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scuola secondaria di primo grado

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scuola secondaria di primo grado
SCUOLA SECONDARIA
DI PRIMO GRADO
“Dare un nome alle cose”
Laboratorio di scrittura
Classi Prime
UNO SGUARDO SULLA REALTÀ:
LO STUPORE DELLA NEVE A CESENA
˙“Quando cade la neve, tutto sembra cambiare aspetto
e assumere contorni diversi”
Dai testi dei ragazzi
Nella mattinata di venerdì 10 febbraio, siccome la scuola era chiusa, sono uscita di casa e sono andata in un piccolo parco vicino a casa
mia a giocare con la neve insieme ad alcune mie amiche.
Le strade erano innevate e sembrava che un soffice tappeto bianco
avesse avvolto tutto.
Gli alberi erano vestiti di un candido manto velato con i rami gelati che sfioravano il cielo.
I tetti delle case erano ornati con stalattiti di ghiaccio e parevano
meravigliose gocce di cristallo…
All’improvviso iniziò a nevicare ed ero meravigliata nel vedere
quei fiocchi di neve che ondeggiavano di qua e di là, dolcemente,
dando pace e serenità. (Benedetta)
Quando
cade la neve tutto è trasformato e reso magico da una
magia bianca che scende soffice dal cielo e ricopre qualunque cosa. Ho
notato ciò un giorno di neve, tornando da scuola, in macchina con mio
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babbo. La neve cadeva leggera e si lasciava cullare dal vento, soffice e
tenera si posava sul suolo e, talvolta, riprendeva la sua corsa dopo
essersi posata a terra. Ma in certi istanti pareva gettata alla rinfusa da
un mago del cielo e allora quella cupola azzurra si faceva scura e coperta da terribili nuvole grigie che la “spegnevano” e la chiudevano. Non
avevo mai notato una cosa tanto fantastica: il mio cuore si riempì di
gioia osservando dal finestrino la neve cadere: non so perché ma quella neve bianca, candida, soffice, leggiadra, che quasi pareva danzasse,
mi trasportava con la fantasia e mi pareva di danzare con lei. (Anna)
Guardando dalla finestra della mia mansarda riuscivo ad osservare
tutto il paesaggio innevato. Riuscivo a scorgere il “Monte“ innevato e
“illuminato”, come io non avevo mai visto prima. Il paesaggio intorno
a me era silenzioso e calmo; non giravano macchine e i giardini, compreso il mio, erano sommersi dalla neve… I tetti delle case non si vedevano più, si vedeva solo il fumo uscire dai camini. Gli alberi si erano
imbiancati a festa, ma sembravano molto deboli. Di notte il paesaggio
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non era molto cupo, perché la neve”illuminava” la città: i lampioni illuminavano la neve, così con i suoi cristallini lei rifletteva la luce.
(Arianna)
A me la neve piace tanto e la vorrei sempre pure d’estate perché mi
fa felice e mi leva di mente tutte le preoccupazioni. La neve poi crea
anche meravigliosi e stupefacenti paesaggi. Infatti, quando nei giorni di
neve guardavo fuori dalla finestra, vedevo sempre enormi alberi spogli,
con i lori rametti piccoli e fragili, coperti da grandi masse di neve che
li facevano sembrare dei coni con sopra del gelato alla panna.
I tetti delle case erano tutti coperti e quando li guardavo mi suscitavano un’emozione indescrivibile.
Le strade di sera erano illuminate da fiochi lampioni che emanavano poca luce, essendo coperti di ghiaccio. I terreni sembravano grandi
distese di zucchero soffice come cotone. (Miguel)
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Quando cade la neve il paesaggio cambia aspetto tutto viene ricoperto da una fitta coltre bianca che dona più luce alla giornata. La neve
non risparmia niente e nessuno: dopo il suo passaggio persino la collina più grande diventa una nuvola candida di un cielo d’estate… Da
casa mia si vedeva tutto bianco, un bianco che donava pace, ma dietro
quella pace si nascondeva la gioia frenetica dei bambini che ardevano
dalla voglia di divertirsi finalmente a casa da scuola… Il paesaggio
innevato era bellissimo e mi sentivo felice; la neve suscitava calma
gioia e silenzio, il silenzio che rendeva sereni. (Claudia)
Sono andata alla finestra e di lì ho ammirato lo spettacolo: ho visto
soffici fiocchi di zucchero filato, che si appoggiavano al terreno, sfatti,
a causa del lungo viaggio… Io la neve l’ho paragonata allo zucchero
filato, perché dal momento in cui la toccavi ti si appiccicava alle scarpe
e non ti lasciava più.; l’ho paragonata anche a un mantello bianco
dell’Uomo delle Nevi, che quest’anno è arrivato un po’ in ritardo a
causa di un contrattempo… (Anna)
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NEL MONDO DELLA FANTASIA: LO HOBBIT
Il laboratorio di lettura e scrittura creativa ha accompagnato il lavoro su Lo Hobbit di J. R. R. Tolkien
Immagina di essere Bilbo Baggins e racconta in prima persona
l’entrata nella Caverna del re degli Elfi Silvani attraverso i grandi
portali, la vita sempre nascosto, la scoperta delle celle dei nani, fino
all’incontro con Thorin; non dimenticare di esprimere cosa pensi e
provi.
Sono Bilbo Baggins, desidero raccontarvi una delle mie più fantastiche avventure. Dopo essere sfuggito assieme ai miei amici nani dalle
grinfie dei ragni e dopo aver abbandonato Bosco Atro, mi incammino
con la compagnia alla ricerca di una via d’uscita e di qualcosa da mangiare, se non vogliamo morire di fame e sete.
Ecco però, arrivare all’improvviso gli Elfi Silvani, armati di archi e
frecce! Con abile scaltrezza, rapiscono i nani e li portano con loro,
mentre io, per sfuggire alla cattura, metto l’anello magico che mi rende
invisibile e scivolo via.
Io sono salvo, nessuno mi può scoprire e sentire! Rimasto solo,
seguo silenziosamente i miei amici che vengono condotti dalle guardie
all’interno della Caverna, davanti al re degli Elfi, il quale domanda loro
il motivo della loro presenza in questo regno. I nani seguitano a non
rispondere, il re così stabilisce di non liberarli, finché non decideranno
di parlare.
Attonito, seguo la conversazione e mi rendo conto che la situazione si fa veramente complicata e difficile, così provo ad immaginare che
cosa farebbe Gandalf se fosse qui al mio posto.
Mai come ora desidererei inviare allo stregone una supplichevole
richiesta d’aiuto, poi ci ripenso e mi rendo conto che ce la devo fare da
solo. Dopo tutto questa è la mia avventura! Non è facile uscire da questo luogo, una volta entrati, perché è buio, tetro, oscuro, illuminato solo
da torce e pieno di cunicoli, di stanze con porte magiche che si richiudono subito dopo il passaggio di qualcuno.
Benché io sia uno hobbit molto veloce e silenzioso, trovo difficoltà
ad oltrepassare queste porte senza farmi sentire. È un vero labirinto!
Il cuore batte forte; mi assale un sentimento di paura che si fa sempre più acuto per il timore di essere scoperto.
Poi, riprendo fiducia in me stesso, pensando alle avventure vissute
precedentemente, dove ho dimostrato il mio coraggio e la mia scaltrezza.
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C’è in me il desiderio di farcela, di fare pentire i nani di avermi considerato, all’inizio dell’avventura, un goffo e pigro hobbit, incapace ed
inutile per la loro missione.
Dopo aver trascorso giorni e giorni alla ricerca di una via d’uscita,
riesco finalmente a districarmi da quel labirinto e mi allontano pensando ai miei compagni di viaggio.
Mi sento parte di loro! Devo essere fedele e leale, ora che hanno
cominciato ad apprezzarmi per ciò che valgo!
Mi sono grati di averli salvati in alcune circostanze e si sono congratulati per le battaglie vinte, perciò non mi sento di abbandonarli
nella difficoltà.
Così metto in funzione la mia mente, ritorno indietro da dove sono
passato e vago per il palazzo, invisibile, alla ricerca delle dodici celle,
dove sono rinchiusi i miei amici nani.
Mentre raggiungo l’ultima cella dove si trova l’ultimo nano, sento
con grande soddisfazione le voci degli Elfi, le quali dicono che c’è un
altro nano rinchiuso nella Caverna in un posto cupo e profondo.
Naturalmente penso all’amico Thorin che è scomparso da un po’;
io e i miei amici abbiamo perso le sue tracce dopo la battaglia contro i
ragni.
Vengo a sapere che Thorin è stato vittima di un incantesimo, da
parte degli Elfi Silvani ed è stato portato via, ma per fortuna è ancora
vivo, servito e riverito, come fosse uno di loro.
Dopo tutto gli Elfi non sono così crudeli, anche se non si fidano
degli estranei.
Dopo aver ascoltato tutte le indicazioni per raggiungere Thorin, mi
dispongo all’azione e con molta difficoltà riesco a raggiungere il luogo
dove si trova il re dei nani che è triste, sconsolato e sfiduciato al punto
da essere lì lì per rivelare agli Elfi il motivo della nostra missione.
Thorin sente la mia voce e subito si rasserena; si avvicina alla porta
e, anche se sono invisibile, non ci mette tanto a capire che sono proprio
io: Bilbo Baggins”. (Anna F.)
“Sono qui, nella foresta, insieme ai miei amici nani, in cerca di
cibo e di bevande.
Siamo tutti stanchi e ci sediamo per raccogliere le idee e qualcuno
si addormenta anche.
Improvvisamente ci accorgiamo che Thorin non è con noi. Dove
sarà? A pensarci bene mi viene in mente che l’ho visto, per l’ultima
volta, quando dopo essere entrato nel cerchio di luce, le luci si sono
spente.
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Da quel momento l’abbiamo perso di vista.... occorre che andiamo
a cercarlo, ma dove?
Così ci incamminiamo verso il limitare del bosco e qui vediamo in
lontananza una grande caverna: forse lì troveremo Thorin e magari
anche qualcosa di che sfamarci.
Mentre ancora ci troviamo dentro alla foresta e comincia ad imbrunire, improvvisamente io e i nani veniamo accerchiati da centinaia di
Elfi Silvani, armati di archi e di frecce e dall’aspetto molto agguerrito;
appare subito evidente che le nostre armi non possono competere con
quelle degli elfi.
I nani si irrigidiscono come mummie, mentre io riesco ad indossare l’anello e a sgattaiolare via senza essere visto.
Per fortuna riesco, quindi, ad evitare la cattura.
Mentre nessuno si accorge di me, vedo che i miei amici nani vengono legati e bendati; quindi sono condotti dentro la caverna.
Li seguo e stando alle calcagne degli ultimi elfi della colonna dei
prigionieri, riesco ad infilarmi anch’io dentro la caverna, appena in
tempo prima che i portali si chiudano.
Percorriamo cunicoli molto stretti ma ben aerati: essi si incrociano
e sono illuminati solo dalle luci rosse delle torce delle guardie elfiche.
Giungiamo ad una grande sala dove il re degli elfi siede su un trono
di legno intagliato. Ora il re ordina di far slegare i nani e li interroga per
avere informazioni, ma, poiché non riceve notizie precise sulla loro
spedizione, li fa imprigionare in celle singole e lontane tra loro. Così,
purtroppo, non riesco a vedere dove vengono rinchiusi i miei amici
nani. Perciò resto solo.
Per molti giorni, continuando a tenere l’anello e quindi restando
sempre nascosto, girovago per il palazzo del re degli elfi seguendoli
nelle loro attività. Sto sempre dietro, senza mescolarmi in mezzo a loro,
per paura di essere visto attraverso la mia ombra. Quando loro vanno
da una stanza all’altra, io li seguo, stando attento a passare svelto per
non restare intrappolato in mezzo alla porta che si richiude dietro di
loro.
Spesso loro escono dalla caverna per andare a caccia. Così esco
anch’io, pur correndo dei rischi: ma questo mi serve solo per prendere
una boccata d’aria, perché in realtà non riesco a seguirli nei loro percorsi, rischierei di perdermi nella foresta. Inoltre non voglio allontanarmi dalla caverna e abbandonare i miei amici nani. Così, quando gli
elfi ritornano, rientro anch’io dentro la caverna insieme a loro. Dentro
al palazzo, poi, riesco sempre a trovare qualcosa da mangiare, rubando
il cibo dalla dispensa o dalla tavola. Dormo a malapena qualche volta,
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rannicchiato negli angoli più scuri e inosservati, che ho imparato a
conoscere nei molti giorni di questa vita strisciante e nascosta. E proprio perché ho imparato a conoscere il fitto intreccio dei vari cunicoli
e ad orientarmi in essi, dopo quasi due settimane di solitudine scopro
finalmente dove sono posizionate le dodici celle in cui sono rinchiusi i
miei amici nani. Non solo: casualmente scopro anche dov’è tenuto prigioniero il mio amico Thorin. Finalmente! Questa vita mi era diventata insopportabile. Ora posso parlare con qualcuno e soprattutto mi
sento di nuovo utile. Infatti Thorin, dopo lunghi giorni di prigionia, era
ormai caduto in depressione e l’incontro con me fa svanire invece il suo
avvilimento: subito infatti mi incarica di portare ai nani un messaggio
preciso e deciso, quello di non svelare per nessun motivo al re il segreto della loro missione.
Nel fare il messaggero di Thorin, passo svelto da una cella all’altra
dei nani e, anche se sono ancora… un fantasma invisibile, mi sento di
nuovo vivo, pieno di coraggio e di speranza che, insieme, ce la faremo!!!”. (Luisa)
A qualche miglio dal limitare del bosco Atro, sulla parte orientale
viveva, in un grande grotta, il più grande re degli Elfi Silvani. La caverna era grande, ai lati della quale se ne aprivano numerose altre più piccole. La caverna si inoltrava profondamente sottoterra, aveva molti
passaggi e grandi sale, però era più luminosa e più sana delle dimore
degli orchi; non era molto profonda e né pericolosa. I sudditi del re
vivevano e cacciavano nei boschi aperti e avevano case o capanne sulla
terra o sui rami degli alberi. La caverna del re, era la sua casa, serviva
da forziere per il suo tesoro e da fortezza contro i nemici. Davanti ai
grandi portali della caverna scorreva un fiume che sgorgava dalle altu165
re della foresta e serpeggiava sulle terre di confine fino alla confluenza
col fiume Selva.
Io Bilbo Baggins, assieme ai miei amici nani, dopo la battaglia
sostenuta coi ragni, eravamo sfiniti ed affamati.
Cercavamo del cibo, quando arrivarono gli Elfi Silvani che, armati
di archi e di frecce, ci fermarono.
Gli Elfi legarono i nani in una lunga fila, mentre io riuscii ad allontanarmi senza essere notato e per sicurezza mi infilai l’anello magico. Gli
Elfi bendarono i nani, accesero le torce e si avviarono verso il ponte che
attraversava il fiume fino a raggiungere i grandi portali della caverna.
Io li seguivo cercando di non perderli di vista, finché, passato il
ponte, gli Elfi tolsero le bende dagli occhi dei nani.
Restando dietro di loro, varcai i grandi portali, prima che si chiudessero alle mie spalle. Entrare in quella caverna non mi piaceva per
niente, però decisi di non abbandonare i miei amici.
L’interno era illuminato e le guardie Elfiche cantavano, marciando
in quei tunnel. In una grande sala, dai pilastri scolpiti nella roccia, il re
degli Elfi, sedeva su un trono di legno intagliato.
Sulla testa portava una corona di bacche e di foglie rosse.
I prigionieri furono portati davanti a Lui e furono interrogati a
lungo.
Balin chiese che cosa avessero fatto di male, e a questa domanda il
re rispose infuriato che era un crimine vagare sul suo territorio senza
permesso. Aggiunse anche che avevano fatto chiasso durante la battaglia coi ragni e che avevano disturbato il suo popolo.
Inoltre voleva assolutamente sapere per quale motivo erano venuti lì.
I nani non risposero e furono messi in prigione, ognuno in una piccola cella finché non avessero parlato.
Io, nel frattempo, girovagavo in quel posto sempre solo, sempre più
nascosto senza mai togliermi l’anello.
Dormivo poco e avevo il terrore di essere scoperto. Seguivo gli Elfi
quando andarono a caccia o in giro col re.
Naturalmente passavano attraverso le porte magiche e alcune volte
ho rischiato di rimanere intrappolato. Sempre preoccupato per la situazione passarono due settimane. Seguendo le guardie riuscii a sapere
dove erano le celle dei nani e che nella caverna vi era un altro prigioniero: Thorin!
Dopo molte difficoltà riuscii a parlare col capo dei nani: Thorin.
L’aver ritrovato i miei amici mi riempiva di gioia.
Certo che la vita per me non era facile!
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Da una situazione difficile e drammatica superata ne arriva sempre
una nuova da affrontare: dovevo trovare un modo per liberare e salvare i nani”. (Giulia)
Era passato un giorno da quando io, Bilbo Baggins, avevo sconfitto i terribili ragni e adesso, grazie al potere dell’anello che mi rende
invisibile, sto camminando in questo buio sentiero, insieme ai miei
amici nani, bendati, e accompagnati dagli Elfi Silvani. I nani sono piuttosto malconci e affaticati, ma, improvvisamente gli Elfi spengono le
torce e arriviamo a un ponte: sicuramente quello che ci porterà nella
Caverna del re. Non mi piace per niente questa entrata e ho molta
paura, però sono consapevole che non posso abbandonare i miei amici
nani e continuerò con loro questo viaggio tremendo. All’interno di questa caverna ci sono dei cunicoli dove alcuni elfi bevono, ballano, ma
soprattutto cantano. Entriamo in una sala di pilastri dove è seduto, su
un trono di legno intagliato e con uno scettro di quercia alla mano, il re
degli Elfi Silvani. A vederlo così mi fa un po’ di paura inoltre siamo
anche stanchi e ci sembra molto più pauroso. A un certo punto il re
ordina di slegare i nani e ci avverte che, entrati in questa caverna, non
si può più uscire. Io sono ancora invisibile ed è proprio grazie a questo
anello, trovato nel tunnel in cui viveva Gollum, che il re non mi interpella. Mentre la paura ci assaliva, l’unico ad avere coraggio è Balin
che, molto arrabbiato e affaticato, chiede con tono cattivo se è un reato
perdersi nella foresta ed avere sete e fame.
Il re, molto infuriato, risponde al mio amico nano che è un reato
perdersi nel suo regno e ci ricorda che abbiamo ucciso un ragno ed è
proprio per questo motivo che ci ha convocati da lui. Senza troppo esitare ordina ai suoi schiavi di mandarci ognuno in una cella e di darci sia
da bere che da mangiare.
Era passato un bel po’ di tempo quando il re mandò i nani in cella.
Sono sicuro che i miei amici, se la stanno passando meglio di me,
anche se credo che la loro vita adesso non sia tutta allegria. Io da quel
giorno sto malissimo: passo tutto il giorno ad attraversare le porte
magiche, la notte non posso dormire altrimenti, a causa dei miei sonnecchi, gli elfi mi scoprono e non mi resta altro che girovagare per la
foresta. Sono come uno scassinatore che, entrato n una casa, non può
più andarsene, ed è quindi costretto a scassinare la stessa casa un giorno dopo l’altro: mi sento infelice.
Basta!!! Devo fare qualcosa altrimenti rimarremo qui a vita!!!
Finalmente, dopo due settimane, ho trovato i nani. Ormai conosco
tutti i cunicoli a memoria e sento parlare delle guardie, che discutono
su un altro nano imprigionato. Sono sicuro al cento per cento che si
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tratta di Thorin. Dopo un po’, riesco a capire dove si trova anche il capo
dei nani e lo guardo felice perché sono riuscito a trovare tutti i nani.
Però lo vedo giù e infelice: sembra proprio che lui voglia rivelare tutto
al re. Ho molta paura: che fine farà il nostro intenso, duro, faticoso,
avvincente e spericolato viaggio?
Sarà veramente la fine dell’avventura alla ricerca del tesoro rubato
e custodito dal drago Smog?”. (Miguel)
Leggendo i primi sei capitoli del romanzo “Lo Hobbit” ci siamo
accorti che Bilbo e i suoi amici vivono diverse avventure dopo la loro
partenza dalla locanda del Drago Verde, a Lungacque. Scegli una
delle avventure che ti è piaciuta di più, raccontala (in modo essenziale), soffermandoti in particolare sulle caratteristiche dei personaggi incontrati e spiega i motivi della tua preferenza.
All’inizio del capitolo V del romanzo “Lo hobbit “Bilbo si sveglia
solo e scopre di trovarsi in un labirinto di cunicoli bui. Trova un sottile anello di metallo freddo e se lo infila in tasca. È smarrito e prova a
camminare alla cieca per trovare l’uscita. Ad un certo punto infila i
piedi nell’acqua: Bilbo pensa che deve trattarsi di un lago sotterraneo,
e si siede a riva disperato, affamato e infreddolito. Vede due puntini
luminosi e, ormai abituato al buio, scopre che sono gli occhi pallidi e
telescopici di un essere su una barchetta che rema con i suoi stessi piedi
e dice di chiamarsi Gollum. Gollum è un essere piccolo e viscido, scuro
come l’oscurità stessa; è stato così tanti anni solo che si è costruito una
seconda personalità, non avendo mai nessun altro con cui parlare. Vive
su un isolotto roccioso e sdrucciolevole al centro del lago, si ciba di
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pesci e di carne di orchi se riesce a strangolarne qualcuno. Bilbo vuole
uscire di lì così gareggia contro Gollum in una gara di indovinelli con
le condizioni che se vinceva Bilbo, Gollum lo avrebbe portato fuori di
lì, ma se vinceva Gollum avrebbe potuto strangolare Bilbo. Bilbo vince
con una domanda non proprio regolare: “Che cos’ho in tasca?”. Gollum,
però, dice che prima di accompagnarlo all’uscita deve prendere una
cosa, così si avvia verso l’isolotto per prendere un anello che custodisce
gelosamente. Lo aveva trovato un giorno, tanto tempo prima, il suo
amico Dèagol quando andavano insieme su una barca nel fiume e lui
abitava ancora nel suo villaggio. Gollum, che inizialmente si chiamava
Smèagol, affascinato dall’attrazione magica dell’anello, strangolò allora il suo amico e tenne l’anello per sé. Dopo un po’ scoprì che l’anello
rendeva invisibili e diventò cattivo; i suoi amici lo chiamarono
“Gollum” per lo strano rumore che faceva con la gola. A Gollum cominciò a dar fastidio il sole, così si trovò una caverna fresca dove stare e lì
lo aveva incontrato Bilbo. Gollum non trova più l’anello, così corre da
Bilbo perché pensa che sia stato lui a prenderlo. Bilbo si infila casualmente l’anello e scopre il suo immenso potere di rendere invisibili così,
quatto quattro, segue Gollum che lo porta, non volendo, all’uscita e gli
si piazza davanti. Bilbo pensa di dover uccidere quel pazzo, ma poi si
rende conto che non è un combattimento leale e ha pena di lui; allora
salta sopra la testa di Gollum, varcando il cunicolo. Arriva alla porta ma
degli orchi gli si piazzano davanti; così si infila l’anello e riesce ad uscire dalla porta. Questa avventura mi è piaciuta perché Gollum, questo
strano personaggio, mi è risultato molto interessante e mi ha fatto riflettere sul fatto di come ci si deve sentire a stare tanti giorni al buio, giorni tutti uguali, sempre soli e infelici”. (Federica)
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Immagina di essere Bilbo Baggins mentre fugge dai sotterranei
del re degli Elfi Silvani insieme agli altri barili lungo il fiume: cosa
pensi e come ti comporti? Racconta in prima persona il tuo viaggio
fino alla confluenza del fiume Nero col fiume Selva e all’approdo
fino alla spiaggia di ciottoli.
Sono Bilbo Baggins e sto fuggendo dai sotterranei del re degli Elfi
Silvani insieme a dei barili per dirigermi verso il fiume Selva. Sono
invisibile, perché sto indossando l’anello magico trovato nella caverna
degli orchi.
I miei compagni nani sono all’interno di essi, imbottiti di paglia per
fare sì che, una volta nel fiume, l’acqua non entri al loro interno.
Ora mi trovo davanti ad una botola aperta, attraverso la quale io e
la compagnia ci rotoleremo giù nel fiume e, spinti dalla corrente,
aggiungeremo la città di Pontelagolungo. Ma io non posso chiudermi
dentro un barile e imbottirmi da solo!
Non ci avevo pensato! Ora come faccio?
Purtroppo non ho tempo perché stanno arrivando le guardie e spingono tutte le botti giù dalla botola, non essendosi accorti della presenza dei nani al loro interno ed inoltre essendo ubriachi fradici.
Io non so cosa fare e quando l’ultimissima botte viene buttata,accompagnata dalle allegre canzoni degli elfi, decido di aggrapparmi ad essa e di tuffarmi nelle acque gelide e nere del fiume Selva assieme alla compagnia, che è ancora dentro alle botti.
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Non so se riuscirò a resistere a lungo. Mi sono aggrappato ad un
barile e sono tremendamente infreddolito. È come cavalcare un cavallo senza briglie e riesco con molta fatica a stare fermo. Intanto osservo
che alcuni barili affondano parecchio e, naturalmente, sono quelli contenenti i nani.
Che il sistema di imbottitura abbia fallito?
Non posso saperlo.
L’indomani, dopo essere stato spinto dalla corrente turbinosa del
fiume Selva, mi ritrovo su una spiaggia di ciottoli.
Mi incammino in cerca di cibo, sicuro di essere invisibile grazie al
mio nello magico. (Lucia)
C’ERA UNA VOLTA IN UNA GROTTA...
Nella grotta buia che si apriva nel cuore della montagna (sì, poiché
proprio qui nasce la vita del monte Tornado) non entrava mai la luce.
Da enormi cavità dove si accumulavano minerali e dove numerosi
draghi di piombo solevano, in quella lontana epoca, nascondere i loro
tesori, si accedeva ad una vera e propria rete di canali e trabocchetti.
In questo luogo sorgeva un villaggio, o, per meglio dire, una metropoli illuminata. Come?
Gli abitanti conoscevano l’elettricità, ma non allo stato in cui la
conosciamo noi oggi, bensì sotto forma di enormi cristalli fluorescenti
con luce propria, da cui la ricavavano.
Era un popolo avanzato, un regno d’armonia e di pace dove non si
conosceva né guerra né istinto omicida.
Vi era però qualcosa di negativo in tutto questo.
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Azzurripotamia (così si chiamava la città) non conosceva l’esterno
e l’“esterno” non conosceva Azzurripotamia.
Questa fiaba, inizia tutta da sé, come un fiore, che a poco a poco
allarga i petali attorno e racconta di un giovane che impiega la propria
esistenza per scoprire la verità: se il mondo fuori esista realmente, o se
il contatto con l’esterno sia solamente un sogno… (Alberto B.)
Nella grotta buia che si apriva nel cuore della montagna non entrava mai la luce. Qui le rocce erano appuntite come lame e l’acqua scendeva dalle pareti.
Tutto era buio e i passaggi erano talmente stretti che nessuno sarebbe riuscito ad entrare.
Quel luogo non sembrava reale e tutto lì ricordava un paesaggio fiabesco. Le rocce sembravano candeline e l’acqua che scendeva le faceva diventare scivolosissime.
La caverna era suggestiva e suscitava un senso di timore.
In quel triste luogo abitava un piccolo essere davvero cattivo che
usciva dalla sua caverna solo di notte per disturbare il sonno della gente.
Chi lo vedeva si spaventava, tanto era brutto. Era piccolo, con la
faccia scavata e le guance infossate, la sua pelle era bianca come la
neve perché non restava mai al sole. Chiunque lo vedesse vagare di
notte si spaventava perché sapeva di avere a che fare con un essere crudele. La piccola creatura avrebbe voluto… (Emma C.)
Nella grotta buia che si apriva nel cuore della montagna non entrava mai la luce.
In quel triste luogo abitava un geco di nome Buietto: infatti da
quando era nato non aveva mai visto la luce del sole!
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Buietto voleva uscire da quel luogo cupo e tenebroso.
Un giorno, spingendosi sempre più lontano dalla sua tana situata vicino alla sala delle candeline, un antro silenzioso e affascinante, ma troppo
solitario per il piccolo geco che cercava calore e compagnia… (Silvia T.)
Al termine di un tunnel lungo e stretto si apriva, nel cuore di una
montagna, una grotta straordinaria. Era una grotta gigantesca, in cui
aleggiava un non so che di fiabesco e magico. La luce entrava da diverse parti, ma specialmente da un foro nella parete.
Quella grotta era silenziosissima e da una parte, in una conca piccolina, si poteva notare quasi di sfuggita un piccolo fuoco che ardeva.
Proprio al chiarore di quel fuoco sedeva una ragazza bellissima dagli
occhi color del cielo turchese, dai capelli color acqua marina, portava
dietro all’orecchio un fiore e la sua bocca pareva formata da petali di
rosa.
Però, quella ragazza, di nome Celeste, era molto triste… (Sofia C.)
