia
riferimento a ICTY, Prosecutor v. Fatmir Limaj, Judgment, IT-03-66-T del 30 novembre 2005,
paragrafi 94-134.
37
Ibidem.
26
disposizioni in questione, in quanto timoroso di una internazionalizzazione del
conflitto, ne nega l‟esistenza benché l‟art. 3, ultimo comma, affermi
espressamente che la sua applicazione non comporta nessun effetto sullo
status delle parti in conflitto. Comunque, non essendo specificato dall‟art. 3
comune, l‟applicazione delle disposizioni non è subordinata né al
riconoscimento né tantomeno al rispetto del principio di reciprocità38.
Il II Protocollo addizionale del 1977 precisa ulteriormente i requisiti
necessari al riconoscimento di un conflitto come non internazionale ai fini
dell‟applicazione di quella convenzione.
L‟art. 1, paragrafo 2, del II Protocollo Addizionale alle Convenzioni di
Ginevra contiene una definizione più restrittiva di conflitto armato non
internazionale rispetto a quella contenuta all‟art. 3 comune:
― This Protocol, which develops and supplements Article
3 common to the Geneva Conventions of 12 August 1949
without modifying its existing conditions of application,
shall apply to all armed conflicts which are not covered by
Article 1 of the Protocol Additional to the Geneva
Conventions of 12 August 1949, and relating to the
Protection of Victims of International Armed Conflicts
(Protocol I) and which take place in the territory of a
High Contracting Party between its armed forces and
38
Ronzitti, Diritto Internazionale dei Conflitti armati, Torino, 2006, p.320.
27
dissident armed forces or other organized armed groups
which, under responsible command, exercise such control
over a part of its territory as to enable them to carry out
and military operations and to implement this Protocol.
2. This Protocol shall not apply to situations of internal
disturbances and tensions, such as riots, isolated and
sporadic acts of violence and other acts of a similar
nature, as not being armed conflicts.‖
A differenza dell‟art. 3 comune alle Convezioni, il quale, come è stato
detto in precedenza. manca di una sostanziale definizione dei criteri di
individuazione dei conflitti a natura non internazionale, il par. 2 dell‟art. 1 del
Protocollo addizionale del 1977 definisce una soglia minima di conflitto a cui
fare riferimento come criterio di identificazione in termini di non
internazionalità delle ostilità. Quindi, l‟art. 1 del II Protocollo esclude dalla
definizione di conflitto armato non internazionale le forme ridotte di violenza
quali disordini interni, tensioni, rivolte o atti di brigantaggio alle quali però
vanno comunque applicate le disposizioni previste dall‟art. 3 comune39.
Infatti, l‟art. 1 del II Protocollo Addizionale “sviluppa e completa l'art. 3
comune alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 senza modificarne le
39
in
International Committee of the Red Cross (ICRC), How is the term ―Armed Conflict‖ Defined
International
Humanitarian
Law?,
Opinion
Paper,
Marzo
2008,
http://www.icrc.org/web/eng/siteeng0.nsf/htmlall/armed-conflict-article-170308?opendocument.
28
condizioni attuali di applicazione”. Ciò sta a significare che la definizione di
conflitto armato non internazionale contenuta nel Protocollo in questione
trova fondamento nella sola applicazione delle disposizioni da esso previste
non modificando la normativa generale sui conflitti armati aventi natura non
internazionale contenuta nell‟art. 3 comune.
Ad ogni modo, l‟articolo in esame ha il merito di definire chiaramente i
requisiti in presenza dei quali uno scontro armato viene riconosciuto come
confitto non internazionale. Difatti in esso si afferma quanto segue:40:
1. Si introduce il requisito del controllo territoriale, che deve essere
tale da permettere ai gruppi armati non governativi di dimostrare di “condurre
operazioni militari prolungate e concertate e di applicare il presente
Protocollo‖.
2. Si delimitano i casi di applicazione delle norme contenute nel II
Protocollo addizionale affermando che esse si applicano solo quando il
conflitto ricorre tra le forze armate di un Governo e i gruppi armati
organizzati. Tuttavia, tale disposizione non chiarisce se uno scontro tra le sole
forze armate dissidenti possa essere ricondotto alla categoria di conflitto
armato non internazionale.
40
in
International Committee of the Red Cross (ICRC), How is the term ―Armed Conflict‖ Defined
International
Humanitarian
Law?,
Opinion
Paper,
Marzo
2008,
http://www.icrc.org/web/eng/siteeng0.nsf/htmlall/armed-conflict-article-170308?opendocument.
29
Importanti elementi aggiuntivi alla definizione di conflitto armato
avente natura non internazionale in ossequio all‟art. 3 comune sono stati
apportati dalla giurisprudenza dei tribunali internazionali.
Nel caso Abella41, ad esempio, la Corte Inter-americana per i diritti
umani si è pronunciata circa la natura di conflitto armato non internazionale di
un confronto armato, avvenuto nella base militare di Tablada nel 1989 e
durato solo 30 ore, tra un gruppo dissidente e le forze armate argentine. In
questa occasione la Corte ha riconosciuto a tale scontro natura di conflitto
armato non internazionale ex art. 3 comune alle quattro Convenzioni42. La
Corte ha mostrato una certa elasticità nell‟applicazione dell‟articolo in esame,
facendo valere anche il fatto che l‟art. 3 non indica una soglia minima di
conflitto come presupposto per l‟applicazione della disposizione comune alle
Convenzioni del 1949.
Inoltre, hanno contribuito in modo significativo anche le sentenze e le
decisioni del Tribunale internazionale per la ex Iugoslavia, che è stato
chiamato a giudicare gli eventi avvenuti in 3 differenti conflitti: in Croazia
(1991-95), in Bosnia-Erzegovina (1992-95) e in Kosovo (1998-99)43. L‟ICTY
(International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia) ha precisato che
41
42
Abella v. Argentina, 18 Novembre 1997 OEA/ser.L7V/II.98, doc.6 rev., 13 aprile 1998.
Ibidem. La Corte Inter-Americana ha identificato il confronto come conflitto armato
esaminando la nature degli atti ostili effettuati, il diretto coinvolgimento delle forze armate
governative, il livello e la natura della violenza avuta durante il conflitto in questione.
43
ICTY è una Corte internazionale ad-hoc istituita il 25 maggio del 1993 con la risoluzione 827
del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, ed è situata all'Aia, nei Paesi Bassi.
30
l‟esistenza di un conflitto armato non internazionale sussiste “whenever there
is a protracted armed violence between governmental authorities and
organized armed groups or between such groups within a State”44. L‟ICTY ha
specificato che l‟art. 3 comune comprende le situazioni in cui “several
factions fight each other without involvement of the government‘s armed
forces”45. Questo precedente è divenuto il punto di partenza per le successive
pronunce all‟interno dello stesso Tribunale Internazionale. In effetti, esiste
oggi una consistente prassi giurisprudenziale concernente la nozione di
conflitto armato come definito dall‟ICTY. A semplice titolo esemplificativo è
utile fare qui riferimento alla recente sentenza (3 aprile 2008) della Camera di
prima istanza del Tribunale Internazionale per la ex Iugoslavia (ICTY) nel
caso Prosecutor v. Ramush Haradinaj, Idriz Balaj e Lahi Brahimaj46. La Trial
Chamber I aveva il compito di decidere se sussistessero i presupposti per
constatare l‟esistenza o meno di un conflitto armato tra il KLA (Kosovo
Liberation Army) e le forze serbe. Tale identificazione era, prima di tutto,
finalizzata alla ricerca dei presupposti per affermare l‟esistenza di un conflitto
armato; il Tribunale avrebbe poi dovuto identificare la natura del conflitto internazionale o non internazionale. La constatazione dei presupposti è
44
Prosecutor v. Duško Tadić, Decision on the Defence Motion for Interlocutory Appeal on
Jurisdiction, Oct. 2, 1995, Case No. IT-94-1-AR72, ¶ 70.
45
B. Zimmermann, Commentaire des Protocoles additionales du 8 juin 1977 aux Conventions de
Genève du 12 aout 1949, Hague, pp. 34-55.
46
Prosecutor v. Ramush Haradinaj, Idriz Balaj and Lahi Brahimaj, Judgement, April 3, 2008,
Case No. IT-04-84-T.
31
avvenuta sulla base del criterio applicato nella sentenza resa nel noto caso
Tadić47.”
In accordo con le precedenti pronunce dell‟ICTY, la Trial Chamber ha
condotto l‟indagine partendo dall‟accertamento di due requisiti sostanziali:
“violenza armata protratta nel tempo” e “livello di organizzazione dei gruppi
armati”48. La Camera di prima istanza non ha preso in considerazione né i
lavori preparatori delle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 tanto meno il
Commentario dell‟ICRC all‟art. 3 comune alle Convenzioni né i criteri
definiti nell‟art. 1 (1) del II Protocollo Addizionale. Quanto alla circostanza
che la violenza armata debba essere protratta nel tempo, la Trial chamber ha
concluso che tale requisito deve essere interpretato in termini di intensità della
violenza più che di durata temporale della stessa. A tal proposito, sono stati
identificati i fattori indicativi dell‟esistenza di una violenza protratta: il
numero, la durata, l‟intensità dei singoli confronti, il tipo di armi utilizzato ed
altri equipaggiamenti militari utilizzati, il numero ed il calibro degli
47
Prosecutor v. Duško Tadić, Decision on the Defence Motion for Interlocutory Appeal on
Jurisdiction, Oct. 2, 1995, Case No. IT-94-1-AR72, ¶ 70. La sentenza in questione non ha preso in
considerazione il commentario: Pictet, Jean S. (ed.), Commentary I-IV, International Committee
of the Red Cross, Geneva, 1952-1960 http://www.icrc.org/ihl.nsf/CONVPRES?OpenView. La
Trial Chamber non ha fatto alcun riferimento all‟art. 1 del second Protocollo Addizionale che
stipula una differente soglia per I conflitti armati non internazionalli rispetto a quanto stbilito
dall‟art. 3 comune, infatti afferma quanto segue: ―…develops and supplements Article 3 common
to the Geneva Conventions of 12 August 1949 without modifying its existing conditions or
application”. Non sono stati presi in considerazione altri casi come e.g. La Tablada Base Case,
IACHR, Report 55/97, Case 11.137, Nov. 18, 1997.
32
armamenti sparati, il numero di persone e il tipo di forze che hanno preso
parte al combattimento, il numero delle vittime, l‟estensione della distruzione
materiale ed il numero dei civili fuggiti dalle zone di guerra. Inoltre, il
coinvolgimento del Consiglio di Sicurezza è considerato dal Tribunale come
un indice dell‟intensità di un conflitto, divenendo a sua volta un elemento da
prendere in considerazione per l‟identificazione e la classificazione di una
situazione di violenza49.
Il secondo criterio da rispettare perché si possa identificare l‟esistenza
di un conflitto armato è il livello di organizzazione dei gruppi. Dopo aver
analizzato le precedenti pronunce dell‟ICTY, la Trial Chamber ha concluso
che ―an armed conflict can exist only between parties that are sufficiently
organized to confront each other with military means‖50. In questo caso, la
49
Prosecutor v. Ramush Haradinaj, Idriz Balaj and Lahi Brahimaj, Judgement, April 3, 2008,
Case No. IT-04-84-T paragrafo 49. Visionabile all‟indirizzo web http://www.un.org/icty. La
Trial Chamber ha usato questi fattori indicativi per identificare, classificare e analizzare i fatti
rilevanti ai fini dell‟intensità del conflitto, scoprendo: “The attacks on the Ahmeti, Jashari, and
Haradinaj compounds between late February and late March 1998 marked a significant
escalation in the conflict between the KLA and the Serbian forces. However, they were isolated
events followed by periods of relative calm. The conflict intensified on 22 April 1998. Considering
in particular the frequent shelling in Dečani/Deçan municipality, the flight of civilians from the
countryside, the daily clashes between the KLA and the Serbian forces, and the unprecedented
scale of deployment of VJ [Yugoslav Army] forces on the ground and their participation in
combat, the Trial Chamber finds, on the basis of the evidence before it, that the conflict came to
meet the intensity requirement of the Tadić test on 22 April 1998.‖
50
Ibidem paragrafo 60. In accordo con il caso Tadić la Trial Chamber ha distinto tra le autorità di
governo e i gruppi armati. La Trial Chamber ha notato che che le autorità di governo avevano,
nella pratica dell‟ICTY, ―been presumed to dispose of armed forces that satisfy this criterion‖.
33
Corte ha utilizzato un approccio flessibile rispetto al livello di organizzazione
richiesto, soprattutto riguardo all‟“esistenza di una struttura di comando”.
Senza analizzare in alcun modo il rispetto del criterio di organizzazione da
parte delle forze serbe, la Trial Chamber ha concluso che “an armed conflict
existed in Kosovo/Kosova from and including 22 April 1998 onwards51”.
Riguardo ai gruppi armati, la Trial Chamber ha constatato che: ―Trial Chambers have relied on
several indicative factors, none of which are, in themselves, essential to establish whether the
―organization‖ criterion is fulfilled. Such indicative factors include the existence of a command
structure and disciplinary rules and mechanisms within the group; the existence of a
headquarters; the fact that the group controls a certain territory; the ability of the group to gain
access to weapons, other military equipment, recruits and military training; its ability to plan,
coordinate and carry out military operations, including troop movements and logistics; its ability
to define a unified military strategy and use military tactics; and its ability to speak with one
voice and negotiate and conclude agreements such as cease-fire or peace accords. La Trial
Chamber è ricorsa nuovamente ai fattori indicativi come un mezzo per classificare e analizzare il
caso di Haradinaj et al. e ha constatato che: “In addition to many hundreds if not thousands of
full-fledged KLA soldiers in early 1998, the months of March and April saw a surge in the
number of KLA volunteers. This contributed to the development of a mainly spontaneous and
rudimentary military organization at the village level. The evidence shows, in April, the initial
phases of a centralized command structure above the various village commands, in particular
through the efforts of Ramush Haradinaj, who was consolidating de facto authority. By this time,
the KLA also controlled, by the presence of checkpoints and armed soldiers, a considerable
amount of territory in the Dukagjin area. It had established logistics that provided access to
considerable numbers of weapons, although they may not have been sufficient to arm all the new
recruits. Furthermore, the evidence establishes that KLA soldiers received at least rudimentary
military training and used guerrilla tactics. Finally, the KLA issued communiqués in its name. On
the basis of this evidence, [...]” La Trial Chamber ha considerato che dal 22 aprile 1998 il KLA
(Kosovo Liberation Army) poteva essere qualificato come un “gruppo armato organizzato” in
ossequio al test del caso Tadić .
51
Prosecutor v. Ramush Haradinaj, Idriz Balaj and Lahi Brahimaj, Judgement, April 3, 2008,
Case No. IT-04-84-T paragrafo 100. Visionabile all‟indirizzo web http://www.un.org/icty.
34
Purtroppo il valore di precedente della sentenza appena descritta risulta
essere limitato, in quanto la Corte ha tenuto conto solo della giurisprudenza
dell‟ICTY. Sono comunque ancora pendenti altri casi che potrebbero portare a
nuovi sviluppi52.
Continuando l‟analisi della giurisprudenza di tribunali internazionali,
anche il Tribunale ad hoc per il Rwanda53 ha dato il proprio contributo in
materia di identificazione dei requisiti per l‟esistenza di conflitti armati non
internazionali. La Corte di Appello si è espressa affermando che “an armed
attack exists whenever there is resort of armed forces between States or
protracted armed violence between Government authorities and organized
armed groups or between such groups within a State”54. Questa definizione, al
contrario di quanto stabilito dall‟ICTY, esclude gli attacchi da parte delle
52
A. Cullen e M. Divac Öberg, Prosecutor v. Ramush Haradinaj et al.: The International
Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia and the Threshold of Non-International Armed
Conflict in International Humanitarian Law, in ASIL, 2008. Un altro caso in cui dovrà essere
affrontata la questione dell‟identificazione degli eventi come conflitto armato sarà il Boškoski
and Tarčulovski case.
53
Il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda è un tribunale speciale creato l'8 novembre
1994 per giudicare i responsabili del Genocidio ruandese e di altre gravi forme di violazioni dei
diritti umani commessi sul territorio ruandese o da cittadini ruandesi negli Stati confinanti dal 1
gennaio al 31 gennaio 1994. Le risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
riguardo all'ICTR sono stare quattro:Risoluzione 955 dell'8 novembre 1994 che stabiliva la
nascita del tribunale; Risoluzione 977 del 7 febbraio il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
disponeva che la sede del tribunale fosse ad Arusha, in Tanzania; Risoluzione 978 del 27 febbraio
1995 imponeva la collaborazione di tutti gli stati dell'ONU con il tribunale; Risoluzione 1165 del
30 aprile 1998 creazione di una terza camera.
54
Decisione della Camera di Appello del Tribunale ad hoc per il Rwanda del 2 ottobre 1995, par.
70, p. 37.
35
autorità di governo di uno Stato contro una parte della popolazione civile. I
due Tribunali per il Rwanda e per la ex Iugoslavia hanno quindi una diversa
formulazione dello stesso crimine e parametri diversi per l‟identificazione di
un conflitto armato pur appartenendo ad uno stesso sistema che è quello delle
Nazione Unite.
Oltre al contributo della giurisprudenza dei Tribunali Internazionali,
l‟art. 1 e l‟art. 7 dello Statuto del Tribunale per il Rwanda estendono la propria
giurisdizione anche agli Stati confinanti. L‟introduzione di questo elemento
aggiuntivo sta a significare che anche quando le ostilità si estendono al di là
dei confini di uno Stato la situazione di violenza continuerà ad essere
riconosciuta come conflitto armato non internazionale. A tal proposito, la
Zegveld sostiene che “internal conflicts are distinguished from international
armed conflicts by the parties involved rather than by the territorial scope of
the conflict.”55
3. La definizione di conflitto armato non internazionale contenuta
nell‟art. 8, par. 2 (f), dello Statuto della Corte Penale Internazionale.
Una definizione di conflitto armato non internazionale è contenuta
anche nello Statuto della Corte Penale internazionale che all‟art. 8, par. 2(f),
così recita:
55
Zegveld, Accountability of armed opposition groups in international law, Cambridge, 2002, p.
136.
36
“ (f)
Paragraph 2 (e) applies to armed conflicts not of
an international character and thus does not apply to
situations of internal disturbances and tensions, such as
riots, isolated and sporadic acts of violence or other acts
of a similar nature. It applies to armed conflicts that take
place in the territory of a State when there is protracted
armed conflict between governmental authorities and
organized armed groups or between such groups56.”
Tale definizione è meno restrittiva rispetto a quella disposta dall‟art. 1
del II Protocollo addizionale. In essa, infatti, non si fa alcuna menzione di
requisiti quale, per esempio, il controllo territoriale57.
La definizione contenuta nell‟art. 8, par. 2(f), si pone come via di
mezzo tra le due norme contemplate rispettivamente nelle Convenzioni di
Ginevra del 1949 e nel II Protocollo Addizionale, ponendo dei limiti di
applicazione rispetto all‟art. 3 comune e riducendo i criteri limitativi contenuti
56
Lo Statuto di Roma del Tribunale Penale Internazionale è stato stipulato il 17 luglio del 1998 e
definisce in dettaglio la sua giurisdizione ed il sua funzionamento. Lo Statuto è entrato in vigore il
1 luglio 2002 alla ratifica dello Statuto di Roma da parte del sessantesimo Stato.
57
International Committee of the Red Cross (ICRC), How is the term ―Armed Conflict‖ Defined
in International Humanitarian Law?, Opinion Paper, Marzo 2008, visionabile all‟indirizzo web
http://www.icrc.org/web/eng/siteeng0.nsf/htmlall/armed-conflict-article-170308?opendocument.
Il controllo di un‟area territoriale da parte del gruppo armato parte nel conflitto è uno dei requisiti
previsti dall‟articolo 1 del II Protocollo Addizionale per identificare il conflitto come non
internazionale. Si faccia riferimento a quanto detto a p. 28 del precedente paragrafo.
37
nell‟art. 1 del II Protocollo58. Difatti, alcuni autori sostengono che lo Statuto di
Roma della Corte Penale Internazionale agisca come lex posterior in relazione
alla definizione contemplata dal II Protocollo59, ampliando il campo di
applicazione del diritto rispetto all‟art.1 del II Protocollo addizionale ed
escludendo alcune tipologie di scontro che rientrerebbero quindi nella sfera di
competenza dello Stato.
4. Conclusioni.
L‟analisi svolta sino ad ora ha permesso di avere chiaro il quadro
normativo di riferimento delle tipologie di conflitto quali risultato dai trattati
di diritto internazionale umanitario. A tal proposito, le stesse tipologie di
conflitto contemplate dal diritto internazionale umanitario risultano essere
difficilmente identificabili sulla base delle norme di riferimento, soprattutto
riguardo ai conflitti di natura non internazionale. Difatti essi trovano
espressione nell‟art. 3 comune in termini di applicazione del diritto, ma non in
termini di criteri di riconoscimento, che si ritrovano invece nell‟art. 1 del II
Protocollo Addizionale e in parte dall‟art. 8 (f) dello Statuto di Roma. Ma
mentre le Convenzioni di Ginevra sono state universalmente ratificate, gli altri
due strumenti internazionali trovano parziale applicazione dato il rispettivo
58
59
E. David, Principes de Droit des Conflits armes, Bruxelles, 1994, p.129.
Ibidem.. Si veda anche J. Pejic, “Status of Armed conflict”, in E. Wilmshurst e S. Breu,
Perspectives on the ICRC Study on Costumary International Humanitarian Law, Cambridge,
2007, p.89.
38
stato di ratifica60. Oltretutto, gli avvenimenti ultimi hanno dimostrato che
molti conflitti armati recenti non possono essere ricompresi nelle categorie
così come definite nel quadro normativo di riferimento poiché implicanti
elementi che afferiscono a due o più categorie o poiché aventi peculiarità non
contemplate da nessuno degli strumenti normativi di cui sopra61. Alcuni autori
hanno focalizzato la propria attenzione sulla questione di una mancata o
parziale definizione di alcuni casi di conflitto armato mentre altri, quali la
Pejic, hanno sostenuto che una definizione rigorosa di conflitto armato non
porta alla soluzione totale del problema, in quanto solo la conoscenza dei fatti,
un‟attenta analisi e un approccio secondo buona fede ai criteri fissati dai
trattati, possono consentire l‟identificazione di una situazione come conflitto
armato – internazionale o non internazionale62.
