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Perchè proprio a me? - Associazione Italiana GIST
LE GUIDE P erché proprio a me? Come affrontare il disagio emotivo quando si ha un tumore Fondazione Federico Calabresi P erché proprio a me? Come affrontare il disagio emotivo quando si ha un tumore Barbara Barcaccia APC Associazione di Psicologia Cognitiva, Roma UOC Oncologia Medica, Sora (FR) Teresa Gamucci UOC Oncologia Medica, Sora (FR) INTRODUZIONE S pesso i pazienti oncologici affermano: "Solo chi ci è passato può capire come sto". Che cosa significhi avere il cancro lo può comprendere davvero fino in fondo solo chi ne è affetto. Non esiste un modo giusto e uno sbagliato per affrontare la malattia. È opportuno trovare la propria strada personale per gestire al meglio una situazione difficile. Ecco perché non vi sono indicazioni che vadano bene per tutti indistintamente, ed ecco perché quest’opuscolo non ha in alcun senso la pretesa di essere esaustivo, ma solo di fornire alcune informazioni e spunti di riflessione, che con molti pazienti si sono rivelati utili. 3 LE EMOZIONI N el cammino del paziente oncologico si possono presentare diversi momenti critici, il primo dei quali è di solito rappresentato dalla diagnosi, in seguito alla quale le reazioni più comuni sono incredulità, rabbia, tristezza, ansia, colpa, difficoltà a dormire, mancanza di concentrazione, perdita di appetito, ecc. Si susseguono nel tempo diverse sfide per il paziente, a seconda della fase della malattia e del trattamento in cui si trova. Le stesse emozioni negative possono quindi ripresentarsi anche in fasi più avanzate, quando ad esempio si sta affrontando la chemioterapia, o in prossimità della conclusione dei trattamenti. Tutte queste reazioni emotive sono frequenti, non bisogna esserne spaventati. Il criterio per decidere se ricorrere all’aiuto di uno specialista (psicologo, psicoterapeuta, psichiatra) è quello dell’intensità e della durata di queste emozioni, insieme alla valutazione di quanto interferiscano con la tua vita "normale": sono molto intense, perdurano da molto tempo e impediscono il normale svolgimento della vita quotidiana? Se la risposta a questa domanda è sì, parlane con il tuo medico. 4 INCREDULITA’ I l primo pensiero che può venire in mente, quando si riceve una diagnosi di tumore, è: "Non è possibile, ci deve essere un errore". È difficile essere preparati a una diagnosi come questa. La persona può ritenere che ci sia stato uno sbaglio, dubita del referto delle analisi, dell’attendibilità dei risultati. Quando viene diagnosticato un tumore, si può facilmente reagire con incredulità, essere shockati. Alcuni non riescono a capacitarsene, desiderano ripetere le analisi pensando ad un errore, altri non riescono a vedere le cose con chiarezza, si sentono confusi, e hanno difficoltà anche nell’ascoltare le spiegazioni fornite in proposito dal medico. 5 RABBIA L a rabbia è un’altra delle reazioni emotive del tutto consuete; essa può essere rivolta contro i medici, perché, ad es., li si ritiene responsabili di qualcosa in relazione alla propria malattia, ma quest’emozione può riguardare anche i familiari, o gli amici. A volte si prova invidia per chi sta bene e sembra non avere preoccupazioni. Anche questa è una reazione emotiva comune, e non c’è motivo di vergognarsene. Si può inoltre essere arrabbiati con Dio, con la vita, con se stessi. I pazienti possono involontariamente prendersela con chi li circonda, indipendentemente dal loro comportamento: di solito in questa fase la rabbia non è effettivamente diretta contro coloro che ne divengono il bersaglio, il punto è che la persona sperimenta, spesso improvvisamente, di stare subendo una grave ingiustizia, il suo progetto di vita è minacciato, sente che tutto entra in uno stato di "sospensione", può ritenere che gli scopi che si era prefisso nella vita non potranno più essere raggiunti. È questo il momento in cui può emergere più facilmente la domanda "perché proprio a me?". 