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Nella grotta buia che si apriva nel cuore della montagna non entrava mai la luce…
L’oscurità che regnava nell’enorme cavità la rendeva simile a una
terra abbandonata. Non si sentiva nulla, solo il tintinnio delle gocce d’acqua che cadevano sulle cupe rocce. Quel silenzio irreale faceva pensare
che lì si fosse fermato il tempo. In quel luogo tetro viveva un gigante con
un unico occhio magico al centro del piccolo capo... (Lorenzo C.)
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NELLA REALTÀ DA PROTAGONISTI
˙“Il giorno dell’Open day c’ero anch’io”
Il giorno dell’Open day c’ero anch’io. Tutto è iniziato a casa mia:
mi sono profumato e fatto la cresta. Di buon umore sono andato a scuola in bici e mi sono diretto nell’aula di 3°B dove si trovava il laboratorio di matematica per fare le prove prima del grande momento…
(Federico A.)
Il giorno dell’Open day c’ero anch’io, ero nell’aula di matematica,
insieme ad alunni delle classi seconde e terze. L’aula era stata allestita
dagli alunni di terza insieme alle prof. Molari, Dell’Amore e Terranova
ed era tappezzata da cartelloni colorati divisi in più argomenti: i numeri, spiegati dalle prime, i triangoli, spiegati dalle seconde, i frattali, la
sequenza di numeri di Fibonacci, la sezione aurea affidati alle terze.
C’era anche una lavagna multimediale dov’era proiettato un quesito
che spiegavano i ragazzi di terza, il quale chiedeva quanti conigli potevano riprodursi da una coppia rimasta isolata, ammesso che ne generasse un’altra ogni due mesi e che ogni nuova coppia si riproducesse
come la prima, così venne spiegata la sequenza di numeri di Fibonacci
che si riconosce nella natura. In seguito s’introdusse la nascita dei
numeri spiegata dalle prime, tra le quali c’ero anch’io. Infine i ragazzi
di seconda spiegarono i triangoli nella natura e nell’architettura, spiegarono poi altri solidi come il cubo, il dodecaedro, l’ottaedro e il pentaedro.
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Io ogni volta che dovevo spiegare cambiavo le parole. La prof.
Dell’Amore mi ha aiutato a studiare il giorno delle prove e la mattina
dell’Open day mi ha fatto ripetere e ho scoperto che non è così “tosta”
come qualcuno dice, anzi per me è un mito. Durante l’intervallo tra un
gruppo e l’altro io andavo a vedere l’aula di tedesco e pensavo che se
avessi potuto anch’io avrei voluto essere lì, infatti c’erano le ragazze
che ballavano il walzer con dei vestiti tutti vaporosi, perché a turno
dovevano interpretare la principessa Sissi. Poi però mi sono resa conto
che in matematica ho imparato qualcosa che mi può aiutare a capire il
collegamento tra questa disciplina e la realtà e mi può essere d’aiuto
nello studio futuro, come i numeri di Fibonacci, i triangoli e la sezione
aurea.
Una cosa che avrei voluto volentieri evitare è stato quando ho parlato davanti alla Preside e ho dimenticato qualche parola. Questo è
stato il mio primo Open day alla scuola media e ci ho messo moltissimo impegno, anche se a volte è stato faticoso ripetere e ascoltare gli
stessi argomenti decine di volte, ma è stato comunque interessante e
molto divertente. (Virginia)
Il giorno dell’Open day c’ero anch’io e penso di essere stato bravo.
Io ero nell’aula di geografia intitolata”Uno sguardo sulla natura”curata
dai ragazzi di prima. Quest’aula parlava del Carsismo e delle grotte e
nasceva dalla nostra gita di inizio anno alle grotte di Frasassi… Prima
del grande giorno noi ragazzi dell’aula di geografia ci siamo fermati a
scuola per due venerdì consecutivi per terminare i cartelloni, allestire
l’aula, assegnare le parti e fare le prove.
176
Alla fine dell’allestimento c’erano i bellissimi cartelloni di geografia, gli interessanti incipit delle fiabe da noi realizzati e i fantasiosi disegni di arte.
Durante i vari momenti Silvia introduceva, Camilla e Pietro illustravano il fenomeno carsico, io e Francesco spiegavamo le caratteristiche principali delle grotte di Frasassi, altri compagni esponevano la
Grotta del Vento, le grotte di Borgio Verezzi, quelle di Postumia e di
Castellana.
All’arrivo dei bambini ci siamo messi i caschi da speleologi, abbiamo spento le luci e abbiamo fatto roteare le torce creando un’atmosfera misteriosa, come se fossimo dentro una grotta… Era la prima volta
che partecipavo a una cosa del genere e devo dire che sono stato molto
soddisfatto di questa giornata. (Alessandro B.)
Finalmente era arrivato il giorno dell’Open day, ero a scuola alle
otto e trenta e andai subito nella mia aula di geografia intitolata “Uno
sguardo sulla natura”. La nostra aula era incentrata sulle grotte di
Frasassi che avevamo visitato in gita, sul carsismo e sulle principali
grotte d’Italia ed era tutta addobbata con cartelloni, mentre noi ragazzi
eravamo attrezzati con torce e caschetti, come speleologi esperti.
Qui c’erano già alcuni miei compagni che stavano dando gli ultimi
ritocchi, aiutai anch’io a sistemare, poi iniziammo a fare le prove per
l’esposizione, io presentavo il lavoro svolto. Le prove andarono bene,
quando però iniziarono ad avvicinarsi le dieci e mezza, l’emozione
cominciò a farsi sentire. Ero in ansia, anche se il giorno prima ci eravamo preparati molto bene. Eravamo tutti sulla porta ad aspettare con
impazienza e quando sentimmo i passi dei bambini ci precipitammo
nell’aula spegnendo le luci e agitando nel buio le nostre torce luccicanti: era un vero e proprio spettacolo e gioco di luci. Appena il primo
gruppo fu entrato io mi sentii il cuore in gola. Accese le luci, la prof
Dradi mi porse il microfono perché io dovevo parlare per prima. Mi
alzai davanti a tutti e iniziai a parlare con una certa insicurezza, saltando anche una frase, ma ce l’avevo fatta, poi lasciai la parola agli altri
che andarono bene, alla fine guardammo un power point sulle varie
grotte. Questa modalità la ripetemmo per sei volte e ogni volta andò
sempre meglio per tutti, l’ansia diminuiva e la sicurezza aumentava…
Questa per me è stata un’esperienza davvero indimenticabile. (Silvia)
L’aula sembrava una grotta: avevamo persino le torce e i caschetti
da speleologi… quando sono arrivati i bambini ero davvero emozionantissima, mi sono sentita un tuffo al cuore, poi ho iniziato ad espor177
re, all’inizio mi scordavo le parole e non sapevo come muovermi, poi
ho acquisito maggiore sicurezza… È stato davvero un momento magico, non c’è stato qualcosa in particolare in cui mi sono sentita più coinvolta, mi sentivo partecipe in tutto e sempre, anche quando non esponevo. (Sofia C.)
Io dovevo parlare delle grotte di Postumia e quando è arrivato il
mio momento ero molto emozionato e teso, anche se la mia parte la
ricordavo bene; poi pian piano con l’avvicendamento dei gruppi, il
pezzo che dovevo esporre mi veniva più liscio.
Il momento più bello per me è stato all’inizio di ogni esposizione,
con tutto quell’effetto di torce che splendevano sia sul soffitto che su
una grande immagine delle grotte appesa alla parete. In conclusione,
sono rimasto stupefatto dell’impegno di tutto il nostro gruppo e credo
siano stati contenti anche i professori. (Gianni M.)
Alla fine dell’Open day io sono stato molto soddisfatto del mio
lavoro. In questo Open day ho imparato maggiori informazioni sulle
grotte più importanti e sul fenomeno carsico, ma ho scoperto anche
che è molto divertente lavorare con i miei compagni oltre l’orario scolastico. (Francesco I.)
178
NELLO SPAZIO DELL’EPICA
Immagina di essere un soldato al seguito dei condottieri greci che si
accinge alla partenza per Troia. Racconta ciò che vedi e che provi.
È una giornata fredda e uggiosa, le soffici nuvole danzano nel cielo
cupo e di tanto in tanto una goccia precipita come sfavillante ornamento su un albero solitario.
D’un tratto un alito di vento accarezza i nostri capelli sudati e porta
lontano i pensieri delle nostre menti ansiose.
Ci siamo levati di buon ora ed adesso siamo pronti, coll’armi in
pugno. Siamo qui dall’ora decima ad attendere un segnale che forse
non arriverà. Il comandante è corso trotterellando sulla scogliera per
tenere consiglio con gli altri e ci ha affidati ad un indolente subordinato che non conosce cosa sia l’onore.
In Aulide, dove si trova il comandante Ulisse, si tiene un altro consiglio per decidere il da farsi.
Sembra che Agamennone, gran re di Micene, intenda partire oggi
stesso. Intanto, qui, dove siamo accampati assieme all’esercito di
Menelao, piove a dirotto. Certo qualche dio sta manifestando la sua ira
o la sua contrarietà alla spedizione. All’improvviso un galoppo sfrenato fende l’aria, un grido che pare un corno suonato dall’Ade risuona: è
un messaggero dal porto. È fradicio e porta i segni della stanchezza sul
volto. Si toglie il mantello e viene accolto nella tenda. Passa il tempo,
ad un tratto due figure avanzano, un grido di gioia mista a devozione si
leva dalle nostre file: i due uomini sono niente popò di meno che
Menalao e Ulisse, quel vecchio imbroglione che io credevo un mes179
saggero. In realtà un messaggio per noi è arrivato: possiamo partire!
Tutti alziamo lo sguardo per ringraziare gli dei e… ci accorgiamo che
il cielo è tornato azzurro: uomini e divinità hanno ristabilito la pace,
una leggera brezza spira verso Oriente. Ulisse urla: “A Troia”.
Il mio grido, più forte degli altri, ripete quelle parole e si alza fino
alle stelle col presagio della gloria che ci accompagnerà nei tempi a
venire. Il nostro grido echeggia ancora… (Alberto B.)
Io ero un comune soldato che si preparava per la guerra contro
Troia, le nostre schiere erano armate fino ai denti ed erano state incitate dai nostri condottieri: eravamo pronti, impauriti, ma pronti.
Era ormai giunta l’ora di partire... ma il vento non soffiava. Che gli
dei fossero contrari a quell’impresa?
Eppure ci sembrava, anzi era, una guerra giusta: avrebbe insegnato
a certi fedifraghi a comportarsi bene, a rispettare l’ospitalità e le donne
altrui. Paride, infatti, non solo aveva infranto la sacralità dell’ospitalità,
ma aveva addirittura rubato la donna di Menelao: Elena, la donna più
bella del mondo.
A quel punto interpellammo l’indovino, che disse che durante una
battuta di caccia, a sua insaputa, Agamennone aveva ucciso una cerva
sacra a Diana e per placare la sua ira avrebbe dovuto offrire un sacrificio alla dea.
Persino io, un soldato abituato a vedere torture, ingiustizie e sangue
rimasi sconvolto dal sacrificio di Agamennone: sua figlia Ifigenia
doveva morire.
Quando però stava per accoltellarla si svolse la prodigiosa e miracolosa sostituzione: una nuvola avvolse la fanciulla e la trasportò via e
al suo posto comparve il cervo ucciso.
L’ira della dea si era finalmente placata, il vento tornò a soffiare e
presto ci imbarcammo.
Sapevamo che potevamo vincere: dalla nostra parte avevamo gli
dei e grandi eroi fra i quali il divino Achille, il più valoroso, l’astuto
Ulisse. La presenza di tali uomini leggendari ci incoraggiava e ci intimidiva allo stesso tempo. Io, come tutti, ero pieno di ardore e pronto
alla vittoria…
Ora che la guerra è finita desidero solo tornare in patria, riabbracciare i miei cari e godermi il meritato riposo. (Luigi A.)
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NELLO SPAZIO DELLA FAVOLA
Riscrivi la favola La tartaruga e la lepre inserendo dialoghi e
riflessioni dei due protagonisti
LA
LEPRE E LA
TARTARUGA
La lepre superò la tartaruga come una F1 supererebbe una comune
utilitaria. A quel punto la tartaruga si chiuse per lo spavento e la lepre
la derise.
LEPRE: “Ah, ah, sei veloce come non so cosa!” disse sarcasticamente. Poi aggiunse: “Mm, forse invece lo so: tu corri veloce come
un sasso!”.
TARTARUGA: “Fifona, torna un po’ qua e vieni a dire che sono
una polentona davanti a me e ai miei amici del wrestling!”.
LEPRE: “Non smetterò mai di dirlo, finché tu ed i tuoi amici –
fenomeni da baraccone – non sarete in grado di prendermi!”
La tartaruga si arrabbiò e fece uno sforzo sovrumano per raggiungere la lepre, ma quando si accorse che aveva percorso pochi metri
andò su tutte le furie, così sfidò la lepre ad una corsa in piena regola sul
circuito di Indianapolis.
TARTARUGA. La tartaruga mandò un SMS alla lepre: “Ke n
dici di una gara st domnc? David la tartaruga”
La LEPRE rispose: “St domnc c’è la partita. Perké non fmm
venrd? PS: TVTB (Ti vorrei tanto bastonare!). Joe Rasta, la lepre”.
Il tanto sperato venerdì arrivò: la lepre rilassata ed annoiata non si
curò della tartaruga, uscì di pista il prima possibile, si fece il manicure,
comprò allo shop qualche gadget, andò dal parrucchiere e al salone di
bellezza, si bevve una cioccolata e tornò alla pista…
181
La tartaruga era ad un millimetro dal traguardo e vinse.
Si festeggiò per due giorni: la tartaruga fu rinchiusa in una sacca
per palle da bowling dai wrestler del suo club, fu imbottita di caramelle e si festeggiò con una pignatta favolosa.
Esopo (o giù di lì) passeggiò da quelle parti e scrisse una morale.
(Alberto B.)
Una tartaruga e una lepre continuavano a far discussioni sulla loro
velocità.
La lepre disse: “Io sono più veloce perché sono più agile e leggera”.
La tartaruga ribattè: “Io sono tenace, col mio impegno ti vincerò”.
Finalmente fissarono un giorno e un punto di partenza e presero il
via.
La lepre, data la sua naturale velocità, non si preoccupò della cosa,
si buttò sul ciglio della strada e si addormentò. La tartaruga, invece,
consapevole della sua lentezza, non cessò di correre, e così passando
avanti alla lepre che dormiva, raggiunse il premio della vittoria.
La tartaruga prese in giro la lepre dicendo: “Tu sei presuntuosa e
pensavi di vincere senza impegnarti troppo, mentre io, consapevole dei
miei limiti, ce l’ho messa tutta ed ho vinto”.
La favola mostra che spesso con l’applicazione si ottiene più che
coi doni naturali non coltivati. (Gianni)
Una tartaruga e una lepre continuavano a far discussioni sulla loro
velocità. Diceva la lepre: “Tu sei l’animale più lento della terra, mentre io sono molto veloce, ne valgo mille di quelli come te”.
182
La tartaruga, per nulla intimorita, rispose prontamente: “Già, siamo
tutti capaci di vantarci, perché non dimostri le tue doti in una gara?”.
La lepre in tono sdegnoso sibilò: “E tu osi sfidarmi? Ah, ah, ah, ma non
rimanere delusa quando ti distruggerò!”.
Finalmente fissarono un giorno e un punto di partenza e presero il
via.
La lepre, data la sua naturale velocità, non si preoccupò della cosa
e pensò: “È inutile spendere tante energie per questa gara, tanto il mio
avversario è così lento che posso addirittura schiacciare un pisolino,
quindi si buttò sul ciglio della strada e si addormentò. La tartaruga,
invece, consapevole della sua lentezza, non cessò di correre e pensò:
“Devo approfittare del sonno della lepre, altrimenti non riuscirò mai a
vincere” e così passando avanti alla lepre che dormiva, raggiunse il
premio della vittoria. La lepre incredula disse fra sé: “Ben mi sta, avrei
dovuto dare più importanza alla gara e non avrei dovuto sottovalutare
il mio avversario”, mentre la tartaruga, consapevole di essersi meritata
la vittoria per la sua tenacia, si rallegrava. (Luigi)
Una tartaruga e una lepre continuavano a far discussioni sulla loro
velocità. Finalmente fissarono un giorno e un punto di partenza e presero il via. La lepre, data la sua naturale velocità, non si preoccupò
della cosa, “Tanto io sono veloce e lesta, mentre la mia rivale è lenta e
sorniona” diceva tra sé, per cui si buttò sul ciglio della strada e si addormentò. Presuntuosa com’era, aveva pensato che poteva permettersi di
riposare un po’ perché questo non le avrebbe certo precluso la vittoria.
La tartaruga, invece, consapevole della sua lentezza, non cessò di
correre. “Io sono lenta, ma ce la metterò tutta, anche se perderò non ha
importanza, l’importante è comunque partecipare e arrivare” pensava.
E così, passò davanti alla lepre che dormiva e raggiunse il premio della
vittoria. La sua volontà e costanza l’avevano portata alla vittoria. Ora
si sentiva realizzata, felice e premiata. (Lorenzo C.)
Una tartaruga e una lepre continuavano a far discussioni sulla loro
velocità.
– E così tu credi di essere più veloce di me, polentona? – Dice la
lepre.
– Parla l’intelligentona! Visto che sei così sicura, carina, giovedì ti
voglio qui per una sfida: vediamo chi arriva prima al Lago dei Colibrì
passando per la via Maestra. Ci stai? –
– Ovviamente, se non sei così fifona da rinunciare – ribatte la lepre
– Per me è ok, ci vediamo giovedì.
183
Il giorno della gara era tutto pronto.
– Ti auguro buona fortuna, credimi ti servirà, polentona! 3, 2, 1…
Via… – urlò la lepre.
– Io quella la batto ad occhi chiusi, prima schiaccio un pisolino! –
Zzzzzzzzz…
– Oh mamma, sono già stata superata! Ma quella è la lepre! Cosa
fa, dorme? Tanto meglio per me.
– Oh, che bel sonnellino! Ma che sono ‘ste urla? Andiamo a vedere… Noooo! Ha vinto quella, mi ha stracciato, che rabbia!
La tartaruga gloriosa festeggia, mentre la lepre piangendo per la
vergogna torna a casa vinta. (Virginia)
184
“Un anno vissuto
appassionatamente”
Laboratorio di scrittura
Classi Seconde
185
LA GITA CHE HA APERTO
L’ANNO SCOLASTICO
La gita di inizio anno scolastico: immagini, momenti,
situazioni di questo gesto così significativo
La gita di inizio anno scolastico è stata per me un momento di fondamentale importanza, non solo perché le cose apprese dalle spiegazioni delle guide saranno parte integrante del programma del primo
quadrimestre, ma anche perché, passando davanti a capolavori artistici
del periodo rinascimentale, quali la facciata del Palazzo Ducale e i
celebri quadri di Piero della Francesca e Raffaello, ho avuto modo di
arricchire la mia cultura.
Appena arrivato davanti alla facciata principale dello splendido
Palazzo Ducale, sono rimasto incantato dalla bellezza, dall’equilibrio e
dall’armonia degli elementi che lo formano: due eleganti e slanciati torricini fanno da cornice ad una facciata piena di intarsi e decorazioni
varie che lasciano a bocca aperta chiunque la guardi.
Tuttavia quella facciata, pur essendo quella principale, non presenta l’ingresso.
Infatti esso è stato fatto collocare in una piazza che dà respiro ai
vicoli stretti che caratterizzano Urbino. Questa piazza è talmente bella
che dà l’impressione di essere attirati verso l’interno.
Tuttavia questa magnificenza esteriore non manca all’interno, dove
Laurana (uno dei più famosi architetti del tempo) ha progettato un cortile conosciuto in tutto il mondo per la sua armonia.
Appena entrato non avevo parole per lo stupore: mi trovavo in un
cortile all’apparenza quadrato, ma in realtà rettangolare. Questo, infatti, è un esempio di come Laurana sia riuscito a creare un ambiente
accogliente che sembra quasi “coccolarti”. Questa bellezza è tale da
penetrarti dentro e metterti di buon umore.
Questo magnifico edificio racchiude anche quadri di inestimabile
valore, come “La flagellazione di Cristo” di Piero della Francesca, un
dipinto che rispecchia perfettamente la mente dell’uomo rinascimentale, che cerca la perfezione in ogni cosa.
Quando si osservano da vicino questi capolavori artistici si ha come
la sensazione di stare meglio.
187
Federico da Montefeltro, il duca di Urbino, voleva da Laurana un
palazzo degno di un duca e lo ha ottenuto. Federico era un uomo d’armi fedele e leale, con un grande senso di attaccamento alla sua patria.
Tuttavia la forza bruta non era la sua unica arma: infatti, era stato
cresciuto da un grande maestro, di nome Vittorino, che gli aveva insegnato i valori della vita e l’importanza della conoscenza.
Nella sua reggia è infatti presente un magnifico studiolo, adornato
con molteplici quadri che rappresentano i più grandi studiosi e filosofi
della storia (ad esempio Aristotele).
Questa stanza è un vero e proprio inno al sapere.
Federico era molto legato anche alla religione: non a caso nel suo
palazzo era presente una cappella cristiana. Tuttavia c’era anche un
tempietto pagano: praticava due religioni contemporaneamente!
Anche per questo il Palazzo Ducale è uno dei più grandi progetti
del periodo rinascimentale.
Questa nostra uscita però ci ha offerto anche uno splendido paesaggio: sono rimasto molto colpito dallo scorcio della baia di
Portonovo (vista dall’alto poiché ero sul monte Conero), un piccolo
golfo dell’acqua limpida e cristallina, affiancata da splendide colline
piene di vigne e frutteti.
Nel complesso questa gita è stata veramente emozionante e non
dimenticherò mai quali splendidi momenti ho passato in questa magnifica regione, le Marche. (Francesco Ruscelli)
Il 28 e 29 settembre, come gita di inizio anno, abbiamo fatto un
viaggio di due giorni con varie tappe, il primo giorno Urbino ed il
secondo giorno: prima la Santa Casa della Madonna di Loreto e poi, nel
pomeriggio, Il Monte Conero.
Questa gita, per la prima parte, quella che si riferisce ad Urbino, si
è rivelata molto interessante, non solo perché io non ci ero mai andato,
ma anche perché è una città che offre un aspetto turistico, architettonico e culturale meraviglioso: infatti per quanto riguarda il periodo
dell’Umanesimo e del Rinascimento, nel quale questa città è fiorita, è
reputata la città più bella d’Italia e una fra le più affascinanti d’Europa.
Questi tre aspetti (arte, architettura e cultura) che ritroviamo nel
Palazzo Ducale vengono come riuniti e affermati dal grande Duca
Federico da Montefeltro, colui che cambiò il volto di Urbino. Lui non
solo era un grande guerriero, ma anche un grande mecenate, infatti
riunì alla sua corte grandi pittori, architetti e letterati fra cui noi ricordiamo il celebre pittore Piero della Francesca che lanciò la nuova arte
quella in cui ora si realizza il concetto di prospettiva con il quale egli
realizza “La flagellazione di Cristo” e “La città ideale” e su cui scrisse
anche un libro proprio perché lui fu uno dei primi pittori a realizzarla
perfettamente con precisi ordini.
Poi un altro architetto da ricordare è Luciano Laurana che progettò
il Palazzo Ducale. Il giorno dopo abbiamo visitato Urbino, la magnifica Basilica di Loreto nella quale è presente la casa di Nazaret che,
nonostante l’avessi già vista, mi è piaciuta moltissimo perché appare
sempre più splendente e “magica”.
Successivamente la destinazione è stata il Monte Conero che cade
irruente sul mare. Qui la natura del bosco a contatto col mare è meravigliosa e unica nel suo genere.
Di questa gita che mi ha colmato gli occhi di bellezza però la cosa
che mi ha sorpreso di più è stato il mare, sia quello visitato a Numana
il primo giorno, sia quello del Conero il secondo, perché la ghiaia colorata dai raggi del sole in contrasto con l’azzurro chiaro del mare insieme a onde pesanti rendono questo paesaggio magico, con elementi in
armonia perfetta tra di loro.
Questa gita, unendo storia, arte, letteratura, geografia, natura, aspetto paesaggistico e amicizia e compagnia è stata resa molto varia, interessante, istruttiva e unica. (Emanuele Baldisserri)
Il 28 e il 29 settembre siamo andati in gita ad Urbino e a Loreto.
Il 28 settembre abbiamo visitato il Palazzo Ducale e Numana.
Il palazzo che ha fatto costruire Federico da Montefeltro è molto
grande. La facciata rivolta verso Roma è armoniosa. La cosa più bella
sono i tre balconcini: quello più in alto è quello che spicca di più perché è più decorato. Al suo piano si trova lo studiolo di Federico poi,
scendendo verso il basso troviamo la Cappella del Perdono e il
Tempietto delle Muse e infine la stanza degli ospiti.
In cima al palazzo c’è un’aquila: simbolo dei Montefeltro.
All’interno la cosa che mi ha colpito di più è stata l’Alcova del
duca. Non credevo che dormisse in un letto a baldacchino fatto in quel
modo. Il baldacchino è di legno dipinto. Sono dipinti il simbolo dell’ermellino e la bombarda, due degli ordini che aveva ricevuto
Federico.
L’ordine dell’ermellino glielo aveva donato il Re di Napoli e la
bombarda significava che Federico era un condottiero valoroso. La
bombarda ha la forma di una medusa. Sono anche incise la iniziali del
suo nome.
Nella stanza del duca c’era il suo ritratto raffigurato vicino a quello di sua moglie Battista Sforza. Ora questo ritratto si trova a Firenze
nel Museo degli Uffizi. Questo ritratto l’ha dipinto Piero della
Francesca. Nel palazzo ci sono molti camini; il più importante si trova
189
nella stanza della Jole nel cui camino ci sono la statue di Ercole che
rappresenta la forza, e Jole che rappresenta la bellezza.
Dall’età di Federico furono introdotti nei palazzi gli arazzi. C’è una
stanza dal soffitto alto, che ha tutti i muri ricoperti da essi: splendidi
tappeti colorati, raffiguranti diverse scene o mitologiche o di vita quotidiana.
In una stanza dove vengono mostrate le monete di un tempo, sono
disegnati gli ordini a cui appartiene Federico: l’orso, il toson d’oro,
l’ermellino e la bombarda.
Al pomeriggio, dopo pranzo, siamo andati a Numana e abbiamo
fatto dei giochi. Ci siamo bagnati i piedi e dopo, prima di andare via,
ci siamo seduti sulla riva. Ad un certo punto è arrivata un onda che ci
ha bagnati, per fortuna a me no perché me ne ero accorta. Il giorno
dopo siamo andati al Conero. Avevamo una guida molto simpatica, di
nome Amelia. Ci ha spiegato tante cose. Per esempio le piante dei corbezzoli sono molte, ma sono sviluppate soprattutto vicino alla costa,
infatti noi abbiamo incontrato solo una pianta. Sul Conero c’è una pianta dalle foglie particolari che è molto appiccicosa infatti si chiama
“Appiccica Mani”. Anche se a vederla può sembrare debole, si può
appiccicare dovunque.
Amelia ci ha detto che noi possiamo andare al Conero solo con
delle guide perché ci potremmo confondere visto che gli alberi sono
stati piantati tutti in fila e formano dei finti sentieri.
Infine ci ha portati in un posto meraviglioso, da lì si vedeva tutta la
costa. Poi siamo andati a Loreto. Io c’ero già andata ma è stato interessante ritornarci. Io ritornerei volentieri a Numana in estate per fare un
bagno in quell’acqua fresca e pulita. Ritornerei anche al Conero per esplorarlo meglio. Mi è piaciuta molto questa gita e la rifarei molto volentieri.
Non ho avuto problemi con la convivenza perché in camera ero con le mie
migliori amiche e mi sono trovata molto bene. (Camilla Niso)
Quest’anno per iniziare al meglio il nostro cammino scolastico,
sotto la guida e la supervisione dei nostri professori, ci siamo diretti
verso la fantastica città di Urbino, per una gita di due giorni.
Secondo me questa gita è stata spettacolare, anche perché già prima
di partire avevamo preparato insieme un lavoro su tutta la storia di questa città e sui suoi signori.
Appena arrivata a Urbino, sono subito stata colpita da un sentimento di grandezza e ricchezza: davanti a me si stagliava maestoso ed
imponente, ma allo stesso tempo aggraziato e leggiadro il Palazzo
Ducale.
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Questa fantastica struttura progettata da Luciano Laurana è stata
costruita su una collina, in modo che potesse dominare tutta la città.
La facciata principale è molto curata e arricchita da decori affascinanti, ma non troppo sfarzosi.
Si vedono i due torricini che dominano la facciata e danno snellezza alla struttura e le tre finestre che si affacciano sulle stanze principali: le terme, ovvero il tempio del corpo; i tempietti, che rappresentano
lo spirito ed lo studiolo, il tempo della mente.
In questi ambienti riconosciamo le preferenze di Federico da
Montefeltro, divenuto signore di Urbino.
Ciò che mi ha colpito di questo personaggio è che egli era orientato verso due religioni diverse: era sia cristiano che pagano.
