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diritti: farli diventare realtà
DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ
WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI
UMANI PER GIORNALISTI/E
La violenza contro le donne rappresenta una scandalosa violazione dei diritti
umani a livello mondiale. Dalla nascita fino alla morte, in tempo di pace o di
guerra, le donne sono sottoposte a discriminazioni e violenze da parte dello
Stato, della comunità e della famiglia.
Questo pacchetto, destinato a interventi di educazione ai diritti umani rivolti a
giornalisti e giornaliste di stampa, televisione e internet, contiene istruzioni
dettagliate per l’organizzazione e la gestione di un workshop della durata di
due giorni.
Nel materiale presentato si prendono in esame le cause e le conseguenze
della violenza contro le donne nonché i meccanismi e gli strumenti legali
disponibili per combatterla; vi si dichiara senza mezzi termini che i diritti
delle donne sono diritti umani e si invitano i/le partecipanti a fare del lavoro
sui diritti delle donne parte integrante della loro attività giornalistica
quotidiana.
Il pacchetto comprende tutto il materiale di supporto necessario per ciascuna
sessione: casi da analizzare, consigli per il/la facilitatore/trice, materiale da
distribuire, elenco di risorse utili e informazioni di contesto.
AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ
WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E
Versione italiana di Making rights a reality - Human rights education workshop
for journalists - ACT 77/054/2005 - www.amnesty.org/actforwomen - ISBN:
0-86210-381-9
Traduzione a cura di Roberta Ronchi.
Si ringraziano inoltre Sonia Raffa e Roberta Toppetta.
Prima edizione 2005
Amnesty International Publications
International Secretariat
Peter Benenson House
1 Easton Street
London WC1X 0DW
United Kingdom
www.amnesty.org
© Amnesty International Publications 2005
ISBN: 0-86210-381-9
Indice AI: ACT 77/054/2005
Lingua originale: inglese
Stampa: DS Print/Redesign, Enfield, United Kingdom
Tutti i diritti riservati. È vietato riprodurre, depositare in sistemi di recupero o
trasmettere qualsivoglia parte della presente pubblicazione, in qualunque forma
e con qualunque modalità (elettronica, meccanica, tramite fotocopie,
registrazione o altro), senza il previo consenso degli editor.
Ringraziamenti:
Amnesty International desidera ringraziare l’agenzia Reuters e il settore
formazione della BBC a Londra per la consulenza fornita durante la fase di
preparazione del presente pacchetto. Si ringraziano inoltre tutte le persone che
hanno partecipato all’incontro regionale di consultazione organizzato da AI al
Cairo nel giugno 2004 e dedicato all’educazione ai diritti umani e alla campagna
“Stop violence against women” (SVAW - “Mai più violenza sulla donne”).
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www.amnesty.it/educazione
AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ
WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E
INDICE
INTRODUZIONE
•
•
•
•
•
Flessibilità del workshop
Impatto
Informazioni importanti sul workshop e sul relativo materiale informativo
Nota sulla struttura e sui contenuti
Rivelazione di vissuti di violenza
PRIMO GIORNO
Sessione 1 - APERTURA DEL WORKSHOP
• Fase 1 - Presentazioni
• Fase 2 - Rompere il ghiaccio
• Fase 3 - Aspettative
• Fase 4 - Illustrazione del programma di lavoro
• Alternativa alle Fasi 1-3
Sessione 2 - I DIRITTI UMANI E IL RUOLO DEI MEDIA
• Fase 1 - Individuare le questioni fondamentali in materia di diritti umani
• Fase 2 - L’influenza dei mass media sulle tematiche relative ai diritti umani
• Fase 3 – Conclusione
• Alternativa alla Sessione 2
Sessione 3 - LA SENSIBILITÀ DI GENERE DEI MEDIA
• Fase 1 - Analisi di genere di giornali e riviste
• Fase 2 - Fissare i concetti - alcune statistiche
Sessione 4 - FORME, CAUSE E CONSEGUENZE DELLA VIOLENZA SULLE
DONNE
• Fase 1 - Individuare i diversi tipi di violenza
• Fase 2 - Radici e frutti
• Fase 3 - La violenza sulle donne come problema culturale
Sessione 5 - LA QUESTIONE CULTURALE
• Fase 1 - I ruoli di genere
• Fase 2 - Stabilire il legame fra ruoli di genere e discriminazione
• Fase 3 - “Relativismo culturale”
• Fase 4 - Affrontare la sfida!
Sessione 6 - CONCLUSIONE DEL PRIMO GIORNO
• Fase 1 - Riflessione sulla giornata
• Fase 2 - Preparazione al secondo giorno
SECONDO GIORNO
Sessione 1 - STUDIO ED APPLICAZIONE DEGLI STRUMENTI GIURIDICI
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WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E
•
•
•
•
Fase 1 - Ricapitolazione del primo giorno e programma del secondo giorno
Fase 2 - Il valore del diritto internazionale dei diritti umani
Fase 3 - Applicare il diritto internazionale dei diritti umani al giornalismo
Alternativa alla Fase 3
Sessione 2 - RICHIAMARE I GOVERNI ALLE PROPRIE RESPONSABILITÀ
• Fase 1 - Cortometraggio e commenti
• Fase 2 - La “debita diligenza”
• Fase 3 - Esercizio sulla “debita diligenza”
Sessione 3 - ESERCIZI PRATICI - APPLICAZIONE DI TESTI E STRUMENTI
GIURIDICI
• Fase 1 - Rompere il ghiaccio
• Fase 2 - Applicare il diritto internazionale dei diritti umani
• Alternativa alla Fase 2
Sessione 4 - TECNICHE D’INTERVISTA
• Fase 1 - Preparazione
• Fase 2 - L’intervista (gioco di ruolo)
• Fase 3 - Feedback
Sessione 5 - CONCLUSIONE DEL WORKSHOP
• Fase 1 - Ricapitolazione
• Fase 2 - Promemoria personale
APPENDICI
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
Attività di stimolo e aggregazione
Programma di lavoro
Struttura logica del workshop (diagramma di flusso)
Raccomandazioni per un giornalismo che faccia propria la prospettiva
del genere
L’immagine delle donne nei media - presentazione PowerPoint
Forme e contesti della violenza sulle donne - presentazione PowerPoint
Casi individuali da analizzare
Note sui diritti umani delle donne
La “debita diligenza” (due diligence) - presentazione PowerPoint
Che cos’è la “debita diligenza” (due diligence)?
«Non ci sono più scuse: affrontate la violenza sessuale»
Intervistare vittime e testimoni di violazioni dei diritti umani
Valutazione del workshop
Link e contatti utili
NOTE
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WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E
INTRODUZIONE
«A casa e nella comunità, in tempo di guerra e di pace, le donne e le
bambine sono picchiate, violentate, mutilate e uccise in piena
impunità»
Amnesty International, It’s in our hands: Stop violence against women: Mai più
violenza sulle donne], 2004. ACT 77/001/2004 , scaricabile da:
http://web.amnesty.org/actforwomen/reports-index-eng.
Questo pacchetto fa parte di una serie organica di strumenti formativi per
l’Educazione ai diritti umani (d’ora innanzi indicata con la sigla “EDU”) a
sostegno della campagna mondiale di Amnesty International (AI) per porre
fine alla violenza contro le donne, lanciata nel 2004 e tuttora in corso, dal
titolo “Stop Violence against Women” (per la Sezione italiana “Mai più
violenza sulle donne”, d’ora innanzi indicata anche come “Campagna donne”),
della quale sono qui elencati gli obiettivi principali:
•
far crescere il livello di consapevolezza sulla violenza a donne e bambine
come morbo che si estende su scala globale e scandalo per i diritti umani;
•
collaborare con le organizzazioni delle donne per denunciare tutte le forme
di violenza ed ottenere riparazione;
•
fare appello agli Stati perché adempiano pienamente agli obblighi previsti
dai trattati e dalle convenzioni internazionali per cui si sono già
legalmente impegnati;
•
fare appello agli Stati perché firmino e ratifichino i trattati concernenti la
violenza sulle donne, come la Convenzione per l'eliminazione di tutte le
forme di discriminazione contro le donne (Convention on the Elimination
of All Forms of Discrimination against Women, e relativo Committee
[Commissione preposta alla vigilanza sull’applicazione della Convenzione],
d’ora innanzi indicati entrambi con la sigla inglese “CEDAW”) e il relativo
protocollo opzionale;
•
abolire le leggi intrinsecamente discriminatorie, che spianano la strada
alla violenza;
•
chiedere giustizia e risarcimento per le donne che subiscono violenza.
Alla luce dell’analisi dei media della Piattaforma d’azione di Pechino (Beijing
Platform for Action) del 1995 e dell’invito rivolto ai media a presentare
«un’immagine equilibrata e non stereotipata della donna» , AI ha individuato
nei giornalisti e nelle giornaliste degli interlocutori d’importanza cruciale per
la sensibilizzazione alla violenza sulle donne e per sviluppare una cultura in
cui tale violenza non sia tollerata né tantomeno favorita.
Questo workshop della durata di due giorni e il relativo materiale sono rivolti
principalmente al giornalismo della carta stampata, ma si possono adattare
alle più varie esigenze mediatiche (internet, emittenti radio-televisive ecc.).
La finalità generale è coinvolgere giornalisti e giornaliste nella Campagna
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WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E
donne, sensibilizzandoli sui temi riguardanti il genere, e specificatamente le
violenze ad esso legate, e rafforzando la consapevolezza dell’importanza del
contributo dei media al cambiamento del comportamento e della mentalità.
Gli obiettivi centrali del workshop sono:
•
far comprendere il ruolo dei media nei diritti umani e le sfide che si
presentano in questo campo;
•
analizzare l’immagine delle donne nei media e le ripercussioni degli
stereotipi sulle donne;
•
accrescere la consapevolezza delle diverse forme di violenza sulle donne e
della portata delle ripercussioni sulla vita delle donne e sulla comunità;
•
favorire la dimestichezza e la corretta applicazione del quadro giuridico
relativo ai diritti umani (meccanismi internazionali, concetto di due
diligence “debita diligenza” ecc.) come strumento di sostegno al lavoro
giornalistico sulla violenza alle donne;
•
invitare giornalisti e giornaliste ad adottare un atteggiamento di sensibilità
alle questioni di genere in tutte le aree della loro attività, e munirli degli
strumenti atti a rendere più efficace il loro lavoro sulla violenza contro le
donne (a cominciare dalle tecniche per intervistare le vittime);
•
offrire informazioni e risorse per sostenere l’attività di reportage in questo
campo;
•
migliorare la comunicazione e lo scambio di informazioni tra giornalisti/-e,
AI e locali organizzazioni non governative delle donne.
FLESSIBILITÀ DEL WORKSHOP
Le due giornate del workshop sono concepite come consecutive, ma è
probabile che alcune persone non abbiano la possibilità, o la voglia, di
partecipare ad entrambe: in questo caso è possibile gestire ciascuna giornata
come unità indipendente (ma conservando la sequenza indicata). Il livello di
partecipazione dipende da diversi fattori: Paese, mezzo di comunicazione (le
emittenti radio-televisive hanno di solito maggior carico di lavoro e scadenze
meno flessibili, specie nella diretta), agenzia stampa d’appartenenza, livello
di responsabilità professionale.
Sequenza del workshop:
•
prima giornata (incentrata sui contenuti): consapevolezza di genere; forme,
cause e conseguenze della violenza sulle donne;
•
seconda giornata (ad orientamento più pratico): strumenti giuridici e loro
applicazione nell’attività giornalistica nel campo della violenza sulle donne.
A seconda del grado di sensibilizzazione dei/delle partecipanti alle questioni
legate al genere e alla violenza sulle donne, e in base al tempo che possono
dedicare al workshop, si può eventualmente saltare la prima giornata,
sebbene sia sempre preferibile partecipare ad entrambe. Si possono trarre
utili indicazioni sul livello delle conoscenze e della sensibilità, e sul grado di
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WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E
adeguatezza della prima giornata, da un questionario sui bisogni. Se per le
suddette ragioni alcune persone partecipano soltanto alla seconda giornata,
AI consiglia di incorporarvi alcune attività sulla consapevolezza di genere per
assicurare un minimo di auto-riflessione, e di mettere nelle cartelline con le
risorse anche il materiale informativo della prima giornata.
Consiglio: una serie di attività sulla coscienza di genere è reperibile in AI
“Diritti: farli diventare realtà – Workshop sulla coscienza di genere”.
www.amnesty.org ACT 77/035/2004.
Ciò che più conta è riuscire a coinvolgere queste persone, piuttosto che farne
sfumare la partecipazione per mancanza di flessibilità!
AI vi consiglia inoltre di operare in collaborazione con:
•
un socio o una socia di AI competente nel campo dell’EDU;
•
una rappresentante di una ONG delle donne locale: presenza assai utile
per affrontare qualsiasi tema di una certa complessità in materia di
violenza sulle donne, e ottimo ponte per avviare una collaborazione con le
locali associazioni di volontariato (scelta vivamente consigliata dalla
Campagna donne);
•
una persona che si occupi di formazione dei giornalisti: presenza che
conferirà credibilità presso gli ambienti giornalistici, agevolerà eventuali
adeguamenti del workshop alla competenza ed esperienza dei/delle
partecipanti, e potrà inoltre trasferire gli stimoli ricevuti alla propria
attività di formazione specifica: la sensibilizzazione degli studenti di
giornalismo alle questioni di genere è stata identificata come strumento
importante per assicurarne fin dall’inizio l’impegno riguardo alle tematiche
femminili e la costante adozione di una prospettiva di genere, facendo sì
che rifuggano da pericolosi stereotipi.
IMPATTO
L’impatto di questi workshop richiederà un processo di valutazione a lungo
termine, ma le prime esperienze hanno già iniziato a mostrare risultati. Le
persone che hanno condotto la facilitazione e lo staff di AI sono stati
intervistati dalla radio e dalla stampa in merito alla violenza sulle donne e i
workshop sono stati oggetto di articoli su giornali locali: si tratta di un’ottima
opportunità, non soltanto per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema
specifico, ma anche per elevare il profilo di AI in generale.
INFORMAZIONI IMPORTANTI SUL WORKSHOP E SUL RELATIVO
MATERIALE INFORMATIVO
Il quadro metodologico alla base della concezione e delle attività del
workshop è fondato sulla partecipazione e sull’interattività. Il workshop è
concepito per attingere dalle esperienze dei/delle partecipanti e per creare un
dialogo interattivo basato sulle conoscenze, le idee e le esperienze. AI
raccomanda che il rapporto tra voi che rivestite il ruolo della facilitazione e le
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persone che “imparano” sia non solo di rispetto reciproco, ma anche di parità
e condivisione: siate disponibili all’apprendimento e non limitatevi
semplicemente a trasferire informazioni.
Il workshop ed il materiale relativo sono stati messi alla prova in diversi paesi
e, nei limiti del possibile, mirano a riflettere un approccio multiculturale alle
questioni riguardanti i diritti delle donne e la violenza sulle donne. Nelle
Appendici si fornisce materiale di carattere generale, tuttavia le risorse non si
pretendono esaustive, e AI vi invita a prestare attenzione alle seguenti
indicazioni:
•
preparatevi bene in anticipo per acquisire dimestichezza con tutte le
sessioni e le attività e per sviluppare la piena padronanza dei temi trattati;
dovete acquisire la capacità di adattare la struttura di questa o quella
sessione alle esigenze del pubblico e al contesto politico e culturale locale,
liberamente ma senza modificarne gli obiettivi;
•
procuratevi delle copie di altro materiale sul tema, la cui lettura offrirà
utili informazioni di contesto: soprattutto materiale giuridico come la
Dichiarazione universale dei diritti umani, la CEDAW, la Dichiarazione
sull’eliminazione della violenza contro le donne (Declaration on the
Elimination of Violence against Women, d’ora innanzi indicata con la sigla
inglese “DEVAW”) e i trattati e la legislazione nazionale in materia;
•
prima di cominciare una sessione controllate l’elenco dei materiali
indicato all’inizio, per assicurarvi di avere a disposizione tutto il necessario;
•
il workshop è concepito per un gruppo di 15-20 partecipanti: la durata
delle sessioni è soltanto indicativa e va adeguata alle effettive dimensioni
del gruppo; una certa flessibilità è consentita, anzi essenziale, ma è bene
cercare di non superare i limiti di tempo consigliati: non dimenticate che,
se le persone si sono iscritte a un workshop di due giorni, non è giusto
tagliar corto il secondo giorno per terminare prima della pausa pranzo
oppure lavorare fino a mezzanotte, a meno che non siano stati presi
accordi in precedenza!
•
la struttura del workshop già comprende alcuni “esercizi energizzanti”
(ovvero volti a mantenere vivace l’attenzione del gruppo) e attività di
“riscaldamento”; tuttavia, a seconda del ritmo del workshop e del “livello
di energia” del gruppo, risulta spesso utile proporre questi brevi esercizi
ricreativi anche dopo pranzo o dopo le pause, in modo da tener desta
l’attenzione e l’attività (per una scelta di tali attività, v. Appendice 1);
•
tutte le sessioni del workshop sono concepite per incoraggiare i/le
partecipanti ad impegnarsi attivamente nella discussione, ma accade
spesso che alcune persone siano più attive e loquaci di altre: fate
attenzione ad assicurare una partecipazione equilibrata; i metodi impiegati
(lavoro in piccoli gruppi, tecniche interattive etc.) aiutano, ma a volte non
sono sufficienti, e sarà vostro compito porre freno con delicatezza agli
interventi di alcune persone per incoraggiare una maggiore partecipazione
da parte di altre.
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WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E
È importante trovare la giusta dinamica interna, poiché un gruppo che
funziona bene è uno strumento di valore inestimabile in un workshop, in
grado di garantire ampi dibattiti e spazi positivi e profondi di condivisione e
d’apprendimento. La chiave per una tranquilla gestione di un workshop dagli
ottimi risultati è riuscire a far funzionare bene il gruppo “plenario” e i gruppi
di lavoro – ecco qualche idea per favorire un’equa partecipazione:
1. disponete i/le partecipanti in cerchio o a ferro di cavallo, in modo tale che
ogni persona possa vedere chiaramente le altre e nessuna sia svantaggiata
dalla propria posizione;
2. reagite sempre positivamente agli interventi, apprezzando quello che è
stato detto, anche se a volte è necessario riformulare il concetto o porre
delle domande; fate sì che le persone si sentano sicure di parlare, anche
quando hanno qualche esitazione: in questo modo saranno motivate a
contribuire al dibattito;
3. ricorrete al linguaggio del corpo per chiudere un intervento – per esempio,
alzate leggermente le mani di fronte a voi, come per accingervi a parlare,
poi però, ricollegandovi a qualcosa che è stato appena detto, cogliete
l’occasione per passare ad un’altra persona o ad un altro tema;
4. mischiate i gruppi in modo tale che non siano sempre le stesse persone a
lavorare insieme;
5. la diversità tra le persone comporta dei meccanismi di ricezione diversi e
un ritmo diverso: seguite sempre le modalità in cui i/le partecipanti
recepiscono i nuovi concetti ed assicuratevi che il vostro ritmo si
mantenga più o meno a un livello medio; non date per scontate le loro
conoscenze, ma ricordate al tempo stesso che state lavorando con persone
adulte automotivate;
6. non fate distinzioni, e non forzate nessuno/-a ad esprimersi, ma utilizzate
frasi del tipo: «C’è qualcuno che non ha ancora parlato che vuole
aggiungere qualcosa?» oppure «Diamo l’opportunità di parlare anche a chi
non ha ancora avuto molte possibilità di esprimersi»; in ogni modo, evitate
domande dirette con risposta secca “giusto/sbagliato” (del tipo: «che cosa
significa X?»), dato che i/le partecipanti possono sentirsi sotto pressione o
in imbarazzo se temono di non saper rispondere;
7. se una persona sembra introversa, isolata, oppure al contrario tende a
prendersi uno spazio eccessivo (parla troppo a lungo, interagisce in modo
aggressivo ecc.), approfittate delle pause per toccare la questione con lei,
con levità, come per caso – evitate però che le altre persone vi sentano!
Una facilitazione efficace è l’ingrediente più importante:
•
siate attivi nel vostro compito, ma senza dominare il workshop – ricordate
che il vostro è un ruolo cruciale per la buona riuscita dell’evento.
Sfruttate i metodi che in base alle vostre esperienze si sono rilevati
efficaci per coinvolgere le persone e per assicurarvi che si sentano liberi/e
di parlare apertamente;
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WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E
•
cercate di spiegare con la massima chiarezza possibile le finalità e gli
obiettivi delle sessioni ma ricordate: spesso è importante che siano i/le
partecipanti a far emergere le idee; pertanto fornire loro troppi elementi
potrebbe essere controproducente;
•
non dimenticate che ci potranno essere domande alle quali non sapete
rispondere, ma cercate di raggiungere sufficiente competenza sui vari
temi trattati e la padronanza delle tappe del workshop e del loro obiettivo.
Leggendo oltre noterete che vi sono alcuni esempi di risposta riportati in
corsivo sotto la rispettiva domanda: sono solo un aiuto per voi e non
devono essere letti ad alta voce a meno che i/le partecipanti non si trovino
in difficoltà;
•
i/le partecipanti sono responsabili del proprio processo di apprendimento,
ma in ogni caso a voi spetta il compito di agevolarlo: non statevene perciò
seduti senza far niente durante le attività in coppia o in sottogruppi – una
delle cose peggiori per loro è vedervi fermi senza far niente o con l’aria
annoiata, mentre essi lavorano sodo;
•
date uno sguardo all’orario ed avvisate i/le partecipanti dell’avvicinarsi del
termine stabilito per completare una data operazione;
•
siate cordiali, non ponete barriere e abbiate senso dello humour, senza
però lasciarvi andare a battute inopportune!
•
e ricordate che il linguaggio è un mezzo di comunicazione molto potente
non solo in termini di contenuto ma anche per quanto riguarda il carattere
inclusivo di quanto viene affermato: la scelta di includere voi stessi/-e nel
discorso utilizzando il pronome “noi” invece di “voi” o di una forma
impersonale (ad indicare che le idee di cui si discute riguardano anche
voi) va compiuta prima di dar inizio al workshop.
NOTA SULLA STRUTTURA E SUI CONTENUTI
Le Appendici contengono delle presentazioni in formato PowerPoint da noi
suggerite, disponibili anche sul database HRE (Human Rights Education) del
Segretariato; per informazioni su come accedervi vi preghiamo di contattare il
team HRE ([email protected]) presso il Segretariato internazionale.
Benché utilizzabili nel loro formato originale, vi consigliamo di adattarle o di
prepararne di vostre, per andare incontro alle esigenze particolari locali e al
vostro stile personale.
RIVELAZIONE DI VISSUTI DI VIOLENZA
È stato riconosciuto internazionalmente che una donna su tre è destinata ad
essere vittima di abusi fisici.
Sebbene non sia opportuno invitare direttamente i/le partecipanti a raccontare
esperienze personali di violenza, dovete essere in grado di affrontare
l’eventualità che una persona riveli di aver subito abusi personalmente o di
avervi assistito.
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AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ
WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E
Nei workshop in cui non si richiede direttamente di condividere esperienze
personali di violenza, la rivelazione giunge il più delle volte dalle donne che
non sono più vittime di abusi; tuttavia dovete esser consapevoli che nel
gruppo potrebbero esservi donne che ancora ne subiscono, e addirittura gli
stessi responsabili.
In caso di rivelazione si consiglia di agire come segue:
•
Rispettate la persona e non giudicate. Prendetela sul serio e createle
attorno un clima di solidarietà, indipendentemente dalla natura e
dall’entità della violenza. Non è necessario né opportuno stabilire se ciò
che la persona ha subito sia effettivamente violenza; ricordate sempre che
la violenza sulle donne comprende abusi fisici, emotivi e psicologici.
Prendete atto della violenza a prescindere da chi l’abbia commessa.
