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Il linguaggio dell`avvocato civilista

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Il linguaggio dell`avvocato civilista
Il linguaggio dell’avvocato civilista
David Cerri
Un uomo può cominciare a bere perché si sente un fallito e così
fallire sempre di più per il fatto che beve. È più o meno quello che
sta accadendo alla lingua inglese. Essa diventa brutta e imprecisa
perché i nostri pensieri sono stupidi, ma la trascuratezza della
nostra lingua ci rende più facile avere pensieri stupidi.
George Orwell – La politica e la lingua inglese (1946)
Pur cambiando lingua ed epoca, l’epigrafe conserva ancor oggi la sua validità.
Pensare bene e parlare/scrivere bene sono momenti così strettamente collegati che per entrare
nell’argomento che qui ci interessa devo dare per scontata nel lettore la consapevolezza
dell’importanza del ragionamento giuridico, ed - in particolare per operatori pratici come gli
avvocati - quella dell’argomentazione.
Bryan A. Garner, giurista statunitense tra i più noti – soprattutto per il suo lavoro sul
linguaggio del diritto – scrive nel suo testo forse più diffuso 1 che suo scopo sarebbe insegnare
a “pensare nel modo giusto – un’abilità inseparabile dallo scrivere nel modo giusto”.
Dato tale presupposto, per scrivere del linguaggio dell’avvocato civilista è necessaria dapprima
una delimitazione del campo dell’indagine, quindi una ricognizione dello situazione attuale,
l’individuazione di obiettivi desiderabili (ove – e lo si può anticipare – tale ricognizione non
dia esiti soddisfacenti), così da poter offrire, infine, qualche suggerimento per raggiungerli.
Tutto ciò, vista la sede e le capacità di chi scrive, in modo sommario e conciso (ed anche
questo è di per sé un primo”segnale”…).
La prima ”confinazione” va fatta rispetto al lavoro dei colleghi penalisti (trascuro
forzatamente, e senza cattive intenzioni, gli amministrativisti…), e può esser immediatamente
riassunta in un’osservazione: il linguaggio del civilista è prevalentemente scritto. Non che al
penalista manchino le occasioni di metter mano alla penna, ma indubbiamente tradizione da un
lato e strumenti normativi dall’altro hanno fatto sì che per il civilista l’oralità sia ristretta a
mere oasi processuali (tra poco su quest’ulteriore delimitazione), laddove si fa cenno a
momenti quale la “discussione” e lo svolgimento delle prove. Non credo si possa dubitare senza neppure bisogno di scomodare l’actio di ciceroniana memoria - che gesto e presenza
scenica non abbiano per il civilista la stessa importanza che hanno per il penalista, che
soprattutto nel dibattimento (si pensi al controesame) deve poter padroneggiare diverse
tecniche, e presentare anche un diverso atteggiamento mentale che è solo pallidamente riflesso,
1
B.A.GARNER, Legal Writing in Plain English. A Text with Exercises, The University of Chicago Press, 2001;
consulta
per
un
abstract
l’indirizzo
:
http://www.press.uchicago.edu/presssite/metadata.epl?mode=synopsis&bookkey=37423. Tengo a sottolineare che
tutte le traduzioni dei testi in lingua straniera sono di chi scrive.
per esempio, nelle possibilità di intervento che si hanno durante l’escussione di un teste o
l’esame di un interrogato nel processo civile.
Ha scritto una psicologa come Anne Cutler che “il ritmo serve solo alla lingua parlata”2:
chioserei aggiungendo semplicemente che è comunque ben altra cosa “dare il ritmo” ad un
testo scritto.
Ho già accennato al processo: l’ulteriore restringimento della visuale va infatti condotto al
procedimento civile ordinario (italiano), volendo di proposito escludere riferimenti al parere,
all’opinione pro veritate, ed ovviamente alla sentenza (anche se potrebbe essere lecito, da
quest’ultimo punto di vista, un esame delle tecniche di redazione dei lodi arbitrali), che
richiedono (anche) altri strumenti; così come al comportamento dell’avvocato in mediazione,
le cui recenti discussioni hanno aperto nuovi orizzonti (con significativo rilievo – qui sì –
dell’oralità).
