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diritti: farli diventare realtà
DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E La violenza contro le donne rappresenta una scandalosa violazione dei diritti umani a livello mondiale. Dalla nascita fino alla morte, in tempo di pace o di guerra, le donne sono sottoposte a discriminazioni e violenze da parte dello Stato, della comunità e della famiglia. Questo pacchetto, destinato a interventi di educazione ai diritti umani rivolti a giornalisti e giornaliste di stampa, televisione e internet, contiene istruzioni dettagliate per l’organizzazione e la gestione di un workshop della durata di due giorni. Nel materiale presentato si prendono in esame le cause e le conseguenze della violenza contro le donne nonché i meccanismi e gli strumenti legali disponibili per combatterla; vi si dichiara senza mezzi termini che i diritti delle donne sono diritti umani e si invitano i/le partecipanti a fare del lavoro sui diritti delle donne parte integrante della loro attività giornalistica quotidiana. Il pacchetto comprende tutto il materiale di supporto necessario per ciascuna sessione: casi da analizzare, consigli per il/la facilitatore/trice, materiale da distribuire, elenco di risorse utili e informazioni di contesto. AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E Versione italiana di Making rights a reality - Human rights education workshop for journalists - ACT 77/054/2005 - www.amnesty.org/actforwomen - ISBN: 0-86210-381-9 Traduzione a cura di Roberta Ronchi. Si ringraziano inoltre Sonia Raffa e Roberta Toppetta. Prima edizione 2005 Amnesty International Publications International Secretariat Peter Benenson House 1 Easton Street London WC1X 0DW United Kingdom www.amnesty.org © Amnesty International Publications 2005 ISBN: 0-86210-381-9 Indice AI: ACT 77/054/2005 Lingua originale: inglese Stampa: DS Print/Redesign, Enfield, United Kingdom Tutti i diritti riservati. È vietato riprodurre, depositare in sistemi di recupero o trasmettere qualsivoglia parte della presente pubblicazione, in qualunque forma e con qualunque modalità (elettronica, meccanica, tramite fotocopie, registrazione o altro), senza il previo consenso degli editor. Ringraziamenti: Amnesty International desidera ringraziare l’agenzia Reuters e il settore formazione della BBC a Londra per la consulenza fornita durante la fase di preparazione del presente pacchetto. Si ringraziano inoltre tutte le persone che hanno partecipato all’incontro regionale di consultazione organizzato da AI al Cairo nel giugno 2004 e dedicato all’educazione ai diritti umani e alla campagna “Stop violence against women” (SVAW - “Mai più violenza sulla donne”). 2 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E INDICE INTRODUZIONE • • • • • Flessibilità del workshop Impatto Informazioni importanti sul workshop e sul relativo materiale informativo Nota sulla struttura e sui contenuti Rivelazione di vissuti di violenza PRIMO GIORNO Sessione 1 - APERTURA DEL WORKSHOP • Fase 1 - Presentazioni • Fase 2 - Rompere il ghiaccio • Fase 3 - Aspettative • Fase 4 - Illustrazione del programma di lavoro • Alternativa alle Fasi 1-3 Sessione 2 - I DIRITTI UMANI E IL RUOLO DEI MEDIA • Fase 1 - Individuare le questioni fondamentali in materia di diritti umani • Fase 2 - L’influenza dei mass media sulle tematiche relative ai diritti umani • Fase 3 – Conclusione • Alternativa alla Sessione 2 Sessione 3 - LA SENSIBILITÀ DI GENERE DEI MEDIA • Fase 1 - Analisi di genere di giornali e riviste • Fase 2 - Fissare i concetti - alcune statistiche Sessione 4 - FORME, CAUSE E CONSEGUENZE DELLA VIOLENZA SULLE DONNE • Fase 1 - Individuare i diversi tipi di violenza • Fase 2 - Radici e frutti • Fase 3 - La violenza sulle donne come problema culturale Sessione 5 - LA QUESTIONE CULTURALE • Fase 1 - I ruoli di genere • Fase 2 - Stabilire il legame fra ruoli di genere e discriminazione • Fase 3 - “Relativismo culturale” • Fase 4 - Affrontare la sfida! Sessione 6 - CONCLUSIONE DEL PRIMO GIORNO • Fase 1 - Riflessione sulla giornata • Fase 2 - Preparazione al secondo giorno SECONDO GIORNO Sessione 1 - STUDIO ED APPLICAZIONE DEGLI STRUMENTI GIURIDICI 3 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E • • • • Fase 1 - Ricapitolazione del primo giorno e programma del secondo giorno Fase 2 - Il valore del diritto internazionale dei diritti umani Fase 3 - Applicare il diritto internazionale dei diritti umani al giornalismo Alternativa alla Fase 3 Sessione 2 - RICHIAMARE I GOVERNI ALLE PROPRIE RESPONSABILITÀ • Fase 1 - Cortometraggio e commenti • Fase 2 - La “debita diligenza” • Fase 3 - Esercizio sulla “debita diligenza” Sessione 3 - ESERCIZI PRATICI - APPLICAZIONE DI TESTI E STRUMENTI GIURIDICI • Fase 1 - Rompere il ghiaccio • Fase 2 - Applicare il diritto internazionale dei diritti umani • Alternativa alla Fase 2 Sessione 4 - TECNICHE D’INTERVISTA • Fase 1 - Preparazione • Fase 2 - L’intervista (gioco di ruolo) • Fase 3 - Feedback Sessione 5 - CONCLUSIONE DEL WORKSHOP • Fase 1 - Ricapitolazione • Fase 2 - Promemoria personale APPENDICI 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. Attività di stimolo e aggregazione Programma di lavoro Struttura logica del workshop (diagramma di flusso) Raccomandazioni per un giornalismo che faccia propria la prospettiva del genere L’immagine delle donne nei media - presentazione PowerPoint Forme e contesti della violenza sulle donne - presentazione PowerPoint Casi individuali da analizzare Note sui diritti umani delle donne La “debita diligenza” (due diligence) - presentazione PowerPoint Che cos’è la “debita diligenza” (due diligence)? «Non ci sono più scuse: affrontate la violenza sessuale» Intervistare vittime e testimoni di violazioni dei diritti umani Valutazione del workshop Link e contatti utili NOTE 4 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E INTRODUZIONE «A casa e nella comunità, in tempo di guerra e di pace, le donne e le bambine sono picchiate, violentate, mutilate e uccise in piena impunità» Amnesty International, It’s in our hands: Stop violence against women: Mai più violenza sulle donne], 2004. ACT 77/001/2004 , scaricabile da: http://web.amnesty.org/actforwomen/reports-index-eng. Questo pacchetto fa parte di una serie organica di strumenti formativi per l’Educazione ai diritti umani (d’ora innanzi indicata con la sigla “EDU”) a sostegno della campagna mondiale di Amnesty International (AI) per porre fine alla violenza contro le donne, lanciata nel 2004 e tuttora in corso, dal titolo “Stop Violence against Women” (per la Sezione italiana “Mai più violenza sulle donne”, d’ora innanzi indicata anche come “Campagna donne”), della quale sono qui elencati gli obiettivi principali: • far crescere il livello di consapevolezza sulla violenza a donne e bambine come morbo che si estende su scala globale e scandalo per i diritti umani; • collaborare con le organizzazioni delle donne per denunciare tutte le forme di violenza ed ottenere riparazione; • fare appello agli Stati perché adempiano pienamente agli obblighi previsti dai trattati e dalle convenzioni internazionali per cui si sono già legalmente impegnati; • fare appello agli Stati perché firmino e ratifichino i trattati concernenti la violenza sulle donne, come la Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women, e relativo Committee [Commissione preposta alla vigilanza sull’applicazione della Convenzione], d’ora innanzi indicati entrambi con la sigla inglese “CEDAW”) e il relativo protocollo opzionale; • abolire le leggi intrinsecamente discriminatorie, che spianano la strada alla violenza; • chiedere giustizia e risarcimento per le donne che subiscono violenza. Alla luce dell’analisi dei media della Piattaforma d’azione di Pechino (Beijing Platform for Action) del 1995 e dell’invito rivolto ai media a presentare «un’immagine equilibrata e non stereotipata della donna» , AI ha individuato nei giornalisti e nelle giornaliste degli interlocutori d’importanza cruciale per la sensibilizzazione alla violenza sulle donne e per sviluppare una cultura in cui tale violenza non sia tollerata né tantomeno favorita. Questo workshop della durata di due giorni e il relativo materiale sono rivolti principalmente al giornalismo della carta stampata, ma si possono adattare alle più varie esigenze mediatiche (internet, emittenti radio-televisive ecc.). La finalità generale è coinvolgere giornalisti e giornaliste nella Campagna 5 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E donne, sensibilizzandoli sui temi riguardanti il genere, e specificatamente le violenze ad esso legate, e rafforzando la consapevolezza dell’importanza del contributo dei media al cambiamento del comportamento e della mentalità. Gli obiettivi centrali del workshop sono: • far comprendere il ruolo dei media nei diritti umani e le sfide che si presentano in questo campo; • analizzare l’immagine delle donne nei media e le ripercussioni degli stereotipi sulle donne; • accrescere la consapevolezza delle diverse forme di violenza sulle donne e della portata delle ripercussioni sulla vita delle donne e sulla comunità; • favorire la dimestichezza e la corretta applicazione del quadro giuridico relativo ai diritti umani (meccanismi internazionali, concetto di due diligence “debita diligenza” ecc.) come strumento di sostegno al lavoro giornalistico sulla violenza alle donne; • invitare giornalisti e giornaliste ad adottare un atteggiamento di sensibilità alle questioni di genere in tutte le aree della loro attività, e munirli degli strumenti atti a rendere più efficace il loro lavoro sulla violenza contro le donne (a cominciare dalle tecniche per intervistare le vittime); • offrire informazioni e risorse per sostenere l’attività di reportage in questo campo; • migliorare la comunicazione e lo scambio di informazioni tra giornalisti/-e, AI e locali organizzazioni non governative delle donne. FLESSIBILITÀ DEL WORKSHOP Le due giornate del workshop sono concepite come consecutive, ma è probabile che alcune persone non abbiano la possibilità, o la voglia, di partecipare ad entrambe: in questo caso è possibile gestire ciascuna giornata come unità indipendente (ma conservando la sequenza indicata). Il livello di partecipazione dipende da diversi fattori: Paese, mezzo di comunicazione (le emittenti radio-televisive hanno di solito maggior carico di lavoro e scadenze meno flessibili, specie nella diretta), agenzia stampa d’appartenenza, livello di responsabilità professionale. Sequenza del workshop: • prima giornata (incentrata sui contenuti): consapevolezza di genere; forme, cause e conseguenze della violenza sulle donne; • seconda giornata (ad orientamento più pratico): strumenti giuridici e loro applicazione nell’attività giornalistica nel campo della violenza sulle donne. A seconda del grado di sensibilizzazione dei/delle partecipanti alle questioni legate al genere e alla violenza sulle donne, e in base al tempo che possono dedicare al workshop, si può eventualmente saltare la prima giornata, sebbene sia sempre preferibile partecipare ad entrambe. Si possono trarre utili indicazioni sul livello delle conoscenze e della sensibilità, e sul grado di 6 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E adeguatezza della prima giornata, da un questionario sui bisogni. Se per le suddette ragioni alcune persone partecipano soltanto alla seconda giornata, AI consiglia di incorporarvi alcune attività sulla consapevolezza di genere per assicurare un minimo di auto-riflessione, e di mettere nelle cartelline con le risorse anche il materiale informativo della prima giornata. Consiglio: una serie di attività sulla coscienza di genere è reperibile in AI “Diritti: farli diventare realtà – Workshop sulla coscienza di genere”. www.amnesty.org ACT 77/035/2004. Ciò che più conta è riuscire a coinvolgere queste persone, piuttosto che farne sfumare la partecipazione per mancanza di flessibilità! AI vi consiglia inoltre di operare in collaborazione con: • un socio o una socia di AI competente nel campo dell’EDU; • una rappresentante di una ONG delle donne locale: presenza assai utile per affrontare qualsiasi tema di una certa complessità in materia di violenza sulle donne, e ottimo ponte per avviare una collaborazione con le locali associazioni di volontariato (scelta vivamente consigliata dalla Campagna donne); • una persona che si occupi di formazione dei giornalisti: presenza che conferirà credibilità presso gli ambienti giornalistici, agevolerà eventuali adeguamenti del workshop alla competenza ed esperienza dei/delle partecipanti, e potrà inoltre trasferire gli stimoli ricevuti alla propria attività di formazione specifica: la sensibilizzazione degli studenti di giornalismo alle questioni di genere è stata identificata come strumento importante per assicurarne fin dall’inizio l’impegno riguardo alle tematiche femminili e la costante adozione di una prospettiva di genere, facendo sì che rifuggano da pericolosi stereotipi. IMPATTO L’impatto di questi workshop richiederà un processo di valutazione a lungo termine, ma le prime esperienze hanno già iniziato a mostrare risultati. Le persone che hanno condotto la facilitazione e lo staff di AI sono stati intervistati dalla radio e dalla stampa in merito alla violenza sulle donne e i workshop sono stati oggetto di articoli su giornali locali: si tratta di un’ottima opportunità, non soltanto per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema specifico, ma anche per elevare il profilo di AI in generale. INFORMAZIONI IMPORTANTI SUL WORKSHOP E SUL RELATIVO MATERIALE INFORMATIVO Il quadro metodologico alla base della concezione e delle attività del workshop è fondato sulla partecipazione e sull’interattività. Il workshop è concepito per attingere dalle esperienze dei/delle partecipanti e per creare un dialogo interattivo basato sulle conoscenze, le idee e le esperienze. AI raccomanda che il rapporto tra voi che rivestite il ruolo della facilitazione e le 7 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E persone che “imparano” sia non solo di rispetto reciproco, ma anche di parità e condivisione: siate disponibili all’apprendimento e non limitatevi semplicemente a trasferire informazioni. Il workshop ed il materiale relativo sono stati messi alla prova in diversi paesi e, nei limiti del possibile, mirano a riflettere un approccio multiculturale alle questioni riguardanti i diritti delle donne e la violenza sulle donne. Nelle Appendici si fornisce materiale di carattere generale, tuttavia le risorse non si pretendono esaustive, e AI vi invita a prestare attenzione alle seguenti indicazioni: • preparatevi bene in anticipo per acquisire dimestichezza con tutte le sessioni e le attività e per sviluppare la piena padronanza dei temi trattati; dovete acquisire la capacità di adattare la struttura di questa o quella sessione alle esigenze del pubblico e al contesto politico e culturale locale, liberamente ma senza modificarne gli obiettivi; • procuratevi delle copie di altro materiale sul tema, la cui lettura offrirà utili informazioni di contesto: soprattutto materiale giuridico come la Dichiarazione universale dei diritti umani, la CEDAW, la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne (Declaration on the Elimination of Violence against Women, d’ora innanzi indicata con la sigla inglese “DEVAW”) e i trattati e la legislazione nazionale in materia; • prima di cominciare una sessione controllate l’elenco dei materiali indicato all’inizio, per assicurarvi di avere a disposizione tutto il necessario; • il workshop è concepito per un gruppo di 15-20 partecipanti: la durata delle sessioni è soltanto indicativa e va adeguata alle effettive dimensioni del gruppo; una certa flessibilità è consentita, anzi essenziale, ma è bene cercare di non superare i limiti di tempo consigliati: non dimenticate che, se le persone si sono iscritte a un workshop di due giorni, non è giusto tagliar corto il secondo giorno per terminare prima della pausa pranzo oppure lavorare fino a mezzanotte, a meno che non siano stati presi accordi in precedenza! • la struttura del workshop già comprende alcuni “esercizi energizzanti” (ovvero volti a mantenere vivace l’attenzione del gruppo) e attività di “riscaldamento”; tuttavia, a seconda del ritmo del workshop e del “livello di energia” del gruppo, risulta spesso utile proporre questi brevi esercizi ricreativi anche dopo pranzo o dopo le pause, in modo da tener desta l’attenzione e l’attività (per una scelta di tali attività, v. Appendice 1); • tutte le sessioni del workshop sono concepite per incoraggiare i/le partecipanti ad impegnarsi attivamente nella discussione, ma accade spesso che alcune persone siano più attive e loquaci di altre: fate attenzione ad assicurare una partecipazione equilibrata; i metodi impiegati (lavoro in piccoli gruppi, tecniche interattive etc.) aiutano, ma a volte non sono sufficienti, e sarà vostro compito porre freno con delicatezza agli interventi di alcune persone per incoraggiare una maggiore partecipazione da parte di altre. 