6 DEPRESSIONE I n alcuni momenti della malattia è possibile sentirsi tristi, abbattuti, anche angosciati: un paziente può concentrare la sua attenzione su ciò che perderà a causa del cancro, sul fatto che dovrà affrontare un periodo di trattamento che potrà essere doloroso, sull’idea di perdere il lavoro, sulle difficoltà economiche imposte dalla malattia, sulla constatazione di non riuscire più a svolgere attività che prima non le creavano alcun problema, sulla perdita dei capelli, ecc. È normale che di tanto in tanto compaiano pensieri di questo tipo, e che la tristezza si manifesti attraverso il pianto. Quando però questo stato emotivo depressivo tende ad occupare la maggior parte della giornata e si protrae da un lungo periodo, in cui la persona ha continuamente pensieri di morte, non ha voglia di far nulla, trascorre la maggior parte del tempo a letto o a riposo, pur non essendo necessario sulla base delle proprie condizioni fisiche, è bene parlarne con il proprio medico e rivolgersi ad uno psicoterapeuta. 7 ANSIA U n’altra reazione frequente legata alla malattia è l’ansia, cioè l’anticipazione apprensiva di un pericolo o di un evento negativo futuri. La preoccupazione può riguardare i trattamenti, il dolore che si proverà, i cambiamenti che si dovranno affrontare, l’evoluzione della malattia. Comunemente può comparire ansia prima che la persona si sottoponga alla chemioterapia o radioterapia, per timore di provare dolore, o sentirsi male, o non farcela ad affrontare la situazione. La persona può temere di sviluppare lesioni sul corpo o danni estetici, di perdere la propria autonomia; può essere preoccupato nel pensare ai possibili effetti negativi della malattia e del trattamento sulla sua vita familiare, di coppia, lavorativa, sociale. L’ansia può manifestarsi con disturbi del sonno, mancanza di concentrazione, tensione, tachicardia, senso di oppressione, talvolta possono comparire veri e propri attacchi di panico. Anche in questo caso la decisione sull’opportunità di rivolgersi 8 allo specialista va presa sulla base dell’intensità e della frequenza di questi sintomi, e sul grado di interferenza con lo svolgimento delle normali attività che essi determinano. 9 PER I PAZIENTI: CHE FARE? N on vi sono "ricette" valide per tutti su come affrontare una malattia seria, quale strategia usare nei momenti critici. Molti pazienti scoprono come gestire i problemi strada facendo, un po’ con il sostegno dei familiari e degli amici, un po’ con le indicazioni dell’équipe curante, in parte dedicandosi ad attività che ormai sono considerate adiuvanti per il benessere psicologico, come le tecniche di rilassamento, il training autogeno, lo yoga, la meditazione, la preghiera, ecc., mantenendo il più possibile un forte senso di continuità con com’era la vita prima della malattia, continuando nei limiti del possibile a lavorare, studiare, mandare avanti la casa, altri preferiscono modificare il proprio stile di vita. All’inizio può sembrare impossibile affrontare le difficoltà, ma molti pazienti raccontano, dopo avere superato la malattia, di aver trovato in sé una forza per affrontare gli ostacoli e la sofferenza che neanche loro stessi pensavano di possedere. 