Sulla ricostruzione dello status quo, confesso che dovrei sorvolare a tutela dell’onore della
nostra categoria (non che analoghe osservazioni non si possano e debbano fare anche ai
giudici, ma mal comune non è mezzo gaudio), ma così facendo non potrei proseguire; ed allora
è sufficiente richiamare quanto è ben noto per essere stato richiamato all’attenzione di tutti noi
da linguiste come Bice Mortara Garavelli 3: negli atti degli avvocati civilisti abbondano quelli
che sono efficacemente stati definiti “fossili lessicali” e stereotipi sintattici; latinetti; ripetizioni
e ridondanze; periodi e frasi lunghi; mancanza di un chiaro ordine argomentativo (e non voglio
pur sconfinare nella prospettiva dei contenuti); punteggiatura approssimativa; insufficiente od
errato uso delle risorse grafiche ed oggi degli strumenti informatici, e chi più ne ha più ne
metta. E non si dica neppure che è un problema solo italiano, che anzi sembra connaturato al
nostro mestiere 4.
Se questa è la descrizione, essa indica già in negativo quali debbano essere gli obiettivi.
Si farebbe – e si fa correttamente – presto a dire subito: chiarezza e concisione. Lo sappiamo
dai tempi dei greci e dei romani, noi occidentali, e se fossimo orientali lo sapremmo da ancora
prima.
Ed è utile, per quel che ci interessa, richiamare l’attenzione sulla funzione performativa delle
parole: gli avvocati (e i magistrati) se ne intendono, anche se magari non lo sanno… cos’ altro
è, solo per un esempio, scrivere un ricorso e chiedere l’accoglimento di una domanda (e,
correlativamente, emettere una sentenza) se non la modalità di una funzione nella quale quelle
parole usate prefigurano un fare, legato all'esecuzione di atti ? Da sempre i giuristi pratici
“fanno cose con le parole” 5.
Alla tradizione oggi, però, si aggiungono richiami forse non disinteressati, ma sicuramente
validi, quali quelli che ci giungono da diversi legislatori e da varie corti.
Così, per esempio, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee suggerisce esplicitamente agli
avvocati alcuni precetti, quali quelli di completezza, concisione, chiarezza e precisione giacchè
“Una semplice lettura deve consentire alla Corte di cogliere i punti essenziali di fatto e di
diritto” 6, fino a prescrivere la lunghezza massima e la struttura dei ricorsi 7.
2
A.CUTLER, The perception of rhythm in spoken and written language, in J. MEHLER e S. FRANCK (a cura
di), Cognition on Cognition, Cambridge, MA: MIT Press, 1995, ripresa da Roberto Casati e Achille C. Varzi in Il
Sole 24 Ore del 18 novembre 2012.
3
B.MORTARA GARAVELLI, Le parole e la giustizia, Torino, Einaudi, 2001, spec. 153 ss.
4
Si legga ad es. J.B.WHITE, il padre del movimento di Diritto e letteratura, in Justice in Tension: An Expression
of Law and the LegalMind, in NoFo 9 (2010), quando scrive che avvocati e giudici talvolta “parlano nei modi
ormai morti che ci sono familiari, pieni di clichés e di formule vuote”.
5
J.L.AUSTIN, Come fare cose con le parole, Milano,Marietti, 1987.
6
Dalla Guida per gli avvocati, § 15, http://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2008-09/txt9_200809-6_09-12-10_327.pdf.
7
Istruzioni pratiche alle parti per il Tribunale,
http://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/200907/it_instructions_pratiques_aux_parties.pdf. In termini analoghi le istruzioni per il Tribunale della Funzione
pubblica.