8 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E È importante trovare la giusta dinamica interna, poiché un gruppo che funziona bene è uno strumento di valore inestimabile in un workshop, in grado di garantire ampi dibattiti e spazi positivi e profondi di condivisione e d’apprendimento. La chiave per una tranquilla gestione di un workshop dagli ottimi risultati è riuscire a far funzionare bene il gruppo “plenario” e i gruppi di lavoro – ecco qualche idea per favorire un’equa partecipazione: 1. disponete i/le partecipanti in cerchio o a ferro di cavallo, in modo tale che ogni persona possa vedere chiaramente le altre e nessuna sia svantaggiata dalla propria posizione; 2. reagite sempre positivamente agli interventi, apprezzando quello che è stato detto, anche se a volte è necessario riformulare il concetto o porre delle domande; fate sì che le persone si sentano sicure di parlare, anche quando hanno qualche esitazione: in questo modo saranno motivate a contribuire al dibattito; 3. ricorrete al linguaggio del corpo per chiudere un intervento – per esempio, alzate leggermente le mani di fronte a voi, come per accingervi a parlare, poi però, ricollegandovi a qualcosa che è stato appena detto, cogliete l’occasione per passare ad un’altra persona o ad un altro tema; 4. mischiate i gruppi in modo tale che non siano sempre le stesse persone a lavorare insieme; 5. la diversità tra le persone comporta dei meccanismi di ricezione diversi e un ritmo diverso: seguite sempre le modalità in cui i/le partecipanti recepiscono i nuovi concetti ed assicuratevi che il vostro ritmo si mantenga più o meno a un livello medio; non date per scontate le loro conoscenze, ma ricordate al tempo stesso che state lavorando con persone adulte automotivate; 6. non fate distinzioni, e non forzate nessuno/-a ad esprimersi, ma utilizzate frasi del tipo: «C’è qualcuno che non ha ancora parlato che vuole aggiungere qualcosa?» oppure «Diamo l’opportunità di parlare anche a chi non ha ancora avuto molte possibilità di esprimersi»; in ogni modo, evitate domande dirette con risposta secca “giusto/sbagliato” (del tipo: «che cosa significa X?»), dato che i/le partecipanti possono sentirsi sotto pressione o in imbarazzo se temono di non saper rispondere; 7. se una persona sembra introversa, isolata, oppure al contrario tende a prendersi uno spazio eccessivo (parla troppo a lungo, interagisce in modo aggressivo ecc.), approfittate delle pause per toccare la questione con lei, con levità, come per caso – evitate però che le altre persone vi sentano! Una facilitazione efficace è l’ingrediente più importante: • siate attivi nel vostro compito, ma senza dominare il workshop – ricordate che il vostro è un ruolo cruciale per la buona riuscita dell’evento. Sfruttate i metodi che in base alle vostre esperienze si sono rilevati efficaci per coinvolgere le persone e per assicurarvi che si sentano liberi/e di parlare apertamente; 9 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E • cercate di spiegare con la massima chiarezza possibile le finalità e gli obiettivi delle sessioni ma ricordate: spesso è importante che siano i/le partecipanti a far emergere le idee; pertanto fornire loro troppi elementi potrebbe essere controproducente; • non dimenticate che ci potranno essere domande alle quali non sapete rispondere, ma cercate di raggiungere sufficiente competenza sui vari temi trattati e la padronanza delle tappe del workshop e del loro obiettivo. Leggendo oltre noterete che vi sono alcuni esempi di risposta riportati in corsivo sotto la rispettiva domanda: sono solo un aiuto per voi e non devono essere letti ad alta voce a meno che i/le partecipanti non si trovino in difficoltà; • i/le partecipanti sono responsabili del proprio processo di apprendimento, ma in ogni caso a voi spetta il compito di agevolarlo: non statevene perciò seduti senza far niente durante le attività in coppia o in sottogruppi – una delle cose peggiori per loro è vedervi fermi senza far niente o con l’aria annoiata, mentre essi lavorano sodo; • date uno sguardo all’orario ed avvisate i/le partecipanti dell’avvicinarsi del termine stabilito per completare una data operazione; • siate cordiali, non ponete barriere e abbiate senso dello humour, senza però lasciarvi andare a battute inopportune! • e ricordate che il linguaggio è un mezzo di comunicazione molto potente non solo in termini di contenuto ma anche per quanto riguarda il carattere inclusivo di quanto viene affermato: la scelta di includere voi stessi/-e nel discorso utilizzando il pronome “noi” invece di “voi” o di una forma impersonale (ad indicare che le idee di cui si discute riguardano anche voi) va compiuta prima di dar inizio al workshop. NOTA SULLA STRUTTURA E SUI CONTENUTI Le Appendici contengono delle presentazioni in formato PowerPoint da noi suggerite, disponibili anche sul database HRE (Human Rights Education) del Segretariato; per informazioni su come accedervi vi preghiamo di contattare il team HRE ([email protected]) presso il Segretariato internazionale. Benché utilizzabili nel loro formato originale, vi consigliamo di adattarle o di prepararne di vostre, per andare incontro alle esigenze particolari locali e al vostro stile personale. RIVELAZIONE DI VISSUTI DI VIOLENZA È stato riconosciuto internazionalmente che una donna su tre è destinata ad essere vittima di abusi fisici. Sebbene non sia opportuno invitare direttamente i/le partecipanti a raccontare esperienze personali di violenza, dovete essere in grado di affrontare l’eventualità che una persona riveli di aver subito abusi personalmente o di avervi assistito. 10 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E Nei workshop in cui non si richiede direttamente di condividere esperienze personali di violenza, la rivelazione giunge il più delle volte dalle donne che non sono più vittime di abusi; tuttavia dovete esser consapevoli che nel gruppo potrebbero esservi donne che ancora ne subiscono, e addirittura gli stessi responsabili. In caso di rivelazione si consiglia di agire come segue: • Rispettate la persona e non giudicate. Prendetela sul serio e createle attorno un clima di solidarietà, indipendentemente dalla natura e dall’entità della violenza. Non è necessario né opportuno stabilire se ciò che la persona ha subito sia effettivamente violenza; ricordate sempre che la violenza sulle donne comprende abusi fisici, emotivi e psicologici. Prendete atto della violenza a prescindere da chi l’abbia commessa. Sostegno e parole gentili da parte di una persona comprensiva e compassionevole sono cruciali nel momento della rivelazione; • tenete costantemente a disposizione (meglio se in luogo discreto per garantire piena riservatezza) un elenco di indirizzi, numeri di telefono e siti web di persone o associazioni in grado di prestare aiuto a donne e bambine traumatizzate da episodi di violenza, nel caso che riceviate richieste (o anche offerte) d’aiuto; nella sezione Materiali in fondo a questo pacchetto troverete una tabella vuota da utilizzare a tale scopo. • Prima di indirizzarvi persone che necessitano della loro assistenza, è importante chiedere ed ottenere il consenso esplicito di tali associazioni/persone, che hanno standard operativi di cui dovete essere a conoscenza e che dovete far vostri nella vostra funzione di indirizzo. • Non cercate di offrire consulenza specifica: lasciate spazio all’ascolto. • Un/a facilitatore/trice che si occupa di EDU non ha gli strumenti per assistere persone che abbiano avuto esperienze di violenza e non dovrebbe mai presentarsi come tale; il suo compito è di agevolare la discussione sulla violenza alle donne e sul genere, creando un ambiente che permetta l’apprendimento dei temi e delle problematiche trattate. • Di fronte ad una situazione di rivelazione dovete prendere atto dell’esperienza personale e trovare il tempo e il luogo adatto per poter parlare alla persona in un ambiente protetto e tranquillo, spiegarle che cosa siete e non siete in grado di offrire ed invitarla a contattare le organizzazioni che possono fornire il sostegno opportuno. 11 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E PRIMO GIORNO SESSIONE 1 - APERTURA DEL WORKSHOP Obiettivi: • presentazioni • aspettative dei/delle partecipanti • illustrazione del programma di lavoro • Occorrente: • lavagna a fogli mobili • fogli di carta per la lavagna • pennarelli Durata: / Iniziate ringraziando i/le partecipanti d’aver dedicato parte del loro prezioso tempo a questo workshop. Spiegate loro che apprezzate molto il fatto che siano riusciti a trovare spazio per il workshop nel loro programma di lavoro così fitto e ringraziate in particolare chi ha dovuto affrontare un viaggio lungo per intervenire. Invitate l’altra o le altre persone che insieme a voi rivestono il ruolo della facilitazione a partecipare con voi alla presentazione. (5 minuti) Consiglio: Può darsi che alcune Sezioni e strutture di AI trovino opportuna una presentazione più formale, magari con la presenza della stampa o anche di una rappresentanza del governo: in tal caso, riservate più tempo all'apertura e regolate la sessione di lavoro di conseguenza. Fase 1: Presentazioni Presentatevi insieme all'altra o alle altre persone che conducono la facilitazione, e illustrate il vostro ruolo all'interno di AI o di altra organizzazione, quindi invitate i/le partecipanti a fare altrettanto. Ricordate loro di essere brevi: in questa fase dovranno solamente indicare il proprio nome e l’agenzia per cui lavorano o il proprio ambito di attività nel giornalismo; rassicurateli che di lì a breve avranno modo di conoscersi meglio. (15 minuti) Fase 2: Rompere il ghiaccio Consiglio: L’esercizio che segue può essere sostituito con uno tratto dall'elenco di attività di stimolo e aggregazione (Appendice 1). 12 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E Le “scialuppe di salvataggio” Invitate tutto il gruppo a venire al centro della stanza. Spiegate che devono immaginare di essere in alto mare ed iniziare a muoversi per la stanza come se stessero nuotando o si trovassero in una barca: quando (dopo un minuto circa) darete l’allarme: «Tempesta in arrivo!», tutti devono saltare rapidamente a bordo delle immaginarie scialuppe di salvataggio insieme a persone con cui abbiano in comune qualcosa di specifico. Prendete un elemento dalla lista che segue o trovatene uno di vostra scelta: • chi ha scarpe dello stesso colore; • chi porta gli occhiali e chi no; • chi indossa capi d’abbigliamento dello stesso colore (scegliete voi il capo); • chi è socio/-a di AI e chi no. Una volta a bordo delle scialuppe, dovranno salutarsi e cercare di presentarsi. Ripetete l'esercizio tre o quattro volte se necessario. (10 minuti) Fase 3: Aspettative Invitate ogni “equipaggio” a restare insieme e a trovare uno spazio, nella stanza o in una accanto, in cui discutere di quello che ci si aspetta dal workshop. Consegnate a ciascun gruppo un paio di pennarelli e un foglio di carta da lavagna. Se il tempo è limitato, chiedete ai gruppi di scegliere solo un paio di aspettative veramente importanti e di nominare una persona che funga da portavoce nella sessione plenaria. (10 minuti) Fase 4: Illustrazione del programma di lavoro Nel corso della sessione plenaria elencate sulla lavagna tutte le aspettative principali dei gruppi. Quando tutti quanti avranno espresso il proprio parere, ringraziateli per la schiettezza e l'entusiasmo dimostrati. Illustrate il programma del workshop usando un diagramma di flusso logico e cercate di trovare un collegamento con le aspettative esposte (v. Appendice 3). (15 minuti) È possibile che emerga un'aspettativa che non troverà spazio all'interno del workshop: in tal caso, spiegate che anche se non è sempre possibile realizzare le aspettative di tutti nel tempo a disposizione, sperate comunque di riuscire a soddisfarne la maggior parte e che all'interno del workshop i/le partecipanti troveranno uno spazio per poter discutere apertamente e fare auto-riflessione, così da riuscire a comprendere meglio il tema della violenza sulle donne. Spiegate anche che uno dei vostri obiettivi è quello di consolidare le loro capacità giornalistiche relativamente al tema della violenza sulle donne. Lasciate qualche minuto per eventuali chiarimenti o per rispondere a domande sul programma di lavoro prima di dare inizio alla Sessione 2. (5 minuti). 13 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E Consiglio: L'obiettivo del workshop è principalmente quello di sensibilizzare i/le partecipanti al tema della violenza sulle donne e di spingerli ad acquisire una consapevolezza nuova del proprio modo di affrontare i temi che riguardano le donne in generale e la violenza sulle donne in particolare. Tuttavia, è importante tener presente che molti di essi non avranno necessariamente un’affinità immediata con l’attività di AI; di certo invece avranno il desiderio di acquisire conoscenze e strumenti per migliorare il proprio lavoro: per tale ragione è importante sottolineare come il workshop e i suoi obiettivi possano risultare utili per la loro professione. Alternativa alle Fasi 1-3 Occorrente: • pezzi di cartoncino tagliati a forma di piede, di piastrella o d’altra figura significativa nella cultura locale Fate un giro d’autopresentazione (nome e agenzia o rete radiotelevisiva o testata), esortando, solo per il momento, alla rapidità. (15 minuti) Tecnica della “piastrella”: distribuite i ritagli di cartoncino e invitate a scrivere su ciascuna “piastrella” una risposta alle seguenti domande: 1. Come hai iniziato a lavorare come giornalista? 