10 AFFRONTARE LA PAURA E’ frequente provare paura quando si riceve una diagnosi di cancro. Essa può riguardare molti ambiti diversi: ✓ Paura di non essere autonomi e di dover chiedere agli altri intorno a te ✓ Paura della chemioterapia o degli altri trattamenti a cui dovrai sottoporti ✓ Paura che le terapie non funzioneranno ✓ Paura del dolore ✓ Paura degli effetti collaterali della chemioterapia/radioterapia ✓ Paura di non poter più tornare a lavorare, o studiare, o alle attività alle quali ti dedicavi prima ✓ Paura di morire Anche se è vero che tutti i pazienti, almeno in alcuni momenti della malattia, sperimentano una qualche forma di paura, è importante imparare ad affrontarla, perché quando essa diventa eccessiva può influenzare la nostra capacità di chiedere aiuto alle persone che ci circondano e che ci vogliono bene; a volte una 11 forte paura può addirittura "paralizzarci" e impedirci di rivolgerci ai medici per le cure necessarie, oltre naturalmente a interferire con il sonno, l’alimentazione, la capacità di concentrazione, lo svolgimento delle attività quotidiane. La paura in alcuni casi può essere talmente intensa da darci la sensazione di avere perso il controllo: parlare con persone fidate, che siano familiari, amici, personale medico o paramedico, esperti di psico-oncologia, expazienti che hanno vinto la malattia, può essere d’aiuto. Molti trovano sostegno nella fede e nel dialogo con rappresentanti del proprio credo religioso. Permettete a chi vi sta intorno di aiutarvi, anche nelle incombenze quotidiane, nella cura della casa, negli accompagnamenti. 12 IL DIALOGO CON CHI VI CIRCONDA S pesso i pazienti evitano di parlare della malattia, delle cure, delle proprie emozioni con coloro che li circondano, per timore di non essere compresi, o per evitare di "dare un dispiacere" agli altri. Eppure parlare con amici o familiari delle vostre paure e difficoltà può essere utile a ridurre la sofferenza emotiva che accompagna la malattia, e può fornire agli altri delle indicazioni su come essere d’aiuto nei momenti critici. Familiari e amici possono evitare di dare inizio a una conversazione sulla malattia, su come vi sentite, perché non sanno cosa dire, si trovano in imbarazzo, e magari preferiscono parlare "del più e del meno", oppure hanno paura di turbarvi e di peggiorare il vostro stato emotivo nel tirar fuori l’argomento "tumore". Se e quando ve la sentite, siate voi a cominciare a parlarne a persone a voi care e delle quali vi fidate: a volte si ha solo bisogno di essere ascoltati. In altre occasioni potete avere necessità di essere accompagnati alle visite o ai tratta13 menti, oppure semplicemente a fare la spesa o alla posta; spesso amici e familiari che vi vogliono bene e conoscono la vostra condizione di malattia vi esortano: "Fammi sapere se hai bisogno di qualcosa!". Ricevere un aiuto pratico può sollevare dalla fatica quotidiana e ridurre lo stress, ma è utile essere espliciti nella richiesta, perché talvolta gli altri possono non avere idea di ciò di cui avete necessità.. 14 NON ISOLATEVI A nche se si ha un tumore, ciò non significa che la propria vita di relazione debba finire. Spesso i pazienti riferiscono che alcuni amici "spariscono" nel momento della malattia, ma altri, magari i più inaspettati, si dimostrano molto vicini, affettuosi e disponibili. È possibile rimanere delusi da certi comportamenti di chi vi circonda, dal fatto che qualche amico non telefoni più tanto spesso, ma considerate che indirettamente anche gli amici vengono colpiti dalla vostra malattia, magari perché hanno avuto altre persone care che si sono ammalate, e quindi, pur comprendendo quello che state passando, non sentono di avere una sufficiente forza emotiva per starvi vicino, altri hanno paura, altri non sanno cosa dire. Non esitate a chiedere aiuto alle persone che vi vogliono bene. Se i familiari e gli amici non sono disponibili, chiedete aiuto al medico di base, all’oncologo, all’assistente sociale, allo psicologo, allo psichiatra, 15 all’infermiere, a un rappresentante del vostro credo religioso; informatevi sulla possibilità di partecipare a gruppi di sostegno per malati oncologici condotti dallo specialista o gruppi di auto-aiuto gestiti da pazienti ed expazienti presso il vostro ospedale o presso la vostra ASL d’appartenenza, contattate le associazioni di volontariato presenti sul vostro territorio specializzate