Sostegno e parole gentili da parte di una persona comprensiva e
compassionevole sono cruciali nel momento della rivelazione;
•
tenete costantemente a disposizione (meglio se in luogo discreto per
garantire piena riservatezza) un elenco di indirizzi, numeri di telefono e
siti web di persone o associazioni in grado di prestare aiuto a donne e
bambine traumatizzate da episodi di violenza, nel caso che riceviate
richieste (o anche offerte) d’aiuto; nella sezione Materiali in fondo a
questo pacchetto troverete una tabella vuota da utilizzare a tale scopo.
•
Prima di indirizzarvi persone che necessitano della loro assistenza, è
importante chiedere ed ottenere il consenso esplicito di tali
associazioni/persone, che hanno standard operativi di cui dovete essere a
conoscenza e che dovete far vostri nella vostra funzione di indirizzo.
•
Non cercate di offrire consulenza specifica: lasciate spazio all’ascolto.
•
Un/a facilitatore/trice che si occupa di EDU non ha gli strumenti per
assistere persone che abbiano avuto esperienze di violenza e non dovrebbe
mai presentarsi come tale; il suo compito è di agevolare la discussione
sulla violenza alle donne e sul genere, creando un ambiente che permetta
l’apprendimento dei temi e delle problematiche trattate.
•
Di fronte ad una situazione di rivelazione dovete prendere atto
dell’esperienza personale e trovare il tempo e il luogo adatto per poter
parlare alla persona in un ambiente protetto e tranquillo, spiegarle che
cosa siete e non siete in grado di offrire ed invitarla a contattare le
organizzazioni che possono fornire il sostegno opportuno.
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AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ
WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E
PRIMO GIORNO
SESSIONE 1 - APERTURA DEL WORKSHOP
Obiettivi:
•
presentazioni
•
aspettative dei/delle partecipanti
•
illustrazione del programma di lavoro
•
Occorrente:
•
lavagna a fogli mobili
•
fogli di carta per la lavagna
•
pennarelli
Durata: /
Iniziate ringraziando i/le partecipanti d’aver dedicato parte del loro prezioso
tempo a questo workshop. Spiegate loro che apprezzate molto il fatto che
siano riusciti a trovare spazio per il workshop nel loro programma di lavoro
così fitto e ringraziate in particolare chi ha dovuto affrontare un viaggio lungo
per intervenire. Invitate l’altra o le altre persone che insieme a voi rivestono il
ruolo della facilitazione a partecipare con voi alla presentazione. (5 minuti)
Consiglio: Può darsi che alcune Sezioni e strutture di AI trovino opportuna
una presentazione più formale, magari con la presenza della stampa o anche
di una rappresentanza del governo: in tal caso, riservate più tempo
all'apertura e regolate la sessione di lavoro di conseguenza.
Fase 1: Presentazioni
Presentatevi insieme all'altra o alle altre persone che conducono la
facilitazione, e illustrate il vostro ruolo all'interno di AI o di altra
organizzazione, quindi invitate i/le partecipanti a fare altrettanto. Ricordate
loro di essere brevi: in questa fase dovranno solamente indicare il proprio
nome e l’agenzia per cui lavorano o il proprio ambito di attività nel
giornalismo; rassicurateli che di lì a breve avranno modo di conoscersi meglio.
(15 minuti)
Fase 2: Rompere il ghiaccio
Consiglio: L’esercizio che segue può essere sostituito con uno tratto
dall'elenco di attività di stimolo e aggregazione (Appendice 1).
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AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ
WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E
Le “scialuppe di salvataggio”
Invitate tutto il gruppo a venire al centro della stanza. Spiegate che devono
immaginare di essere in alto mare ed iniziare a muoversi per la stanza come
se stessero nuotando o si trovassero in una barca: quando (dopo un minuto
circa) darete l’allarme: «Tempesta in arrivo!», tutti devono saltare
rapidamente a bordo delle immaginarie scialuppe di salvataggio insieme a
persone con cui abbiano in comune qualcosa di specifico. Prendete un
elemento dalla lista che segue o trovatene uno di vostra scelta:
•
chi ha scarpe dello stesso colore;
•
chi porta gli occhiali e chi no;
•
chi indossa capi d’abbigliamento dello stesso colore (scegliete voi il capo);
•
chi è socio/-a di AI e chi no.
Una volta a bordo delle scialuppe, dovranno salutarsi e cercare di presentarsi.
Ripetete l'esercizio tre o quattro volte se necessario. (10 minuti)
Fase 3: Aspettative
Invitate ogni “equipaggio” a restare insieme e a trovare uno spazio, nella
stanza o in una accanto, in cui discutere di quello che ci si aspetta dal
workshop. Consegnate a ciascun gruppo un paio di pennarelli e un foglio di
carta da lavagna. Se il tempo è limitato, chiedete ai gruppi di scegliere solo
un paio di aspettative veramente importanti e di nominare una persona che
funga da portavoce nella sessione plenaria. (10 minuti)
Fase 4: Illustrazione del programma di lavoro
Nel corso della sessione plenaria elencate sulla lavagna tutte le aspettative
principali dei gruppi. Quando tutti quanti avranno espresso il proprio parere,
ringraziateli per la schiettezza e l'entusiasmo dimostrati. Illustrate il
programma del workshop usando un diagramma di flusso logico e cercate di
trovare un collegamento con le aspettative esposte (v. Appendice 3).
(15 minuti)
È possibile che emerga un'aspettativa che non troverà spazio all'interno del
workshop: in tal caso, spiegate che anche se non è sempre possibile realizzare
le aspettative di tutti nel tempo a disposizione, sperate comunque di riuscire
a soddisfarne la maggior parte e che all'interno del workshop i/le partecipanti
troveranno uno spazio per poter discutere apertamente e fare auto-riflessione,
così da riuscire a comprendere meglio il tema della violenza sulle donne.
Spiegate anche che uno dei vostri obiettivi è quello di consolidare le loro
capacità giornalistiche relativamente al tema della violenza sulle donne.
Lasciate qualche minuto per eventuali chiarimenti o per rispondere a
domande sul programma di lavoro prima di dare inizio alla Sessione 2. (5
minuti).
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WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E
Consiglio: L'obiettivo del workshop è principalmente quello di sensibilizzare
i/le partecipanti al tema della violenza sulle donne e di spingerli ad acquisire
una consapevolezza nuova del proprio modo di affrontare i temi che
riguardano le donne in generale e la violenza sulle donne in particolare.
Tuttavia, è importante tener presente che molti di essi non avranno
necessariamente un’affinità immediata con l’attività di AI; di certo invece
avranno il desiderio di acquisire conoscenze e strumenti per migliorare il
proprio lavoro: per tale ragione è importante sottolineare come il workshop e i
suoi obiettivi possano risultare utili per la loro professione.
Alternativa alle Fasi 1-3
Occorrente:
•
pezzi di cartoncino tagliati a forma di piede, di piastrella o d’altra figura
significativa nella cultura locale
Fate un giro d’autopresentazione (nome e agenzia o rete radiotelevisiva o
testata), esortando, solo per il momento, alla rapidità. (15 minuti)
Tecnica della “piastrella”: distribuite i ritagli di cartoncino e invitate a
scrivere su ciascuna “piastrella” una risposta alle seguenti domande:
1. Come hai iniziato a lavorare come giornalista?
2. Perché ti interessa il tema dei diritti umani e della violenza sulle donne?
3. Che cosa speri di ricavare da questo workshop?
(10 minuti)
Una volta finito, invitate a 5 minuti di confronto con la persona accanto.
Attaccate al centro di una parete un foglio di carta col titolo del workshop,
quindi invitate i/le partecipanti a farsi avanti e ad attaccare alla parete le loro
“piastrelle” in modo che procedano in direzione del workshop.
Invitate ad osservare l'ampia varietà di esperienze e motivazioni, cercando di
raggrupparle logicamente e trovarvi idee interessanti. Riassumete alcune delle
aspettative principali sulla lavagna. (15 minuti)
Ritornate alla Fase 4 dell’attività originale. (20 minuti)
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SESSIONE 2: I DIRITTI UMANI E IL RUOLO DEI MEDIA
Obiettivo:
•
comunicare e far comprendere al gruppo le idee di ciascun/-a partecipante
relativamente ai diritti umani, a ciò che lui/lei considera propria
responsabilità in quanto giornalista e alle sfide che l’aspettano.
Occorrente:
•
fogli di carta per lavagna a fogli mobili
•
pennarelli
•
computer portatile e proiettore per PowerPoint / lavagna luminosa (per
esercizio alternativo)
Durata: 1 ora
Fase 1: Individuare le questioni fondamentali in materia di diritti
umani
Consiglio: Parlare dei diritti umani in generale è un modo ottimo per aiutare
i/le partecipanti ad ambientarsi nel workshop. Può esservi una certa
resistenza all’argomento di questo workshop, ritenuto ad esempio troppo
“femminista”: un approccio di questo tipo aiuterà ad inquadrare i diritti delle
donne nell'ambito dei diritti umani.
Sottolineate il fatto che le persone presenti hanno già dimostrato un grande
impegno decidendo di partecipare al workshop. Ora rifletteranno in modo più
approfondito sul quadro dei diritti umani nel proprio paese, sulle sfide che
hanno di fronte come giornalisti e su come intendono il proprio ruolo nel
campo dei diritti umani.
Chiedete loro di esporre nella sessione plenaria quali sono, secondo loro,
alcuni dei problemi fondamentali in materia di diritti umani (può essere
necessario dare il via alla discussione facendo qualche esempio: diritto alla
libertà d’espressione, a un processo equo, a un'istruzione adeguata, e così
via), e in che modo questi diritti possono essere violati all'interno del paese (o
regione) in questione. Riportate le risposte sulla lavagna. Cercate di far sì che
tutte le persone prendano attivamente parte all'esercizio e accertatevi che
nessuna prenda il sopravvento portando troppi temi contemporaneamente. (5
minuti)
Quando avrete accumulato una decina di voci, invitate i/le partecipanti a
cercare di raggruppare le violazioni in aree di diritti più ampie, ad esempio
diritti civili e politici, diritti economici, sociali e culturali, diritti delle donne,
diritti dei/delle minori, diritto all'integrità fisica e psicologica (ad es. tortura,
brutalità della polizia etc.); invitate poi a scegliere quattro temi principali,
almeno uno dei quali legato al tema della violenza sulle donne. (5 minuti)
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Fase 2: L’influenza dei mass media sulle tematiche relative ai diritti
umani
Adesso dividete i/le partecipanti in quattro gruppi, ciascuno dei quali
affronterà uno dei temi emersi, rispondendo alle seguenti domande:
1. In che modo la stampa locale affronta questi temi?
2. Quali sono le forze in gioco (nel contesto sociopolitico: ad es., programmi
del governo o delle grandi aziende)?
3. Che tipo di impatto ha sul problema la copertura dei mass media?
Concedete 20 minuti per questo lavoro e chiedete ai gruppi di riportare su un
foglio da lavagna i punti principali della loro discussione; ogni gruppo dovrà
nominare una persona portavoce per la sessione plenaria. (20 minuti)
Invitate ciascun gruppo a riferire nella sessione plenaria. (15 minuti)
Al termine, potete usare le domande seguenti per stimolare una riflessione
più approfondita:
1. Quanto è importante il ruolo dei mass media? Molto! Raggiungono larghe
fasce di pubblico, informano l'opinione pubblica e hanno un ruolo
determinante nell'influenzare il comportamento della gente.
2. Quale dovrebbe essere il ruolo dei mass media nel campo dei diritti
umani? Dovrebbero informare la gente dei propri diritti umani e
promuovere tali diritti e la cessazione delle violazioni.
3. Quali ostacoli incontrate come giornalisti/-e quando vi trovate ad affrontare
il tema dei diritti umani? Potete invitare a suddividere tali ostacoli fra
esterni alla professione (ad es. altre questioni interne o di risonanza
mondiale che dominano la scena; pratiche culturali che inducono a
ritenere accettabili taluni abusi dei diritti umani; tabù culturali; leggi
discriminatorie etc.) e interni (ad es. censura, forti pressioni o
persecuzione da parte del governo o di sue agenzie; lotte di potere
all'interno dei mass media; il fatto che siano in prevalenza gli uomini a
ricoprire incarichi di rilievo nel settore; editori che bloccano determinate
storie; autocensura etc.).
(10 minuti)
Consiglio: Questo può risultare un dibattito acceso, in quanto è probabile che
i/le partecipanti siano piuttosto suscettibili riguardo al modo in cui il loro
lavoro viene percepito, soprattutto da parte delle ong (compresa AI). È
importante evitare la sensazione che la professione giornalistica sia sotto
accusa o ritenuta colpevole di perpetuare le violazioni dei diritti umani. Lo
scopo della discussione è di aiutarli a fare un passo indietro e a prendere
coscienza del potere di cui dispongono. Il messaggio-chiave è che essi hanno
un ruolo importante nella lotta alle violazioni dei diritti umani, nell'informare
l'opinione pubblica e nell’aprire la strada alla promozione di un
comportamento positivo, rispettoso dei diritti umani. E forse tra i/le
partecipanti vi sono attivisti ed attiviste per i diritti umani (human rights
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defenders, HRD - definizione ONU) che, per il loro impegno in difesa di tali
diritti nella loro attività giornalistica, hanno corso pericoli. In alcuni paesi
queste persone sono spesso oggetto di persecuzioni, minacce e perfino
carcerazione: discutere degli ostacoli che si trovano davanti permetterà loro di
trovare solidarietà presso colleghi e colleghe, di dare libero sfogo alla propria
frustrazione in un ambiente sicuro e aperto e, si spera, di avviare un dialogo
che prosegua a lungo anche dopo la conclusione del workshop.
Fase 3: Conclusione
Esaminate il quadro che si viene formando della situazione dei diritti umani
nel paese e della complessa miscela di influenze e di ostacoli. Cercate di
mantenere un atteggiamento positivo, sottolineando nonostante tutto la
capacità dei mass media di realizzare il cambiamento: prender parte a questo
workshop è un primo passo per rafforzare i legami e per creare la solidarietà
necessaria a superare alcuni di questi ostacoli. (5 minuti)
Alternativa alla Sessione 2
In alcuni paesi può risultare preferibile un'introduzione più formale. In tal
caso, prima del workshop, si possono invitare due giornalisti o due relatori
esterni a presentare quelli che ritengono gli ostacoli principali che i giornalisti
e le giornaliste devono affrontare nel campo dei diritti umani. È preferibile
mantenere un equilibrio fra i sessi (un uomo e una donna).
Tali presentazioni non dovrebbero durare più di 5-10 minuti ciascuna.
Incoraggiate i vostri ospiti a usare un supporto video se possibile, in modo da
rendere la presentazione più semplice e interessante (assicuratevi di avere a
disposizione le attrezzature adatte: PowerPoint, lavagna luminosa ecc.).
Sarete voi a presiedere alla sessione dando spazio a commenti, domande e
dibattito dopo ciascuna presentazione o al termine d’entrambe, per almeno
20 minuti complessivi.
La discussione può essere seguita da alcune delle domande specifiche
indicate nella precedente Fase 2. (30-40 minuti)
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SESSIONE 3: LA SENSIBILITÀ DI GENERE DEI MEDIA
Obiettivi:
•
analisi “di genere” di giornali e riviste nazionali
•
esame dell’impatto dell’immagine delle donne offerta dai mass media e
dell’assenza di sensibilità, nell’attività giornalistica, alle questioni
connesse al genere
Occorrente:
•
una selezione di giornali locali
•
un'abbondante selezione di riviste locali
•
forbici – 1 paio per ogni gruppo
•
nastro adesivo / colla
•
pennarelli
•
fogli di carta per lavagna
•
computer portatile e proiettore / lavagna luminosa
Durata: 1 ora
Spiegate che è facilissimo rimanere coinvolti nella propria professione e non
essere più in grado di osservare con distacco la propria attività. Adesso ogni
partecipante dovrà uscire dal proprio ruolo di giornalista per calarsi in quello
di lettore/lettrice: si formeranno quattro gruppi, quattro osservatorî della
stampa locale, che sarà analizzata con una “lente di genere”.
Fase 1: Analisi di genere di giornali e riviste
Dividete i/le partecipanti in quattro gruppi, distribuite loro una selezione di
giornali e riviste locali e chiedete loro di rispondere alle seguenti domande:
Gruppo 1: In che modo le donne sono raffigurate nelle illustrazioni?
Gruppo 2: In che modo gli uomini sono raffigurati nelle illustrazioni?
Gruppo 3: Che tipo di linguaggio viene utilizzato? È un linguaggio sessista?
Gruppo 4: Quanti articoli hanno al centro le donne? Di che tipo di articoli si
tratta (ad es. politica, salute, arte, cronaca nera, cultura)? Confrontateli con
gli articoli riguardanti gli uomini. Quanti articoli sono firmati da uomini e
quanti da donne? Quante fonti/citazioni sono di donne?
Consiglio: I gruppi 1 e 2 devono considerare non solo l’illustrazione ma anche
il contesto. Se l'attività del gruppo 3 dovesse risultare difficile, o se i giornali
forniti non dovessero contenere esempi a sufficienza, il gruppo potrà integrare
l’attività trovando il maggior numero possibile di termini sessisti e denotanti
insensibilità alle questioni di genere e offrendo alternative migliori
(all’Appendice 4 troverete alcuni esempi di terminologia neutra di cui far
copie da distribuire). A seconda del livello di esperienza dei/delle partecipanti,
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è possibile concentrarsi solamente sulle illustrazioni. Usate il vostro giudizio
professionale per calibrare il giusto livello di analisi per questo esercizio.
I gruppi presenteranno i propri risultati sulla lavagna. Date ai gruppi 1 e 2
forbici e nastro adesivo o colla e invitateli a selezionare le immagini che
ritengono particolarmente esemplificative e attaccarle sui fogli da lavagna per
produrre un montaggio di immagini a sostegno delle loro tesi. Spingete gli
altri gruppi ad essere altrettanto creativi con giornali e riviste, se lo
desiderano. (30 minuti)
Riunite i gruppi e invitate ciascuno di essi a presentare alla plenaria le
proprie scoperte e i propri cartelloni (20 minuti).
Ecco alcuni punti-chiave che probabilmente emergeranno da questa attività:
1. Immagine delle donne.
ruoli: bellezza “decorativa”, oggetto di desiderio sessuale, strumento
pubblicitario ecc.;
assenza
dalla
vita
pubblica
(politica/economia/cultura);
e
dalle
questioni
d’attualità
assenza da giornali e riviste – sono confinate ai rotocalchi femminili e alle
rubriche dedicate alla famiglia, alla bellezza e così via.
2. Immagine degli uomini.
potere, predominio nella vita pubblica;
carriera, affari, economia, politica ecc.
[Durante la sessione
rappresentazioni]
plenaria
fate
un
confronto
fra
queste
due
Linguaggio
I titoli sono sempre al maschile, ad es. “avvocato” anziché “avvocata”,
“direttore” anziché “direttrice” (v. Appendice 4).
Articoli dedicati a donne e scritti da donne:
•
donne raramente al centro di un servizio di attualità;
•
sottorappresentate (o affatto) in politica, affari, economia, ecc.
•
relegate ai settori della bellezza e della sfera domestica (una discussione
più approfondita a questo proposito in It’s in our hands, op. cit., cap.3);
•
raramente citate negli articoli (a meno che non ne siano direttamente
oggetto, v. punto precedente).
Al termine di ciascuna presentazione appendete i cartelloni dei singoli gruppi
su una parete libera. Quando tutte le presentazioni saranno state fatte, usate
le domande seguenti (e altre di vostra scelta) per stimolare un'ulteriore
discussione sull'argomento:
Qual è l’impatto delle immagini usate dai mass media sulle donne e sulla
società nel complesso? Cercate di far emergere il fatto che esse creano
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stereotipi spesso dannosi, con le donne nel ruolo di oggetti sessuali,
mercificate.
Quali sono le conseguenze di questi stereotipi? Creano pregiudizi che a loro
volta creano discriminazione.
Altre risorse:
http://loveyourbody.nowfoundation.org/offensiveads.html - Questa ONG per le
donne fornisce alcune analisi interessanti sul tema dello sfruttamento delle
donne nella pubblicità di importanti case di moda; il sito è solo in inglese, ma
le illustrazioni possono comunque tornarvi utili. (V. anche It’s in our hands,
op. cit., cap.3.)
Consiglio: Dalla rappresentazione delle donne nelle illustrazioni selezionate
può nascere un dibattito interessante: per esempio, possono emergere
opinioni fortemente contrastanti sulla positività o negatività di un'immagine.
L'uso del corpo femminile (soprattutto il nudo, totale o parziale) può essere
sentito come sfruttamento sessuale o invece come espressione di bellezza (un
parere, questo, espresso in occasione di un workshop pilota sia da uomini sia
da donne). Se dovesse emergere una discussione del genere, anziché
prendere posizione è necessario cercare di evidenziare il fatto che, a
prescindere dalla nostra sensibilità individuale, dobbiamo tentare di valutare
l'impatto generale di queste immagini del corpo femminile sulle donne e le
bambine nella vita quotidiana. È probabile che alla fine della discussione
tutti concorderanno che alle donne è imposto il diktat di conformarsi a un
particolare modello di “bellezza”, e che spesso, nella scala dei valori delle
varie culture, in riferimento alle donne la bellezza conta più dell'istruzione,
della carriera e della partecipazione alla vita pubblica.
Cercate anche di collegarvi al tema in questione con questa domanda: “In
che modo queste rappresentazioni possono spianare la strada alla violenza
sulle donne?”. Risposta possibile: gli stereotipi di genere portano a pregiudizi
sulle donne (ridotte ad oggetto della fantasia maschile) i quali a loro volta
generano discriminazione e ruoli di genere rigidi che impediscono alle donne
la piena partecipazione alla vita pubblica e in ultima analisi l’esercizio dei
diritti umani fondamentali: ecco spianata la strada alla violenza.
Fase 2: Fissare i concetti - alcune statistiche
Nell'avviare a conclusione la presente sessione, provate a collegarla alla
Sessione 2 (ruolo e responsabilità dei mass media) ponendo al gruppo queste
domande:
Che cosa ci dimostra questa sessione del modo in cui i mass media informano
il pubblico? Il giornalismo è obiettivo? No, troppo spesso si rifanno a
stereotipi e utilizzano un linguaggio prevenuto e indifferente alla prospettiva
di genere; si occupano troppo poco delle donne ecc.
Il pubblico riceve informazioni corrette e adeguate? No, perché i mass media
non adottano una prospettiva di genere equilibrata.
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Qual è l'impatto di questo ritratto offerto dai mass media? I ruoli delle donne
sono sminuiti, i temi femminili sono ignorati, le donne sono meno visibili
nella società e quindi meno informate e più vulnerabili alla discriminazione.
A questo punto potete terminare con una presentazione PowerPoint o con
lavagna luminosa del materiale contenuto in Appendice 5, che offre alcune
statistiche utili e un'introduzione all’approccio mediatico al tema della
violenza: è un ottimo modo per introdurre la nuova sessione che studia in
maggior dettaglio le varie forme della violenza sulle donne. (10 minuti)
Altre risorse:
Il materiale contenuto nell’Appendice 5 è tratto in prevalenza dal Global
Media Monitoring Report (Rapporto sul monitoraggio globale dei media)
coordinato, con particolare attenzione alle questioni di genere, dalla World
Association for Christian Communication (Associazione mondiale per la
comunicazione cristiana, WACC - v. Appendice 14).
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SESSIONE 4 - FORME, CAUSE E CONSEGUENZE DELLA VIOLENZA SULLE
DONNE
Obiettivi:
•
acquisizione di una visione comune della portata della violenza sulle
donne all'interno del proprio paese (o area geopolitica)
•
analisi più approfondita delle radici della violenza sulle donne
•
analisi del ruolo dei mass media nell'affrontare il tema della violenza sulle
donne
Occorrente:
•
foglietti “post-it”
•
fogli di carta per lavagne e penne
•
un cartellone di grandi dimensioni (o 4 fogli per lavagna uniti insieme)
con 3 cerchi intrecciati
•
un cartellone di grandi dimensioni (o 4 fogli per lavagna uniti insieme)
con la sagoma di un albero
•
studi di casi (1 per gruppo) con diverse forme e contesti di violenza sulle
donne: fisica, psicologica, durante i conflitti e nell'ambito della famiglia o
della comunità (v. Appendice 7 per una selezione di casi specifici della
Campagna donne)
•
computer portatile e proiettore o lavagna luminosa
Durata: 1 ora
Consiglio: Sarebbe opportuno che a guidare questa sessione fosse la
rappresentante di una organizzazione non governativa femminile locale;
questa persona dovrebbe anche essere incaricata di rispondere alle domande
relative al tema della violenza sulle donne e di moderare eventuali dibattiti
delicati sulle questioni culturali.