2. Perché ti interessa il tema dei diritti umani e della violenza sulle donne? 3. Che cosa speri di ricavare da questo workshop? (10 minuti) Una volta finito, invitate a 5 minuti di confronto con la persona accanto. Attaccate al centro di una parete un foglio di carta col titolo del workshop, quindi invitate i/le partecipanti a farsi avanti e ad attaccare alla parete le loro “piastrelle” in modo che procedano in direzione del workshop. Invitate ad osservare l'ampia varietà di esperienze e motivazioni, cercando di raggrupparle logicamente e trovarvi idee interessanti. Riassumete alcune delle aspettative principali sulla lavagna. (15 minuti) Ritornate alla Fase 4 dell’attività originale. (20 minuti) 14 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E SESSIONE 2: I DIRITTI UMANI E IL RUOLO DEI MEDIA Obiettivo: • comunicare e far comprendere al gruppo le idee di ciascun/-a partecipante relativamente ai diritti umani, a ciò che lui/lei considera propria responsabilità in quanto giornalista e alle sfide che l’aspettano. Occorrente: • fogli di carta per lavagna a fogli mobili • pennarelli • computer portatile e proiettore per PowerPoint / lavagna luminosa (per esercizio alternativo) Durata: 1 ora Fase 1: Individuare le questioni fondamentali in materia di diritti umani Consiglio: Parlare dei diritti umani in generale è un modo ottimo per aiutare i/le partecipanti ad ambientarsi nel workshop. Può esservi una certa resistenza all’argomento di questo workshop, ritenuto ad esempio troppo “femminista”: un approccio di questo tipo aiuterà ad inquadrare i diritti delle donne nell'ambito dei diritti umani. Sottolineate il fatto che le persone presenti hanno già dimostrato un grande impegno decidendo di partecipare al workshop. Ora rifletteranno in modo più approfondito sul quadro dei diritti umani nel proprio paese, sulle sfide che hanno di fronte come giornalisti e su come intendono il proprio ruolo nel campo dei diritti umani. Chiedete loro di esporre nella sessione plenaria quali sono, secondo loro, alcuni dei problemi fondamentali in materia di diritti umani (può essere necessario dare il via alla discussione facendo qualche esempio: diritto alla libertà d’espressione, a un processo equo, a un'istruzione adeguata, e così via), e in che modo questi diritti possono essere violati all'interno del paese (o regione) in questione. Riportate le risposte sulla lavagna. Cercate di far sì che tutte le persone prendano attivamente parte all'esercizio e accertatevi che nessuna prenda il sopravvento portando troppi temi contemporaneamente. (5 minuti) Quando avrete accumulato una decina di voci, invitate i/le partecipanti a cercare di raggruppare le violazioni in aree di diritti più ampie, ad esempio diritti civili e politici, diritti economici, sociali e culturali, diritti delle donne, diritti dei/delle minori, diritto all'integrità fisica e psicologica (ad es. tortura, brutalità della polizia etc.); invitate poi a scegliere quattro temi principali, almeno uno dei quali legato al tema della violenza sulle donne. (5 minuti) 15 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E Fase 2: L’influenza dei mass media sulle tematiche relative ai diritti umani Adesso dividete i/le partecipanti in quattro gruppi, ciascuno dei quali affronterà uno dei temi emersi, rispondendo alle seguenti domande: 1. In che modo la stampa locale affronta questi temi? 2. Quali sono le forze in gioco (nel contesto sociopolitico: ad es., programmi del governo o delle grandi aziende)? 3. Che tipo di impatto ha sul problema la copertura dei mass media? Concedete 20 minuti per questo lavoro e chiedete ai gruppi di riportare su un foglio da lavagna i punti principali della loro discussione; ogni gruppo dovrà nominare una persona portavoce per la sessione plenaria. (20 minuti) Invitate ciascun gruppo a riferire nella sessione plenaria. (15 minuti) Al termine, potete usare le domande seguenti per stimolare una riflessione più approfondita: 1. Quanto è importante il ruolo dei mass media? Molto! Raggiungono larghe fasce di pubblico, informano l'opinione pubblica e hanno un ruolo determinante nell'influenzare il comportamento della gente. 2. Quale dovrebbe essere il ruolo dei mass media nel campo dei diritti umani? Dovrebbero informare la gente dei propri diritti umani e promuovere tali diritti e la cessazione delle violazioni. 3. Quali ostacoli incontrate come giornalisti/-e quando vi trovate ad affrontare il tema dei diritti umani? Potete invitare a suddividere tali ostacoli fra esterni alla professione (ad es. altre questioni interne o di risonanza mondiale che dominano la scena; pratiche culturali che inducono a ritenere accettabili taluni abusi dei diritti umani; tabù culturali; leggi discriminatorie etc.) e interni (ad es. censura, forti pressioni o persecuzione da parte del governo o di sue agenzie; lotte di potere all'interno dei mass media; il fatto che siano in prevalenza gli uomini a ricoprire incarichi di rilievo nel settore; editori che bloccano determinate storie; autocensura etc.). (10 minuti) Consiglio: Questo può risultare un dibattito acceso, in quanto è probabile che i/le partecipanti siano piuttosto suscettibili riguardo al modo in cui il loro lavoro viene percepito, soprattutto da parte delle ong (compresa AI). È importante evitare la sensazione che la professione giornalistica sia sotto accusa o ritenuta colpevole di perpetuare le violazioni dei diritti umani. Lo scopo della discussione è di aiutarli a fare un passo indietro e a prendere coscienza del potere di cui dispongono. Il messaggio-chiave è che essi hanno un ruolo importante nella lotta alle violazioni dei diritti umani, nell'informare l'opinione pubblica e nell’aprire la strada alla promozione di un comportamento positivo, rispettoso dei diritti umani. E forse tra i/le partecipanti vi sono attivisti ed attiviste per i diritti umani (human rights 16 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E defenders, HRD - definizione ONU) che, per il loro impegno in difesa di tali diritti nella loro attività giornalistica, hanno corso pericoli. In alcuni paesi queste persone sono spesso oggetto di persecuzioni, minacce e perfino carcerazione: discutere degli ostacoli che si trovano davanti permetterà loro di trovare solidarietà presso colleghi e colleghe, di dare libero sfogo alla propria frustrazione in un ambiente sicuro e aperto e, si spera, di avviare un dialogo che prosegua a lungo anche dopo la conclusione del workshop. Fase 3: Conclusione Esaminate il quadro che si viene formando della situazione dei diritti umani nel paese e della complessa miscela di influenze e di ostacoli. Cercate di mantenere un atteggiamento positivo, sottolineando nonostante tutto la capacità dei mass media di realizzare il cambiamento: prender parte a questo workshop è un primo passo per rafforzare i legami e per creare la solidarietà necessaria a superare alcuni di questi ostacoli. (5 minuti) Alternativa alla Sessione 2 In alcuni paesi può risultare preferibile un'introduzione più formale. In tal caso, prima del workshop, si possono invitare due giornalisti o due relatori esterni a presentare quelli che ritengono gli ostacoli principali che i giornalisti e le giornaliste devono affrontare nel campo dei diritti umani. È preferibile mantenere un equilibrio fra i sessi (un uomo e una donna). Tali presentazioni non dovrebbero durare più di 5-10 minuti ciascuna. Incoraggiate i vostri ospiti a usare un supporto video se possibile, in modo da rendere la presentazione più semplice e interessante (assicuratevi di avere a disposizione le attrezzature adatte: PowerPoint, lavagna luminosa ecc.). Sarete voi a presiedere alla sessione dando spazio a commenti, domande e dibattito dopo ciascuna presentazione o al termine d’entrambe, per almeno 20 minuti complessivi. La discussione può essere seguita da alcune delle domande specifiche indicate nella precedente Fase 2. (30-40 minuti) 17 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E SESSIONE 3: LA SENSIBILITÀ DI GENERE DEI MEDIA Obiettivi: • analisi “di genere” di giornali e riviste nazionali • esame dell’impatto dell’immagine delle donne offerta dai mass media e dell’assenza di sensibilità, nell’attività giornalistica, alle questioni connesse al genere Occorrente: • una selezione di giornali locali • un'abbondante selezione di riviste locali • forbici – 1 paio per ogni gruppo • nastro adesivo / colla • pennarelli • fogli di carta per lavagna • computer portatile e proiettore / lavagna luminosa Durata: 1 ora Spiegate che è facilissimo rimanere coinvolti nella propria professione e non essere più in grado di osservare con distacco la propria attività. Adesso ogni partecipante dovrà uscire dal proprio ruolo di giornalista per calarsi in quello di lettore/lettrice: si formeranno quattro gruppi, quattro osservatorî della stampa locale, che sarà analizzata con una “lente di genere”. Fase 1: Analisi di genere di giornali e riviste Dividete i/le partecipanti in quattro gruppi, distribuite loro una selezione di giornali e riviste locali e chiedete loro di rispondere alle seguenti domande: Gruppo 1: In che modo le donne sono raffigurate nelle illustrazioni? Gruppo 2: In che modo gli uomini sono raffigurati nelle illustrazioni? Gruppo 3: Che tipo di linguaggio viene utilizzato? È un linguaggio sessista? Gruppo 4: Quanti articoli hanno al centro le donne? Di che tipo di articoli si tratta (ad es. politica, salute, arte, cronaca nera, cultura)? Confrontateli con gli articoli riguardanti gli uomini. Quanti articoli sono firmati da uomini e quanti da donne? Quante fonti/citazioni sono di donne? Consiglio: I gruppi 1 e 2 devono considerare non solo l’illustrazione ma anche il contesto. Se l'attività del gruppo 3 dovesse risultare difficile, o se i giornali forniti non dovessero contenere esempi a sufficienza, il gruppo potrà integrare l’attività trovando il maggior numero possibile di termini sessisti e denotanti insensibilità alle questioni di genere e offrendo alternative migliori (all’Appendice 4 troverete alcuni esempi di terminologia neutra di cui far copie da distribuire). A seconda del livello di esperienza dei/delle partecipanti, 18 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E è possibile concentrarsi solamente sulle illustrazioni. Usate il vostro giudizio professionale per calibrare il giusto livello di analisi per questo esercizio. I gruppi presenteranno i propri risultati sulla lavagna. Date ai gruppi 1 e 2 forbici e nastro adesivo o colla e invitateli a selezionare le immagini che ritengono particolarmente esemplificative e attaccarle sui fogli da lavagna per produrre un montaggio di immagini a sostegno delle loro tesi. Spingete gli altri gruppi ad essere altrettanto creativi con giornali e riviste, se lo desiderano. (30 minuti) Riunite i gruppi e invitate ciascuno di essi a presentare alla plenaria le proprie scoperte e i propri cartelloni (20 minuti). Ecco alcuni punti-chiave che probabilmente emergeranno da questa attività: 1. Immagine delle donne. ruoli: bellezza “decorativa”, oggetto di desiderio sessuale, strumento pubblicitario ecc.; assenza dalla vita pubblica (politica/economia/cultura); e dalle questioni d’attualità assenza da giornali e riviste – sono confinate ai rotocalchi femminili e alle rubriche dedicate alla famiglia, alla bellezza e così via. 2. Immagine degli uomini. potere, predominio nella vita pubblica; carriera, affari, economia, politica ecc. [Durante la sessione rappresentazioni] plenaria fate un confronto fra queste due Linguaggio I titoli sono sempre al maschile, ad es. “avvocato” anziché “avvocata”, “direttore” anziché “direttrice” (v. Appendice 4). Articoli dedicati a donne e scritti da donne: • donne raramente al centro di un servizio di attualità; • sottorappresentate (o affatto) in politica, affari, economia, ecc. • relegate ai settori della bellezza e della sfera domestica (una discussione più approfondita a questo proposito in It’s in our hands, op. cit., cap.3); • raramente citate negli articoli (a meno che non ne siano direttamente oggetto, v. punto precedente). Al termine di ciascuna presentazione appendete i cartelloni dei singoli gruppi su una parete libera. Quando tutte le presentazioni saranno state fatte, usate le domande seguenti (e altre di vostra scelta) per stimolare un'ulteriore discussione sull'argomento: Qual è l’impatto delle immagini usate dai mass media sulle donne e sulla società nel complesso? Cercate di far emergere il fatto che esse creano 19 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E stereotipi spesso dannosi, con le donne nel ruolo di oggetti sessuali, mercificate. Quali sono le conseguenze di questi stereotipi? Creano pregiudizi che a loro volta creano discriminazione. Altre risorse: http://loveyourbody.nowfoundation.org/offensiveads.html - Questa ONG per le donne fornisce alcune analisi interessanti sul tema dello sfruttamento delle donne nella pubblicità di importanti case di moda; il sito è solo in inglese, ma le illustrazioni possono comunque tornarvi utili. (V. anche It’s in our hands, op. cit., cap.3.) Consiglio: Dalla rappresentazione delle donne nelle illustrazioni selezionate può nascere un dibattito interessante: per esempio, possono emergere opinioni fortemente contrastanti sulla positività o negatività di un'immagine. L'uso del corpo femminile (soprattutto il nudo, totale o parziale) può essere sentito come sfruttamento sessuale o invece come espressione di bellezza (un parere, questo, espresso in occasione di un workshop pilota sia da uomini sia da donne). Se dovesse emergere una discussione del genere, anziché prendere posizione è necessario cercare di evidenziare il fatto che, a prescindere dalla nostra sensibilità individuale, dobbiamo tentare di valutare l'impatto generale di queste immagini del corpo femminile sulle donne e le bambine nella vita quotidiana. È probabile che alla fine della discussione tutti concorderanno che alle donne è imposto il diktat di conformarsi a un particolare modello di “bellezza”, e che spesso, nella scala dei valori delle varie culture, in riferimento alle donne la bellezza conta più dell'istruzione, della carriera e della partecipazione alla vita pubblica. Cercate anche di collegarvi al tema in questione con questa domanda: “In che modo queste rappresentazioni possono spianare la strada alla violenza sulle donne?”