nel sostegno ai pazienti oncologici. Rivolgersi ad un esperto non è un segno di debolezza, come alcuni ritengono, dimostra al contrario che avete avuto la forza di guardare dentro di voi e riconoscere delle difficoltà nell’affrontare una situazione difficile e inaspettata, desiderate un aiuto per proseguire il cammino, e lo chiedete ad un esperto, così come, una volta diagnosticato il tumore, vi siete affidati alle cure mediche. Qualcuno vedrebbe il rivolgersi all’oncologo come un segno di debolezza? Perché allora non si può pensare allo stesso modo se si ha bisogno di un sostegno psicologico? 16 COSA DIRE AI FIGLI DELLA PROPRIA MALATTIA? S oprattutto se i figli sono piccoli, i pazienti tendono a nascondere loro la verità sul proprio stato di salute. L’idea sottostante è che in questo modo li si protegga dalla sofferenza. In realtà si è visto che anche bambini molto piccoli, di 3 o 4 anni, riescono a percepire che c’è qualcosa che non va, anche se non sono in grado di identificare cosa. I genitori possono cercare di nascondere il malessere fisico e/o psicologico, ma la conseguenza è che i bambini, pur accorgendosi che qualcosa non va, percepiscono che si tratta di un argomento-tabù, sul quale non si possono porre domande, e del quale non bisogna parlare. Considerate però che, spesso, ciò che i vostri bambini immaginano in situazioni simili, tende ad essere più catastrofico della realtà effettiva. È chiaro che nel parlare con loro bisognerà tenere conto dell’età, della personalità, dello sviluppo emotivo, ma in generale la migliore scelta è quella della sincerità, che non signi17 fica appesantire il bambino con dettagli complicati e inutili, ma comunicare la presenza di un problema. Reazioni di rabbia, problemi a scuola, difficoltà di relazioni con i compagni, episodi di enuresi, sono tutte reazioni che possono manifestarsi quando a casa c’è un genitore malato. In modo appropriato, a seconda dell’età, e tenendo conto della personalità, sviluppo cognitivo ed emotivo, nonché del tipo di dialogo instaurato nel tempo con il proprio bambino, è comunque utile comunicare ai figli alcune informazioni su quello che sta accadendo: trovate un momento in cui vi sentite relativamente sereni e preparati ad affrontare le reazioni emotive di vostro figlio, usate un linguaggio semplice e comprensibile, ma che non li spaventi e sia rassicurante. Pensate in anticipo cosa e come comunicare. È un compito difficile, e soprattutto nel primissimo periodo dopo la diagnosi può costituire un’impresa davvero ardua; tuttavia è un argomento che va affrontato: i bambini si accorgono che la mamma sta male, o che rimane a letto più del solito, o che sta perdendo i capelli, ecc. Permettete loro di porvi domande sulla malattia, di avere dei chiarimenti, di manifestarvi la loro preoccupazione. I bambini hanno bisogno di sapere cosa succede; è necessario comunicare loro molto chia- 18 ramente che non hanno nessuna colpa per ciò che è accaduto, che il cancro non è una malattia infettiva e, soprattutto, rassicurarli del vostro amore. Ogni genitore saprà trovare le parole giuste per la propria situazione; qui di seguito sono comunque elencati alcuni esempi. ✓ Vorrei passare più tempo con te, ma per curare il tumore devo andare in ospedale; appena le cure saranno finite trascorrerò molto più tempo a casa ✓ Ho una malattia e devo prendere delle medicine speciali, che servono a guarire; ma nel frattempo mi cadranno i capelli. Potrò sembrare strana, ma sono sempre la stessa mamma che ti vuole tantissimo bene. E poi i capelli ricresceranno. ✓ Qualche volta non mi sentirò bene, o magari non avrò tante forze. ✓ Il cancro non è come l’influenza, non si può attaccare, quindi posso stare come prima vicino a te e a tutte le persone che mi vogliono bene. Provate a mantenere, nei limiti del possibile e con l’aiuto di altri adulti significativi per il bambino, una certa continuità con le attività che il bambino ha sempre svolto (sport, incontri con i compagni di scuola, attività extra-scolastiche, ecc.). 