L‟analisi affrontata nei
capitoli successivi approfondirà la prassi degli Stati e la giurisprudenza dei
tribunali nazionali ed internazionali.
60
Le convenzioni di Ginevra del 1949 sono state ratificate universalmente (2000), sono 194 gli
Stati che si sono vincolati al rispetto delle norme sancite dai quattro Trattati Internazionali in
materia di diritto umanitario, mentre il II Protocollo Addizionale è stato ratificato sino ad oggi da
107 Stati e lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale è stato ratificato da 165 Stati
esclusi gli USA (2008). Per maggiori informazioni sullo stato dei trattati internazionali è
visionabile il sito web http://untreaty.un.org/ .
61
Per tutti, Schindler, The Different Types of Armed Conflicts According to the Geneva
Conventions and Protocols, in RCADI, 1979, p.153.
62
Ibidem.
39
CAPITOLO II: I conflitti armati “internazionalizzati”
Sommario: Introduzione - 1. La qualificazione del conflitto in caso di
sostegno dato da uno Stato a gruppi armati operanti in un altro Stato - 2.
L‟intervento diretto di truppe militari di uno Stato terzo in un conflitto interno. –
3. L‟intervento dello Stato terzo a favore del governo legittimo in lotta contro
fazioni interne – 4. L‟applicazione del diritto umanitario a conflitti armati interni
pre-esistenti qualora subentri un fattore di “internazionalizzazione”: approccio
“misto” ed approccio “globale”. 4.1 La teoria dell‟approccio misto – 4.2 La teoria
dell‟approccio globale – 5. La fine di un conflitto armato internazionalizzato -6.
Conclusioni
Introduzione
In relazione alla classificazione dei conflitti, alcuni autori hanno
sostenuto che tale distinzione operata dalle convenzioni di diritto umanitario è
piuttosto arbitraria in quanto non fondata su dati di fatto ricavati da un‟analisi
della realtà63. Sulla base di un esame delle diverse posizioni in dottrina, questo
capitolo si prefigge principalmente lo scopo di capire se la classificazione tra
tipi di conflitto prevista dalle convenzioni di diritto internazionale umanitario
63
R.J. Dupuy, A. Leonetti, La notion de conflit armé à caractère non international, in A. Cassese,
The new humanitarian Law of Armed Conflict, Napoli, 1971, p. 258. Si veda anche G. Aldrich,
The Laws of war on land, American Journal of International Law, Vol.94, 2000, p.62 “Reality can
be messy, and armed conflicts in the real world do not always fit neatly into the two categories –
international and non international- into which international humanitarian law is divided”.
40
esistenti sia adeguata o meno rispetto a fattispecie aventi in sé elementi sia
internazionali che non internazionali.
Tra il 1946 e il 2001 i conflitti armati esplosi a livello mondiale sono
stati più di 225, la maggioranza dei quali hanno e avevano natura inter-statale.
In particolare, un numero sempre crescente di ostilità hanno carattere
“internazionalizzato”, come nel caso dei conflitti armati in Angola, in Bosnia
e nel Kashmir. Ciò che bisogna subito considerare in relazione alla definizione
di conflitto “internazionalizzato” è che non esiste alcuna norma convenzionale
che faccia riferimento o definisca tale nozione. Questa è utilizzata in dottrina64
per definire situazioni anomale di conflitto che non sono facilmente
riconducibili alle categorie tradizionali così come riconosciute dal diritto
internazionale umanitario. Quando ci si riferisce ad un “conflitto armato
internazionalizzato” si intende un conflitto apparentemente interno che
presenta alcuni elementi caratteristici di un conflitto internazionale per effetto
del coinvolgimento nelle aree di lotta di uno Stato terzo65. Si considerino i
seguenti casi esemplificativi66:
64
Per tutti si vedano, D. Schindler, International Humanitarian Law and internationalized
internal armed conflicts, International review of Red Cross, n.230, 1982, J. G. Stewart, Towards a
single definition of armed conflict in the International Humanitarian law: A critique of
internationalized armed conflict, RICR, Vol.85, 2003, S. Vité, Typology of armed conflicts in
international humanitarian law: legal concepts and actual situation, RICR, Vol. 92, March 2009.
65
D. Schindler, International Humanitarian Law and internationalized internal armed conflicts,
International review of Red Cross, n.230, 1982, p.255.
66
Per maggiori approfondimenti si faccia riferimento a J. G. Stewart, Towards a single definition
of armed conflict in the International Humanitarian law: A critique of internationalized armed
41
1.
Due o più Stati che intervengono militarmente in un conflitto
interno ad un altro Stato a sostegno dei gruppi non statali in lotta tra loro,
come è avvenuto nel caso dell'intervento del Rwanda, dell‟Angola, dello
Zimbabwe, dell‟Uganda e di altri Stati a sostegno delle fazioni in guerra nella
Repubblica Democratica del Congo dal 1998;
2.
Un conflitto che coinvolge uno o più Stati stranieri a sostegno di
insorti contro il governo legittimo, dove lo Stato o gli Stati terzi non entrano a
far parte delle ostilità in modo diretto ossia attraverso azioni militari67.
3.
Lo Stato terzo interviene a favore dello Stato territoriale
impegnato in un conflitto armato interno contro gruppi armati.
Con il proliferare delle armi di distruzione di massa durante la guerra
fredda i conflitti sono stati spesso combattuti dagli Stati non attraverso
l‟impiego diretto del proprio esercito ma attraverso il sostegno indiretto a
gruppi armati di individui. Si è parlato a questo proposito delle c.d. “wars by
proxy”. Uno dei casi esemplificativi di questa “nuova” tipologia di conflitti si
è avuto quando gli Stati Uniti hanno dato sostegno ai contras in Nicaragua nei
conflict, RICR, Vol.85, 2003. Stewart definisce le tre tipologie di conflitto internazionalizzato
come segue: “1. War between two internal factions both of which are backed by different States;
2. Direct hostilities between two foreign States that militarily intervene in an internal armed
conflict in support of opposing sides and 3. War involving a foreign intervention in support of an
insurgent group fighting against en established government”.
67
S. A. Egorov, The Kosovo crisis and the law of armed conflicts, International Review of the
Red Cross, n. 837, p.183.
42
primi anni „8068. Dalla fine della guerra fredda, le motivazioni che hanno
spinto e che spingono gli Stati ad intervenire in caso di guerra civile sono
sicuramente mutate. Infatti, sono subentrati altri motivi quali l‟accresciuta
interdipendenza economica ossia la c.d. globalizzazione, l‟incremento
numerico degli Stati in possesso di armi nucleari e l‟aumento di casi di
terrorismo nonché la sempre maggiore scarsità di risorse naturali.
1.La qualificazione del conflitto in caso di sostegno dato da uno Stato
a gruppi armati operanti in un altro Stato.
Nonostante, molti sono stati nella prassi i casi di conflitti interni
divenuti “internazionalizzati”, sembra non esservi una posizione unanime in
dottrina e in giurisprudenza riguardo al criterio da utilizzare per stabilire se, a
fronte del sostegno dato da uno Stato ad un gruppo armato impegnato in un
conflitto armato contro il governo di un altro Stato, tale conflitto debba essere
qualificato come interno (tra il gruppo e lo Stato contro cui questo opera) o
internazionale (tra lo Stato che dà sostegno al gruppo e lo Stato contro cui il
gruppo agisce).
A tal proposito, il criterio di attribuzione ai fini della responsabilità
degli Stati – ossia i criteri che stabiliscono quando una certa condotta di
individui o enti possa essere attribuita ad uno Stato per stabilire l‟esistenza di
un fatto illecito - assume particolare rilevanza, anche se posizioni divergenti
68
Si veda Military and Paramilitary activities in and against Nicaragua (Nicaragua v. USA)
Merits, Judgment, ICJ Reports 1986.
43
sull‟applicabilità di tale criterio sono state espresse, rispettivamente, dal
Tribunale Internazionale per la ex Iugoslavia e dalla Corte Internazionale di
Giustizia. La questione controversa è quella di vedere se tali criteri possano
essere applicati per stabilire se un conflitto si configuri come un conflitto tra
due Stati, e non tra uno Stato e un gruppo di individui.
Nel caso Tadić, la Camera d‟Appello del Tribunale per la ex Iugoslavia
ha osservato quanto segue:
“It is indisputable that an armed conflict is international if
it takes place between two or more States. In addition, in
case of an internal armed conflict breaking out on the
territory of a State, it may become international (or,
depending upon the circumstances, be international in
character alongside an internal armed conflict) if (i)
another State intervenes in that conflict through its troops,
or alternatively if (ii) some of the participants in the
internal armed conflict act on behalf of that other State.”69
Il criterio per stabilire se un conflitto è interno o internazionale nel caso
di sostegno di uno Stato terzo a gruppi armati è, ad avviso del Tribunale
internazionale per la ex Iugoslavia quello di stabilire se “some of the
participants in the internal armed conflict acts on behalf of another State”70.
69
Prosecutor v. Tadić, T-94-1-A, Judgment, 15 July 1999, par. 84.
70
Ibidem.
44
Il Tribunale afferma quindi che un conflitto armato può essere qualificato
come internazionale per effetto della partecipazione a tale conflitto di gruppi
armati che, pur non essendo formalmente inquadrati all‟interno delle forze
armate regolari di uno Stato, sono ad esso legati da un rapporto di fatto.
Prima di affrontare la questione relativa alla validità dell‟utilizzo dei
criteri di attribuzione ai fini della responsabilità come criteri identificativi
circa la natura di un conflitto armato, è opportuno osservare un altro punto
controverso che riguarda la stessa identificazione del contenuto dei criteri di
attribuzione in relazione all‟ipotesi in cui uno Stato fornisca un sostegno ad
individui o gruppi che non hanno la qualità di organi in base al diritto interno
di quello Stato. Nel caso Military and Paramilitary Activities in and against
Nicaragua, la Corte internazionale di giustizia doveva stabilire se gli atti in
violazione del diritto internazionale umanitario perpetrati dai contras fossero
attribuibili agli Stati Uniti in forza del sostegno che tale Stato aveva fornito al
gruppo armato in questione durante la lotta contro il governo nicaraguense71.
Nel definire le circostanze in cui la condotta di un gruppo di individui può
essere imputata allo Stato, la Corte ha applicato il c.d. criterio del controllo
effettivo affermando che ―…for this conduct to give rise to a legal
71
Military and Paramilitary activities in and against Nicaragua (Nicaragua v. USA) Merits,
Judgment, ICJ Reports 1986 par. 116. In questo caso la Corte ha concluso che non tutti gli atti
commessi dai contras fossero imputabili agli Stati Uniti. I contras rimanevano responsabili degli
atti commessi e gli Stati Uniti non potevano essere considerati responsabili per tali atti ma solo
per la loro condotta diretta contro il governo del Nicaragua, includendo anche alcune azioni dei
contras.
45
responsibility of the United States, it would in principle have to be proved
that State had effective control of the military and paramilitary operations in
the course of which the alleged violations were committed”.
Basandosi su tale criterio, la Corte ha sostenuto che nonostante un
elevato grado di partecipazione e un generale controllo sui contras, i quali
erano significativamente dipendenti dal sostegno statunitense, questi ultimi
non erano responsabili per le violazioni del diritto umanitario perpetrate dai
contras poiché tali violazioni “could be committed by members of the contras
without the control of the United States”.72
Nel caso Tadić la Corte d‟Appello del Tribunale Internazionale per la
ex Iugoslavia ha sostenuto una posizione diversa rispetto a quanto stabilito
dall‟ICJ (International Court of Justice). Difatti, il criterio di attribuzione
come definito nel caso Nicaragua è considerato dalla Corte d‟Appello come
“unconvincing”.73 Nonostante i molti dubbi e le critiche74 nei confronti della
posizione sostenuta dall‟ICTY, che è sostanzialmente a favore di un criterio
decisamente meno stringente secondo cui un elevato grado di partecipazione e
72
Military and Paramilitary activities in and against Nicaragua (Nicaragua v. USA) Merits,
Judgment, ICJ Reports 1986 par. 114.
73
Prosecutor v. Tadić, T-94-1-A, Judgement, 15 July 1999, par.116.
74
Si veda per tutti Moir, The law of internal armed conflict, Cambridge University Press, Londra,
2000, p. 49. Moir ha affermato in riferimento al test come definito dalla Corte d‟appello nel caso
Tadić “… an unnecessary (and in added dubious) piece of reasoning.”
46
un generale controllo da parte di uno Stato è sufficiente a definirne
l‟attribuzione75.
Ricapitolando brevemente, il Tribunale penale internazionale per la Ex
Yugoslavia aveva il compito di classificare il conflitto in Bosnia dove le forze
armate bosniache lottarono contro un gruppo armato che non costituiva parte
dell‟esercito regolare serbo ma che era sostenuto dallo Stato serbo. A tal fine
l‟ICTY ha utilizzato il requisito del “belonging to a Party” come elemento
identificativo
per
classificare
un
conflitto
come
internazionale.
L‟appartenenza ad una delle Parti in conflitto è requisito fondamentale per
riconoscere ad un individuo lo status di combattente. Se è vero che un
combattente è riconosciuto tale quando lotta per conto di uno Stato parte del
conflitto76, l‟art. 4 della Terza Convenzione di Ginevra interpretato anche alla
luce del commentario della Croce Rossa, chiarisce che la relazione che si
viene a stabilire tra il combattente e lo stato può essere anche una semplice
relazione de facto77.
75
Tra i tanti casi si faccia riferimento ai seguenti: par. 120-154, Prosecutor v. Delalic IT-96-21-
A, Judgement, 2001, par. 5-50, Prosecutor v. Naletilic, IT-98-34-T, Judgement, 2003, par 183188.
76
David Whippman, “Redefining Combatants: Comment on Richard Arneson‘s Just Warfare
Theory and Noncombatant Immunity”, Cornell International Law Journal (2006) pp. 699-702.
77
Secondo alcuni autori, l‟acquisizione dello status di combattente non dovrebbe essere confusa
con il riconoscimento di un conflitto come internazionale allo solo scopo di applicare il diritto
internazionale umanitariodiritto internazionale umanitariodiritto internazionale umanitario. V.
Khaterine del Mar, “The Requirement of „Belonging to a Party‟ to an International Armed
47
Nel caso di specie, l‟ICTY ha utilizzato il requisito dell‟appartenenza
di un gruppo ad uno Stato concludendo che i bosniaci-serbi appartenevano
alla Serbia e che quindi si trattasse di un conflitto armato internazionale. In
particolare, il Tribunale ha deciso che rispetto alla soglia di appartenenza
sancita dall‟art. 4, la qualificazione di un conflitto come internazionale
richiedesse una soglia di riferimento più alta della semplice relazione de facto:
per dimostrare che il conflitto armato fosse stato internazionalizzato dalla
presenza della Serbia, quest‟ultima avrebbe dovuto esercitare “sufficient
control” sul gruppo armato serbo-bosniaco (VRS). Inoltre, il Tribunale ha
sostenuto che un gruppo armato è da considerarsi appartenente ad uno Stato
quando quest‟ultimo assume la responsabilità delle azioni del gruppo e il
gruppo dipende dal sostegno dello Stato. Il grado di controllo richiesto, ad
avviso del Tribunale, è il c.d. overall control78.
La possibilità di applicare il criterio dell‟overall control per stabilire
l‟esistenza di un conflitto armato internazionale, non è stato esclusa dalla
Corte internazionale di Giustizia nel caso Genocidio. Di fatti, la Corte ha
affermato che tale criterio può essere considerato “applicable and suitable”
per l‟identificazione di un conflitto come internazionale79.
Conflict and Some Issues of State Responsibility”, in European Journal of International Law,
2011.
78
Tadic case, note 4 at para 94-95.
79
Genocide Case, 144 par. 403.
48
2. L‟intervento diretto dell‟esercito di uno Stato terzo in un conflitto
interno a sostegno di una delle fazioni in lotta.
A questo punto, è necessario analizzare il caso in cui uno Stato
intervenga in un conflitto direttamente con le proprie truppe militari a
sostegno di un gruppo armato o di una fazione interna in lotta. Quello che
bisogna chiedersi a tal proposito è se un conflitto interno, a seguito
dell‟intervento militare di uno stato terzo, muti sempre la propria natura
divenendo “internazionale”. Tra i vari fattori che possono aiutare a stabilire se
un conflitto interno rimanga tale o divenga internazionale a seguito
dell‟intervento di uno Stato terzo potrebbe essere è il c.d. criterio di intensità.
Riferendosi a tale criterio il Tribunale internazionale per la ex Jugoslavia, nel
caso Tadić, ha ritenuto che la consistenza numerica delle truppe dello Stato
intervenente non costituisca conditio sine qua non per cui un preesistente
conflitto armato interno possa assumere natura di conflitto armato
internazionale.
Ad avviso del Tribunale, il carattere internazionale del conflitto è dato
dalla presenza delle truppe dell‟esercito regolare dello Stato interveniente
qualora queste, anche se presenti al di là della zona di conflitto, con la loro
presenza comunque indeboliscono l‟azione delle truppe dello Stato
territoriale, le quali, impegnate in parte al di fuori di tale area contro le truppe
dello Stato interveniente, non hanno potuto combattere efficacemente nella
49
zona di conflitto.80 Tale ragionamento giunge alla conclusione per cui
l‟intervento militare dello Stato, pur anche indiretto rispetto ad un conflitto
interno, sia sufficiente per determinare il carattere internazionale delle ostilità
in presenza di certe condizioni. Questa visione dell‟azione militare indiretta,
perché avvenuta al di fuori della zona di conflitto, come criterio di
internazionalizzazione è stata ripresa anche nella sentenza Kordic e Cerkez. In
questo caso, l‟intervento indiretto dell‟esercito croato nel conflitto contro le
forze serbe in Bosnia è stato considerato requisito sufficiente di
internazionalizzazione anche se la Croazia non era implicata direttamente.81 Il
Tribunale ha tentato di chiarire la questione inerente all‟intensità
dell‟intervento delle truppe regolari dello Stato terzo nel caso Naletilic
stabilendo quanto segue:
“There is no requirement to prove that (Army of Republic of
Croatia) troops were present in every single area where
crimes were allegedly committed. On the contrary, the
conflict between the (Armed Forces of Bosnia and
Herzegovina) and the (Croatian Defence Council) must be
looked upon as a whole and, if it is found to be
international in character through the participation of the
(Army of the Republic of Croatia) troops, then Article 2 of
80
Prosecutor v. Blaskic, IT-95-14, Judgement, 3 March 2000, par.94.
81
Prosecutor v. Kardic & Cerkez, IT-95-14/2-T, Judgement, 26 February 2001.
50
the Statute will apply to the entire territory of the
conflict”82.
La Corte ha implicitamente sostenuto la possibilità che il
coinvolgimento di uno Stato terzo possa non essere sufficiente a determinare
un‟internazionalizzazione completa di un conflitto interno pre-esistente.
Il Tribunale ha affrontato direttamente la questione dell‟intensità
dell‟intervento militare, ossia della quantità numerica delle truppe inviate
dallo Stato terzo intervenuto, nel caso Prosecutor v. Rajic in cui ha sostenuto
che un pre-esistente conflitto interno può essere reso internazionale solo nel
caso in cui l‟intervento militare terzo è “significant and continuous”.83 Questa
indicazione fornita dal Tribunale appare criticabile se è vero che le
Convenzioni di Ginevra qualificano un conflitto tra Stati come internazionale
“regardless of their level of intensity”.84 A tal proposito, sembra non esserci
alcuna ragione o base giuridica per riservare un diverso trattamento ai conflitti
qui in esame – quelli in cui uno Stato interviene direttamente per dare
sostegno al gruppo ribelle - rispetto alle altre tipologie di conflitto così come
identificate dalle medesime Convenzioni del 1949.
82
Prosecutor v. Naletilic, IT-98-34-T, Judgement, 2003, par 194.
83
Prosecutor v. Rajic, IT-95-12-R61, Review of the Indictment Pursuant to rule 61.
84
R. Baxter, The duties of combatants and the conduct of hostilities (Law of the Hague), in IDHL,
Unesco, 1988, p.98. Si veda anche il Commentario alle Convenzioni di Ginevra (nota 5) “it makes
no difference how long the conflict lasts, or how much slaughter takes place”.
51
Alcuni autori hanno sostenuto che interventi militari diretti da parte di
uno Stato allo scopo di sostenere la lotta del gruppo di ribelli sono di per sé
sufficienti per qualificare come internazionale un certo conflitto, 85 senza
tenere in considerazione l‟aspetto quantitativo dell‟intervento dello Stato
terzo. Tuttavia, altri hanno sostenuto che si possa parlare effettivamente di
conflitto internazionalizzato solo se lo Stato che interviene assume il controllo
degli insorti tale per cui l‟uso della forza da parte di questi diviene l‟uso della
forza da parte dello Stato intervenuto contro il governo legittimo, tale da far sì
che il conflitto interno divenga un conflitto tra Stati, come definito dall‟art. 2
par. 1 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra86. Al contrario, se l‟azione
dello Stato che interviene fornisce involontariamente un sostegno all‟azione
degli insorti, senza che questi possano essere considerati come “appartenenti”
allo Stato in questione, allora non sarà possibile identificare tali azioni come
conflitto internazionale87. Quest‟ultima posizione parte dal presupposto che
uno Stato possa sostenere involontariamente una delle fazioni in guerra e che
sia proprio l‟elemento di involontarietà a determinare l‟ininfluenza di tale
sostegno in relazione all‟identificazione del conflitto come “internazionale”.
In questo caso ci si chiede quali siano i requisiti in presenza dei quali il
sostegno
assuma
carattere
involontario.
Il
giudice
Shahabuddeen,
85
R. Cryer, The fine art of friendship: Jus in bello in Afghanistan, JCSL, 2002, p.42
86
Per tutti si veda Judge Shahabudeen‘s declaration nel caso Blaskic.
87
Ibidem.