. Risposta possibile: gli stereotipi di genere portano a pregiudizi sulle donne (ridotte ad oggetto della fantasia maschile) i quali a loro volta generano discriminazione e ruoli di genere rigidi che impediscono alle donne la piena partecipazione alla vita pubblica e in ultima analisi l’esercizio dei diritti umani fondamentali: ecco spianata la strada alla violenza. Fase 2: Fissare i concetti - alcune statistiche Nell'avviare a conclusione la presente sessione, provate a collegarla alla Sessione 2 (ruolo e responsabilità dei mass media) ponendo al gruppo queste domande: Che cosa ci dimostra questa sessione del modo in cui i mass media informano il pubblico? Il giornalismo è obiettivo? No, troppo spesso si rifanno a stereotipi e utilizzano un linguaggio prevenuto e indifferente alla prospettiva di genere; si occupano troppo poco delle donne ecc. Il pubblico riceve informazioni corrette e adeguate? No, perché i mass media non adottano una prospettiva di genere equilibrata. 20 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E Qual è l'impatto di questo ritratto offerto dai mass media? I ruoli delle donne sono sminuiti, i temi femminili sono ignorati, le donne sono meno visibili nella società e quindi meno informate e più vulnerabili alla discriminazione. A questo punto potete terminare con una presentazione PowerPoint o con lavagna luminosa del materiale contenuto in Appendice 5, che offre alcune statistiche utili e un'introduzione all’approccio mediatico al tema della violenza: è un ottimo modo per introdurre la nuova sessione che studia in maggior dettaglio le varie forme della violenza sulle donne. (10 minuti) Altre risorse: Il materiale contenuto nell’Appendice 5 è tratto in prevalenza dal Global Media Monitoring Report (Rapporto sul monitoraggio globale dei media) coordinato, con particolare attenzione alle questioni di genere, dalla World Association for Christian Communication (Associazione mondiale per la comunicazione cristiana, WACC - v. Appendice 14). 21 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E SESSIONE 4 - FORME, CAUSE E CONSEGUENZE DELLA VIOLENZA SULLE DONNE Obiettivi: • acquisizione di una visione comune della portata della violenza sulle donne all'interno del proprio paese (o area geopolitica) • analisi più approfondita delle radici della violenza sulle donne • analisi del ruolo dei mass media nell'affrontare il tema della violenza sulle donne Occorrente: • foglietti “post-it” • fogli di carta per lavagne e penne • un cartellone di grandi dimensioni (o 4 fogli per lavagna uniti insieme) con 3 cerchi intrecciati • un cartellone di grandi dimensioni (o 4 fogli per lavagna uniti insieme) con la sagoma di un albero • studi di casi (1 per gruppo) con diverse forme e contesti di violenza sulle donne: fisica, psicologica, durante i conflitti e nell'ambito della famiglia o della comunità (v. Appendice 7 per una selezione di casi specifici della Campagna donne) • computer portatile e proiettore o lavagna luminosa Durata: 1 ora Consiglio: Sarebbe opportuno che a guidare questa sessione fosse la rappresentante di una organizzazione non governativa femminile locale; questa persona dovrebbe anche essere incaricata di rispondere alle domande relative al tema della violenza sulle donne e di moderare eventuali dibattiti delicati sulle questioni culturali. Fase 1: Individuare i diversi tipi di violenza Chiedete ai/alle partecipanti in sessione plenaria in che modo definirebbero la violenza e scrivete sulla lavagna i punti-chiave che emergono dalle loro risposte. Riescono a individuare tre categorie principali in base a tale definizione? Cercate di distinguere: • violenza fisica • violenza sessuale • violenza psicologica Usando la prima parte della presentazione (Appendice 6, diapositiva n.3), illustrate la definizione dell'ONU di violenza sulle donne: si tratta della 22 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E definizione su cui AI ha incentrato la propria campagna. Non svolgete adesso la presentazione completa, per la quale vi sarà tempo più avanti. Dividete i/le partecipanti in tre gruppi e assegnate a ciascuno di essi una categoria su cui concentrarsi. Chiedete ad ogni gruppo di pensare a tutte le possibili forme di violenza sulle donne per la propria categoria all'interno del proprio paese (o area geopolitica) e di riportarle sui post-it. (10 minuti) Nel frattempo, appendete il cartellone con i tre grandi cerchi intrecciati e assegnate a ciascun cerchio uno dei titoli riportati nel diagramma sottostante. Diagramma: Psicologica - Sessuale - Fisica Invitate i gruppi a riunirsi in plenaria e ad inserire i foglietti nel cerchio relativo, collocando nelle intersezioni le forme di violenza che a loro parere rientrano in più di una categoria. Chiedete loro che cosa hanno compreso con questa attività. Risposte possibili: esistono molte forme di violenza sulle donne e tutte quante hanno ripercussioni a breve e a lungo termine, soprattutto per quanto concerne la salute; tutte le forme sono legate fra loro. Ora procedete col resto della presentazione (vedi Appendice 6), più dettagliata, e fornite esempi delle diverse forme e dei diversi contesti della violenza sulle donne secondo quanto illustrato dalla campagna. Una volta conclusa la presentazione, lasciate parecchio tempo per le domande. Potete anche distribuire copie della presentazione cui far riferimento. (15 minuti) Fase 2: Radici e frutti Attaccate il cartellone con la sagoma dell'albero. Invitate i/le partecipanti a restare nei tre gruppi formati nell’esercizio precedente, a ritornare al diagramma coi tre cerchi intrecciati e a trasferire i foglietti con le varie forme di violenza sulle donne sul tronco dell'albero. Assegnate a ciascun gruppo uno dei seguenti temi di discussione: Gruppo 1: Quali sono le ripercussioni sulla salute (per l'individuo e per la società) derivanti da queste forme di violenza sulle donne? Risposte possibili: diffusione di HIV/AIDS; danni interni agli organi sessuali; cefalee persistenti dovute alle percosse; gravidanze indesiderate; eccessivo ricorso al servizio sanitario e ai servizi sociali. 23 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E Gruppo 2: Quali sono le ripercussioni socio-economiche? Risposte possibili: vita senza fissa dimora; esclusione dalla società; povertà. Gruppo 3: Quali sono le cause originarie di queste forme di violenza sulle donne? Risposte possibili: leggi discriminatorie; pregiudizi culturali; stereotipi che sviliscono le donne; esclusione delle donne dalla sfera pubblica. (15 minuti) Le risposte andranno scritte sui post-it che, in sessione plenaria, i gruppi 1 e 2 appenderanno sui rami dell’albero e il gruppo 3 sulle radici. Spiegate che adesso abbiamo una rappresentazione visiva della violenza sulle donne nella società. Chiedete ai/alle partecipanti che cosa rivela loro tale immagine. Quali sensazioni provano? In che modo possiamo far sì che i frutti della nostra società non siano “avvelenati” ma rimangano sani e saporiti? (10 minuti) Consiglio: Cercate di far emergere quanto segue: • è necessario affrontare le cause alla radice della violenza sulle donne; diversamente, dovremo sopportarne le conseguenze e arrecheremo alle nostre comunità un danno indicibile; • gli stereotipi creano discriminazione nella cultura e nella pratica; • i mass media hanno un ruolo importante nel consolidare tali stereotipi, ma hanno al tempo stesso una considerevole capacità di influenzare positivamente l'opinione pubblica e il comportamento della società! Potete lasciare l'albero appeso alla parete in modo da poterlo consultare ancora nel corso del workshop. Fase 3: La violenza sulle donne come problema culturale Sottolineate il fatto che cultura e tradizione spesso consolidano, giustificano, legittimano e tollerano la violenza sulle donne e costituiscono un ostacolo alla sua eliminazione. Spiegate che nella sessione successiva si studierà più attentamente tale fenomeno e i vari modi in cui i giornalisti e le giornaliste possono superare tali ostacoli culturali. Potete leggere alcune brevi testimonianze tratte dal rapporto It’s in our hands, (op. cit.), oppure usare gli studi di casi qui allegati (v. Appendice 7), che illustrano forme diverse di violenza sulle donne rappresentandone gli orrori con intensità; un'altra fonte di casi significativi possono essere le locali organizzazioni delle donne. Se c'è tempo, invitate i/le partecipanti ad esprimere le loro reazioni a questi casi e mettete in evidenza il fatto che la violenza sulle donne è chiaramente un problema globale che permea tutte le culture, le religioni e gli stili di vita. Un'ottima fonte di statistiche globali riguardanti tutte le zone del mondo e diverse forme di violenza sulle donne può essere reperita nel rapporto di AI Making Violence against Women Count: facts and figures – a summary [La 24 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E violenza sulle donne conta: fatti e cifre in sintesi, AI Index: ACT 77/034/2004.] (10 minuti) 25 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E SESSIONE 5 - LA QUESTIONE CULTURALE Obiettivo: • analisi delle strategie per affrontare pratiche e mentalità discriminatorie radicate nella cultura, che aprono la strada alla violenza sulle donne Occorrente: • fogli di carta per lavagna • pennarelli Durata: 1 ½ ora Consiglio: Questa sessione vi introdurrà a uno dei punti-chiave del workshop: gli stereotipi culturali consolidati e ulteriormente legittimati dai mass media. Inoltre si tenterà di spingere i giornalisti e le giornaliste ad esercitare una pressione positiva in quel campo: date loro spazio per riflettere su quali siano i veri ostacoli e tempo per elaborare strategie preventive per superarli. È auspicabile che nel contempo riflettano sul proprio comportamento e sulle proprie convinzioni culturali: solo così diventa veramente possibile dare il via a cambiamenti positivi. Non ci si può aspettare che giornalisti e giornaliste riescano a sensibilizzare il pubblico se non sono essi stessi sensibilizzati! Fase 1: I ruoli di genere In sessione plenaria invitate i/le partecipanti a definire la distinzione fra “sesso” e “genere”. “Sesso” si riferisce alla struttura biologica di uomini e donne, “genere” ai ruoli sociali imposti dalla società e dalla cultura. Scrivete le parole “donne” e “uomini” in cima a due colonne di un cartellone: invitate i/le partecipanti a riflettere sui tipi di ruolo attribuiti alle donne e agli uomini all'interno della società e riportate alcune delle loro risposte nella colonna relativa in modo da delineare un quadro dei ruoli di genere nel loro paese/società. Per stimolare la discussione, provate a proporre queste domande: • Questi ruoli sono egualmente apprezzati? No! Per esempio, i ruoli femminili sono spesso legati alla sfera domestica; sul lavoro, è facile che le donne vengano pagate meno degli uomini. • In che modo tali ruoli influiscono su donne e bambine rispetto a uomini e bambini? Limitano l'accesso delle donne all'istruzione, alla cure sanitarie, al tempo libero e ad altri diritti fondamentali; sviliscono le donne; le rendono vulnerabili ad abusi, esclusione e povertà. (10 minuti) Fase 2: Stabilire il legame fra ruoli di genere e discriminazione. 26 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E Collegate tale definizione dei ruoli di genere alla sessione precedente sugli stereotipi (v. Sessione 3) e ribadite il messaggio che sono discriminatori e che, come si è visto, sono consolidati e legittimati dalla cultura e dai mass media. Usate l'“albero” dell'ultima sessione per ricordare come la discriminazione diventi un fattore-chiave nel perpetuare ed esacerbare la violenza di genere. Altre risorse: Secondo la DEVAW, «[...] la violenza sulle donne è una manifestazione dello squilibrio storico dei rapporti di potere fra uomini e donne che ha condotto alla subordinazione e alla discriminazione delle donne da parte degli uomini» (per il testo completo v. www.ohchr.org/english/law/ ). Invitate i/le partecipanti a discutere apertamente di specifiche norme o pratiche culturali del proprio paese o area geopolitica che potrebbero sfociare direttamente o indirettamente nella violenza sulle donne. Mentre parlano, elencate sulla lavagna i temi via via che emergono. (10 minuti) Fase 3: “Relativismo culturale” Per approfondire questi temi “culturalmente relativi”, invitate i/le partecipanti ad esaminare alcuni esempi di violenza sulle donne (usate una selezione di casi specifici di diverse regioni tratti dall'Appendice 7 per dimostrare come i tabù culturali siano globali), lavorando in gruppi come in precedenza. Chiedete loro di estrapolare alcuni esempi del modo in cui la cultura ha portato alla violenza sulle donne o ha avuto un impatto sulle vittime (per esempio, in molte società una donna che abbia subito violenza sessuale può essere ripudiata dal marito e subire l’ostracismo della famiglia e della comunità, a causa di una concezione culturalmente specifica di “onore”). L’uso degli studi di casi contribuirà a inquadrare il tema in una prospettiva globale. (10 minuti) Ritornate alla sessione plenaria e chiedete a ciascun gruppo di riferire i propri risultati. (10 minuti) Consiglio: Non dimenticate che, quando si discute di questioni culturali, c'è chi potrebbe obiettare che AI cerchi di imporre alle altre culture i propri “valori occidentali”. È estremamente importante sottolineare come AI (e, in realtà, l'intero sistema internazionale dei diritti umani) non prediliga una cultura a scapito delle altre. In effetti, AI opera in difesa dei diritti economici, sociali e culturali e crede nel diritto di tutti i popoli di avere un’identità culturale e di praticare la propria cultura. Consiglio: Se dovessero emergere contro-argomentazioni, ecco un paio di temi centrali da evidenziare: • 27 universalità dei diritti umani: nessun essere umano può essere privato dei propri diritti umani fondamentali; tutti ne sono titolari indipendentemente dalla “razza” [In questo contesto il termine è ormai radicato, senza connotazioni negative, tanto nell’uso ufficiale internazionale quanto in quello comune: lo conserviamo, sottolineando tuttavia, tramite le virgolette, la nostra consapevolezza del fatto che esso indica una nozione che, riferita www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E al genere umano, è labilissima e controversa - n. d. trad.], dal colore della pelle, dalla religione, dalla cultura, dal sesso ecc.: pertanto, la violenza sulle donne non è mai accettabile e non può essere giustificata né tollerata in nome di credenze e di pratiche culturali; • cultura: AI mette in discussione unicamente le pratiche culturali che tollerano forme dirette o indirette di violenza sulle donne o altre violazioni dei diritti umani, e riconosce inoltre la necessità di coinvolgere gli esponenti di spicco della cultura e di educarli al tema della violenza sulle donne, anziché alienarseli perché il loro modo di vedere può essere in conflitto con quello di AI. AI crede fermamente nel coinvolgimento e nel dialogo e incoraggia l’intera società, e soprattutto i mass media, a fare altrettanto. Consiglio: «È indispensabile tornare a coinvolgere la popolazione locale e accogliere da essa indicazioni sulle concrete possibilità di promuovere i diritti delle donne in un determinato contesto [...]