Fase 1: Individuare i diversi tipi di violenza
Chiedete ai/alle partecipanti in sessione plenaria in che modo definirebbero la
violenza e scrivete sulla lavagna i punti-chiave che emergono dalle loro
risposte. Riescono a individuare tre categorie principali in base a tale
definizione? Cercate di distinguere:
•
violenza fisica
•
violenza sessuale
•
violenza psicologica
Usando la prima parte della presentazione (Appendice 6, diapositiva n.3),
illustrate la definizione dell'ONU di violenza sulle donne: si tratta della
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definizione su cui AI ha incentrato la propria campagna. Non svolgete adesso
la presentazione completa, per la quale vi sarà tempo più avanti.
Dividete i/le partecipanti in tre gruppi e assegnate a ciascuno di essi una
categoria su cui concentrarsi. Chiedete ad ogni gruppo di pensare a tutte le
possibili forme di violenza sulle donne per la propria categoria all'interno del
proprio paese (o area geopolitica) e di riportarle sui post-it. (10 minuti)
Nel frattempo, appendete il cartellone con i tre grandi cerchi intrecciati e
assegnate a ciascun cerchio uno dei titoli riportati nel diagramma sottostante.
Diagramma: Psicologica - Sessuale - Fisica
Invitate i gruppi a riunirsi in plenaria e ad inserire i foglietti nel cerchio
relativo, collocando nelle intersezioni le forme di violenza che a loro parere
rientrano in più di una categoria. Chiedete loro che cosa hanno compreso con
questa attività.
Risposte possibili: esistono molte forme di violenza sulle donne e tutte quante
hanno ripercussioni a breve e a lungo termine, soprattutto per quanto
concerne la salute; tutte le forme sono legate fra loro.
Ora procedete col resto della presentazione (vedi Appendice 6), più
dettagliata, e fornite esempi delle diverse forme e dei diversi contesti della
violenza sulle donne secondo quanto illustrato dalla campagna. Una volta
conclusa la presentazione, lasciate parecchio tempo per le domande. Potete
anche distribuire copie della presentazione cui far riferimento. (15 minuti)
Fase 2: Radici e frutti
Attaccate il cartellone con la sagoma dell'albero. Invitate i/le partecipanti a
restare nei tre gruppi formati nell’esercizio precedente, a ritornare al
diagramma coi tre cerchi intrecciati e a trasferire i foglietti con le varie forme
di violenza sulle donne sul tronco dell'albero. Assegnate a ciascun gruppo uno
dei seguenti temi di discussione:
Gruppo 1: Quali sono le ripercussioni sulla salute (per l'individuo e per la
società) derivanti da queste forme di violenza sulle donne? Risposte possibili:
diffusione di HIV/AIDS; danni interni agli organi sessuali; cefalee persistenti
dovute alle percosse; gravidanze indesiderate; eccessivo ricorso al servizio
sanitario e ai servizi sociali.
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Gruppo 2: Quali sono le ripercussioni socio-economiche? Risposte possibili:
vita senza fissa dimora; esclusione dalla società; povertà.
Gruppo 3: Quali sono le cause originarie di queste forme di violenza sulle
donne?
Risposte possibili: leggi discriminatorie; pregiudizi culturali; stereotipi che
sviliscono le donne; esclusione delle donne dalla sfera pubblica.
(15 minuti)
Le risposte andranno scritte sui post-it che, in sessione plenaria, i gruppi 1 e
2 appenderanno sui rami dell’albero e il gruppo 3 sulle radici. Spiegate che
adesso abbiamo una rappresentazione visiva della violenza sulle donne nella
società. Chiedete ai/alle partecipanti che cosa rivela loro tale immagine. Quali
sensazioni provano? In che modo possiamo far sì che i frutti della nostra
società non siano “avvelenati” ma rimangano sani e saporiti? (10 minuti)
Consiglio: Cercate di far emergere quanto segue:
•
è necessario affrontare le cause alla radice della violenza sulle donne;
diversamente, dovremo sopportarne le conseguenze e arrecheremo alle
nostre comunità un danno indicibile;
•
gli stereotipi creano discriminazione nella cultura e nella pratica;
•
i mass media hanno un ruolo importante nel consolidare tali stereotipi, ma
hanno al tempo stesso una considerevole capacità di influenzare
positivamente l'opinione pubblica e il comportamento della società!
Potete lasciare l'albero appeso alla parete in modo da poterlo consultare
ancora nel corso del workshop.
Fase 3: La violenza sulle donne come problema culturale
Sottolineate il fatto che cultura e tradizione spesso consolidano, giustificano,
legittimano e tollerano la violenza sulle donne e costituiscono un ostacolo alla
sua eliminazione. Spiegate che nella sessione successiva si studierà più
attentamente tale fenomeno e i vari modi in cui i giornalisti e le giornaliste
possono superare tali ostacoli culturali.
Potete leggere alcune brevi testimonianze tratte dal rapporto It’s in our hands,
(op. cit.), oppure usare gli studi di casi qui allegati (v. Appendice 7), che
illustrano forme diverse di violenza sulle donne rappresentandone gli orrori
con intensità; un'altra fonte di casi significativi possono essere le locali
organizzazioni delle donne.
Se c'è tempo, invitate i/le partecipanti ad esprimere le loro reazioni a questi
casi e mettete in evidenza il fatto che la violenza sulle donne è chiaramente
un problema globale che permea tutte le culture, le religioni e gli stili di vita.
Un'ottima fonte di statistiche globali riguardanti tutte le zone del mondo e
diverse forme di violenza sulle donne può essere reperita nel rapporto di AI
Making Violence against Women Count: facts and figures – a summary [La
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violenza sulle donne conta: fatti e cifre in sintesi, AI Index: ACT
77/034/2004.]
(10 minuti)
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SESSIONE 5 - LA QUESTIONE CULTURALE
Obiettivo:
•
analisi delle strategie per affrontare pratiche e mentalità discriminatorie
radicate nella cultura, che aprono la strada alla violenza sulle donne
Occorrente:
•
fogli di carta per lavagna
•
pennarelli
Durata: 1 ½ ora
Consiglio: Questa sessione vi introdurrà a uno dei punti-chiave del workshop:
gli stereotipi culturali consolidati e ulteriormente legittimati dai mass media.
Inoltre si tenterà di spingere i giornalisti e le giornaliste ad esercitare una
pressione positiva in quel campo: date loro spazio per riflettere su quali siano
i veri ostacoli e tempo per elaborare strategie preventive per superarli. È
auspicabile che nel contempo riflettano sul proprio comportamento e sulle
proprie convinzioni culturali: solo così diventa veramente possibile dare il via
a cambiamenti positivi. Non ci si può aspettare che giornalisti e giornaliste
riescano a sensibilizzare il pubblico se non sono essi stessi sensibilizzati!
Fase 1: I ruoli di genere
In sessione plenaria invitate i/le partecipanti a definire la distinzione fra
“sesso” e “genere”.
“Sesso” si riferisce alla struttura biologica di uomini e donne, “genere” ai
ruoli sociali imposti dalla società e dalla cultura.
Scrivete le parole “donne” e “uomini” in cima a due colonne di un cartellone:
invitate i/le partecipanti a riflettere sui tipi di ruolo attribuiti alle donne e agli
uomini all'interno della società e riportate alcune delle loro risposte nella
colonna relativa in modo da delineare un quadro dei ruoli di genere nel loro
paese/società. Per stimolare la discussione, provate a proporre queste
domande:
•
Questi ruoli sono egualmente apprezzati? No! Per esempio, i ruoli
femminili sono spesso legati alla sfera domestica; sul lavoro, è facile che
le donne vengano pagate meno degli uomini.
•
In che modo tali ruoli influiscono su donne e bambine rispetto a uomini e
bambini? Limitano l'accesso delle donne all'istruzione, alla cure sanitarie,
al tempo libero e ad altri diritti fondamentali; sviliscono le donne; le
rendono vulnerabili ad abusi, esclusione e povertà.
(10 minuti)
Fase 2: Stabilire il legame fra ruoli di genere e discriminazione.
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Collegate tale definizione dei ruoli di genere alla sessione precedente sugli
stereotipi (v. Sessione 3) e ribadite il messaggio che sono discriminatori e che,
come si è visto, sono consolidati e legittimati dalla cultura e dai mass media.
Usate l'“albero” dell'ultima sessione per ricordare come la discriminazione
diventi un fattore-chiave nel perpetuare ed esacerbare la violenza di genere.
Altre risorse:
Secondo la DEVAW, «[...] la violenza sulle donne è una manifestazione dello
squilibrio storico dei rapporti di potere fra uomini e donne che ha condotto
alla subordinazione e alla discriminazione delle donne da parte degli uomini»
(per il testo completo v. www.ohchr.org/english/law/ ).
Invitate i/le partecipanti a discutere apertamente di specifiche norme o
pratiche culturali del proprio paese o area geopolitica che potrebbero sfociare
direttamente o indirettamente nella violenza sulle donne. Mentre parlano,
elencate sulla lavagna i temi via via che emergono. (10 minuti)
Fase 3: “Relativismo culturale”
Per approfondire questi temi “culturalmente relativi”, invitate i/le partecipanti
ad esaminare alcuni esempi di violenza sulle donne (usate una selezione di
casi specifici di diverse regioni tratti dall'Appendice 7 per dimostrare come i
tabù culturali siano globali), lavorando in gruppi come in precedenza.
Chiedete loro di estrapolare alcuni esempi del modo in cui la cultura ha
portato alla violenza sulle donne o ha avuto un impatto sulle vittime (per
esempio, in molte società una donna che abbia subito violenza sessuale può
essere ripudiata dal marito e subire l’ostracismo della famiglia e della
comunità, a causa di una concezione culturalmente specifica di “onore”).
L’uso degli studi di casi contribuirà a inquadrare il tema in una prospettiva
globale. (10 minuti)
Ritornate alla sessione plenaria e chiedete a ciascun gruppo di riferire i propri
risultati. (10 minuti)
Consiglio: Non dimenticate che, quando si discute di questioni culturali, c'è
chi potrebbe obiettare che AI cerchi di imporre alle altre culture i propri
“valori occidentali”. È estremamente importante sottolineare come AI (e, in
realtà, l'intero sistema internazionale dei diritti umani) non prediliga una
cultura a scapito delle altre. In effetti, AI opera in difesa dei diritti economici,
sociali e culturali e crede nel diritto di tutti i popoli di avere un’identità
culturale e di praticare la propria cultura.
Consiglio: Se dovessero emergere contro-argomentazioni, ecco un paio di temi
centrali da evidenziare:
•
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universalità dei diritti umani: nessun essere umano può essere privato dei
propri diritti umani fondamentali; tutti ne sono titolari indipendentemente
dalla “razza” [In questo contesto il termine è ormai radicato, senza
connotazioni negative, tanto nell’uso ufficiale internazionale quanto in
quello comune: lo conserviamo, sottolineando tuttavia, tramite le virgolette,
la nostra consapevolezza del fatto che esso indica una nozione che, riferita
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al genere umano, è labilissima e controversa - n. d. trad.], dal colore della
pelle, dalla religione, dalla cultura, dal sesso ecc.: pertanto, la violenza
sulle donne non è mai accettabile e non può essere giustificata né
tollerata in nome di credenze e di pratiche culturali;
•
cultura: AI mette in discussione unicamente le pratiche culturali che
tollerano forme dirette o indirette di violenza sulle donne o altre violazioni
dei diritti umani, e riconosce inoltre la necessità di coinvolgere gli
esponenti di spicco della cultura e di educarli al tema della violenza sulle
donne, anziché alienarseli perché il loro modo di vedere può essere in
conflitto con quello di AI. AI crede fermamente nel coinvolgimento e nel
dialogo e incoraggia l’intera società, e soprattutto i mass media, a fare
altrettanto.
Consiglio: «È indispensabile tornare a coinvolgere la popolazione locale e
accogliere da essa indicazioni sulle concrete possibilità di promuovere i diritti
delle donne in un determinato contesto [...]. Senza la partecipazione e
l'appoggio [della popolazione locale], nessuna strategia tesa a promuovere i
diritti delle donne avrà mai successo» (Radhika Coomaraswami, ex-Relatrice
speciale dell'ONU sulla violenza sulle donne, gennaio 2003, UN Doc.
E/CN.4/2003/75, § 70 - dall’agosto 2003 ricopre la carica il turco Yakin
Ertürk - n. d. trad.)
Quando tutti i gruppi avranno riferito l'esito del proprio lavoro, invitateli ad
elaborare ciascuno in modo autonomo un breve gioco di ruolo o a disegnare
un cartellone che illustri il ruolo della cultura nella violenza sulle donne e
proponga una strategia chiara e risoluta per sradicarla (per es. il loro modo di
trattare la questione, la possibilità di “arruolare” esponenti di spicco della
cultura ecc.: lasciate emergere la loro creatività senza guidarli troppo). (20
minuti)
Date a ogni gruppo 5 minuti per svolgere il proprio gioco di ruolo o per
presentare le idee alla base del proprio cartellone. Riservate un po' di tempo
alla fine per ulteriori commenti o domande. (20 minuti)
Fase 4: Affrontare la sfida!
In quanto giornalisti, i/le partecipanti hanno l'opportunità di fare qualcosa per
eliminare pratiche e convinzioni nocive che sviliscono e danneggiano le donne
e ne violano i diritti fondamentali.
Quale ruolo pensate che i giornalisti e le giornaliste possano avere nel mettere
in discussione mentalità e pratiche discriminatorie?
Quale impatto potreste avere sulla violenza sulle donne nel vostro paese (o
area geopolitica) se iniziaste a mettere in pratica tali strategie?
(10 minuti)
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Consiglio: Discussioni come questa offrono a giornalisti e giornaliste uno
spazio, di cui si avverte acutamente l’esigenza, per discutere del proprio
lavoro e manifestare le proprie frustrazioni.
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SESSIONE 6 - CONCLUSIONE DEL PRIMO GIORNO
Obiettivi:
•
osservazioni finali e riepilogo
•
valutazione dei progressi fatti alla fine del primo giorno
Occorrente:
•
fotocopie con tre grosse sagome a scelta (per es. un triangolo, una stella e
un cerchio)
•
penne
Durata: 30 minuti
Fase 1: Riflessione sulla giornata
Distribuite a ogni partecipante i fogli con le tre sagome disegnate (fig. 1) e
invitate a riportare le proprie riflessioni sulla giornata nel modo seguente:
•
nel cerchio: ciò di cui si è parlato nel corso della giornata che secondo
loro ha consolidato la loro visione attuale;
•
nella stella: ciò che hanno imparato di nuovo;
•
nel triangolo: ciò che adesso vedono da un'angolazione diversa.
Figura 1
Invitate a confrontare e discutere i propri risultati con la persona vicina. (15
minuti)
Potete dedicare qualche minuto della sessione plenaria perché i/le
partecipanti possano condividere col resto del gruppo alcune delle proprie
riflessioni. (5 minuti)
Cercate di riassumere tutti i temi affrontati nel corso della giornata:
•
l’immagine delle donne nei mass media, e il modo in cui gli stereotipi
influiscono su di esse e aprono la strada alla violenza;
•
le forme, cause e conseguenze della violenza sulle donne;
•
l’ostacolo alla tutela dei diritti umani rappresentato dagli elementi
discriminatori presenti all'interno delle pratiche e delle tradizioni;
•
le strategie per superare tale ostacolo;
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•
le possibilità del giornalismo di promuovere i diritti umani, di diffondere la
coscienza dei propri diritti e di sensibilizzare il pubblico sulle cause alla
radice della violenza sulle donne.
(5 minuti)
Fase 2: Preparazione al secondo giorno
Spiegate che il giorno seguente si esaminerà una selezione di strumenti
giuridici internazionali sui diritti umani e la loro applicazione a diversi casi di
violenza sulle donne.
Il diritto internazionale dei diritti umani è uno strumento utilissimo sia per
affrontare il “relativismo culturale” sia per combattere la violenza sulle donne,
in quanto dimostra l'universalità dei diritti. Aderendo ai trattati internazionali,
i governi ne accettano l'autorità legale e i principi in essi contenuti, e sono
pertanto obbligati a far sì che le pratiche culturali non conducano alla
violenza sulle donne né la giustifichino.
Se possibile, a questo punto distribuite copie dei testi giuridici in modo che
i/le partecipanti abbiano la possibilità di leggerli una volta e di acquisirvi
familiarità prima di iniziare le sessioni del secondo giorno (v. elenco del
materiale occorrente per il secondo giorno, Sessione 1).
Rispondete ad eventuali domande. (5 minuti)
In chiusura, potete usare il diagramma di flusso (v. Appendice 3) per
rammentare la tabella di lavoro del giorno dopo; assicuratevi che tutti/-e
conoscano con precisione l'orario d'inizio. Infine, ringraziate tutti i/le
partecipanti per il loro contributo e salutate.
FINE DEL PRIMO GIORNO
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SECONDO GIORNO
SESSIONE 1 - STUDIO ED APPLICAZIONE DEGLI STRUMENTI GIURIDICI
Obiettivo:
•
approfondimento della conoscenza degli strumenti giuridici (internazionali
e nazionali/regionali) nel campo dei diritti umani e loro applicazione
all’attività giornalistica sulle tematiche inerenti alla violenza sulle donne
Occorrente:
•
casi da studiare (v. Appendice 7)
•
copie dei testi giuridici (v. Appendice 14)
•
penne
•
quattro lavagne a fogli mobili, ognuna con un foglio diviso in 4 riquadri
numerati da 1 a 4, con dello spazio in alto dove scrivere il titolo del caso
in esame
Durata: 2 ore
Fase 1: Ricapitolazione del primo giorno e programma del secondo
giorno
Ricordate nuovamente quanto è stato fatto ieri (se i/le partecipanti lo
ritengono utile usate il diagramma di flusso logico, v. Appendice 3):
•
analisi di genere dei media: l'immagine della donna nei media e il modo
in cui gli stereotipi influenzano le donne e preparano il terreno alla
violenza;
•
il potenziale del giornalismo nel promuovere i diritti umani, diffondere tra
la gente la coscienza dei propri diritti e sensibilizzare l’opinione pubblica
sulle cause fondamentali della violenza sulle donne;
•
alcune forme, cause e conseguenze della violenza sulle donne;
•
gli elementi discriminatori presenti all'interno di pratiche e tradizioni che
costituiscono un ostacolo alla garanzia dei diritti umani;
•
le strategie per superare tali ostacoli.
La giornata di oggi avrà carattere molto più pratico: si esaminerà il diritto
internazionale dei diritti umani in quanto strumento per rafforzare la propria
attività di reportage della violenza sulle donne e per combattere la supina
accettazione di questa sul piano culturale; in particolare si analizzeranno:
1. gli strumenti del diritto nazionale ed internazionale;
2. la responsabilità dello Stato nella protezione delle donne dalla violenza,
anche nella sfera domestica.
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(5-10 minuti)
Fase 2: Il valore del diritto internazionale dei diritti umani
Sollecitate uno scambio d’opinioni sui vantaggi di inquadrare nel contesto
giuridico dei diritti umani la denuncia della violenza sulle donne.
Risposte possibili:
•
credibilità: il carattere internazionale degli standard dimostra come essi
non siano un concetto esclusivamente occidentale o all'ordine del giorno
per le sole ONG;
•
tali standard offrono una strategia di contrasto al relativismo culturale;
•
offrono un quadro giuridico vincolante per affrontare la violenza sulle
donne e ottenere un'assunzione di responsabilità da parte dei governi.
Spiegate che il quadro normativo dei diritti umani è composto da vari
elementi:
•
trattati/convenzioni/patti: accordi formali, legalmente vincolanti tra Stati.
Quando uno Stato ratifica un trattato esso manifesta la propria decisione
di conformarsi completamente alle sue disposizioni e di esserne
legalmente vincolato;
•
dichiarazioni/risoluzioni: affermazioni generali di principi adottate dalle
istituzioni intergovernative (l'ONU o le istituzioni regionali per i diritti
umani) che possono avere un'autorità legale significativa, pur non essendo
necessariamente vincolanti in termini legali.
È opportuno sottolineare i seguenti punti a sostegno della tesi dell’esistenza,
in capo ai governi, dell’obbligo legale di eliminare la violenza sulle donne:
•
i diritti umani non sono imposti agli stati bensì da essi sottoscritti: ad es.,
la DEVAW è stata approvata da tutti gli stati dell'Assemblea generale
dell'ONU;
•
anche in caso di mancata adesione alla CEDAW e alla DEVAW, la maggior
parte degli Stati ha ratificato i trattati sui diritti umani che bandiscono
esplicitamente qualsiasi forma di discriminazione (il principio di nondiscriminazione è l'asse portante di tutte le convenzioni sui diritti umani, a
cominciare dalla Dichiarazione universale e dal Patto internazionale sui
diritti civili e politici).
Potrebbero emergere delle critiche al diritto internazionale dei diritti umani
relative alla difficoltà di applicarlo (rispetto al diritto nazionale) e alla
percezione comune che tale diritto sia astratto. È quindi importante ribadire
quanto segue:
•
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il Tribunale penale internazionale è un meccanismo che già vede singole
donne portare i governi in tribunale per stupro e molestie sessuali subìti
durante i conflitti armati;
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•
solitamente, trattandosi del loro ruolo in seno alla comunità internazionale,
i governi non vogliono una “pubblicità negativa” che può provocare
imbarazzo politico (come nel caso di governi donatori con iniziative per i
diritti umani in corso all'estero) nonché danni agli accordi commerciali in
corso di definizione che prevedano clausole sui diritti umani.
(10 minuti)
Fase 3: Applicare il diritto internazionale dei diritti umani al
giornalismo
Questo esercizio consiste nell’esaminare più o meno dettagliatamente uno dei
quattro testi giuridici per selezionarne gli articoli pertinenti da applicare
direttamente ad un caso specifico. Si consiglia l’uso dei seguenti documenti:
1. Dichiarazione universale dei diritti umani, CEDAW, DEVAW e la
legislazione regionale o nazionale in materia, ad es. il codice penale o la
sezione relativa al diritto di famiglia del codice civile (v. Appendice 14).
Assegnate ad ogni testo un numero da 1 a 4 corrispondente a ciascuno dei
riquadri tracciati sulle quattro lavagne a fogli mobili che avrete predisposto
prima dell’attività.
Consiglio: Per limiti di tempo non è possibile studiare accuratamente i testi
(qui si tratta solo di un’introduzione alla campagna “Mai più violenza sulle
donne”): si raccomanda quindi di fornirli ai/alle partecipanti prima del
workshop, per dar loro modo di prendervi confidenza.
Dividete i/le partecipanti in quattro gruppi (se pensate che abbiano bisogno di
una breve pausa per innalzare il proprio livello d’attenzione, utilizzate una
delle attività partecipative “energizzanti” dell’Appendice 1).
Assegnate ad ogni gruppo uno dei casi di studio, il corrispondente testo
giuridico e uno dei fogli per lavagna a fogli mobili precedentemente preparati
diviso in quattro riquadri. (fig. in basso)
Rappresentazione della lavagna a fogli mobili - titolo: “Caso
durante un conflitto”
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X - Stupro
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Spiegate loro che hanno 20 minuti per selezionare dal proprio documento
legale tutti gli articoli applicabili al caso in esame; una volta finito, dovranno
passare caso e foglio al gruppo alla loro destra (così ogni gruppo avrà un
nuovo caso da analizzare);
si ripete la fase precedente col nuovo caso; l'attività si ripete fino a quando
tutti i gruppi avranno preso visione di tutt’e quattro i casi.