In Italia, il Codice del processo amministrativo prevede espressamente all’art.3 il “Dovere di
motivazione e sinteticità degli atti”: c.2. Il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara
e sintetica.8
Mi sembra significativo ricordare un recente (settembre 2011) precedente statunitense, Stanard
v. Nygren (Corte di appello del Settimo Circuito U.S.A.) che ha ritenuto violata la norma posta
dalla Rule 8, a), 2 delle Federal Rules of Civil Procedure (secondo la quale il ricorso deve
contenere “a short and plain statement of the claim showing that the pleader is entitled to
relief.”, mentre altre Rules prescrivono la struttura degli atti, come la 10) per la lack of
puntuaction dell’avvocato che aveva redatto un atto nel quale almeno 23 frasi contenevano 100
o più parole, incluse frasi di 385, 345, 291 ma senza includere quelle divise in più sottosezioni
9
; il riferimento a culture giuridiche diverse dalla nostra, oltre ad essere ormai inevitabile, ci
costringe a trovare convergenze.
Da noi, la Corte di Cassazione ha più volte ed in materie disparate cercato di riassumere gli
snodi essenziali, mostrando – su un piano argomentativo, certamente, e non di mero
linguaggio – di tenere in conto linearità e chiarezza di pensiero: anche questo un segnale,
quindi, nella medesima direzione (è il caso delle c.d. sentenze-decalogo; e non va trascurato il
ripetuto richiamo del Primo Presidente a criteri di concisione e di chiarezza – così nella
Relazione all’apertura dell’anno giudiziario 2012, ed anche nel provvedimento sulla
motivazione semplificata di sentenze e di ordinanze decisorie civili del 2011).
Tuttavia questi richiami non bastano.
A quale scopo, infatti, chiarezza e concisione ?
Per agevolare il lavoro di chi giudica ? certamente, ma non può esser questo l’unico valore che
ispira la riflessione.
Per semplificare, standardizzare ? insomma, per deflazionare il carico della giustizia civile, il
cui stato è troppo noto e grave per doverlo illustrare anche in questa sede ? indubbiamente
anche questo può essere un risultato utile, ma cominciare dalla fine e invertire i termini dei
problemi (vizio nel quale il nostro legislatore incorre abitualmente, vedasi l’esperienza della
mediazione obbligatoria, strumento tanto utile quanto mal interpretato nell’attuazione italiana)
è sicuramente sbagliato.
Ci si deve chiedere il perché, alla fine, sia meglio per tutti – avvocati, magistrati, cittadini –
scrivere bene.
A ben vedere, lo scopo principale è quello della comprensibilità, che si atteggia a sua volta
duplicemente come strumento di persuasione (e quindi di efficienza), e come strumento di
trasparenza (e quindi – lasciatemi usare il termine – di democrazia).
Tony Judt, il grande intellettuale scomparso nel 2010, nel suo omaggio alle “parole”, contenuto
in breve saggio redatto quando una malattia neurologica già gli impediva l’espressione verbale
di un pensiero ancora lucidissimo, scriveva di “quanto la comunicazione fosse vitale alla
collettività: non solo gli strumenti grazie ai quali viviamo insieme, ma parte di ciò che vivere
insieme significa” 10.
Chiarito l’obiettivo principale, è proprio il caso di dire con un linguista come De Saussure tout
se tien.
A cominciare da un evidente riflesso deontologico: il linguaggio “giusto” (nel caso del civilista
il ben parlare – di fatto poco - e il ben scrivere – tanto) è un dovere preciso, anche se forse è
prematuro sognare che nel nuovo codice deontologico, che dovrà essere redatto dopo la
8
Nel processo civile italiano, per ora, la concisione è un’istruzione riservata ai giudici…cfr. gli artt.132 e 118
disp.att., 281 sexies c.p.c.
9
Stanard v. Nygren, 09-1487, 2011 WL 4346715 (7th Cir. Sept. 19, 2011) cit. da S.KING, Legal Writing Across
the Curriculum: An Addition to Langdell’s Method, (Jan.10, 2012), in SSRN http://ssrn.com/abstract=2020528, e
reperibile su FindLaw.
10
T.JUDT,
Words,
sul
blog
della
The
New
York
Review
of
Books,
http://www.nybooks.com/blogs/nyrblog/2010/jun/17/words/.
riforma professionale, vi sia riservata un’apposita previsione (ma non si può dire che già oggi
si possa leggere in filigrana quantomeno negli art.12 e 13, su dovere di competenza e di
aggiornamento ?).