. Senza la partecipazione e l'appoggio [della popolazione locale], nessuna strategia tesa a promuovere i diritti delle donne avrà mai successo» (Radhika Coomaraswami, ex-Relatrice speciale dell'ONU sulla violenza sulle donne, gennaio 2003, UN Doc. E/CN.4/2003/75, § 70 - dall’agosto 2003 ricopre la carica il turco Yakin Ertürk - n. d. trad.) Quando tutti i gruppi avranno riferito l'esito del proprio lavoro, invitateli ad elaborare ciascuno in modo autonomo un breve gioco di ruolo o a disegnare un cartellone che illustri il ruolo della cultura nella violenza sulle donne e proponga una strategia chiara e risoluta per sradicarla (per es. il loro modo di trattare la questione, la possibilità di “arruolare” esponenti di spicco della cultura ecc.: lasciate emergere la loro creatività senza guidarli troppo). (20 minuti) Date a ogni gruppo 5 minuti per svolgere il proprio gioco di ruolo o per presentare le idee alla base del proprio cartellone. Riservate un po' di tempo alla fine per ulteriori commenti o domande. (20 minuti) Fase 4: Affrontare la sfida! In quanto giornalisti, i/le partecipanti hanno l'opportunità di fare qualcosa per eliminare pratiche e convinzioni nocive che sviliscono e danneggiano le donne e ne violano i diritti fondamentali. Quale ruolo pensate che i giornalisti e le giornaliste possano avere nel mettere in discussione mentalità e pratiche discriminatorie? Quale impatto potreste avere sulla violenza sulle donne nel vostro paese (o area geopolitica) se iniziaste a mettere in pratica tali strategie? (10 minuti) 28 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E Consiglio: Discussioni come questa offrono a giornalisti e giornaliste uno spazio, di cui si avverte acutamente l’esigenza, per discutere del proprio lavoro e manifestare le proprie frustrazioni. 29 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E SESSIONE 6 - CONCLUSIONE DEL PRIMO GIORNO Obiettivi: • osservazioni finali e riepilogo • valutazione dei progressi fatti alla fine del primo giorno Occorrente: • fotocopie con tre grosse sagome a scelta (per es. un triangolo, una stella e un cerchio) • penne Durata: 30 minuti Fase 1: Riflessione sulla giornata Distribuite a ogni partecipante i fogli con le tre sagome disegnate (fig. 1) e invitate a riportare le proprie riflessioni sulla giornata nel modo seguente: • nel cerchio: ciò di cui si è parlato nel corso della giornata che secondo loro ha consolidato la loro visione attuale; • nella stella: ciò che hanno imparato di nuovo; • nel triangolo: ciò che adesso vedono da un'angolazione diversa. Figura 1 Invitate a confrontare e discutere i propri risultati con la persona vicina. (15 minuti) Potete dedicare qualche minuto della sessione plenaria perché i/le partecipanti possano condividere col resto del gruppo alcune delle proprie riflessioni. (5 minuti) Cercate di riassumere tutti i temi affrontati nel corso della giornata: • l’immagine delle donne nei mass media, e il modo in cui gli stereotipi influiscono su di esse e aprono la strada alla violenza; • le forme, cause e conseguenze della violenza sulle donne; • l’ostacolo alla tutela dei diritti umani rappresentato dagli elementi discriminatori presenti all'interno delle pratiche e delle tradizioni; • le strategie per superare tale ostacolo; 30 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E • le possibilità del giornalismo di promuovere i diritti umani, di diffondere la coscienza dei propri diritti e di sensibilizzare il pubblico sulle cause alla radice della violenza sulle donne. (5 minuti) Fase 2: Preparazione al secondo giorno Spiegate che il giorno seguente si esaminerà una selezione di strumenti giuridici internazionali sui diritti umani e la loro applicazione a diversi casi di violenza sulle donne. Il diritto internazionale dei diritti umani è uno strumento utilissimo sia per affrontare il “relativismo culturale” sia per combattere la violenza sulle donne, in quanto dimostra l'universalità dei diritti. Aderendo ai trattati internazionali, i governi ne accettano l'autorità legale e i principi in essi contenuti, e sono pertanto obbligati a far sì che le pratiche culturali non conducano alla violenza sulle donne né la giustifichino. Se possibile, a questo punto distribuite copie dei testi giuridici in modo che i/le partecipanti abbiano la possibilità di leggerli una volta e di acquisirvi familiarità prima di iniziare le sessioni del secondo giorno (v. elenco del materiale occorrente per il secondo giorno, Sessione 1). Rispondete ad eventuali domande. (5 minuti) In chiusura, potete usare il diagramma di flusso (v. Appendice 3) per rammentare la tabella di lavoro del giorno dopo; assicuratevi che tutti/-e conoscano con precisione l'orario d'inizio. Infine, ringraziate tutti i/le partecipanti per il loro contributo e salutate. FINE DEL PRIMO GIORNO 31 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E SECONDO GIORNO SESSIONE 1 - STUDIO ED APPLICAZIONE DEGLI STRUMENTI GIURIDICI Obiettivo: • approfondimento della conoscenza degli strumenti giuridici (internazionali e nazionali/regionali) nel campo dei diritti umani e loro applicazione all’attività giornalistica sulle tematiche inerenti alla violenza sulle donne Occorrente: • casi da studiare (v. Appendice 7) • copie dei testi giuridici (v. Appendice 14) • penne • quattro lavagne a fogli mobili, ognuna con un foglio diviso in 4 riquadri numerati da 1 a 4, con dello spazio in alto dove scrivere il titolo del caso in esame Durata: 2 ore Fase 1: Ricapitolazione del primo giorno e programma del secondo giorno Ricordate nuovamente quanto è stato fatto ieri (se i/le partecipanti lo ritengono utile usate il diagramma di flusso logico, v. Appendice 3): • analisi di genere dei media: l'immagine della donna nei media e il modo in cui gli stereotipi influenzano le donne e preparano il terreno alla violenza; • il potenziale del giornalismo nel promuovere i diritti umani, diffondere tra la gente la coscienza dei propri diritti e sensibilizzare l’opinione pubblica sulle cause fondamentali della violenza sulle donne; • alcune forme, cause e conseguenze della violenza sulle donne; • gli elementi discriminatori presenti all'interno di pratiche e tradizioni che costituiscono un ostacolo alla garanzia dei diritti umani; • le strategie per superare tali ostacoli. La giornata di oggi avrà carattere molto più pratico: si esaminerà il diritto internazionale dei diritti umani in quanto strumento per rafforzare la propria attività di reportage della violenza sulle donne e per combattere la supina accettazione di questa sul piano culturale; in particolare si analizzeranno: 1. gli strumenti del diritto nazionale ed internazionale; 2. la responsabilità dello Stato nella protezione delle donne dalla violenza, anche nella sfera domestica. 32 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E (5-10 minuti) Fase 2: Il valore del diritto internazionale dei diritti umani Sollecitate uno scambio d’opinioni sui vantaggi di inquadrare nel contesto giuridico dei diritti umani la denuncia della violenza sulle donne. Risposte possibili: • credibilità: il carattere internazionale degli standard dimostra come essi non siano un concetto esclusivamente occidentale o all'ordine del giorno per le sole ONG; • tali standard offrono una strategia di contrasto al relativismo culturale; • offrono un quadro giuridico vincolante per affrontare la violenza sulle donne e ottenere un'assunzione di responsabilità da parte dei governi. Spiegate che il quadro normativo dei diritti umani è composto da vari elementi: • trattati/convenzioni/patti: accordi formali, legalmente vincolanti tra Stati. Quando uno Stato ratifica un trattato esso manifesta la propria decisione di conformarsi completamente alle sue disposizioni e di esserne legalmente vincolato; • dichiarazioni/risoluzioni: affermazioni generali di principi adottate dalle istituzioni intergovernative (l'ONU o le istituzioni regionali per i diritti umani) che possono avere un'autorità legale significativa, pur non essendo necessariamente vincolanti in termini legali. È opportuno sottolineare i seguenti punti a sostegno della tesi dell’esistenza, in capo ai governi, dell’obbligo legale di eliminare la violenza sulle donne: • i diritti umani non sono imposti agli stati bensì da essi sottoscritti: ad es., la DEVAW è stata approvata da tutti gli stati dell'Assemblea generale dell'ONU; • anche in caso di mancata adesione alla CEDAW e alla DEVAW, la maggior parte degli Stati ha ratificato i trattati sui diritti umani che bandiscono esplicitamente qualsiasi forma di discriminazione (il principio di nondiscriminazione è l'asse portante di tutte le convenzioni sui diritti umani, a cominciare dalla Dichiarazione universale e dal Patto internazionale sui diritti civili e politici). Potrebbero emergere delle critiche al diritto internazionale dei diritti umani relative alla difficoltà di applicarlo (rispetto al diritto nazionale) e alla percezione comune che tale diritto sia astratto. È quindi importante ribadire quanto segue: • 33 il Tribunale penale internazionale è un meccanismo che già vede singole donne portare i governi in tribunale per stupro e molestie sessuali subìti durante i conflitti armati; www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E • solitamente, trattandosi del loro ruolo in seno alla comunità internazionale, i governi non vogliono una “pubblicità negativa” che può provocare imbarazzo politico (come nel caso di governi donatori con iniziative per i diritti umani in corso all'estero) nonché danni agli accordi commerciali in corso di definizione che prevedano clausole sui diritti umani. (10 minuti) Fase 3: Applicare il diritto internazionale dei diritti umani al giornalismo Questo esercizio consiste nell’esaminare più o meno dettagliatamente uno dei quattro testi giuridici per selezionarne gli articoli pertinenti da applicare direttamente ad un caso specifico. Si consiglia l’uso dei seguenti documenti: 1. Dichiarazione universale dei diritti umani, CEDAW, DEVAW e la legislazione regionale o nazionale in materia, ad es. il codice penale o la sezione relativa al diritto di famiglia del codice civile (v. Appendice 14). Assegnate ad ogni testo un numero da 1 a 4 corrispondente a ciascuno dei riquadri tracciati sulle quattro lavagne a fogli mobili che avrete predisposto prima dell’attività. Consiglio: Per limiti di tempo non è possibile studiare accuratamente i testi (qui si tratta solo di un’introduzione alla campagna “Mai più violenza sulle donne”): si raccomanda quindi di fornirli ai/alle partecipanti prima del workshop, per dar loro modo di prendervi confidenza. Dividete i/le partecipanti in quattro gruppi (se pensate che abbiano bisogno di una breve pausa per innalzare il proprio livello d’attenzione, utilizzate una delle attività partecipative “energizzanti” dell’Appendice 1). Assegnate ad ogni gruppo uno dei casi di studio, il corrispondente testo giuridico e uno dei fogli per lavagna a fogli mobili precedentemente preparati diviso in quattro riquadri. (fig. in basso) Rappresentazione della lavagna a fogli mobili - titolo: “Caso durante un conflitto” 34 X - Stupro www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E Spiegate loro che hanno 20 minuti per selezionare dal proprio documento legale tutti gli articoli applicabili al caso in esame; una volta finito, dovranno passare caso e foglio al gruppo alla loro destra (così ogni gruppo avrà un nuovo caso da analizzare); si ripete la fase precedente col nuovo caso; l'attività si ripete fino a quando tutti i gruppi avranno preso visione di tutt’e quattro i casi. (1 ora e 20 minuti) A questo punto avrete quattro casi, ognuno dei quali con quattro gruppi di articoli ad esso applicabili. Appendeteli ad una parete e invitate i/le partecipanti a studiarli per qualche minuto: avranno la possibilità di vedere alcuni esempi di articoli importanti tratti dagli altri documenti legali che non hanno studiato. Nel frattempo, ponete loro delle domande per raccogliere eventuali aspetti interessanti emersi (punti in comune tra i documenti, articoli simili o complementari ecc.). (10 minuti) Il principio di non-discriminazione In plenaria, ponete in risalto il fatto che il principio di non-discriminazione è presente in tutti i documenti internazionali: la Dichiarazione universale stabilisce che ogni individuo deve godere dei diritti umani fondamentali senza discriminazioni in base al sesso; la Carta delle Nazioni Unite stabilisce la parità dei diritti tra uomini e donne. Il diritto di non subire discriminazione è la pietra angolare dei diritti umani e non può in nessun caso essere ignorato. La Raccomandazione generale 19 del CEDAW afferma: «La violenza di genere è una forma di discriminazione che ostacola gravemente la possibilità per le donne di godere dei diritti e delle libertà in condizioni di parità rispetto agli uomini» (§ 1); «La violenza a fondamento di genere, che limita o impedisce del tutto il godimento da parte delle donne dei diritti umani e delle libertà fondamentali ai sensi del diritto internazionale generale o ai sensi delle convenzioni sui diritti umani, è una forma di discriminazione secondo la definizione contenuta nell'articolo 1 della Convenzione» (§ 7). Tutti gli strumenti sui diritti umani si basano sul principio di nondiscriminazione, quindi anche i documenti che non fanno specifico riferimento al genere o alla violenza sulle donne - quali la Dichiarazione universale, il Patto internazionale sui diritti civili e politici e la Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale possono comunque essere applicati poiché sussiste discriminazione. Al termine della sessione fornite ai/alle partecipanti (in fotocopie da distribuire oppure scrivendolo sulla lavagna a fogli mobili) l'elenco dei siti web (v. Appendice 14) presso i quali reperire i documenti per uso personale; il pacchetto offre anche un utile excursus (v. Appendice 8) sul progresso dei diritti delle donne nel quadro del diritto internazionale dei diritti umani che 35 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E potete distribuire come lettura d’approfondimento al termine della sessione. (10 minuti) Consiglio: Incoraggiate i/le partecipanti ad esaminare in modo più approfondito i fogli sulle altre lavagne durante la pausa; spiegate che avranno in seguito la possibilità di fissare quanto appreso cominciando ad applicarlo al proprio lavoro. Alla fine, lasciate i fogli appesi alla parete: saranno ottima guida e riferimento per gli esercizi pratici del pomeriggio. Alternativa alla Fase 3 L'esercizio può essere modificato in vari modi se siete a corto di tempo o ritenete che sia troppo difficile. Suggeriamo qui alcune alternative: 1. assegnate ad ogni gruppo lo stesso caso, e tralasciate l'attività della "giostra" (passarsi le lavagne ogni 20 minuti); 2. riducete il numero dei testi giuridici (usatene solo due anziché quattro, o fornite ad ogni gruppo lo stesso documento) ma assegnate ad ogni gruppo un caso diverso. La scelta dipende dall’aspetto che intendete privilegiare nel processo formativo: la varietà dei contesti di violenza sulle donne o la varietà dei quadri normativi. Se prima del workshop è stata condotta un'analisi delle necessità, tenetene presenti i risultati per stabilire su quale elemento concentrare l'attenzione. Consiglio: Potete offrirvi di trascrivere i manifesti ed inviarli ai/alle partecipanti dopo il workshop: sarebbe un ottimo modo di consolidare le conoscenze acquisite e fornire un facile riferimento per l’applicazione di questi meccanismi legali nell’attività giornalistica sulla violenza sulle donne. Inoltre ciò rappresenterà sia per AI sia per le ONG delle donne un'opportunità per mantenere i contatti con i/le partecipanti e fornire un concreto follow-up del workshop. 