52
nell‟opinione allegata alla sentenza resa nel caso Blaskic, asserisce
l‟impossibilità di identificare un conflitto interno come “internazionalizzato”
se lo Stato terzo che interviene non ha sufficiente controllo sulle azioni degli
insorti e quindi sugli insorti medesimi. L‟insufficienza del controllo sono
concetti che sembrano perdere valore quando il sostegno è prolungato nel
tempo. In tal caso viene meno il requisito d‟incidentalità del sostegno
medesimo e per tanto, tale teoria risulta poco convincente.
3. L‟intervento dello Stato terzo a favore del governo legittimo in
lotta contro fazioni interne.
È da osservare, infine, come tra le diverse tipologie di conflitto c.d.
“internazionalizzato” possa rientrare una terza categoria in cui si vede lo Stato
territoriale richiedere assistenza militare ad un altro Stato per combattere
contro fazioni interne. Tale pratica è stata riconosciuta nella prassi, ragion per
cui l‟Institut de droit International ha recentemente approvato un a risoluzione
in materia di assistenza militare nonostante tale risoluzione trovi applicazione
solo in situazioni riconducibili a semplici disordini e quindi al disotto della
soglia di intensità richiesta per il riconoscimento di una situazione di lotta
come conflitto interno88. Rimane comunque opinione generale che nel caso in
cui un terzo Stato interviene in una guerra civile a fianco del governo
legittimo, le azioni armate continueranno ad essere disciplinate dal diritto
88
Institute de droit international, 10th Commission, Present Problems of the Use of Force in
International Law, Sub-Group C – Military assistance on request.
53
relativo ai conflitti interni in quanto, l‟intervento dello stato terzo non muta la
natura del conflitto poiché l‟intervento va a rafforzare il potere di azione dello
Stato territoriale, che rimane responsabile per il coordina manto delle azioni
militari contro i gruppi armati non statali89.
4. L‟applicazione del diritto umanitario a conflitti armati interni
pre-esistenti qualora subentri un fattore di “internazionalizzazione”:
approccio “misto” ed approccio “globale”.
Anche nel caso in cui sia chiaro che l‟intervento militare dello Stato
terzo abbia determinato l‟internazionalizzazione del conflitto interno, è ancora
incerto quale sia l‟impatto che l‟insorgere di un conflitto internazionale tra
Stato interveniente e Stato territoriale produce nei confronti del conflitto
interno preesistente. A tal proposito, le posizioni predominanti in dottrina nel
definire l‟effetto dell‟internazionalizzazione sono sostanzialmente due: la tesi
cd. dell‟approccio misto e quella del cd. approccio globale.
4.1
La teoria dell‟approccio misto
La posizione adottata dal Tribunale penale internazionale per la ex
Iugoslavia parte dal presupposto per cui i conflitti armati avvenuti sul
territorio
89
iugoslavo
possono
essere
classificati
come
interni,
Ten. Col. Mario Tarantino, Il diritto internazionale umanitario e la tutela delle vittime di
tensioni e disordini interni, visionabile all‟indirizzo web http://www.difesa.it/Pubblicistica/infodifesa/Infodifesa140/Documents/Il_diritto_internazionale_umanit_617interni.pdf.
54
internazionalizzati o misti solo analizzandoli caso per caso. Il Tribunale
sostiene che l‟intervento armato di uno Stato terzo di per sé non costituisca un
elemento sufficiente per trasformare un conflitto interno in un conflitto
internazionale; al contrario, si possono avere situazioni in cui le due tipologie
di conflitto coesistono in uno stesso lasso di tempo e in una stessa area
geografica.90
L‟approccio “misto” è messo in risalto da quanto statuito nella
sentenza d‟appello resa nel caso Tadić in cui il Tribunale affermò quanto
segue: ―… depending upon the circumstances, the conflict may be
international in character alongside an internal armed conflict”91. La ratio
alla base dell‟approccio “misto” sta nel riconoscere che un elemento di
internazionalizzazione rende internazionale solo il conflitto che vede
contrapporsi le forze armate appartenenti ai due Stati; tale elemento non
agisce come fattore di internazionalizzazione per tutti i conflitti che hanno
luogo nel medesimo territorio, che mantengono invece una propria autonomia
con il conflitto internazionale sorto tra i due Stati92. Quindi il diritto dei
90
“Taken together, the agreements reached between the various parties to the conflict(s) in the
Former Yugoslavia bear out the proposition that, when the Security Council adopted the statute
of the international Tribunal in 1993, it did so with reference to situations that the parties
themselves considered at different times and places as either internal or international armed
conflicts, or as mixed internal-international conflict” Tadić Appeal Judgement, par.73.
91
92
Ibidem.
Si veda C. Greenwood, International Humanitarian Law in the Tadić case, in European
Journal of International Law, 1996.
55
conflitti internazionali troverà applicazione solo nel conflitto che vede in lotta
le forze armate degli Stati mentre al conflitto interno che non muta la propria
natura si continua ad applicare il diritto umanitario dei conflitti interni.
4.2
La teoria dell‟approccio globale
Alcuni autori hanno sostenuto che, a causa dell‟aumento esponenziale
di conflitti atipici, sta divenendo sempre più chiaro che una netta distinzione
tra conflitti interni ed internazionali è sempre più difficile.93 Molti hanno
quindi preferito applicare unicamente il diritto umanitario dei conflitti
internazionali a situazioni dove era possibile ravvisare la presenza di conflitti
armati di natura sia interna che internazionale, sostenendo quindi un approccio
di tipo globale. Così, per esempio, nel caso del conflitto nella ex Iugoslavia,
coloro che sostenevano l‟approccio globale hanno affermato che gli scontri
armati avvenuti nel contesto iugoslavo dovevano essere considerati
unicamente e globalmente come un conflitto armato internazionale. Difatti, la
divisione del conflitto in segmenti, per escludere in certi casi l‟applicazione
delle norme dei conflitti armati internazionali, sarebbe stata artificiale94.
93
Per tutti, A. McDonald, The year in review, in Yearbook of International Humanitarian Law,
1998, p. 121.
94
Per tutti T. Meron, Classification of armed conflict in the former Yugoslavia: Nicaragua‘s
fallout, American Journal of International Law, Vol.92, 1998, p.238. L‟approccio globale è
sostenuto anche dalla Commissione di Esperti delle Nazioni Unite come definito nel Rapporto
Finale della stessa del maggio1994 in relazione al conflitto della ex Iugoslavia (Final Report of
the Commissiono of experts S/1994/67, 4-27 section IIA) .
56
A tal proposito, anche lo stesso Comitato internazionale della Croce
Rossa, solitamente cauto, nel 1965, in occasione del conflitto in Vietnam,
invitò le parti alla piena applicazione del diritto umanitario dei conflitti
internazionali su tutto il territorio, adducendo giustificazioni simili a quanto
sopradetto95.
L‟approccio globale, come sostenuto da McDonald, si fonda sull‟idea
che un singolo uso della forza internazionale, diretto o indiretto, da parte di
uno Stato contro un altro Stato sia in qualche modo sufficiente a rendere
internazionali tutti i conflitti armati in atto in quello specifico territorio96.
Sembra non essere facile trovare una soluzione o anche un punto di
raccordo tra i due diversi approcci. Le decisioni prese dalle Camere del
Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia sulla natura del conflitto
mettono in risalto una certa incoerenza nella scelta di un approccio piuttosto
che un altro.97
Alcuni autori sostengono che l‟impossibilità di giungere ad una forma
di accordo tra i due diversi approcci non è data dalla loro natura ma più
95
ICRC, Respect for the rules of humanity in Vietnam, International Review of Red Cross, No 53,
1965, p.147.
96
Per tutti, A. McDonald, The year in review, Yearbook of International Humanitarian Law,
Vol.1, 1998, p.121.
97
T. Meron, The Humanization of Humanitarian Law, American Journal of International Law,
Vol. 94, 200, p.261.
57
generalmente dalla struttura del diritto internazionale umanitario 98 che non
trova facile applicazione in casi di conflitto atipico perché definisce in modo
piuttosto rigido le categorie di conflitto a cui il regime di norme si applica.
5. La fine di un conflitto armato internazionalizzato.
Comprendere quale sia l‟approccio da rispettare in situazioni di
conflitto è un aspetto chiave non solo per l‟applicazione, di per sé, del diritto
internazionale umanitario ma anche per comprendere quando esso cessa di
essere applicato. A tal proposito, la Quarta Convenzione di Ginevra del 1949
definisce esattamente quando le norme del diritto umanitario dei conflitti
armati internazionali cessano di trovare applicazione rispetto ad un certo
conflitto99. Il commentario alle Convenzioni, usando l‟espressione “general
close of military operations”, dà un‟interpretazione piuttosto ampia e generica
dell‟esatto momento in cui il conflitto giunge al termine. Si afferma che la fine
98
Stewart J., Hacia una definición única de conflicto armado en el derecho internacional
humanitario. Una critica de los conflictos armados internacionalizados, in Revista Internacional
de la Cruz Roja, 2003, p.335.
99
Articolo 6 della Quarta Convenzione di Ginevra: La presente Convenzione si applicherà sin
dall'inizio di qualsiasi conflitto od occupazione menzionati nell'art 2. Sul territorio delle Parti in
conflitto l'applicazione della Convenzione cesserà con la fine generale delle operazioni militari. In
territorio occupato l'applicazione della presente Convenzione cesserà un anno dopo la fine
generale delle operazioni militari; la Potenza occupante sarà non di meno vincolata per la durata
dell'occupazione ´ sempreché questa Potenza eserciti le funzioni di governo sul territorio di cui si
tratta dalle disposizioni degli articoli seguenti della presente Convenzione: dall'1 al 12, 27, dal 29
al 34, 49, 51, 52, 53, 59, dal 61 al 77 e 143. Alle persone protette, la cui liberazione, il cui
rimpatrio o il cui stabilimento abbiano luogo dopo questi termini, continuerà ad applicarsi
nell'intervallo, la Convenzione presente
58
delle ostilità equivale al momento in cui l‟ultimo colpo è stato sparato, che a
sua volta, in molti casi, corrisponde alla fine di tutti i conflitti in corso tra le
fazioni in lotta.100 Quindi, in contesti di lotta caratterizzati dalla presenza di
molti gruppi, il Commentario suggerisce che il diritto internazionale
umanitario vada applicato sino alla fine di tutte le ostilità, siano esse interne o
internazionali. Diversamente, con la nozione di “general close of military
operations” si dovrebbe intendere la sola cessazione delle operazioni militari
internazionali tale per cui le ostilità a carattere non internazionale possano
continuare a ricadere nell‟ambito di applicazione della normativa dei conflitti
armati non internazionali101.
In modo piuttosto ambiguo, il Tribunale penale internazionale per la
Ex Iugoslavia ha affrontato la questione in occasione della sentenza d‟appello
nel caso Tadić, stabilendo quanto segue:
“International Humanitarian Law applies from the initiation
of such armed conflicts and extends beyond the cessation of
hostilities until a general conclusion of peace is reached; or,
in the case of internal conflicts, a peaceful settlement is
achieved. Until that moment, international humanitarian
100
J. Pictet, Commentaries on the Geneva Conventions of 12 August 1949, Vol.IV, ICRC,
Ginevra, 1960, p.62.
101
Stewart J., Hacia una definición única de conflicto armado en el derecho internacional
humanitario. Una critica de los conflictos armados internacionalizados, in Revista Internacional
de la Cruz Roja, 2003, p.336.
59
law continues to apply in the whole territory of the warring
States or, in the case of internal conflicts, the whole territory
under the control of a party whether or not actual combat
takes place there”.102
La Camera d‟Appello del Tribunale Internazionale per la ex Iugoslavia
nel caso Tadić sembra sostenere posizioni discordanti. Da una parte, sembra
voler lasciare ampio spazio all‟applicazione del diritto umanitario dei conflitti
armati internazionali, dall‟altra, sostenendo l‟approccio misto, sembra ritenere
plausibile la co-esistenza di un conflitto internazionale e di un conflitto
interno allo stesso momento e nello stesso spazio. La sostanziale ambiguità
della posizione assunta dalla Camera d‟Appello riduce notevolmente le
possibilità che il diritto umanitario dei conflitti armati internazionali possa
essere applicato ai conflitti interni in atto al momento della cessazione del
conflitto internazionale stesso. Difatti, se un conflitto interno ed uno
internazionale possono co-esistere, essendo regolamentati da regimi normativi
differenti, non ha alcun senso ampliare il campo di applicazione del diritto
umanitario dei conflitti armati internazionali visto che tale regime normativo
non si sarebbe comunque applicato al conflitto interno pre-esistente.
Inoltre, nel caso in cui si sia riconosciuta l‟esistenza di un conflitto
internazionalizzato, estendere l‟applicazione del diritto umanitario dei conflitti
internazionali anche a circostanze in cui il conflitto di natura internazionale
102
Tadić Jurisdiction Appeal, par. 70.
60
cessa di esistere, mentre le ostilità interne continuano, comporterebbe come
conseguenza l‟applicazione delle norme del diritto umanitario dei conflitti
armati internazionali anche a circostanze riconducibili a quanto previsto
dall‟art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra.103.
Una posizione più netta, a differenza di quanto sostenuto dalla camera
d‟appello, sembra essere stata adottata dallo stesso Tribunale penale
internazionale per la Ex Iugoslavia nei casi Tadić e Celebici. In tali occasioni,
il Tribunale ha affermato che l‟applicazione delle norme del diritto umanitario
dei conflitti armati internazionali cessa con il cessare delle ostilità
internazionali medesime. Di conseguenza, il conflitto interno che continua ad
esistere verrà regolamentato dal regime normativo dei conflitti armati interni,
ossia dall‟art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra nonché dal II Protocollo
addizionale.
Nonostante tale interpretazione sembri essere più convincente perché
tiene conto del fatto che non è possibile applicare un regime normativo a una
fattispecie chiaramente non coperta dalla norma, è necessario osservare che in
103
Stewart J., Hacia una definición única de conflicto armado en el derecho internacional
humanitario. Una critiqua de los conflictos armados internacionalizados, in Revista Internacional
de la Cruz Roja, 2003, p.336. Si veda anche Sassoli e Olson, International Decision: Prosecutor
v. Tadić (Judgement), American Journal of International Law, Vol.94, 2000, p. 576 - Sassoli ed
Olson hanno messo in evidenza la difficoltà di convincere le forze armate, durante un conflitto, di
rispettare certe norme argomentando tale richiesta attraverso il riconoscimento delle stesse come
agenti di uno Stato terzo, quindi a maggior ragione, le possibilità diventano nulle se
l‟applicazione del diritto umanitario avviene dopo diversi anni solo perché tali forze armate in
passato agirono come agenti di uno Stato terzo.
61
caso di conflitti internazionalizzati è difficile identificare con precisione la
cessazione delle ostilità a carattere internazionale. Perciò, risulta complesso il
passaggio da un regime normativo ad un altro.
Storicamente, la fine di conflitti inter-statali richiede che la cessazione
avvenga formalmente attraverso il c.d. accordo di tregua, al quale segue
l‟instaurazione della pace che solitamente è contraddistinta dalla firma di un
trattato di pace104. I conflitti internazionalizzati raramente hanno inizio con
una dichiarazione ufficiale di guerra ed altrettanto raramente hanno fine
attraverso atti formali quali l‟armistizio o l‟ufficiale ritiro delle truppe. Quindi,
la fine dei conflitti internazionalizzati molto spesso può essere ricondotta alla
sola cessazione delle azioni militari in campo. In sostanza, è difficile avere
una chiara identificazione del momento in cui cessa il conflitto, soprattutto
quando un conflitto internazionalizzato coinvolge molti Stati cosicché le
azioni militari terminano in diversi momenti e nelle diverse aree coinvolte dal
conflitto.
In alcuni casi è ancora più difficile distinguere la fine del conflitto
internazionalizzato dalla mera sospensione delle azioni militari, soprattutto
considerando che il diritto internazionale umanitario non smette di essere
applicato in caso di sospensione105.
104
Per maggiori informazioni si veda C. Rousseau, Le Droit des conflits armés, Parigi, 1983,
p.188.
105
Per tutti si veda S.R. Morris, America‘s most recent prisoner of war: The Warrant Officer
Bobby Hall incident, Army law, Vol.3, 1996, p.17.
62
Cercando di risolvere la generale incertezza nel definire quando un
conflitto internazionalizzato
giunge a
termine, il
Tribunale penale
internazionale per la ex Iugoslavia, nel caso Celebici, ha affermato che le
norme rilevanti del diritto internazionale umanitario devono essere applicate
generalmente a tutta l‟area territoriale in guerra fino alla diffusa cessazione
del conflitto, a meno che non venga dimostrato che i conflitti ancora in atto
siano di natura interna e siano pertanto slegati dal più ampio conflitto
internazionale106.
In conclusione, le ambiguità nel determinare la fine dei conflitti
internazionalizzati conferma l‟assenza di basi certe per determinare
temporalmente e territorialmente quando applicare o continuare ad applicare il
diritto internazionale umanitario. Secondo alcuni autori l‟impossibilità di
identificare chiaramente la fine del conflitto internazionale sta soprattutto
nella scomoda differenziazione tra gli standard garantiti dal diritto umanitario
generale e il diritto applicabile in caso di conflitti non internazionali. Se gli
standard delle norme applicabili ai conflitti di diversa natura fossero
armonizzati non si porrebbe la questione di identificare l‟esatta fine del
conflitto internazionalizzato in quanto verrebbero comunque applicate le
stesse norme107.
106
107
Celebici Judgement, No IT-96-21-T, 16 November 1998, par. 209.
Per tutti, Stewart J., Hacia una definición única de conflicto armado en el derecho
internacional humanitario. Una critiqua de los conflictos armados internacionalizados, in
Revista Internacional de la Cruz Roja, 2003, p.341.
63
CAPITOLO III: Il terrorismo e la qualificazione dei conflitti
armati
Sommario: Introduzione – 1. La nozione di terrorismo nel diritto internazionale.
– 1.1. Diritto internazionale umanitario e terrorismo. – 1.2. La nozione autonoma
di terrorismo internazionale. – 2. Qualificazione dei conflitti armati e la “war on
terror”. – 2.1. La prassi americana ed israeliana favorevole al riconoscimento del
terrorismo come conflitto armato. –2.2. La posizione spagnola a seguito degli
attentati terroristici del 2004. –2.3. La posizione del Regno Unito all‟indomani
degli attentati terroristici del 2005. – 3. Conclusioni.
Introduzione
Il fenomeno del terrorismo ha interessato da sempre la comunità
internazionale ed in particolare a seguito degli attentati perpetrati da AlQaeda
negli Stati Uniti nel settembre 2001 ha assunto un ruolo di primo piano nella
gestione delle relazioni internazionali. La domanda principale che si intende
affrontare al riguardo è se la nozione di terrorismo possa influenzare la
qualificazione dei conflitti armati a cui si applicano le norme del diritto
internazionale umanitario.
Se tale ipotesi trovasse qualche riscontro sarebbe allora necessario
determinare quali requisiti debbano essere soddisfatti per poter qualificare
come conflitti armati determinati atti di terrorismo. Nella prassi, sul
presupposto che vada riconosciuta agli atti di terrorismo, di qualsiasi natura ed
64
intensità, la qualificazione di conflitto armato alcuni Stati hanno ritenuto
legittimo fare uso ad esempio di esecuzioni mirate oppure svolgere vere e
proprie azioni militari contro gruppi terroristici transnazionali per lo più
stanziati sul territorio di Stati terzi. Alla luce di tali situazioni appare pertanto
essenziale definire se si possa effettivamente concludere che la prassi recente
abbia portato alla creazione di una nuova categoria di conflitti armati che
origina da atti di terrorismo e che giustificherebbe l‟applicazione, ad un
qualche titolo sebbene con dei contorni incerti, del diritto internazionale
umanitario.
Innanzitutto appare necessario analizzare il concetto di terrorismo così
come definito nel diritto internazionale umanitario e più in generale nel diritto
internazionale consuetudinario. In merito alla definizione di terrorismo nel
diritto internazionale non esiste una posizione generalmente accolta,
nonostante alcuni autori e giurisdizioni internazionali abbiano affermato che
una nozione di terrorismo possa in realtà essere individuata sulla scorta dei
molteplici trattati che hanno ad oggetto, in un modo o nell‟altro, atti di
terrorismo come nel caso della Convenzione delle Nazioni Unite sul
finanziamento al terrorismo108. Il presente capitolo affronterà brevemente le
diverse posizioni emerse in dottrina in relazione alla definizione del
108
Cassese, International Criminal Law, Oxford, 2008 pp.167-175. Si veda Hans-Peter Gasser,
“Acts of terror, “terrorism” and international humanitarian law”, in Rivista internazionale della
Croce Rossa, Vol. 84, n° 847, September 2002, pp. 553-554.
65
terrorismo, al fine di identificare la nozione di terrorismo effettivamente
esistente nel diritto umanitario e più in generale nel diritto internazionale
consuetudinario. Infine per poter determinare l‟influenza che questa nozione
ha sulla qualificazione dei conflitti armati, se abbia dato luogo alla creazione
di una nuova categoria di conflitti armati „terroristici‟ e se di conseguenza vi
trovi applicazione del diritto umanitario occorrerà soffermarsi ad analizzare la
prassi degli Stati in materia.
1. La nozione di terrorismo nel diritto internazionale
La difficoltà di raggiungere un consenso sulla definizione giuridica di
terrorismo che sia accettata della comunità internazionale nel suo complesso è
emersa sin dalle prime occasioni in cui tale questione è stata oggetto di dibatto
in seno alle Nazioni Unite109. Le divergenze di opinione degli Stati si
riscontravano
e
si
riscontrano
tuttora
soprattutto
in
relazione
all‟identificazione degli atti qualificabili come terroristici. In particolare gli
109
Nell‟ambito del Comitato ad hoc per il terrorismo internazionale istituito dall‟Assemblea
Generale con la risoluzione 3034 (XXVII) del 18 dicembre 1972, le dichiarazioni degli Stati
mostrarono da subito le divergenze circa l‟inclusione del terrorismo di Stato nei lavori che il
Comitato avrebbe dovuto svolgere per l‟eliminazione del problema del terrorismo internazionale.