Ho avuto, inoltre, l’occasione di salire lungo la scala elicoidale,
progettata per essere percorsa a cavallo. Mentre la percorrevo mi sembrava di sentire lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli che con gran fretta si dirigevano nel piazzale sottostante.
La cosa che però mi ha affascinato di più, sia per la complessità, sia
per l’intelletto con il quale è stata progettata, è il vero ingresso del
palazzo.
Affacciato su un’ampia piazza è stato costruito in modo che ricordasse gli ideali fondamentali dell’architettura: eleganza, proporzione,
equilibrio e bellezza.
Inoltre è stato progettato rispettando l’apertura mentale dell’architetto, che l’ha realizzato per dare respiro al resto della struttura.
Il cortile interno, al quale si accede attraverso questa entrata è curato nei minimi dettagli, non tralasciando alcun particolare. Infatti a
prima vista sembra a pianta quadrata, ma se si contano le colonne che
lo contornano si nota che è invece a pianta rettangolare: l’architetto ha
voluto infatti rispettare la sua idea di geometricità, senza rendere però
il luogo poco armonioso.
Mi sarebbe veramente piaciuto osservare Luciano Laurana al lavoro, lui sì che era un genio.
Oltre al Palazzo Ducale mi ha colpito molto anche la Basilica di
Loreto, magnifica sia dal punto di vista artistico, sia da quello religioso.
Questa basilica contiene infatti una particolare statuetta della
Madonna, che è rappresentata con la pelle scura ed un mantello dorato.
Questa particolarità ha suscitato in me vari pensieri contrastanti.
Tutto ciò che abbiamo visitato durante questa gita mi ha appassionato ed entusiasmato e le cose da raccontare sarebbero davvero troppe;
perciò mi auguro che quest’anno scolastico possa essere bello e pieno
di emozioni tanto quanto lo è stata questa magnifica esperienza.
(Vittoria Vecchiotti 2ª B)
191
Ero così tesa che la sera prima di partire non riuscivo ad addormentarmi.
Sembrava che la mia mente fosse tutta occupata dal pensiero che il
giorno seguente sarei andata via. Anche se stavo fuori casa solo per due
giorni, mi pareva che non sarei più tornata prima di un mese, ma non nel
senso che ero preoccupata perché avrei dovuto lottare contro la nostalgia, anzi, ero contenta perché finalmente avrei potuto avere un minimo
di “indipendenza” cosa che in famiglia ho molto poco. La mattina dopo,
nonostante avessi avuto poco da dormire a causa della mia agitazione,
sono scattata in piedi come un grillo più carica di quanto fossi mai stata
(credo) e dopo aver aggiunto le ultime cose alla valigia (ci sono stati
degli... ehm... imprevisti nella chiusura – ho dovuto saltarci sopra!) –
sono saltata sullo scuolabus diretta al punto dove avremmo dovuto trovarci e... sorpresa! Mio babbo mi aveva raggiunto in bici per salutarmi!
Dopo baci e abbracci sono salita in pullman e, dopo aver preso il posto
per me e la mia “compagna di viaggio-lettura” Caterina e per pochi attimi sono riuscita a godermi il cielo rosa viola che stava albeggiando, ma
solo per pochi attimi, poiché appena saliti i miei compagni si sono messi
a urlare, parlare, strillare e ad ascoltare musica, e... addio pace!
Poi è arrivata Cate ed è inutile parlare del resto del viaggio perché
l’ho passato a leggere con lei il romanzo della famosa Tigre di Malesia,
Sandokan, quasi interamente.
Prima tappa delle classi seconde: Urbino, la città-palazzo e, come
descritto da Baldassarre Castiglione ne “Il Cortegiano”: – [Federico]
edificò, a parer di molti, il più bel palazzo che il Rinascimento avesse
potuto conoscere, e di ogni opportuna cosa lo fornì, sicché non un
palazzo, ma una città in forma di palazzo esser pareva –. Ed è proprio
vero! Accompagnati da un’esperta guida ci siamo inoltrati in quel
meraviglioso capolavoro d’architettura quattrocentesca che è il palazzo
ducale, si pensa progettato dal famoso architetto Luciano Laurana, che
era riuscito nel suo progetto riempiendo lo strapiombo che Federico gli
aveva affidato per la costruzione dell’edificio.
Abbiamo insieme percorso la grande scala elicoidale che era stata
costruita abbastanza grande da poterci passare a cavallo se ci fosse stata
necessità urgente di evacuare il castello, ammirato la splendida facciata dei Torricini che include i tre balconi dei tre templi: il “centro benessere” al piano inferiore (tempio del corpo), i due tempietti pagano, delle
Muse e cristiano, di Cristo (templi dello spirito) e, all’ultimo piano, il
magnifico studiolo in legno di Federico,scolpito con bassorilievi dipinti (il tempio della mente); inoltre abbiamo visitato numerosissime sale
e saloni affrescati dove sono esposti quadri dei più famosi pittori dell’epoca tra cui Piero della Francesca e Raffaello (il palazzo di Urbino è
192
anche la Galleria Nazionale delle Marche). Di quest’ultimo mi ha colpito soprattutto il “Ritratto di nobildonna” per la perfezione del quadro:
la sensazione di morbidezza della pelle che il dipinto trasmetteva
all’osservatore, la lucentezza dei gioielli, l’ordine della capigliatura, il
riflesso della luce sulle unghie, il realismo delle mani...una fotografia.
Dopo questa visita durata più o meno tutta la mattinata, ci siamo
trasferiti ai Giardini della Fortezza d’Albornoz per consumare il nostro
pranzo al sacco. Infine ci siamo spostati alla bellissima spiaggia marchigiana di Numana per alcuni giochi sulla sabbia (sempre che di sabbia si possa parlare... era tutta ghiaia!). Lì l’acqua era pulitissima e le
onde erano così alte che non c’erano che pochi metri a dividere la strada dalla battigia dove di infrangevano numerose le onde. Il posto era
così bello che in molti, al momento di dirigersi verso l’hotel erano combattuti tra la voglia di restare a godersi quella che un po’ per tutti sarebbe stata l’ultima volta dell’anno al mare e il desiderio di visitare l’albergo, sistemarsi nelle camere e progettare la serata, ma... che delusione l’albergo (almeno per me e la mia compagna di stanza Caterina – è
sempre lei, la mia compagna di lettura –)! Altro che tre stelle!
Nemmeno mezza! Camere sporche, piccole (“da suora”,come le ho
definite), mal fornite e mal arredate...: al water mancava la tavoletta, e
in bagno più di una persona alla volta non si riusciva ad entrare, la TV
era in analogico e non si vedeva niente... (!).
Tappa del giorno: Basilica di Loreto e Monte Conero per una camminata. La chiesa è davvero stupenda: in stile barocco rococò, è piena
di quadri, meravigliosi affreschi, sculture e bassorilievi. Nel luogo
sacro abbiamo recitato l’Angelus e cantato due canti alla Madonna
Nera di Loreto. Poi ci siamo diretti sul Conero per l’escursione.
È stato il più bel momento di tutta la gita e che più mi ha colpito: il
bosco autunnale, rosso e arancione con chiazze di verde che facevano
scordare l’autunno ormai vicino, era ciò che ricopriva il territorio circostante. Un vero spettacolo naturale, dal quale si ergeva un bellissimo
belvedere che, a parer mio, era il più bello che si fosse mai potuto godere: il mare, con le sue onde che si infrangevano sugli scogli del golfo,
si confondeva con il cielo senza una nuvola; il vento che tirava scuoteva le foglie degli arbusti sulla scogliera e subito dietro questo spettacolo le campagne che si stendevano verdeggianti e che ricordavano la
calda estate che, un po’a malincuore, stavamo per salutare per dare il
benvenuto ai caldi colori del piovoso autunno.
E con questa scena stupenda nel cuore, ho trascorso il viaggio di
ritorno.
È una scena che non dimenticherò mai, e che, credo, nessun’altro
paesaggio potrà mai appagarne la bellezza. (Anna Rebecca Ceccarelli)
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I GRANDI PERSONAGGI
CHE HANNO FATTO LA STORIA
BATTISTA SFORZA: gentilezza e determinazione
Lavoro di immedesimazione per Open Day
“Gentili ospiti, buongiorno! Prima di tutto voglio ringraziarvi per
aver accettato di venire al Palazzo Ducale anche se non mi conoscete.
Sono Battista Sforza, moglie di Federico da Montefeltro, duca di
Urbino. Non stupitevi della mia giovane età, vi posso assicurare che il
mio è un matrimonio felice. Mi sono sposata quando avevo tredici anni
e ora le mie giornate trascorrono fra la cura dei figli, lo studio e il
governo della città. Infatti faccio le veci di mio marito per buona parte
dell’anno, quando lui è assente per adempiere i suoi numerosi impegni
diplomatici e militari (infatti è un Capitano di Ventura). Ma oggi è un
giorno speciale e voglio completamente dedicarmi a voi. Avrei voluto
offrirvi un banchetto come si addice ad ospiti di riguardo come voi
siete, ma, per mancanza di tempo. Vogliate assaggiare alcuni dolci preparati appositamente per voi nella grande cucina, dal cuoco di corte.
Per questo momento così lieto ho voluto al mio fianco le damigelle più
fidate che mi aiuteranno ad illustrarvi ciò che assaggerete”.
(Camilla Niso)
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Mattia, nelle vesti di Federico da Montefeltro, parla della sua vita a
Palazzo Ducale, attorniato dalla moglie Battista e dalle damigelle di
corte.
Camilla, nelle vesti di Battista Sforza, parla della vita della duchessa
di Urbino
FEDERICO DA MONTEFELTRO: Duca, Signore, Capitano
Buon giorno a tutti, mi presento: sono Federico da Montefeltro,
signore e duca della città di Urbino.
Io amo mostrarmi generoso ospitale, infatti nella mia casa ci sono
sempre tante persone, artisti, pittori, scultori che si nutrono alla mia
mensa e in cambio rendono bello il mio grande palazzo con le loro
opere.
Sono felice di accogliervi oggi al mio banchetto e gustare con voi
le delizie che i miei cuochi hanno preparato. Ora mia moglie, Battista
Sforza, e le mie dame di corte vi offriranno questi dolci, simbolo della
grandezza della mia persona e dell’importanza della mia casata.
(Mattia Severini)
COLOMBO: testardaggine e audacia
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Immagina di essere Cristoforo colombo. Scrivi una pagina di diario in cui descrivi il colloquio avvenuto tra lui e i monarchi di
Spagna.
Cordova, 7 aprile 1491
Caro diario ti racconto un evento davvero speciale…
Mi alzo di buon ora perché questo è un giorno importante. Dopo sei
anni mi hanno convocato nuovamente a corte per riesporre il mio progetto. Sono molto emozionato. Monto sul mio ronzino. L’aria del mattino è fresca e frizzante. La reggia è più piccola di quella in cui si era
tenuto il colloquio precedente, ma è comunque bella e sfarzosa.
L’ingresso è ornato da bellissime statue e decorazioni in oro che mi
distolgono per un attimo dai miei pensieri. Mi immagino di ritorno dal
mio viaggio su una grande nave e trionfante e ho di fronte l’espressione invidiosa dei miei amici che hanno sempre creduto che il mio sogno
fosse impossibile. Tutto scompare quando vedo davanti a me una porta
enorme. È finemente decorata e porta incise le immagini di tanti re e
regine. Sono arrivato. I due monarchi sono lì, oltre quella porta, il mio
destino mi aspetta. Non posso farli aspettare. Prendo fiato. La grande
porta si apre con un cigolio: la regina Isabella, bella come sempre, con
i suoi occhi azzurro chiaro e i capelli biondi color miele e il re
Ferdinando, sono seduti di fronte a me. Il loro atteggiamento cortese
non riesce a celare l’espressione tesa dei volti. Le porte si richiudono e
rimango solo con i due monarchi. Ho a dir poco paura, sono terrorizzato di sbagliare, di non essere abbastanza convincente anche se sono
anni che studio quel progetto. Mi accomodo su una sedia di legno con
sopra un soffice cuscino di lana. Il re mi invita a parlare del mio progetto e capisco subito che ha dei dubbi. La regina, invece, mi guarda
dolcemente e si dimostra molto comprensiva, la alletta molto l’idea di
sorprendere l’Islam alle spalle. Dopo tante parole e tante smorfie del re
arriva il momento critico. Ferdinando mi chiede se ho delle richieste e
io, con un tono ironico, rispondo di sì. La spedizione avrà luogo in
cambio del titolo di Ammiraglio e di Viceré e se mi verrà dato anche il
10% del ricavato sui nuovi commerci. Ferdinando fa l’ennesima smorfia mentre la regina cerca di farmi rinunciare al mio guadagno. Il tono
della mia voce risulta alterato quando esprimo il mio diniego.
Immediatamente mi scuso del mio comportamento. Il re non concorda
e pone fine al colloquio. Ho perso, ho perso tutte le mie speranze, ma
non mi sento in colpa perché tanti anni di studio valgono almeno ciò
che ho chiesto. Faccio un inchino ed esco dalla reggia insoddisfatto.
Provo a mangiare, ma il dispiacere mi toglie l’appetito, così provo a
197
coricarmi. Mi sveglia un messaggero reale che mi chiede di tornare a
corte. Con ancora un briciolo di speranza mi vesto, prendo le mie carte
e corro a corte. Ora Ferdinando sembra ben disposto ed infine è chiaro
che le mie richieste sono state tutte accettate e la spedizione avrà luogo.
Mi inchino con riconoscenza. Fuori dalla reggia grido di gioia. Non ho
ancora capito il motivo per cui i monarchi hanno cambiato idea, ma
sono al settimo cielo, mi sembra di volare. (Alessia Abbondanza, 2ª B)
La regina giudica Colombo “quasi eroico nella sua caparbietà e
nel suo orgoglio”. Quali sentimenti ispira a te il personaggio? Quali
aspetti ti piacciono di lui e quali giudichi negativi?
Cristoforo
Colombo, prima di essere convocato a corte, attende
ben sei anni e non si perde d’animo, è sempre convinto di poter compiere l’impresa di arrivare in Asia, navigando verso ovest.
Nonostante la pressione degli amici ad abbandonare questo suo
sogno, lui è irremovibile e non si scoraggia.
Dopo tanto tempo, finalmente viene ricevuto a corte dai sovrani di
Spagna, Ferdinando e Isabella di Castiglia.
Sei anni prima, Colombo, aveva approfittato dell’assenza di
Ferdinando a corte per convincere la regina a schierarsi dalla sua parte,
diventando così sempre più sicuro di poter cominciare il suo lungo
viaggio. Qui emerge una caratteristica importante di Colombo, la furbizia, perché si rende conto che Isabella è attratta da lui e così coglie
l’occasione per farla ancora più innamorare del suo grande progetto.
La regina fin dall’inizio crede nelle grandi capacità di Colombo,
esperto navigatore, lo ammira e riconosce il suo grande eroismo, ma
soprattutto interpreta la sua caparbietà come una cosa positiva; quindi
è affascinata dal suo atteggiamento determinato e sicuro.
Anche a me, come ad Isabella di Castiglia, piace il modo di comportarsi di Colombo, perché è un uomo caparbio e coraggioso che lotta
fino all’ultimo per ottenere quello che desidera. Inoltre non teme gli
altri e, cosa più importante, crede a quello che gli dice il cuore, ovvero
crede nella possibilità di compiere la sua impresa, che col tempo si è
trasformata in un sogno.
Secondo me, però, quando viene chiamato a corte, alza un po’ troppo il tono della voce e si dimostra sgarbato nei confronti dei sovrani.
Poi però si pente e si scusa.
Comunque Colombo si rivela un uomo con cui è difficile raggiungere un compromesso o fargli cambiare idea, perché ha un carattere
molto forte e sa giocare bene le sue carte!
198
D’altronde è un uomo di mare, abituato ad affrontare insidie e difficoltà di ogni tipo, a relazionarsi con uomini duri e senza scrupoli, e
forse non conosce bene il galateo di corte!!! (Giulia Faedi)
Attraverso il brano vediamo che la regina Isabella di Castiglia
prova una certa ammirazione nei confronti di Colombo, una sorta di
stima.
Colombo è un personaggio stravagante che nella sua vita non lascia
niente d’intentato, non dà nulla di scontato ed è proprio per questo che
riesce nella sua impresa. Si nota che Cristoforo Colombo ha caratteristiche contrastanti tra loro che lo rendono unico ed inimitabile: è caparbio e sognatore, orgoglioso ed ironico, pazzo e coraggioso ed è proprio
per queste caratteristiche che la regina è benevola e fiduciosa nei suoi
confronti.
Il personaggio di Colombo ispira dentro di me molti sentimenti
diversi tra loro, ma che si completano l’un l’altro.
Gli aspetti di Colombo che mi piacciono di più sono la determinazione ed il coraggio: egli, infatti, non si scoraggia e di fronte alle situazioni difficoltose non si arrende, cercando di trovare una soluzione a
tutti i problemi.
Vediamo questi suoi pregi quando egli, avendo ricevuto più volte
disapprovazioni riguardo ai suoi studi, ai suoi calcoli e alle sue richieste di finanziamenti per compiere il suo lungo viaggio, non abbandona
il suo grande sogno, ma cerca in tutti i modi di ottenere ciò che vuole
sfruttando il suo carisma e la sua personalità.
Pur avendo tutte queste qualità, Cristoforo Colombo, ha anche
aspetti negativi, come del resto ognuno di noi. Penso che egli sia un po’
troppo orgoglioso e che pensi troppo al fatto di arricchirsi sfruttando i
sovrani di Spagna e non contando sulle sue capacità e possibilità.
Colombo inoltre si dimostra insolvente nei confronti della regina
Isabella di Castiglia, ordinandole di farlo entrare in possesso del titolo
nobiliare di Ammiraglio; di nominarlo viceré e governatore delle terre
da lui scoperte e di rendergli il 10 per cento di tutti i traffici e i commerci tra i nuovi possedimenti e la Spagna.
Personalmente credo che il comportamento di Colombo si possa
attribuire all’impazienza e all’orgoglio di intraprendere questo viaggio.
Nonostante ciò, Colombo è un personaggio da quale si può prendere esempio; da lui si impara che non si deve mollare mai, bisogna sempre credere in se stessi e avere sempre chiaro ciò che si vuole.
(Vittoria Vecchiotti, 2ª B)
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CARLO V D’ASBURGO: la forza di un imperatore, l’impotenza di
un uomo
Immagina di essere Carlo V, che, alla fine della sua vita ripensa
a tutta la sua esistenza, alla luce del fatto che sta per lasciare ricchezze e onori e, sta per incontrare l’unico vero sovrano: Gesù, Re
dell’Universo.
Il giorno fatidico si sta avvicinando, ormai è solo questione di ore.
Io sono qui nel mio palazzo e sto ripercorrendo i momenti più importanti della mia vita. Sono molto stanco, ho vissuto fino all’ultimo molto
intensamente; non ho avuto un attimo di tregua, sempre alle prese con
guerre e disordini.
Adesso sono in Spagna ma avrei voluto tanto essere nelle Fiandre,
dove sono nato. Che tristezza! Da qualche giorno a palazzo arrivano
visitatori, dottori e frati che vengono a rendermi omaggio per l’ultima
volta. Ieri ho pregato per mio padre Filippo e per mia madre, anche se
mi ha lasciato quando avevo solo sei anni me la ricordo bene. Ho pregato anche per Isabella (mia moglie). È morta presto, ma negli anni in
cui sono stato con lei, mi ha saputo donare gioia e amore. Dopo questo
mio momento di preghiera sono andato a guardare i suoi tre ritratti più
belli. Isabella è ritratta giovane e bionda, era meravigliosa. Che peccato non abbia vissuto più a lungo!
In questo momento prego ancora e sto piangendo perché penso al
mio popolo. Sono molto avvilito perché in tutti questi anni di governo
non sono riuscito a realizzare in mio sogno, la “Monarchia Universale”
principalmente per colpa di tre motivi: i Turchi, le guerre contro mio
cugino Francesco I Re di Francia e Lutero. Le guerre di religione in
Germania mi hanno fatto stare molto male; tedeschi che combattevano
200
contro altri tedeschi in nome di un Dio che invece doveva essere di
tutti: è una cosa che non doveva proprio succedere.
Non riesco a credere di aver deluso così tante persone, tra queste ne
ricordo tre in particolare. La prima è Tiziano. Oh, quel Tiziano che
buona persona, era il pittore di corte. Mi ritrasse a cavallo e credo che
quello sia il mio miglior ritratto. Un’altra persona è Ludovico Ariosto.
Ha scritto l’Orlando Furioso, un romanzo cavalleresco nel quale mi
paragona a Carlo Magno. Quando l’ho saputo mi sono sorpreso, non
credevo di essere così importante per lui. Che onore! Forse però
Erasmo da Rotterdam è stato il personaggio che più di tutti ha sperato
che la “Monarchia Universale” si avverasse sul serio. Espresse anche
il desiderio che tutte le mie forze si concentrassero in una crociata contro i Turchi. Ricordo con orrore il giorno in cui i Turchi arrivarono ad
assediare Vienna. Fortunatamente il Signore mi diede la forza per resistere e i Turchi furono respinti. Di questo lo ringrazio infinitamente;
sono molto fiero di questa impresa e nel ricordarla provo un gran conforto. Mio cugino Francesco non perdeva occasione per allearsi con quei
Turchi e le quattro guerre che ho combattuto contro di lui sono state terribili. In particolare nella seconda guerra nel 1527 è successo il “Sacco
di Roma”. Mi vergogno e chiedo perdono a Dio con tutte le poche forze
che ora mi restano per quel triste episodio. Per due mesi ho lasciato che
il mio esercito di 14.000 Lanzichenecchi saccheggiasse Roma uccidendo senza pietà cittadini e religiosi. Se finirò all’inferno non potrò lamentarmi, sono stato io a decidere così. Ringrazio il Papa Clemente VII che
poi mi ha incoronato imperatore e Re d’Italia a Bologna nella Chiesa di
San Petronio. Dopo tutti questi anni trascorsi così intensamente fra poco
arriverà anche per me il momento della verità. Gesù solo saprà dirmi se
da morto potrò trovare la pace che non ho mai avuto in vita. Lui solo mi
dirà se potrò finalmente riposarmi. In questo momento non sono più
l’imperatore, ma un uomo come tutti gli altri.
(Camilla Niso)
Il momento è arrivato. Il momento di lasciare beni, onori, famiglia
e amici. Il momento in cui incontrerò l’unico e vero signore di questo
mondo irrispettoso del divino e pieno di eresie. Che strano, fino a un
po’ di tempo fa neanche pensavo a come o a quando sarei finito a ricordare tutte le scelte sbagliate che ho preso nella mia vita, con in testa l’idea che saranno le mie ultime riflessioni... Solo ora mi rendo conto di
aver avuto una grandissima fortuna per tutta la mia vita, fin da quando
ero un ragazzo. Solo ora capisco che più di una volta ho avuto l’occasione di fare qualcosa di bello e diverso, tanto da essere ricordato. Ora
sono quasi convinto che, se le generazioni future si ricorderanno di me,
201
sarà principalmente per la confusione e la tragedia a cui ho dato inizio
quella notte fatidica nel 1527 con il mio esercito. Perché? Perché ho
lasciato che la rabbia prendesse il sopravvento su di me? Perché ho portato a combattere per un futile motivo persone innocenti? Forse avrei
dovuto pensare alle conseguenze, ai sensi di colpa che sarebbero giunti per quel terribile saccheggio e per quella distruzione. Quelle quattro
guerre hanno fatto parte della mia vita e anche se di certe cose mi
pento, di altre ne vado fiero. Sono orgoglioso della scelta che feci quando lasciai libero Francesco dopo averlo imprigionato. E pensare che
sono partito soltanto come un semplice uomo, con un sogno: la monarchia universale. Non c’era niente di sbagliato nel mio desiderio, volevo rivoluzionare il mondo, dargli un ordine, ma ho finito solo col combattere guerre che non hanno portato a niente. Per fortuna la mia famiglia è sempre stata con me, la mia adorata moglie Isabella, i miei cari
figli Filippo, Maria, Ferdinando, Giovanna e Giovanni, spero che potrò
essere fiero di loro anche da lassù. Spero che anche solo uno di loro
potrà rendere fiero il nome degli Asburgo. L’unica cosa che chiedo ora
è che la mia famiglia stia bene anche dopo che io li lascerò, prego che
per loro ci sia sempre un motivo per andare avanti e che vivano una vita
fiera e nobile come quella che ho avuto io, ma ora è tempo che i miei
occhi si chiudano. Quando si riapriranno vedranno quella luce che
abbaglia e conforta allo stesso tempo. Addio. (Caterina Cecchetti)
Oggi è il 23 maggio 1558 e io Carlo V, l’imperatore che doveva
cambiare il destino dell’Europa, sono qui steso sul letto della morte,
avvolto dai miei tristi e cupi pensieri nel riflettere sulla mia vita ricca
di dolori e rimpianti...Oh! Che sciocco! Io verrò gettato nel baratro dell’inferno per l’offesa fatta a Roma! Io ho lasciato che i Lanzichenecchi
entrassero a Roma! Io li ho lasciati senza paga per farli diventare ancora più assetati di oro e di qualunque ricchezza! Io ho causato la morte
di migliaia di persone e ho lasciato sua Santità, il Papa stesso, in balia
degli orribili mercenari. Come può un uomo così crudele come me
essere accolto in Paradiso? Grazie al cielo nella mia miserabile vita ho
fatto anche qualcosa di buono come combattere contro la minaccia dei
Turchi e l’invasione islamica per salvare la Chiesa e la cultura Europea,
ma… forse questo non basterà a salvarmi e a cancellare l’enorme
oltraggio fatto a Roma e alla sua Chiesa. Che ingrato! Solo adesso me
ne rendo conto, solo ora che sto per morire ho il rimorso delle mie azioni. Dovevo pensarci prima di lanciare i Lanzichenecchi e la loro furia
contro l’indifesa Roma. E ora il tempo per rimediare è finito, sto per
andarmene da questo mondo e verrò ricordato non come il pensatore
202
della monarchia universale, ma come il tiranno che ha distrutto Roma.
Questo sarà ciò per cui passerò alla storia! Ma un’ultima speranza mi
resta in fondo al cuore. Il ricordo del buon ladrone che dopo una vita di
malefatte, chiese perdono in punto di morte e Gesù lo accolse in
Paradiso. Mi confesserò e chiederò perdono al Papa che, sono sicuro,
mi manderà la sua benedizione e pregherà per me, perché egli è il vicario di Dio in terra, il nostro Dio, buono e misericordioso.
(Giacomo Chierici)
SAN FILIPPO NERI: L’AMORE E L’ALLEGRIA
Le pagine del libro di storia si animano e ti trasportano nel 1500:
dove ti trovi, che cosa vedi, chi incontri? immagina e racconta.
22-12-2011
Caro diario,
Oggi voglio raccontare una cosa strana che mi è successa nei giorni scorsi. Era sera e stavo sfogliando il libro di storia quando ad un tratto ho avuto la sensazione di essere trasportata proprio all’interno delle
pagine. Per la precisione mi sono ritrovata a Roma...
È mattina molto presto, inizia ad albeggiare e sono svegliata dal
canto di un gallo. Sono in un letto molto scomodo, infatti il materasso
è imbottito con foglie secche di pannocchie, che fanno un gran rumore
203
appena mi muovo. Dopo aver aperto gli occhi per bene mi rendo conto
di essere in una piccola stanzetta dai muri scrostati e tutta polverosa. Il
mio stomaco brontola, ho fame. Allora chiamo mia mamma che, con
gli occhi piangenti, mi dice che non ha niente da darmi. Anzi lei mi
accompagna all’oratorio di padre Filippo Neri, lui mi darà sicuramente da mangiare. La mamma mi spiega che è un santo; sono molto contenta e emozionata di conoscere un santo e penso a cosa potrò dirgli.
Visto che la mia famiglia è molto povera di sicuro gli chiederò di venire a casa mia per benedirci e aiutarci. Gli racconterò anche che il babbo
lavora tutti giorni nei campi dei principi Colonna ma la sera, quando
ritorna a casa, non ha quasi niente nelle tasche per sfamarci. Questa è
una ingiustizia! Alle sette la mamma mi lascia davanti alla porta dell’oratorio; ci sono già tanti altri bambini con i vestiti strappati, scalzi e
i capelli tutti arruffati. Io credevo di essere molto povera ma loro sono
sicuramente molto più poveri di me. Sono un po’ spaesata, dato che è
il mio primo giorno e anche gli altri bambini lo sono. Poi arriva Filippo
cantando e allora anche noi bambini iniziamo a cantare con lui, e io mi
dimentico di dirgli tutte quelle cose che ho pensato prima. Poi Filippo
dà a tutti una tazza di brodo che mangiamo in un batter d’occhio. Dopo
preghiamo, giochiamo e cantiamo fino a sera. Filippo mi elegge sua
aiutante dato che sono la più grande e secondo lui quella più responsabile. Arrivata la sera tutti andiamo a casa. Io vado davvero a casa, ma
tanti altri bambini senza genitori si fermano a dormire in dei nascondigli. Penso che non sia giusto che succeda questo.