36 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E SESSIONE 2 - RICHIAMARE I GOVERNI ALLE PROPRIE RESPONSABILITÀ Obiettivi: • comprensione del concetto di “debita diligenza” (due diligence) e della sua applicazione nell’attività giornalistica Occorrente: • presentazione sulla due diligence (Appendice 9) • scheda sulla due diligence (Appendice 10) • videocassetta o DVD del cortometraggio It's in our hands: Stop violence against women (video di lancio della campagna fornito dal Segretariato internazionale) • videoregistratore o lettore DVD • diagramma di flusso logico (Appendice 3) Durata: 1 ora Da ricordare... Nella prima parte della sessione i/le partecipanti guarderanno un cortometraggio sulla violenza sulle donne per poi discutere degli argomenti emersi. Siate prudenti e sensibili nel condurre il dibattito: potrebbero verificarsi reazioni emotive molto forti, soprattutto da parte delle donne che abbiano subito alcuni dei tipi di violenza mostrati, ma anche di uomini che potrebbero essere stati colpiti indirettamente da questo tipo di violenza o esserne stati testimoni (ad esempio da bambini). Per suggerimenti su come gestire le reazioni estreme, consultate il paragrafo sulla rivelazione di esperienze di violenza nell'Introduzione. Uno degli argomenti delicati affrontati dal filmato è lo stupro coniugale. Siate preparati/-e ad un dibattito particolarmente infuocato sull'argomento: potrebbero esservi persone, anche donne, che non ammettono l'esistenza dello stupro all'interno del matrimonio; sarà probabile il ricorso ad argomentazioni culturali e religiose a giustificazione delle proprie posizioni. Date ampio spazio al dibattito poiché rappresenta una fase importante del processo di confronto aperto dei vari punti di vista in un ambiente sicuro. La discussione e la conseguente auto-riflessione potrebbero indurre i/le partecipanti a cominciare a mettere in discussione alcuni elementi delle loro stesse profonde convinzioni. Tuttavia, la discussione dovrà essere attentamente moderata: consigliamo vivamente la presenza al workshop, con funzione di consulenza o facilitazione, di una rappresentante di una ONG per le donne: questo dibattito estremamente delicato è la sede ideale per accostarsi alla competenza e all’esperienza “sul campo” maturata dalle associazioni. Può risultare utile avere a disposizione alcune definizioni legali: ad esempio, dello stupro e delle altre forme di violenza sessuale il Tribunale penale 37 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E internazionale dà una definizione estensiva, non limitata all’uso della forza fisica bensì incentrata sugli atti coercitivi del perpetratore, minacce e oppressione psicologica comprese. Anziché definire lo stupro unicamente in termini di penetrazione forzata del pene nella vagina, se ne dà una definizione scevra di connotazioni di genere (riconoscendo che anche uomini e bambini possono subirlo), che si riferisce in generale all'invasione del corpo della vittima, comprendendo lo stupro per mezzo di oggetti e il sesso orale forzato. Può essere altresì utile aver sottomano dei brani (o la loro interpretazione) tratti da testi religiosi o codici penali locali che trattino della protezione delle donne dalla violenza. Fase 1: Cortometraggio e commenti Proiettate il cortometraggio della durata di 10 minuti It's in our hands: Stop violence against women: è una risorsa formidabile per consolidare l’apprendimento circa le diverse forme e i diversi contesti di violenza sulle donne. Contiene commoventi testimonianze personali che aiutano a interiorizzare la realtà, l'orrore e le conseguenze della violenza; inoltre vi si introduce il concetto di “debita diligenza” (ingl. due diligence: la responsabilità dello Stato di proteggere le donne dalla violenza di genere), fornendo vari esempi di occasioni in cui lo Stato ha mancato di attivarsi per prevenire tale violenza o per portarne i perpetratori dinnanzi alla giustizia. (10 minuti) Dopo il video invitate i/le partecipanti ad esprimere la loro reazione. Approfondite con domande più specifiche: • Quali forme di violenza erano citate? • Quali erano i contesti? • Quali tematiche relative allo stupro sono state toccate? 1. lo stupro come arma durante un conflitto 2. la diffusione dell' HIV/AIDS, 3. l’esclusione sociale delle vittime di stupro • Fino a che punto il pregiudizio e la discriminazione, tollerati dalla cultura, hanno condizionato le donne vittime di violenza? Il filmato presenta casi di donne che per la vergogna associata alla violenza rinunciano a chiedere giustizia o che, dopo uno stupro, vengono allontanate da casa dal partner per una “questione d'onore”. Punti che devono emergere dal dibattito: 1. l’universalità della violenza sulle donne: il suo essere un'epidemia mondiale senza confini, non legata soltanto a questioni economiche o di sviluppo, etnia, nazionalità o cultura (anche se tutti questi fattori possono contribuire, soprattutto se nell’identità d’una donna alcuni aspetti si 38 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E sovrappongono: ad es. le donne appartenenti a minoranze etniche povere ed emarginate molto probabilmente sono ancora più vulnerabili, subiscono una più profonda discriminazione, hanno più limitato accesso alla giustizia ecc.; per ulteriori informazioni v. It's in our hands, op. cit., cap.5); 2. l’indifferenza dello Stato come fattore aggravante; 3. la responsabilità dello Stato di attivarsi per proteggere le donne (è ciò che in termini legali si definisce appunto “debita diligenza”), e l’impunità di cui godono gli attori statali in caso di mancato esercizio della due diligence. (10 minuti) Consiglio: Nella Raccomandazione generale 19, § 9, il CEDAW afferma che «Ai sensi del diritto internazionale generale e delle specifiche convenzioni sui diritti umani, gli Stati possono essere ritenuti responsabili anche di atti privati se non agiscono secondo debita diligenza per prevenire la violazione dei diritti o per indagare sugli atti di violenza e punirli, e per fornire un risarcimento» (il neretto è nostro). Fase 2: La “debita diligenza” A questo punto svolgete la presentazione sulla due diligence (v. Appendice 9), che approfondisce i temi affrontati nel video. Al termine, dedicate qualche momento alle domande e distribuite la scheda relativa (v. Appendice 10). (15 minuti) Fase 3: Esercizio sulla “debita diligenza” Distribuite delle copie del comunicato stampa (v. Appendice 11) e lasciate qualche minuto per leggerlo. (10 minuti) Proponete una discussione sui seguenti punti (l'attività può essere svolta in plenaria o a coppie o a piccoli gruppi): 1. Perché in questo caso può essere applicata la debita diligenza? 2. Quali sono i fattori principiali che danno luogo alla debita diligenza? Risposte possibili: • la polizia ha dato prova di indifferenza: ha trascurato di registrare una dichiarazione da parte della ragazza durante la permanenza in ospedale e ha dedicato scarso impegno alle ricerche dell'uomo, nonostante le prove certe di molestia [il c.d. stalking, persecuzione privata condotta in varie forme: telefonate, pedinamenti, danni alle proprietà ecc. - n. d. trad.], effrazione, violazione di domicilio ed aggressione con un'arma letale che ha provocato lesioni gravissime; • il limite d'età per la presunzione del consenso all’atto sessuale è troppo basso: questo potrebbe essere interpretato come una mancata tutela dei diritti delle bambine, che le espone al pericolo; 39 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E • i tribunali non mettono a disposizione un luogo sicuro nel quale le donne possano rendere testimonianza della violenza, in particolar modo di quella sessuale; • è chiaramente disatteso il Domestic Violence Act. (10 minuti) Chiedete ai/alle partecipanti quanto può essere utile, secondo loro, l’applicazione di tale concetto nell’attività giornalistica. (5 minuti) Consiglio: Se tutto va bene, riconosceranno l'estrema utilità del concetto, soprattutto perché riporta la responsabilità della violenza sulle donne dalla sfera privata a quella pubblica. I governi sono tenuti ad adottare misure efficaci per porvi fine: ciò significa che devono non solo assicurare che i propri agenti non commettano atti di violenza sulle donne, ma anche adottare misure efficaci per prevenire e punire tali atti da parte dei privati cittadini. Se uno Stato non agisce con diligenza per prevenire e punire la violenza sulle donne, da chiunque commessa, compiendo indagini approfondite per ogni denuncia, può essere ritenuto responsabile dell'abuso (standard della debita diligenza, v. sopra). Ciò non esime gli effettivi colpevoli e i loro complici dall'essere perseguiti e puniti per il loro crimine (v. It's in our hands, op. cit., cap.6). 40 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E SESSIONE 3 - ESERCIZI PRATICI- APPLICAZIONE DI TESTI E STRUMENTI LEGALI Obiettivi: • esercizi d’applicazione del diritto internazionale dei diritti umani (in primis il principio della debita diligenza) ai casi di violenza sulle donne • studio degli approcci basati sul genere nel trattamento mediatico dei casi di violenza sulle donne, con esercizi e discussione delle tecniche di intervista Occorrente: • lavagne a fogli mobili • penne Durata: 1 ora Consiglio: Se a condurre la facilitazione insieme a voi c'è una persona esperta di formazione in campo giornalistico, l'ideale sarebbe che seguisse molto da vicino la presente sessione e la successiva, così da poter guidare i gruppi nella redazione dei testi ed integrare consigli generali sul loro stile giornalistico: ciò darà ai/alle partecipanti il senso concreto della progressiva acquisizione di una valida esperienza pratica a 360 gradi. Fase 1: Rompere il ghiaccio Coccodrilli e isole Ricavate uno spazio nella stanza, disponete sul pavimento tre o quattro fogli per lavagna a fogli mobili e spiegate che rappresentano delle "isole": le persone dovranno camminarvi attorno, e quando darete il segnale “Coccodrillo!” tutte dovranno correre a collocarsi sopra un'isola, e chi non trova posto è fuori per quel turno; fate un paio di giri, ogni volta piegando le "isole" a metà per aumentare la difficoltà. Alla fine la maggior parte delle persone sarà stata eliminata ma avranno fatto una bella corsetta e saranno più energiche e pronte per l'attività successiva. (5 minuti) Fase 2: Applicare il diritto internazionale dei diritti umani Spiegate ai/alle partecipanti che in questa sessione avranno la possibilità di applicare il quadro giuridico nella redazione di un brano giornalistico. Rimanendo nello stesso gruppo di prima, sceglieranno un caso reale (oppure ne inventeranno uno) che sia particolarmente significativo per il loro contesto di lavoro o specializzazione, e su di esso dovranno redigere collettivamente, scrivendolo sulla lavagna a fogli mobili, un articolo molto breve (circa 200 parole), avendo a disposizione 35 minuti; ogni gruppo sceglierà poi una persona per la presentazione in plenaria. 41 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E Ricordate loro di prendere in considerazione i seguenti punti (scriveteli sulla lavagna a fogli mobili): • obiettività; • evitare stereotipi o espressioni sessiste; • affrontare il relativismo culturale; • far riferimento agli strumenti giuridici pertinenti; • far riferimento al concetto di debita diligenza. (35 minuti) I gruppi presenteranno quindi i loro scritti, dando agli altri gruppi la possibilità di commentarli. In alternativa, si possono appendere i lavori finiti su una parete libera e i gruppi possono, dopo breve lettura, fornire un commento scritto su un foglio posto accanto all'articolo. (20 minuti) Alternativa alla Fase 2 Potete proporre una discussione a coppie, con reciproca analisi del lavoro svolto: alcune persone potrebbero preferirlo, e ciò consentirà di scrivere un articolo più corposo. Se tra i/le partecipanti vi sono persone che lavorano alla radio o alla televisione, potreste adattare l'attività chiedendo loro di organizzare un breve servizio radiofonico o televisivo. Le persone più esperte potrebbero voler lavorare da sole e produrre articoli più lunghi. Un’idea in più: A conclusione del workshop potreste organizzare un premio giornalistico per il miglior reportage (reale) sulla violenza sulle donne. 