Sempre nell‟ambito del Comitato ad hoc, alcuni Stati sostennero che uno dei principali ostacoli
all‟eliminazione del terrorismo internazionale era l‟argomentazione, sostenuta da altri Stati,
secondo cui non sarebbe stato possibile perseguire individui terroristi se non si fossero
predisposte misure adeguate contro i Governi che terrorizzano gli individui attraverso politiche
repressive. Il dibattito tra Stati é ancora aperto e le divergenze tra Stati sono ancora della stessa
natura. Per maggiori approfondimenti si veda Report of the ad Hoc Committee on international
terrorism, GAOR, 28th session, Supplement No. 28 (A/9028), 1973, p. 24.
66
Stati non sono mai riusciti a trovare un accordo sull‟inclusione nella nozione
di terrorismo commesso da individui privati “sponsorizzati” da Stati o anche
del terrorismo di Stato110. In merito a tale dibattito, si è delineata una chiara
spaccatura nella comunità internazionale fra gli Stati occidentali, i quali
intendevano
circoscrivere
il
dibattito
al
terrorismo
di
individui
“sponsorizzato” da Stati, e gli Stati afro-asiatici, che miravano ad estendere il
dibattito anche al terrorismo di Stato.
Se l‟esistenza di una nozione autonoma di terrorismo rimane dubbia,
ciò che appare incontestabile è che gli atti di terrorismo siano oggetto di una
particolare disciplina nel diritto internazionale umanitario. Conviene pertanto
iniziare l‟analisi facendo riferimento alle disposizioni del Protocollo I dell‟8
luglio 1977 addizionale alle quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto
1949 che sancisce il divieto di atti terroristici nell‟ambito dei conflitti armati
internazionali.
110
Tra gli Stati che insistettero sulla necessità di includere il terrorismo di Stato nello studio del
Comitato ad hoc, assumono rilievo la Siria e l‟Algeria, sottolineando che spesso gli Stati
ricorrono alla violenza ed al terrorismo quando intendono sottomettere una popolazione alla
propria volontà o quando intendono utilizzare il territorio e le risorse per scopi contrari agli
interessi della popolazione medesima. Tali fattori contraddistinguono varie situazioni fra cui il
dominio coloniale, l‟occupazione straniera di un territorio, l‟applicazione di una politica di
discriminazione razziale e di apartheid, l‟aggressione punitiva. A simili dichiarazioni risposero i
delegati di alcuni Stati occidentali tra cui gli Stati Uniti e il Regno Unito, ad avviso dei quali si
stavano mischiando due questioni avente natura diversa e che il c.d. “terrorismo di Stato” non
sarebbe dovuto rientrare nella nozione di terrorismo. Per maggiori approfondimenti si veda
Report of the ad Hoc Committee on international terrorism, GAOR, 28th session, Supplement No.
28 (A/9028), 1973, p. 24.
67
1.1. Diritto internazionale umanitario e terrorismo
Nel diritto internazionale umanitario il commettere atti di violenza è un
“privilegio” che viene riconosciuto solo alle forze armate statali111. Come è
noto, l‟uso della violenza bellica è vietato quando è diretto contro la
popolazione civile. Il Protocollo addizionale I del 1977 vieta esplicitamente
gli attacchi contro civili o obiettivi civili, disponendo che le operazioni siano
dirette soltanto contro obiettivi militari. In particolare, l‟art. 48 stabilisce
quanto segue:
―…in order to ensure respect for and protection of
the civilian population and civilian objects, the Parties to
the conflict shall at all-time distinguish between the civilian
population and combatants and between civilian objects
and military objectives and accordingly shall direct their
operations only against military objectives.‖
L‟ art. 51, par. 2, del medesimo Protocollo Addizionale vieta alle parti in
conflitto di perpetrare atti violenti con il fine ultimo di disseminare terrore e
paura tra la popolazione civile, prevedendo quanto segue:
―...The civilian population as such, as well as
individual civilians, shall not be the object of attack. Acts
111
Si veda Hans-Peter Gasser, “Acts of terror, “terrorism” and international humanitarian law”, in
Rivista internazionale della Croce Rossa, Vol. 84, n° 847, Settembre 2002, pp. 554-556.
68
or threats of violence the primary purpose of which is to
spread
terror
among
the
civilian
population
are
prohibited...”
Per di più, il paragrafo 4 dello stesso art. 51 proibisce chiaramente l‟uso di
attacchi indiscriminati in un contesto di guerra. Questa norma copre le
operazioni militari ed ogni atto di violenza implicante il ricorso a: a) un
metodo o un mezzo di combattimento che non e‟ diretto ad uno specifico
obiettivo e b) un metodo o un mezzo di combattimento i cui effetti non
possono essere limitati ad un obiettivo specifico. In altre parole, sono
chiaramente proibiti, gli attacchi o gli atti di violenza che, se pur anche intesi a
colpire un obiettivo militare, nei fatti uccidano o feriscano civili o distruggano
oggetti civili in maniera non proporzionata112.
Si consideri, inoltre, che l‟art. 85 del medesimo Protocollo stabilisce
che le violazioni gravi delle norme in esso contenute, fra cui il divieto di
attacchi contro la popolazione civile (art. 85, par. 3) sono da considerare
crimini di guerra (art. 85, par. 5).
Alla luce di questa seppur breve esposizione, appare chiaro che il
terrorismo sia oggetto della disciplina convenzionale in materia di diritto
umanitario e costituisca un metodo di combattimento proibito dal diritto di
112
Si veda Hans-Peter Gasser, “Acts of terror, “terrorism” and international humanitarian law”, in
Rivista internazionale della Croce Rossa Internazionale, Vol. 84, n° 847, Settembre 2002, pp.
554-556.
69
Ginevra113. In particolare, atti di terrorismo possono costituire un crimine
internazionale di guerra e comportare la responsabilità penale degli autori.
Considerando l‟elevato numero degli Stati che hanno ratificato il
Protocollo I, attualmente 160, si potrebbe anche ritenere che un analogo
divieto faccia ormai parte del diritto consuetudinario, e che quegli atti di
terrorismo costituiscano nel contesto di un conflitto armato un crimine
internazionale
di
guerra
per
chiunque
se
ne
renda
responsabile
indipendentemente dalla ratifica dei relativi strumenti convenzionali.
Al riguardo è bene ricordare che il Tribunale per la ex Jugoslavia ha
contribuito a chiarire la definizione del crimine di guerra di terrorismo in
particolare per quanto riguarda la nozione di attacchi contro civili e quali
siano le tipologie di attacchi illegali, affermando quanto segue:
“…prohibited
attacks
are
those
launched
deliberately against civilians or civilian objects in the course
of an armed conflict and are not justified by military
113
Più in generale alcuni autori hanno rilevato che il Protocollo I non giustifica, neppure
indirettamente, la commissione di atti terroristici e che molte delle sue norme costituiscono un
contributo importante alla definizione del quadro giuridico nel quale può essere condotta
efficacemente la lotta al terrorismo, sebbene esso non affronti il terrorismo come fenomeno
distinto dall‟azione bellica. Si veda in proposito G. Rona, Interesting times for International
Humanitarian Law: Challenges from the ―war on terror‖, Rivista internazioanle della Croce
Rossa Internazionale, 2003, pp. 55-74. Nel vietare qualsiasi atto terroristico le Convenzioni di
Ginevra del 1949 e lo stesso Protocollo I costituirebbero il migliore sistema normativo
convenzionale contro il terrorismo, contribuendo a bandire il terrorismo nell‟ambito dei conflitti
armati internazionali (idem, pp 55-74).
70
necessity. They must have caused deaths and/or serious
bodily injuries within the civilian population or extensive
damage to civilian objects114.”
Il Tribunale ha inoltre precisato che:
“what the second paragraph of Article 51, read as a
whole, intends to say is that the prohibition against terror is
a specific prohibition within the general prohibition of
attack on civilians115.”
Ad avviso del Tribunale, alla luce dell‟art. 51, par. 2, la diffusione di fatto del
terrore non è un elemento costitutivo del reato di terrorismo e che non è quindi
necessario accertare un nesso causale tra l‟illecito atto di violenza e la
diffusione del terrore stesso, poiché il reato di terror è da intendere come “a
specific-intent crime.”
La giurisprudenza del Tribunale conferma che certi atti di terrorismo
costituiscono un metodo di combattimento proibito dal diritto umanitario e
114
Per maggiori approfondimenti si faccia riferimento a the Prosecutor v. Stanislav Galic - Case
No. IT-98-29-T., visionabile on-line
http://www.icty.org/x/file/Legal%20Library/jud_supplement/supp46-e/galic.htm.
115
Per maggiori approfondimenti si faccia riferimento a the Prosecutor v. Stanislav Galic - Case
No.
IT-98-29-T.,
http://www.icty.org/x/file/Legal%20Library/jud_supplement/supp46-
e/galic.htm. Il Tribunale ha aggiunto che “the general prohibition is a peremptory norm of
customary international law. It could be said that the specific prohibition also shares this
peremptory character, for it protects the same value. However, to reiterate, the Majority is not
required to decide this question. What is clear is that, by exemplifying and therefore according
with the general norm, the rule against terror neither conflicts with nor derogates from
peremptory norms of international law.”
71
danno luogo ad un crimine di guerra. Pertanto la relativa condotta vietata, per
comportare la responsabilità internazionale degli autori, deve sottostare ai
requisiti generali dei crimini di guerra, tra cui notoriamente l‟esistenza ed un
collegamento con un conflitto armato. Pertanto la possibilità di qualificare atti
di terrorismo in quanto crimine di guerra presuppone e non determina
l‟esitenza di un conflitto armato.
1.2. La nozione autonoma di terrorismo internazionale
Diversa è la questione della possibile affermazione nel diritto consuetudinario
di una nozione autonoma di terrorismo. Se la comunità internazionale
considerasse proibiti atti di terrorismo di per sé in maniera completamente
indipendente dalla loro qualificazione come crimini di guerra, si potrebbe
allora ritenere più agevole immaginare che questa nozione autonoma sia anche
in grado di influenzare la categorizzazione stessa dei conflitti armati e magari
tendere al riconoscimento di una nuova classe di conflitti terroristici.
Uno dei primi testi giuridici internazionali che ha tentato di dare una
definizione esaustiva di terrorismo è la “Convention for the Prevention and
punishment of Terrorism” del 1937 che definisce gli atti di terrorismo come
segue116:
116
Per maggiori informazioni si faccia riferimento a Saul Ben, “The Legal Response of the
League of Nations to Terrorism”, in Journal of International Criminal Justice, Vol. 4, No. 1, pp.
78-102, 2006. maggiori informazioni si faccia riferimento a
72
“…criminal acts directed against a State or intended to
create a state of terror in the minds of particular persons, or a
group of persons or the general public…”
La definizione di cui sopra appare piuttosto generica riferendosi ad “atti
criminali” e non identificando quali siano in concreto gli atti costitutivi della
categoria di terrorismo. Successivamente, le Nazioni Unite hanno tentato di
formulare una definizione esauriente del fenomeno in oggetto, in particolare
attraverso la costituzione di un Comitato ad hoc avente il compito di redigire
la “UN Comprehensive Convention on International terrorism‖117. Tale
Convenzione è ancora allo stadio di progetto di articoli. L‟articolo 2 del
progetto fornisce la seguente definizione di terrorismo:
“Any person commits an offence within the
meaning of this Convention if that person, by any means,
unlawfully and internationally, causes: Death or serious
bodily injury to any person;
or Serious damage to
public or private property, including a place of public
use,
117
a
State
or
Government
facility,
a
public
Nel 1996 l'Assemblea Generale, con la risoluzione 51/210 del 17 dicembre, ha deciso di
istituire un Comitato ad hoc con lo scopo di elaborare una convenzione internazionale per la
repressione degli attentati terroristici e, successivamente, una convenzione internazionale per la
repressione degli atti di terrorismo nucleare come supplemento ai relativi strumenti internazionali
esistenti.
73
transportation system, an infrastructure facility or the
environment; or
Damage to property, places, facilities or systems
referred to in paragraph 1(b) of this article, resulting or
likely to result in major economic loss,
When the purpose of the conduct, by its nature or context,
is to intimidate a population or to compel a government or
an International organization to do or abstain from doing
any act118”
In dottrina, alcuni autori119, tra cui Gasser e Cassese, sostengono l‟esistenza di
una definizione di terrorismo nel diritto internazionale consuetudinario e ne
Il Comitato ha riscontrato molte difficoltà nel raggiungere risultati apprezzabili circa l‟adozione
di una convenzione generale sul terrorismo internazionale in quanto le posizioni contrastanti degli
stati non ne hanno facilitato il processo di scrittura. Alcuni Stati ritengono necessaria l‟inclusione
nella convenzione degli atti di “State sponsored terrorism”, ovvero degli atti attraverso i quali uno
Stato contribuisce alla commissione di atti terroristici compiuti da privati, e anche degli atti di
“State terrorism”, ovvero di atti commessi direttamente dallo Stato. Altri non ammettono
l‟inclusione del concetto di “State terrorism” nella definizione di terrorismo, in quanto sono
questioni rientranti nella categoria di atti illeciti disciplinati dagli Stati come espressione di
sovranità, quali l‟uso della forza armata sulla base dell‟art. 2, par. 4, e del capitolo VII della Carta
delle Nazioni Unite. Measure to eliminate International Terrorism, Report of the Working group,
A/C.6/56/L9 del 29 October 2001.
119
Per maggiori approfonfimenti si faccia riferimento anche a Trahan, “Terrorism Conventions:
existing gaps and different approaches”, in New England International and Comparative Annual,
2002, p. 215 ss., Gioia, “Terrorismo internazionale, crimini di guerra e crimini contro l‟umnaità”,
in Rivista di diritto internazionale, 2004, p. 17 e Zeidan S., “Desperately Seeking Definition: The
International Community‟s Quest for Identifying the Specter of Terrorism”, in Cornell
International Law Journal, 2004, p. 491 ss.
74
giustificano generalmente l‟esistenza facendo riferimento ai molteplici trattati
internazionali che si occupano della materia.120 La loro definizione è
parzialmente diversa da quella appena ricordata e si fonda su una serie di
elementi costitutivi fondamentali.
Innanzitutto, l‟atto di terrorismo deve essere caratterizzato da azioni
violente o dalla minaccia di atti di violenza contro civili, contro la loro vita, le
loro proprietà o il loro benessere. In generale, gli atti di terrorismo non
sarebbero mai selettivi in quanto non sono mirati a colpire specifici gruppi. In
secondo luogo, il terrorismo sarebbe un mezzo atto ad ottenere risultati a
livello politico che probabilmente non sarebbero ottenibili attraverso l‟uso di
120
Le convenzioni internazionali che trattano il terrorismo sono le seguenti: 1. Convenzione per la
repressione dell'illecito sequestro di aeromobili (L'Aja, 16 dicembre 1970). 2. Convenzione per la
repressione di atti illeciti diretti contro la sicurezza dell'aviazione civile (Montreal, 23 settembre
1971). 3. Convenzione sulla prevenzione e repressione dei reati contro le persone che godono di
protezione internazionale, compresi gli agenti diplomatici, adottata dall'Assemblea Generale delle
Nazioni Unite il 14 dicembre 1973. 4. Convenzione internazionale contro la cattura di ostaggi,
adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 1979. 5. Convenzione
internazionale sulla tutela del materiale nucleare (Vienna, 3 marzo 1980). 6. Protocollo per la
repressione di atti illeciti di violenza negli aeroporti utilizzati dall'aviazione civile internazionale,
complementare alla Convenzione per la repressione di atti illeciti diretti contro la sicurezza
dell'aviazione civile (Montreal, 24 febbraio 1988). 7. Convenzione per la repressione di atti illeciti
diretti contro la sicurezza della navigazione marittima (Roma, 10 marzo 1988). 8. Protocollo per
la repressione di atti illeciti contro la sicurezza delle piattaforme fisse situate sulla piattaforma
continentale (Roma, 10 marzo 1988). 9. Convenzione internazionale per la repressione di attentati
terroristici perpetrati con esplosivo, adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 15
dicembre 1997. Ed infine, la stessa Convenzione per la repressione del finanziamento al
terrorismo. Per ulteriori informazioni una lista esaustiva di trattati sul terrorismo può essere
consultata all‟indirizzo web http://untreaty.un.org/English/terrorism.asp.
75
mezzi ordinari e legali. In terzo luogo, gli atti di terrorismo farebbero in
genere parte di un piano di azione più vasto e sarebbero perpetrati da gruppi
organizzati in un lasso di tempo piuttosto ampio. Infine, gli atti di terrorismo
sarebbero solitamente perpetrati contro persone che non influenzano
direttamente o non hanno alcun legame con il cambiamento o risultato che il
gruppo terroristico vuole ottenere, come nel caso più tipico di atti terroristici
attuati contro civili121.
Inoltre, Casses afferma che per riconoscere determinate azioni violente
come terrorismo, due sono gli elementi soggettivi (mens rea) richiesti: 1)
l‟elemento soggettivo tipico di ogni reato penale ovvero l‟intento inteso come
dolus generalis; e 2) l‟intento specifico di spingere autorità pubbliche o
private a intraprendere o non intraprendere una determinata azione, inteso
come dolus specialis122.
Dello stesso avviso sembra essere il Tribunale Speciale per il Libano.
Difatti la corte di appello nel caso relativo all‟assassinio dell‟ex primo
ministro del libano Rafiq Harriri ha affermato nel febbraio 2011 che il
Tribunale Speciale per il Libano è tenuto ad applicare la nozione di terrorismo
costituita dai seguenti elementi:
121
Si veda Hans-Peter Gasser, acts of terror, “terrorism” and international humanitarian law, in
Rivista internazionale della Croce Rossa, Vol. 84, n° 847, September 2002, pp. 553-554.
122
Cassese, International Criminal Law, Oxford, 2008 pp.167-175.
76
―… the volitional commission of an act, through
means that are liable to create a public danger, and the
intent of the perpetrator to cause a state of terror… the
elements of the notion of terrorism do not require an
underlying crime, the perpetrator of an act of terrorism
that results in deaths would be liable for terrorism, with
the
deaths
being
an
aggravating
circumstance;
additionally, the perpetrator may also, and independently,
be liable for the underlying crime if he had the requisite
criminal intent for that crime…‖123
La corte d‟appello del Tribunale Speciale per il Libano ha quindi dato una
propria definizione di terrorismo, molto simile a quanto sostenuto da Gasser e
Cassese. Comincerebbero pertanto ad emergere alcuni dati di prassi che
potrebbero portare all‟affermazione di una nozione consuetudinaria di
terrorismo. Si tratta tuttavia di elementi ancora molto scarsi e sulla base dei
quali appare difficile raggiungere l‟affermazione del Tribunale Speciale per il
Libano.
In ogni caso, anche qualora fosse possibile ritenere che il diritto
consuetudiario già includa una norma autonoma che proibisce la commissione
123
La dichiarazione della Camera d‟appello per il Tribunale Speciale del Libano. http://www.stl-
tsl.org/x/file/TheRegistry/Library/CaseFiles/chambers/20110216_STL-1101_R176bis_F0010_AC_Interlocutory_Decision_Filed_EN.pdf
77
di atti di terrorismo, occorre sottolineare con forza che si tratta pur sempre di
una norma limitata alla definizione di un crimine internazionale individuale
ovvero la cui violazione comporterebbe solo la responsabilità penale dei suoi
autori. Eventualmente si potrebbe discutere se la norma comporti anche la
responsabilità internazionale dello Stato autore.
Ad ogni modo, la questione che qui rileva va tenuta distinta, poiché si
tratta di determinare le eventuali influenze che la cristallizzazione di una
definizione autonoma di terrorismo possa avere sulla qualificazione dei
conflitti armati. Alla luce di quanto appena affermato, l‟esistenza di una
nozione di „crimine di terrorismo‟ nel diritto internazionale umanitario e più
in generale nel diritto consuetudinario, non determina automaticamente il
riconoscimento di una nuova categoria di conflitti armati „terroristici‟. Per
comprendere quale sia il possibile legame tra la definizione di terrorismo e
l‟eventuale qualificazione del conflitto conviene fare riferimento ed esaminare
la prassi degli Stati in materia.
2. Qualificazione dei conflitti armati e „war on terror.
Elementi recenti della prassi sembrano suggerire che la nozione di terrorismo,
che andrebbe consolidandosi nel diritto internazionale, sia all‟origine non solo
di una nozione autonoma di un nuovo crimine internazionale ma che abbia
anche determinato l‟insorgere di una nuova categoria di situazioni di conflitto
78
armato. Se tale fosse il caso bisognerebbe chiedersi se e fino a che punto
l‟applicazione del diritto umanitario vada estesa ai conflitti „terroristici‟.
Secondo quanto sostenuto da alcuni Stati, un atto terroristico sarebbe
capace di generare un conflitto avente una natura “speciale”, ma in tutto e per
tutto qualificabile come conflitto armato. In particolare, la c.d. “war on
terror” sarebbe una categoria separata di conflitto armato. Il concetto di
“gruppi armati transnazionali” è stato utilizzato in modo esponenziale dopo
gli attentati terroristici che hanno colpito gli Stati Uniti di America nel
settembre 2001. Alla luce di tali attentati alcuni, tra cui la stessa
amministrazione americana, hanno sostenuto che anche attentati terroristici
possano essere considerati conflitti armati e in quanto tali regolamentati dalle
norme del diritto internazionale umanitario.
Tuttavia non è affatto chiaro quali norme del diritto umanitario
andrebbero applicate alla guerra al terrorismo. Si pensi solo alla qualifica di
combattente: andrebbe estesa anche ai terroristi, con la conseguenza di poter
costituire legittimi obiettivi di azioni „belliche‟? Oppure alla definizione
dell‟atto all‟origine del conflitto: la qualifica di conflitto „terroristico‟
deriverebbe semplicemente dal fatto che l‟autore dell‟atto scatenante è un
gruppo terroristico? Per non parlare ancora della difficoltà insite nel tentativo
di definire le modalità di combattimento da ritenere legittime. Al riguardo, la
prassi mostra una serie di elementi che occorre valutare con cautela prima di
giungere a conclusioni affrettate.