(1 ora e 20 minuti)
A questo punto avrete quattro casi, ognuno dei quali con quattro gruppi di
articoli ad esso applicabili. Appendeteli ad una parete e invitate i/le
partecipanti a studiarli per qualche minuto: avranno la possibilità di vedere
alcuni esempi di articoli importanti tratti dagli altri documenti legali che non
hanno studiato.
Nel frattempo, ponete loro delle domande per raccogliere eventuali aspetti
interessanti emersi (punti in comune tra i documenti, articoli simili o
complementari ecc.). (10 minuti)
Il principio di non-discriminazione
In plenaria, ponete in risalto il fatto che il principio di non-discriminazione è
presente in tutti i documenti internazionali: la Dichiarazione universale
stabilisce che ogni individuo deve godere dei diritti umani fondamentali senza
discriminazioni in base al sesso; la Carta delle Nazioni Unite stabilisce la
parità dei diritti tra uomini e donne. Il diritto di non subire discriminazione è
la pietra angolare dei diritti umani e non può in nessun caso essere ignorato.
La Raccomandazione generale 19 del CEDAW afferma:
«La violenza di genere è una forma di discriminazione che ostacola
gravemente la possibilità per le donne di godere dei diritti e delle libertà in
condizioni di parità rispetto agli uomini» (§ 1);
«La violenza a fondamento di genere, che limita o impedisce del tutto il
godimento da parte delle donne dei diritti umani e delle libertà fondamentali
ai sensi del diritto internazionale generale o ai sensi delle convenzioni sui
diritti umani, è una forma di discriminazione secondo la definizione
contenuta nell'articolo 1 della Convenzione» (§ 7).
Tutti gli strumenti sui diritti umani si basano sul principio di nondiscriminazione, quindi anche i documenti che non fanno specifico
riferimento al genere o alla violenza sulle donne - quali la Dichiarazione
universale, il Patto internazionale sui diritti civili e politici e la Convenzione
internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale possono comunque essere applicati poiché sussiste discriminazione.
Al termine della sessione fornite ai/alle partecipanti (in fotocopie da
distribuire oppure scrivendolo sulla lavagna a fogli mobili) l'elenco dei siti
web (v. Appendice 14) presso i quali reperire i documenti per uso personale;
il pacchetto offre anche un utile excursus (v. Appendice 8) sul progresso dei
diritti delle donne nel quadro del diritto internazionale dei diritti umani che
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potete distribuire come lettura d’approfondimento al termine della sessione.
(10 minuti)
Consiglio: Incoraggiate i/le partecipanti ad esaminare in modo più
approfondito i fogli sulle altre lavagne durante la pausa; spiegate che avranno
in seguito la possibilità di fissare quanto appreso cominciando ad applicarlo
al proprio lavoro. Alla fine, lasciate i fogli appesi alla parete: saranno ottima
guida e riferimento per gli esercizi pratici del pomeriggio.
Alternativa alla Fase 3
L'esercizio può essere modificato in vari modi se siete a corto di tempo o
ritenete che sia troppo difficile. Suggeriamo qui alcune alternative:
1. assegnate ad ogni gruppo lo stesso caso, e tralasciate l'attività della
"giostra" (passarsi le lavagne ogni 20 minuti);
2. riducete il numero dei testi giuridici (usatene solo due anziché quattro, o
fornite ad ogni gruppo lo stesso documento) ma assegnate ad ogni gruppo
un caso diverso.
La scelta dipende dall’aspetto che intendete privilegiare nel processo
formativo: la varietà dei contesti di violenza sulle donne o la varietà dei quadri
normativi.
Se prima del workshop è stata condotta un'analisi delle necessità, tenetene
presenti i risultati per stabilire su quale elemento concentrare l'attenzione.
Consiglio: Potete offrirvi di trascrivere i manifesti ed inviarli ai/alle
partecipanti dopo il workshop: sarebbe un ottimo modo di consolidare le
conoscenze acquisite e fornire un facile riferimento per l’applicazione di
questi meccanismi legali nell’attività giornalistica sulla violenza sulle donne.
Inoltre ciò rappresenterà sia per AI sia per le ONG delle donne un'opportunità
per mantenere i contatti con i/le partecipanti e fornire un concreto follow-up
del workshop.
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SESSIONE 2 - RICHIAMARE I GOVERNI ALLE PROPRIE RESPONSABILITÀ
Obiettivi:
•
comprensione del concetto di “debita diligenza” (due diligence) e della
sua applicazione nell’attività giornalistica
Occorrente:
•
presentazione sulla due diligence (Appendice 9)
•
scheda sulla due diligence (Appendice 10)
•
videocassetta o DVD del cortometraggio It's in our hands: Stop violence
against women (video di lancio della campagna fornito dal Segretariato
internazionale)
•
videoregistratore o lettore DVD
•
diagramma di flusso logico (Appendice 3)
Durata: 1 ora
Da ricordare...
Nella prima parte della sessione i/le partecipanti guarderanno un
cortometraggio sulla violenza sulle donne per poi discutere degli argomenti
emersi. Siate prudenti e sensibili nel condurre il dibattito: potrebbero
verificarsi reazioni emotive molto forti, soprattutto da parte delle donne che
abbiano subito alcuni dei tipi di violenza mostrati, ma anche di uomini che
potrebbero essere stati colpiti indirettamente da questo tipo di violenza o
esserne stati testimoni (ad esempio da bambini). Per suggerimenti su come
gestire le reazioni estreme, consultate il paragrafo sulla rivelazione di
esperienze di violenza nell'Introduzione.
Uno degli argomenti delicati affrontati dal filmato è lo stupro coniugale. Siate
preparati/-e ad un dibattito particolarmente infuocato sull'argomento:
potrebbero esservi persone, anche donne, che non ammettono l'esistenza
dello stupro all'interno del matrimonio; sarà probabile il ricorso ad
argomentazioni culturali e religiose a giustificazione delle proprie posizioni.
Date ampio spazio al dibattito poiché rappresenta una fase importante del
processo di confronto aperto dei vari punti di vista in un ambiente sicuro. La
discussione e la conseguente auto-riflessione potrebbero indurre i/le
partecipanti a cominciare a mettere in discussione alcuni elementi delle loro
stesse profonde convinzioni. Tuttavia, la discussione dovrà essere
attentamente moderata: consigliamo vivamente la presenza al workshop, con
funzione di consulenza o facilitazione, di una rappresentante di una ONG per
le donne: questo dibattito estremamente delicato è la sede ideale per
accostarsi alla competenza e all’esperienza “sul campo” maturata dalle
associazioni.
Può risultare utile avere a disposizione alcune definizioni legali: ad esempio,
dello stupro e delle altre forme di violenza sessuale il Tribunale penale
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internazionale dà una definizione estensiva, non limitata all’uso della forza
fisica bensì incentrata sugli atti coercitivi del perpetratore, minacce e
oppressione psicologica comprese. Anziché definire lo stupro unicamente in
termini di penetrazione forzata del pene nella vagina, se ne dà una
definizione scevra di connotazioni di genere (riconoscendo che anche uomini
e bambini possono subirlo), che si riferisce in generale all'invasione del corpo
della vittima, comprendendo lo stupro per mezzo di oggetti e il sesso orale
forzato.
Può essere altresì utile aver sottomano dei brani (o la loro interpretazione)
tratti da testi religiosi o codici penali locali che trattino della protezione delle
donne dalla violenza.
Fase 1: Cortometraggio e commenti
Proiettate il cortometraggio della durata di 10 minuti It's in our hands: Stop
violence against women: è una risorsa formidabile per consolidare
l’apprendimento circa le diverse forme e i diversi contesti di violenza sulle
donne. Contiene commoventi testimonianze personali che aiutano a
interiorizzare la realtà, l'orrore e le conseguenze della violenza; inoltre vi si
introduce il concetto di “debita diligenza” (ingl. due diligence: la
responsabilità dello Stato di proteggere le donne dalla violenza di genere),
fornendo vari esempi di occasioni in cui lo Stato ha mancato di attivarsi per
prevenire tale violenza o per portarne i perpetratori dinnanzi alla giustizia.
(10 minuti)
Dopo il video invitate i/le partecipanti ad esprimere la loro reazione.
Approfondite con domande più specifiche:
•
Quali forme di violenza erano citate?
•
Quali erano i contesti?
•
Quali tematiche relative allo stupro sono state toccate?
1. lo stupro come arma durante un conflitto
2. la diffusione dell' HIV/AIDS,
3. l’esclusione sociale delle vittime di stupro
•
Fino a che punto il pregiudizio e la discriminazione, tollerati dalla cultura,
hanno condizionato le donne vittime di violenza?
Il filmato presenta casi di donne che per la vergogna associata alla violenza
rinunciano a chiedere giustizia o che, dopo uno stupro, vengono allontanate
da casa dal partner per una “questione d'onore”.
Punti che devono emergere dal dibattito:
1. l’universalità della violenza sulle donne: il suo essere un'epidemia
mondiale senza confini, non legata soltanto a questioni economiche o di
sviluppo, etnia, nazionalità o cultura (anche se tutti questi fattori possono
contribuire, soprattutto se nell’identità d’una donna alcuni aspetti si
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sovrappongono: ad es. le donne appartenenti a minoranze etniche povere
ed emarginate molto probabilmente sono ancora più vulnerabili,
subiscono una più profonda discriminazione, hanno più limitato accesso
alla giustizia ecc.; per ulteriori informazioni v. It's in our hands, op. cit.,
cap.5);
2. l’indifferenza dello Stato come fattore aggravante;
3. la responsabilità dello Stato di attivarsi per proteggere le donne (è ciò che
in termini legali si definisce appunto “debita diligenza”), e l’impunità di
cui godono gli attori statali in caso di mancato esercizio della due
diligence.
(10 minuti)
Consiglio: Nella Raccomandazione generale 19, § 9, il CEDAW afferma che
«Ai sensi del diritto internazionale generale e delle specifiche convenzioni sui
diritti umani, gli Stati possono essere ritenuti responsabili anche di atti privati
se non agiscono secondo debita diligenza per prevenire la violazione dei diritti
o per indagare sugli atti di violenza e punirli, e per fornire un risarcimento» (il
neretto è nostro).
Fase 2: La “debita diligenza”
A questo punto svolgete la presentazione sulla due diligence (v. Appendice 9),
che approfondisce i temi affrontati nel video. Al termine, dedicate qualche
momento alle domande e distribuite la scheda relativa (v. Appendice 10). (15
minuti)
Fase 3: Esercizio sulla “debita diligenza”
Distribuite delle copie del comunicato stampa (v. Appendice 11) e lasciate
qualche minuto per leggerlo. (10 minuti)
Proponete una discussione sui seguenti punti (l'attività può essere svolta in
plenaria o a coppie o a piccoli gruppi):
1. Perché in questo caso può essere applicata la debita diligenza?
2. Quali sono i fattori principiali che danno luogo alla debita diligenza?
Risposte possibili:
•
la polizia ha dato prova di indifferenza: ha trascurato di registrare una
dichiarazione da parte della ragazza durante la permanenza in ospedale e
ha dedicato scarso impegno alle ricerche dell'uomo, nonostante le prove
certe di molestia [il c.d. stalking, persecuzione privata condotta in varie
forme: telefonate, pedinamenti, danni alle proprietà ecc. - n. d. trad.],
effrazione, violazione di domicilio ed aggressione con un'arma letale che
ha provocato lesioni gravissime;
•
il limite d'età per la presunzione del consenso all’atto sessuale è troppo
basso: questo potrebbe essere interpretato come una mancata tutela dei
diritti delle bambine, che le espone al pericolo;
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•
i tribunali non mettono a disposizione un luogo sicuro nel quale le donne
possano rendere testimonianza della violenza, in particolar modo di quella
sessuale;
•
è chiaramente disatteso il Domestic Violence Act.
(10 minuti)
Chiedete ai/alle partecipanti quanto può essere utile, secondo loro,
l’applicazione di tale concetto nell’attività giornalistica. (5 minuti)
Consiglio: Se tutto va bene, riconosceranno l'estrema utilità del concetto,
soprattutto perché riporta la responsabilità della violenza sulle donne dalla
sfera privata a quella pubblica. I governi sono tenuti ad adottare misure
efficaci per porvi fine: ciò significa che devono non solo assicurare che i
propri agenti non commettano atti di violenza sulle donne, ma anche adottare
misure efficaci per prevenire e punire tali atti da parte dei privati cittadini.
Se uno Stato non agisce con diligenza per prevenire e punire la violenza sulle
donne, da chiunque commessa, compiendo indagini approfondite per ogni
denuncia, può essere ritenuto responsabile dell'abuso (standard della debita
diligenza, v. sopra). Ciò non esime gli effettivi colpevoli e i loro complici
dall'essere perseguiti e puniti per il loro crimine (v. It's in our hands, op. cit.,
cap.6).
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SESSIONE 3 - ESERCIZI PRATICI- APPLICAZIONE DI TESTI E STRUMENTI
LEGALI
Obiettivi:
•
esercizi d’applicazione del diritto internazionale dei diritti umani (in
primis il principio della debita diligenza) ai casi di violenza sulle donne
•
studio degli approcci basati sul genere nel trattamento mediatico dei casi
di violenza sulle donne, con esercizi e discussione delle tecniche di
intervista
Occorrente:
•
lavagne a fogli mobili
•
penne
Durata: 1 ora
Consiglio: Se a condurre la facilitazione insieme a voi c'è una persona esperta
di formazione in campo giornalistico, l'ideale sarebbe che seguisse molto da
vicino la presente sessione e la successiva, così da poter guidare i gruppi
nella redazione dei testi ed integrare consigli generali sul loro stile
giornalistico: ciò darà ai/alle partecipanti il senso concreto della progressiva
acquisizione di una valida esperienza pratica a 360 gradi.
Fase 1: Rompere il ghiaccio
Coccodrilli e isole
Ricavate uno spazio nella stanza, disponete sul pavimento tre o quattro fogli
per lavagna a fogli mobili e spiegate che rappresentano delle "isole": le
persone dovranno camminarvi attorno, e quando darete il segnale
“Coccodrillo!” tutte dovranno correre a collocarsi sopra un'isola, e chi non
trova posto è fuori per quel turno; fate un paio di giri, ogni volta piegando le
"isole" a metà per aumentare la difficoltà. Alla fine la maggior parte delle
persone sarà stata eliminata ma avranno fatto una bella corsetta e saranno più
energiche e pronte per l'attività successiva. (5 minuti)
Fase 2: Applicare il diritto internazionale dei diritti umani
Spiegate ai/alle partecipanti che in questa sessione avranno la possibilità di
applicare il quadro giuridico nella redazione di un brano giornalistico.
Rimanendo nello stesso gruppo di prima, sceglieranno un caso reale (oppure
ne inventeranno uno) che sia particolarmente significativo per il loro contesto
di lavoro o specializzazione, e su di esso dovranno redigere collettivamente,
scrivendolo sulla lavagna a fogli mobili, un articolo molto breve (circa 200
parole), avendo a disposizione 35 minuti; ogni gruppo sceglierà poi una
persona per la presentazione in plenaria.
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Ricordate loro di prendere in considerazione i seguenti punti (scriveteli sulla
lavagna a fogli mobili):
•
obiettività;
•
evitare stereotipi o espressioni sessiste;
•
affrontare il relativismo culturale;
•
far riferimento agli strumenti giuridici pertinenti;
•
far riferimento al concetto di debita diligenza.
(35 minuti)
I gruppi presenteranno quindi i loro scritti, dando agli altri gruppi la
possibilità di commentarli. In alternativa, si possono appendere i lavori finiti
su una parete libera e i gruppi possono, dopo breve lettura, fornire un
commento scritto su un foglio posto accanto all'articolo.
(20 minuti)
Alternativa alla Fase 2
Potete proporre una discussione a coppie, con reciproca analisi del lavoro
svolto: alcune persone potrebbero preferirlo, e ciò consentirà di scrivere un
articolo più corposo. Se tra i/le partecipanti vi sono persone che lavorano alla
radio o alla televisione, potreste adattare l'attività chiedendo loro di
organizzare un breve servizio radiofonico o televisivo. Le persone più esperte
potrebbero voler lavorare da sole e produrre articoli più lunghi.
Un’idea in più:
A conclusione del workshop potreste organizzare un premio giornalistico per il
miglior reportage (reale) sulla violenza sulle donne.
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SESSIONE 4 - TECNICHE D’INTERVISTA
Obiettivo:
•
sensibilizzazione all'importanza di un approccio improntato a sensibilità
alle questioni di genere per intervistare le donne vittime di violenza
Occorrente:
•
schede o foglietti ognuno con uno dei seguenti casi fittizi (se non si riesce
a prepararli in anticipo, si possono scrivere i casi su una lavagna a fogli
mobili, numerandoli da 1 a 4):
1. una domestica che viene picchiata regolarmente dal proprio datore di
lavoro e chiusa a chiave nella propria stanza di notte;
2. una donna che da più di 10 anni viene picchiata dal marito, che la
minaccia di morte se lo lascia;
3. una donna condannata a morte per adulterio;
4. una ragazza diciottenne costretta a sposare un parente che abusa di lei.
Durata: 1 ora
Consiglio: Potete aggiungere altri casi selezionati a vostro criterio dai materiali
propagandistici della campagna donne (It's in our hands, op.cit., o uno dei
volantini riprodotti nell'Appendice 7), o uno di rilevanza locale indicato da
una ONG per le donne. Consigliamo caldamente di scegliere un caso che non
includa la violenza sessuale, poiché è molto più complesso e richiederebbe
molto più tempo e formazione; provateci solo se c'è una rappresentante di
una ONG per le donne o una persona che si occupi di formazione giornalistica
con esperienza in questo campo. Consigliamo i seguenti testi di riferimento:
•
AI Publications e International Centre for Human Rights and Democratic
Development (Centro internazionale per i diritti umani e lo sviluppo
democratico), Investigating Women's Rights Violations in Armed Conflict
[L’indagine sulle violazioni dei diritti delle donne nei conflitti armati],
2001;
•
AI Olanda e Council for the Development of Social Science Research in
Africa (Consiglio per lo sviluppo della ricerca nel campo delle scienze
sociali in Africa, CODESRIA), Monitoring and Investigating Sexual
Violence [La vigilanza e l’indagine sulla violenza sessuale], 2000,
www.amnesty.nl oppure www.africanbookscollective.com .
Fase 1: Preparazione
Facendo riferimento ad alcuni dei casi usati precedentemente e nel primo
giorno, chiedete ai/alle partecipanti quali problemi potrebbero incontrare
nell'intervistare le donne coinvolte; elencate i punti-chiave sulla lavagna.
Consentite ai partecipanti di riportare qualsiasi esperienza giornalistica diretta
maturata nel campo. Il messaggio principale è che tale compito richiede
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grande sensibilità e comprensione ed è difficile tanto per l'intervistata che per
chi intervista. (10 minuti)
Distribuite le copie dell'Appendice 12 che presenta le linee-guida sulla
metodologia della ricerca improntata a sensibilità alle questioni di genere.
Lasciate 10 minuti per leggerle e rispondete alle eventuali domande. (10
minuti)
Fase 2: L’intervista (gioco di ruolo)
Dividete i/le partecipanti in coppie (se sono in numero dispari, supplirete voi
o la persona vostra co-facilitatrice), assegnate ad ognuna un caso e spiegate
loro che dovranno rappresentare la situazione descritta calandosi nella parte,
rispettivamente, del/-la giornalista e della vittima. Lasciate 10 minuti per la
preparazione e 20 per tutte le rappresentazioni. (30 minuti)
Consiglio: In questa sessione osservate con attenzione e prendete nota di
eventuali aspetti particolarmente interessanti, da riferire loro alla fine
dell'esercizio, o dopo la discussione sulle domande riportate qui di seguito.
Ma attenzione: occorre sensibilità; nessuno deve sentirsi escluso od oggetto di
critica personale; per questo motivo è importante concentrarsi sugli esempi
positivi delle cose che hanno funzionato bene: l'idea è di usarli per illustrare i
punti di apprendimento importanti.
Fase 3: Feedback
Scrivete le domande seguenti sulla lavagna a fogli mobili (o preparatele in
anticipo) e invitate i/le partecipanti a discuterne in coppia per poi condividere
le risposte con tutto il gruppo:
1. Quanto è riuscita l'intervista secondo voi e perché?
2. Come vi sentivate (soprattutto chi interpretava la "vittima")?
3. Quali erano gli aspetti provocatori?
4. Come applichereste questa esperienza al vostro lavoro in futuro?
Annotate sulla lavagna ogni punto importante che emerge dalla discussione in
plenaria. (10 minuti)
Ribadite che intervistare donne che hanno subito violenza è estremamente
delicato e richiede un’intensiva formazione specialistica che i limiti di tempo
di questo workshop non consentono.
Altre risorse:
Potete trovare informazioni utili su internet, come le seguenti in inglese:
•
www.lshtm.ac.uk/hpu/docs/WHO.pdf (raccomandazioni dell'OMS su come
intervistare donne vittime di traffico);
•
www.journalism.org/resources/tools/reporting/interviewing/tips.asp?from=pr
int.
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Per risorse in altre lingue, dovrete documentarvi personalmente prima del
workshop.
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SESSIONE 5 - CONCLUSIONE DEL WORKSHOP
Obiettivi:
•
conclusione del workshop
•
valutazione
Occorrente:
•
cartoline vuote (preferibilmente della campagna AI “Mai più violenza sulle
donne”)
•
penne
•
elenchi di contatti (partecipanti e Sezioni/strutture/IS)
•
moduli di valutazione (v. Appendice 13)
Durata: 45 minuti
Eccoci alla sessione conclusiva. È importante che le persone si congedino
sentendosi motivate e pronte a mettere in pratica quanto appreso.
Consiglio: È sempre forte la tentazione di concludere un workshop in anticipo
saltando l'ultima sessione, dal momento che i/le partecipanti sono quasi
sicuramente stanchi ed hanno già impegnato molto del loro tempo prezioso.
Tuttavia, vi raccomandiamo di dedicare sufficiente tempo a questa sessione
perché:
•
aiuterà a tirare le somme dell'intero workshop;
•
darà spazio ad ulteriori domande;
•
darà la possibilità di rafforzare i nuovi rapporti professionali ed umani
creati nei due giorni trascorsi;
•
vi consentirà di distribuire eventuali materiali aggiuntivi di AI o d’altra
fonte.
Fase 1: Ricapitolazione
Ricordate tutte le aree tematiche affrontate (usando il diagramma di flusso
logico se lo ritenete utile) e richiamate alcuni degli elementi-chiave emersi in
ogni sessione (per illustrarne alcuni può essere utile tener sottomano il lavoro
riportato sui fogli delle lavagne). È importante ribadire quanto segue:
1. la violenza sulle donne esiste dappertutto: non conosce confini economici,
religiosi, culturali, geografici;
2. la violenza sulle donne è un'epidemia mondiale, con gravi conseguenze
fisiche e psicologiche a breve e lungo termine, ivi comprese conseguenze
per la salute che possono essere fatali e si ripercuotono a cascata
sull’intera società;
3. la violenza sulle donne si verifica tanto durante i conflitti quanto in tempo
di pace;
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4. gli stereotipi consolidati nei media hanno un ruolo importante nel
perpetuare la discriminazione nei confronti delle donne, che spiana la
strada alla violenza e ad altre violazioni dei diritti umani;
5. la violenza sulle donne persiste a causa di leggi e mentalità
discriminatorie che svalutano le donne, dell'indifferenza dello Stato, e
dell'impunità di cui godono gli attori statali;
6. la violenza sulle donne non è inevitabile: giornalisti e giornaliste possono
svolgere un ruolo cruciale sia nel far cadere gli stereotipi sia nel
denunciare la portata e la diffusione di tale violenza nella società;
7. giornalisti e giornaliste sono responsabili di assicurare l'applicazione della
prospettiva di genere in tutti i campi della loro professione, e si spera che
questo workshop sia stato utile contributo in tal senso;
8. il diritto internazionale dei diritti umani e il principio della debita
diligenza sono strumenti utilizzabili nel giornalismo per affrontare la
violenza sulle donne e richiamare i governi alle proprie responsabilità;
9. giornalisti e giornaliste giocano inoltre un ruolo importante nel risvegliare
la consapevolezza dell'opinione pubblica riguardo ai meccanismi legali in
materia di diritti umani.