42 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E SESSIONE 4 - TECNICHE D’INTERVISTA Obiettivo: • sensibilizzazione all'importanza di un approccio improntato a sensibilità alle questioni di genere per intervistare le donne vittime di violenza Occorrente: • schede o foglietti ognuno con uno dei seguenti casi fittizi (se non si riesce a prepararli in anticipo, si possono scrivere i casi su una lavagna a fogli mobili, numerandoli da 1 a 4): 1. una domestica che viene picchiata regolarmente dal proprio datore di lavoro e chiusa a chiave nella propria stanza di notte; 2. una donna che da più di 10 anni viene picchiata dal marito, che la minaccia di morte se lo lascia; 3. una donna condannata a morte per adulterio; 4. una ragazza diciottenne costretta a sposare un parente che abusa di lei. Durata: 1 ora Consiglio: Potete aggiungere altri casi selezionati a vostro criterio dai materiali propagandistici della campagna donne (It's in our hands, op.cit., o uno dei volantini riprodotti nell'Appendice 7), o uno di rilevanza locale indicato da una ONG per le donne. Consigliamo caldamente di scegliere un caso che non includa la violenza sessuale, poiché è molto più complesso e richiederebbe molto più tempo e formazione; provateci solo se c'è una rappresentante di una ONG per le donne o una persona che si occupi di formazione giornalistica con esperienza in questo campo. Consigliamo i seguenti testi di riferimento: • AI Publications e International Centre for Human Rights and Democratic Development (Centro internazionale per i diritti umani e lo sviluppo democratico), Investigating Women's Rights Violations in Armed Conflict [L’indagine sulle violazioni dei diritti delle donne nei conflitti armati], 2001; • AI Olanda e Council for the Development of Social Science Research in Africa (Consiglio per lo sviluppo della ricerca nel campo delle scienze sociali in Africa, CODESRIA), Monitoring and Investigating Sexual Violence [La vigilanza e l’indagine sulla violenza sessuale], 2000, www.amnesty.nl oppure www.africanbookscollective.com . Fase 1: Preparazione Facendo riferimento ad alcuni dei casi usati precedentemente e nel primo giorno, chiedete ai/alle partecipanti quali problemi potrebbero incontrare nell'intervistare le donne coinvolte; elencate i punti-chiave sulla lavagna. Consentite ai partecipanti di riportare qualsiasi esperienza giornalistica diretta maturata nel campo. Il messaggio principale è che tale compito richiede 43 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E grande sensibilità e comprensione ed è difficile tanto per l'intervistata che per chi intervista. (10 minuti) Distribuite le copie dell'Appendice 12 che presenta le linee-guida sulla metodologia della ricerca improntata a sensibilità alle questioni di genere. Lasciate 10 minuti per leggerle e rispondete alle eventuali domande. (10 minuti) Fase 2: L’intervista (gioco di ruolo) Dividete i/le partecipanti in coppie (se sono in numero dispari, supplirete voi o la persona vostra co-facilitatrice), assegnate ad ognuna un caso e spiegate loro che dovranno rappresentare la situazione descritta calandosi nella parte, rispettivamente, del/-la giornalista e della vittima. Lasciate 10 minuti per la preparazione e 20 per tutte le rappresentazioni. (30 minuti) Consiglio: In questa sessione osservate con attenzione e prendete nota di eventuali aspetti particolarmente interessanti, da riferire loro alla fine dell'esercizio, o dopo la discussione sulle domande riportate qui di seguito. Ma attenzione: occorre sensibilità; nessuno deve sentirsi escluso od oggetto di critica personale; per questo motivo è importante concentrarsi sugli esempi positivi delle cose che hanno funzionato bene: l'idea è di usarli per illustrare i punti di apprendimento importanti. Fase 3: Feedback Scrivete le domande seguenti sulla lavagna a fogli mobili (o preparatele in anticipo) e invitate i/le partecipanti a discuterne in coppia per poi condividere le risposte con tutto il gruppo: 1. Quanto è riuscita l'intervista secondo voi e perché? 2. Come vi sentivate (soprattutto chi interpretava la "vittima")? 3. Quali erano gli aspetti provocatori? 4. Come applichereste questa esperienza al vostro lavoro in futuro? Annotate sulla lavagna ogni punto importante che emerge dalla discussione in plenaria. (10 minuti) Ribadite che intervistare donne che hanno subito violenza è estremamente delicato e richiede un’intensiva formazione specialistica che i limiti di tempo di questo workshop non consentono. Altre risorse: Potete trovare informazioni utili su internet, come le seguenti in inglese: • www.lshtm.ac.uk/hpu/docs/WHO.pdf (raccomandazioni dell'OMS su come intervistare donne vittime di traffico); • www.journalism.org/resources/tools/reporting/interviewing/tips.asp?from=pr int. 44 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E Per risorse in altre lingue, dovrete documentarvi personalmente prima del workshop. 45 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E SESSIONE 5 - CONCLUSIONE DEL WORKSHOP Obiettivi: • conclusione del workshop • valutazione Occorrente: • cartoline vuote (preferibilmente della campagna AI “Mai più violenza sulle donne”) • penne • elenchi di contatti (partecipanti e Sezioni/strutture/IS) • moduli di valutazione (v. Appendice 13) Durata: 45 minuti Eccoci alla sessione conclusiva. È importante che le persone si congedino sentendosi motivate e pronte a mettere in pratica quanto appreso. Consiglio: È sempre forte la tentazione di concludere un workshop in anticipo saltando l'ultima sessione, dal momento che i/le partecipanti sono quasi sicuramente stanchi ed hanno già impegnato molto del loro tempo prezioso. Tuttavia, vi raccomandiamo di dedicare sufficiente tempo a questa sessione perché: • aiuterà a tirare le somme dell'intero workshop; • darà spazio ad ulteriori domande; • darà la possibilità di rafforzare i nuovi rapporti professionali ed umani creati nei due giorni trascorsi; • vi consentirà di distribuire eventuali materiali aggiuntivi di AI o d’altra fonte. Fase 1: Ricapitolazione Ricordate tutte le aree tematiche affrontate (usando il diagramma di flusso logico se lo ritenete utile) e richiamate alcuni degli elementi-chiave emersi in ogni sessione (per illustrarne alcuni può essere utile tener sottomano il lavoro riportato sui fogli delle lavagne). È importante ribadire quanto segue: 1. la violenza sulle donne esiste dappertutto: non conosce confini economici, religiosi, culturali, geografici; 2. la violenza sulle donne è un'epidemia mondiale, con gravi conseguenze fisiche e psicologiche a breve e lungo termine, ivi comprese conseguenze per la salute che possono essere fatali e si ripercuotono a cascata sull’intera società; 3. la violenza sulle donne si verifica tanto durante i conflitti quanto in tempo di pace; 46 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E 4. gli stereotipi consolidati nei media hanno un ruolo importante nel perpetuare la discriminazione nei confronti delle donne, che spiana la strada alla violenza e ad altre violazioni dei diritti umani; 5. la violenza sulle donne persiste a causa di leggi e mentalità discriminatorie che svalutano le donne, dell'indifferenza dello Stato, e dell'impunità di cui godono gli attori statali; 6. la violenza sulle donne non è inevitabile: giornalisti e giornaliste possono svolgere un ruolo cruciale sia nel far cadere gli stereotipi sia nel denunciare la portata e la diffusione di tale violenza nella società; 7. giornalisti e giornaliste sono responsabili di assicurare l'applicazione della prospettiva di genere in tutti i campi della loro professione, e si spera che questo workshop sia stato utile contributo in tal senso; 8. il diritto internazionale dei diritti umani e il principio della debita diligenza sono strumenti utilizzabili nel giornalismo per affrontare la violenza sulle donne e richiamare i governi alle proprie responsabilità; 9. giornalisti e giornaliste giocano inoltre un ruolo importante nel risvegliare la consapevolezza dell'opinione pubblica riguardo ai meccanismi legali in materia di diritti umani. (5 minuti) Ritornate brevemente sulle loro aspettative per il workshop e chiedete loro fino a che punto siano state soddisfatte. Ribadite che il workshop è stata solo un’introduzione, ma che sperate che essi abbiano acquisito abbastanza preparazione sull'argomento e il quadro giuridico da essere in grado di approfondirli e di iniziare ad applicare quanto appreso all’attività giornalistica. Se vi sono dei punti che i/le partecipanti desiderano affrontare o approfondire, esprimete l’auspicio di mantenervi in contatto con loro e segnalate che anche dopo il workshop potranno rivolgersi ad AI per ulteriori informazioni e risorse. Fase 2: Promemoria personale 1. Invitate i/le partecipanti a riflettere per qualche minuto sul workshop e ad elencare tre cose che possano realisticamente impegnarsi a fare nella loro vita professionale per fermare la violenza sulle donne; 2. dovranno scrivere queste promesse sulle cartoline vuote che sono state loro fornite e indirizzarle a se stessi/-e; 3. raccogliete le cartoline, che spedirete loro ad un mese dalla fine del workshop: esse rappresenteranno un ricordo del tempo passato qui, l'inizio del follow-up, un modo per mantenere il contatto con AI, e un garbato promemoria degli impegni assunti per chi non li avesse ancora rispettati! (15 minuti) Per chiudere la sessione, chiedete ai/alle partecipanti di quali aiuti e risorse aggiuntivi potrebbero aver bisogno da AI e fate un elenco delle risposte sulla 47 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E lavagna per vostro uso. Distribuite la lista dei contatti, ai quali potranno rivolgersi in qualsiasi momento: quelli della relativa Sezione/struttura nazionale e, presso il Segretariato internazionale, l’ufficio stampa regionale e quello della campagna “Mai più violenza sulle donne” del Media and AudioVisual (MAV) Programme (programma media e audio-visivo), entrambi all'indirizzo di posta elettronica [email protected] . Potete inoltre incoraggiare l’adesione ad una rete professionale “amnistiana” sulla campagna donne, o la sua creazione: sarebbe il modo migliore per loro di aiutarsi reciprocamente e per voi di mantenere un rapporto fecondo con loro per la durata della campagna e oltre. Distribuite i moduli di valutazione che avevano cominciato a compilare alla fine del primo giorno e lasciate 10 minuti per completarli con le impressioni della giornata di oggi: ricordate che questa è la loro occasione di fornire ad AI un valido feedback per migliorare il workshop in futuro. Le valutazioni volendo possono essere anonime. (10 minuti) Consiglio: È molto importante ottenere le valutazioni complete; se vi chiedono di spedirle dopo il workshop, è molto probabile che non saranno mai completate: molti validi insegnamenti andranno così perduti e il perfezionamento del workshop sarà ritardato. Raccogliete i moduli di valutazione. Ringraziate tutti i/le partecipanti per il loro tempo e invitateli a svolgere il loro importante ruolo nell'informare le donne dei loro diritti, nel modificare i comportamenti violenti nei loro confronti e nel creare una cultura in cui tutte le persone vedano rispettati i propri diritti umani e vivano libere dal timore della violenza. Non mancate inoltre di ringraziare tutte le persone che hanno contribuito alla progettazione e alla realizzazione del workshop: staff di AI, volontari e volontarie, personale tecnico, relatori e relatrici, osservatori ed osservatrici delle ONG delle donne sul territorio, e chi ha condotto la facilitazione insieme a voi. (5 minuti) FINE DEL WORKSHOP 48 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E APPENDICI APPENDICE 1 - ATTIVITÀ DI STIMOLO E AGGREGAZIONE Trovate una persona che indossa… Invitate i/le partecipanti a camminare liberamente per la stanza, rilassandosi. Quando direte ad alta voce “Trovate una persona che indossa… (nominate un capo di vestiario)”, dovranno correre vicino alla persona che indossa quell’indumento o accessorio e fermarsi vicino a lei. Ripetere il gioco più volte con capi diversi. Cinque isole Con un gesso disegnate cinque cerchi sul pavimento, grandi abbastanza da contenere tutti i/le partecipanti, e date un nome ad ognuna di queste “isole”: ogni partecipante andrà ad “abitare” sull’isola preferita. Quindi avvertite che una delle isole affonderà presto: le persone che vi “abitano” dovranno trasferirsi rapidamente su un’altra isola. Lasciate crescere la suspense e poi nominate l’isola che sta affondando: le persone correranno in una delle altre quattro. Il gioco continua finché tutti saranno pigiati in una sola isola. Carta e cannucce I/le partecipanti si dividono in squadre e ricevono una cannuccia a testa. Ogni squadra si dispone in fila e mette un pezzo di carta all’inizio della fila. Quando il gioco comincia, la prima persona della fila deve prelevare il pezzo di carta con la cannuccia succhiando l’aria e passarlo alla seconda che lo reggerà nella stessa maniera, e così via. Se il pezzo di carta cade, la squadra ricomincia da capo. Passa l’energia I/le partecipanti si mettono in cerchio, seduti o in piedi, tenendosi per mano e concentrandosi in silenzio. Mandate una serie di “impulsi” in entrambe le direzioni, stringendo la mano alle persone vicino a voi senza farvi scorgere: esse li trasmetteranno nello stesso modo lungo il cerchio, “energizzando” letteralmente il gruppo. Nodi I/le partecipanti si mettono in cerchio, si prendono per mano e senza lasciarsi cominciano a muoversi in tutte le direzioni, girando e torcendosi fino a creare un “nodo”: poi dovranno scioglierlo, sempre senza smettere di tenersi per mano. 49 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E Guidare e condurre I/le partecipanti si dividono a coppie: una persona si mette una benda e l’altra la guiderà con cautela in giro per la stanza, facendo attenzione che non urti nulla. Dopo qualche tempo farete invertire i ruoli. Alla fine si discuterà insieme delle sensazioni provate nel dover fare affidamento su un’altra persona per muoversi senza farsi male. Flic floc In cerchio, ogni persona conterà progressivamente rimpiazzando ogni numero divisibile per 3 con la parola “flic”, ogni numero divisibile per 5 con la parola “floc” e ogni numero divisibile sia per 3 che per 5 con “flic-floc”. Andate avanti e vedete fino a dove riuscite ad arrivare! Statue Formate due cerchi concentrici con egual numero di persone, le quali si fronteggeranno a coppie. Ogni persona facente parte del cerchio esterno sarà “scultore/scultrice”: in dieci secondi di tempo, userà la persona che ha di fronte per creare una “statua”, piegandone ed atteggiandone le membra a suo piacimento (naturalmente evitando atti o posizioni umilianti e/o dolorosi!). La “statua” dovrà lasciar fare e rimanere in silenzio nella posizione fintanto che non darete il segnale “Tempo!”: allora il cerchio esterno ruoterà verso sinistra di una persona e si ricomincia. A giro completato, il cerchio interno passerà all’esterno, di modo che ogni persona abbia la possibilità di rivestire entrambi i ruoli. Gioco del sì e del no I/le partecipanti si dispongono su due file, fronteggiandosi a coppie. Una fila dovrà dire “sì” in tutti i modi possibili, l’altra dovrà cercare di far cambiare idea al/alla partner dicendo “no” nella maniera più convincente possibile, poi si scambiano i ruoli. Quindi si aprirà una discussione sulle sensazioni provate: come ci si sentiva a dire “sì” e “no”? Che cosa è stato più facile a dirsi? A workshop terminato: scrivere sulla schiena I/le partecipanti si attaccano un foglio di carta sulla schiena, e reciprocamente vi scrivono che cosa hanno trovato piacevole, apprezzato, ammirato della persona che lo porta: potranno poi conservare il proprio foglio per ricordo. Riflettere sulla giornata I/le partecipanti si passano una palla di carta: la persona in possesso di palla potrà esprimere un giudizio o una riflessione sulla giornata. 