Tutti giorni per le vie di Roma passano carrozze e cavalli con signori ben vestiti che non si curano dei poveri. Per fortuna che io ho conosciuto padre Filippo! Il giorno dopo ritorno all’oratorio e i bambini
sono aumentati, ma Filippo con il suo sorriso accoglie tutti e tutti ricevono qualcosa da mangiare. Filippo ci dice che fra due settimane verrà
a farci visita un importante cardinale per verificare che all’oratorio
tutto sia a posto. Per abbellire l’oratorio pensiamo di fare dei bei disegni, ma questa idea va in frantumi perché nessuno di noi è capace di
disegnare e si sprecherebbe troppa gomma per cancellare gli sbagli e
noi non possiamo permettercelo. Allora Filippo pensa di far leggere a
ciascuno dei pensieri, ma quasi tutti i bambini non sanno né leggere, né
scrivere perché nessuno glielo ha insegnato. Bisognerà proprio che
qualcuno inventi una scuola anche per i poveri! Dato che io invece so
leggere e scrivere propongo a Filippo di aiutarlo a insegnare l’alfabeto
agli altri. Così facciamo per molti giorni e alla fine tutti i bambini riescono a leggere una parte. Che bella soddisfazione! Finalmente arriva
il giorno della visita del cardinale, ma io non posso andare all’oratorio
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perché ho la febbre molto alta. Mia mamma va a chiamare Filippo e
dopo poco minuti lo vedo arrivare tutto preoccupato; si siede accanto a
me e inizia a pregare. Intanto però il tempo passa e all’oratorio arriva
il cardinale, accompagnato da alcuni nobili. I bambini sono preoccupati, ma iniziano a leggere anche senza Filippo. Il cardinale è molto sorpreso da quelle belle parole uscite dalle loro bocca e capisce che anche
loro meritano una buona educazione, dei vestiti decenti, del cibo e una
casa. Da quel momento decide di dare più soldi a Filippo per comprare il cibo, i quaderni e i libri e inoltre decide di fare ampliare l’oratorio
per permettere ai bambini di aver un tetto sotto cui dormire. I bambini,
tutti felici, arrivano a casa mia di corsa dando a Filippo la lieta novella. A quel punto lui si rasserena, ma non toglie il suo sguardo su di me
continuando a pregare. Per fortuna dopo qualche giorno ce la faccio:
sono guarita di sicuro per le preghiere di Filippo, non certo per le medicine di un dottore. I dottori non si scomodano per i poveri. In quel
momento prendo una decisione: da grande voglio curare i più deboli e
anche Filippo approva.
... La mattina, quando mi sono svegliata mi sono trovata in una
sedia, la sedia della mia scrivania!
Ti rendi conto caro diario, avevo passato tutta la notte seduta lì a
sognare... (infatti avevo anche un bel mal di schiena), devo dire però
che mi è piaciuto molto questo viaggio, magari ne potessi fare altri
così! (Camilla Niso)
MARIA STUARDA, regina di Scozia
Sono seduta alla mia scrivania e sto studiando il capitolo di storia
riguardante i rapporti fra Elisabetta I d’Inghilterra e Maria Stuarda,
quando un forte bagliore mi acceca e come per magia ritorno indietro
nel tempo, all’epoca del Rinascimento, nel 1500 circa.
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Sono Maria Stuarda, cugina di Elisabetta I e regina di Scozia, nata
nel 1542.
Sono cattolica ed erede legittima al trono. Sono vestita in modo elegante, ho un abito bianco ornato di seta lucida e luminosa. I miei morbidi capelli biondi sono raccolti in un concio tirato, impreziosito da una
coroncina di rose. Uno stile completamente diverso da quello delle
ragazze del 2000!
Oggi nel palazzo in cui mi trovo, a Parigi, c’è molta gente accalcata e non capisco il motivo.
Una guardia mi si avvicina tristemente. Mi annuncia la morte di
mio marito, Francesco II Re di Francia.
Sono confusa, turbata.
Mille pensieri mi passano per la testa.
Non so cosa fare.
Raggiungo la mia stanza da letto.
Seduta davanti alla finestra triste e desolata, chiamo la servitù.
Ordino di parlare con il capo dell’esercito.
Intendo preparare un degno funerale per lui, prima possibile e con
me voglio l’intera popolazione: voglio condividere il mio dolore con
tutti!
La morte di mio marito mi ha distrutto il cuore.
Ora intendo tornare in Scozia. Ho bisogno di protezione e di affetto.
Sola e sconsolata raggiungo, prima con la nave e poi con la carrozza, il mio paese.
Ricevo la notizia che molta della mia gente in questo periodo si
convertita al protestantesimo. Sbigottita e incredula non mi sento più al
sicuro. Troppe sono le persecuzioni contro i cattolici che divampano tra
la popolazione.
Chiedo asilo a mia cugina: Elisabetta I. Poiché la regina mi dà la
sua disponibilità, mi metto in viaggio verso l’Inghilterra. Al mio arrivo
mia cugina, dopo avermi sistemato in una piccola torre, mi rinchiude!
Passano i giorni. La noia e la tristezza invadono il mio cuore.
Guardo dalla finestra, trascorrendo il tempo senza fare nulla d’importante: conto le nuvole, mi rifaccio le trecce, lavoro la maglia…
Ogni giorno trascorso faccio un piccolo segno sul muro: il mio
unico desiderio è uscire! Desidero che qualcuno si ricordi di me!
Una luce improvvisamente mi illumina il volto ed un senso di calore profondo scorre nelle vene come fuoco… incontro l’amore, Filippo
d’Asburgo. Segretamente il Re di Spagna mi chiede la mano… vuole
diventare mio marito e portarmi sul trono.
Eccitata all’idea di poter rivedere le bellezze della vita quotidiana,
accetto!!!
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Mia cugina viene informata della “bella” notizia e mi porta in carcere per una notte. Trascorro la notte a pregare e a chiedere perdono per
i miei peccati: i miei giorni sono terminati!
Al mattino seguente le guardie mi risvegliano malamente. Mi tolgono i miei abiti da regina: ora sono vestita da serva!
Sono spaventata e felice al tempo stesso… presto incontrerò il
Creatore!
Arrivati al patibolo, nulla e nessuno aspetta che mi faccia il segno
di croce… sono morta…
… In realtà sono viva! Seduta alla mia scrivania, il volto soave e
fiero di Maria Stuarda è vicino a me. Insieme abbiamo incontrato
Dio!!! (Giulia Zanoli)
L’OPEN DAY
La fase di preparazione
“… Il laboratorio di Storia e Arte, al quale io parteciperò, mette in
evidenza la vita di Federico da Montefeltro. Io mi devo travestire da
Battista Sforza, la moglie di Federico che viene interpretato da Mattia
Severini. Questa interpretazione ha richiesto l’intervento di mia zia,
provetta sarta, che mi ha confezionato un vestito simile a quello della
duchessa di Urbino. Sono dovuta andare molte volte a casa sua a fare
le prove, avevo sempre paura di essere punta dagli spilli, ma per fortuna mi ha punto solo una volta. La zia mi farà anche la pettinatura uguale a quella che Battista sfoggia nel famoso dipinto di Piero della
Francesca. Il vestito è nero e mi dona molto. Solo le scarpe mi fanno
soffrire: sono di mia mamma e mi stanno un po’ strette...”.
(Camilla Niso)
“… Io parteciperò al laboratorio di Storia e Arte per l’allestimento
del quale io e i miei compagni abbiamo realizzato alcuni disegni ispirandoci ad un discorso dell’umanista Pico della Mirandola. I nostri
lavori hanno come titolo: “La scelta fra gli esseri bestiali e gli esseri
divini”. Pico infatti in quel suo scritto diceva che si può scegliere se
diventare esseri inferiori, cioè assomigliare agli animali, o essere creature superiori, cioè assomigliare sempre di più a Dio; questa scelta è
opera della libertà dell’uomo… Io sono sicuro di avere fatto parte di un
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lavoro comune sia civile che studentesco, sia perché mi sono sempre
reso disponibile per tutto, sia perché ho aiutato con i disegni, i colori e
i cartelloni. Questo mi ha soddisfatto perché mi ha fatto capire che
posso fare grandi opere se mi impegno e sto con i miei amici.
(Matteo Palmegiani)
“... Quest’anno ho deciso di collaborare con il prof. Bragagni.
Questa scelta è dovuta al fatto che, prima che iniziasse l’anno scolastico, con il professore di Tedesco abbiamo fatto una gita in Austria e precisamente a Vienna. Così volevo completare la conoscenza di questa
magnifica capitale, ballando il valzer viennese e assaggiando anche la
torta Sacher, proclamata dall’Unesco patrimonio dell’umanità proprio
in questi giorni. Il laboratorio di Tedesco, infatti, sarà ambientato in una
sala da ballo del castello degli imperatori d’Austria. Inizialmente, ci
sarà una piccola scenetta in cui il marito di Sissi, Franz Joseph, affida
sua moglie a un duca che è rimasto senza dama, essendo quest’ultima
caduta da cavallo e quindi non essendo in grado di ballare. Quindi,
dopo esserci seduti ai tavoli e dopo aver mangiato la torta Sacher, ci
alzeremo e ci metteremo a ballare. Che emozione! Non so come riuscirò a stare per ben due ore con le scarpe con il tacco!...”.
(Eugenia Barbieri)
“… Il professor Bragagni ha scelto un tema molto originale, ma
allo stesso tempo veramente chic: “La Vienna imperiale e l’imperatrice Sissi”. Si è ispirato ad una gita fatta nel settembre scorso nella capitale austriaca, visitando la residenza dell’imperatrice. Abbiamo dovuto
preparare tutto alla perfezione imparando anche a ballare il valzer con
l’accompagnamento dei maschi della classe III B. Alcuni, come dice il
professore, sono dei “pezzi di legno”, ma altri se la cavano bene e, devo
dire, che anche loro si sono molto impegnati. Alla fine il lavoro svolto
ha dato i sui frutti e tutti sono stati soddisfatti…”
(Vittoria Vecchiotti)
“… Nel laboratorio di Spagnolo ho il ruolo di “rapper” e durante
le prove è stato divertente immedesimarmi in questo ragazzino che non
prende niente sul serio e “reppa” (canticchia) ogni cosa, invece che parlare. Mi sono divertito molto nella preparazione della canzone “Me
gustas tu” che interpreto come solista, insieme ad altre tre ragazze...”.
(Giovanni Gori)
“… Io parteciperò al laboratorio di Spagnolo e insieme al mio
amico Giovanni Gori canterò due strofe della canzone ‘Me gustas tu’.
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Sono felice della parte assegnatami dalle professoresse perché adoro
cantare, è la mia passione più grande ed è anche una delle cose che mi
vengono meglio. Inoltre io adoro la lingua spagnola, credo che sia una
lingua rilassante e dolce, qualsiasi parola è fluida e scorrevole. Non
vedo l’ora che arrivi il giorno dell’Open Day perché, dopo tutto questo
impegno, sono convinta che sarà un capolavoro…”.
(Caterina Cecchetti)
“… È tradizione nella mia scuola, la Fondazione Sacro Cuore di
Cesena, presentare ai ragazzi di V elementare la scuola media in tutti i
suoi aspetti e attività. Questa iniziativa si chiama Open Day. Nella città
non siamo gli unici ad aprire le nostre porte a chiunque sia interessato
alla scuola, ma la nostra è una vera e propria tradizione e, come tale,
ogni ragazzo si impegna nell’attuazione di questo gesto con entusiasmo, partecipando a laboratori differenti. Quest’anno proporremo il
laboratorio di Storia e Arte con l’Urbino di Federico da Montefeltro,
quello di Matematica con la scoperta delle forme geometriche nella
realtà, il laboratorio di Tedesco con il valzer viennese alla corte di Sissi,
quello di Inglese con i personaggi famosi della cultura britannica e infine quelli di Geografia con l’illustrazione delle Grotte di Frasassi e di
Poesia con la presenza di Leopardi...”. (Anna Rebecca Ceccarelli)
“… Io parteciperò al laboratorio di Spagnolo che sarà intitolato “El
espanol para cantar”. Ho voluto far parte di quest’aula perché sono già
due anni che mi impegno per imparare tutto su questa lingua interessante. In questa aula si canterà, si ballerà, si presenteranno degli oggetti, come le nacchere, i ventagli, le maglie di alcuni giocatori spagnoli
famosi, i vestiti e le scarpe del flamenco; inoltre si parlerà di tradizioni spagnole (come quella di avere due cognomi o di portare gli stessi
nomi dei nonni o dei parenti)…”. (Matilde Stagni)
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IMMAGINI DALL’OPEN DAY
Nel laboratorio di Tedesco: Sissi e Franz a colloquio.
Nel laboratorio di Arte e Storia: spiegazione della vita di Federico da
Montefeltro.
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Alberto, Enrico e Caterina pronti a raccontare la vita e le imprese di
Federico da Montefeltro.
Anna Rebecca e Riccardo cantano una canzone nel laboratorio di
Spagnolo.
Caterina e Giovanni cantano nel laboratorio di Spagnolo
Le ragazze di 2ª A in abiti rinascimentali distribuiscono i dolci agli
ospiti del laboratorio.
LE ANTICHE STORIE DEGLI EROI
PRIAMO
Immagina di essere un servo di Priamo e di guardare con lui dall’alto della torre quello che succede nel campo di battaglia. Quali eroi
stanno combattendo? Come reagisce Priamo a tali combattimenti?
Quali sono i suoi sentimenti? Immedesimati e racconta.
Un boato improvviso scosse il palazzo del mio signore.
Corsi alla finestra e là, sotto di me, Achei e Troiani si trucidavano
senza pietà per il possesso di un corpo; come due branchi di lupi che,
affamati, lottano bramosi di sangue per una carcassa di cervo.
All’inizio non capii il perché di tutto quell’accanimento solo su
quel corpo, quando ce n’erano altri centinaia sparsi per terra e calpestati. Avevo una vista acutissima, come diceva il mio signore Priamo,
re dei Troiani, questo mi aiutò a riconoscere il viso e i lineamenti di
quello stolto di Patroclo, ormai morto grazie ad Ettore, figlio del mio
signore, che aveva cercato di scalare le nostre mura.
Tornai alle mie faccende con il cuore leggero, sapendo che un altro
valoroso Acheo era caduto per mano nostra.
Una voce mi chiamò.
Pensai velocemente ad una scusa che potesse giustificare la mia
presenza in cucina. Non mi era permesso di entrare in stanze che non
fossero la lavanderia o la cantina se non per ordine del mio signore.
Una voce profonda alle mie spalle disse:
“Non preoccuparti Archivio, sono io e sono venuto a chiederti un
favore; vestiti con il tuo peplo più bello, mettiti i sandali dorati e
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accompagnami sulla torre più alta, in modo che io possa guardare dall’alto il campo di battaglia e capire la fonte di questo fastidioso boato
che ho sentito anche se la vecchiaia mi sta portando via l’udito e la
parola”.
Mi girai e mi prostrai ai piedi del mio signore, poi mi rialzai e lo
guardai negli occhi; occhi vacui, pieni di tristezza e amarezza, occhi che
avevano visto la gente nascere, combattere e poi morire fra atroci sofferenze a causa di una guerra scoppiata per volere e capriccio degli dei.
Occhi che sapevano capire, amare, riflettere, occhi che esprimevano la tristezza e la saggezza infinita del re dei Troiani.
Risposi con voce bassa e pacata: “Sempre al tuo servizio anche a
costo della vita!”.
Corsi in camera mia, mi cambiai e raggiunsi il mio signore.
“Stammi sempre accanto e
sorreggimi, le forze potrebbero
venirmi meno da un momento
all’altro, se la vista mi si offusca
in un momento atroce e io ti
dovessi chiedere cosa è successo,
non cercare di mentirmi e affronta
la dura realtà, non chiudere gli
occhi se ti accorgi che uno dei nostri è stato trapassato da una lancia”.
Appena arrivati sulla balconata della torre, le porte di Troia si spalancarono e, come un torrente in piena, tutti i Troiani si riversarono
dentro in una fuga scomposta, cercando di scampare dalla spada e dalla
lancia di Achille, figlio di Peleo e valoroso guerriero acheo.
Solo Ettore, ben piantato come un albero, fronteggiava Achille.
Lacrime di amarezza per la vita di suo figlio che si stava per interrompere rigarono il volto di Priamo.
Con una tristezza infinita nel cuore, il grande monarca d’Asia assistette alla morte di suo figlio.
Quando Ettore fu trapassato dalla lancia di Achille, Priamo urlò
tutta la sua angoscia che fu sovrastata dalle grida di felicità degli Achei.
Un fulmine scagliato da Giove colpì il tetto della torre da cui si
staccò un mattone che mi cadde in testa.
La vista mi si offuscò e l’ultima cosa che vidi fu Priamo che, straziato dal dolore, urlava la sua disperazione.
Poi tutto divenne nero e persi conoscenza. (Agnese de Angelis)
214
ACHILLE E ETTORE
Achille e Ettore. Achille l’eroe dell’ira e Ettore l’eroe dell’onore:
essi sono i principali personaggi attorno ai quali Omero ha costruito il
bellissimo e appassionante poema dell’Iliade. Achille viene chiamato
l’eroe dell’ira, perché combatte per vendicare la morte di Patroclo, suo
compagno. Achille, figlio della dea Teti e di Peleo, re di Ftia, è il più
forte tre gli Achei, alto, coraggioso, insomma il simbolo dell’eroe
greco. Prima di arrivare a Troia gli Achei saccheggiano alcune cittadine nei dintorni e Achille si guadagna Briseide, una bellissima schiava
che però gli viene sottratta da Agamennone. Achille, ferito nell’onore,
si rifiuta di combattere e ritira i suoi uomini dalla battaglia, lasciando
gli Achei in balia dei coraggiosi e sfrontati Troiani. Patroclo, migliore
amico dell’eroe Acheo, non approva il suo gesto e vedendo i suoi compagni morire si impietosisce e va nella sua tenda ad implorare Achille
di ritornare in battaglia per tirare su la sorte degli Achei che sono stati
dimezzati dai Troiani. Patroclo allora torna in battaglia seminando il
panico tra i Troiani, ma viene ucciso da Ettore. Dopo questo fatto
Achille, infuriato, decide di tornare in battaglia per vendicare la morte
dell’amato amico.
Ettore invece viene chiamato l’eroe dell’onore, perché mentre tutti
i suoi compagni si ritirano dentro la città lui rimane davanti alle porte
Scee ad aspettare l’odiato nemico Achille. Ettore, figlio di Ecuba e di
Priamo re di Troia, è il più forte degli eroi Troiani, il più coraggioso, il
capo supremo, colui che anche con i denti, fino alla morte, difenderà la
sua amata Troia. Ettore infatti è il baluardo delle difese Troiane, così
come Achille lo è di quelle Achee. Ettore combatte furioso, non si tira
mai indietro, lotta, si butta nella mischia, non ha paura di nessuno,
215
nemmeno di Achille. Ettore uccide Patroclo dopo una lotta accanita
credendo fosse Achille. Si scaglia su di lui e dopo averlo ucciso lo spoglia delle sue armi e solo allora si accorge che non è il cadavere di
Achille, ma quello di Patroclo.
Ed ora eccoli là, nella radura, l’un fuggendo e l’altro inseguendo,
Ettore fugge e Achille lo insegue. Ettore non riesce a togliersi dalla portata di Achille che è più veloce, ma lo stesso eroe Acheo non riesce a
fare lo scatto decisivo per raggiungerlo, lo scontro è in una fase di stallo per poi esplodere nell’ira di Achille e di Ettore, che decideranno la
sorte dei rispettivi schieramenti. I due capi supremi, i più forti, i più
valorosi, che si sfidano nello scontro finale, l’incontro decisivo.
A me questi due eroi appassionano molto, ma come tutti anche io
ho una leggera preferenza per uno dei due che nel mio caso è Achille.
Perché questo eroe è il più forte, quello più intraprendente, quello più
attaccato all’onore, secondo il mio parere il più completo.
(Giacomo Chierici)
ULISSE
Ulisse non è ancora comparso nell’opera, eppure tutti i personaggi e le loro azioni parlano di lui: l’eroe è presente a Itaca attraverso la sua assenza. Spiega questa affermazione portando degli
esempi e di’ che idea ti sei fatto del re di Itaca sulla base degli indizi
raccolti.
Ulisse non c’è, ma lo si può percepire in ogni pietra, in ogni angolo della sua isola: Itaca.
La sua è una presenza costante, il suo nome viene mormorato con
devozione dal suo popolo e dai suoi familiari.
Viene pronunciato con disprezzo e scherno dai Proci che lo credono una persona innocua; sono troppo distratti a banchettare con il suo
bestiame ed a bere il suo vino per accorgersi che la loro fine è vicina.
Per loro il mangiare è diventata un’azione che non lascia spazio a pensieri razionali. Non gustano più neanche quello che assaggiano.
I segni mandati da Giove parlano chiaro: – Attenti Proci, verrà il
giorno in cui Ulisse si vendicherà: allora voi lo implorerete, ma niente
potrà colmare la sua ira che si abbatterà su di voi come un tornato fa
volare dei pezzi di carta.
Eppure, sanno che Ulisse è un personaggio astuto, intelligente e che
non esita ad uccidere le persone che si fanno credere amiche e poi gli
tramano alle spalle.
216
La sua influenza è fortissima, anche se ormai è lontano da casa da
molti anni.
Telemaco, suo figlio, la sente, ed essa si manifesta in lui rendendolo forte e determinato a non soccombere alla moltitudine di “porci” che
si è installata a casa sua, riempiendo la dimora reale di baccano.
Penelope la sente, rifiutandosi di scegliere qualcuno fra i pretendenti al trono, ideando un astuto pretesto: una tela che, quando sarà
finita, darà ai Proci il diritto di contendersela. Però, Penelope la tesse
di giorno e poi, di notte, al lume di candela, aiutata dalle serve, la disfa;
prolungando così i giorni di attesa dei pretendenti. Tutto va secondo i
suoi piani, finchè una serva la tradisce.
Il Re di Itaca è un personaggio che, nel corso della sua storia, non
si appoggia solo alla forza delle armi, facendo dell’astuzia e dell’ingegno una delle sue principali risorse. Sa anche essere dolce e gentile, il
che lo rende, agli occhi di tutte le ragazze, l’uomo ideale.
Prima di ricorrere ad un qualsiasi piano, lo considera da vari punti
di vista (come nel caso del cavallo di Troia).
Questo fa di lui, come dice Omero, “un uomo dal molteplice ingegno”, capace di sconfiggere un centinaio di “persone” armate, solo con
un arco e delle frecce. (Agnese De Angelis)
217
PARTECIPAZIONE AL CONCORSO
“LE VIE D’EUROPA”
LAVORO PREPARATORIO
Quest’anno nei mesi di novembre, dicembre, gennaio, abbiamo
letto in classe il bellissimo romanzo di Lewis “Il viaggio del veliero”
che mette in scena un viaggio per mare motivato dal desiderio di trovare la terra di Aslan, il leone buono, giusto, autorevole e, in ultima
analisi, padre, la cui nostalgia spinge i protagonisti, novelli Ulisse oltre
le colonne d’Ercole, ad avventurarsi al limite delle terre conosciute nel
vasto mare di Narnia, per scoprire la via che porta a chi può dare la
pace e rimettere ogni personaggio nella sua giusta dimensione. Durante
il viaggio che conduce alla Fine del Mondo, i protagonisti, quattro
ragazzi e un animale parlante, Ripicì, affrontano mille avventure e sfidano il pericolo, richiamati sempre dal più piccolo di loro, piccolo di
statura, ma straordinariamente valoroso, il topo Ripicì appunto,. ad
andare oltre, ad attraversare la paura a non fermarsi alla difficoltà proprio in virtù dell’essenza di libertà di cui ognuno è fatto.
Affascinati da questa lettura abbiamo deciso di aderire al concorso
“Le Vie d’Europa”, indetto dall’associazione Diesse di Firenze, che quest’anno ha messo a tema le opere di Lewis rivolte ai giovani lettori e cioè
“Le Cronache di Narnia” di cui “Il Viaggio del Veliero è un episodio. I
ragazzi ispirandosi ai personaggi, ai temi, alle situazioni del romanzo
hanno elaborato, a gruppi, dei racconti o hanno prodotto dei disegni che
poi sono stati inviati alla segreteria del Concorso per la valutazione.
218
La fase iniziale del lavoro è consistita nell’esplicitazione dell’ispirazione: ogni gruppo ha chiarito il suo punto di partenza per la scrittura o per il disegno ed ha motivato l’idea che poi è stata sviluppata e che
ha preso corpo in un racconto o in un dipinto.
Ecco le motivazioni dei ragazzi.
1. Il nostro racconto si intitola “Basta Crederci”; per scriverlo ci
siamo ispirate a un personaggio del romanzo “Il Viaggio del Veliero”,
infatti uno dei protagonisti della nostra storia, Mark, ha un carattere
simile a quello di Eustachio: ha un cuore di ghiaccio che poi si scioglierà. Suo fratello Alex, invece, può essere paragonato a Lucy per la
sua grande capacità di accoglienza e per la sua bontà d’animo: quando
capita l’occasione lui non si tira indietro nell’aiutare Mark a scegliere
la via giusta. Anche Lauren, la fidanzata di Mark, inizialmente è avida
e vanitosa, alla fine della storia i suoi difetti svaniranno e lei capirà che
i soldi non danno la felicità. I temi principali sono quelli della tentazione e del cambiamento; la storia è concentrata sulla ricerca del tesoro del padre: grazie a questa ricerca due fratelli tanto diversi si riavvicineranno. (Camilla Niso, Anna Tassinari, Marta Santucci)
2. Il nostro racconto parla di un viaggio intrapreso dal protagonista
per trovare qualcuno capace di contrastare la magia cattiva di un divoratore di anime. Lo spunto iniziale è dato dal viaggio intrapreso da
Caspian e Ripicì, ne”Il Viaggio del Veliero”, verso la terra di Aslan,
colui che può liberare dal male, ma anche da un personaggio de “Il
leone, la strega e l’armadio” la Strega Bianca, la cui magia malvagia
stende l’inverno perenne sulla terra di Narnia e impedisce persino al
Natale di entrarvi. Un altro elemento importante a cui ci siamo ispirate
è il cambiamento di Eustachio che noi abbiamo calato nel personaggio
di Evelyn: essa all’inizio è egoista e non ammette di aver bisogno di
aiuto, poi muta la sua posizione e ciò sarà fondamentale per la riuscita
del viaggio del personaggio principale.
(Agnese De Angelis, Carlotta Gasperoni, Lucrezia Foresti, Giulia Zanoli)
3. Nel nostro racconto abbiamo deciso di ispirarci al cambiamento di
Eustachio: come ne “Il viaggio del veliero” Eustachio, da ragazzo presuntuoso, antipatico, incapace di adattarsi alle situazioni, diventa umile, educato e coraggioso, grazie alla situazione di allontanamento dai suoi amici
vissuta nella pelle di un drago e grazie all’intervento purificatore di Aslan,
così il nostro personaggio, Josh, da freddo, rude e arrogante, si trasforma
in un giovane più dolce e accogliente grazie all’amore di Marianne.
(Anna Rebecca Ceccarelli, Caterina Cecchetti, Caterina Pasi)
219
4. Il nostro racconto si intitola “Previsioni del tempo” ed è ispirato
al tema del cambiamento: William, come Eustachio, cambia, diventando una persona audace, mentre prima era un ricco e viziato ragazzino
inglese. In questa trasformazione viene aiutato da Pietro, come Aslan
aiuta Eustachio a togliersi la corazza di presunzione. Inoltre la nostra
avventura si svolge in un mondo parallelo che, come quello di Narnia,
è pieno d insidie, ad esempio i finti poliziotti che William e Pietro
incontrano. Questi sono forti, ma stupidi, come il Serpente Marino che
ne “Il viaggio del veliero” ha impaurito l’equipaggio della nave di
Caspian, rivelandosi poi, con una mossa ingenua, poco intelligente.
(Francesco Ruscelli, Luca Bertozzi, Mazzi Tommaso)
5. Il protagonista del nostro racconto è Bhomp, un artigiano che
fabbrica serrature per le porte; Bhomp è creativo, ma, nello stesso
tempo, non è completamente soddisfatto del suo lavoro e vorrebbe guadagnare di più, infatti spesso viene preso dalla tentazione dell’avidità.