(5 minuti)
Ritornate brevemente sulle loro aspettative per il workshop e chiedete loro
fino a che punto siano state soddisfatte. Ribadite che il workshop è stata solo
un’introduzione, ma che sperate che essi abbiano acquisito abbastanza
preparazione sull'argomento e il quadro giuridico da essere in grado di
approfondirli e di iniziare ad applicare quanto appreso all’attività giornalistica.
Se vi sono dei punti che i/le partecipanti desiderano affrontare o approfondire,
esprimete l’auspicio di mantenervi in contatto con loro e segnalate che anche
dopo il workshop potranno rivolgersi ad AI per ulteriori informazioni e risorse.
Fase 2: Promemoria personale
1. Invitate i/le partecipanti a riflettere per qualche minuto sul workshop e ad
elencare tre cose che possano realisticamente impegnarsi a fare nella loro
vita professionale per fermare la violenza sulle donne;
2. dovranno scrivere queste promesse sulle cartoline vuote che sono state
loro fornite e indirizzarle a se stessi/-e;
3. raccogliete le cartoline, che spedirete loro ad un mese dalla fine del
workshop: esse rappresenteranno un ricordo del tempo passato qui,
l'inizio del follow-up, un modo per mantenere il contatto con AI, e un
garbato promemoria degli impegni assunti per chi non li avesse ancora
rispettati!
(15 minuti)
Per chiudere la sessione, chiedete ai/alle partecipanti di quali aiuti e risorse
aggiuntivi potrebbero aver bisogno da AI e fate un elenco delle risposte sulla
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lavagna per vostro uso. Distribuite la lista dei contatti, ai quali potranno
rivolgersi in qualsiasi momento: quelli della relativa Sezione/struttura
nazionale e, presso il Segretariato internazionale, l’ufficio stampa regionale e
quello della campagna “Mai più violenza sulle donne” del Media and AudioVisual (MAV) Programme (programma media e audio-visivo), entrambi
all'indirizzo di posta elettronica [email protected] .
Potete inoltre incoraggiare l’adesione ad una rete professionale “amnistiana”
sulla campagna donne, o la sua creazione: sarebbe il modo migliore per loro
di aiutarsi reciprocamente e per voi di mantenere un rapporto fecondo con
loro per la durata della campagna e oltre.
Distribuite i moduli di valutazione che avevano cominciato a compilare alla
fine del primo giorno e lasciate 10 minuti per completarli con le impressioni
della giornata di oggi: ricordate che questa è la loro occasione di fornire ad AI
un valido feedback per migliorare il workshop in futuro. Le valutazioni volendo
possono essere anonime. (10 minuti)
Consiglio: È molto importante ottenere le valutazioni complete; se vi chiedono
di spedirle dopo il workshop, è molto probabile che non saranno mai
completate: molti validi insegnamenti andranno così perduti e il
perfezionamento del workshop sarà ritardato.
Raccogliete i moduli di valutazione. Ringraziate tutti i/le partecipanti per il
loro tempo e invitateli a svolgere il loro importante ruolo nell'informare le
donne dei loro diritti, nel modificare i comportamenti violenti nei loro
confronti e nel creare una cultura in cui tutte le persone vedano rispettati i
propri diritti umani e vivano libere dal timore della violenza.
Non mancate inoltre di ringraziare tutte le persone che hanno contribuito alla
progettazione e alla realizzazione del workshop: staff di AI, volontari e
volontarie, personale tecnico, relatori e relatrici, osservatori ed osservatrici
delle ONG delle donne sul territorio, e chi ha condotto la facilitazione insieme
a voi. (5 minuti)
FINE DEL WORKSHOP
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APPENDICI
APPENDICE 1 - ATTIVITÀ DI STIMOLO E AGGREGAZIONE
Trovate una persona che indossa…
Invitate i/le partecipanti a camminare liberamente per la stanza, rilassandosi.
Quando direte ad alta voce “Trovate una persona che indossa… (nominate un
capo di vestiario)”, dovranno correre vicino alla persona che indossa
quell’indumento o accessorio e fermarsi vicino a lei. Ripetere il gioco più
volte con capi diversi.
Cinque isole
Con un gesso disegnate cinque cerchi sul pavimento, grandi abbastanza da
contenere tutti i/le partecipanti, e date un nome ad ognuna di queste “isole”:
ogni partecipante andrà ad “abitare” sull’isola preferita. Quindi avvertite che
una delle isole affonderà presto: le persone che vi “abitano” dovranno
trasferirsi rapidamente su un’altra isola. Lasciate crescere la suspense e poi
nominate l’isola che sta affondando: le persone correranno in una delle altre
quattro. Il gioco continua finché tutti saranno pigiati in una sola isola.
Carta e cannucce
I/le partecipanti si dividono in squadre e ricevono una cannuccia a testa. Ogni
squadra si dispone in fila e mette un pezzo di carta all’inizio della fila.
Quando il gioco comincia, la prima persona della fila deve prelevare il pezzo
di carta con la cannuccia succhiando l’aria e passarlo alla seconda che lo
reggerà nella stessa maniera, e così via. Se il pezzo di carta cade, la squadra
ricomincia da capo.
Passa l’energia
I/le partecipanti si mettono in cerchio, seduti o in piedi, tenendosi per mano e
concentrandosi in silenzio. Mandate una serie di “impulsi” in entrambe le
direzioni, stringendo la mano alle persone vicino a voi senza farvi scorgere:
esse li trasmetteranno nello stesso modo lungo il cerchio, “energizzando”
letteralmente il gruppo.
Nodi
I/le partecipanti si mettono in cerchio, si prendono per mano e senza lasciarsi
cominciano a muoversi in tutte le direzioni, girando e torcendosi fino a creare
un “nodo”: poi dovranno scioglierlo, sempre senza smettere di tenersi per
mano.
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Guidare e condurre
I/le partecipanti si dividono a coppie: una persona si mette una benda e
l’altra la guiderà con cautela in giro per la stanza, facendo attenzione che non
urti nulla. Dopo qualche tempo farete invertire i ruoli. Alla fine si discuterà
insieme delle sensazioni provate nel dover fare affidamento su un’altra
persona per muoversi senza farsi male.
Flic floc
In cerchio, ogni persona conterà progressivamente rimpiazzando ogni numero
divisibile per 3 con la parola “flic”, ogni numero divisibile per 5 con la parola
“floc” e ogni numero divisibile sia per 3 che per 5 con “flic-floc”. Andate
avanti e vedete fino a dove riuscite ad arrivare!
Statue
Formate due cerchi concentrici con egual numero di persone, le quali si
fronteggeranno a coppie. Ogni persona facente parte del cerchio esterno sarà
“scultore/scultrice”: in dieci secondi di tempo, userà la persona che ha di
fronte per creare una “statua”, piegandone ed atteggiandone le membra a suo
piacimento (naturalmente evitando atti o posizioni umilianti e/o dolorosi!). La
“statua” dovrà lasciar fare e rimanere in silenzio nella posizione fintanto che
non darete il segnale “Tempo!”: allora il cerchio esterno ruoterà verso sinistra
di una persona e si ricomincia. A giro completato, il cerchio interno passerà
all’esterno, di modo che ogni persona abbia la possibilità di rivestire entrambi
i ruoli.
Gioco del sì e del no
I/le partecipanti si dispongono su due file, fronteggiandosi a coppie. Una fila
dovrà dire “sì” in tutti i modi possibili, l’altra dovrà cercare di far cambiare
idea al/alla partner dicendo “no” nella maniera più convincente possibile, poi
si scambiano i ruoli. Quindi si aprirà una discussione sulle sensazioni provate:
come ci si sentiva a dire “sì” e “no”? Che cosa è stato più facile a dirsi?
A workshop terminato: scrivere sulla schiena
I/le partecipanti si attaccano un foglio di carta sulla schiena, e
reciprocamente vi scrivono che cosa hanno trovato piacevole, apprezzato,
ammirato della persona che lo porta: potranno poi conservare il proprio foglio
per ricordo.
Riflettere sulla giornata
I/le partecipanti si passano una palla di carta: la persona in possesso di palla
potrà esprimere un giudizio o una riflessione sulla giornata.
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APPENDICE 2 – PROGRAMMA DI LAVORO
Primo giorno
Descrizione sessione
Obiettivi
Sessione 1: Sessione
d’apertura
Presentazioni
Durata: 1 ora
I/le partecipanti esprimono le proprie
aspettative
Illustrazione del programma di lavoro e
chiarimenti
Sessione 2: Esaminare il
ruolo dei mass media nel
campo dei diritti umani
Durata: 1 ora
Comunicare e far comprendere al gruppo le
idee di ciascun/-a partecipante
relativamente ai diritti umani, a ciò che
lui/lei considera proprie responsabilità in
quanto giornalista e alle sfide che
l’aspettano
Pausa
Sessione 3: L’immagine
delle donne quale emerge
dal linguaggio e dalle
illustrazioni utilizzati nei
mass media
Durata: 1 ora
Analisi delle responsibilità connesse
all’immagine delle donne offerta dai mass
media
Le ripercussioni di tale immagine mediatica
sulla violenza sulle donne
Pranzo
Sessione 4: Forme, cause
e conseguenze della
violenza sulle donne
Analisi delle varie forme di violenza sulle
donne, delle sue cause principali e delle
ripercussioni sull'individuo e sulla società
Durata: 1 ora
Pausa
Sessione 5: La questione
culturale
Durata: 1 ½ ora
Sessione 6: Conclusione
Durata: 30 minuti
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Le strategie per superare gli ostacoli
culturali che impediscono di porre fine alla
violenza sulle donne
Riflessione sulla prima giornata di lavoro e
riepilogo dei punti d’apprendimento salienti
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Secondo giorno
Descrizione sessione
Obiettivi
Sessione 1: Il quadro
giuridico dei diritti umani
come strumento operativo
Approfondimento della conoscenza degli
strumenti giuridici (internazionali e
nazionali/regionali) e loro applicazione
all’attività giornalistica sulle questioni attinenti
alla violenza sulle donne
Durata: 2 ore
Pausa
Sessione 2: Uno sguardo al
concetto di “debita
diligenza” (due diligence)
Comprensione del concetto di ”debita
diligenza” e della sua applicazione
nell’attività giornalistica
Durata: 1 ora
Pranzo
Sessione 3: Affinamento
delle capacità nell'attività
giornalistica nel campo dei
diritti umani
Applicazione degli strumenti giuridici nel
reportage di casi concreti
Durata: 1 ora
Pausa
Sessione 4: Tecniche
d’intervista
Adozione della prospettiva di genere nelle
interviste
Durata: 1 ora
Sessione 5: Plenaria
conclusiva
Durata: 45 minuti
Commenti finali e riepilogo:
raccomandazioni sull’adozione della
prospettiva di genere nei media
valutazione personale
Fine
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APPENDICE 3 – STRUTTURA LOGICA DEL WORKSHOP (DIAGRAMMA DI
FLUSSO)
Primo giorno
Secondo giorno
• Presentazioni
• Riepilogo del primo giorno
• Aspettative
• Meccanismi legali in materia di
violenza sulle donne
• Programma di lavoro
• I diritti umani e il ruolo dei
mass media
• Temi e sfide
Pausa
Pausa
• Analisi della sensibilità di
genere dei mass media
• Presentazione e applicazione
del concetto di “debita
diligenza”
Pranzo
Pranzo
• Forme e cause della violenza
sulle donne
• Esercizio pratico 1:
applicazione degli strumenti
acquisiti
Pausa
Pausa
• La questione culturale:
problemi e strategie
• Esercizio pratico 2:
adozione della prospettiva di
genere nelle interviste
• Riepilogo del primo giorno
• Riepilogo delle due giornate
• Illustrazione del secondo
giorno
• Conclusione
• Eventuali domande
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• Raccomandazioni
• Valutazioni
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APPENDICE 4 – RACCOMANDAZIONI PER UN GIORNALISMO CHE FACCIA
PROPRIA LA PROSPETTIVA DEL GENERE
Domande:
1. Quali sono le fonti della notizia? Fra esse vi sono delle donne?
2. Da che punto di vista sono riportati i fatti?
3. Vi sono stereotipi nella relazione della notizia?
4. Il linguaggio è oggettivo?
5. Le illustrazioni che accompagnano il servizio corrispondono al contenuto?
Le donne vi sono presentate/sfruttate come immagini di fantasie sessuali?
Lingua:
•
impiegate termini ed espressioni neutre o astratte che includano entrambi
i sessi, o la duplice forma maschile/femminile (o femminile/maschile!)
•
evitate i suffissi femminili -essa, -trice ecc. suscettibili di connotazione
negativa, e le espressioni che diano per scontato il sesso della persona cui
si riferiscono (alcune alternative sono indicate qui sotto);
•
descrivete le donne in quanto persone, individui autonomi, e non in
termini di relazione con altri.
FRASI E SUFFISSI D’USO COMUNE
FRASI E SUFFISSI ALTERNATIVI
l’uomo, gli uomini (in senso generale)
gli esseri umani, l’umanità, il
genere umano, le persone, la
gente
diritti dell’uomo
diritti umani
fratellanza
solidarietà umana, solidarietà
uomini d’affari
sing.: donna d’affari, manager
plur. (specie se collettivo): “i/le
manager”, “il mondo/l’ambiente
manageriale”, “la direzione
amministrativa” ecc.
donna delle pulizie
persona addetta alle pulizie
pompiere
il/la vigile del fuoco
donna-poliziotto
poliziotta, funzionaria di polizia
vigilessa
(una/la) vigile
“relatore: Maria Rossi”
“relatrice: Maria Rossi”,
“relatori: Giovanni Bianchi,
Maria Rossi, Anna Neri”,
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“relatori e relatrici:” ecc.
“relazioni/interventi di:” ecc.
“Maria Rossi, presidentessa di…”
“Maria Rossi, presidente di…”
“Maria Rossi, direttore di…”
“Maria Rossi, direttrice di…”
“il sindaco Maria Rossi”
“la sindaca Maria Rossi”
“l’assessore Maria Rossi”
“l’assessora Maria Rossi”
(un calco rigoroso dal latino
vorrebbe assessrice)
“il giudice Maria Rossi”
“la giudice Maria Rossi”
“Maria Rossi, avvocato”
“Maria Rossi, avvocata”
Quando non è noto il sesso della persona in questione, per evitare di dare per
scontato che si tratti d’un uomo:
il relatore
“il/la relatore/-trice”
“il relatore o la relatrice” (o
anteponendo la forma femm.)
“la persona che presenta la
relazione” ecc.
il presidente
“il/la presidente”
“la presidenza”
il legislatore
“l’ordinamento giuridico”
“il potere legislativo” ecc.
(secondo i casi)
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APPENDICE 5 – L’IMMAGINE DELLE DONNE NEI MEDIA
Presentazione PowerPoint
Questa presentazione è disponibile in internet nel database HRE (per
informazioni sull’accesso contattate il team HRE del Segretariato
internazionale: [email protected]); potete utilizzarla nel corrente formato,
con la raccomandazione di adattarla alle specifiche necessità locali e al vostro
stile personale.
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APPENDICE 6 – FORME E CONTESTI DELLA VIOLENZA SULLE DONNE
Presentazione PowerPoint
Questa presentazione è disponibile in internet nel database HRE (per
informazioni sull’accesso contattate il team HRE del Segretariato
internazionale: [email protected] ); potete utilizzarla nel formato corrente,
con la raccomandazione di adattarla alle specifiche necessità locali e al
vostro stile personale.
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Appendice 7 - CASI INDIVIDUALI DA ANALIZZARE
1. Private della protezione della legge – violenza domestica
María Teresa Macías (USA)
«Se io muoio, voglio che raccontiate a tutti quello che mi è successo. Non
voglio che altre donne soffrano come ho sofferto io. Voglio che siano
ascoltate»
María Teresa Macías (Teresa) aveva molti buoni motivi per temere che suo
marito l’avrebbe uccisa.
Durante i 18 mesi precedenti la sua morte, Teresa si era rivolta alla polizia
più di 20 volte. Suo marito picchiava e violentava lei e i loro tre figli. Dopo
che Teresa aveva abbandonato la casa di famiglia, lui l’aveva perseguitata
continuamente (il c.d. stalking), terrorizzandola e minacciandola di morte. Il
15 aprile 1996 l’ha uccisa con un colpo di fucile, poi ha sparato due volte
alla suocera prima di rivolgere l’arma contro se stesso.
Nei mesi precedenti, il marito di Teresa non era mai stato arrestato per non
aver rispettato le ordinanze del tribunale che gli proibivano di avvicinarla o di
mettersi in contatto con lei; le richieste d’aiuto della donna, addirittura quasi
mai registrate, erano state ignorate dalla polizia e non era stato preso alcun
provvedimento. Le associazioni che si battono per i diritti delle donne hanno
condotto indagini sul caso di Teresa, hanno fornito assistenza legale e
sostegno alla sua famiglia ed hanno lanciato una campagna nazionale.
Soltanto dopo sei anni di azioni legali il dipartimento dello sceriffo della
Contea di Sonoma (California) è stato chiamato a rispondere della mancata
protezione di María Teresa Macías.
La famiglia di Teresa ha intentato una causa federale per violazione dei diritti
civili, sostenendo che a Teresa non erano stati riconosciuti i propri diritti
costituzionali: le era infatti stata negata una protezione non discriminante
poiché era una donna, vittima di violenza domestica, nonché appartenente a
una minoranza etnica. Nel luglio 2000 la Corte d’appello statunitense,
ribaltando la sentenza precedente che archiviava il caso, ha dichiarato che a
Teresa non era stato riconosciuto il diritto costituzionalmente sancito di
usufruire della protezione della polizia senza discriminazioni, e ha
condannato il Dipartimento dello sceriffo a versare alla famiglia di Teresa un
risarcimento di un milione di dollari (disposizione attuata nel giugno 2002).
Tale sentenza, che ha creato un precedente, costituisce, per le istituzioni
preposte all’applicazione della legge di tutti gli Stati della federazione, un
forte richiamo all’obbligo di proteggere le donne dalla violenza, adottando
provvedimenti efficaci per prevenire e punire simili episodi, chiunque ne sia
responsabile.
Ma simili sentenze non sono ancora abbastanza. Secondo gli ultimi dati del
governo, nel 2001 si sono verificati almeno 700.000 casi di violenza
domestica negli Stati Uniti e circa un terzo delle donne uccise ogni anno è
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vittima dell’ex o dell’attuale compagno. Nonostante l’aumento degli
stanziamenti nei bilanci nazionali e delle iniziative per combattere la violenza
sulle donne, come i centri antiviolenza che forniscono servizi di sostegno alle
vittime di violenza domestica, le donne come Teresa continuano a subire
perché non ricevono adeguata protezione.
Fonte: “Stop violence against women: USA ‘If I die, I want you to tell the
world what happened to me” [Campagna “Stop violence against women” USA: «Se io muoio, voglio che raccontiate a tutti quello che mi è successo»],
AI Index: AMR 51/001/2004
2. Uccisa per aver parlato – la persecuzione delle attiviste per i diritti
umani delle donne
Esperanza Amarís Miranda (Colombia)
Il 16 ottobre 2003, a Barrancabermeja, Esperanza Amarís Miranda è stata
sequestrata da casa da tre uomini armati (ad ogni evidenza appartenenti a un
gruppo paramilitare appoggiato dall’esercito) che l’hanno spinta dentro a un
taxi e sono partiti. Quando la figlia ventunenne si è aggrappata allo sportello
della macchina in movimento, gli uomini sono scesi e l’hanno buttata a terra
prendendola a calci. Pochi minuti dopo, il corpo di Esperanza è stato
abbandonato per strada. Era stata uccisa a colpi d’arma da fuoco.
Esperanza aveva 40 anni, manteneva i suoi figli vendendo biglietti della
lotteria e faceva parte dell’Organización femenina popular (Organizzazione
popolare delle donne, OFP), che conduce campagne per i diritti delle donne
da più di 30 anni.
In Colombia le donne che lottano apertamente per i loro diritti subiscono
intimidazioni e violenze, fino all’assassinio, da parte dei gruppi armati di
entrambe le fazioni coinvolte nel conflitto che ormai da molti anni divide il
paese. Le forze di sicurezza del governo e i loro alleati paramilitari
considerano le donne che rivestono ruoli di spicco nella collettività e che
svolgono attivismo in difesa dei diritti umani delle collaboratrici della
guerriglia e dunque bersaglio legittimo nella guerra all’insurrezione; dal canto
loro, i gruppi armati d’opposizione hanno ucciso donne accusate di essere
schierate col nemico. Violenza sessuale, mutilazioni e abusi a donne e
bambine sono stati usati come armi di guerra per seminare il panico e
mettere a tacere le campagne per i diritti sociali, economici e politici.
I rapitori di Esperanza hanno rivendicato l’appartenenza al Bloque Central
Bolívar (Blocco della regione del Central Bolívar), un gruppo paramilitare che
l’aveva già minacciata in precedenza. Esperanza aveva denunciato le minacce
subite al procuratore regionale ma la polizia non aveva preso nessuna misura
per proteggerla e, dopo il suo rapimento, non aveva mai risposto alle chiamate
telefoniche dell’OFP. Più di 90 omicidi e oltre 50 “sparizioni” avvenuti a
Barrancabermeja nel 2003 testimoniano dell’impunità di cui godono i gruppi
paramilitari e di guerriglia.
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Quello di Esperanza è soltanto uno dei tanti casi: Leonora Castaño, presidente
dell’Asociación nacional de mujeres campesinas, indígenas y negras de
Colombia (Associazione nazionale delle donne contadine, indigene e nere
della Colombia, ANMUCIC, che sostiene i diritti umani e il diritto alla terra
delle donne), è stata bersaglio di numerose minacce; Blanca Nubia Díaz, una
sostenitrice dell’associazione, è stata costretta ad abbandonare la propria
casa in seguito all’assassinio della figlia sedicenne da parte dei paramilitari
nel maggio 2001, e nel settembre 2003 una lettera anonima indirizzata
all’ANMUCIC la informava che l’altro suo figlio era stato fatto prigioniero.
Il governo colombiano non solo non ha protetto gli attivisti, e soprattutto le
molte attiviste, per i diritti umani, ma non ha nemmeno combattuto e
smantellato i gruppi paramilitari. Ignorando le continue indicazioni della
comunità internazionale, esso sta attualmente proponendo dei progetti di
legge che permetterebbero a coloro che non rispettano i diritti umani di
eludere la giustizia.
Fonte: Stop violence against women: Murdered for speaking out – persecution
of women human rights defenders in Colombia [Campagna “Stop violence
against women” - Uccise per aver parlato – la persecuzione delle attiviste per
i diritti umani delle donne in Colombia], AI Index: AMR 23/001/2004
3. Violentata dalle forze di sicurezza
“Mutia” (Indonesia)
Mutia (pseudonimo) piangeva mentre raccontava ad AI di quando, nel 2003,
è stata spogliata e violentata da sei soldati mentre si trovava in detenzione
militare. Ha raccontato di essere stata presa a pugni e picchiata con una
tavola di legno nonché costretta, una volta, a stare per nove ore immersa fino
al collo in una vasca piena d’acqua gelida. Alle richieste di vedere i suoi tre
bambini le rispondevano con la minaccia di ucciderli. I parenti di Mutia non
sapevano della sua cattura né dove si trovasse e sono riusciti a scoprirlo
soltanto un mese dopo. In seguito, la donna è stata liberata ed è fuggita in
Malaysia.
La famiglia di Mutia è accusata di essere in stretto contatto con un gruppo
armato d’opposizione, ma la donna smentisce qualsiasi legame. Negli ultimi
10 anni, i militari hanno ucciso suo marito e quattro suoi fratelli: Mutia
sostiene che ciò sia dovuto alla ricchezza del padre e al suo costante rifiuto di
pagare le tangenti richieste dalle forze armate.