19 LA CONCLUSIONE DEL TRATTAMENTO A pparentemente la conclusione delle terapie potrebbe apparire come un autentico momento di liberazione, connotato unicamente da reazioni positive. In realtà spesso accade di sentirsi anche spaventati, e in ansia per il futuro: fino a quel momento ci si poteva sentire "protetti" dalle cure mediche, o comunque impegnati nella lotta contro il cancro, con molti impegni relativi alle analisi, le cure, le visite. Concludere il trattamento significa anche riprendere le attività che si erano lasciate interrotte, e talvolta affrontare paure che fino a quel momento erano in secondo piano: senso di abbandono, paura di eventuali ricadute, preoccupazioni costanti per i segnali che provengono dal corpo. Dopo la fine delle cure, ci saranno comunque delle visite e degli esami di controllo, che spesso si accompagnano a una riacutizzazione dell’ansia, in particolare nei giorni precedenti ai controlli, e nel periodo di attesa dei risultati. La paura che il cancro ritorni è normale, quasi tutti i pazienti la sperimentano, soprattutto nei primi mesi dopo la fine dei trattamenti. Inoltre vi sono dei particolari momenti, anche a distanza di anni, che possono evocare un’intensificazione della paura, come in occasione dell’anniversario 20 dell’intervento chirurgico. Molti pazienti sono riusciti a gestire meglio la paura mantenendosi bene informati sulla propria malattia e sulle possibilità di trattamento, mantenendo un programma di visite e controlli ben pianificato sin dal momento della conclusione delle terapie. Non sempre ci si sente in condizioni psico-fisiche tali da poter partecipare a eventi sociali, soprattutto nei periodi di trattamento, ma dopo un po’ dalla sua conclusione, si comincia a stare meglio: se e quando ve la sentite, provate a partecipare a serate con gli amici, uscite, cinema, teatro, ecc. È stato dimostrato che un’attività fisica leggera ma continuativa migliora il tono dell’umore e la qualità della vita; potrebbe quindi essere d’aiuto consultare il vostro medico per la scelta di un’attività adeguata alla vostra situazione. Molte persone, dopo aver avuto il cancro, modificano la propria prospettiva sulla vita, e affermano di aver rivoluzionato la gerarchia dei propri valori: alcune cose che prima della malattia sembravano tanto importanti, diventano quasi insignificanti, e viceversa. Alcuni sentono di avere avuto dalla vita una seconda possibilità, e decidono di dedicarsi più attivamente al volontariato, in particolare in associazioni che si occupano di sostegno ai pazienti oncologici. Altri decidono di fare qualcosa d’importante che avevano sempre rimandato. 21 PER I FAMILIARI E GLI AMICI: CHE FARE? I l cancro è una condizione che non colpisce solo l’ammalato, ma coinvolge in modo intenso anche i suoi familiari e amici, basti pensare ai cambiamenti nell’organizzazione quotidiana della vita che la malattia può implicare: lasciare temporaneamente il lavoro, diminuire alcune attività come la gestione della casa, o la cura dei figli, ecc. Una cosa è certa: affrontare la malattia di una persona alla quale si vuole bene può essere difficile tanto quanto lo è per il paziente; molte ricerche dimostrano che i familiari sperimentano un’angoscia pari a quella dei loro cari, talvolta anche superiore. All’inizio può sembrare che venga a mancare il terreno sotto ai piedi, si prova un forte senso d’impotenza, tutto diventa incerto, compare il timore della morte, e al tempo stesso prevale la preoccupazione di non far trapelare i veri sentimenti di paura alla persona malata, spesso il desiderio di proteggerla si manifesta nella volontà di nasconderle le sue reali condizioni cliniche. Di fatto, voi stessi, in