Nell’inventare la sua storia ci siamo ispirati al personaggio di Eustachio che nel romanzo “Il viaggio del veliero” viene prima descritto
egoista e pieno di difetti, poi più umile e in atteggiamento di ascolto,
proprio come accade al nostro artigiano che incontrando Philip, un
cavaliere che viene da un mondo parallelo a quello reale, capisce la bellezza del suo lavoro. (Brasini Vittorio, Garattoni Giacomo)
6. Il nostro racconto si intitola La storia nella storia. Per scriverlo
ci siamo ispirate a varie situazioni e personaggi del romanzo Il viaggio
del veliero. Come Lewis fa vivere ai suoi personaggi avventure attraverso diversi luoghi, anche noi abbiamo ambientato la nostra storia in
tre regni diversi in cui i personaggi vivono avvincenti e stravaganti
vicende. Inoltre l’autore irlandese ha introdotto personaggi con caratteri vari e contrastanti che sono maturati nel corso dell’opera. Come
Lewis, noi abbiamo inserito personaggi dal carattere negativo che sono
cambiati durante il percorso grazie sia all’aiuto degli altri protagonisti
che al superamento dei pericoli e delle prove sfrontati. Il personaggio
simbolo del cambiamento in Lewis è Eustachio, nella nostra produzione è Jasmine, una ragazza presuntuosa e superba. Entrambi hanno un
diario segreto nel quale scrivono le proprie idee negative sui fatti accaduti loro. Non riconoscono apertamente il loro bene e l’interessamento
degli altri verso di loro, infatti Jasmine ascolta i discorsi di Jack fingendosi non interessata, Eustachio non vuole mostrare che la pozione
offertagli generosamente da Lucy funziona. Nel nostro racconto i protagonisti entrano improvvisamente dentro al grande libro finemente
rilegato, invece ne Il viaggio del veliero i protagonisti entrano nel qua220
dro ove è rappresentato il veliero con a prua la bellissima testa di drago.
In entrambi i racconti i personaggi hanno uno scopo ben preciso: nel
nostro i ragazzi devono aiutare un bambino a ritrovare il re suo padre e
salvare il suo regno, in quello di Lewis i ragazzi devono ritrovare i sette
Lord e riportarli a casa. Alla fine dell’avventura sia Eustachio che
Jasmine cambiano i lati negativi del loro carattere: diventano più estroversi, più altruisti, più maturi. Infine, come Aslan ne Il viaggio del
veliero è la guida verso la retta via e le giuste decisioni, la zia nella
nostra realizzazione è la figura autoritaria e positiva che aiuta e conduce i ragazzi alla maturità ed alla consapevolezza dei valori, accompagnandoli, sotto altre sembianze, nella loro storia.
(Alessia Abbondanza, Faedi Giulia, Eugenia Barbieri, Bianca Fabbri,
Vittoria Vecchiotti)
7. Il nostro gruppo illustrerà i due personaggi per noi più rappresentativi del romanzo: il valoroso guerriero Ripicì e lo sconsolato drago in
cui si è trasformato Eustachio. Abbiamo pensato di rappresentare questi
due personaggi per l’importanza che hanno in questo lavoro di Lewis.
Eustachio rappresenta la possibilità del cambiamento: all’inizio
della storia viene presentato come un ragazzo presuntuoso e vanitoso,
ma grazie all’avventura vissuta e all’incontro con Aslan diventa più
gentile e amichevole con tutti e si rende conto degli sbagli commessi.
Ripicì rappresenta l’animo e il desiderio che dovrebbero avere tutti
i membri dell’equipaggio del Veliero dell’Alba, egli è umile e nello
stesso tempo valoroso ed è sempre il primo a proporsi per l’avventura
in nuove terre o per compiere gesta eroiche.
La rappresentazione di Ripicì ed Eustachio è anche dovuta a un
fatto che ci ha molto colpito: i due personaggi all’inizio della storia non
si sopportano e, per questo motivo non si capiscono, nel corso dell’avventura riescono ad accettarsi l’un l’altro e diventano buoni amici: il
cambiamento. Quindi può riguardare anche i rapporti fra le persone.
(Paganelli Enrico, Alberto Dal Monte, Andrea Manuzzi,
Giovanni Gori)
8. Abbiamo scelto di rappresentare il capitolo in cui Lucy sfoglia il
libro del mago, perché attraverso la lettura di questo episodio capiamo
meglio il carattere della ragazzina e la sua caratteristica principale: la
sua grande fiducia in Aslan che la salva da due tentazioni, quella della
vanità usando l’incantesimo con il quale potrebbe diventare bella “oltre
ogni mortal giudizio” e quella del non fidarsi delle amiche, mettendo in
atto l’incantesimo che rivela i loro pensieri. Leggendo questo capitolo
abbiamo capito che nessun personaggio è immune dalle tentazioni, in
221
queste situazioni interviene sempre Aslan che, nell’amicizia, riporta
ognuno al bene. (Matilde Stagni, Rebecca Teodorani, Giulia Amadori)
9. Noi abbiamo scelto di illustrare due situazioni raccontate nel
romanzo: nella prima Lucy si incammina verso la camera del mago,
nella seconda il Veliero dell’Alba si dirige verso l’Isola delle Tenebre.
Abbiamo scelto queste situazioni perché vediamo rappresentate in esse
grande coraggio e disponibilità al sacrificio, infatti Lucy non sa cosa la
aspetti nella stanza del mago, ma è pronta ad affrontare ogni pericolo
per liberare i suoi amici dalla minaccia dei personaggi invisibili; il
Veliero dell’Alba con a bordo Caspian e i suoi compagni viene fatto
navigare verso le tenebre per far scoprire ai suoi occupanti il segreto di
quell’oscurità. Noi vogliamo illustrare il valore e la voglia di conoscere che anima i personaggi.
(Nicola Mazzotti, Luca Palmegiani, Filippo Garattoni)
10. Nel nostro lavoro di Arte, noi
illustreremo il veliero di Narnia che
esce dalle tenebre, dal buio che avvolge l’isola, e l’esultanza dei marinai per
la loro salvezza. Abbiamo scelto di
realizzare questa illustrazione perché,
come dice Caspian, ci sono cose che
l’uomo non può affrontare da solo,
come le sue paure o i suoi incubi peggiori. Tutto ciò può essere affrontato grazie ad un amico, infatti in quell’episodio è Aslan a sconfiggere le tenebre e a far tornare il sole. Ci è piaciuta l’idea della vittoria sulle tenebre che rappresentano la paura di
affrontare la vita.
(Pietro Bocchini, Pierfrancesco Golinelli, Kevin Spinelli,
Giovanni Giunchi, Matteo Palmegiani)
222
LA GITA A FIRENZE E LA PARTECIPAZIONE
AL CONVEGNO SU LEWIS
223
Concorso
SEZIONE ITALIANO RACCONTO
Secondo classificato a livello nazionale
Titolo: La storia nella storia di Vittoria Vecchiotti, Giulia Faedi,
Bianca Fabbri, Alessia Abbondanza, Eugenia Barbieri
Motivazione: Una storia costruita con molta creatività, che ha il
pregio di riproporre il tema del viaggio in un mondo fantastico avendo
cura di preservare un legame chiaro con la realtà. L’amicizia e l’affetto fra i tre protagonisti si costruisce e si rinsalda affrontando un percorso difficoltoso in un mondo immaginario, in cui però gli ostacoli,
pur nella loro forma fantastica, sono figure di problemi reali che ogni
ragazzo incontra crescendo: la solitudine, l’inganno e la morte assumono le sembianze di nemici veri e propri, da sconfiggere insieme,
imparando a conoscersi passo dopo passo.
215
226
“L’infinito del desiderio”
Laboratorio di lettura e di scrittura
Classi Terze
L’INFINITO DEL DESIDERIO
(Laboratorio di poesia su Giacomo Leopardi)
– L’Infinito di Giacomo Leopardi è un testo poetico scritto a
Recanati nel 1819 e poi pubblicato nella raccolta dei canti nel 1826.
– Il testo è costruito con parole vaghe e indefinite che rimandano a
un’immagine. Con il loro essere così impreciso fanno trasportare il
poeta nel mondo fantastico, usando l’intelletto per immaginare la bellezza del paesaggio nascosto dalla siepe. È composto da una sola strofa, contente quindici endecasillabi distribuite in quattro periodi. Questa
poesia fa parte della raccolta dei piccoli Idilli. Ci sono numerosi enjambement che rendono l’andamento della poesia più lento, lo rallenta.
– Questa poesia narra la bellezza del paesaggio che “vede” il poeta.
Si trova sul monte Tabor: un luogo a lui molto caro. Cerca di ammirare il paesaggio per scrutare la sua magnificenza, ma ciò non gli è possibile perché una siepe glielo impedisce. Visto che può guardare solo il
paesaggio tra i piccoli scorci di spazi tra le foglie della siepe decide di
usare l’intelletto e l’immaginazione. È per questo che “il suo pensiero
si annega” e riesce a osservare l’immensità della bellezza della natura,
quindi del paesaggio. Tutto ciò gli è favorito dal vento che è come se
emanasse una piccola e dolce voce per consentirgli di pensare in quel
luogo quieto, tranquillo e con un’immensa pace. Sente il silenzio che
229
gli sta attorno e così riesce meglio a immergersi in un mondo diverso
dalla realtà.
– L’intenzione comunicativa dell’autore è quella di far comprendere
la bellezza e lo stupore che lui prova davanti a un paesaggio. Si fa trasportare dall’immaginazione e per questo si immerge nell’infinito della
natura. Praticamente la siepe è per noi quel “qualcosa” che ci impedisce
di capire il vero senso delle cose, della realtà. Per questo siamo costretti
a usare l’immaginazione per scoprire quello che c’è guardando oltre questa siepe (realtà). Il poeta quindi si perde nel “naufragare” e nel pensare
come potrebbe essere il paesaggio oltre la siepe. L’uomo è troppo piccolo per riuscire a comprendere l’infinità della natura.
– Il mio giudizio è sicuramente positivo verso questo testo poetico
perché mi ha fatto riflettere sulla bellezza delle cose. Non bisogna
osservare solo per pochi istanti qualcosa che ci si pone davanti agli
occhi (per il poeta è stato il paesaggio), ma bisogna cercare di “guardare oltre la siepe” e quindi cercare di usare la nostra intelligenza per
comprendere veramente cosa stiamo osservando, e per scoprire dentro
di noi il desiderio di infinito cercando di capire il significato di ciò che
la realtà ci pone davanti. (Elena)
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Scrive il poeta Davide Rondoni: “Quando la vita ti colpisce (un
amore, un dolore,…) avverti che hai bisogno di trovare parole per
così dire più vive del solito. Parole accese, invece delle solite parole
spente che usiamo o sentiamo usare ovunque tutti i giorni”. A volte
accade anche ai ragazzi della tua età di lasciarsi colpire in modo particolare da un testo lirico o da un brano musicale. Ti è mai successo
che le parole di una poesia o di una canzone dessero voce anche ai
tuoi sentimenti, ai tuoi stati d’animo, ai tuoi desideri o alle tue emozioni? Racconta la tua esperienza, presentando il testo che preferisci,
il suo contenuto e spiega il motivo per cui ti ha colpito, esprimendo le
tue riflessioni.
Io sono rimasta colpita da alcuni testi che ha scritto Leopardi, particolarmente mi ha colpito la poesia intitolata: “Canto notturno di un
pastore errante dell’Asia”. Questo testo è stato scritto a Recanati tra il
1829 e il 1830 da Giacomo Leopardi ed egli ha scritto questa poesia
facendo riferimento a un resoconto di viaggio del Barone di
Meyendorff, un viaggiatore che era andato nelle grandi pianure
dell’Asia e aveva conosciuto i popoli di queste terre. La poesia è un
dialogo tra la luna e un pastore, che ogni giorno porta al pascolo le
greggi, e di notte si accorge che la luna “lo segue”; così si rivolge alla
luna con parole e domande sul valore della vita, sul destino e quindi sul
senso della vita. Queste domande sono rivolte alla luna, ma questa non
può rispondere; il pastore afferma che lei sa le risposte, mentre noi
umani non le sappiamo e non possiamo saperle. Questa poesia mi colpisce perché fa riflettere anche me sul senso della vita, e alle domande
che ho già nel mio cuore si aggiungono sempre più domande che mi
portano a cercare risposte finché non le trovo. Le domande che vengono fatte sono sulla vita dell’uomo, ma anche sulla vita degli astri del
cielo. Io non mi ero mai fatta domande sul valore degli astri, non ci
avevo mai pensato, ma leggendo questa poesia ho capito che anche
questi corpi celesti hanno un valore e un senso. D’altronde ogni cosa
ha un senso; io, però, mi chiedo: perché le stelle brillano? Perché la
luna percorre sempre le stesse vie del cielo e vede? Un giorno mi piacerebbe osservare di notte all’aperto la luna e le stelle e mi piacerebbe
capire di più il motivo della loro esistenza. La poesia mi ha fatto capire che la vita della luna è molto simile alla nostra vita; allora io mi chiedo: perché noi umani dobbiamo soffrire, mentre altre creature no? Da
che cosa è dovuta questa sofferenza, da dove arriva? So che ognuno di
noi si pone delle domande perché qualcuno gliele “mette” nel cuore,
come per fargli capire che deve cercare risposte, e per cercarle è utile
guardare al di là dell’apparenza. Io so che Qualcuno che ci pone delle
231
domande esiste, e questo Qualcuno è una persona “grande”, una persona che a causa della sua esistenza ci fa mettere “in moto” e ci fa cercare. Ho tante domande dentro di me, di cui vorrei conoscere le risposte,
ma so che è molto difficile, quasi impossibile trovare la risposta che
uno vorrebbe. Un’altra cosa che mi ha colpito della poesia è l’ultima
domanda, quella che il pastore rivolge alla luna come se lei fosse quella cosa grande: egli le chiede chi è lui, un piccolo essere nel mondo.
Anche io mi sono rivolta altre volte questa domanda e mi colpisce il
fatto che, pur essendo noi esseri umani una piccola cosa in tutto
l’Universo, in realtà siamo la cosa più grande: noi siamo capaci di guardare oltre all’apparenza e ci facciamo delle domande. Solo gli umani
sono capaci di questo, nessuna altra cosa! E questo rende l’uomo la
creatura più grande. Io penso che Leopardi si sia posto tante domande,
infatti ha scritto delle poesie che fanno capire che egli si è posto
domande grandi. Ognuno di noi in sé ha delle domande che invitano a
cercare una risposta, però penso anche che solo alcuni prendono sul
serio questo invito nella vita. (Beatrice)
Sabato del villaggio
Il sabato è il giorno più gradito della settimana, pieno di speranza
e di gioia, mentre la domenica le ore della giornata porteranno tristezza e noia e ognuno comincerà a pensare alla fatica abituale del lavoro
settimanale.
Questa la riflessione di Leopardi nella penultima strofa della bellissima poesia Il sabato del villaggio dopo che ha presentato personaggi
232
felici e appagati dalla vigilia del giorno festivo con il lieto pensiero
rivolto alla domenica.
Leopardi ci vuol far capire che un sentimento di speranza gioiosa
pervade il cuore delle persone al pensiero della domenica ormai imminente, sia degli adulti, come il falegname che lavora fino a tarda sera
per godersi il giorno di festa insieme alla famiglia, ma soprattutto dei
giovani, come la donzelletta che torna felice dalla campagna con un
mazzo di fiori che le serviranno per adornarsi i capelli il giorno della
festa, o i fanciulli che giocano rumorosi nella piccola piazza del paese
allietandone l’atmosfera. Anche il contadino torna fischiettando alla
sua povera casa e anch’egli in cuor suo è contento per l’arrivo della
domenica e lo capiamo dal fatto, appunto, che fischietta serenamente.
Secondo il poeta il sabato è il giorno più bello e piacevole della settimana perché è pieno di speranza e di gioia nell’attesa del giorno di
festa, ma purtroppo la domenica, secondo il poeta, deluderà le attese e
non porterà la tanto desiderata felicità, anzi, arriverà il pensiero delle
fatiche e degli impegni che riprenderanno l’indomani...
Il mio sabato, dunque, è ricco di aspettative che vengono quasi
sempre realizzate, i miei sogni si avverano e trascorro questa frizzante
giornata nel migliore dei modo alternando passatempi, incontri e piacevoli attività.
Prima di addormentarmi, di solito, faccio un bilancio di quanto
piena sia stata la vigilia della festa, con un pensiero rivolto alla domenica, che per me, al contrario di quello che dice Leopardi, spesso è la
felice continuazione del sabato, un’altra giornata in cui posso dedicarmi a tante attività che mi piacciono, anche se il pensiero del lunedì che
incombe è come una nuvola minacciosa nel cielo azzurro. (Chiara)
Grazie a Leopardi ho capito che devo vivere pienamente il mio
presente e non avere fretta di diventare “grande” perché l’età della giovinezza è molto breve e quella adulta sarà piena di impegni e responsabilità… (Lorenzo B.)
Aspettare
qualcosa è molto più bello che realizzarlo, nella mia
breve vita mi sono accorto che questa è una grande verità in molti casi;
ad esempio quando devo fare un torneo è molto più bello andare a letto
il sabato con il pensiero e l’emozione del torneo che giocherò all’indomani che la partita stessa, anche in caso di vittoria. Per me questo sentimento è tipico dell’animo umano che è pronto a sperare e ad attendere per natura… Leopardi esprime questo concetto con la bellissima
descrizione della vita di un villaggio la sera del sabato… (Agostino)
233
Sul significato della grande metafora della lirica non posso esprimere un giudizio per il semplice fatto che sono un ragazzo che ancora
non ha visto realizzarsi i suoi sogni e che non ha ancora verificato nulla
di essi. In questi giorni penso spesso al mio futuro, a quello molto prossimo, come la scelta della suola superiore o a quello più lontano, come
l’età adulta. In quei momenti mi racchiudo in me stesso, rifletto e,
senza che me ne accorga mi compare il sorriso sulla faccia. In questi
mesi sto verificando alcuni dei pensieri di Leopardi e per alcuni aspetti sono d’accordo con lui, ma certamente non posso sapere se l’età adulta mi riserverà gioie o delusioni. Per ora, quella sorta di sfida che il
poeta ci lancia attraverso il “garzoncello scherzoso”dicendoci che
dovremo verificare noi se quello che egli dice è vero, mi emozione e mi
invita a non scoraggiarmi e a lottare per il mio futuro, per la mia felicità e la mia realizzazione. (Giovanni)
Leopardi sostiene attraverso questa metafora il suo dubbio sull’esistenza della felicità. Io però non ne condivido il significato profondo:
se veramente riusciremo a portare a termine i nostri progetti vivremo
anche solo un istante di felicità, ma quell’istante ci parrà il più bello e
gioioso della nostra vita. Questo per ora, poi verificherò se ciò che
penso è vero quando crescerò, se saprò realizzare ciò in cui credo.
(Roberto Leone)
L’Infinito
Sempre caro mi fu quest’ermo colle”così inizia una lirica di
Giacomo Leopardi, grande poeta dell’Ottocento. Il poeta si trova su
una collina, a Recanati, e ha di fronte a sé una siepe che, impedendogli
la vista sull’orizzonte lontano, diventa simbolo del limite umano.
Quando ho letto la poesia mi sono immedesimata nell’esperienza di
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Leopardi perché la percezione del proprio limite è una caratteristica che
accomuna tutti; ogni uomo sente di avere dei limiti e solitamente cerca
di superarli. Anch’io sento di avere molti limiti, tra cui uno, grazie al
quale ho però scoperto la bellezza di tante piccole cose che rendono
ogni giorno della mia vita un giorno speciale… Il limite che ho percepito in quell’occasione è stato costruttivo, perché grazie ad esso ho
capito che, se non posso raggiungere uno scopo, ho però sempre al mio
fianco la bellezza di un amico che mi è accanto, mi sostiene e mi incoraggia. Questa è la cosa più bella perché fa parte della mia quotidianità
e sono sicura non verrà mai meno... (Aurora)
La poesia “L’infinito” di Giacomo Leopardi ci presenta un poeta
sereno che si sente sicuro abbandonandosi all’immensità che lo circonda. In questa lirica egli ci fa conoscere un luogo a lui tanto caro: un colle
solitario, su cui si trova una siepe, di fronte alla quale si siede e medita.
Anche se non può ammirare i grandi spazi che si estendono oltre il colle,
a causa della siepe, riesce comunque ad immaginarli e per poco non si
spaventa trovandosi immerso in quell’immensità. Il poeta viene poi
riportato alla realtà dal fruscio del vento tra le piante. Ciò gli suscita il
pensiero dell’eternità: del passato e del presente. Leopardi si sente sereno davanti a quell’immensità ed eternità, tanto che conclude le sue riflessioni con la metafora “e il naufragar m’è dolce in questo mare”.
Anch’io ho vissuto momenti in cui mi sono trovata in luoghi che mi
hanno suggerito intuizioni importanti per la mia vita. Spesso le intuizioni sono le stesse, ma mi stupisco sempre. Probabilmente può apparire strano, ma il luogo che finora mi ha ispirato le riflessioni più
importanti della mia vita è il giardino di casa, è un luogo che conosco
bene, tuttavia ogni volta che lo guardo approfonditamente mi sorprende. Offre una bella vista su campi e piante; lì posso starmene da sola,
posso meditare, posso guardare gli alberi del giardino, gli uccelli, le
nuvole, gli insetti, udire il vento tra le foglie, vedere l’Infinito in ogni
essere della natura… (Gloria)
Leggendo questa poesia mi viene in mente un luogo a me molto
caro che si trova nella mia città natale. Quando sono triste e ho voglia
di raccogliermi da sola tra i miei pensieri, vado su una collina a qualche chilometro da casa mia. Questo luogo rappresenta i momenti felici
e tristi della mia infanzia, per questo sono molto legata alla bellezza e
al mistero di quel luogo. Quando sono lì, da sola, a pensare, il tempo
corre molto velocemente e mi sembra di riempire un vuoto che ho dentro di me. Leopardi, come me, aveva un luogo dove potersi abbandonare in piena libertà. Questa sensazione rende la poesia L’infinito molto
familiare ad alcuni momenti della mia vita. (Maria)
235
UN’IMMAGINARIA LETTERA AL POETA
Caro Giacomo,
ti scrivo per riflettere con te, pormi delle domande sulle tue poesie
che con tanta curiosità ho approfondito in classe. Fra le quattro liriche
che abbiamo analizzato mi ha colpito soprattutto il “Canto notturno di
un pastore errante dell’Asia”. Ho scoperto che ciò che dici in questa
poesia mi accomuna a te, mi corrisponde e trova riscontro nella mia
vita quotidiana.
Il tema centrale della lirica sono le domande dell’uomo sul senso
della vita e sul proprio destino. Ti sei posto quelle domande, le hai
messe sulla bocca di un semplice pastore asiatico, solitario, e sei riuscito a farle giungere fino a me. Le tue osservazioni, i tuoi quesiti, i tuoi
desideri sono gli stessi di ogni uomo perché noi siamo fatti così: vogliamo sapere e scoprire il senso delle cose e per farlo dobbiamo fare la
cosa più semplice che esista: domandare.
Anche un bambino sa chiedere e nella sua ingenuità non si vergogna, ma è curioso.
Le domande che ti fai, Giacomo, sono sul senso della vita, sul destino e le poni alla luna, qualcosa di più grande di te. Questa è la prima
cosa che mi ha colpito: tu non domandi a chiunque, ma a qualcosa di
misterioso, superiore, che tu sei certo conosca le risposte. Riflettendo
ho capito che è lo stesso anche per me: anch’io chiedo, cerco risposte
dal Mistero, che per me è Dio.
Tutte le tue domande sul senso della vita sono anche le mie: perché
la vita? Che senso ha? E la morte? Io, come tutti, ho bisogno di sapere
il senso delle cose e finchè non trovo la felicità nel conoscerlo non mi
arrendo. Neanche tu, Giacomo, ti sei mai arreso e questo testimonia la
tua grandezza morale.
Per quel che mi riguarda l’addentrarmi nel mondo della tua poesia
è stato un viaggio pieno di scoperte, di considerazioni… È stato incredibile scoprire come la poesia si leghi fortemente a me, ai miei interessi, alla mia vita… Una domanda che mi sono sempre posto e che è
emersa particolarmente trattando le tue poesie è: perché tanti uomini,
te compreso, dimostrano la loro grandezza quando sono provati, quando soffrono? L’uomo deve soffrire per diventare “grande”? Solo in questo caso viene fuori la personalità di un uomo?... (Giovanni)
236
Carissimo Giacomo,
sono una tredicenne e ho deciso di scriverti una lettera per condividere con te alcune riflessioni.
Scusa se ti do del tu, ma ti sento come un amico, infatti grazie a te
ho scoperto e assaporato sentimenti nuovi. Ormai sono giunta al termine del lavoro sulla tua vita e sulle tue poesie che ho svolto in classe
assieme ai miei compagni e tra le liriche studiate quella che mi ha
attratto maggiormente è stata “L’infinito” di cui mi hanno molto colpito gli ultimi due versi dove riporti una metafora: “e naufragar m’è dolce
in questo mare” con cui descrivi come ami, in fin dei conti, rimanere in
solitudine e immergerti nell’infinito… Ho provato ad immedesimarmi
nella tua vita, seduto a quella bellissima scrivania nella biblioteca del
tuo palazzo a Recanati mentre componi poesie guardando fuori dalla
finestra da cui ammiri i fanciulli che allietano l’atmosfera gridando
mentre giocano nella piccola piazzuola davanti alla chiesa, di fronte a
casa tua, come tu, Giacomo, ti immedesimi in un pastore nel “Canto
notturno di un pastore errante dell’Asia”. Anch’io, con te, mi sono fatta
la domanda: “Perché la vita? La vita… ricca di momenti indimenticabili, con le sue gioie e difficoltà, con tanti ostacoli, piccoli mattoncini
che dobbiamo superare…
L’incontro con la tua vita e con le tue poesie, come vedi, mi ha
suscitato tante riflessioni e domande, mi ha maturata… grazie di cuore
per questo viaggio insieme a te. (Chiara)
237
UN’AUTOBIOGRAFIA ROMANZATA:
IL BUIO OLTRE LA SIEPE
Durante la lettura del romanzo Il buio oltre la siepe è stato proposto ai ragazzi di 3ª A un laboratorio di lettura e scrittura creativa.
Nel romanzo Il buio oltre la siepe Atticus si rivolge al figlio Jem
e per spiegargli cos’è il vero coraggio dice: “Aver coraggio significa
sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare
egualmente e arrivare fino in fondo, qualsiasi cosa succeda. È raro
vincere, in questi casi, ma qualche volta si vince. La signora Dubose
ha vinto”. Dopo aver parlato della signora Dubose e della vicenda da
lei vissuta, narrata nel capitolo XI del romanzo a cui si riferiscono
queste parole, spiega se condividi o meno questo giudizio di Atticus,
motivando le tue affermazioni.
Nel capitolo XI del romanzo Il buio oltre la siepe viene narrata la
vicenda che si riferisce alla signora Dubose. La signora Dubose era una
signora anziana, malata terminale o morfinomane. In casa sua lavorava
una ragazza di colore che l’aiutava nelle pulizie o nei lavori.
La signora Dubose amava i suoi fiori, li curava e non voleva che
nessuno si avvicinasse tranne la ragazza delle pulizie.
Jem e Scout la consideravano antipatica e scorbutica, perché quando loro passavano davanti alla sua casa, lei li rimproverava, li insultava e sparlava anche di Atticus per la scelta di aver accettato di prendere le difese di un negro di nome Tom Robinson.
Il giorno del dodicesimo compleanno di Jem, Jem e Scout andarono a comprare una piccola locomotiva per Jem e una verga per Scout.
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Prima di andare a comprare i giocattoli i due ragazzi erano passati
davanti alla casa della signora Dubose, che, come al solito, li aveva
rimproverati, ma in più aveva insultato il padre dei bambini perché,
secondo lei, difendere un negro era sbagliato.
I due ragazzi, di ritorno dal negozio, ripassarono davanti alla casa
della signora Dubose e Jem prese la verga di Scout e distrusse i fiori
che l’anziana signora amava.
Tornati a casa, Jem e Scout aspettarono il ritorno di Atticus. Atticus,
rientrato in casa dopo il lavoro, sapeva già quello che era successo e,
dopo un dialogo con Jem, disse che, per un mese, il ragazzo doveva
andare tutti i giorni dalla signora Dubose a leggerle qualcosa.
Jem, accompagnato da Scout, fece per un mese quello che Atticus
gli aveva chiesto.
Dopo qualche giorno, trascorso il mese, la signora Dubose morì.
Atticus spiegò ai ragazzi che la signora era malata terminale e che,
per non soffrire l’atroce dolore che la malattia le procurava, ogni giorno prendeva la morfina, una sostanza che fa perdere i sensi, però almeno non si patisce il dolore.
La signora Dubose, però, tutti i giorni spostava di pochi minuti
l’ora della sveglia che indicava l’ora in cui doveva prendere la morfina. Lo faceva perché in questo modo avrebbe sofferto, lucida, il suo
dolore prima di morire.
Jem e Scout capirono allora perché la signora Dubose ogni tanto
sembrava che non li ascoltasse e ogni tanto sembrava che soffrisse
molto.
Atticus definisce la signore Dubose coraggiosa perché lei sapeva
già che in poco tempo sarebbe morta, ma voleva essere cosciente e libera dalla morfina prima di morire.
Questa volta lei ha cominciato già sconfitta in partenza, ma ha continuato egualmente la sua battaglia andando fino in fondo.
Questa volta la signora ha vinto una battaglia persa.
Atticus dice questo perché secondo lui non è coraggioso chi gira
con il fucile in mano e quindi è superiori agli altri, ma chi combatte
sempre, anche battaglie impari.
Questo è un motivo per cui Atticus non voleva dire ai suoi ragazzi
che da giovane era un grande tiratore, perché in questo modo sarebbe
andato contro ai suoi insegnamenti.