Tra le migliaia di persone illegalmente uccise e torturate o arbitrariamente
detenute dalle forze di sicurezza durante il conflitto contro il Gerakan Aceh
Merdeka (Movimento di liberazione dell’Aceh, GAM, noto anche come Free
Aceh Movement, gruppo armato per l’indipendenza), che infuria ormai da 28
anni nella regione di Nanggroe Aceh Darussalam, vi sono anche molte donne.
Il conflitto ha ridotto in povertà molte donne della regione: migliaia di uomini
sono stati uccisi illegalmente, sono “scomparsi” o fuggiti, lasciando le mogli
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e le altre donne della famiglia a far fronte a gravi privazioni economiche in
veste di nuovi capifamiglia e fonti di reddito.
Le forze di sicurezza seguono poi un modello d’azione ben preciso, stabilito
ormai da tempo, che prevede il ricorso allo stupro ed ad altri crimini di natura
sessuale ai danni delle donne dei villaggi della regione; tali abusi sono stati
denunciati anche durante le operazioni militari iniziate nel maggio 2003 e
tuttora in corso: ad es., nell’agosto 2003, in un villaggio dell’Aceh
settentrionale, i soldati avrebbero stuprato una ragazzina di 12 anni, e le
autorità civili e militari locali si sarebbero rifiutate di prendere in
considerazione la denuncia sporta dagli abitanti del villaggio. Si sono avuti
casi di donne tratte “in arresto”, ma in realtà prese in ostaggio, al posto dei
propri familiari membri del GAM che erano riusciti ad evitare l’arresto:
secondo quanto riportato, sono state costrette a denudarsi di fronte ai membri
delle forze di sicurezza per controllare eventuali tatuaggi sul seno, segno
dell’appartenenza al gruppo.
Durante le operazioni militari in corso, è stata condotta un’indagine su alcune
accuse a carico dei militari per violenza sessuale: finora, la condanna più
lunga emessa dal tribunale militare è stata di tre anni e mezzo per i casi di
stupro. Tuttavia, si va rafforzando nella giurisprudenza l’avversione al ricorso
ai tribunali militari per processare i membri delle forze armate accusati di
crimini di diritto internazionale, perché in tali casi essi mancano, o è
verosimile che possano mancare, del giusto grado di distacco ed imparzialità.
Nonostante le continue denunce di crimini di natura sessuale contro le donne
perpetrati dalle forze armate durante le operazioni militari, soltanto un caso è
stato oggetto d’indagine e non si è avuta alcuna condanna.
Fonte: Stop violence against women: Indonesia – sexual violence by the
security forces [Campagna “Stop violence against women” - Indonesia:
violenza sessuale perpetrata dalle forze di sicurezza], AI Index: ASA
21/047/2004
4. Stupro durante il conflitto – la lotta solitaria di una donna per
ottenere giustizia
Kavira Muraulu (Repubblica democratica del Congo)
Nel cuore della notte del 16 maggio 2003 un soldato ha fatto irruzione in
casa di Kavira Muraulu e l’ha violentata. Il giorno seguente la donna ha sporto
denuncia contro di lui: il soldato e i suoi amici sono tornati da lei e l’hanno
picchiata, ma lei, imperterrita, ha sporto di nuovo denuncia. L’hanno uccisa a
colpi di baionetta allo stomaco.
Kavira era una contadina di poco più di 50 anni, viveva vicino a un campo
militare a Mangangu, poco distante dalla città di Beni, nella regione del Kivu
settentrionale, nella parte orientale delle Repubblica Democratica del Congo.
In questa zona, il conflitto tra diverse forze armate infuria da più di cinque
anni e molte donne e bambine sono state stuprate, mutilate e uccise in totale
impunità.
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L’uomo che ha stuprato Kavira era un soldato del campo militare; quando lei
era andata a denunciarlo al suo comandante, quest’ultimo gli aveva ordinato
di pagarle un risarcimento di tre dollari americani, ma dinanzi al suo rifiuto di
obbedire non aveva mosso un dito. Kavira aveva quindi sporto denuncia al
governatore del distretto locale, che l’aveva rassicurata ed esortata a tornare a
casa, senza tuttavia prendere alcuna misura per proteggerla.
Lo stupratore e altri suoi commilitoni l’hanno colta di sorpresa nei campi,
l’hanno legata e malmenata, buttandole giù un dente e ferendola alla
mascella, e si sono fermati soltanto quando un’altra donna li ha minacciati
con un fucile. Kavira è stata poi ricondotta dal governatore che invano ha
tentato di convincerla a ritirare la denuncia. I soldati l’hanno assalita di nuovo,
questa volta a colpi di baionetta allo stomaco.
Nonostante le continue pressioni ufficiali e il rischio per la sua vita, Kavira
era determinata ad ottenere giustizia e risarcimento.
Tutte le forze coinvolte nel conflitto nella parte orientale della Repubblica
democratica del Congo hanno usato lo stupro di massa e altre forme di
violenza sessuale per terrorizzare e sottomettere la popolazione civile.
L’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari dell’ONU (UN Office for
the Coordination of Humanitarian Affairs) ha stimato che nel Kivu meridionale
siano state stuprate circa 5.000 donne tra l’ottobre 2002 e il febbraio 2003,
in media 40 al giorno; in molti casi, le vittime sono state anche ferite o
uccise deliberatamente. Rapite o spinte dall’estrema povertà, migliaia di
donne e bambine sono diventate schiave sessuali o combattenti di prima linea.
Il trauma delle vittime è aggravato anche dall’alto rischio di contrarre il virus
HIV; inoltre nel paese mancano quasi del tutto le possibilità di trattamento
medico e psicologico di cui necessitano.
Gli stupri e gli altri crimini di natura sessuale e gli omicidi commessi nella
Repubblica democratica del Congo costituiscono crimine di guerra e contro
l’umanità, eppure nessuno dei responsabili è stato ancora assicurato alla
giustizia.
Fonte: Stop violence against women: Democratic Republic of the Congo – one
woman’s struggle for justice [Campagna “Stop violence against women” Repubblica democratica del Congo: stupro durante il conflitto – la lotta
solitaria di una donna per ottenere giustizia], AI Index: AFR 62/001/2004
5. «Non voglio morire» – Violenza domestica in Iraq
“Fatima” (Iraq)
«Era molto arrabbiato e ha afferrato il kalashnikov […]. I vicini
dicevano ”Lasciala stare” […]. Ma lui non si è fermato, mi ha sparato alle
gambe, non le sentivo più, erano come paralizzate; il sole stava tramontando,
io ho guardato il cielo e ho detto agli uomini “Non voglio morire”. Allora mi
hanno portato all’ospedale»
Il 21 maggio 2003 il marito di Fatima (pseudonimo), 19 anni, le ha sparato
alle gambe davanti alla famiglia e ai vicini. Sposatasi all’età di 12 anni,
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Fatima veniva trattata come una serva e picchiata regolarmente in casa della
famiglia del marito. Aveva tentato di fuggire per tornare dalla propria famiglia
ma quel giorno il marito le ha ordinato di tornare a casa con lui; montato in
collera dinanzi al suo rifiuto, l’ha colpita dapprima con un pezzo di legno, che
si è rotto facendolo arrabbiare ancora di più; allora ha preso il fucile e le ha
sparato.
Nonostante i testimoni oculari e la gravità del crimine, né la famiglia né
l’ospedale hanno denunciato il caso alla polizia e il marito non è stato
arrestato. La famiglia ha deciso che il problema andava risolto all’interno del
clan familiare. Dimessa dall’ospedale, Fatima è tornata a casa del padre; il
marito si è mostrato dispiaciuto e le ha offerto un risarcimento, cercando di
riconciliarsi con lei grazie alla mediazione degli anziani: ma Fatima si rifiuta
di tornare con lui, nonostante le pressioni.
Ormai da decenni le donne irachene sopportano forti privazioni: la perdita dei
loro uomini nella guerra tra Iran e Iraq negli anni 1980-1988; l’espulsione di
massa in Iran subita da intere famiglie, dichiarate “d’origine iraniana” dalle
autorità; la repressione governativa, come gli attacchi con armi chimiche
contro la popolazione curda a Halabja nel 1988; la guerra del Golfo nel 1991
e la successiva repressione della rivolta di Shi’a; 13 anni di sanzioni da parte
dell’ONU, dal 1990 al 2003; e l’azione militare guidata dagli Stati Uniti nel
2003. Sotto la dittatura di Saddam Hussein, le donne venivano
arbitrariamente arrestate, torturate, rapite e “giustiziate” dalle autorità per
motivi politici. Si dice che nel 2000 moltissime donne accusate di
prostituzione siano state decapitate in pubblico da un gruppo paramilitare.
Il vuoto venuto a crearsi a livello sia politico che di sicurezza dopo l’invasione
e l’occupazione statunitense del 2003 ha portato alla diffusione di saccheggi
e sparatorie. Le quotidiane notizie di sequestri e stupri hanno indotto molte
donne a lasciare il lavoro o lo studio e a chiudersi in casa. Secondo i dati
della Iraqi Women’s League (Lega delle donne irachene, IWL, organizzazione
per i diritti delle donne), dalla fine della guerra, tra l’aprile e l’agosto 2003,
più di 400 donne sono state «sequestrate, stuprate e occasionalmente
vendute».
Ma anche in casa le donne irachene possono non essere al sicuro. Dopo la
caduta di Baghdad, il conseguente caos giudiziario, unitamente allo
scioglimento delle forze di polizia da parte degli occupanti e alla
proliferazione di armi da fuoco, ha contribuito all’aumento dei “delitti
d’onore” e delle violenze domestiche: crimini spesso ignorati dalla polizia,
come nel caso di Fatima. Alcuni leader islamici hanno sfruttato l’attuale
clima di instabilità in Iraq per portare avanti il proprio programma politico,
che prevede la limitazione della libertà d’espressione e di movimento delle
donne.
Fonte: Stop violence against women: ‘I don’t want to die’ – Domestic violence
in Iraq [Campagna “Stop violence against women” - «Non voglio morire» –
Violenza domestica in Iraq], AI Index: MDE 14/001/2004
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6. Private della protezione della legge – donne assassinate perché le
loro richieste d’aiuto vengono ignorate
Alicia Arístregui (Spagna)
Alicia Arístregui è stata picchiata e violentata dal marito, aggredita
fisicamente e psicologicamente, per tutti i 14 anni del loro matrimonio.
Anche dopo che lei l’ha lasciato, lui ha continuato a minacciarla e ad ignorare
un’ordinanza del tribunale che gli proibiva di avvicinarla. Alicia e la sua
famiglia hanno chiesto aiuto alla polizia e al tribunale ma le loro richieste
sono state ignorate.
Un giorno però, circa quattro mesi dopo averlo lasciato, Alicia è stata
avvicinata dal marito alla fermata dell’autobus, dove aveva appena
accompagnato i bambini. È morta accoltellata.
Alicia ha lasciato il marito nel gennaio 2002 ed è stata accolta presso una
casa protetta statale. Nella richiesta al tribunale di emanare un’ordinanza per
impedire al marito di avvicinarla, la donna ha rivelato di aver avuto bisogno di
una terapia a causa delle violenze subite; ha raccontato le continue minacce
rivolte a lei e alla famiglia per costringerla a cedere la custodia dei figli e la
casa, ed ha espresso la convinzione che prima o poi tali minacce sarebbero
state messe in atto.
Più volte Alicia e i suoi fratelli hanno denunciato l’inosservanza dell’ordine da
parte del marito, ma i verbali non sono mai stati trasmessi alla polizia della
città in cui lei risiedeva. Le autorità hanno ignorato le loro molteplici richieste
di protezione. Nel luglio 2003 il Consiglio generale della magistratura
(l’organo giudiziario supremo) ha avallato la condotta del giudice, asserendo
che la magistratura non è responsabile del coordinamento dei diversi corpi di
polizia.
In seguito alla morte di Alicia, uno dei suoi fratelli ha fondato
un’organizzazione che si batte affinché le vittime di violenza di genere
vengano protette dalla polizia. In molti casi, i tribunali non prendono in seria
considerazione le denunce delle donne minacciate di morte o aggredite dai
propri compagni, né emanano ordinanze restrittive contro i responsabili, a
volte con risultati fatali. Oltre a ciò, scarseggiano i finanziamenti statali ai
centri d’emergenza e alle sistemazioni protette, che non sono presenti in tutto
il paese e restano affidati all’iniziativa delle organizzazioni non governative.
In una sentenza del maggio 2003, la Corte suprema ha rigettato la
responsabilità di proteggere le donne dalla violenza domestica: ha revocato il
risarcimento stabilito dal tribunale di prima istanza alla famiglia di Mar
Herrero, una donna uccisa nell’ottobre 1999 da un ex compagno dopo mesi
di minacce e molestie che erano state denunciate alle autorità; la Corte ha
stabilito che la responsabilità statale sussisteva soltanto in caso di crimine
commesso da agenti statali o dietro loro conoscenza o acquiescenza.
L’assassino di Mar Herrero era stato già condannato per il tentato omicidio di
una sua ex e scarcerato sette mesi prima con la condizionale e contro il
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parere dello psicologo; sette giorni prima del delitto, era stata respinta la
richiesta del procuratore generale di revocare la scarcerazione.
Fonte: Stop violence against women: Spain – beyond the protection of the law
[Campagna “Stop violence against women” - Spagna: private della protezione
della legge], AI Index: EUR 41/001/2004
7. Spezzare il circolo vizioso della violenza
“Juliette” (Belgio)
Juliette (pseudonimo) non osava raccontare agli amici e alla famiglia che il
suo compagno la picchiava. «Ti senti sporca […], lo difendi, ti dispiace per
lui […]. Temevo di essere rifiutata e mi vergognavo, così mi sono isolata da
tutti. Al dottore ho detto di essere stata aggredita per strada».
«Ci siamo conosciuti nell’ottobre del 2000. Era molto geloso, mi perseguitava
al telefono e mi controllava anche quando eravamo insieme, voleva sapere
dove fossi, con chi fossi ecc. Nel marzo 2001 sono iniziate le violenze fisiche.
Alla fine di novembre è stato terribile, mi aveva picchiata di nuovo, stavo
troppo male […]; ho lasciato il mio appartamento e mi sono diretta in auto
verso la stazione di polizia mentre lui mi inseguiva».
Juliette si è rifugiata a Bruxelles, dove ha sporto denuncia contro il proprio
compagno; circa due mesi dopo, costui si è presentato a casa sua per
chiederle perdono, ma Juliette ha di nuovo chiamato la polizia. Nonostante la
gravità delle accuse, Juliette non è del tutto sicura che le autorità abbiano
preso provvedimenti, ad eccezione di una richiesta di indagini da parte del
pubblico ministero. «Dapprincipio ero restia a sporgere denuncia perché
temevo ritorsioni» dice Juliette «ma adesso mi chiedo cosa stia succedendo.
Ho sporto due denunce e la polizia ha un dossier sul mio caso: ma ci saranno
un processo e una sentenza? e quando?».
Nonostante le numerose iniziative di carattere legislativo prese in Belgio a
partire dal 1997 per combattere la violenza sulle donne, sembra che la
maggior parte delle denunce di violenza domestica non sia soggetta a indagini
giudiziarie, e la polizia non è ancora in grado di fornire dati precisi relativi a
tali denunce poiché solo recentemente si è iniziato a registrare i casi di
violenza domestica separatamente dagli altri tipi di aggressione. Tuttavia, uno
studio del 1998 ha stabilito che più del 50 per cento delle donne è stato
vittima di violenza in famiglia; di queste circa il 30 per cento è stato vittima
del compagno.
Juliette alla fine ha trovato la solidarietà e il sostegno del dottore e dei
colleghi di lavoro. «Ma di solito quando le persone vedono un donna con un
livido sulla faccia dicono subito, per scherzo, “ah, il tuo ragazzo ti ha
picchiata!”. Penso che questo sia inaccettabile. Certe battute non devono
essere tollerate».
I maltrattamenti subiti da Juliette fanno parte di un circolo di violenza. «Il
mio compagno e aggressore da bambino è stato vittima di gravi violenze e
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questo l’ha reso inquieto […]. Anche sua madre veniva picchiata da suo padre
e sua sorella viene picchiata dal marito».
In Belgio, le organizzazioni per i diritti delle donne chiedono sempre più
pressantemente servizi di sostegno specializzati per tutte le vittime di violenza
domestica, e trattamenti e terapie adeguati per gli aggressori onde evitare
ricadute; inoltre, chiedono sostegno e vigilanza per i bambini e le bambine
che crescono in questo tipo di famiglie, che spesso da tali esperienze
riportano gravi danni psicologici, e in futuro potrebbero ripetere i gesti cui
hanno assistito.
Fonte: Stop violence against women: Belgium – breaking the cycle of violence
[Campagna “Stop violence against women” - Belgio: spezzare il circolo
vizioso della violenza], AI Index: EUR 14/001/2004
8. È ora di porre fine agli abusi fra le mura domestiche
Marita (Filippine)
Quando Marita ha cercato di rifiutarsi ai rapporti sessuali, il marito l’ha
picchiata. Una volta ha preteso di fare sesso minacciandola con un coltello
alla gola. Dopo 15 anni di matrimonio e nove figli, Marita, 34 anni, temeva
altre gravidanze.
Suo marito era geloso se lei rientrava tardi, dopo ore passate a vendere cibo
per guadagnare qualcosa, essendo lei l’unica a provvedere alla famiglia; e
quando lui non riusciva a trovare un impiego stabile, la picchiava ancora di
più. Le bruciava le braccia con le sigarette e le continue aggressioni le hanno
fatto perdere quasi tutti i denti.
Quando ha iniziato a picchiare anche i figli, Marita l’ha lasciato, portandoli
con sé. Temeva che il figlio più grande potesse rispondere agli attacchi e
finora non ha mai ceduto ai tentativi del marito di convincerla, tra minacce e
promesse, a tornare indietro.
Le donne filippine sono soggette a standard morali estremamente severi:
devono essere docili e servizievoli nell’ambito familiare e nei rapporti intimi;
la forte sacralità del matrimonio rende difficile per le donne interrompere le
relazioni violente: gli studi dimostrano che in tali situazioni esse sopportano
continue e sempre maggiori violenze per una media di 10 anni prima di
chiedere aiuto.
Grazie al sostegno di un’organizzazione per le donne, Marita ha trovato il
coraggio di lasciare il marito. Il suo è soltanto un esempio di come una rete
dinamica e attiva di organizzazioni per i diritti umani e i diritti delle donne
stia facendo la differenza nelle Filippine, aiutando le vittime di violenza
domestica, facendo pressioni per ottenere riforme legali ed enti governativi di
sostegno, rafforzando la presa di coscienza e di potere da parte delle donne
tramite percorsi d’autostima, istruzione e formazione.
Nel novembre 2002, a Manila, numerose associazioni delle donne si sono
unite per chiedere giustizia per le vittime di violenza domestica prima di una
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manifestazione commemorativa per l’anniversario della morte di Maria Teresa
Carlson, un’ex attrice che aveva chiesto aiuto dopo anni di violenze e che
infine si è suicidata saltando dal ventitreesimo piano di un palazzo.
Nel 1997, le pressioni esercitate da tali gruppi hanno favorito l’adozione di
nuove leggi contro la violenza sessuale. Prima, lo stupro non era considerato
un grave crimine contro la persona ma soltanto un “crimine contro la castità”:
una donna stuprata doveva provare di non aver deliberatamente perso la
verginità. In un’importante sentenza della Corte suprema del 2000, una
donna condannata a morte per aver ucciso il marito si è vista commutare la
pena e il caso è stato riaperto. Tuttavia non esiste ancora una legge contro la
violenza domestica sebbene vi sia un disegno di legge in discussione; i fondi
per i progetti relativi alle questioni di genere sono insufficienti e le leggi in
vigore per proteggere le donne non sono applicate correttamente.
Nonostante l’indefesso lavoro delle organizzazioni femminili e una
Costituzione che stabilisce la parità fra uomini e donne, nelle Filippine la
violenza domestica è molto radicata e le donne come Marita continuano a
subire.
Fonte: Stop violence against women: Philippines – time to end abuse in the
home [Campagna “Stop violence against women” - Filippine: è ora di porre
fine agli abusi fra le mura domestiche], AI Index: ASA 35/001/2004
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APPENDICE 8 - NOTE SUI DIRITTI UMANI DELLE DONNE
«I diritti delle donne sono diritti umani»: questa frase è una solenne
affermazione di giustizia e dignità umana per le donne, perché quando una
donna viene trattata come inferiore ad un uomo, ciò equivale a considerarla
un essere “meno umano” dell’uomo. Le violazioni dei diritti umani che
colpiscono le donne sono così sistematiche e dilaganti da essere ritenute cosa
naturale da molte persone. In tutto il mondo le donne sono sistematicamente
discriminate in molti settori della vita sociale, politica, giuridica e culturale:
godono di meno diritti per quel che riguarda il lavoro; hanno diritti legali più
limitati; viene loro negato il diritto alla proprietà privata; guadagnano meno
degli uomini a parità di mansione; ricevono meno attenzione a scuola; sono
soggette a violenza da parte di attori statali e di privati, in casa e fuori.
Che cosa intendiamo per “diritti umani delle donne”?
Gli atti di violenza e discriminazione rivolti alle donne rappresentano
violazioni dei diritti umani: dall’aggressione da parte di mariti o compagni allo
stupro delle detenute da parte della polizia; dalla disparità di retribuzione tra
donne e uomini al negare alle bambine istruzione, cure mediche e persino
alimentazione eguali a quelle concesse ai loro fratelli. Tali violazioni però
sono troppo spesso viste come problemi limitati ai diritti delle donne e quindi
meno importanti, o come faccende private di cui le autorità non devono
occuparsi.
La Dichiarazione universale dei diritti umani concede gli stessi diritti a uomini
e donne, bambine e bambini, in virtù del loro essere umani e a prescindere
dal loro ruolo o dalla relazione che intercorre tra loro, che siano madri, figlie,
padri, datori di lavoro o altro: quando le violazioni a danno di donne e
bambine non sono riconosciute in quanto violazioni dei diritti umani, le donne
sono svalutate collettivamente come esseri umani e vedono negata parte della
propria natura umana.
I diritti umani non sono un regalo concesso arbitrariamente dai governi, né
possono da questi ultimi essere ritirati o applicati esclusivamente ad alcune
persone e non ad altre: quando i governi agiscono in questo modo e negano i
diritti umani a un gruppo sociale, devono essere chiamati a risponderne. I
governi però non sono i soli responsabili: gli attori economici e i singoli
individui devono anch’essi essere ritenuti giudicabili. Troppo spesso il
relativismo culturale, sotto forma di tradizione sociale e culturale, diviene
pretesto per negare i diritti umani delle donne: il diritto alla libertà di
religione o il diritto alla protezione della famiglia possono essere
strumentalizzati per giustificare l’oppressione delle donne. La CEDAW è
tuttavia molto chiara nell’affermare (art.5):
«Gli Stati parte dovranno adottare misure adeguate al fine di:
a) modificare gli schemi di condotta sociali e culturali di uomini e donne,
mirando all’eliminazione di pregiudizi, usanze e pratiche d’ogni altro tipo che
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si fondino sull’idea di inferiorità o superiorità di un sesso rispetto all’altro o
sull’assegnazione ad uomini e donne di ruoli stereotipati».
La DEVAW delle Nazioni Unite stabilisce (art.4):
«Gli Stati devono condannare la violenza sulle donne e non devono invocare
usanze, tradizioni o considerazioni religiose per evitare i propri obblighi
rispetto alla sua eliminazione».
Secondo Radhika Coomaraswami, ex-Relatrice speciale delle Nazioni Unite
sulla violenza sulle donne «[…] nel prossimo secolo i problemi posti dal
relativismo culturale e le sue implicazioni per i diritti delle donne
rappresenteranno uno dei temi più importanti nel campo dei diritti umani
internazionalmente riconosciuti» (UN Doc. E/CN.4/2002 /83, 31 gennaio
2002, § 1).
Il concetto di debita diligenza dei governi è il principio giuridico secondo cui i
governi possono essere chiamati a rispondere di crimini commessi da attori
non statali (v. Appendice 10).