I suggerimenti, infine.
Ho ricordato all’inizio l’opera di Garner, ed è ancora lui che intervistando uno ad uno tra il
2006 e il 2007 i giudici della Corte Suprema statunitense riceve dalla loro viva voce
un’indicazione unanime che tutte le altre riassume, e che ormai conosciamo anche troppo bene:
è sempre la solita, essere chiari e concisi. Dice il Chief Justice Roberts: “Non mi è ancora
successo di terminare di leggere un atto e dire ‘ Avrei voluto fosse più lungo’…. Non c’è un
giudice che non direbbe la stessa cosa. Quasi tutti gli atti che ho letto avrebbero potuto essere
più brevi”. E Anthonin Scalia risponde alla domanda su quale sia il principale difetto degli atti
redatti dagli avvocati: “la prolissità” 11.
Il primo consiglio è allora di metodo: attingere per una volta non alla nostra tradizione – che
pure è univoca sul punto (dalla brevitas di Cicerone a quella di Cesare, dagli ammonimenti
secenteschi del Cardinal De Luca sullo stile laconico 12 a quelli settecenteschi di Giuseppe
Aurelio Di Gennaro 13) – ma agli spunti di una cultura giuridica sia pure diversa, ma oggi (oltre
che di fatto prevalente) suggestiva per il suo carattere inconfondibilmente pragmatico, e mi
riferisco non tanto genericamente a quella anglosassone, ma specificamente a quella
statunitense vissuta nelle Law Schools.
Nel merito, e di conseguenza, dall’opera già citata di Garner possiamo riprendere in questa
sede solo alcuni dei 50 principi là riassunti in forma aforistica, e da tener presenti secondo
l’Autore al momento di creare documenti legali 14.
Ricordo che essi sono dettati non solo per gli avvocati civilisti, ma a questi si prestano in modo
particolare in quel senso dell’efficienza e della comprensibilità come sopra delineato.
Eccone allora alcuni dei più significativi, in una sorta di piccolo “breviario” che vorrei pensare
dedicato soprattutto ai giovani colleghi:
§1
ABBIATE QUALCOSA DA DIRE – E PENSATECI BENE.
§2
PER LA MASSIMA EFFICIENZA, PIANIFICATE I VOSTRI PROGETTI DI
SCRITTURA. PROVATE UNA SCHEMATIZZAZIONE NON-LINEARE
§3
ORDINATE I VOSTRI MATERIALI IN UNA SEQUENZA LOGICA. USATE
UNA CRONOLOGIA QUANDO ESPONETE I FATTI. TENETE INSIEME I
MATERIALI COLLEGATI.
§4
DIVIDETE I DOCUMENTI IN SEZIONI, E DIVIDETE LE SEZIONI IN
PARAGRAFI PIÙ BREVI QUANDO NECESSARIO. USATE INTESTAZIONI
INFORMATIVE PER SEZIONI E SOTTOSEZIONI.
§5
FATE A MENO DELLE PAROLE INUTILI.
§6
MANTENETE LA LUNGHEZZA MEDIA DELLE FRASI A VENTI PAROLE.
…magari in lingua italiana sarà consentita qualche parola in più.
Come esercizio si può prendere una motivazione od un atto
giudiziario che contenga periodi lunghi, e dividerlo - mantenendo
il senso - in due/tre parti.
§ 12
IMPARATE A DETESTARE I “GERGHI” CHE SIANO SEMPLIFICABILI. Ciò
che non vale, naturalmente, quando l’uso di termini di linguaggi di
settore sia indispensabile per la esatta comprensione: “semplice”
non vuol mai dire “semplicistico”.
11
Scribes L. Leg.Writing , n.13 (2010), 35 e 53.
G.D.DE LUCA, Lo stile legale, Bologna, Il Mulino, 2010 (dal Libro XV del Theatrum veritatis et iustitiae del
1673).
13
G.A. DI GENNARO, Delle viziose maniere del difender le cause nel foro, Napoli, Mosca, 1744.
14
e soprattutto fornisce una serie di esercizi, in tre livelli, per sperimentarne la comprensione.