Io condivido le affermazioni di Atticus perché secondo me uno è
coraggioso quando accetta tutte le sfide, non rimane mai indifferente.
Se noi siamo al mondo non è per rimanere indifferenti, ma per raccogliere le sfide e le provocazioni che ci vengono dai nostri educatori,
insegnanti e genitori.
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Secondo me questo è il vero senso della vita, perché se noi rimaniamo indifferenti e non abbiamo voglia di fare, non possiamo stare al
mondo. Secondo me essere coraggiosi è anche quando una persona dà
tutto, come a scuola, o nello sport. (Luca)
LABORATORIO DI TEATRO
Dopo la lettura del racconto Il Colombre, di Dino Buzzati, ecco le
riflessioni di alcuni alunni di 3ª A.
“Mi ha colpito il Colombre perché dalle parole che il padre aveva
detto a Stefano sul Colombre, erano delle cose paurose, però quando
Stefano arriva dal Colombre questo non gli fa nulla, anzi gli dona una
perla!”. (Beatrice)
“Mi ha colpito il fatto che per tutta la durata della sua vita egli
aveva creduto che il Colombre fosse un terribile mostro che voleva
ucciderlo e quando invece si decise ad avvicinarsi, scoprì che le sue
intenzioni erano diverse da quelle che pensava”. (Giulia)
“Mi ha colpito il suo desiderio tanto che, nonostante i racconti del
padre sul Colombre, Stefano non riesce ad allontanarsi dal mare e dal
Colombre”. (Luna)
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“Ho rappresentato Stefano che osserva il Colombre nel mare. Simbolo della sua continua attrazione verso il mostro ed il mare due cose
inquietanti e immense che rappresentano la bellezza dell’ignoto”.
(Patrizia)
“Nel racconto ho capito che i pregiudizi non sono sempre esatti,
come quello del padre sul Colombre”. (Giulio)
“Di questa creatura mi ha colpito il fatto che è avvolta dal mistero,
come la vita”. (Jacopo)
“Quello che mi ha colpito è questa attrazione che Stefano ha verso
il Colombre. Lui pensa che il Colombre è pericoloso ma nonostante ciò
non riesce a distaccarsene”. (Francesca)
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“Mi ha colpito il fatto che per tutta la durata della sua vita egli
aveva creduto che il Colombre fosse un terribile mostro che voleva
ucciderlo e quando invece si decise ad avvicinarsi, scoprì che le sue
intenzioni erano diverse da quelle che pensava”. (Giulia)
“Mi ha colpito molto il fatto che lui non si sia subito spaventato e,
anzi, abbia provato della curiosità per quell’essere che sarebbe divenuto la sua «maledizione»”. (Francesca R.)
“Mi ha colpito Stefano che, credendo in se stesso, non rinuncia (alla
fine del racconto) al sogno di diventare un marinaio viaggiando per
mare”. (Elena)
“Il veliero, secondo me, è un simbolo importante del racconto e
soprattutto per Stefano. Il veliero è importante perché Stefano anche
dopo la morte del padre lo guida e lo porta avanti come faceva suo
padre con la stessa passione”. (Micaela)
“Mi ha colpito la scena in cui Stefano cerca di capire che cosa sia
quella creatura che spunta dall’acqua e che lo insegue”. (Riccardo)
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LA GIORNATA DELLA MEMORIA:
UN’OCCASIONE PER NON DIMENTICARE
Intervista dei ragazzi di 3ª A e 3ª B al Professor Filippo Panzavolta,
insegnante al Liceo delle Scienze Umane “Immacolata” di Cesena, che
ha organizzato lo spettacolo teatrale Più che mediocre dedicato a don
Odo Contestabile, un “giusto” a Cesena.
“Hanno rischiato la propria vita per salvare chi era perseguitato,
minacciato, oppresso: i Giusti. I Giusti volevano ottenere giustizia, non
solo per sé e per le vittime di allora, ma per porre le condizioni di pace
in cui vogliamo far vivere le prossime generazioni. Da ciò non traevano alcun beneficio: lo facevano, punto e basta. Erano persone comuni,
gente del popolo. Le sconvolgenti vicende della prima metà del
Novecento hanno portato a capire il significato generale dell’ingiustizia sui cittadini ebrei grazie ai Giusti. Il grande riconoscimento è dovuto alla fine sensibilità e qualità del loro impegno: a differenza di altre
persone che si sono fatte condizionare dall’idea comune, i Giusti
hanno creduto in sé stessi. Il loro spirito dimostra l’importanza della
vita. Sono coloro che non si voltano dall’altra parte ma agiscono quando vengono calpestati i diritti degli altri. Salvare una vita – come dice
il Talmud (testo sacro della tradizione ebraica) – significa salvare il
mondo intero”. (Elena, Francesca B., Filippo F., Riccardo P.)
243
1. Come ha scoperto la vita di Don Odo Contestabile?
«La scoperta della storia della vita di Don Odo Contestabile nasce
per caso. Nel 2008 lo storico Pier Giovanni Fabbri mi chiese di scrivere la biografia di un cesenate per un volume “Le vite dei cesenati”.
Sfogliando dei libri incontrai questo monaco, che nel 1943 si offrì di
aiutare due famiglie ebree. Per approfondire incominciai a ricercare
informazioni nell’archivio dell’Abbazia del Monte di Cesena. Credo
che sia Don Odo Contestabile ad avermi trovato.
2. Cosa l’ha spinta a cominciare a fare queste ricerche?
«Grazie a Piergiovanni Fabbri, il quale mi ha invitato a scrivere una
biografia per un volume che stava creando: “Le vite dei Cesenati”.
Piergiovanni Fabbri pensava che io, siccome laureato in storia dell’arte, facessi una biografia su un pittore, invece, cercando informazioni,
“spulciando” libricini nell’Abbazia del Monte, ho incontrato la storia di
un monaco. Leggendo questa storia, pensavo fosse giusto conoscerla,
ricercai nell’archivio del Monte, nel quale trovai la cartellina con i
documenti su Don Odo Contestabile. Da lì l’ho voluto conoscere
meglio tanto che cominciai le ricerche».
3. All’inizio aveva qualche idea sul risultato di queste ricerche?
«All’inizio di queste ricerche ho capito che Don Odo Contestabile
aveva tutte le caratteristiche per diventare uno dei Giusti. Invece secondo lo Yad Vashem, tribunale di Gerusalemme che decide se una persona può essere riconosciuta Giusta, in realtà una cosa mancava: la testimonianza delle persone salvate. I coniugi Mondolfo erano morti entrambi e non avevano avuto figli, mentre si pensava che i Lehrer si fossero trasferiti dopo il 1946 negli Stati Uniti d’America. Quindi il processo per prendere l’importante decisione fu sospeso. Comunque il mio
sogno era che Don Odo Contestabile fosse riconosciuto come Giusto,
quindi ho cercato in ogni modo di rintracciare le famiglie Lehrer, ma
senza risultati. Allora ho fatto un ultimo tentativo: ho cercato gli unici
due Lehrer viventi in Italia presenti sull’elenco telefonico online. Il
27 gennaio 2011 Marco Grego, il figlio di una delle due bambine dei
Lehrer, Beatrice, mi ha risposto chiedendo come facessi a conoscere la
storia di Don Odo Contestabile. Dopo le spiegazioni gli ho espresso il
desiderio di riaprire il processo allo Yad Vashem e Marco Grego si è
reso da subito disponibile ad aiutarmi».
4. Perché avete deciso di proporre questo spettacolo?
«Coronato nella primavera del 2011 il sogno di rintracciare i
Lehrer, ho riferito subito l’accaduto a Claudio Riva e Rita Ricci, con i
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quali presi l’impegno di dedicare qualcosa di speciale a Don Odo
Contestabile. Così è nata in me la voglia di far conoscere ai giovani la
storia del monaco benedettino, e per farlo avevo bisogno di attualizzarla, cosicché la scelta migliore mi parve quella dello spettacolo teatrale».
5. Come siete arrivati al titolo dello spettacolo? Come è nata
l’idea di utilizzare la musica klezmer nello spettacolo?
«L’idea del titolo è dell’attrice di Longiano Lelia Serra e deriva
dalla pagella di don Odo che ho trovato nell’archivio dell’Abbazia del
Monte. Il sacerdote era stato definito dai suoi insegnanti “più che
mediocre”. Questa espressione ci è sembrata adatta al nostro spettacolo perché i Giusti erano persone normali che sono riuscite a trovare
forza e coraggio per opporsi al male, staccandosi così dalla mediocrità.
La musica klezmer del gruppo musicale Siman Tov è musica etnica
ebraica dell’Europa orientale e per questo ci è sembrata idonea al tema
dello spettacolo».
6. Quali sono state le emozioni che ha suscitato in lei questa
esperienza?
«Molte emozioni erano intense, grazie alle persone coinvolte in
maniera diretta o indiretta che hanno aiutato e che hanno reso viva questa esperienza. Anche i ragazzi dei licei e delle medie che hanno assistito allo spettacolo sono stati bravissimi, insomma è stato molto bello
vedere come tutti gli sforzi fossero stati ripagati e si è riusciti ad organizzare una giornata della memoria molto particolare».
(Roberto Leone, Gloria, Giovanni, Patrizia, Laura G., Micaela)
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LA SFIDA DELLA REALTÀ
In queste ultime settimane attraverso la televisione, i giornali e i
social network siamo venuti a conoscenza di diversi fatti accaduti in
Italia e nel mondo: la cattura e l’uccisione di Gheddafi, la tragica e
sconvolgente morte del giovane pilota Marco Simoncelli, le dimissioni
di Silvio Berlusconi e la nascita del nuovo Governo di Mario Monti, la
morte di uno dei più grandi geni di sempre, Steve Jobs (creatore della
Apple) e infine le alluvioni a Genova che hanno provocato molte povere vittime tra la popolazione… (Agostino)
In queste ultime settimane mi ha colpito e amareggiato molto un
fatto avvenuto in una gara di Motogp nel circuito di Sepang: la morte
di Marco Simoncelli.
Quella domenica io ero lì, sul divano, a guardare quel giovane campione coi capelli ricci che stava svolgendo una gara come tutte. Erano
i primi giri, le moto erano attaccate, ad una curva la sua moto ha perso
aderenza, ma Marco non l’ha voluta lasciare e ha cercato in tutti i modo
di tenerla su, però è caduto e, insieme alla sua moto, ha strisciato sull’asfalto verso il centro della pista. Qui la tragedia: Edwards e
Valentino Rossi che venivano subito dietro di lui non hanno potuto evitarlo e l’hanno colpito al collo e alla testa… Io non volevo crederci, il
mio campione se n’era andato.
Il suo destino si è compiuto mentre era sulla moto, la sua passione.
Un giovane che aveva amici, una famiglia che gli voleva bene, una
ragazza che lo amava è morto per inseguire la sua passione di sempre.
“Ciao Sic” si leggeva su tutti i titoli televisivi. Perché il destino ha
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dovuto strappare la vita a un ragazzo così giovane? Perché proprio lui
che aveva ancora una carriera davanti a sé? Queste sono le domande
che mi pongo. Poi penso che lui forse è contento della breve, ma felice
vita che ha vissuto. La moto era la sua passione e ha voluto fare di tutto
per restare in sella, ha dato la sua vita per la sua passione. Perché Sic
non hai lasciato la moto? Ora potresti ancora cavalcarla come facevi
prima, come un campione.
Sento di essere grato a Marco Simoncelli perché mi ha fatto capire che nella vita bisogna inseguire i propri sogni, anche correndo dei
rischi. (Filippo M.)
... In quel momento fra tutti i pensieri che avevo nella testa me ne
rimase uno solo: non era giusto che un ragazzo morisse così. Il motociclista era infatti un lottatore, uno che non mollava mai, neanche un
secondo. Pensai che se avesse lasciato la moto sarebbe scivolato sull’erba a bordo pista e tutto sarebbe finito lì, in una piccola caduta. E
invece no, Marco ha voluto tenere su la sua moto…
Simoncelli non era amato dalla gente solo perché era un bravo pilota e vinceva, bensì perché era un ragazzo semplice, anche i meccanici
del suo team dicono che era sempre pronto alle battute, aveva una parlata romagnola molto allegra e divertente ed era cordiale e amichevole
con tutti. Di fronte a questo fatto, che già mi ha colpito molto, mi sono
rimaste impresse due cose: la prima è stata la forza con cui i genitori di
Sic hanno affrontato la situazione, infatti nelle interviste non hanno
mostrato segni di disperazione, anche se hanno ammesso che senza
Marco tutto sarebbe stato terribile. Certuni dicevano che erano proprio
i genitori a rincuorare i tanti che avevano assediato Coriano. Ed è proprio questo l’altro elemento che mi ha colpito: il grandissimo afflusso
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di persone nel paesino romagnolo, per le quali si è dovuto allungare di
qualche ora l’apertura della camera ardente, inoltre le forze dell’ordine, nel giorno del funerale, hanno mandato tantissima gente al circuito
di Misano per dare l’ultimo saluto a Sic da un maxischermo perché il
paese non riusciva a contenere tutti. (Andrea)
... Questo fatto ha sconvolto tutti, sia in Italia, sia nel mondo: tutti
piangevano la morte del Sic.
Su Facebook moltissime persone, me compreso, avevano impostato come immagine del profilo una foto di Simoncelli e ovunque era
scritto il messaggio: “Ciao Sic”.
Ero curioso di sentire la voce dei suoi genitori e mi aspettavo che
dicessero frasi fatte che si sentono ogni volta che muore un ragazzo,
invece non è stato così. La fase che mi ha colpito di più è stata quella
della madre che ha detto che non sentiva di aver sbagliato nel permettere a Marco di correre in moto perché quello era il suo sogno e se nella
vita uno non fa ciò che desidera fare, poi la vita diventa piena di rimpianti, invece Marco di rimpianti non ne avrà. Queste parole mi sono
rimaste impresse perché sono un’ulteriore spinta per me a seguire il
mio sogno…
Appena mi è arrivata la notizia della tragedia sono sorte in me due
domande: perché è morto proprio lui che era il più simpatico? Perché
doveva fare una fine così?
Io penso che non ci sia risposta alla prima, perché ogni morte di un
giovane è una tragedia, mentre sostengo che morendo così Marco è
salito sul gradino più alto del podio… Io tifavo per lui perché aveva la
possibilità di diventare l’erede di Valentino Rossi. Mi piacevano le gare
in cui tutto era monotono e all’improvviso a movimentare la gara era
proprio la sua moto con quel 58 rosso. Il 58 di Sic se n’è andato dalle
piste, ma rimarrà sempre nei nostri cuori. (Michele)
248
... Una frase in particolare mi è rimasta impressa nella mente ed è
stata detta dai genitori, che, pur nel dolore, erano contenti di aver
accompagnato il loro figlio nel fare la cosa che più lo soddisfaceva, che
più amava: correre in moto, sentire il vento sfiorargli il viso, l’adrenalina ad ogni curva e la gioia di vincere gara su gara.
Marco, in poche parole, ha suscitato in me la voglia di vivere e di
inseguire i miei sogni, superando ogni ostacolo. (Alberto Renzi)
Circa un mese fa è morto il dittatore libico Gheddafi, uno dei più
spietati dittatori del mondo, che ha sfruttato il suo popolo per anni condannando alla povertà tanta gente e compiendo tante stragi.
Anche negli ultimi mesi di vita, di fronte alla rivolta della popolazione ha cercato di mantenere il potere e di tenere testa alle potenze
mondiali non con soldati fedeli, ma con mercenari che talvolta non
erano neppure libici.
Dopo una lunga fuga Gheddafi è stato catturato e ucciso con un
proiettile alla testa da alcuni ribelli…
In Libia, dopo la notizia della morte del Colonnello, sono immediatamente iniziati i festeggiamenti, la gente esultava e sventolava la
propria bandiera e io mi chiedo se è giusto festeggiare per la morte di
qualcuno. Gheddafi meritava di essere punito per i suoi crimini, ma
aveva diritto ad un processo.
Chissà se ora nel Paese africano tornerà la pace, se ci sarà un lieto
fine a questa vicenda?
Infine mi pongo un’ultima domanda, Gheddafi è stato sconfitto dai
ribelli, ma essi non sarebbero mai riusciti a compiere l’impresa senza
249
l’aiuto di alcuni stati come gli Stati Uniti, la Francia e anche l’Italia.
Perché questi Paesi sono intervenuti usando i loro mezzi e soldati per
una delle tante rivoluzioni che avvengono in Africa? Perché proprio a
favore della Libia e non di altre situazioni più disperate? Che cos’ha la
Libia di tanto speciale? E sono arrivato a una mia conclusione: quello
stato è ricco di petrolio che Gheddafi aveva minacciato di smettere di
distribuire al mondo o di aumentarne notevolmente il costo. La Nato
sarebbe quindi intervenuta per trarre vantaggi economici e non per aiutare un popolo in difficoltà. Questa è solo una mia ipotesi che mi auguro sia errata perché se così non fosse tanta altra gente nel mondo continuerà a morire invano. (Diego)
L’AUTOBIOGRAFIA
Il brano autobiografico che mi è piaciuto di più fino ad ora è quello di Konrad Lorenz. Mi è piaciuto in particolar modo perché racconta la vita di un uomo che viene segnata nell’età infantile. Lorenz viveva in campagna con genitori permissivi che lo lasciavano libero di giocare a stretto contatto con la natura e gli animali. Un giorno i suoi genitori gli comprarono un pulcino di anatra che fu fondamentale per il
futuro del ragazzo, infatti, anche se potrebbe sembrare impossibile, già
250
così piccolo, Konrad riuscì a capire che le anatre hanno un linguaggio.
Inoltre l’incontro ravvicinato con una vespa e la descrizione che gliene
fece suo padre lo appassionarono ancora di più al mondo animale. Fu
importante per lui anche l’acquario con i pesci che gli fece apprendere
i problemi della sovrappopolazione e l’ecologia. Sua moglie la conobbe fin da piccola perché il padre della bambina era il giardiniere della
famiglia Lorenz. Tutti questi casi fortunatissimi decisero la professione futura di Konrad e la sua futura moglie. Io penso che l’autore nel
definire il suo futuro abbia messo molto del suo sfruttando al meglio la
sua intelligenza, ma Dio gli ha fatto trovare tutto pronto nel giardino di
casa.
Io sto vivendo un’adolescenza simile a quella dello scrittore, infatti Dio, che mi ha donato un ventesimo dell’intelligenza di Konrad
Lorenz, in compenso mi ha dotato di una discreta capacità nel giocare
a calcio. Anch’io mi ritengo fortunato perché, come Lorenz che aveva
tutto nel suo giardino, vivo a Cesena e gioco nell’A.C.Cesena, per cui
mi alleno vicino a casa, mentre i miei compagni di squadra vengono
tutti i giorni ad allenarsi da lontano, alcuni anche da Bologna. In più, in
questo momento, un altro aiuto mi permette di cercare di diventare un
calciatore, la fiducia dell’allenatore. Questa è una cosa importante che
si ottiene con grande sacrificio. La persona che mi aiuta di più in assoluto però è mio babbo, lui mi dà sempre preziosi consigli su come comportarmi con l’allenatore e i compagni, in più, siccome si intende anche
di calcio, mi porge qualche suggerimento tecnico o tattico. Come ci
sono gli aiuti, nondimeno sono presenti gli ostacoli lungo il mio percorso, ad esempio i miei compagni di squadra sono molto forti e se
voglio mantenere il posto di titolare devo mettercela tutta, inoltre un
mio problema sono gli infortuni, infatti sono fragile, anche perché sto
crescendo molto velocemente.
L’anno scorso mi sono rotto una gamba e tornare in forma al cento
per cento non è stato affatto facile e ancora oggi a volte mi tocca di fermarmi per una o due settimane a causa di qualche acciacco muscolare…
La mia storia è fatta di momenti di estrema gioia in cui tutti ti acclamano e ti senti capace di realizzare il tuo sogno, ma anche di momenti
in cui giochi male, non senti la stima dell’allenatore e il cammino pare
essere pieno di muri che sembrano infinitamente alti da superare…
Infine vorrei concludere col dire che se si vuole puntare a un obiettivo
difficile da realizzare ci vuole una buona dose di fortuna che ti accompagni nel tuo cammino e che in generale, la strada per il successo non è
mai asfaltata, essa è piena di buchi, dossi e semafori rossi. (Matteo G.)
251
... Il brano di Konrad Lorenz mi ha colpito perché parla di un’infanzia serena, felice, senza tanti scontri coi genitori e anche perché presenta un “lieto fine”. Anche in me è emerso un interesse in questi anni,
da quando avevo sei anni guardavo mia madre cucinare qualsiasi cosa,
dalla lasagne alle insalate, e ogni volta che osservavo le sue tecniche di
cucina arricchivo la mia cultura culinaria. A otto anni la mia passione
per la cucina era aumentata, in quel periodo mia madre mi insegnò a
cucinare i piatti più semplici come la pasta, la carne, il pesce. Un anno
dopo mi prestò i suoi libri di cucina. A dieci anni sapevo fare la sfoglia
a mano, guardavo i programmi televisivi di cucina, come Real time e
mi sembrava di essere nel mio universo ideale. Anche adesso, quando
ho tempo, mi piace guardare i programmi di cucina presentati da un
mio grande idolo, Gordon Ramsay, uno dei più grandi chef al mondo
che con i suoi ristoranti ha totalizzato il numero di 24 stelle Michelin…
In questi anni sono cresciuto e adesso sono capace di cucinare di
tutto, questo è merito della mia passione, della mia volontà e di tutti gli
aiuti che ho avuto, per questo sono intenzionato a frequentare l’istituto
alberghiero. Chissà se un giorno diventerò un grande chef! (Davide)
In questa prima parte dell’anno ho letto alcuni brani autobiografici
e quello che mi è piaciuto di più è stato il discorso di Steve Jobs, il
creatore della Apple, cioè l’azienda più innovativa nel mondo dei computer, cellulari e altra tecnologia, ai laureati dell’università di Stanford
in California, nel 2005.
Qui Steve Jobs racconta la sua storia: quando è nato avrebbe dovuto essere adottato perché sua madre, una studentessa universitaria, non
era in grado di crescerlo. Doveva essere adottato da due avvocati per252
ché sua madre voleva che Steve si laureasse, purtroppo i due avvocati
all’ultimo momento vollero una femminuccia e quindi Steve andò a
un’altra famiglia in cui i genitori non erano laureati, ma promisero alla
madre biologica che avrebbe fatto di tutto perché il figlio si laureasse.
Steve frequentò un’università prestigiosa, però si accorse che quella
non era la sua strada e la lasciò, ma volle frequentare un corso di calligrafia che lo interessò molto. Successivamente lui e il suo amico Woz
fondarono la Apple nel garage di casa sua, essa pian piano divenne
un’azienda con un alto fatturato e migliaia di dipendenti e il corso di
calligrafia frequentato tornò molto utile a Steve nel creare il primo
computer al mondo, il Macintosh.
Qualche anno dopo però Steve Jobs venne licenziato dalla Apple,
l’azienda che lui aveva creato, ma lui, anziché abbattersi per quello che
poteva sembrare un fallimento, fondò due nuove società, la Next e la
Pixar che ebbero un grande successo, successivamente la Apple
inglobò la Next e quindi Steve Jobs ritornò alla Apple…
Di questo brano mi hanno colpito diversi aspetti: il fatto che Steve
Jobs abbia lasciato l’università dato che si era accorto che quella non
era la sua strada perché fa capire che se qualcosa, pur utile, non ti corrisponde non la devi seguire. Mi ha colpito che un’azienda nata in un
garage sia potuta diventare quello che è adesso, questo vuol dire che
Steve e Woz credevano proprio nella Apple e sono sicuro che sia stata
questa loro fiducia che ha permesso alla Apple di svilupparsi.
Un’altra cosa che mi ha colpito del brano è stato il corso di calligrafia che Jobs ha seguito perché gli piaceva e basta, ma poi gli è servito per creare il Mac. Questo per me vuol significare come ci sia un
disegno nella vita di ogni persona e come ciò che si fa nel presente
possa avere un grande riscontro nel futuro, quando si sarà adulti. Anche
in me in questi anni è nato un interesse particolare per la scienza. A me
piace particolarmente lo studio che stiamo affrontando adesso con la
prof. Molari sul sistema solare, sulle stelle e sugli atomi, per cui voglio
fare il liceo scientifico, ma sono combattuto perché tutti i miei migliori amici vanno da un’altra parte e io ho la tentazione di seguire loro,
però sento che non è giusto per me. Ad aiutarmi per fortuna ci sono i
miei genitori che mi dicono che io devo fare ciò che mi piace e non
seguire gli altri e anche le parole di Steve Jobs, che dice che non bisogna vivere secondo il pensiero di altre persone ma occorre avere il
coraggio di seguire il proprio cuore e la propria intuizione, sono un
incoraggiamento a seguire la mia strada. (Emanuele)
253
IL PARAGONE CON I ROMANZI LETTI
Dopo aver letto alcune pagine del romanzo L’eleganza del riccio
posso dire che sono stata molto colpita da ciò che pensa la giovane protagonista. Nella prima pagina dei “Pensieri profondi” Paloma si presenta come una ragazzina di dodici anni eccezionalmente intelligente,
ma che vuole dissimulare questa sua preziosa dote. Paloma fin dall’inizio del suo diario asserisce che, secondo lei, la vita è assurda e che
pertanto una vittoria non vale più di un fallimento, tanto prima o poi
finiamo tutti allo stesso modo. Da questo pensiero prende il titolo la
pagina intitolata appunto “Sogni le stelle e nella boccia dei pesci rossi
finisci” che sta a significare che sogniamo ciò che non avremo mai.
Anche io, come Paloma, a volte penso che la vita sia assurda perché
desideriamo cose che non otterremo mai, come mi capita di pensare
quando litigo con le mie amiche a cui forse mi affeziono troppo facilmente perché tanto poi finiscono per deludermi. In questi casi mi viene
da pensare che nella vita di tutti i giorni ci nascondiamo dietro a delle
maschere per fingerci leali e giusti e che la vita stessa sia assurda perché
può essere considerata come uno spettacolo in quanto tutti sono capaci di
calarsi nella propria parte e recitarla nel migliore dei modi… (Agnese)
Poco tempo fa abbiamo letto alcune pagine del romanzo L’eleganza del riccio nelle quali una ragazzina di nome Paloma presenta nel
254
suo diario i suoi pensieri profondi e le cose belle che scopre nel mondo.
Paloma è cosciente di essere molto intelligente, ma pensa che la vita sia
inutile e priva di senso e, se è così, un successo non varrebbe più di un
fallimento. Di questa ragazzina mi colpiscono molto l’intelligenza, la
grande attenzione al particolare e pure la sicurezza nelle proprie teorie.
Guarda i suoi familiari come persone qualunque per poterle giudicare
meglio e quando si trova in mezzo alla gente riesce a guardare tutto con
una prospettiva esterna diversa da quella degli altri, persino nel
momento in cui dialoga con qualcuno. Paloma è una ragazzina intelligente, ma troppo sicura delle sue teorie negative sulla vita, non crede
che possa esistere la felicità, invece c’è eccome! Secondo Paloma non
esiste nente di grande nel mondo, mentre esiste ed è la vita stessa!
Penso che le sue idee siano toppo negative, tuttavia per un certo aspetto mi rispecchio in lei... Ma alla fine si capisce di aver vissuto e di essere vivi e se in precedenza non si era vista la felicità, in quel momento
la si vede e la si tocca. La vera felicità è scoprire di amare e di voler
essere felici! (Gloria)
Un aspetto che mi ha colpito è l’incontro di Paloma con monsieur
Ozu dopo il quale la ragazza comincia a cambiare idea sulla vita.
Questo succede perché si sente apprezzata e presa sul serio, in quanto
capisce che Ozu vuole conoscere le persone fino in fondo. Il giapponese muove il primo passo, poi è Paloma che gli apre il suo cuore e per
la prima volta si mostra per com’è.
In questo episodio ritrovo alcune esperienze della mia vita che mi
hanno portato a mostrarmi veramente per quello che sono. Quest’estate
al campo dei Cavalieri del Graal, parlavo con un responsabile e, mentre discutevamo sull’incontro del giorno, lui mi ha provocato chiedendomi che mi mostrassi agli altri liberamente senza nascondere la mia
personalità. Ho riflettuto e da quel momento cerco di comportarmi per
255
come sono e sto verificando che l’amicizia con qualcuno con cui ci si
possa esprimere liberamente è molto significativa. Solo così, con degli
amici che accolgono te e non ciò che tu vuoi mostrare, si coglie la
realtà. In questo modo Paloma, grazie al rapporto con Monsieur Ozu,
impara uno sguardo diverso sulla vita che le permette di vedere la realtà
in modo più vero.
Un’altra cosa che mi ha colpito è stata una pagina del “Diario dei
movimenti del mondo” in cui la ragazza descrive gli alberi e il loro rapporto con l’uomo. Si accorge della magnificenza delle piante e, confrontandola con la sua vita, dice che l’essere umano è insignificante
rispetto alla grandezza della natura, poi aggiunge che la vera felicità si
raggiunge solo quando si gioisce di una bellezza che ci è stata data e
che non ci è debitrice.