quanto familiari o amici, siete molto provati emotivamente, e al tempo 22 stesso vi è richiesto di fornire supporto al vostro caro; se sentite che il carico sta diventando eccessivo, parlatene con qualcuno di cui vi fidate, con un amico, con un medico, con uno psicologo, con un sacerdote, ecc. Se non riuscirete a mantenere serenità ed equilibrio sarà difficile svolgere il vostro impegnativo compito: essere davvero vicino al malato e sostenerlo. La prima indicazione su cosa fare per il vostro caro, riguarda la disponibilità ad ascoltare. Infatti, spesso i pazienti riferiscono di non avere la possibilità di mostrare il proprio disagio, la propria paura o la propria stanchezza, perché queste manifestazioni inducono nei familiari reazioni di allarme eccessivo ("Che succede? Ti senti male?" "Chiamo il dottore?") o l’esortazione a "non pensarci" ("Tutto andrà bene, non ci pensare"), o a pensare "positivo". Tenete presente che vi sono alcuni momenti in cui semplicemente non è possibile, né opportuno, pensare positivo: quando il vostro caro prova dolore, quando compaiono gli effetti collaterali dei trattamenti, quando ha difficoltà a dormire, quando si sente fisicamente spossato, è più difficile vedere il lato positivo. Vi sono dei momenti in cui il paziente ha bisogno di esprimere la propria paura, che a volte diventa terrore, la propria tristezza, il proprio dolore. Questi momenti possono presentarsi, e sarebbe molto utile per il malato trovare in un familiare o un amico un interlocutore che ascolti davvero, e che non cerchi di "tirarlo su" a ogni costo. Incoraggiate il malato a parlare, ma senza forzarlo 23 eccessivamente. Informatevi sulle risorse disponibili nella vostra zona, come i centri di volontariato, i gruppi di auto-aiuto. Non sempre avrà voglia di parlare, ma gli sarà comunque preziosa la vostra presenza; non abbiate paura dei momenti in cui la conversazione si esaurisce, nei quali si rimane in silenzio: non è necessario chiacchierare per dimostrargli che gli volete bene. 24 Se avete trovato utile questo opuscolo, potete aiutarci a realizzarne altri con un contributo a: Fondazione Federico Calabresi Onlus Via Angelo Brunetti 54 - 00186 Roma [email protected] Cell. 349/3163072 Bollettino c/c postale 60171311 Banca Intesa Via del Babuino 110 c/c 6250150660/47 Abi 30692, Cab 050401 Progetto grafico, impaginazione e illustrazioni: © 2005 Forum Service Editore s.c. a r.l. Viale Mameli 3/14 16122 Genova Opuscoli pubblicati: “Combattere il dolore per combattere senza il dolore” E. Arcuri “Consigli alimentari durante il trattamento oncologico” M. Antimi, A. M. Vanni “Radioterapia. Guida pratica per il paziente” U. De Paula “Quello che è importante sapere sul carcinoma del colon-retto” G. Mustacchi, R. Ceccherini “Ipertrofia prostatica benigna: guida per il paziente” M. Lamartina, M. Rizzo, G. B. Ingargiola, M. Pavone Macaluso “Trapianto di midollo osseo o di cellule staminali periferiche” M. Vignetti, A. P. Iori “La dieta nel paziente con insufficienza renale cronica” B. Cianciaruso, A. Capuano, A. Nastasi “Chemioterapia... se la conosci, non la temi” T. Gamucci, S. De Marco “Sopravvivere al cancro infantile. Tutto è bene quel che finisce bene” J. E. W. M. Van Dongen - Melman “Mieloma Multiplo” A. Nozza, A. Santoro “Neoplasie del colon-retto. Una terapia per ogni paziente” G. Beretta, R. Labianca, A. Sobrero “Occhio... alla bocca” F. Cianfriglia, A. Lattanzi “Occhio a quel neo che cresce!” I. Stanganelli “Tumori e AIDS: prevenzione e terapia” G.D. Vultaggio, U. Tirelli “La terapia ormonale nel carcinoma mammario” Giovanna Masci, Armando Santoro “Il tumore del pancreas” Roberto Labianca, Giordano D. Beretta, Alberto Zaniboni, Luigina Rota “I tumori dei giovani adulti - La mammella” Eugenio Cammilluzzi, Antonio Maria Alberti et al. “Perché devo smettere di fumare” Massimo Pasquini, Cora N. Sternberg