12
§ 16
§ 22
§ 23
§ 24
§ 26
§ 28
§ 31
§ 43
§ 45
§ 47
e infine
§ 50
EVITATE LE DOPPIE E TRIPLE RIPETIZIONI.
Per esempio, si provi a modificare il periodo che segue eliminando
le ridondanze ma senza cambiarne il significato:Voglia il
Tribunale, respinta ogni contraria richiesta, difesa, domanda,
eccezione e pretesa…
USATE LA TECNICA DEL “DEEP ISSUE” PER SPIFFERARE TUTTO NELLA
PRIMA PAGINA.
L’espressione - intraducibile alla lettera - altro non sta a significare
che il rapido e tempestivo inquadramento dell’oggetto dello scritto;
leggiamo i consigli dati altrove 15 dallo stesso Garner su come
dev’esser redatto:
- deve consistere di frasi separate
- non deve contenere più di 75 parole
- deve avere abbastanza dettagli da rendere il senso della
vicenda
- deve terminare con un punto interrogativo
- deve apparire all’inizio dello scritto, non dopo
l’esposizione dei fatti
- deve essere abbastanza semplice, così che anche un
estraneo, e possibilmente un non-giurista, possa leggerlo e
comprenderlo.
RIASSUMETE. NON ESAGERATE CON TROPPI PARTICOLARI.
INTRODUCETE OGNI PARAGRAFO CON UNA FRASE CHE NE INDICHI
L’OGGETTO
VARIATE LA LUNGHEZZA DEI VOSTRI PARAGRAFI, MA IN LINEA
GENERALE MANTENETELI BREVI.
Si è sempre notato che il metodo “ipotattico” (costruire i periodi
con catene di subordinate, anziché con successione di frasi –
paratassi) è tipico dello stile forense. L’eccesso nel ricorso a tale
metodo si paga con la perdita di attenzione/comprensione da parte
del lettore, costretto a tornare sempre indietro.
RIORDINATE IL TESTO SPOSTANDO LE CITAZIONI IN NOTE A PIÈ DI
PAGINA.
SCRIVETE PER UN LETTORE COMUNE, NON PER UN “MITICO” GIUDICE
CHE UN GIORNO POTREBBE ESAMINARE IL DOCUMENTO.
Si può
prendere un qualsiasi atto e provare a riscriverlo – per cominciare per la segretaria di studio…
SOTTOLINEATE I PUNTI IMPORTANTI CON RICHIAMI GRAFICI COME
PUNTI-ELENCO.
PER UN DOCUMENTO LUNGO, PREPARATE UN INDICE DEI CONTENUTI.
REVISIONATE IL TESTO SISTEMATICAMENTE.
RICORDATE CHE LA BUONA SCRITTURA RENDE FACILE IL LAVORO
DEL LETTORE; QUELLA CATTIVA LO RENDE DIFFICILE.
Per concludere, e per ribadire come chiarezza e concisione siano requisiti e nel contempo
garanzie di un uso democratico (spero che l’aggettivo non irriti i puristi, giuristi o politologi
15
B.A.GARNER, The Deep Issue: A New Approach to Framing Legal Questions, in Scribes L. Leg.Writing
(1994-1995) , 1.
che siano) del diritto, torniamo in Italia, con un piccolo salto indietro nel tempo, ad un modello
che non ha perso di attualità e di fascino.
Le regole dello scrivere – alla fine, per tutti, non solo per i civilisti - sono allora quelle della
Scuola di Barbiana di Don Milani:
“A Barbiana avevo imparato che le regole dello scrivere sono: Aver qualcosa di importante da
dire e che sia utile a tutti o a molti. Sapere a chi si scrive. Raccogliere tutto quello che serve.
Trovare una logica su cui ordinarlo. Eliminare ogni parola che non serve. Eliminare ogni
parola che non usiamo parlando. Non porsi limiti di tempo.” 16.
Se i montanari del Mugello e il curatore del Black’s Law Dictionary, e presidente di
LawProse, sono arrivati alle stesse conclusioni, qualcosa vorrà pur dire.
16
Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1967, p.20.
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