Condivido pienamente questa riflessione perché penso che la vera
gioia stia in tutto ciò che possiamo ammirare ringraziando chi ce l’ha
donato. Grazie alla mia esperienza in parrocchia e alla mia compagnia
di amici, mi accorgo di tutto ciò che la realtà è e mi rendo conto di essere piccolo e docile in confronto al mondo e al Mistero. (Giovanni)
Bianca come il latte rossa come il sangue
Il personaggio che mi ha colpito di più e in cui mi sono identificata è stato proprio il protagonista: Leonardo, chiamato più amichevolmente Leo. Leo è un ragazzo che frequenta la seconda liceo classico;
non ama studiare ma adora passare del tempo con la sua migliore
amica, Silvia. Per Leo, Silvia è più di una migliore amica, lui la definisce come il suo angelo custode. Con lei può parlare liberamente di tutto
senza vergognarsi o avere paura di esprimere ciò che pensa; con lei può
256
sciogliere quei mattoni che, fino a poco tempo prima, teneva rinchiusi
nel suo cuore. Uno dei suoi migliori amici è Niko, con il quale, invece,
può compiere ogni tipo di pazzia. Ma chi Leo ama più di tutti è
Beatrice. Beatrice per Leo è il paradiso, uno spazio in cui può rifugiarsi quando vuole, è tranquillità, pace. Leo è innamorato di Beatrice, è
innamorato dei suoi capelli rossi come il sangue, della sua pelle pallida, bianca come il latte, dei suoi occhi color smeraldo come il mare.
Proprio quando i due si stanno per conoscere a fondo, la ragazza muore
di leucemia, una malattia difficilmente curabile. La morte oltre a portarsi via Beatrice, il piccolo grande amore del protagonista, porta con
sé anche una parte del ragazzo stesso, ma contemporaneamente ne fa
uscire in superficie il suo lato più puro. Io mi sono immedesimata in lui
perché anch’io sono una ragazza molto caparbia e determinata, a cui
piace oltrepassare l’apparenza nelle cose e lottare per ciò che ama, per
ciò in cui crede. Come Leo ha lottato per Beatrice, alimentando la sua
forza con l’amore che provava per lei, cosi credo che ognuno di noi
debba fare per raggiungere il proprio scopo. (Ilaria)
A me il romanzo letto è piaciuto molto. Inizialmente mi è apparso
un libro insignificante che ruotava intorno ad un sogno quasi irrealizzabile, che si può definire con una sola parola: Beatrice. Poi invece,
concludendolo, mi sono resa conto di quanto ogni parola non fosse
messa lì per caso, ma fosse ricercata e colma di magia, tanto da farmi
stare a riflettere per ore sul vero senso della vita. Dai miei ragionamenti
ho compreso che la vita è una sola e non si può cambiare come un cellulare vecchio, non se ne può avere un’altra solo perché questa non ti
piace, la nostra vita è la cosa più preziosa che Dio ci ha donato. A volte
essa ci riserva momenti di gioia, di allegria, altri invece di litigi, di solitudine, di rabbia, ma siamo noi a dover saper viverne ogni ora, ogni
257
minuto, ogni secondo, ogni esperienza ed ogni disavventura come se
fosse l’ultima. Mi sono resa conto, come ci viene anche detto nel libro,
che “l’amore non esiste per renderci felici, ma per dimostrarci quanto
sia forte la nostra capacità di sopportare il dolore”, a volte in genitori
ed insegnanti che avevo considerato come persone invadenti ed inutili
ho riscoperto un animo amico che non farebbe mai qualcosa per nuocermi o per farmi soffrire consapevolmente e talvolta sono stati proprio
alcuni di loro a farmi capire meglio la grandezza della mia esistenza.
(Ilaria)
Grazie a personaggi come Gandalf, il Sognatore, Silvia e Beatrice,
Leo, il protagonista, cambia: diventa più attento a “guardare fra le
righe”, a riflettere su ciò che gli capita, non se lo lascia passare sotto il
naso facendo finta di non aver visto nulla. Èstato bellissimo sentirsi
raccontare una vita che, per una volta, non è diversa dalla nostra.
Spesso si sente parlare della strepitosa vita di persone famose, ricche,
di successo, e mai di una persona “qualunque” che durante il suo cammino ha scoperto qualcosa di bello e di raggiungibile, perché se lui ha
raggiunto quella bella cosa, allora anche io, che sono una persona
comune, come lui, posso arrivarvi. Grazie al linguaggio diretto, alla
verità, alla semplicità e alla concretezza delle parole messe sulla bocca
di Leo sono riuscito a capire molte cose. Un altro aspetto è quello delle
risposte: Leo dà delle risposte. La sua ricerca assidua dell’amore, della
felicità, del significato di ciò che gli accade lo porta a trovare risposta
ai mille dubbi che ha in testa e quelle risposte sono qualcosa di cui fare
tesoro per la propria ricerca… (Giovanni)
Una pagina colma di significato è la 158, poiché mi ha colpito
molto come Leo, in quel foglio, in quelle poche righe sia riuscito ad
esprimere il suo amore e allo stesso tempo il suo dolore per la morte
purtroppo imminente di Beatrice. La frase che mi ha colpito di più di
quella pagina è stata: “ed io resto senza sogni”, per Leo Beatrice era
tutto, senza Beatrice lui sarebbe rimasto senza sogni, senza speranze
perché l’unica cosa che voleva era lei. A seguire ci sono due frasi per
me splendide: “Ecco il segreto della felicità: essere se stessi e basta.
Fare quello che si è chiamati ad essere. Vorrei la forza di quell’albero,
ruvido e duro all’esterno, vivo e tenero dentro, dove scorre la linfa.
Silvia è la linfa del mio coraggio, nascosta ma viva, mi dà la forza per
superare i miei limiti”. Molti sono alla ricerca della felicità e credono
di trovarla nelle cose materiali, come i soldi, i vestiti firmati, poi si
accorgono che la felicità si trova non nell’avere o nell’essere come vor258
rebbero gli altri, ma solo nella semplicità del nostro io, e spesso il
coraggio per ammettere questa cosa ce lo danno gli amici che ti accettano per come sei, perché “non bisogna avere paura delle parole o di
noi stessi. Le cose bisogna chiamarle con il loro nome senza paura,
anche se essa fa parte di noi stessi”. (Ilaria)
La frase che mi ha più colpito e che certo non dimenticherò è quella che il padre dice a Leo quando scopre che ha fatto buco. Pur punendolo, non lo rimprovera aspramente come mi sarei aspettato, ma gli
racconta la sua esperienza di studente, quando anche lui marinò la
scuola. Addirittura afferma che quel giorno capì una cosa importantissima che aveva cambiato la sua vita, cioè che “ciò che conta… non è
avere una nave, ma un posto dove andare, un porto, un sogno che valga
tutta quell’acqua da attraversare”. Io mi sarei aspettato una scenata,
invece il padre mi ha sorpreso perché dà a suo figlio una grande lezione di vita e gli fa capire come anche da un errore possa nascere una
cosa positiva. (Agostino)
La parte del romanzo che in assoluto mi è piaciuta di più e che non
vorrei mai dimenticare sono le ultime righe di pagina 191 quando Leo
va a trovare Beatrice e mentre ballano pensa “capisco che io ho tutto
quello che lei sta perdendo: i capelli, il ballo, la scuola, l’amicizia, la
famiglia, l’amore, le speranze, il futuro, la vita... ma io di tutte queste
cose non so cosa ne sto facendo”. Queste parole mi hanno colpito moltissimo perché mi sono accorto che noi, perlomeno io, ci lamentiamo
di ciò che abbiamo perché ci sembra poco, perché crediamo che sia
tutto scontato e tutto dovuto e non ci accorgiamo di quanto abbiamo,
ma ce ne rendiamo conto solo quando lo perdiamo o vediamo che gli
altri non l’hanno. Queste righe mi hanno insegnato che nella vita dobbiamo usare al massimo tutto ciò che ci è stato donato e non sprecarlo.
(Emanuele)
La pagina che non vorrei dimenticare e che vorrei stampare nella
mia mente è la 198, dove il protagonista parla del proprio padre come
di un maestro di vita che gli fa capire quanto ogni essere umano, in questo caso un giovane, così piccolo se paragonato all’universo, abbia dentro una grandezza e una bellezza tali da essere paragonato a una stella.
Quindi non voglio dimenticarmi mai di essere non uno qualunque, ma
una persona speciale. Le due frasi in particolare che non vorrei mai
scordare sono: “Il cielo è come il mare, è profondo, riesci quasi a percepire le distanze tra le stelle e hai paura della tua piccolezza. E quel259
la profondità piena di paure la riempirai di storie...” e “Le persone
sono un po’ simili alle stelle: magari brillano lontane, ma brillano e
hanno sempre qualcosa di interessante da raccontare… però ci vuole
tempo, a volte tanto tempo, perché le storie arrivino al nostro cuore,
come la luce agli occhi”. (Alberto R)
“Devo trovare ciò che mi sta a cuore”. Forse questa è la frase che
rappresenta a grandi linee l’adolescenza. Durante la giovinezza dobbiamo trovare il nostro sogno e realizzarlo rendendolo un progetto. Lo dobbiamo inseguire senza aver paura di quello che potrebbero pensare gli
altri… Non si dovrebbe dare peso a ciò che pensano le altre persone, ma
purtroppo quando si è ragazzi è difficile non pensare al giudizio della
massa, così spesso si finisce per fare quello che non ci piace. (Paolo)
In questo romanzo ci sono state molte frasi che mi hanno lasciato
stupito per la loro verità e per la loro bellezza, ma le parole che in assoluto mi hanno colpito di più sono le seguenti: “I sogni veri si costruiscono con gli ostacoli. Altrimenti non si trasformano in progetti, ma
rimangono solo sogni. La differenza fra un sogno e un progetto è proprio questa. I sogni non sono già, si rivelano a poco a poco, magari in
modo diverso da come li avevamo sognati”. Ho riletto questa frase
tante volte e spero di non scordarmela mai perché ci insegna che non ci
si deve mai scoraggiare, anche se si vive un momento difficile; bisogna
sempre andare avanti e realizzare i propri sogni trasformandoli in veri
e propri progetti. Mi ha stupito anche la differenza fra sogni e progetti.
I desideri non si compiono da soli, anche noi ci dobbiamo impegnare
per far sì che si realizzino. (Diego F.)
“Leo, amare è un verbo, non un sostantivo. Non è una cosa stabilita una volta per tutte, ma si evolve, cresce, sale, scende, si inabissa,
come i fiumi nascosti nel cuore della terra, che però non interrompono
mai la loro corsa verso il mare. A volte lasciano la terra secca, ma
sotto, nelle cavità oscure, scorrono, poi a volte risalgono e sgorgano,
fecondando tutto. Due sono le categorie di persone che ci feriscono,
Leo, quelli che ci odiano e quelli che ci amano... Quando c’è di mezzo
l’amore le persone a volte si comportano in modo stupido. Magari sbagliano strada, ma comunque ci stanno provando... Ti devi preoccupare
quando chi ti ama non ti ferisce più, perché vuol dire che ha smesso di
provarci o che tu hai smesso di tenerci...”. Queste meravigliose frasi
fanno parte di un discorso tra Leo e la madre, in cui il ragazzo chiede
alla madre come si faccia ad amare quando chi si ama ci ha procurato
260
una delusione, riferendosi a Silvia. Queste parole mi sono particolarmente piaciute perché contengono alcune domande che molti adolescenti si pongono e che qui ricevono risposte vere e ben comprensibili. La madre di Leo, con la similitudine tra l’amore e il fiume, che ha
un percorso vario e pieno di ostacoli, che si nasconde e ricompare in
superficie poichè non ha mai smesso di scorrere, mi fa comprendere
che quando un sentimento è puro e sincero non può finire a causa di
una semplice debolezza, ma se avviene il perdono, ricompare più
potente dopo le tenebre della rabbia. (Agnese)
La frase che non vorrei mai dimenticare è: “Sono nato il primo
giorno di scuola”, cresciuto e invecchiato in soli duecento giorni”. È
una frase che in un certo modo accomuna me e il protagonista, infatti
anch’io ogni anno scolastico è come se rinascessi e invecchiassi, perché ci sono sempre tante cose nuove da imparare e tante esperienze da
vivere a scuola. (Alberto F.)
261
“Il mondo intorno a noi”
Laboratorio di Geografia
CLASSE PRIMA
All’interno della programmazione disciplinare di Geografia per la
classe 1ª A è stato inserito un piccolo progetto di studio della popolazione, attraverso la produzione e la somministrazione di un’intervista
ad alcuni stranieri residenti a Cesena.
Dopo aver studiato in classe i caratteri e gli elementi distintivi di
una popolazione (lingua, cultura, tradizioni, religione…) i ragazzi si
sono divertiti ad abbozzare tante domande, che hanno successivamente sottoposto ad uno straniero di loro conoscenza.
Quest’anno, in Geografia, abbiamo svolto un progetto sulla popolazione. Abbiamo studiato che ogni popolo si caratterizza per lingue,
tradizioni, cibi, modi di vestire, composizione per età, ecc.
Per capire meglio ciò, abbiamo deciso di svolgere un lavoro istruttivo: abbiamo imparato a realizzare un’intervista, da sottoporre a immigrati di nostra conoscenza. Abbiamo formulato tante domande in classe e poi, come compito a casa, ognuno di noi ha dovuto intervistare un
immigrato che conosceva. Nelle lezioni successive, il professore ha
ritirato le nostre interviste e le abbiamo lette e commentate in classe.
(Claudia, Lucia)
265
Abbiamo scoperto che a Cesena abitano persone che provengono
da tutto il Mondo e che sono venute qua per tanti motivi. Ecco il
«mondo intorno a noi», ragazzi di 1ª A: Marocco (2), Ucraina (2),
Romania (2), Polonia (2), Albania (2), Moldavia (1), Bielorussia (1),
Serbia (1), Nigeria (1), Kenya (1), Perù (1), Brasile (1), Stati Uniti (1).
Questi sono stralci delle nostre interviste. (Luisa)
– Perché sei venuto/a in Italia?
“Da piccola ho perso tutti e due i genitori e questa famiglia mi ha
offerto una nuova vita piena d’amore e d’affetto” (I., 20 anni,
Bielorussia)
“Sono venuto per motivi di lavoro” (D., 33 anni, Albania)
– Che lavoro fai a Cesena?
“Faccio l’operaio specializzato” (N., 50 anni, Marocco)
“Faccio la badante” (E., 56 anni, Polonia)
– Che lavoro facevi nel tuo paese?
“Ero disoccupata” (D., 40 anni, Marocco)
“Studiavo all’università. Ero al secondo anno, ma ho dovuto abbandonare gli studi perché i miei genitori non hanno più potuto pagare. Ho
un diploma di contabile” (N., 27 anni, Nigeria)
– Ti manca il tuo paese?
“Moltissimo, soprattutto la mia famiglia” (A., 30 anni, Polonia)
“Ho nostalgia dei miei familiari, perché ero molto legata a loro”
(Y., 47 anni, Brasile)
– Come ti aspettavi l’Italia?
“Me la aspettavo divertente” (B., 25 anni, Serbia)
“Me la aspettavo bella” (G., 46 anni, Ucraina)
– È come te la aspettavi?
“Me l’aspettavo un po’ diversa” (M., 45 anni, Albania)
“Sì” (P., 26 anni, Romania)
– Di che religione sei?
“Ortodossa” (V., 50 anni, Moldavia)
“Cattolica” (I., 27 anni, Kenia)
– Mi dici alcune parole nella tua lingua?
“In spagnolo amico si dice amigo, ciao si dice hola, fratello si dice
hermano” (C., 26 anni, Perù)
266
“In rumeno ciao si dice salut, come stai? si dice ce faci?, come ti
chiami? si dice cum te cheama?” (M., 30 anni, Romania)
– Qual è il piatto tipico del tuo paese?
“Hamburger e patatine. Il modo migliore per mangiarli è cuocerli
all’istante e questo procedimento si chiama cookout” (M., 47 anni,
USA)
“Borsch ucraina, una zuppa rossa a base di pomodoro” (M., 38
anni, Ucraina)
267
CLASSI TERZE
TRIESTE: città di confine dalle molte anime…
al centro dell’Europa
Gita conclusiva del triennio di studi delle classi 3ª A e 3ª B
(10-11 maggio 2012)
La città di Trieste si presta in modo sorprendente ad una gita per la
terza media. Per questo motivo, gli insegnanti hanno deciso di organizzare proprio in questa affascinante città dalle molte anime un viaggio
di due giorni con i loro studenti di 3ª A e 3ª B.
Trieste, è appartenuta per alcuni secoli all’Impero austro-ungarico
degli Asburgo fino al termine della Prima Guerra Mondiale quando,
con la firma del Trattato di Rapallo del novembre 1920, è passata definitivamente all’Italia. Con l’avvento del nazismo in Germania e del
fascismo in Italia, però, l’intera regione friulana venne di fatto trasformata in territorio controllato dal Reich di Hitler e dal settembre del
1943 fu trasformata dai tedeschi in una strategica zona di operazioni di
guerra, l’OZAK (Operationszone Adriatisches Küstenland): durante
l’occupazione nazista la Risiera di San Sabba venne destinata a campo
di prigionia e di smistamento per i deportati in Germania e Polonia. In
seguito all’insurrezione dei partigiani italiani (aiutati dagli Alleati) e
jugoslavi (sostenuti dall’URSS), Trieste fu liberata.
Nel 1947, sotto l’egida dell’ONU, Trieste fu proclamata “Territorio
libero di Trieste” (TLT).
La nostra gita incomincia con la visita del Castello di Miramare.
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Il Castello di Miramare, chiamato così per la sua posizione, fu progettato dall’architetto viennese Carl Junker tra il 1856 ed il 1860 per
volere di Massimiliano d’Asburgo, arciduca d’Austria e imperatore del
Messico, per farne la propria dimora da condividere con la moglie
Carlotta del Belgio.
All’ingresso accoglie la nostra guida, Bruno, un arzillo signore di
86 anni che, nonostante l’età, è il più svelto, lucido e attivo di tutti!
La guida racconta ai ragazzi la storia del Castello
Con lui visitiamo il palazzo, arredato e decorato come se fosse l’interno di una nave, con tantissime finestre che da ogni parte affacciano
sul mare, più precisamente sul Golfo di Trieste. Ci incamminiamo poi
nel parco, un’area di circa 22 ettari con una grande varietà di piante,
molte delle quali scelte dallo stesso arciduca durante i suoi viaggi attorno al mondo. Successivamente, quando Trieste passò all’Italia,
Miramare divenne la residenza del Duca Amedeo d’Aosta dei Savoia,
che vi abitò per circa sette anni.
Dopo un pranzo al sacco consumato nel parco, accompagnati dalla
guida andiamo a visitare la Risiera di San Sabba, una fabbrica del riso
trasformata dai nazisti in un campo di concentramento, dove le autorità
tedesche compirono uccisioni, in un primo momento con il gas dei
motori a diesel degli autocarri, in seguito per fucilazione o con un colpo
di mazza alla nuca.
269
Oggi la risiera è un museo e abbiamo potuto visitare:
– la “cella della morte” dove venivano rinchiusi i prigionieri o le
persone catturate nei “rastrellamenti”, destinati ad essere uccisi nel
giro di poche ore;
– 17 celle, riservate particolarmente a Sloveni, Croati, partigiani,
politici ed ebrei, destinati all’esecuzione;
– un edificio di quattro piani, dove venivano rinchiusi gli ebrei e i
prigionieri civili e militari destinati per lo più alla deportazione nei
campi di Dachau, Auschwitz, Mauthausen;
– il forno crematorio.
270
Lapide con incisa una poesia in memoria
Le celle dei prigionieri
Lo spiazzo su cui sorgeva il forno
crematorio
L’emozione dei ragazzi è forte. A molti vengono i brividi nel vedere le piccolissime celle in cui erano rinchiuse fino a sei persone, che di
lì a poco sarebbero state cremate. Nel piccolo museo della Risiera la
guida ci racconta storie di uomini e di donne, con precisione di particolari e con molta commozione… anche perché lui, all’epoca, era un
ragazzino di 16 anni!
271
Teca che conserva
le lettere dei detenuti
Teca che mostra
la divisa di un detenuto
Dopo questa visita toccante, ci spostiamo verso il centro di Trieste, precisamente nel quartiere/colle di San Giusto. Là sorge una
chiesa davvero particolare… con una storia anch’essa insolita: tra gli anni 1302 e
1320 il vescovo, Roberto Pedrazzani da Robecco, per provvedere la città di una cattedrale
imponente, decise di unire due preesistenti chiese, quella di Santa
Maria e quella dedicata al martire san Giusto.
272
Ci viene ancora ripetuto che Trieste è la città dalle molte anime e
dalla tante culture. Proseguendo a piedi per le vie del centro storico,
riusciamo a comprenderlo meglio: ci imbattiamo infatti in una svariata
serie di chiese, una luterana, una slavo-ortodossa… mentre il giorno
dopo, non riuscendo a visitare la sinagoga che apre al pubblico solo in
occasioni particolari, entreremo in una chiesa greco-ortodossa.
La chiesa luterana e la chiesa slavo-ortodossa di San Spiridone
La chiesa greco-ortodossa di San Nicolò
273
La sera ceniamo in hotel e, dopo cena, andiamo nella bellissima
Piazza Unità, che dà direttamente sull’acqua. Giochiamo a “fazzoletto”
e a “pugno”, destando la sorpresa di molti passanti, felici di vedere
alunni e insegnanti divertirsi insieme. La scena più esilarante, poi, è
quando la prof. Molari, con i tacchi, batte alla corsa il prof. Pistocchi!
Piazza Unità
Ritorniamo in hotel. Il “coprifuoco” incomincia a mezzanotte. I
prof. fanno la ronda notturna (soprattutto le prof. Golinucci e Molari).
Poi… la notte scorre tutto sommato “bene”.
Il giorno seguente ci immergiamo nella Trieste della cultura, patria
“letteraria” di alcuni grandi scrittori come Umberto Saba, Italo Svevo
e James Joyce.
Entrando nella bellissima Libreria Antiquaria dove Saba lavorò per
molti anni, veniamo accolti dall’attuale proprietario, figlio del collega
di lavoro di Saba, che ci racconta alcuni aneddoti circa la vita dello
scrittore e ci mostra alcuni libri antichi… ma per le nostre tasche costano un po’ troppo.
Una volta usciti, la prof. Golinucci legge la poesia Trieste, chiedendo ai ragazzi di verificare e scoprire con i loro occhi quello che
Saba ha pensato, descritto e raccontato riguardo alla sua città, “che in
ogni parte è viva, ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita pensosa e
schiva”… ed è proprio vero: Trieste è una città per tutti, varia, dove ci
si può immergere nella confusione, ma dove ci si può anche mettere in
disparte a riflettere.
274
Itinerario letterario. I luoghi di Saba e Joyce
Ingresso della Libreria
Interno della Libreria
Ci spingiamo poi a piedi fino alla famosa Pasticceria Pirona, fondata nel 1900 in piena Bélle époque: in stile liberty, fu meta della
nobiltà e della borghesia triestine. La frequentavano letterati e scrittori,
fra cui Umberto Saba, Italo Svevo e James Joyce: questi ultimi, fra un
pasticcino e un caffè, incominciarono a elaborare proprio qua le loro
opere più famose, e cioè l’Ulisse (Joyce), e La coscienza di Zeno
(Svevo). Dal 1991, la Pasticceria è uno dei Locali Storici d’Italia.
275
Vecchia bilancia della pasticceria
Le golosone...
(i golosoni
si sono nascosti)
La proprietaria della pasticceria, mamma di una ragazza che si è
laureata a Bologna con il prof. Pistocchi, ci fa lo sconto su tutto quello
che prendiamo… così, ci rifocilliamo, come se non mangiassimo da
giorni!
Dopo questo momento di relax, lasciamo Trieste, per dirigerci in
pullman al Sacrario Redipuglia.
Ragazzi e prof. ai piedi del Sacrario Redipuglia
276
Il Sacrario, fatto costruire da Benito Mussolini nel 1938, custodisce
le salme di 100.000 caduti della Grande Guerra (40.000 sono i soldati
con identità, mentre ben 60.000 sono i “militi ignoti”).
Il gestore del ristorante presso cui pranziamo ci fa da guida e ci spiega la storia del Sacrario; poi ci fa anche vedere un filmato storico, che
testimonia la sofferenza e la distruzione ha provocato la Prima Guerra
Mondiale. Continuiamo la visita insinuandoci dentro una trincea: è interessante vedere con i propri occhi quello che si studia in classe sui libri!
Alcuni ragazzi schierati in trincea
Usciti dalla trincea, iniziamo a salire i gradoni del Sacrario, aiutando qualcuno di noi a trovare la lapide con inciso il nome di un parente
morto durante la Prima Guerra Mondiale e qui seppellito. Siamo tutti
felici quando Riccardo Pacioni la trova!
Riccardo Pacioni
indica la lapide
del bisnonno
277
Così, chi prima chi dopo, arriviamo tutti fino alla cima del Sacrario.
È stato faticoso, ma decidiamo di dedicare la nostra fatica proprio per
rendere omaggio ai tanti giovani ragazzi che quasi un secolo fa hanno
dato la propria vita per difendere un ideale importante e nobile in cui
credevano. Sono giovani il cui ricordo non verrà mai meno, anche perché sui gradini del Sacrario è scritto a caratteri cubitali “PRESENTE”:
all’appello sono presenti tutti, non importa se vivi o morti!
I ragazzi si riposano sull’ultimo gradone del Sacrario
Dopo aver recitato una preghiera ripartiamo per Cesena.
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“Osservare e misurare
la realtà”
Laboratori di Matematica e Scienze
GIOCHI MATEMATICI DEL KANGOUROU!
Anche quest’anno i ragazzi della scuola media hanno parecipato
alle gare matematiche promosse da Kangourou Italia e, nella giornata
del 15 marzo, nei locali dell’istituto, si sono disputate le selezioni
nazionali.
MATEMATICA PIÙ PIACEVOLE
CON LA GARA DEL KANGOUROU
Una competizione utile e stimolante per gli alunni
Il Kangourou è un appassionante concorso rivolto agli studenti che
si vogliono mettere alla prova in una delle materie scolastiche tra le più
complesse: la matematica. Questa importante iniziativa è stata ideata in
Australia nel 1978 da Peter O’Halloran, professore all’Università di
Camberra. L’obiettivo del Kangourou? Direi arguto: accrescere negli
allievi la passione e il piacere della matematica.
La competizione australiana è divisa in tre livelli d’età (13-14, 15-16,
17-18) e ogni anno vi partecipano oltre 500.000 studenti, in un paese di
soli 14 milioni di abitanti. In Italia, invece, la gara è divisa nei livelli
Ecolier, Benjamin, Cadet, Junior e infine Student.
La prova comprende 30 problemi a scelta multipla suddivisi in tre
gruppi di 10 domande, in ordine di crescente difficoltà. Si è disputata
anche quest’anno a marzo, lo stesso giorno e alla stessa ora in tutto il
mondo, proprio per sottolineare che si tratta di una competizione universale e ad essa ha preso parte anche la nostra scuola del Sacro Cuore.
Kangourou si prefigge, dunque, la diffusione della cultura matematica: ai concorrenti vengono distribuiti una rivista e alcuni libri di gio281
chi, di cultura e di divulgazione matematica. L’Associazione promuove scambi tra i Paesi, come ad esempio soggiorni estivi assegnati ai
vincitori del concorso.
In Italia, chi ha superato la prima selezione è andato a partecipare
ad una successiva gara a Mirabilandia (località n provincia di Ravenna)
e, fra i calcoli e i problemi, ha avuto la possibilità di divertirsi e rilassarsi con le attrazioni messe a disposizione dal parco-divertimenti tanto
amato dai ragazzi. (Chiara Alessandrini)
TRE NOSTRI STUDENTI SONO TRA I PRIMI 100
Kangourou: tutt’altro che un canguro, bensì una gara matematica!
Èquesto il motivo di tanto impegno
da parte dei ragazzi della scuola
media Sacro Cuore.
Le nostre classi hanno partecipato per il secondo anno consecutivo a
questa iniziativa, a cui abbiamo affidato speranze e sfide con noi stessi.
La professoressa di Matematica
ci ha accompagnati durante la preparazione grazie a incontri pomeridiani in cui ci siamo esercitati sui quesiti di logica tratti dalle scorse prove del Kangorou - categoria Cadet, il
livello per le terze medie e il biennio superiore.
La preparazione è stata difficile e dura, però l’impegno e la caparbietà di ognuno di noi e la passione della professoressa ci hanno permesso di affrontare non solo questa sfida a livello nazionale, ma soprattutto una sfida interiore, per misurare le nostre capacità. Delle nostre
classi hanno partecipato la maggioranza dei ragazzi, poiché ci ha unito
la passione per la matematica e la voglia di scoprire un po’ di noi stessi.