79
2.1. La prassi americana ed israelina favorevole al riconoscimento del
terrorismo come conflitto armato
A seguito degli attentati terroristici dell‟11 settembre 2001, gli Stati Uniti
d‟America hanno dichiarato guerra al terrorismo in risposta agli attacchi
subiti. Non vi è alcun dubbio che il terrorismo rappresenti una minaccia per la
comunità internazionale ma appare dubbio che esso possa essere classificato
come una nuova categoria di conflitto armato e se, ad esempio, il gruppo
terroristico responsabile degli attacchi possa essere riconosciuto come gruppo
armato parte di un conflitto. Tale questione verra‟ approfondita nel capitolo
successivo, tuttavia la particolare qualificazione della „war on terror‟ come
vero e proprio conflitto armato non è servita solo a qualificare come
combattenti i terroristi, ha anche permesso di tentare di giustificare le c.d.
esecuzioni mirate.
Dal 2001 in poi, i casi di uccisione dei leader delle organizzazioni
terroristiche è diventata una delle misure più importanti per contrastare la
minaccia del terrorismo. Molti Stati hanno utilizzato come strumento di lotta
al terrorismo le c.d. esecuzioni mirate. Tali azioni hanno assunto un ruolo
considerevole nella “guerra al terrore” soprattutto se si guarda alla prassi degli
Stati Uniti d‟America e di Israele124. Nel 2006 la Corte Suprema di Israele ha
dichiarato che le esecuzioni mirate compiute dall‟esercito ai danni di individui
124
F. Marone, “Decapitare il terrorismo:l‟efficacia delle misure mirate”, ISPI Analysis, n. 16,
Giugno 2010.
80
coinvolti in attività terroristiche non violano categoricamente il diritto
internazionale, stabilendo che la legalità di tali azioni debba essere definita
caso per caso125. A questo riguardo il Presidente della Corte Suprema di
Israele, Aharon Barak, ha affermato che:
―The line between war and peace is thin…in
any case it is impossible to maintain this distinction
over the long term… since Israel is facing a security
threat.‖ 126
Partendo dalla concezione secondo cui gli attacchi terroristici sono sufficienti
per dichiarare uno stato di guerra, Israele e gli Stati Uniti d‟America hanno
fatto largo uso di esecuzioni mirate non solo come strumento di difesa
nazionale ma anche come veri e propri strumenti di attacco militare ai
terroristi, così nel caso della guerra in Afghanistan ed in Libano.
Il primo caso di targeted killing riconosciuto da Israele come
operazione militare eseguita sotto la responsabilità del governo israeliano si
ebbe nel novembre del 2000. Pochi giorni dopo l‟inizio
della seconda
intifada, un attacco missilistico fu lanciato da un elicottero israeliano nel quale
persero la vita Hussein Muhammed Salim, presunto attivista del gruppo
125
A. Stahl, “The evolution of israeli targeted operations: Consequences of the thabet thabet
operation”, in Studies in conflict and Terrorism, Vol.33, N. 2 2010, pp. 111-133.
126
Barak, “Judgments of the Israel Supreme Court: Fighting Terrorism within the Law”, in Legal
Studies, Volume 28, Issue 4, pg 493–505, 2008.
.
81
armato palestinese Tanzim, e due donne che si trovavano nei pressi dell‟auto
obiettivo dell‟operazione militare. Da allora l‟esercito israeliano ha lanciato
attacchi simili contro i membri di organizzazioni palestinesi riconosciute
come gruppi terroristici dal governo israeliano127. La prassi dell‟eliminazione
diretta gode del sostegno delle più alte cariche di Israele che rivendicano il
diritto di eliminare chiunque costituisca una minaccia per la sicurezza dello
Stato con particolare riferimento ai soggetti che abbiano preso parte ad
attentati terroristici contro lo Stato israeliano ed i suoi cittadini.
Anche gli Stati Uniti hanno proceduto ad effettuare esecuzioni mirate a
seguito degli attacchi terroristici dell‟11 settembre 2001. In quello stesso anno
il Presidente Bush autorizzò la Central Intelligence Agency (CIA) a procedere
anche al di fuori del territorio nazionale all‟eliminazione fisica di presunti
terroristi considerati pericolosi per la sicurezza nazionale128. Il programma
delle azioni non fu reso noto ma molti attacchi furono sferrati in Afghanistan,
Yemen, Pakistan e Somalia129. Il caso piú famoso di targeted killings é stato
127
A. Annoni, “Esecuzioni mirate di sospetti terroristi e diritto alla vita”, in Rivista di diritto
Internazionale, n.4 del 2008, pp 991-1032.
128
Teather, CIA authorized to target and kill Al-Qaeda members, in the Guardian, 16 Dicembre
2002.
129
Per maggiori informazioni in merito a targeted killings effettuati dalle forze militari americane
si faccia riferimento a Downes, Trageted killing in an age of terror: the legality of the Yemen
strike, in journal of Conflict and security law, 2004, pp. 277 ss. Report of the special Rapporteur
on the promotion and protection of human rights and fundamental freedoms while countering
terrorism, 15 Marzo 2007, UN doc. A/HRC/4/26/Add.1. US Somali airstrikes “Kill many”, 9
82
quello di Osama Bin Laden e anche in questa occasione molti sono stati i
dubbi di legittimitá di tale azione sorti in dottrina130.
Facendo riferimento al sistema delle Nazioni Unite, il Consiglio di
sicurezza, in diverse risoluzioni, che fanno riferimento all‟art. 39 della Carta
delle Nazioni Unite, ha più volte qualificato il terrorismo internazionale come
minaccia alla sicurezza e alla pace. Tuttavia non ha mai definito tali azioni
come conflitti armati. Dal canto suo l‟Assemblea Generale delle Nazioni
Unite ha più volte ribadito che nonostante il terrorismo sia senza alcun dubbio
una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale esso deve essere
combattuto nel rispetto del diritto internazionale facendo esplicito riferimento
alla disciplina dei diritti umani131 e non al diritto internazionale umanitario.
Dalla prassi degli organi delle Nazioni Unite sembra pertanto difficile
gennaio 2007 visionabile all‟indirizzo web . A. Annoni, “Esecuzioni mirate di sospetti terroristi e
diritto alla vita”, in Rivista di diritto Internazionale, n.4 del 2008, pp 991-1032.
130
Per maggiori approfondimenti si faccia riferimento a Edoardo Greppi, L'uccisione di Osama
Bin Laden e il diritto internazionale: prime osservazioni, visionabile all‟indirizzo web
http://www.sidi-isil.org/wp-content/uploads/2010/02/Edoardo-Greppi-uccisione-di-Osama-binLaden-e-il-diritto-internazionale.pdf. Secondo l‟autore un‟operazione di targeted killing, per di
più condotta sul territorio di uno Stato “non nemico” e, addirittura, “alleato” solleva qualche
dubbio sulla sua conformità al diritto internazionale. Se si accoglie la tesi per cui Osama bin
Laden era il capo di un gruppo armato organizzato che prendeva parte al conflitto in Afghanistan,
è evidente che sarebbe applicabile il diritto internazionale umanitario (con i requisiti dell‟obbligo
di distinzione e della proporzionalità). Nel caso specifico, secondo Greppi, resta comunque, il
problema di giustificare un‟azione di guerra sul territorio di uno Stato terzo. Per di più, nessun
conflitto era in corso in Pakistan al momento dell‟uccisione di Bin Laden.
131
Si faccia, per esempio, riferimento a quanto affermato nella risoluzione dell‟Assemblea
Generale del 22 Marzo 2004 n. 58/187 Protection of human rights and fundamental freedoms
while countering terrorism.
83
desumere che un atto terroristico possa dar luogo ad una nuova categoria di
conflitti armati.
Gli Stati Uniti ed Israele, tuttavia, contestano la posizione assunta
dall‟Assemblea generale in quanto affermano che il regime applicabile alla
lotta al terrorismo internazionale non è quello contenuto nelle convenzioni
internazionali sulla tutela dei diritti umani ma quello previsto dalle norme di
diritto umanitario. Ad avviso di questi Stati, le norme sulla tutela dei diritti
umani si applicano soltanto in tempo di pace e nel corso di un conflitto armato
la tutela della persona è affidata esclusivamente alle regole disciplinanti la
condotta delle ostilità. Il governo americano e quello israeliano hanno
sostenuto di essere impegnati in un conflitto armato internazionale,
rispettivamente contro AlQaeda132 e contro i gruppi armati palestinesi
responsabili della seconda intifada133. I due Stati hanno riconosciuto che le
norme sui conflitti armati internazionali non trovano applicazione nei casi di
scontro tra Stati e gruppi terroristici ma non escludono la possibilità che tali
norme potrebbero essere interpretate in modo estensivo in modo da essere
132
Per maggiori approfondimenti sulla posizione sostenuta dall‟amministrazione Americana si
faccia riferimento in dottrina a Wedgwood, “AlQaeda, terrorism and military commissions”, in
American Journal of international law, 2002, pp. 328 ss.
133
Per ulteriori informazioni sulla posizione israeliana si faccia riferimento a Schorndoff, “The
targeted killings judgment; a preliminary assessment”, in Journal of international criminal
justice, 2007, pp. 294.
84
applicate a tutti i conflitti transnazionali indipendentemente dalla natura delle
parti in conflitto134.
Considerando quindi il terrorismo come una nuova categoria di
conflitto armato, risulta evidente che per i due Stati in oggetto le sole regole
del diritto internazionale applicabili alla guerra al terrorismo sono quelle del
diritto
internazionale
umanitario135.
L‟elemento
rilevante
ai
fini
dell‟applicazione delle norme di diritto internazionale umanitario ai nuovi
conflitti „terroristici‟ sarebbe esclusivamente la capacità distruttiva degli
attentati terroristici, del tutto comparabile a quella di un attacco armato di uno
Stato ed anche la loro origine extraterritoriale136. L‟elemento qualificante della
nuova categoria di conflitti sembra allora da rinvenirsi essenzialmente nel
carattere terroristico degli autori dell‟attacco armato che dà origine alle ostilità
134
La tesi dell‟interpretazione evolutiva della disciplina dei conflitti armati internazionali è stata
sostenuta anche dalla avvocatura di stato israeliana nel Supplemental statement by the State
Attorney‘s office nel ricorso presentato alla Corte suprema israeliana nel caso The public
committee against torture et al v. The Government of Israel et al., 2 febbraio 2003, visionabile
all‟indirizzo web http://www.stoptorture.org.il par 7 ss. In tale occasione l‟avvocatura di stato ha
fatto riferimento al concetto di “dynamic interpretation” delle norme di ius in bello. Per maggiori
informazioni riguardo la posizione degli Stati Uniti si veda White House, Memorandum of
February 7, 2002, Appendice C to Independent Panel to Review DoD Detention Operations,
Chairman the Honorable James R. Schlesinger to US Secretary of Defense Donald Rumsfeld,
August 24, 2004, ; Si vedano anche Anthony Dworkin, Crimes of War Project, Excerpts from an
Interview with Charles Allen, Deputy General Counsel for International Affairs, US Department
of Defense, dicembre 16, 2002, www.crimesofwar.org/onnews/news‐pentagon‐trans.html.
135
Suter, “An enquiry into the meaning of the phrase: Human rights in armed conflict” in Revue
de droit pénal militaire et de droit de la guerre, 1976, pp. 393 ss.
136
A. Annoni, “Esecuzioni mirate di sospetti terroristi e diritto alla vita”, in Rivista di diritto
Internazionale, n.4 del 2008, pp 991-1032.
85
ed alla sua gravità. La necessità di una nuova qualificazione del conflitto
terroristico sembra inoltre derivare dalla sua natura extraterritoriale e pertanto,
sembra possibile dedurre, dall‟impossibilità di qualificarlo come conflitto
puramente interno ai sensi del diritto umanitario.
Nel caso degli Stati Uniti ciò trova conferma soprattutto nella famosa
ordinanza militare del 13 novembre 2001 del Presidente USA relativa ai casi
di detenzione, trattamento e sottoposizione a processo di alcune delle persone
di cittadinanza non americana coinvolte negli attentati del 2001, dove si
sostiene quanto segue:
“International terrorists, including members of Al-Qaida have
carried out attacks on United States diplomatic and military
personnel and facilities abroad and on citizens and property
within the United States on a scale that created a state of
armed conflict that requires the use of the United States armed
forces”137
Pertanto sia Israele che gli Stati Uniti sostengono che la guerra al terrorismo
sia da considerarsi alla stregua di una nuova tipologia di conflitto armato che
vede contrapporsi i suddetti stati e specifiche entità terroristiche non statali
137
Per maggiori approfondimenti si faccia riferimento a Cerone, “Status of detainees in
International armed conflict , and their protection in the course of criminal proceedings”, in ASIL
Insight, gennaio 2002. Si veda anche Sciso, “La detenzione dei detenuti di Guantanamo fra diritto
umanitario e garanzie dei diritti umani fondamentali”, in Rivista di diritto internazionale, 2003,
pp.111 ss.
86
quali, il movimento di liberazione palestinese ed AlQaeda. Quanto al diritto
umanitario applicabile a tali nuovi conflitti non è tuttavia chiaro se le norme
che regolano i conflitti internazionali trovino integrale applicazione oppure se
si tratti del diritto applicabile ai conflitti interni. Nell‟ultimo caso i nuovi
„conflitti terroristici‟ poco si differenzierebbero da quelli a carattere non
internazionale.
2.2. La posizione spagnola a seguito degli attentati terroristici del 2004
L‟11 marzo 2004 degli ordigni carichi di esplosivo furono fatti esplodere in
quattro treni regionali di Madrid. Il numero ufficiale delle vittime fu di 191
morti e 2057 feriti. Immediatamente dopo gli attentati il governo e la
maggioranza dei partiti politici attribuirono la responsabilità all'ETA poiché
tali attentati avvennero solo tre giorni prima delle elezioni nazionali e perfino
il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite attribuì la responsabilità al
gruppo terrorista basco approvando la risoluzione 1530 dell'11 marzo 138 nella
quale condannava l‟accaduto riconoscendolo come minaccia per la sicurezza e
la pace. Nonostante ciò, poche ore dopo gli attentati alcuni indizi raccolti dalla
polizia contraddicevano la versione del governo avvalorando l'ipotesi di
attentati terroristici per mano di gruppi fondamentalisti islamici. La sinistra
138
Per maggiori approfondimenti si faccia riferimento all‟indirizzo web El Mundo
http://www.elmundo.es/elmundo/2004/03/11/espana/1078996710.html.
Si
veda
anche
a
T.
O‟Donnell, “Naming and shaming: The Sorry Tale of Security Council Resolution 1530 (2004),
in The European Journal of International law, vol.17, n. 5 pp. 945-968 del 2007.
87
nazionalista basca condannò gli attentati negando qualsiasi implicazione
dell‟ETA. Alla Audiencia Nacional, i servizi segreti e la polizia dichiararono
che il coinvolgimento dell‟ETA era altamente improbabile e che tutti gli indizi
sino ad allora raccolti spingevano verso un‟ipotesi più vicina ad
un‟organizzazione di origine islamica. Inoltre, il quotidiano al-Quds al-Arabi
pubblicò una lettera di rivendicazione degli attentati da parte della Brigata
Abu Hafs al Masri, in nome di Al-Qaeda, affermando di essere i responsabili
degli attentati di Madrid e che l‟attuazione di tali azioni terroristiche sarebbero
dovute servire come azioni punitive nei confronti della Spagna accusata di
complicità con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna per azioni contro l'Islam.
Le indagini sugli autori degli attentati di Madrid si conclusero all'inizio
del luglio 2006: l'attentato sarebbe stato perpetrato da una cellula terrorista
legata a Al Qaeda139.
La Commissione di inchiesta sugli attentati dell'11 marzo 2004 fu
creata dal parlamento spagnolo il 27 di maggio dello stesso anno al fine di
chiarirne le circostanze.
Nel marzo del 2005, la Commissione approvò le raccomandazioni che
il governo avrebbe dovuto osservare al fine di adottare nuove misure di
sicurezza destinate a impedire altri attentati della stessa natura di quelli
139
Per
maggiori
approfondimenti
si
faccia
riferimento
all‟articolo
del
El
Pais
lhttp://www.elpais.com/articulo/espana/190/muertos/1400/heridos/mayor/matanza/terrorista/Espa
na/elpporesp/20040311elpepunac_1/Tes.
88
avvenuti nel marzo 2004. Le conclusioni della Commissione furono approvate
dal congresso con 184 voti a favore, 145 contrari e una astensione.
La
Commissione concluse che l'attentato fu ispirato ma non eseguito direttamente
da Al Qaeda140.
A partire dal 15 febbraio 2007, il tribunale di Madrid, ascoltò le
dichiarazioni di 28 imputati e circa 300 testimoni. L'indagine ebbe termine
dopo oltre 4 mesi il 2 luglio 2007. Il tribunale confermò quanto già sostenuto
dalla commissione parlamentare, ossia che gli attentati dell'11 marzo 2004
furono compiuti da una cellula terrorista di tipo yihadista, e che nell'attentato
non ci fu partecipazione della organizzazione terrorista basca ETA.
Nonostante la gravità degli attentati e l‟origine terroristica degli stessi,
ovvero nonostante fossero presenti i medesimi elementi che nella posizione
statunitense ed israeliana permetterebbero di qualificare l‟esistenza di un
conflitto terroristico, il governo spagnolo non si è mai considerato parte di un
conflitto armato, sia esso interno sia esso internazionale, contro AlQaeda141.
140
Per
maggiori
approfondimenti
si
faccia
riferimento
all‟articolo
del
El
Pais
http://www.elpais.com/articulo/espana/Rey/pide/unidad/firmeza/serenidad/terrorismo/consiga/obj
etivos/elpporesp/20040311elpepunac_20/Tesi.
89
2.3. La posizione del Regno Unito all‟indomani degli attentati terroristici del
2005
Gli attentati terroristici che colpirono Londra il 7 luglio 2005 avvennero
attraverso esplosioni quasi simultanee ad opera di attentatori suicidi ed ebbero
come obbiettivo tre treni della metropolitana londinese ed un autobus. Il
risultato di tali attentati fu di 52 morti, inclusi gli attentatori, e circa 700 feriti.
I terroristi che perpetrarono tali atti furono in seguito identificati in quattro
uomini ormai deceduti. Al Qaeda ne rivendicò la responsabilità142. Alcune
settimane dopo, si verificò una seconda serie esplosioni su convogli della
metropolitana di Londra e su un autobus ma esplosero solo i detonatori e non
le cariche e quindi non ci furono vittime. Gli attentati sono stati il più grave
attacco a Londra dalla seconda guerra mondiale e il secondo più sanguinoso
attacco terroristico. Inizialmente si pensò che gli attacchi fossero riconducibili
all'esercito repubblicano irlandese (IRA) ma ben presto Al-Qaeda rivendicò gli
attentati come risposta al coinvolgimento britannico in Iraq e in Afghanistan.
Sulla base di quanto affermato nel rapporto della polizia inglese143
consegnato alla Camera dei Comuni dopo l‟attentato del 7 luglio 2005 le
motivazioni che hanno spinto i quattro attentatori a perpetrare tali atti di
142
Per maggiori informazioni si faccia riferimento agli articoli consultabili on line
http://news.bbc.co.uk/2/hi/in_depth/uk/2005/london_explosions/default.stm
http://www.guardian.co.uk/uk/2006/apr/09/july7.uksecurity
143
Il rapporto della Camera dei Comuni é visionabile all‟indirizzo web
http://news.bbc.co.uk/2/shared/bsp/hi/pdfs/11_05_06_narrative.pdf
90
terrorismo possono essere individuate nella forte presa di posizione della Gran
Bretagna dopo gli attentati dell‟11 settembre 2001 contro il terrorismo
internazionale. Non a caso il Regno Unito è stato oggetto di molteplici
dichiarazioni di Osama Bin Laden e del suo Vice Ayman al-Zawahiri.
Oltretutto, già prima degli attacchi di Londra, il Regno Unito era stato oggetto
di atti di terrorismo come nel caso degli attentati di Istanbul del 2003, che
miravano a colpire il consolato generale inglese144.
Ai fini della presente indagine, interessa osservare che il governo
inglese non si è mai considerato coinvolto in un conflitto armato. Il Regno
Unito si è trovato di fronte ad un attacco terroristico avente la stessa natura di
quello dell‟11 settembre 2001 e compiuto dal medesimo gruppo terroristico.
Tuttavia a differenza di quanto sostenuto dall‟amministrazione americana non
ha trattato tali avvenimenti come lo scoppio di un conflitto armato.
3. Conclusioni
Alla luce dell‟indagine svolta risulta impossibile ricostruire, in base alle
norme internazionali, l‟esistenza di una nuova categoria autonoma di conflitti
armati „terroristici‟ sulla base del fatto che l‟elemento scatenante sia un
attacco terroristico e con la conseguenza che una parte – non chiaramente
144
Per maggiori informazioni si faccia riferimento agli articoli consultabili on line
http://news.bbc.co.uk/2/hi/in_depth/uk/2005/london_explosions/default.stm
http://www.guardian.co.uk/uk/2006/apr/09/july7.uksecurity
91
identificata – del diritto umanitario vi trovi applicazione. La prassi in materia
risulta decisamente scarsa e la posizione di alcuni Stati rimane isolata.
Senz‟altro si può ritenere che il diritto internazionale umanitario
consideri il terrorismo come metodo illegittimo di combattimento e costituisca
un crimine di guerra, secondo alcuni persino un crimine internazionale
autonomo. Tuttavia, tale concezione non ha alcun legame con la
qualificazione dell‟atto terroristico come conflitto armato, sia esso interno che
internazionale. Difatti, un‟azione violenta pur anche di natura terroristica non
puo‟ sistematicamente essere qualificata come conflitto armato.
Va riconosciuto che la prassi di Israele e degli Stati Uniti d‟America ha
evidenziato una diversa tendenza poiche‟ tali Stati hanno avanzato la pretesa
di ritenere il terrorismo un conflitto armato sottoposto alle norme di diritto
internazionale umanitario e non alle norme sui diritti umani.