La storia del riconoscimento dei diritti delle donne come diritti umani
La Dichiarazione universale è il documento principale per comprendere i
nostri diritti umani, ma negli ultimi 50 anni sono stati emessi anche altri
documenti internazionali e regionali, che si riferiscono a preoccupazioni
specifiche.
A grandi linee, nello sviluppo dei diritti umani delle donne si sono avute tre
fasi. La prima era incentrata sulla garanzia per le donne dei medesimi diritti
politici degli uomini (elettorato attivo e passivo ecc.); i diritti “di prima
generazione” sono infatti quelli civili e politici, enunciati nell’ICCPR, che può
essere invocato dalla singola persona contro le interferenze arbitrarie da parte
dello Stato. Tali diritti si definiscono anche “negativi”, nel senso che
richiedono allo Stato di astenersi da certe azioni (tortura, privazione della vita
o della libertà ecc.), di darsi dei limiti e rispettare l’autonomia del singolo
individuo, ma hanno anche un carattere spiccatamente paternalistico e non
solo non mettono in questione gli stereotipi sulle donne, ma in qualche caso
si sono prestati addirittura a rafforzarli; ad es., una Convenzione OIL
dell’epoca dichiarava che le donne non dovevano lavorare di notte,
presumibilmente perché questo era considerato in contrasto coi loro doveri
familiari: l’effetto più macroscopico fu di limitare le opportunità di guadagno
delle donne.
La seconda fase dello sviluppo dei diritti umani delle donne (1960-1980) si è
focalizzata su eguaglianza e discriminazione, culminando nella creazione
(1979) della Convenzione (con la relativa Commissione) per l’eliminazione
della discriminazione avversa alle donne (Convention/Committee on the
Elimination of Discrimination against Women, entrambi CEDAW), che tratta
dell’obbligo, per gli Stati, di eliminare le politiche discriminatorie, e definisce
differenti aree di discriminazione (vita politica e pubblica, lavoro, sanità,
credito finanziario, legislazione ecc.); è un trattato vincolante, ovvero gli Stati
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che l’hanno firmato devono rispettarlo e farlo rispettare ai propri cittadini e
cittadine (debita diligenza). Per molto tempo, tuttavia, i diritti delle donne
sono stati relegati in secondo piano dal sistema delle Nazioni Unite; la
CEDAW ha operato isolata dalle altre Commissioni, e queste a loro volta non
hanno integrato i diritti delle donne nei rispettivi trattati: ad es. la
Commissione contro la tortura non ha fatto menzione degli atti di tortura che
avevano una connotazione di genere specifica. Le cose hanno cominciato a
cambiare alla fine degli anni ’80, quando si è registrato un movimento
crescente verso l’interpretazione di abusi e violazioni a connotazione di
genere come questioni rientranti nel raggio d’azione delle vigenti convenzioni
internazionali.
La terza fase del riconoscimento dei diritti delle donne come diritti umani è
cominciata agli inizi degli anni ’90 e vede il tentativo di integrare in maniera
più sistematica i temi riguardanti i diritti umani delle donne nei trattati delle
Nazioni Unite sui diritti umani .
I diritti delle donne e il diritto internazionale
Le accese campagne portate avanti negli ultimi decenni dalle organizzazioni
per i diritti delle donne e da altri soggetti hanno condotto a significativi
progressi nel diritto internazionale e nell’impegno della comunità
internazionale di documentare e combattere le violazioni dei diritti delle
donne (per ulteriori informazioni v. It’s in our hands, op. cit., cap.6, e Making
rights a reality: The duty of states to address violence against women, op. cit.,
cap.3).
Definizioni di violenza contro le donne
DEVAW (1993), art.1:
«Secondo le finalità della presente Dichiarazione, col termine “violenza sulle
donne” si intende qualsiasi atto di violenza con connotazione di genere, che
per le donne abbia o possa avere come conseguenza un danno o una
sofferenza di carattere fisico, sessuale o psicologico, ivi comprese la minaccia
di tali azioni, la coercizione e la privazione illegale della libertà, nell’ambito
della vita sia pubblica che privata»
Dichiarazione e Piattaforma d’azione di Pechino (1995):
«Diagnosi di violenza sulle donne
113. Col termine “violenza sulle donne” si intende qualsiasi atto di violenza
con connotazione di genere, che per le donne abbia o possa avere come
conseguenza un danno o una sofferenza di carattere fisico, sessuale o
psicologico, ivi comprese la minaccia di tali azioni, la coercizione e la
privazione illegale della libertà, nell’ambito della vita sia pubblica che privata.
Di conseguenza, la violenza sulle donne comprende, senza ad esse limitarsi,
le forme seguenti:
a. violenza fisica, sessuale e psicologica nell’ambito della famiglia: percosse,
abuso sessuale delle bambine nell’ambiente domestico, violenza
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connessa alla dote matrimoniale, stupro maritale, mutilazioni genitali
femminili e altre pratiche dannose per le donne, violenza non maritale e
violenza connessa allo sfruttamento;
b. violenza fisica, sessuale e psicologica nella sfera collettiva: stupro, abuso
sessuale, molestie sessuali e intimidazione sul luogo di lavoro, nelle
istituzioni scolastiche e in qualsiasi altro luogo, traffico di donne e
prostituzione forzata;
c. violenza fisica, sessuale e psicologica perpetrata o tollerata dallo Stato, in
qualsiasi luogo.
114. Fra gli atti di violenza sulle donne rientrano la violazione dei diritti
umani delle donne in situazioni di conflitto armato, in particolare omicidio,
stupro sistematico, riduzione in schiavitù sessuale e gravidanza forzata.
115. Fra gli atti di violenza sulle donne rientrano inoltre la sterilizzazione e
l’aborto forzato, l’uso coatto/obbligato di contraccettivi, l’infanticidio
femminile e la selezione prenatale del sesso»
Date
Focalizzazione
dell’attivismo
Risultati (diritto internazionale)
anni ‘60
status politico e
civile
Dichiarazione universale dei diritti
umani; ICCPR
anni ‘70
eguaglianza e
discriminazione
CEDAW (1979)
anni ’80-‘90
diritti umani
delle donne e
Consiglio economico e sociale delle
Nazioni Unite (UN Economic and Social
Council, ECOSOC): riconoscimento della
violenza domestica come «grave
violazione dei diritti delle donne» (1986)
attenzione alla
violenza sulle
donne
Conferenza mondiale di Nairobi (e
soprattutto parallelo Forum delle ONG):
attenzione al problema della violenza
sulle donne come oggetto di grave
preoccupazione mondiale e adozione di
strategie lungimiranti che collegano la
promozione e il mantenimento della pace
all’eliminazione della violenza sulle
donne sia nella sfera pubblica che in
quella privata
CEDAW, Raccomandazione generale 19
(1992) (1)
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Conferenza mondiale sui diritti umani
(Vienna 1993): «I diritti delle donne sono
diritti umani» (2)
DEVAW (1993) (3)
istituzione della figura del/-la Relatore/trice speciale sulla violenza alle donne
(1994)
Conferenza internazionale sulla
popolazione e lo sviluppo (Il Cairo 1994)
(4)
IV Conferenza mondiale sulle donne
(Pechino 1994) (5)
Statuto di Roma istitutivo del Tribunale
penale internazionale (6)
Protocollo opzionale alla CEDAW (2000)
(7)
NOTE
1: Vi si riconosce che la violenza fondata sul genere inficia gravemente o impedisce del tutto
l’esercizio dei seguenti diritti:
a.
diritto alla vita;
b.
diritto di non subire tortura né trattamenti/punizioni crudeli, inumani o degradanti;
c.
diritto a pari protezione, in conformità alle norme del diritto umanitario, in tempo di
conflitto armato internazionale o interno;
d.
diritto alla libertà e alla sicurezza personale;
e.
diritto a pari garanzie legali;
f.
diritto alla parità nell’ambito familiare;
g.
diritto al massimo standard raggiungibile di salute fisica e mentale;
h.
diritto a condizioni di lavoro giuste e favorevoli.
2: Soltanto nel 1993, alla Conferenza di Vienna, la comunità internazionale dei diritti umani
ha riconosciuto ufficialmente che: 1) la violenza sulle donne è vera e propria violazione dei
diritti umani, anche se ha luogo nell’intimità della famiglia; 2) i diritti delle donne e delle
bambine fanno «parte inalienabile, integrante ed indivisibile dei diritti umani»; e 3) la
violenza fondata sul genere ed ogni forma di molestia e sfruttamento sessuale, in particolare
quelle derivanti dai pregiudizi insiti nelle culture e dal traffico internazionale, sono
incompatibili con la dignità e il valore della persona umana.
3: Art.1: «Col termine “violenza sulle donne” si intende qualsiasi atto di violenza con
connotazione di genere, che per le donne abbia o possa avere come conseguenza un danno o
una sofferenza di carattere fisico, sessuale o psicologico, ivi comprese la minaccia di tali
azioni, la coercizione e la privazione illegale della libertà, nell’ambito della vita sia pubblica
che privata».
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4: Vi si è dichiarato che la libertà da violenza e coercizione è in tutto il mondo prerequisito
essenziale del conseguimento della salute procreativa e della pianificazione familiare.
5: Nella Piattaforma d’azione, il documento centrale della Conferenza di di Pechino, i governi
hanno dichiarato che «la violenza sulle donne costituisce violazione dei diritti umani
fondamentali ed è d’ostacolo al conseguimento degli obiettivi della parità, dello sviluppo e
della pace».
6: Sancisce la giurisdizione del Tribunale su genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di
guerra: di tali crimini in generale cadono vittime tanto gli uomini quanto le donne, ma alcuni
per loro stessa natura colpiscono le donne in maniera esclusiva (ad es. la gravidanza coatta) o
sproporzionata (ad es. la violenza sessuale).
La violenza sulle donne può essere strumento di genocidio. Le donne non rientrano
specificamente nelle quattro categorie (gruppi nazionali, etnici, “razziali” [v. n. d. trad. al
secondo “Consiglio” della Fase 1, Sessione 5, primo giorno], religiosi) che godono
dell’esplicita tutela della Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of
Genocide (Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, nota
come “Genocide Convention”, Convenzione sul genocidio, 1948); ciononostante, determinati
tipi d’aggressione alle donne di ciascuno di tali gruppi, miranti alla sua distruzione parziale o
totale, possono in quanto tali costituire genocidio.
L’art. 7.1.g riconosce come crimini contro l’umanità: stupro, schiavitù sessuale, prostituzione
coatta, gravidanza coatta, sterilizzazione coatta ed ogni altra forma di violenza sessuale di
comparabile gravità; riconosce altresì espressamente che nel crimine di riduzione in schiavitù
rientra il traffico di donne; allo stesso comma, lettera h, si afferma che la persecuzione
fondata, fra altri elementi, sul genere, di un gruppo o una collettività identificabile, se
condotta in connessione ad uno qualunque dei crimini ricadenti nella giurisdizione del
Tribunale, costituisce crimine contro l’umanità.
L’art.8 stabilisce la perseguibilità come crimini di guerra degli atti individuali di stupro,
schiavitù sessuale, prostituzione coatta, gravidanza coatta, sterilizzazione coatta ed ogni altra
forma di violenza sessuale, in grave infrazione o violazione dell’art.3 comune alle Convenzioni
di Ginevra (1949), commessi nel corso dei conflitti armati internazionali ed interni. La
definizione di tali crimini di guerra è essenzialmente identica a quella dei corrispondenti
crimini contro l’umanità basati sulla violenza sessuale.
Per ulteriori informazioni v. AI, ICC fact sheet 7: Ensuring justice for women [Tribunale
penale internazionale, scheda 7: Garantire la giustizia alle donne], AI index: IOR 40/08/00.
7: In vigore dal 22 dicembre 2000, rappresenta un’ulteriore pietra miliare nel cammino verso
la piena realizzazione dei diritti e delle libertà fondamentali di tutte le donne, nonché il
riconoscimento dell’universalità dei diritti umani; vi si afferma che la sua ratifica implica il
riconoscimento della competenza della CEDAW nei seguenti ambiti: 1) l’esame delle petizioni
presentate, singolarmente o in gruppo, dalle donne che abbiano esperito tutte le vie di
riparazione previste dall’ordinamento giuridico del loro Paese; e 2) la conduzione di indagini
sulle violazioni gravi o sistematiche della Convenzione.
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APPENDICE 9 – LA “DEBITA DILIGENZA” (DUE DILIGENCE)
Presentazione PowerPoint
Questa presentazione è disponibile in internet nel database HRE (per
informazioni sull’accesso si prega di contattare il team HRE del Segretariato
internazionale: [email protected] ); potete utilizzarla anche nel presente
formato, con la raccomandazione di adattarla o crearne una nuova adeguata
alle esigenze della realtà locale e al vostro stile personale.
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APPENDICE 10 – CHE COS’È LA “DEBITA DILIGENZA” (DUE DILIGENCE)?
«Inoltre, ove abbiano omesso di intervenire con la debita diligenza per
prevenire le violazioni dei diritti, indagare sugli atti di violenza e e punirli e
garantire risarcimento [alle vittime], gli Stati possono essere ritenuti
responsabili degli atti compiuti da privati»
CEDAW, Raccomandazione generale 19
I governi hanno la responsabilità di:
1. rispettare: astenersi da ogni interferenza diretta o indiretta nei diritti delle
persone;
2. proteggere: prevenire gli abusi nei confronti di persone notoriamente
esposte ad un pericolo specifico ed immediato e, a livello più generale,
nei confronti di ogni potenziale vittima;
3. realizzare pienamente e promuovere il rispetto dei diritti da parte di tutti,
tramite l’adozione di:
ƒ
adeguate misure legislative, amministrative, finanziarie, giudiziarie,
promozionali e d’altro tipo;
ƒ
l’educazione ai diritti, attraverso molteplici strumenti: istruzione
scolastica, pubblica informazione attraverso i media, informazioni
agli/alle utenti dei servizi.
La “debita diligenza” (due diligence) rappresenta la soglia minima d’azione e
d’impegno che lo Stato deve profondere per adempiere alla propria
responsabilità di protezione dalle violazioni:
•
quando né il perpetratore né la vittima siano pubblici ufficiali (violenza
domestica etc.);
•
quando lo Sato sia o dovrebbe ragionevolmente essere a conoscenza di
violazioni dei diritti umani e ciononostante ometta di adottare le adeguate
misure preventive.
(L’obbligo per lo Stato di perseguire i funzionari che commettano violazioni
dei diritti umani non è negoziabile e non rientra negli standard di debita
diligenza).
In base al diritto internazionale, i governi hanno l’obbligo di esercitare la
debita diligenza per garantire alle donne il loro diritto a: eguaglianza, vita,
libertà e sicurezza, libertà dalla discriminazione, dalla tortura e da qualsiasi
trattamento crudele, inumano e degradante; essi devono adottare politiche e
programmi volti a realizzare tali diritti e a garantire riparazione e risarcimento
alle persone che hanno subito violazioni.
I governi nazionali hanno la responsabilità di intraprendere azioni volte a
prevenire in primo luogo le violazioni dei diritti umani delle donne e a
portarne i responsabili dinanzi alla giustizia: ciò comporta la responsabilità
dell’adozione di misure educative, legali e pratiche volte a ridurre l’incidenza
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della violenza (ad es. miglior illuminazione stradale in una zona dove si sono
verificati stupri).
Alcuni paesi, interpretando erroneamente il diritto internazionale dei diritti
umani, ritengono che la loro responsabilità sia limitata a garantirne il rispetto
esclusivamente da parte delle persone che agiscono per loro conto (attori
statali): in realtà l’obbligo di prevenire, indagare e punire le violazioni vale
anche per quelle commesse da attori non statali.
Definizioni
Attori non statali – Individui privati che agiscono al di fuori di qualsiasi
organizzazione governativa o posizione di potere (anche gli attori economici,
quali le aziende).
Attori statali – Individui che agiscono per conto dello stato (funzionari statali,
polizia, magistratura, guardie carcerarie, forze di sicurezza e personale
medico e paramedico pubblico e di istituti di educazione).
Responsabilità dello stato – La responsabilità dello stato per gli atti di
violenza sulle donne, siano essi commessi da attori statali o non statali (vasta
gamma di attori, tra cui autorità legali parallele, autorità locali, regionali e
municipali e gruppi armati).
Famiglia – Sebbene il termine venga spesso inteso nel senso di “famiglia
nucleare”, esistono diverse forme di famiglia: allargata, monoparentale,
omoparentale; un approccio globale deve considerare la famiglia come un
luogo di relazioni personali intime piuttosto che come istituzione definita
dallo Stato.
Violenza contro le donne – Il lavoro di AI si basa sulla definizione contenuta
nella DEVAW: «qualsiasi atto di violenza con connotazione di genere, che per
le donne abbia o possa avere come conseguenza un danno o una sofferenza di
carattere fisico, sessuale o psicologico, ivi comprese la minaccia di tali azioni,
la coercizione e la privazione illegale della libertà, nell’ambito della vita sia
pubblica che privata».
La violenza di genere è stata definita nella Raccomandazione generale 19
della CEDAW come una violenza «diretta contro la donna in quanto tale, o che
la colpisca la donna in maniera sproporzionata». In altre parole, non tutti gli
atti che causano sofferenza alla donna sono fondati sul genere, e non tutte le
vittime di violenza fondata sul genere sono donne: vi sono anche uomini, ad
es. gli omosessuali perseguitati, percossi e uccisi perché non si adeguano al
concetto di virilità socialmente approvato.
Secondo interpretazioni più estese della definizione contenuta nella DEVAW,
la violenza sulle donne comprende anche gli atti d’omissione quali la
negligenza e la deprivazione; strumenti legali internazionali più recenti
allargano tale definizione fino ad includere, in particolare, la violenza
strutturale, ossia la sofferenza derivante dall’impatto dell’organizzazione
dell’economia sulla vita delle donne.
La violenza sulle donne comprende, ma non è limitata a:
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•
violenza nel contesto familiare: violenze fisiche inflitte dal partner,
violenze sessuali ai danni di minori di sesso femminile nell’ambito
domestico, violenza per motivi di dote, stupro coniugale, mutilazioni
genitali femminili ed altre pratiche tradizionali pregiudizievoli per la salute,
e inoltre maltrattamenti ai danni delle lavoratrici domestiche, ivi comprese
la segregazione forzata, la riduzione in schiavitù e la violenza sessuale;
•
violenza nella sfera della collettività: stupro ed altre forme di violenza
sessuale, molestie sessuali e lo stupro sul posto di lavoro, all’interno di
istituti di educazione e altrove; e inoltre tratta, prostituzione forzata, lavoro
forzato e violenza (sessuale o no) commessa da gruppi armati;
•
violenza fondata sul genere perpetrata o tollerata dallo Stato, o da attori
statali, quali polizia, guardie carcerarie, esercito, guardie di frontiera,
funzionari dell’immigrazione e così via: ad es. stupri commessi da forze
governative durante i conflitti armati, sterilizzazione forzata, tortura in
custodia e violenza commessa da funzionari ai danni delle rifugiate.
All’interno di ciascuna categoria, la violenza può essere fisica, psicologia o
sessuale; può manifestarsi attraverso la negligenza e la deprivazione, oltre che
attraverso atti palesi di violenza o molestia. La violenza fisica da parte del
partner è spesso accompagnata da violenza sessuale, deprivazione,
isolamento e negligenza, come pure da violenze psicologiche.
Per ulteriori informazioni, v. Making Rights a Reality: The duty of states..., op.
cit., cap.4.
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APPENDICE 11 - «NON CI SONO PIÙ SCUSE: AFFRONTATE LA VIOLENZA
SESSUALE»
Comunicato stampa originale del comitato esecutivo della Guyana Human
Rights Association (Associazione per i diritti umani della Guyana, GHRA), 4
ottobre 2004
Le circostanze dello spaventoso assassinio della studentessa sedicenne
Abigail Gittens rivelano in pieno quanto la società sia indifferente di fronte
alla violenza nei confronti delle bambine e delle donne. Abbiamo sentito, a
giustificare e condonare il fallimento nello sradicare la violenza sulle donne,
scuse riferite alla mancanza di risorse e di competenze; scuse riferite alla
religione e alla cultura; scuse riferite alla povertà. Certamente non ci sono più
scuse. È necessaria una grande campagna che coinvolga il governo e le
organizzazioni religiose e civili per assicurare che ogni guyanese sappia che la
violenza a donne e bambine è inaccettabile e che i perpetratori saranno
chiamati a risponderne.
I fatti principali di questo caso sono assolutamente eloquenti riguardo allo
stato della protezione dell’infanzia in Guyana. Una sedicenne ha mantenuto
una burrascosa “relazione” con un 28enne per quasi due anni. In quel
periodo l’uomo l’ha indotta ad allontanarsi da casa per tre mesi; grazie agli
strenui sforzi di sua madre, Abigail è stata costretta a tornare a casa e messa
in libertà vigilata; gli sforzi della madre in seguito hanno ottenuto che Abigail
non volesse più avere rapporti con quell’uomo. Egli allora ha iniziato a
perseguitarla: due settimane fa è entrato nella sua casa durante la notte,
stuprandola nel sonno, poi il giorno seguente ha pugnalato lei e la madre
mentre facevano ritorno dalla stazione di polizia dove avevano sporto
denuncia; in conseguenza dell’accoltellamento la ragazza ha trascorso 3
giorni in ospedale. Infine la settimana scorsa, mentre lei rientrava a casa di
sera, lui l’ha travolta con una motocicletta e l’ha pugnalata ripetutamente:
questo brutale accanimento alla fine ne ha causato la morte.
Secondo i resoconti della stampa, la polizia di Ruimveldt ha omesso di
raccogliere una dichiarazione dalla ragazza mentre questa si trovava in
ospedale e ha fatto ben poco per trovare l’uomo, nonostante le prove certe di
persecuzione [il c.d. stalking - n. d. trad.], effrazione e violazione di domicilio,
aggressione con arma letale e conseguenti lesioni gravissime. Chiediamo alla
polizia un pieno chiarimento riguardo alla mancanza di serietà nel trattare la
questione, e tuttavia bisogna riconoscere che la polizia riflette atteggiamenti e
valori che pervadono la società. È assurdo che un uomo ventiseienne possa
essere sessualmente coinvolto con una ragazzina di 14 anni senza che questo
costituisca reato. È sfruttamento sessuale, non una “relazione”, ed è reso
possibile solo da inaccettabili livelli di compiacenza alimentati da due
principali fonti: le nostre maggiori comunità religiose e la mercificazione di
giovani donne e bambine nella commercializzazione del sesso su vasta scala.
Islam e Cristianità, insieme al Giudaismo, credono nell’eguaglianza fra le
persone. Ciononostante, questo credo esclude quattro categorie di esseri
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umani: minori, schiavi, non credenti e donne. I bambini escono dall’infanzia
crescendo, gli schiavi possono venire affrancati, le persone non credenti
possono convertirsi alla “vera” fede, ma la condizione di donna è
irrimediabile. Le tre maggiori religioni hanno cercato di migliorare la
condizione delle donne, ma restano dominate dai maschi e dalle tradizioni
maschili. Per ragioni diverse la descrizione è egualmente valida per
l’Induismo. Che sia per queste o per altre ragioni, resta il fatto che la
dirigenza maschile delle comunità religiose non è pubblicamente turbata
dalla violenza contro le donne come dovrebbe essere.
Sul più vasto fronte secolare, la società maschile adulta deve confrontarsi con
la propria diffusissima ambivalenza nei confronti della mercificazione
sessuale delle donne, che si manifesta attraverso film sessualmente espliciti
in televisione, insinuanti pubblicità di feste, puntando su giovani donne in
pubblicità di alcolici cariche di riferimenti sessuali e salaci resoconti di
incidenti relativi al sesso in alcune sezioni dei media. I maschi adulti sono in
uno stato di negazione di fronte alle connessioni fra un’eccessiva licenza
sessuale e la violenza di tipo sessuale.