Dopo tanta attesa, la prova è arrivata. Si è svolta il 15 marzo scorso nelle aule del nostro istituto. È stata molto ardua, ma ognuno di noi
ha dato il massimo e ha sperimentato un nuovo modo di studiare
e apprendere la matematica. I risultati tanto attesi sono arrivati dopo
un mese circa, e ci hanno pienamente soddisfatto, anche perché tre di
noi sono arrivati tra i primi 100 tra i 13.000 partecipanti! Addirittura
Filippo Manuzzi si è classificato 18° e nei giorni 5, 6 e 7 maggio ha
partecipato alla finale nazionale a Mirabilandia.
L’esperienza è stata per tutti un motivo di crescita interiore e culturale: abbiamo approfondito aspetti interessanti della logica matematica
282
e abbiamo sfidato noi stessi a misurare l’impegno, la costanza e la forza
con cui possiamo affrontare un obbiettivo e raggiungere dei risultati.
(Aurora Arbizzani, Leone Cicognani, Diego Forlivesi)
(Articoli tratti da «il Resto del Carlino», ed. Cesena, concorso
“Cronisti in classe”, 17/05/2012).
Nella foto i partecipanti del livello Cadet
I primi classificati livello Cadet
1° Manuzzi
Filippo
2°
3°
4°
5°
Diego
Luca
Giovanni
Giulio
Forlivesi
Zanotti
Zanotti
Dulja
118° nazionale
(AMMESSO alla finale)
159° nazionale
172° nazionale
118° nazionale
252° nazionale
I primi cinque classificati: Giovanni Zanotti, Filippo Manuzzi,
Luca Zanotti, Diego Forlivesi, Giulio Dulja.
283
LA FINALE DI MIRABILANDIA
Il racconto di Filippo Manuzzi
Alla pubblicazione dei risultati delle gare matematiche del
Kangourou, con mia grandissima sorpresa, ho scoperto di essermi classificato diciottesimo e quindi, di fatto, di essermi qualificato alle finali di
Mirabilandia. Il 6 maggio, arrivato all’hotel “Lungomare” di Cervia, ho
fatto conoscenza con alcuni concorrenti ammessi anch’essi alle finali.
Come primo impatto sono rimasto molto sorpreso perché li vedevo tutti
molto più studiosi di me e, oltretutto, la maggior parte di loro aveva partecipato alle fasi finali di questi giochi matematici anche negli anni precedenti. Nonostante tutto sono riuscito comunque a fare nuove amicizie
imparando anche nuove teorie matematiche. Il 7 maggio, giorno in cui si
è svolta la gara, dopo essere entrati a Mirabilandia, siamo stati condotti
in una grande sala vetrata nella quale avremmo dovuto svolgere la prova.
Una volta risolti i quesiti avevo avuto la sensazione di averli svolti abbastanza bene, ma sapevo che le mie risposte, anche se per me ben articolate, non potevano eguagliare l’esperienza di chi partecipava già da
diversi anni. Per distogliere la tensione della gara il pomeriggio mi sono
divertito con i miei accompagnatori, a provare qualche attrazione del
parco divertimenti. L’8 maggio sono usciti i risultati delle finali ed io mi
sono classificato trentunesimo con un totale di venti punti. Sono soddisfatto del mio percorso svolto attraverso la matematica, ma non per il
risultato ottenuto, quanto per aver vissuto al meglio questa emozionante
esperienza che nel divertimento mi ha insegnato molte cose importanti.
Nella foto: a sinistra Filippo durante la preparazione, a
destra a Mirabilandia.
284
L’OPEN DAY: MATEMATICA E REALTÀ
In occasione dell’open day i ragazzi della scuola media dell’area
scientifica hanno allestito l’aula di matematica – Matematica e Realtà –
organizzando un viaggio attraverso i numeri e le forme dell’armonia e
della bellezza. L’obiettivo era insito nel tentativo di mostrare come e
quanto la matematica sia presente nella Natura - dalle cellette esagonali dei favi di alveare, alle conchiglie del Nautilus, ai fiocchi di neve,
fino alle strutture architettoniche che si sviluppano nelle città.
Nella foto: Laura, Filippo, Luca, Diego, Giulio, Riccardo.
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I FRATTALI DI MANDELBROT
Fiocchi di neve di Mandelbrot
Il frattale è un elemento geometrico che ripete la sua struttura, sempre allo stesso modo, su scale diverse.
La natura produce molte forme frattali, basti pensare al più classico Fiocco di neve.
Partendo da un semplice pentagono regolare,si può ottenere, sottraendo dal centro di ciascuno dei suoi lati un triangolo isoscele, una
figura particolarmente elegante ingrandendo la quale, in qualunque sua
parte, si ritrova sempre lo stesso elemento.
Oggetti di questo tipo furono introdotti e studiati nel 1975 da
Mandelbrot nell’ambito della matematica del “caos e complessità”. Si
tratta di oggetti affascinanti e misteriosi, strettamente connessi con altri
due temi trattati nel corso dell’openday: i numeri di Fibonacci e la
sezione aurea.
I NUMERI DI FIBONACCI
Nel 1223 a Pisa, l’imperatore Federico II di Svevia, organizzò un
singolare torneo tra matematici. Il test era il seguente: “Se una coppia
di conigli rimane isolata, quanti conigli nasceranno nel corso di un
anno, ammesso che ogni mese una coppia di conigli ne produca un’altra coppia e che i conigli incomincino a partorire due mesi dopo la propria nascita?”.
286
Leonardo Pisano, in arte Fibonacci, figlio di un borghese commerciante, vinse la gara. Diede al test una risposta così rapida da far sospettare che il torneo fosse truccato. Alla fine del primo mese alla prima
coppia se ne aggiunge una nuova, appena generata; alla fine del secondo mese se ne aggiunge una terza, ma ci sono due coppie in più, perché anche la seconda coppia ha cominciato a generare, portando il
conto a 5 coppie, e così via. Il ragionamento prosegue generando la
famosissima successione di Fibonacci in cui ogni nuovo numero è la
somma dei due che lo precedono.
Nella foto: Luca Zanotti presenta i numeri di Fibonacci
Intorno al 1600, lavorando su questa successione, Giovanni
Keplero notò che il rapporto fra ciascun numero della successione ed il
suo precedente è un valore che sempre pù si avvicina a 1,618, il cosiddetto numero aureo.
SEZIONE AUREA
Il numero aureo 1,618... è un numero decimale con infinite cifre
dopo la virgola. Esso era noto come il numero aureo che gli antichi
greci chiamavano proporzione divina.
Servendosi di riga e compasso, i geometri greci erano in grado di
partizionare qualsiasi segmento in due parti, in modo tale che dividendo la prima per la seconda si ottenesse il numero 1,618.
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Nella foto: a sinistra Filippo Manuzzi presenta la Sezione Aurea.
Tale rapporto è stato considerato, sin dalla sua scoperta, come rappresentazione della legge universale dell’armonia e, a partire dal
Rinascimento, acquista il crisma della bellezza estetica. La perfezione
espressa da questa divina proporzione riecheggia un po’ in tutto l’universo, anche il nostro corpo la rispetta. Lo stesso accade per molte
strutture architettoniche, prima fra tutte la Piramide di Cheope.
Nella foto Agnese Mazzotti e Francesca Rossi
Il viaggio intrapreso dai nostri ragazzi attraverso le forme dell’armonia e della bellezza si conclude con la ricerca di un possibile legame tra frattali, numeri di Fibonacci e sezione aurea.
Bene, se i frattali sono ripetizioni dello stesso elemento su diversa
scala di riduzione, si può provare che la riduzione migliore al fine di
riempire al massimo tutto lo spazio a nostra disposizione, è proprio
1/1,618, ovvero il reciproco del numero aureo.
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VISITA AL LABORATORIO DI BIOLOGIA
DELL’ISTITUTO TECNICO AGRARIO
OSSERVAZIONE DELLE CELLULE AL MICROSCOPIO
Classi II A e II B
Martedì 13 dicembre, io e la mia classe II B con le professoresse
di Scienze e di Matematica ci siamo recati all’Istituto Tecnico Agrario
di Cesena per un approfondimento e un ripasso sull’argomento “la cellula”. Abbiamo avuto l’opportunità di usufruire del laboratorio della
scuola, degli strumenti scientifici e delle spiegazioni di due professori.
Nel laboratorio di Scienze, ognuno di noi aveva un microscopio con cui
poter fare e seguire gli esperimenti che si basavano sull’osservazione
di una cellula vegetale e di una animale. (Edoardo Alessandri, II B)
… La mia classe II A è andata a visitare il laboratorio scientifico
dell’Istituto di Agraria per guardare attraverso i microscopi la cellula e
introdurre così il corpo umano. (Giacomo Chierici, II A)
È stata un’esperienza molto bella e interessante quella di passare
questa prima mattinata scolastica nel laboratorio di Scienze della scuola di Agraria. Siamo entrati in una sala con 26 microscopi: non ne
avevo mai visto uno ed ero molto curiosa di provarlo per la prima volta.
(Carlotta Gasperoni, II A)
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Ci è stato mostrato il microscopio ottico, che è uno strumento che
consente di ingrandire oggetti di piccole dimensioni per permetterne
l’osservazione diretta. (Giulia Zanoli, II A)
… È un particolare strumento che si usa per esaminare sostanze o
preparati nei dettagli; questi oggetti sono troppo piccoli per poter essere visti ad occhio nudo, perciò le lenti consecutive del microscopio li
ingrandiscono. (Francesco Ruscelli, II B)
Con il microscopio possiamo osservare oggetti molto piccoli e sottili, che con i nostri occhi non potremmo mai vedere: cellule e batteri.
(Vera Mancuso, II B)
La cellula è il più piccolo essere vivente esistente. Essa è visibile
solo al microscopio e può essere di due tipi: vegetale e animale. Queste
hanno caratteristiche diverse, poiché appartengono a esseri appartenenti a regni diversi. Ne abbiamo esaminato le differenze.
(Anna Rebecca Ceccarelli, II B)
L’uscita al laboratorio della Scuola di Agraria è stata molto interessante. Per prima cosa, alcuni professori ci hanno dato un vetrino, su
cui era appoggiata una fogliolina di “Elodea Canadensis” e ci hanno
spiegato come funziona il microscopio. (Camilla Niso, II A)
Il microscopio è composto da una base molto solida che consente a
chi deve osservare una stabilità elevata. Oltre a questa base è posto anche
un ripiano nel quale si incastrano i vetrini. (Riccardo Medri, II A)
… È composto da un tavolino traslatore usato per inquadrare
meglio il soggetto attraverso le viti direzionali, dalla vite macrometrica che serve per mettere a fuoco, dalla vite micrometrica usata per perfezionare la messa a fuoco, dai vetrini, dall’oculare, che ingrandisce il
soggetto 10 volte, dalla luce e dagli obbiettivi che ingrandiscono ulteriormente il soggetto. (Matilde Stagni, II B)
Per fare l’osservazione con il microscopio, è necessaria una fonte
di luce. Questa sorgente luminosa si accende solo quando accendiamo
il microscopio, ed è indispensabile. (Rebecca Teodorani, II B)
Come preparato vegetale, abbiamo analizzato una foglia di
Fanerogama chiamata dagli scienziati “Elodea Canadensis”. La abbiamo osservata secondo tre ingrandimenti, corrispondenti all’obbiettivo
rosso, giallo e celeste. (Giulia Amadori, II B)
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Abbiamo osservato al microscopio una Fanerogama, in particolare
un campione di “Elodea Canadensis”, una pianticella acquatica che
vive naturalmente in acque dolci come i laghi, completamente immersa. Essa si presta ad essere analizzata al microscopio perché ha un’organizzazione molto semplice: le sue foglie sono formate da due strati
di cellule. (Vittoria Vecchiotti, II B)
Abbiamo posto una piccola parte della foglia di una pianta acquatica, “Elodea Canadensis”, pianta superiore appartenente alla famiglia
delle Fanerogame, fra due vetrini e l’abbiamo osservata a 40 ingrandimenti. Osserviamo che le cellule vegetali hanno una forma regolare,
sono indeformabili perché hanno una membrana cellulare molto rigida
ma elastica. (Eugenia Barbieri, II B)
Con 40 ingrandimenti, vediamo che la foglia è formata da tanti rettangolini simili tra loro: le cellule. Le cellule vegetali, infatti, sono elastiche e rigide allo stesso tempo; esse sono regolari, squadrate ed indeformabili, nonostante la foglia non abbia uno scheletro. Con l’obbiettivo
giallo (100 ingrandimenti), vediamo che sono presenti delle piccole palline verdi che compiono un giro continuo: i cloroplasti. I cloroplasti si
trovano solo nella cellula vegetale e contengono la clorofilla, una sostanza nutritiva che contiene zuccheri e ha il compito di fornire energia. Viene
utilizzata nella fotosintesi clorofilliana insieme all’acqua, alla luce e
all’anidride carbonica presente nell’aria, per nutrire il vegetale. Con l’obbiettivo celeste (400 ingrandimenti) vediamo più da vicino gli spostamenti dei cloroplasti all’interno delle cellule. (Carlotta Agostini, II B)
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Con la lente rossa, corrispondente a 40 ingrandimenti, si notano
bene le cellule, anche se non si vede il nucleo. A 100 ingrandimenti,
con la lente di colore giallo, nelle cellule di “Elodea Canadensis” si
nota il nucleo e poco altro. A 400 ingrandimenti, con la lente blu, si
notano varie particelle della cellula, anche se è difficile riconoscerle.
Alcune si muovono, sono i cloroplasti. (Pietro Bocchini, II A)
… Le cellule sono tutte ordinatamente disposte in fila; alcune sono
sotto forma si spine, a formare una dentellatura sul margine della
foglia. Può capitare di trovare qualche micro-organismo nel preparato
osservato… l’“Elodea Canadensis” è una pianta acquatica, quindi si
possono trovare particelle indesiderate. Mi sono reso conto che le cellule sulla punta della foglia sono grigie e non verdi; da questo deduco
che sono morte. (Giovanni Giunchi, II A)
Utilizzando la prima lente ho osservato tutti i particolari superficiali della foglia: le venature, il bordo zigrinato e frastagliato con delle
punte in certi tratti. Con la seconda lente ho osservato più nel dettaglio
la foglia e ho potuto distinguere le cellule: ho riconosciuto al loro interno solo il nucleo e il suo contorno. Le cellule erano disposte in maniera ordinata e sembravano quasi allineate. Utilizzando infine la terza
lente, abbiamo visto le foglie completamente nel dettaglio: si potevano
vedere chiaramente il nucleo, la parete cellulare e il citoplasma. Poi,
grazie al calore della luce, la cellula ha iniziato a scaldarsi e i cloroplasti hanno iniziato a muoversi. (Edoardo Alessandri, II B)
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Nell’ingrandimento 400x, le cellule si distinguono bene l’una dall’altra, i cloroplasti sembrano muoversi e questo strano fenomeno mi ha
colpito molto perché non avrei mai immaginato che delle particelle così
piccole potessero muoversi così ordinatamente. (Riccardo Medri, II A)
Possiamo notare all’interno delle cellule alcuni organismi chiamati cloroplasti: essi compiono un movimentino ciclico chiamato ciclosi.
Essi contengono la clorofilla, il cui compito è quello di produrre nutrimento per la pianta. (Caterina Cecchetti, II B)
I cloroplasti sono presenti solo nei vegetali e contengono la clorofilla: è un pigmento color verde, ed è una sostanza zuccherina che fornisce energia: per questo le piante sono organismi autotrofi.
(Vera Mancuso, II B)
Per esaminare la cellula animale abbiamo preso un campione di
mucosa della nostra bocca: ci hanno fatto grattare, con un bastoncino da
caffè, la guancia e poi hanno messo sul vetrino del blu di metilene, un
marcatore; infine, abbiamo pulito il bastoncino sul vetrino con il marcatore. Il blu di metilene serve per rendere visibili queste cellule animali;
è una sostanza indispensabile perché colora le cellule in questione che
sono trasparenti e quindi non visibili. (Alessia Abbondanza, II B)
Abbiamo utilizzato cellule della mucosa boccale; queste cellule
appartengono all’epitelio che è un tessuto di rivestimento. Dopo aver
293
sfregato con una spatola la parete interna della bocca, abbiamo collocato su di un vetrino portaoggetti il materiale raccolto. Abbiamo versato una goccia di blu di metilene, un marcatore necessario per rendere
visibili le cellule animali, e coperto con un vetrino copri oggetti.
(Vittoria Vecchiotti, II B)
Grazie ad una sostanza, il blu di metilene, abbiamo visto le cellule
della nostra guancia più evidenziate, in diversi ingrandimenti: ci è stato
dato un bastoncino di plastica da caffè, lo abbiamo strisciato sulla
nostra guancia, poi immerso nel blu di metilene; infine lo abbiamo
messo sul vetrino e lo abbiamo osservato. (Bianca Fabbri, II B)
Con l’obiettivo rosso, abbiamo osservato che ogni cellula ha una
forma diversa ed è isolata, o sovrapposta ad altre. Con l’obbiettivo giallo e poi quello celeste abbiamo individuato i nuclei delle cellule.
(Caterina Pasi, II B)
Prima, abbiamo guardato le nostre cellule con 40 ingrandimenti: si
riuscivano a vedere delle macchie abbastanza divise tra loro ma non si
riuscivano a distinguere le cellule le une dalle altre. Poi abbiamo guardato le cellule con 100 ingrandimenti, si potevano vedere molto meglio
294
le forme delle cellule quasi tutte divise tra loro… sembravano pezzetti
strappati di stoffa blu. Si riuscivano a intravedere i nuclei, dei puntini
neri tanto piccoli quasi da non vederli. Abbiamo infine visto la cellula
animale con 400 ingrandimenti: siamo riusciti a vedere le chiazze
distinte con un punto nero che era il nucleo. (Anna Tassinari, II A)
Osservando i due tipi di cellula animale e vegetale, abbiamo potuto constatare che le cellule vegetali hanno forma più regolare, rettangolare ed allungata, hanno parete cellulare e sono colorate dai cloroplasti; le cellule animali hanno forma tondeggiante e irregolare, sono
prive di parete cellulare. (Vittoria Vecchiotti, II B)
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Viaggio in Austria
e visita ai mercatini natalizi
VIAGGIO IN AUSTRIA: VIENNA E GRAZ
Il tradizionale viaggio attraverso le terre di lingua tedesca si è svolto nell’estate 2011 nelle giornate del 6-7-8-9 settembre e ha visto la
partecipazione degli alunni della sezione di tedesco (1A/B, 2B e 3B)
accompagnati dal prof. Paolo Bragagni e dalle prof.sse Lidia Dradi e
Lilli Bazzocchi. Gli alunni hanno frequentato lezioni in lingua tedesca
presso l’Istituto Inlingua di Vienna dove hanno respirato un’atmosfera
decisamente austriaca a contatto con insegnanti madrelingua della
splendida ed affascinante metropoli mitteleuropea adagiata sulle rive
del Danubio. La visita al castello medievale di Hochosterwitz lungo il
tragitto per Vienna, le passeggiate lungo la gloriosa Ringstraße incorniciata da palazzi storici di pregio, la degustazione della Sacher, torta
di cioccolato per eccellenza, e del cappuccino Mélange nell’omonimo
tempio della pasticceria viennese, le soste nel sontuoso salotto del centro storico tra le chiese e i palazzi testimonianti la grandeur asburgica
(Il palazzo Imperiale Hofburg, la Chiesa di Santo Stefano, il Teatro dell’opera) e le arterie pedonali scintillanti di negozi e botteghe per tutti i
gusti, la “vertiginosa” cena sulla Torre del Danubio col ristorante girevole a 170 metri di altezza e la vista spettacolare sulla città, il viaggio
sulle orme di Sissi alla scoperta del castello principesco di Schönbrunn
e dei maestosi giardini del Castello del Belvedere, la curiosa esperienza del complesso di case di Hundertwasser, le divertenti “puntate” al
parco dei divertimenti del Prater con la ruota panoramica, ed infine,
sulla strada del ritorno, la breve ma interessante visita alla città di Graz,
patrimonio mondiale dell’Unesco e crocevia tra i mondi germanici,
balcanici e mediterranei, sono state le principali mete turistiche toccate durante questo memorabile viaggio vissuto dagli alunni nel segno del
bel tempo, del buonumore e dello stupore.
È con grande piacere che vi invitiamo a sfogliare il nostro “album”
di viaggio attraverso le istantanee più significative:
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Appuntamento col Medioevo:
Castellani per un pomeriggio!
Colazione con Sissi:
l’irresistibile “leggerezza”
della torta Sacher
Passeggio lungo la Ringstraße:
i giardini, il Museo di Storia
Naturale, il Parlamento
e il Municipio
Un giro di ruota
al mitico Prater!
La Torre del Danubio:
Cena ad alta quota
Invito a corte: il Castello di Schönbrunn, il parco e il labirinto
Nel salotto della città
a caccia di souvenirs
Le fantasie cromatiche
del complesso
di Hundertwasser
Passeggiata
tra i giardini
del Castello
di Belvedere
Graz:
camminata tra storia
e modernità
VIAGGIO AI MERCATINI DELL’AVVENTO
MERANO
E anche nel dicembre scorso, come ogni anno nel periodo dell’Avvento, la nostra bussola punta immancabilmente verso il Norditalia,
l’Alto-Adige: la tradizionale gita dicembrina è diventata ormai un classico per gli alunni di tedesco, un rito che non si può non rinnovare.
Oltre ai prof Bragagni e alla prof.ssa Terranova, inedita presenza
nelle avventure altoatesine, abbiamo ritrovato con piacere tra le nostre
fila la maestra Emanuela Casali e marito, che hanno sostenuto l’allegra
comitiva nella gelida ma luminosa giornata meranese.
Il 18 dicembre 2011 è di scena, dopo la visita a Bolzano e Bressanone negli anni precedenti, Merano, capoluogo della Val Passiria e
luogo di vacanza per molti turisti attirati dalla mitezza del suo
clima e dalle acque curative: per oltre un mese la cittadina si avvolge
di luci e le sue strade medievali, i magnifici monumenti ed i tesori artistici e culturali del centro storico diventano ancor più suggestivi.
Si parte con il Tappeiner Weg, accompagnati dal prof. Paolo Rocchi, compagno di avventura all’università di Forlì insieme al prof.
Bragagni, un sentiero panoramico lungo il quale ci si arrampica non del
tutto svegli per ammirare, accarezzati dalla fresca aria mattutina, il
magnifico panorama della cittadina stretta tra le montagne innevate. E
si prosegue scendendo il sentiero per raggiungere il caratteristico
Duomo, impreziosito da un alto campanile con due orologi uno dei
quali visibile da ogni punto della città, dove assistere alla Santa Messa
affascinati dagli sfavillanti addobbi tirolesi e dall’esotico tedesco sudtirolese.
Dopo l’omaggio reso alla statua di Sissi, illustra ospite della cittadina termale, la visita si snoda attraverso gli stand dei diversi espositori che offrono articoli tradizionali e all’insegna della storia locale:
stelle di natale di paglia, candele, presepi intarsiati nel legno, ceramiche, tipiche pantofole tirolesi, oggetti in legno intagliato, corone
dell’Avvento, antichi strumenti musicali locali, che non mancano di
catturare la fantasia dei nostri alunni, immersi in un’atmosfera incantata fatta di luci, suoni e profumi.
Imperdibili le numerose specialità gastronomiche come speck,
canederli, brezen (pane intrecciato di color ambrato) krapfen (bomboloni) ripieni di marmellata, strudel ed altre delizie, alcune delle quali
abbiamo avuto tutti noi la fortuna di assaggiare durante il pranzo nel303
l’accogliente Ristorante dell’Hotel delle Terme le cui vetrate si riflettevano nelle fumanti piscine termali.
Oltre alla messa, al mercatino e al ristorante, non è mancato l’appuntamento con le tradizioni locali: nella piazza trasformata in una fiabesca foresta, i guardiaboschi altoatesini hanno accompagnato prof e
studenti attraverso curiose e coinvolgenti dimostrazioni alla scoperta
della flora e della fauna altoatesina.
Insomma una giornata che è stata rallegrata dai colori scintillanti
dei mercatini e rischiarata da ampi sprazzi di allegria, e vissuta in uno
spirito di particolare cordialità e condivisione.
In pullman
tra le montagne
altoatesine
Lungo
il Tappeiner Weg
Pausa spirituale
nel Duomo
304
Florilegio
di candele natalizie
Sua maestà Sissi
e “l’imperatore” Leone
Scorci panoramici
Magie natalizie:
artigianato superstar
Dolci e salate
delizie:
il tipico brezen
e i biscotti
della tradizione
Alla caccia del regalo...
Il fascino
del pattinaggio
L’appetito
vien mangiando
A scuola
di
botanica
e i nuovi
boscaioli
provetti
Impressioni notturne prima dell’arrivederci
Arte e immagine
CLASSI PRIME
Illustra l’incipit della tua storia nella grotta
Alberto Benagli
Alessandro Bar
ducci
Sofia Casadei
Francesco Galassi
311
Claudia Giannelli
Virginia Bartolini
La natura: foglie e fiori
Benedetta Petracci
312
Camilla Crociati
Camilla Muratori
Alessandro Barducci
Lucia Gennari
Alberto Benagli
Claudia Giannelli
Linea e realtà
Alberto Benagli
Sofia Casadei
Camilla Crociati
314
Giocando con la simmetria
Anna Faedi
Anna Pollini
Luisa Belluzzi
Lucia Gennari
315
Federica Suzzi
Camilla Spinelli
Arco di trionfo delle tue passioni
Anna Pollini
316
Benedetta Petracci
Francesco Iaccarino
Silvia Turci
CLASSI SECONDE
Autoritratto
318
Agnese De Angelis
Marta Santucci
Caterina Pasi
Giovanni Giunchi
Andrea Minotti
Pietro Bocchini
Francesco
Ruscelli
Giovanni Gori
Alberto Dal Monte
Autoritratto interpretato alla maniera di Handy Warhol
Pietro Bocchini
Alessia Abbondanza
Giulia Faedi
320
Vittoria Vecchiotti
Gotico
Anna Tassinari
Marta Santucci
Giacomo Chierici
Vittoria Vecchiotti
Eugenia Barbieri
Camilla Niso
321
CONCORSO ARTISTICO: CLIVE STAPLES LEWIS
“Keep your eyes open: the secret will let out”
“Lucy attraverso la cornice”
Pietro Bocchini
Giovanni Giunchi
Pierfrancesco Golinelli
Matteo Palmegiani
Kevin Spinelli
“Il libro delle tentazioni”
Carlotta Agostini
Anna Rebecca Ceccarelli
Caterina Cecchetti
Caterina Pasi
Vera Mancuso
“La realtà è diversa dal sogno”
Rebecca Teodorani
Matilde Stagni
Giulia Amadori
“Nella mappa
alla ricerca del tesoro”
Filippo Garattoni
Nicola Mazzotti
Luca Palmegiani
322
CONCORSO: UN POSTER PER LA PACE
Lavorando al poster “Immagina la pace”
323
CLASSI TERZE
In visita alla mostra: “Da Vermeer a Kandinsky”
In mostra a Rimini sei secoli d’arte
324
Studiando l’Impressionismo
Elena Benedetti
Giulia Colli
Davide Fabbri
Giovanni Zanelli
325
Agnese Mazzotti
Alberto Faggiotto
Gloria Moretti
Laboratori espressivi
Coro e Teatro
GRACIAS A LA VIDA
Recital per la Giornata per la vita
328
NUESTRA SEÑORA DE GUADALUPE
Teatro Classi Seconde
329
LA STRANA STORIA DI STEFANO ROI
Teatro Classi Terze
330
Foto di classe
1A
1B
2A
2B
3A
3B
Gli insegnanti:
Dradi Lidia
Italiano, Storia e Geografia 1ª B, Italiano 3ª B
Golinucci Maria Pia
Italiano 1ª A 3ª A
Pistocchi Filippo
Storia e Geografia 1ª A 3ª A 3ª B
Ricci Cristina
Italiano, Storia e Geografia 2ª A 2ª B
Borghesi Maria
Inglese 1ª A 1ª B 3ª A
Campana Antonietta
Inglese 2ª A
Rondoni Elisa
Inglese 2ª B 3ª B
Lucia Sbrighi
Spagnolo 1ª B 2ª B 3ª B
Samantha Sintuzzi
Spagnolo 1ª A 2ª A 3ª A
Bragagni Paolo
Tedesco 1ª A 1ª B 2ª A 2ª B 3ª B
Dell’Amore Carla
Matematica 1ªA 1ªB 2ªA 2ª B
Molari Micaela
Matematica 3ª A 3ª B, Scienze 1ªA 1ª B 3ªA 3ª B
Terranova Alessia
Scienze 2ª A 2ª B
Battistoni Barbara
Arte e Immagine in tutte le classi
Turci Elisabetta
Tecnologia in tutte le classi
Rocculi Chiara
Musica 1ª A 1ª B 2ª B 3ª A 3ª B
Zanmarchi Andrea
Musica 2ª A
Bianchi Erman
Ed. motoria e sport. 1ª A 1ª B 2ª A 2ª B 3ª B
Bazzocchi Elisabetta
Educazione motoria 3ª A
Casadei Don Ezio
Religione in tutte le classi
(con la collaborazione di don Firmin Adamon)
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