Una delle
motivazioni principali in base alla quale i due Stati hanno giustificato il
riconoscimento del terrorismo come conflitto armato al quale e‟ necessario
applicare il diritto internazionale umanitario sarebbe esclusivamente la
capacità distruttiva degli attentati di matrice terroristica, del tutto comparabile
a quella di un attacco armato di uno Stato. Un altro elemento determinante
sarebbe costituiro dalla loro origine extraterritoriale che li differenzierebbe dai
conflitti puramente interni.
Tuttavia, come si è avuto modo di mettere in luce, non tutti gli Stati
colpiti da attacchi terroristici si sono considerati parte di un conflitto armato.
92
Nonostante
un‟intensificazione del
fenomeno terroristico l‟equazione
terrorismo - conflitto armato non è certamente condivisa in modo diffuso nella
comunità internazionale. Alla luce di quanto appena affermato, non si può che
concludere sostenendo l‟impossibilità di qualificare gli attentati terroristici
come atti capaci di dare origine ad una nuova categoria di conflitti armati.
93
CAPITOLO IV: Le azioni armate condotte da uno Stato contro gruppi
armati non statali sul territorio di un altro.
Sommario: Introduzione. -1. Legittima difesa contro attacchi di privati e
implicazioni sul piano della qualificazione del conflitto. -2. I problemi di
qualificazione del conflitto sollevati dall‟intervento armato degli Stati Uniti in
Afghanistan contro Al Qaeda -3. La posizione della Corte Suprema americana in
relazione al riconoscimento della guerra al terrorismo come conflitto armato
internazionale. -4. La reazione armata di Israele contro gli Hezbollah in Libano. 5. Il problema dell‟inquadramento giuridico di azioni armate contro gruppi non
statali che coinvolgono lo Stato territoriale. -6. Conclusioni
Introduzione
Nella prassi internazionale si assiste sempre più frequentemente ad
azioni armate condotte da uno Stato sul territorio di un altro Stato per colpire
gruppi armati di individui ritenuti responsabili di attacchi terroristici o altri
attentati alla sicurezza dello Stato. Queste azioni sono talora condotte senza il
consenso dello Stato territoriale, il quale diviene così vittima di un intervento
armato che lede la sua integrità territoriale e indipendenza politica. Per
giustificare questi interventi sul piano dello jus ad bellum vi è una tendenza
degli Stati a invocare l‟esistenza di un diritto di legittima difesa in risposta ad
attacchi armati provenienti da gruppi terroristici. Tale tendenza nacque intorno
agli anni „70 e „80 protraendosi sino ad oggi e divenendo prassi sempre più
94
comune145. E‟ evidente che il conflitto che sorge a seguito di azioni militari di
questo tipo non coinvolge solo lo Stato attaccato e il gruppo armato; di fatto
essa interessa anche lo Stato sul territorio del quale l'azione militare contro il
gruppo viene condotta. Il problema principale che questo capitolo intende
affrontare è come qualificare il conflitto che si instaura nel caso di azioni
armate condotte da uno Stato contro un gruppo armato nel territorio di uno
Stato terzo, il quale non ha prestato il proprio consenso a tali operazioni
militari. Ci si chiede se ci si trovi davanti ad un conflitto unico di carattere
internazionale tra lo Stato interveniente e lo Stato territoriale, se si abbia un
unico un conflitto che, in assenza di azioni volte specificamente contro
strutture dello Stato territoriale, coinvolge soltanto lo Stato interveniente e il
gruppo contro il quale l‟azione militare viene diretta, o se si abbiano
contemporaneamente due distinti conflitti, uno tra il gruppo e lo Stato
interveniente e uno tra i due Stati.
145
Per maggiori approfondimenti in materia di uso della forza in risposta ad attacchi terroristici di
gruppi di individui si faccia riferimento tra gli altri a Tams C., “The use of Force against
Terrorists”, in European Journal of International law, aprile 2009, pp. 359 – 397; Klein, “Le droit
International à l‟épreuve du terrorisme” in Recueil des Cours, pp 203-309; Schachter, “The lawful
use of force by a State against Terrorists in another country”, in Isreael Yearbook on human
rights, 1986, pp.213-240; Corten and Dubuisson, “Opération “liberté immutable”: une extension
abusive du concept de légitime défence”, in RGDIP, 2002; Cannizzaro, “Contextualizing
proportionality: jus ad bellum and ius in bello in the Lebanese war”, in International Review of
the Red Cross, 2006; Gill, “the temporal dimension of the self-defense: anticipation, pre-emption,
prevention and immediacy” in Journal of conflicts and security law, 2006. M.Sassoli, “Terrorism
and war”, in JICJ 2006; J. Pejic, “terrorist acts and groups: A Role for international law?” in
BYIL 2004.
95
L‟esistenza di una prassi in materia, per quanto non molto estesa,
permette di identificare le tesi sostenute da alcuni Stati in relazione alla
questione in oggetto. Ai fini del presente studio si
analizzeranno in
particolare l‟intervento armato degli Stati Uniti d‟America contro l‟Afganistan
del 2001 e la reazione armata di Israele in Libano contro gli Hezbollah del
2006. In questi casi, infatti, ci sono state prese di posizione ufficiali sulla
natura del conflitto da parte degli Stati coinvolti. Inoltre, questi due conflitti
hanno dato origine ad alcune prese di posizioni giurisprudenziali nonché ad un
ampio dibattito in dottrina.
1. Legittima difesa contro attacchi di privati e implicazioni sul piano
della qualificazione del conflitto.
Il sempre più frequente verificarsi di situazioni nelle quali uno Stato,
invocando il diritto di legittima difesa, interviene militarmente contro un
gruppo armato presente sul territorio di un altro Stato costituisce un dato che
non è privo di implicazioni sul piano dello jus in bello. A fronte del ripetersi
di queste situazioni, infatti, appare sempre più urgente l‟esigenza di una
risposta chiara al problema della qualificazione dei conflitti sorti in seguito ad
interventi armati di questo tipo. Sotto questo profilo, si può ravvisare
l‟esistenza di un nesso tra lo sviluppo delle regole in materia di jus ad bellum,
ed in particolare di quelle in tema di legittima difesa, e l‟emergere di nuovi
problemi sul piano dello jus in bello. Se infatti si ammette che uno Stato sia
96
legittimato, sul piano dello jus ad bellum, ad invocare il diritto di legittima
difesa per compiere azioni militari dirette esclusivamente a colpire un gruppo
armato presente sul territorio di un altro Stato, si finisce in qualche modo per
“valorizzare” il ruolo dei gruppi armati come soggetti che non solo sono in
grado di condurre attacchi armati ai sensi dell‟art. 51 della Carta delle Nazioni
Unite ma che di fatto costituiscono i veri destinatari della reazione armata in
legittima difesa. Il conflitto che così sorge tende a presentarsi come un
conflitto che coinvolge principalmente, se non esclusivamente, il gruppo
armato e lo Stato che invoca la legittima difesa. Se si considera questo
conflitto nella prospettiva dello jus in bello, i problemi di qualificazione di
tale conflitto appaiono evidenti. La distinzione tra conflitti armati
internazionali e conflitti armati interni quale risulta dalle regole di diritto
internazionale umanitario non appare pienamente adeguata ad inquadrare la
natura di questo conflitto. Come abbiamo ampiamente visto nei capitoli
precedenti, i conflitti internazionali sono conflitti tra Stati; per conflitti non
internazionali si intendono invece principalmente i conflitti tra uno Stato e un
gruppo che opera sul suo territorio. Il conflitto sorto a seguito di un‟azione
armata di uno Stato volta a colpire un gruppo sul territorio di un altro Stato ma
senza il consenso di questo non appare facilmente riconducile a una di queste
due ipotesi.
Partendo dunque dalla considerazione che una evoluzione delle regole
sullo jus ad bellum potrebbe avere implicazioni anche in tema di jus in bello,
97
riteniamo opportuno allargare la visuale di questo capitolo compiendo un
breve esame del dibattito sviluppatosi intorno al tema del diritto di legittima
difesa in risposta ad attacchi armati da parte di gruppi di individui. Prima di
procedere a tale esame, occorre tuttavia precisare che non si intende qui
mettere in discussione la fondamentale distinzione tra jus ad bellum e jus in
bello. Resta ferma infatti l‟esigenza di tenere distinti i due gruppi di regole. Lo
scopo del diritto internazionale umanitario è quello di limitare le sofferenze
causate dalla guerra proteggendo e assistendo il meglio possibile le sue
vittime. Tale regime di norme perciò si rivolge alla realtà del conflitto senza
considerare le ragioni o la legittimità del ricorso alla forza. L‟applicazione del
diritto internazionale umanitario, in altre parole,
non è condizionato
dall‟accertamento se esistano o meno, sul piano dello jus ad bellum, le
condizioni per poter invocare il diritto di legittima difesa. Del resto, il diritto
internazionale umanitario, per la sua natura intrinseca, protegge le vittime
della guerra e i loro diritti fondamentali, a prescindere dalla parte alla quale
esse appartengano146. In sostanza, la ragione per cui un conflitto armato ha
luogo non deve in alcun modo influenzare l‟obbligo delle parti in conflitto di
rispettare quanto sancito dal diritto internazionale umanitario147. Se dunque si
146
Comitato Internazionale della Croce Rossa, Il Diritto internazionale umanitario, visionabile
all‟indirizzo web http://www.micr.it/doc_diu/domande_diu.pdf.
147
Condorelli e Naqvi, “The war against terrorism and Jus in bello: Are the Geneva Conventions
out to date?”, in A. Bianchi, Enforcing International law Norma against Terrorism, Studies in
International Law, pp.26-27.
98
ritiene qui utile prendere in esame l‟esame delle regole in tema di jus ad
bellum è solo per mettere in evidenza come lo sviluppo delle regole in tema di
legittima difesa contro attacchi armati di privati sia destinato ad acuire il
problema della qualificazione di certi tipi di conflitti condotti contro gruppi
armati.
Sull‟esistenza di un diritto degli Stati ad agire in legittima difesa in
caso di attacchi provenienti da gruppi di individui esiste un ampio dibattito tra
gli Stati. Già prima degli attentati terroristici dell‟11 settembre 2001, vi erano
stati casi di interventi contro gruppi terroristici che avevano basi sul territorio
di altri Stati148. Tra questi si può menzionare l‟azione militare di Israele
contro le basi dell‟OLP in Tunisia del 1985. Il 25 settembre del 1985 un
comando palestinese uccideva tre israeliani a Larnaca. A seguito di tale
attentato
terroristico
seguiva
la
reazione
israeliana
che
attraverso
un‟incursione aerea in Tunisia mirava a colpire la base centrale dell‟OLP,
dove Yasser Arafat si era rifugiato dopo l‟evacuazione dal Libano. Secondo
Israele l‟azione terroristica di Larnaca era imputabile alla Forza 17, corpo
speciale di Arafat, ritenuta responsabile da parte dei servizi segreti Israeliani
non solo di quell‟episodio terroristico ma di una serie di altri attentati. Il
governo Israeliano giustificò l‟attacco adducendo il diritto di combattere il
148
Per maggiori approfondimenti in materia di uso della forza contro atti terroristici si faccia
riferimento a Tams C., “The use of Force against Terrorists”, in European Journal of
International law, aprile 2009, pp. 359 – 397. Tams riporta in modo dettagliato casi di azioni
armate in risposta ad atti terroristici pre and post 11 settembre 2001.
99
terrorismo dovunque. In questa occasione Israele giustificò il proprio
intervento invocando il diritto alla legittima difesa ex art. 51 della Carta delle
Nazioni Unite.
Dopo l‟attentato dell‟11 settembre, i casi di prassi sono aumentati. Più
avanti esamineremo i problemi di qualificazione del conflitto sollevati dai due
precedenti più rilevanti, ossia l‟intervento degli Stati Uniti in Afganistan del
2001 e quello di Israele in Libano del 2006.
Una autorevole presa di posizione in senso contrario all‟esistenza di un
diritto di legittima difesa contro attacchi di gruppi di individui è quella della
Corte internazionale di giustizia. Nel parere sulle Conseguenze giuridiche
della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati la Corte ha
stabilito che “Article 51 of the Charter thus recognizes the existence of an
inherent right of self-defence in the case of armed attack by one State against
another State”149. In questo caso quindi la Corte sembra essere piuttosto
chiara nel sostenere che in mancanza di imputabilità degli attacchi armati
perpetrati da attori non statali ad uno Stato, non è possibile riconoscere
l‟esistenza di un diritto di legittima difesa. Più incerta appare la posizione
della Corte rispetto a questo problema nella decisione del 2005 riguardante le
Attività armate sul territorio del Congo. In questo caso la Corte, avendo
149
Si faccia riferimento al parere della Corte Internazionale di Giustizia sulle conseguenze
giuridiche della costruzione di un Muro nei territori palestinesi occupati par. 139.
100
escluso che vi fossero attacchi imputabili alla Repubblica Democratica del
Congo, ha ritenuto non necessario pronunciarsi sull‟esistenza del diritto di
legittima difesa contro attacchi perpetrati su larga scala da parte di gruppi di
individui150.
Anche in dottrina, nonostante il numero crescente di autori disposti ad
ammettere l‟esistenza di un diritto alla legittima difesa, la questione è oggetto
di tesi contrastanti.
In tema di lotta al terrorismo, un autore ha ritenuto legittimo il ricorso
all‟uso della forza in ipotesi come quelle in esame, che si qualificherebbero
come esercizio extraterritoriale di potere di coercizione interna, nell‟ambito
della gestione tutelare di interessi collettivi effettuata da Stati agenti uti
universi151. Un altro autore a tal proposito ha sostenuto che se l‟esercizio della
coercizione non si rivolge contro l‟integrità territoriale o l‟indipendenza
politica dello Stato ma si limita ad avere luogo nel suo spazio sovrano solo per
colpire il gruppo responsabile dell‟attacco armato, non vi sarebbe
incompatibilità con il divieto di cui all‟art. 2 par. 4 della Carta delle Nazioni
Unite152. In altre parole, è possibile colpire gruppi armati non statali
150
Si faccia riferimento alla decisione della Corte Internazionale di Giustizia sulle attività armate
sul territorio del Congo par. 147.
151
V. Ziccardi Capaldo, Terrorismo internazionale e garanzie collettive, Milano, 1990, pp. 75
152
Paust, “Responding lawfully to International terrorism”, in Law review, 1986, pp. 711 ss.
L‟art. 2 par.4 cita quanto segue: “…I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali
101
all‟interno di uno Stato ma ciò non dovrebbe degenerare in una azione armata
contro quello Stato153.
2. I problemi di qualificazione del conflitto sollevati dall‟intervento
armato degli Stati Uniti in Afghanistan contro Al Qaeda.
A seguito degli attentati dell‟11 settembre 2001 di New York il
presidente degli Stati Uniti, Bush, affermò che qualsiasi azione militare contro
individui, gruppi o nazioni coinvolti negli attacchi era da valutarsi come atto
di "legittima difesa"154. Tale dichiarazione diede l‟avvio all‟intervento armato
in Afghanistan nell‟ottobre 2001. L‟amministrazione statunitense ha da subito
riconosciuto Al-Qaeda come il gruppo armato responsabile degli attentati
terroristici dell‟11 settembre. L‟obiettivo principale dell‟intervento in
Afghanistan era quello di catturare il leader di tale organizzazione, Osama Bin
Laden. Nella fase iniziale, gli USA e la NATO hanno fornito supporto tattico,
aereo e logistico mentre l'Alleanza del Nord, formata dai gruppi afghani ostili
ai Talebani, ha fornito la maggior parte delle forze di terra. Nella fase
dalla minaccia o dall‘uso della forza, sia contro l‘integrità territoriale o l‘indipendenza politica
di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite.”
153
Tancredi, “Il problema della legittima difesa nei confronti di milizie non statali alla luce
dell‟ultima crisi tra Israele e Libano”, in Rivista di diritto Internazionale, 2007, pp. 969 ss.
154
White House, Memorandum of February 7, 2002, Appendice C to Independent Panel to
Review DoD Detention Operations, Chairman the Honorable James R. Schlesinger to US
Secretary
of
Defense,
August
24,
2004,
www.defenselink.mil/news/Aug2004/d20040824finalreport.pdf
102
successiva alla riconquista di Kabul, le truppe statunitensi aumentarono la loro
presenza sul terreno.
In relazione a quanto avvenuto a seguito degli attentati dell‟11
settembre, gli Stati Uniti d‟America dichiararono di essere coinvolti in due
diversi conflitti. Un primo conflitto vedeva gli Stati Uniti contrapporsi al
governo talebano; a questo, si sarebbero applicate le norme di diritto
internazionale umanitario applicabili ai conflitti armati internazionali. Il
secondo conflitto
opponeva gli Stati Uniti ad AlQaeda. Anche questo
conflitto, secondo gli Stati Uniti, avrebbe avuto carattere internazionale; ciò
tuttavia non comportava l‟applicazione delle norme delle Convenzioni di
Ginevra del 1949 in quanto tali norme erano applicabili ai soli Stati
contraenti155. In un memorandum presentato nel febbraio 2002 il Presidente
Bush osservò quanto segue156:
155
White House Memorandum, Humane Treatment of Taliban and al Qaeda Detainees 2 (Feb. 7,
2002),
visionabile
all‟indirizzo
internet
http://www.justicescholars.org/pegc/archive/
White_House/bush_memo_20020207_ed.pd. Si veda anche G. Fletcher, “The Hamdan Case and
conspiracy as a war Crime”, in Journal of Criminal Justice, 2006, pp. 442-447.
156
White House Memorandum, Humane Treatment of Taliban and al Qaeda Detainees
http://www.justicescholars.org/pegc/archive/White_House/bush_memo_20020207_ed.pdf. Dopo
gli attentati dell‟11 settembre l‟amministrazione Bush coniò il concetto di „Global war on terror‟
per identificare la lotta contro Al Qaeda ed altri gruppi terroristici, per maggiori approfondimenti
si faccia riferimento a John B. Bellinger, „Prisoners in war: contemporary challenges to the
Geneva Conventions‟, University of Oxford, 10 December 2007, visionabile all‟indirizzo
www.state.gov/s/l/rls/96687.htm. E per gli ultimi risvolti in materia di „Global war on terror‟si
faccia riferimento a Howard LaFranchi and Gordon Lubold, „Obama redefines war on terror‟,
Christian Science Monitor, 29 January 2009, features.csmonitor.com/politics/2009/01/29/obamaredefines-war-on-terror/.
103
“…I accept the legal conclusion of the Department of
Justice and determine that none of the provisions of
Geneva apply to our conflict with Al Qaeda in
Afghanistan or elsewhere throughout the world because,
among other reasons, Al Qaeda is not a High Contracting
Party to Geneva…‖.
Nel memorandum Bush precisò altresì che le Convenzioni di Ginevra
trovavano applicazione nel conflitto contro i Talebani in Afghanistan157:
“…I accept the legal conclusion of the attorney general
and the Department of Justice that I have the authority under
the Constitution to suspend Geneva as between the United
States and Afghanistan, but I decline to exercise that
authority at this time. Accordingly, I determine that the
provisions of Geneva will apply to our present conflict with
the Taliban. I reserve the right to exercise the authority in
this or future conflicts…‖.
Le indicazioni che si ricavano da questa presa di posizione statunitense
rispetto al problema della qualificazione del conflitto sono essenzialmente
due. La prima riguarda la tesi secondo cui esisterebbero contemporaneamente
due distinti conflitti armati, uno contro lo Stato territoriale – in questo caso
157
White House Memorandum, Humane Treatment of Taliban and al Qaeda Detainees 2
http://www.justicescholars.org/pegc/archive/White_House/bush_memo_20020207_ed.pdf
104
l‟Afghanistan - e uno contro il gruppo armato di individui. Il secondo dato
interessante è costituito dal fatto che il conflitto tra lo Stato e il gruppo –
conflitto che nella prospettiva avanzata dagli Stati Uniti rientrerebbe nella più
ampia war on terror - avrebbe carattere internazionale ma sarebbe sottratto
alle norme contenute nelle Convenzioni di Ginevra, ivi comprese quelle aventi
natura consuetudinaria. Peraltro, gli Stati Uniti non chiariscono quale sia il
regime di norme applicabile a tale tipo di conflitto. L‟unico elemento che
viene fornito è che non si applicano le norme di diritto internazionale
umanitario quali contenute nelle Convenzioni di Ginevra perché AlQaeda non
è un‟alta parte contraente delle Convenzioni del 1949.
Tale giustificazione risulta insufficiente se si pensa che nei conflitti
interni almeno una delle due parti in lotta non è mai un‟alta parte contraente
delle Convenzioni: ciò tuttavia non impedisce che si applichi quanto meno
l‟art. 3 comune158.
158
Per maggiori approfondimenti sulla posizione sostenuta dall‟amministrazione Americana si
faccia riferimento alla riscostruzione fatta da A. Paulus and M. Vashakmadze , “Asymmetrical
war and the notion of armed conflict: a tentative conceptualization less relevant for the
applicability of the minimum rules of IHL”, in International Review of Red Cross, 2009. Si
vedano anche Palchetti, “La qualificazione dei conflitti armati contro gruppi non statali tra „guerra
al terrorismo‟ e (pretese) modifiche delle regole internazionali in materia di uso della forza”, in
Gargiulo e Vitucci (a cura di), La tutela dei diritti umani nella lotta e nella guerra al terrorismo,
Napoli, 2009, pp. 207-228; M.Sassoli, “Terrorism and war”, in JICJ 2006; J. Pejic, “Terrorist acts
and groups: A Role for international law?” in BYIL 2004.
105
3. La posizione della Corte Suprema americana in relazione al
riconoscimento della guerra al terrorismo come conflitto armato
internazionale.
In merito alla qualificazione del conflitto in Afganistan, un‟importante
presa di posizione fu quella della Corte suprema americana nel caso Hamdan.
Salim Ahmad Hamdam era uno yemenita residente in Afghanistan che lavorò
come autista di Osama Bin Laden per circa 5 anni. Nonostante non fosse mai
stato parte di riunioni aventi ad oggetto gli attacchi dell‟11 settembre, per il
solo fatto di essere a conoscenza dei piani di AlQaeda fu riconosciuto
dall‟amministrazione americana come colpevole di aver cospirato allo scopo
di uccidere civili e di essersi impegnato in altri atti terroristici. Nella sentenza
resa il 29 giugno 2006, la Corte Suprema si pronunciò sulla questione
dell‟applicabilità delle Convenzioni di Ginevra rispetto all‟intervento armato
degli Stati Uniti159.