Basta guardare i tribunali per verificare la scarsa importanza attribuita alla
violenza sessuale da parte della società maschile. Le vittime di violenza
sessuale che hanno il coraggio di portare in tribunale gli stupri subiti devono
combattere contro avvocati sogghignanti che stanno a scaldare la sedia, una
cultura legale che concede tutti i benefici di dubbio e differimento
all’accusato, e una generale indifferenza verso ciò che le vittime stanno
vivendo. Esse devono gridare e ripetere dettagli intimi per via del livello del
brusio nell’aula, mentre viene loro ordinato di girarsi da una parte e dall’altra
per soddisfare i capricci di pubblici ministeri e difensori. Tale prassi è
sistematicamente e intenzionalmente umiliante, e raramente si ottiene altro
che far rivivere il trauma e lo shock dello stupro originario. Un buon punto di
partenza per iniziare a riconoscere i problemi delle vittime sarebbe migliorare
le condizioni del Tribunale durante l’inaudito numero di casi di stupro che
verranno dibattuti nelle sessioni dell’Alta Corte a iniziare da oggi (41 stupri,
20 molestie sessuali e atti osceni, 6 incesti e 9 casi di sodomia).
Dal giugno del 2004 una lunga serie di organizzazioni civili si sono incontrate
al Guyana Human Rights Centre (Centro per i diritti umani della Guyana) per
rivedere le leggi riguardanti l’“età del consenso”: ne è emersa la forte
raccomandazione di elevarla a 18 anni, una posizione che ha riscosso ampio
sostegno da parte di tutta la nazione. Il principio che regge l’età del consenso
è di proteggere le bambine e i bambini dallo sfruttamento degli adulti finchè
non abbiano un’età in cui poter impostare relazioni sessuali libere e mature.
La maggioranza delle bambine vuole la protezione offerta da un’elevata età
del consenso, fermo restando che ciò non significa criminalizzare l’attività
sessuale fra giovani coetanei.
In conformità al Domestic Violence Act (legge sulla violenza domestica) e al
disegno di legge sul traffico d’esseri umani, e nello spirito degli impegni
internazionali della Guyana per i diritti umani, la GHRA chiede che i gruppi
religiosi rivedano il pensiero tradizionale sull’età del consenso centrato sullo
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sviluppo biologico, allo scopo di riconoscere la necessità di proteggere i diritti
e le opportunità di cui le giovani donne devono godere nel pieno e integro
sviluppo della loro personalità, alla pari coi maschi.
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APPENDICE 12 – INTERVISTARE VITTIME E TESTIMONI DI VIOLAZIONI
DEI DIRITTI UMANI
I. La forte influenza dei fattori psicologici, sociali e politici
Nel preparare e poi valutare la testimonianza di persone che abbiano subito
violenza in prima persona o ne siano state testimoni, tenete a mente quanto
segue:
1.
Queste persone possono apparire inaffidabili: potrebbero mostrarsi
reticenti su determinati elementi relativi alla violazione subita, per
evitare ricordi dolorosi, imbarazzo e vergogna; potrebbero aver difficoltà
a ricordare alcuni episodi, confondere i luoghi o i tempi o aggiungere
dettagli in maniera disordinata, man mano che vengono loro in mente e
che si sentono più a loro agio con voi. Può derivarne una fallace,
ingiusta impressione di inaffidabilità, se non addirittura di disonestà.
2.
Possono esagerare: potrebbero (più o meno inconsciamente) caricare le
tinte ed esasperare le proprie reazioni per assicurare che la storia faccia
impressione e sia creduta; questo non vuol dire che il loro racconto sia
falso, ma che potrebbero esservi alcuni elementi d’esagerazione che
devono essere filtrati.
3.
Possono avere una finalità politica: i/le dissidenti potrebbero avere
interesse ad aumentare, nella loro denuncia, il numero e la gravità delle
violazioni, a conferma dello sfascio morale del governo.
4.
La tortura sessuale è la più difficile da raccontare a causa dell’ambiente
sociale, culturale, morale e politico di partenza. In quasi tutte le società
una donna, un uomo, una bambina o un bambino che si facciano avanti
a denunciare uno stupro, una violenza, un’umiliazione sessuale, hanno
molto da perdere e molto probabilmente affrontano pressioni
straordinarie e ostracismo da parte dei membri più intimi della famiglia
e da parte della società in generale.
II. Prepararsi all’intervista
1.
Tenete a mente che le violazioni potrebbero avere un significato
culturale e storico:
•
81
insieme alle definizioni internazionalmente accettate delle violazioni
dei diritti umani, v’è anche un altro significato che è andato
articolandosi attraverso la storia e la cultura delle comunità
osservate (ad es. la tortura potrebbe essere sentita come destino
individuale; il maltrattamento in custodia come un fatto comune,
non più avvertito come una violazione). Dalla vostra prospettiva
questo vuol dire rivolgervi a vittime e testimoni in modo da farvi ben
capire da loro (in modi che per loro abbiano senso), soprattutto
tenendo presente che un equivalente linguistico non è
necessariamente un equivalente concettuale. Da qui l’importanza di
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sottoporre in anticipo le domande o il questionario ad attivisti/-e
locali.
2.
Abbiate consapevolezza e profonda conoscenza della mentalità diffusa,
in relazione alla sessualità e alla violenza sessuale, nel paese (o area
geografica o comunità locale) d’origine delle persone intervistate, e
anche della vostra stessa mentalità: tali atteggiamenti socioculturali
influenzano direttamente la riluttanza a toccare certi temi, il senso di
colpa, la verbalizzazione del vissuto, il recupero della salute mentale, e
anche il vostro stesso approccio all’intervista (nervosismo, disagio, senso
di colpa, vergogna… col linguaggio del corpo, ad es. l’incapacità di
mantenere il contatto visivo, potreste trasmettere tutto questo alle
persone intervistate).
•
Vi sono degli argomenti che vi causano paura, imbarazzo, dolore?
Cercate di rimanere in contatto con le vostre paure e discutetene
con i/le colleghi/e.
3.
Siate consapevoli del fattore “incredibilità”: potrebbe riuscire difficile
per voi e per il pubblico accettare fino in fondo la verità dei resoconti di
straordinarie crudeltà e comportamenti anomali.
4.
Reperite le strutture locali (ONG, ospedali, studi legali ecc.) in grado di
fornire assistenza alle vittime di tortura (anche la violenza sessuale è
tortura) e altri tipi di violazioni, per potervi indirizzare, all’occorrenza, le
persone intervistate, alla fine del colloquio.
5.
Scrivete un elenco dei dati e fatti necessari a verificare le denunce:
6.
•
un modo d’interrogare sistematico e mirato è necessario per
assicurare che tutti i dati richiesti siano stati annotati e tutte le
domande necessarie siano state poste;
•
attenzione però: non attenetevi rigidamente all’elenco delle
domande, non abbiate l’aria dell’avvocato che fa il controinterrogatorio, altrimenti sarà difficile stabilire la relazione di fiducia
e collaborazione necessaria ad ottenere le informazioni;
•
sottoponete l’elenco ai contatti locali che hanno lavorato sulla
tematica o che si sono occupati di casi simili, per ricevere consigli:
spesso aggiungeranno domande, ne cancelleranno altre che non
sono culturalmente adatte, e così via.
Penne e registratori:
•
per raccogliere le testimonianze, assicuratevi d’avere a disposizione
penne funzionanti e carta a sufficienza, oppure un registratore
funzionante e un numero sufficiente di cassette vuote;
•
prima di far uso del registratore, chiedete sempre il permesso della
persona intervistata.
III. Rendere l’intervista il più possibile serena e non traumatica
82
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7.
8.
9.
Siate consapevoli del valore terapeutico dell’intervista e della vostra
stessa presenza:
•
ricordate: delle violazioni voi non avete colpa, non siete lo stupratore;
non sentitevi come se lo foste;
•
sia a medio che a lungo termine, per vittime e testimoni raccontare
la propria storia non è cosa negativa;
•
aver la possibilità di raccontare il proprio vissuto è terapeutico:
consente di comprenderlo meglio e affrontarlo.
Effetti a breve termine e debriefing:
•
tuttavia, a breve termine l’intervista risveglia lo stress posttraumatico, con frequenti reazioni come flashback [l’improvviso
riaffiorare alla mente delle scene traumatiche, “rivissute” con piena
vividezza di percezioni ed emozioni - n. d. trad.], incubi ecc.;
•
l’ideale sarebbe che a tutti i colloqui seguisse immediatamente (lo
stesso giorno o il seguente) un debriefing in cui si chiede alle
persone intervistate, ciascuna separatamente o tutte insieme, quali
sentimenti ed emozioni abbiano provato durante l’intervista.
Quando il debriefing non è possibile…
•
riconoscete i limiti del vostro lavoro dinanzi alle persone intervistate
(e con voi stessi/-e);
•
durante l’intervista, dimostrate la vostra attenzione e la vostra cura,
esprimendo le vostre preoccupazioni: “Comprendo la sua rabbia, la
sua tristezza…”;
•
sostenete la loro forza, riconoscetela e rinsaldatela in ogni maniera:
“C’è voluto del coraggio da parte sua per venire qui”, “Mi sembra
davvero che lei stia dando prova di grande forza in questa
situazione”;
•
siate consapevoli delle vostre stesse paure: se avete inconsciamente
introiettato le paure della persona che avete di fronte, cercando di
evitare gli argomenti che le suscitano, ciò potrebbe rafforzare in lei
la convinzione che siano cose troppo spaventose, imbarazzanti o
dolorose per poterne parlare;
Alla fine dell’intervista:
83
•
se è il caso, indirizzate la persona alle organizzazioni locali che
forniscono assistenza nei casi di tortura e violenza sessuale;
•
dedicate qualche minuto a scoprire quanto siano vicini alla
superficie i sentimenti negativi e lo stress: “L’intervista l’ha
turbata?” “Sembra proprio ch’io l’abbia turbata ancora…”;
•
se necessario, esorcizzate: “Ora forse lei si sente come se stesse
rivivendo tutto di nuovo, ma non è così, è tutto finito”;
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•
chiedete se ha modo di rivolgersi ad amici o familiari, una o più
persone che senta vicine, e suggerite di confidarsi con loro -attenzione però, perché informare amici e parenti della violenza
subita, specie se di tipo sessuale, può causare grave danno alla
vittima;
•
fate sentire la vostra vicinanza affettiva tramite il linguaggio del
corpo: strette di mano, un braccio attorno alle spalle ecc. (qualsiasi
gesto che sia culturalmente adatto);
Da tenere presente…
MOLTI/E ESPERTI/E SCONSIGLIANO INVECE IL CONTATTO
FISICO IN SIMILI CASI, SPECIE SE È UN UOMO AD
INTERVISTARE UNA DONNA; IL GESTO PIÙ INNOCENTE PUÒ
ESSER FRAINTESO A CAUSA DELLA (BEN GIUSTIFICATA!)
IPERSENSIBILITÀ DELLA VITTIMA.
•
non sentitevi in colpa, non preoccupatevi eccessivamente: nella
maggior parte dei casi le vittime hanno intorno a sé una rete di
sostegno (amici, parenti, compagni/-e di prigionia ecc.): potranno
parlare con loro dell’intervista (potreste incoraggiarle a farlo,
comunque).
10. Abbiate cura anche della vostra salute mentale:
•
intervistare le vittime di violazioni dei diritti umani è una pratica
stressante. I punti sopra indicati valgono anche per voi. Parlate delle
interviste con i vostri colleghi e colleghe di missione o al
Segretariato internazionale; avvaletevi dei servizi offerti da AI, come
la figura dell’Occupational Health Nurse [“infermiere/-a per la salute
sul lavoro”: in Gran Bretagna, Stati Uniti e altri paesi, categoria di
infermieri/-e professionisti/-e indipendenti che vigilano sulle
condizioni sanitarie, dal punto di vista fisico e psicologico, in ambito
lavorativo - n. d. trad.].
IV. All’inizio di un’intervista
1.
84
Tenete l’intervista in privato:
•
le sessioni d’intervista non devono mai presentare elementi che
possano richiamare la situazione stessa della violazione;
•
il colloquio dev’essere condotto in solitudine, voi e la persona
intervistata, a meno che un’altra presenza (amico/-a, parente,
rappresentante di un’ONG ecc.) non sia richiesta dalla persona
stessa, imposta dai costumi locali o giudicata opportuna da voi;
•
evitate interviste collettive;
•
il colloquio dev’essere condotto privatamente:
•
se possibile, in luogo appartato;
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•
2.
3.
4.
altrimenti, in uno spazio “creato” da voi disponendo sedie, tavoli
ecc. in modo da ottenere una certa privacy.
Stabilite un rapporto di fiducia:
•
la persona deve convincersi che volete davvero ascoltare la sua
storia; che siete preparati/-e a dedicare tempo ad ascoltare e
registrare i dettagli; che rispetterete il suo desiderio di riservatezza
ed ogni altra sua preoccupazione;
•
cominciate l’intervista con i saluti e i convenevoli propri della
cultura della persona intervistata;
•
spiegate che cos’è AI, che cosa può fare e quali sono i suoi limiti.
Rispettate la riservatezza:
•
spiegate chiaramente lo scopo dell’intervista e informate la persona
dell’uso che verrà fatto delle informazioni: deve comprendere gli
scopi e le eventuali conseguenze del suo fornire informazioni, e su
quali basi le sta condividendo;
•
chiedete il permesso se intendete usare il suo nome nel rapporto.
Non date false rassicurazioni:
•
riconoscete i limiti del vostro lavoro dinanzi alla persona intervistata
(e con voi stessi/-e);
•
la persona potrebbe chiedervi di continuo rassicurazioni sul fatto
che tutto andrà bene: voi non potete assolutamente saperlo, e
mentireste se diceste il contrario.
V. Consigli sulla conduzione dell’intervista
1.
2.
Ascoltate: cominciate con una domanda franca e diretta e permettete
alla persona di raccontarvi di sé nei suoi modi e tempi.
•
“Mi dica che cosa è successo il…” o “Può descrivermi la sua
esperienza nelle mani di…?”;
•
non interrompetela subito, anche se alcuni punti sembrassero poco
chiari; permettetele di narrare la sequenza degli eventi per come
l’ha compresa;
•
pregatela di parlare più lentamente se avete problemi a prendere
appunti.
Chiedete chiarimenti con domande che richiedano risposte brevi:
•
85
ritornate sul resoconto della persona intervistata per chiarire alcuni
punti come date e durate, luoghi, identità, numeri, ruoli, età: “Mi ha
detto che i soldati sono venuti a casa sua. Si ricorda quanti erano?”,
“Ricorda il grado dei soldati? I loro nomi? Soprannomi?”, “Ha detto
che sono state uccise tre persone. Sa chi erano?”, “Come sapeva
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che i suoi aggressori appartenevano ad un reparto speciale della
polizia?”, “Ha visto qualche arma? Di che tipo?” ecc.
3.
4.
5.
Gli “apriporta”:
•
la persona potrebbe avere difficoltà nel comunicare: potete chiederle
come si sente e quindi incoraggiarla a continuare a parlare:
“Vorrebbe dirmi ancora qualcosa su questo punto?” o “Vuole
parlarmene?”;
•
le domande a risposta aperta (dichiarazioni complete o incomplete,
domande a cui non si può rispondere con un semplice sì o no) sono
d’incoraggiamento e d’ausilio nella comunicazione: “Mi corregga se
sbaglio: lei nutre una serie di preoccupazioni riguardo a…” o
“Potrebbe spiegarmi meglio…”;
•
fate domande sulla salute, su possibili dolori fisici: “Come va la sua
salute?”, “Ha mal di testa?”; potreste quindi proseguire con: “A che
cosa crede che siano dovuti questi dolori?”: se la persona non riesce
a fare collegamenti, potreste far riferimento ad altri casi di persone
che soffrono di disturbi analoghi;
•
potreste porre domande più generali come: “Qual è stata la cosa più
dura per lei durante la sua prigionia?”.
Indagate (senza intimidire):
•
se in qualche punto la storia appare poco chiara, contraddittoria o
incoerente con ciò che già si sa sullo schema, è importante scoprire
perché: farlo in spirito di delucidazione anziché di critica aiuterà a
consolidare la relazione tra voi e la persona intervistata;
•
sui punti poco chiari ponete domande diverse in diversi momenti
dell’intervista;
•
stabilite una cronologia chiara degli eventi utilizzando punti o eventi
di riferimento, sia personali che esterni; ad es. stabilite ora, giorno o
settimana dell’episodio in riferimento alla routine domestica (es.
andare al lavoro, in tribunale o al mercato, a raccogliere legno o
acqua ecc.) e ad attività o eventi ricorrenti o invece inusitati
(funzioni religiose settimanali, elezioni, cerimonie di villaggio,
vittorie miltari ecc.): “L’hanno arrestata molto dopo la sua visita alla
moschea?” o “L’attacco al villaggio è avvenuto prima di Natale?” o
“Il suo rapimento ha avuto luogo prima dell’elezione del
Presidente?”;
•
se qualcosa ancora non torna, fatelo notare: “Questo punto non mi
torna, sono un po’ confuso/-a”, e ponete domande più dirette.
Siate consapevoli della posizione politica della persona intervistata:
•
86
potrebbe influenzare la sua testimonianza, quel che viene detto e
quel che viene taciuto (ad es. la persona potrebbe essere restia a
fornire spontaneamente informazioni su violazioni commesse dalla
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sua comunità o dal suo partito politico); essa tuttavia potrebbe
rispondere a una domanda diretta, ad es. “Prima dell’arresto, sa se
c’erano stati problemi tra X e Y?” o “Sa chi ha spinto i ribelli ad
attaccare gli abitanti del villaggio?”.
6.
Siate sensibili alla mentalità, sul piano sociale e culturale, della persona
intervistata:
•
7.
8.
in alcuni casi, occorre far piena chiarezza su questi elementi prima
che la persona possa parlare della violazione (che cosa è successo e
come). Spiegate che, secondo i principi internazionali, certe azioni
costituiscono violazioni dei diritti umani, ma non liquidate
sbrigativamente le idee della persona esprimendo giudizi come “È
sbagliato vedere lo stupro come…” o “Sbaglia se pensa che questa
non sia stata una tortura”.
Come ascoltare e rispondere:
•
dovete mantenere la calma ed essere capaci di trasmetterla alla
persona dinanzi a voi;
•
ascoltate a mente aperta, con empatia e senza giudizi o preconcetti:
ricordate che state parlando con una persona e non con uno
stereotipo;
•
prestate attenzione a tono, volume, ritmo, inflessioni della vostra
voce e della sua;
•
siate prudenti nell’uso di espressioni cariche di valore prescrittivo
(“devi”, “dovresti”, “avresti dovuto”, “bisogna” ecc.);
•
cercate di mantenere il contatto visivo con la persona per tutta la
durata dell’intervista;
•
annuite mentre ascoltate.
Che cosa fare se la persona intervistata parla senza fermarsi:
•
se è molto sconvolta, può darsi che si metta a parlare senza quasi
tirare il fiato per molto tempo: cercate di non interromperla troppo
presto;
•
se continua parlare più di quanto sembri necessario, potete invitarla
a fermarsi, fare qualche respiro profondo e star seduta senza parlare
per un po’;
•
potrebbe essere il caso di esprimere le vostre preoccupazioni: ditele
che vedete bene quanto sia sconvolta, che immaginate la sua
tristezza ecc.
VI. Concludere l’intervista
1.
Chiedete alla persona intervistata se vuole aggiungere qualcosa e se ha
qualche domanda.
2.
Controllate come potete usare le informazioni ottenute.
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3.
Se necessario e possibile, suggerite alla persona di rivolgersi ad altre
organizzazioni locali che si occupino di quel tipo di problemi.
4.
Manifestatele solidarietà:
88
•
mettete in evidenza il fatto che vi sono persone che si preoccupano
di ciò che essa ha subito e della sua sicurezza;
•
enfatizzate il valore delle sue azioni;
•
offrite sostegno morale: se sta piangendo restatele accanto,
mettetele un braccio attorno alle spalle (se nella sua cultura è
consentito) ecc.
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APPENDICE 13 - VALUTAZIONE DEL WORKSHOP
1. Quali sono secondo lei gli elementi più utili di questo workshop?
2. Quali i meno utili?
3. Quale aspetto del workshop potrebbe essere migliorato, e come?
4. Che cosa pensa dei metodi utilizzati in questo workshop?
5. Secondo lei, com’è stata condotta la facilitazione del workshop?
6. Che cosa pensa dell’organizzazione generale del workshop?
7. Quale seguito vorrebbe che avesse il workshop?
8. Ulteriori commenti:
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APPENDICE 14 - LINK E CONTATTI UTILI
Documenti Legali:
Per la Sessione 1 del secondo giorno occorrono i testi di vari strumenti di
diritto internazionale, e forse riterrete utile averne a disposizione altri per
rispondere ad eventuali domande.
Sul sito www.ohchr.org/english/law/ è possibile accedere ai principali trattati
in materia di diritti umani, fra cui:
•
Carta delle Nazioni Unite (UN Charter)
•
Dichiarazione universale dei diritti umani (Universal Declaration of Human
Rights, UDHR)
•
Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (International
Covenant on Economic, Social and Cultural Rights, ICESCR)
•
Patto internazionale sui diritti civili e politici (International Covenant on
Civil and Political Rights, ICCPR)
•
Protocollo opzionale all’ICCPR
•
Convenzione contro la tortura ed ogni altro trattamento o punizione
crudele, inumano o degradante (Convention against Torture and Other
Cruel, Inhuman or Degrading Treatment or Punishment, CAT)
•
Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione avversa
alle donne (Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination
against Women, CEDAW)
•
Convenzione sui diritti dei/delle minori (Convention on the Rights of the
Child)
•
Dichiarazione sull’eliminazione della violenza sulle donne (Declaration on
the Elimination of Violence Against Women, DEVAW)
•
Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio
(Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide)
Convenzioni di Ginevra
Link in rete:
•
in lingua inglese
Università di Ginevra, Media Studies (studi sui media),
www.unige.ch/iued/wsis/DEVDOT/00613.HTM
World Association for Christian Communication (Associazione Mondiale per la
Comunicazione Cristiana, WACC), Global Media Monitoring Report [Rapporto
globale sui media], www.wacc.org.uk
www.journalism.org - www.journalism.co.uk (portali di ricerche, risorse, idee e
servizi di vario tipo per il giornalismo su tutti i mezzi di comunicazione)
www.journalismuk.co.uk (agenzie di stampa con sede nel Regno Unito)
90
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www.womenaction.org (rete di media per i diritti delle donne e l’attuazione
della Piattaforma d’azione di Pechino), v. specialmente la sezione “Women &
media”
www.pdhre.org (informazioni utili sulla CEDAW)
www.aidsalliance.org/graphics/secretariat/publications/ene0502_energiser_gui
de_eng.pdf (esercizi energizzanti)
•
in lingua francese
www.panos-ao.org (pluralismo dell’informazione, partecipazione civile e altri
temi in Africa occidentale), v. specialmente la sezione “Organisations
professionnelles” (principali siti dei media francesi e africani)
Agence de Presse Sénégalaise (Agenzia di stampa senegalese, APS):
www.aps.sn
Agence Panafricaine de Presse, Panapress (Agenzia di stampa panafricana):
www.panapress.com/RubIndexlat.asp?code=fre007
•
in lingua spagnola
Comité de América Latina y el Caribe para la Defensa de los Derechos de la
Mujer (Comitato latino-americano e caraibico per la difesa dei diritti delle
donne): www.cladem.org
Centre for Justice and International Law (Centro per la giustizia e il diritto
internazionale): www.cejil.org
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NOTE
1. www.un.org/womenwatch/daw/beijing/platform/media.htm .
2. DEVAW, art.4:
www.unhchr.ch/huridocda/huridoca.nsf/(Symbol)/A.RES.48.104.En?Opendoc
ument
3. Esercizi energizzanti tratti (con minimi adattamenti) da una pubblicazione
online della Aids Alliance (Lega per la lotta all’AIDS) www.aidsalliance.org/graphics/secretariat/publications/ene0502_energiser_gui
de_eng.pdf (in inglese, francese e spagnolo).
4. Adattamento da Media Awareness Network - www.media-awareness.ca.
5. Agnès Callamard, A methodology for Gender-Sensitive Research
[Metodologia della ricerca condotta secondo la prospettiva del genere], 1999,
Amnesty International Publications e International Center for Human Rights.
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