Rispetto al problema della qualificazione del conflitto tra Stati Uniti e
Al Qaeda, la Corte Suprema stabilì che l‟azione militare contro Al Qaeda non
poteva essere considerata come un conflitto armato internazionale in quanto
159
Su questa pronuncia si vedano J. C. Dehn, “The Hamdan case and the application of municipal
offence”, in Journal of International criminal justice, 2009, pp. 63-82, e N. Abrams,
Developments in US anti-terrorism Law, in Journal of International criminal justice, 2006, pp.
1117-1136.
106
non coinvolgeva due o più Stati contraenti160. In particolare, ad avviso della
Corte suprema l‟art. 2 comune alle quattro convenzioni di Ginevra non poteva
essere applicato alla fattispecie in esame in quanto esso trova applicazione in
caso di dichiarazione di guerra o in caso di conflitto armato tra due o più Alte
parti contraenti e non poteva quindi applicarsi al conflitto tra gli Stati Uniti e
un gruppo di individui che non avevano la qualità di Stato161.
Sotto un diverso profilo, la Corte Suprema rigettò la tesi sostenuta
dall‟amministrazione americana secondo la quale interventi armati contro
AlQaeda, ovunque condotti, costituivano parte di un conflitto armato al quale
non si applicavano le norme del diritto internazionale umanitario. La Corte
osservò che all‟interno del sistema di regole contenute nelle Convenzioni di
Ginevra, una norma potesse trovare applicazione nel caso di conflitto armato
160
J. C. Dehn, “The Hamdan case and the application of municipal offence”, in Journal of
International criminal justice, 2009, pp. 63-82.
161
La Corte affermò quanto segue: ―…The conflict with al Qaeda is not, according to the
Government, a conflict to which the full protections afforded detainees under the 1949 Geneva
Conventions apply because Article 2 of those Conventions renders the full protections applicable
only to ―all cases of declared war or of any other armed conflict which may arise between two or
more of the High Contracting Parties. Since Hamdan was captured and detained incident to the
conflict with al Qaeda and not the conflict with the Taliban, and since al Qaeda, unlike
Afghanistan, is not a ―High Contracting Party‖, the protections of those Conventions are not, it
is argued, applicable to Hamdan..‖. Il testo integrale della sentenza Hamdan v. Rumsfeld è
visionabile all‟indirizzo internet www.hamdanvrumsfeld.com.
107
tra parti non contraenti162ed a tal proposito fece espresso riferimento all‟art. 3
comune alle Quattro convenzioni, come segue:
“…Article 3 provides that in a ―conflict not of an
international character occurring in the territory of one of
the High Contracting Parties, each Party to the conflict
shall be bound to apply, as a minimum, certain provisions
protecting persons taking no active part in the hostilities,
including members of armed forces who have laid down
their arms and those placed hors de combat by . . .
detention.‖
Secondo la Corte Suprema il termine “conflict not of an international
character” è utilizzato nell‟art. 3 per contraddistinguere tali conflitti armati da
quelli che si svolgono tra Stati163. In particolare, la Corte ha osservato quanto
segue:
162
“ …We need to decide the merits of this argument because there is at least one provision of the
Geneva Conventions that applies here even if the relevant conflict is not one between
signatories…‖ Il testo integrale della sentenza Hamdan v. Rumsfeld è visionabile all‟indirizzo
internet www.hamdanvrumsfeld.com.
163
“…So much is demonstrated by the ―fundamental logic [of] the Convention‘s provisions on its
application.
High Contracting Parties (signatories) also must abide by all terms of the
Conventions vis-à-vis one another even if one party to the conflict is a non signatory ―Power,‖
and must so abide vis-à-vis the non signatory if ―the latter accepts and applies‖ those terms…‖ Il
testo integrale della sentenza Hamdan v. Rumsfeld è visionabile all‟indirizzo internet
www.hamdanvrumsfeld.com
108
―…Common Article 3, by contrast, affords some minimal
protection, falling short of full protection under the
Conventions, to individuals associated with neither a
signatory nor even a non signatory ―Power‖ who are
involved in a conflict ―in the territory of‖ a signatory. The
latter kind of conflict is distinguishable from the conflict
described in Common Article 2 chiefly because it does not
involve a clash between nations (whether signatories or
not). In context, then, the phrase ―not of an international
character‖ bears its literal meaning. Although the official
commentaries accompanying Common Article 3 indicate
that an important purpose of the provision was to furnish
minimal protection to rebels involved in one kind of
―conflict
not
of
an
international
character,‖
the
commentaries also make clear ―that the scope of the Article
must be as wide as possible.‖ In fact, limiting language that
would have rendered Common Article 3 applicable
―especially [to] cases of civil war, colonial conflicts, or
wars of religion,‖ was omitted from the final version of the
Article, which coupled broader scope of application with a
narrower range of rights than did earlier proposed
iterations‖.
109
La Corte ha quindi concluso affermando che l‟art.3 comune alle
Quattro Convenzioni si applicava al caso Hamdan e che quindi
―… it
requires that Hamdan be tried by a ‗regularly constituted court affording all
the judicial guarantees which are recognized as indispensable by civilized
peoples‖164.
La tesi sostenuta dalla Corte suprema circa l‟applicazione dell‟art. 3
comune alle quattro Convenzioni di Ginevra non è peraltro esente da alcune
critiche. Difatti, come precedentemente detto, se non vi sono dubbi che l‟art. 3
si applica a conflitti armati che avvengono all‟interno di uno Stato, il dubbio
sorge se si considera che nel caso dell‟Afghanistan il conflitto armato tra il
gruppo e lo Stato si è svolto al di fuori del territorio degli Stati Uniti
d‟America. Sotto questo profilo, la sentenza della Corte Suprema sembra
confermare quanto si è osservato in precedenza, ossia che alla luce dei sempre
più numerosi conflitti trans-frontalieri e alla loro difficile categorizzazione
come conflitti interni o internazionali, è opportuno estendere l‟ambito di
164
J. C. Dehn, ―The Hamdan case and the application of municipal offence‖, in Journal of
International criminal justice, 2009, pp. 63-8. Si faccia anche riferimento a M. Milanovic,
“Lessons for human rights and humanitarian law in the war on terror: comparing Hamdan and the
Israeli Targeted Killings case” in International Review of Red Cross, 2007, pp.373 ss, M. Sassoli,
Transnational Armed Groups and International Humanitarian Law, Boston, 2006, J. Somer,
“Jungle justice: passing sentence on the equality of belligerents in non-international armed
conflict” in International Review of Red Cross, 2007, pp 655 ss. F. Ní Aoláin, “Hamdan and
Common Article 3: Did the Supreme Court Get It Right?” in Minnesota law Review, 2007, pp.
1523 e ss.
110
applicazione dell‟art. 3 comune anche a conflitti che non si svolgono
interamente sul territorio di uno Stato. Un requisito geografico di questo tipo
risulta essere un ostacolo all‟applicazione di tale disposizione a fattispecie
atipiche. Difatti, un requisito così stringente impedirebbe a tale norma di
svolgere la funzione, ad essa riconosciuta anche dalla Corte internazionale di
Giustizia, di “elementary standards of humanity”165.
4. La reazione armata di Israele contro gli Hezbollah in Libano.
Nel luglio del 2006 alcune milizie legate al partito degli Hezbollah
lanciarono un attacco dal territorio libanese contro alcune posizioni di difesa
israeliana. Poco dopo tale attacco altri militanti attraversarono la c.d. “linea
blu”,166 penetrando in territorio israeliano, uccidendo otto militari dell‟esercito
e prendendone in ostaggio due. A seguito di tale azione, Israele lanciò attacchi
aerei e terrestri contro infrastrutture logistiche libanesi. Tale reazione non
fermò le milizie Hezbollah, che nei giorni seguenti continuarono a colpire con
razzi e missili località situate nella parte settentrionale di Israele. A seguito di
tali avvenimenti il governo israeliano decise di bombardare l‟aeroporto di
Beirut, nonché i quartieri sciiti della capitale e tutte le vie di comunicazione
tra Libano e Siria e continuarono sino a porre un blocco aereo e marittimo
165
Si faccia riferimento alla sentenze della Corte internazionale di Giustizia Military and
paramilitary activities in and against Nicaragua, ICJ Reports 1986, p.112, par.215.
166
La c.d. “Linea Blu” fu tracciata nel giugno del 2000 dalle Nazioni Unite quando le truppe
Israeliane si ritirarono dal Sud del Libano. UN Doc. S/2000/718 del 20 luglio 2000 par. 10.
111
contro il Libano167. Inoltre, in reazione agli attacchi subiti, l‟esercito israeliano
penetrò i confini del Libano allo scopo di costituire una fascia di sicurezza168.
Nell‟agosto del 2006 il Consiglio di Sicurezza adottò la risoluzione 1701 con
la quale si chiedeva il cessate il fuoco e si decise la presenza della missione di
peacekeeping UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon) allo scopo
di sostenere l‟esercito libanese nell‟imporre “one authority” nel sud del
Paese169.
La reazione di un numero significativo di Stati a seguito degli
avvenimenti appena descritti fu di condanna degli attacchi perpetrati dagli
Hezbollah contro Israele e di riconoscimento del diritto del governo israeliano
all‟uso della forza come espressione del diritto di legittima difesa 170. Peraltro,
la reazione israeliana è stata condannata dalla gran parte degli Stati in quanto
è stata considerata sproporzionata per l‟uso eccessivo della forza contro
personale militare libanese, e per aver provocato un elevato numero di vittime
civili nonché ingenti danni alle infrastrutture libanesi171.
167
Per maggiori informazioni sugli accaduti si faccia riferimento a UN Doc. S/PV.5489 del 14
luglio del 2006 e UN Doc. S/2006/560.
168
UN doc. S/2006/730 del 12 settembre del 2006.
169
UN doc S/PV.5511.
170
La stessa posizione fu sostenuta dal Segretario generale delle Nazioni Unite riportata dinanzi al
Consiglio di Sicurezza il 20 luglio del 2006.
171
Per maggiori approfondimenti sulla questione della proporzionalità nel caso dell‟attacco
Israeliano contro il Libano si faccia riferimento, tra glia altri, a Cannizzaro, “Contextualizing
proportionality: jus ad bellum and jus in bello in the Lebanese war”, in International Review of
the Red Cross, 2006, pp.779 e ss.
112
La reazione di Israele contro il gruppo armato degli Hezbollah in
Libano è stata qualificata, dallo stesso Stato di Israele, come un unico conflitto
armato internazionale tra Israele e il Libano al quale si sarebbe dovuto
applicare il diritto internazionale umanitario172. Israele argomentò tale
posizione facendo riferimento al mancato rispetto, da parte del Libano, degli
obblighi legati al rafforzamento di sistemi di controllo all‟interno del suo
territorio come richiesto dal Consiglio di Sicurezza in due distinte risoluzioni.
La questione della qualificazione del conflitto condotto da Israele in
Libano è stata in seguito affrontata dalla commissione di inchiesta istituita dal
Consiglio dei diritti umani delle Nazione Unite allo scopo di investigare sulle
sistematiche esecuzioni mirate di civili da parte delle truppe israeliane in
Libano e di esaminare i tipi di armi usate da Israele nonché analizzare il
172
Nella riunione tenutasi il 14 luglio del 2006 dal Consiglio di Sicurezza, il governo Israeliano
aveva difeso la propria posizione e aveva riconosciuto il carattere internazionale del conflitto,
affermando che il Libano si era reso complice di quanto perpetrato dagli Hezbollah “because
Lebanon lets its southern region be occupied by terrorism, rather than disarm it, and to
relinquish control over its country rather than exercise its full sovereignty”. Tale affermazione fu
ulteriormente ribadita da Israele facendo espresso riferimento alle ris. 1559 (2004), la ris. 1583
(2005) e la ris. 1680 (2006) del Consiglio di Sicurezza che obbligavano il Libano
all‟adempimento di specifici obblighi legati al rafforzamento di sistemi di controllo all‟interno del
territorio libanese da parte dello stesso governo. Tali obblighi, secondo il governo di Israele, non
furono rispettati e quindi il Libano era responsabile delle azioni perpetrate dagli Hezbollah, ragion
per cui ci si trovava di fronte ad un conflitto a carattere internazionale.
113
livello di intensità del conflitto ed il numero di morti causato dagli attacchi
israeliani173.
Nel rapporto presentato il 23 novembre del 2006, la Commissione di
inchiesta sostenne che le ostilità tra Israele e gli Hezbollah dovevano essere
qualificate come conflitto armato internazionale:
―…The hostilities that took place from 12 July to 14
August constitute an international armed conflict to which
conventional and customary international humanitarian
law
and
international
human
rights
law
are
applicable‖174.
Ciò in forza dello stretto rapporto esistente tra l‟apparato di governo
dello Stato libanese e il gruppo armato degli Hezbollah.
Il rapporto dà
rilevanza al fatto che Hezbollah era un partito politico pienamente integrato
nel governo libanese avendo anche rappresentati eletti in parlamento175. Ad
173
Human rights Council, Res. S-2/1 “The grave situation of human rights in Lebanon caused by
Israeli Military operations” 11 August 2006.
174
Implementation of General Assembly resolution 60/251 of 15 March 2006 entitled “Human
rights council” Report of the Commission of Inquiry on Lebanon pursuant to
Human Rights Council resolution S-2/1*. A/HRC/3/2 del 23 Novembre 2006.
175
Human rights Council, Res. S-2/1 “The grave situation of human rights in Lebanon caused by
Israeli Military operations” 11 August 2006. Ai paragrafi 56 e 57 la Commissione afferma
quanto segue:
56.―… First, in Lebanon, Hezbollah is a legally recognized political party, whose members are
both nationals and a constituent part of its population. It has duly elected representatives in the
114
avviso della Commissione, questo stretto rapporto tra lo Stato libanese ed
Hezbollah giustificava la possibilità di qualificare il gruppo come un
movimento di resistenza nazionale ―whose conduct and operations enter into
the field of application of article 4, paragraph 2 (b), of the Third Geneva
Convention of 12 August 1949‖. Ed è in forza di questa qualificazione che la
Commissione ritenne appunto che il conflitto potesse essere considerato come
un unico conflitto armato internazionale tra Israele, da una parte, ed il Libano
dall‟altra.
Parliament and is part of the Government. Therefore, it integrates and participates in the
constitutional organs of the State.
57. Secondly, for the public in Lebanon, resistance means Israeli occupation of Lebanese
territory. The effective behaviour of Hezbollah in South Lebanon suggests an inferred link
between the Government of Lebanon and Hezbollah in the latter‘s assumed role over the years as
a resistance movement against Israel‘s occupation of Lebanese territory. In its military
expression and in the light of international humanitarian law, Hezbollah constitutes an armed
group, a militia, whose conduct and operations enter into the field of application of article 4,
paragraph 2 (b), of the Third Geneva Convention of 12 August 1949. Seen from inside Lebanon
and in the absence of the regular Lebanese Armed Forces in South Lebanon, Hezbollah
constituted and is an expression of the resistance (‗mukawamah‘) for the defence of the territory
partly occupied. A government policy statement regarded the Lebanese resistance as a true and
natural expression of the right of the Lebanese people in defending its territory and dignity by
confronting the Israeli threat and aggression. In his address to the nation, on 18 August 2006,
President Emile Lahoud paid tribute to the ―National Resistance fighters‖. Hezbollah had also
assumed de facto State authority and control in South Lebanon in non-full implementation of
Security Council resolutions 1559 (2004) and 1680 (2006), which, inter alia, had called for and
required the disarmament of all armed groups, and had urged the strict respect of the
sovereignty, territorial integrity and unity of Lebanon under the sole and exclusive authority of
the Government of Lebanon throughout the country.
115
A prima vista, dunque, la tesi avanzata dalla Commissione di inchiesta
sulle vicende del 2006 non sembra discostarsi dalla tesi sostenuta dal
Tribunale penale internazionale per la ex - Iugoslavia nel caso Tadic.
Sembrerebbe infatti che la qualificazione del conflitto in Libano come
conflitto internazionale sia dettata esclusivamente dall‟esistenza di un
rapporto stretto tra lo Stato territoriale e il gruppo armato contro il quale
l‟azione militare è prevalentemente diretta. Risulterebbe quindi confermata
l‟idea secondo cui un conflitto è da considerarsi internazionale non solo
quando esistono protratte ostilità tra due Stati parti, ma anche quando tali
ostilità avvengono tra uno Stato parte e un gruppo armato under the overall
control di un altro Stato parte delle Convenzioni di Ginevra. Peraltro, è stato
osservato che la vicenda dell‟intervento israeliano in Libano consentirebbe di
estendere ulteriormente l‟ambito di applicazione della nozione di conflitto
armato internazionale. Alla luce di questo precedente si sostiene infatti che
non sarebbe necessario provare che lo Stato territoriale esercita un controllo
globale sul gruppo. Secondo questa tesi, per affermare l‟esistenza di un unico
conflitto di carattere internazionale tra lo Stato che agisce contro il gruppo
armato e lo Stato territoriale, sarebbe sufficiente dimostrare l‟esistenza di un
legame assai meno intenso tra lo Stato territoriale ed il gruppo, legame
consistente sostanzialmente nel fatto che il gruppo armato ha le sue basi nel
116
territorio dello Stato e che questo non è stato capace di disarmare il gruppo
armato o più in generale non è stato capace di controllarlo176.
5. Il problema dell‟inquadramento giuridico di azioni armate contro
gruppi non statali che coinvolgono lo Stato territoriale.
La prassi contemporanea ha visto moltiplicarsi i casi in cui l‟uso della
forza armata contro gruppi non statali ha di fatto condotto a interventi militari
compiuti da uno Stato, in risposta ad attentati terroristici, sul territorio di un
altro Stato senza che questo ne abbia dato autorizzazione. La questione in
esame ci porta a domandarci quale sia la natura del conflitto che ne scaturisce
e soprattutto se si tratta di un unico conflitto internazionale tra lo Stato e i
gruppo o se si debba invece parlare di due conflitti contemporanei, uno a
carattere interno contro il gruppo non statale ed uno a carattere internazionale
contro lo Stato territoriale.
Come è stato precedentemente riportato, nel caso del conflitto armato
in Afghanistan, gli Stati Uniti hanno sostenuto di essere coinvolti in un
conflitto di natura internazionale contro lo Stato afgano ed allo stesso tempo si
sono dichiarati parte di un secondo conflitto contro AlQaeda, al quale non si
sarebbe applicato il diritto internazionale umanitario177.
176
Tra gli altri si faccia riferimento a G. Stewart, “The UN Commission of Inquiry on Lebanon”,
in Journal of International Criminal Justice, 2007, pp.1039-1059.
177
White House Memorandum, Humane Treatment of Taliban and al Qaeda Detainees 2
http://www.justicescholars.org/pegc/archive/White_House/bush_memo_20020207_ed.pdf
Si
117
La tesi secondo cui azioni militari come quelle in esame diano sempre
vita ad un doppio conflitto non appare del tutto convincente. Sembra infatti
plausibile affermare che l‟attacco di uno Stato volto indistintamente a colpire
il territorio e le strutture militari e di governo dello Stato territoriale e il
gruppo non statale presente nel territorio di quest‟ultimo si configura come un
unico conflitto di natura internazionale a cui si applica il diritto internazionale
umanitario nella sua interezza178.
Un altro scenario possibile si ha quando uno Stato agisce militarmente
nel territorio di un altro Stato per colpire esclusivamente un gruppo armato di
individui, Si avvicina a questa ipotesi la reazione israeliana contro gli
Hezbollah in Libano. Nonostante Israele abbia in qualche modo colpito anche
infrastrutture libanesi durante gli attacchi, l‟obiettivo primario è sempre
faccia anche riferimento a Condorelli, “Les Attentats du 11 septembre et leurs suites: où va le
droit international?, in RGDIP 2001, pp 884 e ss. Byers e Nolte, The United States and
International law, Cambridge University Press, 2002. Per un‟analisi estensiva della posizione
degli Stati Uniti d‟America si veda tra gli altri Charles Garraway, “Afghanistan and the Nature of
Conflict”, in International Law Studies, Volume 85, Naval War College Newport, Rhode Island
2009. Si veda anche M. Beard, “America‟s New War on Terror: The Case for Self-Defense under
International Law”, in Harvard Journal of law and public policy, 2002 pp. 559 ss. (2001–2002) e
Rosand, “Security Council Resolution 1373, the Counter-Terrorism Committee, and the Fight
against Terrorism”, in American journal of International law, 2003, pp. 333 e ss.
178
In questo senso si faccia riferimento, tra glia altri, a Y. Dinstein, “Terrorism and Afghanistan”,
in International Law Studies, Volume 85, Naval War College Newport, Rhode Island 2009 e
Palchetti, “La qualificazione dei conflitti armati contro gruppi non statali tra „guerra al terrorismo‟
e (pretese) modifiche delle regole internazionali in materia di uso della forza”, in Gargiulo e
Vitucci (a cura di), La tutela dei diritti umani nella lotta e nella guerra al terrorismo, Napoli,
2009, pp. 207-228.
118
rimasto il gruppo armato degli Hezbollah. Benché l‟azione è volta solo contro
il gruppo, alcuni autori hanno comunque sostenuto che anche in tale
situazione si sarebbe dinanzi un unico conflitto di carattere internazionale.
Questa tesi sarebbe avvalorata alla luce di quanto sancito dall‟art. 2 comune
alle Convenzioni secondo cui una situazione può essere qualificata come
conflitto armato internazionale per il solo fatto che uno Stato intervenga
militarmente sul territorio di un altro Stato, anche se lo Stato territoriale non
oppone alcuna resistenza contro lo Stato interveniente179.
Al contrario, altri autori, sostengono che tale fattispecie concreta non
possa essere fatta rientrare in nessuna delle due categorie classiche di conflitto
armato così come definite dal diritto internazionale umanitario per due
ragioni; la prima è che non si può parlare di conflitto a carattere internazionale
poiché il conflitto avviene tra uno Stato e un gruppo armato non statale; la
seconda ragione è data dal fatto che l‟azione armata avviene al di là dei
confini dello Stato coinvolto nel conflitto, ragion per cui a tale fattispecie si
dovrebbe applicare il solo diritto dei diritti umani180.
179
Art. 2 comune alle quattro Convenzioni: “...2. The Convention shall also apply to all cases of
partial or total occupation of the territory of a High Contracting Party, even if the said
occupation meets with no armed resistance...‖ Per maggiori approfondimenti si faccia riferimento
a Y. Dinstein, “Terrorism and Afghanistan”, in International Law Studies, Volume 85, Naval War
College Newport, Rhode Island 2009 ed anche Tams C., “The use of Force against Terrorists”, in
European Journal of International law, aprile 2009, pp. 359 – 397 e M.Sassoli, “Terrorism and
war”, in JICJ 2006.
180
Di questo avviso, tra gli altri, è D. Pokempnerm, “Terrorism and Human Rights: The Legal
Framework”, in Terrorism and international law: challenges and responses, Contributions
119
Altri autori sostengono, invece, che tale fattispecie concreta non possa
essere considerata come conflitto armato a carattere internazionale in quanto
non si tratta di un conflitto tra Stati e quindi rimarrebbe la sola ipotesi di un
conflitto armato a carattere non internazionale181. Tale tesi si basa anche sulla
considerazione che le regole che si applicano in caso di conflitto
internazionale sono state pensate per essere rispettate da Stati e quindi
potrebbero difficilmente essere pienamente rispettate da entità non statali. Ad
ogni modo, la qualificazione di tale tipologia di conflitto come interno
comporterebbe l‟applicazione dell‟art 3 comune alle convenzioni di Ginevra.
Come si è visto, una tesi di questo tipo è stata accolta anche dalla Corte
Suprema degli Stati Uniti nel caso Hamdan182.
presented at the “Meeting of independent experts on Terrorism and International Law: Challenges
and Responses. Complementary Nature of Human Rights Law, International Humanitarian Law
and Refugee Law” organized by the International Institute of Humanitarian Law Sanremo, 30
May - 1 June 2002 and the “Seminar on International Humanitarian Law and Terrorism”
organized by the International Institute of Humanitarian Law in co-operation with the George C.
Marshall Center Sanremo, 24 - 26 September 2002.
181
Tra gli altri si veda in questo senso N. Lubell, “Transnational armed conflicts?” in Armed
Conflicts and Parties to Armed Conflicts under IHL: Confronting Legal Categories to
Contemporary Realities, 10th Bruges Colloquium, 22-23 October 2009.
182
C. Dehn, ―The Hamdan case and the application of municipal offence‖, in Journal of
International criminal justice, 2009, pp. 63-8. Si faccia anche riferimento a M. Milanovic,
“Lessons for human rights and humanitarian law in the war on terror: comparing Hamdan and the
Israeli Targeted Killings case” in International Review of Red Cross, 2007, pp.373 ss, M. Sassoli,
Transnational Armed Groups and International Humanitarian Law, Boston, 2006, J. Somer,
“Jungle justice: passing sentence on the equality of belligerents in non-international armed
conflict” in International Review of Red Cross, 2007, pp 655 ss. F. Ní Aoláin, “Hamdan and
Common Article 3: Did the Supreme Court Get It Right?” in Minnesota law Review, 2007, pp.
120
Le tre diverse posizioni ora descritte sono accomunate dal fatto di
respingere l‟idea che, a fronte di un unico intervento armato, si avrebbe due
conflitti paralleli. Due di queste tesi finiscono per ricondurre l‟azione armata
in questione alle due classiche categorie dei conflitti armate, internazionale e
non internazionale. La terza invece escluderebbe la riconducibilità del
conflitto a tali categorie.
Se si accettasse la posizione secondo cui il conflitto ha carattere
internazionale ci si troverebbe nella situazione di dover far rispettare norme
concepite per Stati a gruppi di individui, il che porterebbe alla violazione
sistematica di tali norme da parte del gruppo a cause della sua stessa natura.
Appare ad ogni modo difficile far rientrare tale tipologia di conflitto
all‟interno delle categoria dei conflitti internazionali in quanto una delle parti
in lotta non è uno Stato. Se si volesse estendere la nozione di conflitto armato
1523 e ss. N. Lubell, “Transnational armed conflicts?” in Armed Conflicts and Parties to Armed
Conflicts under IHL: Confronting Legal Categories to Contemporary Realities, 10th Bruges
Colloquium, 22-23 October 2009. Lubell argomenta la sua posizione come segue: ―…Common
Article 3 of the Geneva Conventions references ‗the territory of one of the High Contracting
Parties‘. It could be argued that this refers to the need to ensure that rules are not forced upon
non-State parties. Alternatively, one could argue on technicality, i.e. that common Article 3 does
not say that the territorial State actually has to be taking part in the conflict. Consequently, since
all States are Parties, it would always be in the territory of a Party. As such, the rules of
applicability of common Article 3 would fit the situation…‖. ―...The International Court of Justice
(ICJ) said that Common Article 3 is a ‗minimum yardstick‘ applying also to international armed
conflict. One could argue that according to that logic, ‗minimum yardsticks‘ should apply to any
conflict, no matter how they are defined, whether old or new…‖
121
internazionale in modo notevole si potrebbe affermare che tale qualificazione
sia possibile qualora il gruppo armato sia organizzato in tal modo da poter
essere equiparato ad uno Stato. Se invece si accettasse la posizione di coloro
che affermano che tali azioni armate non possono essere ricondotte ad alcuna
categoria di conflitto, si affermerebbe l‟esistenza di una lacuna normativa del
diritto internazionale umanitario ed in tal caso si dovrebbe assicurare
l‟applicazione del diritto dei diritti umani183. Sembra dunque inevitabile
riconoscere almeno l‟applicazione dell‟art. 3 comune alle Convenzioni
considerato dalla stessa Corte internazionale di Giustizia come “a minimum
yardstick” nel caso Nicaragua184.
6. Conclusioni
Come visto sino ad ora, i confini del diritto internazionale umanitario
sono tracciati in un equilibrio rispettoso degli interessi della sicurezza dello
Stato, la sicurezza individuale e le libertà civili. Alcuni autori sostengono
tuttavia che sia necessario adeguare il diritto internazionale umanitario alle
183
Anche la commissione di diritto internazionale, facendo riferimento alla Clausola Martens ne
ha ribadito l‟importanza in caso di lacuna normative in relazione a fattispecie concrete‖… [the
Martens Clause ] ... provides that even in cases not covered by specific international agreements,
civilians and combatants remain under the protection and authority of the principles of
international law derived from established custom, from the principles of humanity and from the
dictates of public conscience‖. UN Report of the International Law Commission on the Work of
its Forty-sixth Session, 2 May -22 July 1994, GAOR A/49/10, p. 317.
184
Si faccia riferimento alla sentenze della Corte internazionale di Giustizia Military and
paramilitary activities in and against Nicaragua, ICJ Reports 1986.
122
nuove sfide dell‟età contemporanea che vedono sorgere tipologie di conflitto
non riconducibili alle categorie classiche di conflitto armato. È il caso della
c.d. “war on terror”185. Secondo altri autori, invece, il diritto internazionale
umanitario è un regime giuridico privo di lacune, che deve essere invocato
laddove sussistono le condizioni per ricadere in conflitti armati interni o
internazionali, mentre qualsiasi altra circostanza dovrebbe essere regolata
esclusivamente dalle norme del diritto dei diritti umani186.
Ci si chiede se la bipartizione classica dei conflitti sia ancora
sostenibile o si debba allargare lo spettro di applicazione del diritto
internazionale umanitario a tutti quei conflitti – sempre più ricorrenti nella
prassi degli Stati – i quali, a prima vista, hanno carattere atipico. Gli approcci
possibili sono sostanzialmente due: adeguare le categorie esistenti attraverso
un‟interpretazione adeguatrice della nozione di conflitto armato o negoziare
un nuovo regime di norme che garantisca una maggiore protezione rispetto a
quanto stabilito dall‟art. 3 comune. A tal proposito, la posizione ufficiale
185
Duffy Helen, The War on terror and the framework of international law, Cambridge, 2002, pp.
240-271.
186
Per maggiori approfondimenti si veda Rona G., “Interesting times for International
humanitarian law: Challenges from the war on terror”, in the Fletcher Forum of World Affairs",
vol. 27, Summer/Fall 2003. Anche visionabile sul sito web dell‟ICRC.
123
dell‟ICRC in relazione all‟applicazione del diritto internazionale umanitario a
nuovi scenari di conflitto è la seguente187:
―The world is faced with a new kind of violence to which
the laws of armed conflict should be applicable.
According to this view, transnational violence does not fit
the definition of international armed conflict because it is
not waged among states, and does not correspond to the
traditional understanding of non-international armed
conflict, because it takes places across a wide geographic
area. Thus, the law of armed conflict needs to be adapted
to become the main legal tool in dealing with acts of
transnational terrorism. It is claimed that, for the moment,
such adaptation is taking place in practice, i.e. by means
of
the
development
of
customary
international
humanitarian law.‖
Alcuni autori invece sostengono che nonostante vi sia una nuova
prassi, non necessariamente si ha bisogno di costituire nuove categorie in
187
Per maggiori approfondomenti si faccia riferimento a quanto sostenuto nel rapport finale della
28th International Conference of the Red Cross and Red Crescent, International Humanitarian
Law
and
challenges
of
contemporary
armed
conflicts,
2003
http://www.icrc.org/eng/assets/files/other/ihlcontemp_armedconflicts
_final_ang.pdf
124
quanto le regole esistenti se interpretate in modo analogico posso essere
sufficienti a ricoprire nuove fattispecie concrete188.
Alla luce di quanto detto sino ad ora, pur riconoscendo la possibilità di
adeguare le regole esistenti attraverso un‟interpretazione adeguatrice, la
rinegoziazione di alcune norme del diritto internazionale umanitario appare
opportuna. Nello specifico, quelle norme che regolano la qualificazione dei
conflitti e i requisiti da soddisfare perché tale qualificazione avvenga
potrebbero essere riconsiderate. Tale procedimento, se avviato, comporterebbe
una maggiore certezza in merito alla sfera di applicazione del diritto
internazionale umanitario, garantendo una maggiore copertura normativa di
fattispecie concrete sempre più comuni nella prassi.
188
N. Lubell, “Transnational armed conflicts?” in Armed Conflicts and Parties to Armed Conflicts
under IHL: Confronting Legal Categories to Contemporary Realities, 10th Bruges Colloquium,
22-23 October 2009.
125
Conclusioni finali
L‟analisi che precede conferma il punto di partenza della presente
indagine: la dicotomia classica tra conflitti internazionali e conflitti non
internazionale appare sotto tensione in quanto incapace di dare risposte chiare,
almeno con riferimento ad alcune particolari ipotesi, su quali siano le regole di
diritto internazionale umanitario applicabile. Si tratta di una difficoltà che ha
ricadute pratiche evidenti in quanto genera incertezze sul quadro giuridico di
riferimento e presta il fianco al rischio che, dinanzi a scenari bellici inediti, gli
Stati utilizzino tale incertezza per sottrarsi ad obblighi su questioni
fondamentali quali quella, per fare solo un esempio, del trattamento dei
combattenti detenuti.
Il problema in questione non costituisce sicuramente una novità. Lo
sviluppo del diritto internazionale umanitario è avvenuto attraverso un lento
adattarsi alle nuove forme di conflitto e ai nuovi mezzi di combattimento.
Così, al momento della redazione delle Convenzioni di Ginevra si era posto il
problema del ruolo e del trattamento da riservare ai cd. movimenti di
resistenza organizzati, che tanto ruolo avevano avuto durante la Seconda
Guerra Mondiale. Intorno agli anni ‟60 e ‟70 la questione della qualificazione
dei conflitti era stata riesaminata in riferimento al ruolo dei c.d. movimenti di
liberazione nazionale. Come si è visto189, nonostante molte sono ancora le
189
Si faccia riferimento a quanto detto nel capitolo I del presente studio, pg 15 ss.
126
critiche a riguardo, dietro la pressione degli Stati sorti a seguito del processo
di decolonizzazione, il Primo Protocollo addizionale ha risolto la questione
riconoscendo ai conflitti che vedono coinvolti i movimenti di liberazione
nazionale la natura di conflitto di carattere internazionale.
L‟analisi condotta ha messo in evidenza, sulla base di un esame
della prassi e della giurisprudenza di giudici interni ed internazionali, quali
sono le situazioni che oggi appaiono più problematiche sotto il profilo della
qualificazione del conflitto. Si tratta, da un lato, dei conflitti aventi come
protagonisti gruppi armati, apparentemente autonomi ma che di fatto agiscono
grazie al sostegno ricevuto da altri Stati. Il precedente più studiato è costituito
dal conflitto in Bosnia nei primi anni ‟90. L‟altra ipotesi riguarda il caso di
gruppi terroristici o di gruppi armati che agiscono contro la sicurezza di un
Stato partendo dal territorio di un altro Stato; l‟esempio principale, in
proposito, è costituito da AlQaeda.
Rispetto alla prima delle due ipotesi ora indicate, si è provveduto ad
esaminarla inquadrandola all‟interno del più ampio contesto dei c.d. conflitti
internazionalizzati, vale a dire quei conflitti apparentemente interni che
presentano alcuni elementi caratteristici di un conflitto internazionale per
effetto del coinvolgimento, diretto o attraverso il sostegno a gruppi armati, di
uno Stato terzo nelle aree di lotta
190
190
. Tale situazione atipica pone in evidenza
D. Schindler, International Humanitarian Law and internationalized internal armed conflicts,
International review of Red Cross, n.230, 1982, p.255.
127
due problematiche principali. La prima riguarda la questione del tipo e grado
di controllo che un deteminato Stato deve aver sul gruppo armato affinché il
conflitto possa essere qualificato come internazionale; l‟altra questione è
quella di vedere come debba essere qualificato il conflitto quando sullo stesso
territorio siano presenti diversi attori, statali e non statali, apparentemente non
legate tra di loro, che conducono azioni belliche contro lo Stato territoriale.
Per ciό che concerne la prima questione, il dato che ci sembra più importante
segnalare è che il diritto internazionale umanitario sembra presenta una
lacuna. Infatti, come messo in evidenza dal Tribunale per la ex Iugoslavia nel
caso Tadic esso non definisce quale sia il tipo e il grado di controllo che uno
Stato deve esercitare su un gruppo armato perché un conflitto armato condotto
da tale gruppo contro un altro Stato possa essere considerato come un conflitto
internazionale. Tale lacuna ha evidentemente una seria ripercussione sulla
determinazione del quadro giuridico applicabile al conflitto. È dunque
auspicabile che il criterio del “controllo globale” utilizzato dal Tribunale per
la ex Iugoslavia possa affermarsi nella prassi. Si noti al riguardo che l‟utilizzo
di tale criterio al solo fine di qualificare la natura di un conflitto è stata
avallata, seppur solo indirettamente, anche dalla Corte internazionale di
giustizia. Con riguardo alla seconda questione, si è osservato come la
posizione predominante in dottrina ed in giurisprudenza sembra essere quella
sostenuta dal Tribunale internazionale per la ex Jugoslavia, che sulla base del
c.d.
“approccio
misto”,
ha
riconosciuto
che
un
elemento
di
128
internazionalizzazione rende internazionale solo il conflitto che vede
contrapporsi le forze armate appartenenti ai due Stati191 e che tale elemento
non agisce come fattore di internazionalizzazione per tutti i conflitti che hanno
luogo sul medesimo territorio192.
La seconda fattispecie atipica rispetto alla quale si sono manifestati
in modo più evidente i limiti della dicotomia conflitti interni/conflitti
internazionali é quella dei conflitti armati che vedono coinvolti gruppi di
individui, apparentemente indipendenti dallo Stato sul cui territorio hanno le
proprie basi militari, e uno Stato contro il quali tali gruppi hanno condotto
attacchi armati, siano essi di natura terroristica o di altra natura 193. A tal
riguardo si é rilevato come un‟azione violenta condotta da gruppi armati, pur
anche di natura terroristica, non può sistematicamente essere qualificata come
conflitto armato: l‟elemento determinante resta l‟intensità dell‟uso della
violenza bellica.
191
192
Prosecutor v. Tadić, T-94-1-A, Judgment, 15 July 1999.
Si veda C. Greenwood, International Humanitarian Law in the Tadić case, in European
Journal of International Law, 1996. Si faccia riferimento a quanto detto precedentemente nel
capitolo II della presente analisi riguardo alla sentenza della camera di appello del Tribunale
internazionale per la Ex Jugoslavia nel caso Tadić par. 84.
193
N. Balendra, Defining Armed Conflict, Working Paper, New York, 2007, p. 2467. Sul tema, si
si vedano anche M.Sassoli, Transnational Armed Groups and International Humanitarian Law,
in HPCR Occasional Paper Series, New York, 2006; J. Fitzpatrick, Speaking Law to Power: The
war against Terrorism and Human Rights, in European Journal of international Law, 2003. J.
Pejic, Status of Armed conflict, in E. Wilmshurst e S. Breu, Perspectives on the ICRC Study on
Customary International Humanitarian Law, Cambridge, 2007, p. 78.
129
In ambedue i casi di prassi esaminati in precedenza – l‟azione degli
USA contro AlQaeda in Afghanistan e il caso di Israele contro gli Hezbollah
in Libano - le reazioni degli Stati che hanno subito un attacco da parte del
gruppo sono avvenute sul territorio di Stati terzi senza il consenso di questi
ultimi. Se non vi sono dubbi che il conflitto tra i due Stati rientra nella
tradizionale categoria dei conflitti internazionale, il problema si pone rispetto
alla qualificazione del conflitto tra lo Stato che interviene e il gruppo. Come
abbiamo visto, le posizioni in dottrina, a tal riguardo, sono chiaramente
discordanti e anche la giurisprudenza non sembra trattare la questione in modo
unanime. Per i motivi indicati nel capitolo precedente, non appaiono
convincenti certe posizioni più estreme le quali o escludono del tutto la
riconducibilità di questo conflitto alle due categorie tradizionali previste dalle
Convenzioni di Ginevra o, in senso opposto, pretendono di estendere a questo
nella sua integralità la disciplina propria dei conflitti a carattere
internazionale. La prima tesi finisce per negare l‟applicabilità delle garanzie
minime di protezione al conflitto in questione e ciό non é accettabile se si
considera che tali tipologie conflittuali hanno un‟intensita‟ piuttosto elevata.
L‟altra tesi finisce invece per applicare a gruppi armati non statali disposizioni
che sono state pensate in relazione all‟attvità di entitá statali.
La soluzione che è stata prospettata nel corso di questo studio è che
il problema della qualificazione potrebbe essere risolto facendo riferimento
all‟art. 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra. Tale norma,
130
rappresentando “the elementary standards of humanity”, se interpretata in
modo estensivo, garantisce una minima copertura normativa delle conflitti
armati aventi le caratteristiche sopra indicate194. Si è visto, del resto, che tale
soluzione è stata accolta nella prassi, segnatamente dalla Corte Suprema degli
Stati Uniti nella sentenza resa nel caso Hamdan. Benché, tale tesi appaia
quelle più conforme allo stadio di sviluppo delle regole di diritto
internazionale umnaitario, il riferimento all‟art.3 comune non e‟ del tutto
soddisfacente. Il ricorso a tale disposizione appare come una sorta di
“soluzione forzata”, che risulta imposta dalla esigenza di garantire un minimo
di protezione e di standard umanitari in situazioni di conflitto atipiche.
Tuttavia, ci si può chiedere se la scarna disciplina contenuta in tale
disposizione sia sufficiente a coprire i notevoli problemi che sorgono in
conflitti di questo tipo. In sostanza, anche in questo contesto si può ravvisare
una lacuna nella disciplina attuale del diritto internazionale umanitario.
Alla luce di quanto appena detto, si pone dunque l‟esigenza di
superare le difficoltà attuali nella qualificazione di alcuni tipi di conflitti
attraverso un‟attività volta a completare la disciplina esistente. Una prima
possibilità, sul modello di quanto avvenuto negli ani ‟70 rispetto alla
questione della qualificazione dei conflitti che vedevano coinvolti movimenti
di liberazione nazionale, potrebbe essere costituita dalla convocazione di una
194
Si faccia riferimento alla sentenze della Corte internazionale di Giustizia Military and
paramilitary activities in and against Nicaragua, ICJ Reports 1986, p.112, par. 215.
131
conferenza di Stati per negoziare un nuovo protocollo. Questo nuovo
strumento convenzionale potrebbe chiarire la disciplina applicabile rispetto ai
problemi di qualificazione appena indicati. È evidente peraltro qual è la
difficoltà che una soluzione di questo tipo solleverebbe. In primo luogo, non
sembra, allo stato attuale, esservi una volontà politica degli Stati di negoziare
un nuovo Protocollo. Inoltre è facile attendersi una forte diversità di posizioni
tra gli Stati. Il rischio è quindi che si arrivi a soluzioni di compromesso di
scarsa utilità o peggio, come è accaduto rispetto ai conflitti che coinvolgono
movimenti di liberazioni nazionali, a soluzioni imposte da una maggioranza di
Stati ma fortemente avversate dagli altri.
L‟altra soluzione potrebbe essere quella di avviare una forte
discussione su questi temi che giunga, attraverso il coinvolgimento di
rappresentanti degli Stati, di esperti internazionali e di membri del CICR, alla
elaborazione di linee-guida atte a chiarire i punti controversi.195. Si tratta di
una strada più volte intrapresa negli ultimi anni con riguardo a temi
importanti, quali per esempio, la determinazione delle norme di diritto
internazionale umanitario aventi carattere consuetudinario. Benché tali lineeguida non avrebbero evidentemente, per loro natura, carattere vincolante per
195
Per maggiori approfondomenti sulla questione si faccia riferimento a quanto sostenuto nel
rapport finale della 28th International Conference of the Red Cross and Red Crescent,
International
Humanitarian
Law
and
challenges
of
contemporary
armed
conflicts,http://www.icrc.org/eng/assets/files/other/ihlcontemp_armedconflicts_final_ang.pdf
132
gli Stati, esse potrebbero essere di grande utilità per indirizzare la valutazione
di consiglieri giuridici degli Stati o dei giudici interni e internazionali.
133
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