50 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E APPENDICE 2 – PROGRAMMA DI LAVORO Primo giorno Descrizione sessione Obiettivi Sessione 1: Sessione d’apertura Presentazioni Durata: 1 ora I/le partecipanti esprimono le proprie aspettative Illustrazione del programma di lavoro e chiarimenti Sessione 2: Esaminare il ruolo dei mass media nel campo dei diritti umani Durata: 1 ora Comunicare e far comprendere al gruppo le idee di ciascun/-a partecipante relativamente ai diritti umani, a ciò che lui/lei considera proprie responsabilità in quanto giornalista e alle sfide che l’aspettano Pausa Sessione 3: L’immagine delle donne quale emerge dal linguaggio e dalle illustrazioni utilizzati nei mass media Durata: 1 ora Analisi delle responsibilità connesse all’immagine delle donne offerta dai mass media Le ripercussioni di tale immagine mediatica sulla violenza sulle donne Pranzo Sessione 4: Forme, cause e conseguenze della violenza sulle donne Analisi delle varie forme di violenza sulle donne, delle sue cause principali e delle ripercussioni sull'individuo e sulla società Durata: 1 ora Pausa Sessione 5: La questione culturale Durata: 1 ½ ora Sessione 6: Conclusione Durata: 30 minuti 51 Le strategie per superare gli ostacoli culturali che impediscono di porre fine alla violenza sulle donne Riflessione sulla prima giornata di lavoro e riepilogo dei punti d’apprendimento salienti www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E Secondo giorno Descrizione sessione Obiettivi Sessione 1: Il quadro giuridico dei diritti umani come strumento operativo Approfondimento della conoscenza degli strumenti giuridici (internazionali e nazionali/regionali) e loro applicazione all’attività giornalistica sulle questioni attinenti alla violenza sulle donne Durata: 2 ore Pausa Sessione 2: Uno sguardo al concetto di “debita diligenza” (due diligence) Comprensione del concetto di ”debita diligenza” e della sua applicazione nell’attività giornalistica Durata: 1 ora Pranzo Sessione 3: Affinamento delle capacità nell'attività giornalistica nel campo dei diritti umani Applicazione degli strumenti giuridici nel reportage di casi concreti Durata: 1 ora Pausa Sessione 4: Tecniche d’intervista Adozione della prospettiva di genere nelle interviste Durata: 1 ora Sessione 5: Plenaria conclusiva Durata: 45 minuti Commenti finali e riepilogo: raccomandazioni sull’adozione della prospettiva di genere nei media valutazione personale Fine 52 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E APPENDICE 3 – STRUTTURA LOGICA DEL WORKSHOP (DIAGRAMMA DI FLUSSO) Primo giorno Secondo giorno • Presentazioni • Riepilogo del primo giorno • Aspettative • Meccanismi legali in materia di violenza sulle donne • Programma di lavoro • I diritti umani e il ruolo dei mass media • Temi e sfide Pausa Pausa • Analisi della sensibilità di genere dei mass media • Presentazione e applicazione del concetto di “debita diligenza” Pranzo Pranzo • Forme e cause della violenza sulle donne • Esercizio pratico 1: applicazione degli strumenti acquisiti Pausa Pausa • La questione culturale: problemi e strategie • Esercizio pratico 2: adozione della prospettiva di genere nelle interviste • Riepilogo del primo giorno • Riepilogo delle due giornate • Illustrazione del secondo giorno • Conclusione • Eventuali domande 53 • Raccomandazioni • Valutazioni www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E APPENDICE 4 – RACCOMANDAZIONI PER UN GIORNALISMO CHE FACCIA PROPRIA LA PROSPETTIVA DEL GENERE Domande: 1. Quali sono le fonti della notizia? Fra esse vi sono delle donne? 2. Da che punto di vista sono riportati i fatti? 3. Vi sono stereotipi nella relazione della notizia? 4. Il linguaggio è oggettivo? 5. Le illustrazioni che accompagnano il servizio corrispondono al contenuto? Le donne vi sono presentate/sfruttate come immagini di fantasie sessuali? Lingua: • impiegate termini ed espressioni neutre o astratte che includano entrambi i sessi, o la duplice forma maschile/femminile (o femminile/maschile!) • evitate i suffissi femminili -essa, -trice ecc. suscettibili di connotazione negativa, e le espressioni che diano per scontato il sesso della persona cui si riferiscono (alcune alternative sono indicate qui sotto); • descrivete le donne in quanto persone, individui autonomi, e non in termini di relazione con altri. FRASI E SUFFISSI D’USO COMUNE FRASI E SUFFISSI ALTERNATIVI l’uomo, gli uomini (in senso generale) gli esseri umani, l’umanità, il genere umano, le persone, la gente diritti dell’uomo diritti umani fratellanza solidarietà umana, solidarietà uomini d’affari sing.: donna d’affari, manager plur. (specie se collettivo): “i/le manager”, “il mondo/l’ambiente manageriale”, “la direzione amministrativa” ecc. donna delle pulizie persona addetta alle pulizie pompiere il/la vigile del fuoco donna-poliziotto poliziotta, funzionaria di polizia vigilessa (una/la) vigile “relatore: Maria Rossi” “relatrice: Maria Rossi”, “relatori: Giovanni Bianchi, Maria Rossi, Anna Neri”, 54 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E “relatori e relatrici:” ecc. “relazioni/interventi di:” ecc. “Maria Rossi, presidentessa di…” “Maria Rossi, presidente di…” “Maria Rossi, direttore di…” “Maria Rossi, direttrice di…” “il sindaco Maria Rossi” “la sindaca Maria Rossi” “l’assessore Maria Rossi” “l’assessora Maria Rossi” (un calco rigoroso dal latino vorrebbe assessrice) “il giudice Maria Rossi” “la giudice Maria Rossi” “Maria Rossi, avvocato” “Maria Rossi, avvocata” Quando non è noto il sesso della persona in questione, per evitare di dare per scontato che si tratti d’un uomo: il relatore “il/la relatore/-trice” “il relatore o la relatrice” (o anteponendo la forma femm.) “la persona che presenta la relazione” ecc. il presidente “il/la presidente” “la presidenza” il legislatore “l’ordinamento giuridico” “il potere legislativo” ecc. (secondo i casi) 55 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E APPENDICE 5 – L’IMMAGINE DELLE DONNE NEI MEDIA Presentazione PowerPoint Questa presentazione è disponibile in internet nel database HRE (per informazioni sull’accesso contattate il team HRE del Segretariato internazionale: [email protected]); potete utilizzarla nel corrente formato, con la raccomandazione di adattarla alle specifiche necessità locali e al vostro stile personale. 56 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E APPENDICE 6 – FORME E CONTESTI DELLA VIOLENZA SULLE DONNE Presentazione PowerPoint Questa presentazione è disponibile in internet nel database HRE (per informazioni sull’accesso contattate il team HRE del Segretariato internazionale: [email protected] ); potete utilizzarla nel formato corrente, con la raccomandazione di adattarla alle specifiche necessità locali e al vostro stile personale. 57 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E Appendice 7 - CASI INDIVIDUALI DA ANALIZZARE 1. Private della protezione della legge – violenza domestica María Teresa Macías (USA) «Se io muoio, voglio che raccontiate a tutti quello che mi è successo. Non voglio che altre donne soffrano come ho sofferto io. Voglio che siano ascoltate» María Teresa Macías (Teresa) aveva molti buoni motivi per temere che suo marito l’avrebbe uccisa. Durante i 18 mesi precedenti la sua morte, Teresa si era rivolta alla polizia più di 20 volte. Suo marito picchiava e violentava lei e i loro tre figli. Dopo che Teresa aveva abbandonato la casa di famiglia, lui l’aveva perseguitata continuamente (il c.d. stalking), terrorizzandola e minacciandola di morte. Il 15 aprile 1996 l’ha uccisa con un colpo di fucile, poi ha sparato due volte alla suocera prima di rivolgere l’arma contro se stesso. Nei mesi precedenti, il marito di Teresa non era mai stato arrestato per non aver rispettato le ordinanze del tribunale che gli proibivano di avvicinarla o di mettersi in contatto con lei; le richieste d’aiuto della donna, addirittura quasi mai registrate, erano state ignorate dalla polizia e non era stato preso alcun provvedimento. Le associazioni che si battono per i diritti delle donne hanno condotto indagini sul caso di Teresa, hanno fornito assistenza legale e sostegno alla sua famiglia ed hanno lanciato una campagna nazionale. Soltanto dopo sei anni di azioni legali il dipartimento dello sceriffo della Contea di Sonoma (California) è stato chiamato a rispondere della mancata protezione di María Teresa Macías. La famiglia di Teresa ha intentato una causa federale per violazione dei diritti civili, sostenendo che a Teresa non erano stati riconosciuti i propri diritti costituzionali: le era infatti stata negata una protezione non discriminante poiché era una donna, vittima di violenza domestica, nonché appartenente a una minoranza etnica. Nel luglio 2000 la Corte d’appello statunitense, ribaltando la sentenza precedente che archiviava il caso, ha dichiarato che a Teresa non era stato riconosciuto il diritto costituzionalmente sancito di usufruire della protezione della polizia senza discriminazioni, e ha condannato il Dipartimento dello sceriffo a versare alla famiglia di Teresa un risarcimento di un milione di dollari (disposizione attuata nel giugno 2002). Tale sentenza, che ha creato un precedente, costituisce, per le istituzioni preposte all’applicazione della legge di tutti gli Stati della federazione, un forte richiamo all’obbligo di proteggere le donne dalla violenza, adottando provvedimenti efficaci per prevenire e punire simili episodi, chiunque ne sia responsabile. Ma simili sentenze non sono ancora abbastanza. Secondo gli ultimi dati del governo, nel 2001 si sono verificati almeno 700.000 casi di violenza domestica negli Stati Uniti e circa un terzo delle donne uccise ogni anno è 58 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E vittima dell’ex o dell’attuale compagno. Nonostante l’aumento degli stanziamenti nei bilanci nazionali e delle iniziative per combattere la violenza sulle donne, come i centri antiviolenza che forniscono servizi di sostegno alle vittime di violenza domestica, le donne come Teresa continuano a subire perché non ricevono adeguata protezione. Fonte: “Stop violence against women: USA ‘If I die, I want you to tell the world what happened to me” [Campagna “Stop violence against women” USA: «Se io muoio, voglio che raccontiate a tutti quello che mi è successo»], AI Index: AMR 51/001/2004 2. Uccisa per aver parlato – la persecuzione delle attiviste per i diritti umani delle donne Esperanza Amarís Miranda (Colombia) Il 16 ottobre 2003, a Barrancabermeja, Esperanza Amarís Miranda è stata sequestrata da casa da tre uomini armati (ad ogni evidenza appartenenti a un gruppo paramilitare appoggiato dall’esercito) che l’hanno spinta dentro a un taxi e sono partiti. Quando la figlia ventunenne si è aggrappata allo sportello della macchina in movimento, gli uomini sono scesi e l’hanno buttata a terra prendendola a calci. Pochi minuti dopo, il corpo di Esperanza è stato abbandonato per strada. Era stata uccisa a colpi d’arma da fuoco. Esperanza aveva 40 anni, manteneva i suoi figli vendendo biglietti della lotteria e faceva parte dell’Organización femenina popular (Organizzazione popolare delle donne, OFP), che conduce campagne per i diritti delle donne da più di 30 anni. In Colombia le donne che lottano apertamente per i loro diritti subiscono intimidazioni e violenze, fino all’assassinio, da parte dei gruppi armati di entrambe le fazioni coinvolte nel conflitto che ormai da molti anni divide il paese. Le forze di sicurezza del governo e i loro alleati paramilitari considerano le donne che rivestono ruoli di spicco nella collettività e che svolgono attivismo in difesa dei diritti umani delle collaboratrici della guerriglia e dunque bersaglio legittimo nella guerra all’insurrezione; dal canto loro, i gruppi armati d’opposizione hanno ucciso donne accusate di essere schierate col nemico. Violenza sessuale, mutilazioni e abusi a donne e bambine sono stati usati come armi di guerra per seminare il panico e mettere a tacere le campagne per i diritti sociali, economici e politici. I rapitori di Esperanza hanno rivendicato l’appartenenza al Bloque Central Bolívar (Blocco della regione del Central Bolívar), un gruppo paramilitare che l’aveva già minacciata in precedenza. Esperanza aveva denunciato le minacce subite al procuratore regionale ma la polizia non aveva preso nessuna misura per proteggerla e, dopo il suo rapimento, non aveva mai risposto alle chiamate telefoniche dell’OFP. Più di 90 omicidi e oltre 50 “sparizioni” avvenuti a Barrancabermeja nel 2003 testimoniano dell’impunità di cui godono i gruppi paramilitari e di guerriglia. 59 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E Quello di Esperanza è soltanto uno dei tanti casi: Leonora Castaño, presidente dell’Asociación nacional de mujeres campesinas, indígenas y negras de Colombia (Associazione nazionale delle donne contadine, indigene e nere della Colombia, ANMUCIC, che sostiene i diritti umani e il diritto alla terra delle donne), è stata bersaglio di numerose minacce; Blanca Nubia Díaz, una sostenitrice dell’associazione, è stata costretta ad abbandonare la propria casa in seguito all’assassinio della figlia sedicenne da parte dei paramilitari nel maggio 2001, e nel settembre 2003 una lettera anonima indirizzata all’ANMUCIC la informava che l’altro suo figlio era stato fatto prigioniero. Il governo colombiano non solo non ha protetto gli attivisti, e soprattutto le molte attiviste, per i diritti umani, ma non ha nemmeno combattuto e smantellato i gruppi paramilitari. Ignorando le continue indicazioni della comunità internazionale, esso sta attualmente proponendo dei progetti di legge che permetterebbero a coloro che non rispettano i diritti umani di eludere la giustizia. Fonte: Stop violence against women: Murdered for speaking out – persecution of women human rights defenders in Colombia [Campagna “Stop violence against women” - Uccise per aver parlato – la persecuzione delle attiviste per i diritti umani delle donne in Colombia], AI Index: AMR 23/001/2004 3. Violentata dalle forze di sicurezza “Mutia” (Indonesia) Mutia (pseudonimo) piangeva mentre raccontava ad AI di quando, nel 2003, è stata spogliata e violentata da sei soldati mentre si trovava in detenzione militare. Ha raccontato di essere stata presa a pugni e picchiata con una tavola di legno nonché costretta, una volta, a stare per nove ore immersa fino al collo in una vasca piena d’acqua gelida. Alle richieste di vedere i suoi tre bambini le rispondevano con la minaccia di ucciderli. I parenti di Mutia non sapevano della sua cattura né dove si trovasse e sono riusciti a scoprirlo soltanto un mese dopo. In seguito, la donna è stata liberata ed è fuggita in Malaysia. La famiglia di Mutia è accusata di essere in stretto contatto con un gruppo armato d’opposizione, ma la donna smentisce qualsiasi legame. Negli ultimi 10 anni, i militari hanno ucciso suo marito e quattro suoi fratelli: Mutia sostiene che ciò sia dovuto alla ricchezza del padre e al suo costante rifiuto di pagare le tangenti richieste dalle forze armate. Tra le migliaia di persone illegalmente uccise e torturate o arbitrariamente detenute dalle forze di sicurezza durante il conflitto contro il Gerakan Aceh Merdeka (Movimento di liberazione dell’Aceh, GAM, noto anche come Free Aceh Movement, gruppo armato per l’indipendenza), che infuria ormai da 28 anni nella regione di Nanggroe Aceh Darussalam, vi sono anche molte donne. Il conflitto ha ridotto in povertà molte donne della regione: migliaia di uomini sono stati uccisi illegalmente, sono “scomparsi” o fuggiti, lasciando le mogli 60 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E e le altre donne della famiglia a far fronte a gravi privazioni economiche in veste di nuovi capifamiglia e fonti di reddito. Le forze di sicurezza seguono poi un modello d’azione ben preciso, stabilito ormai da tempo, che prevede il ricorso allo stupro ed ad altri crimini di natura sessuale ai danni delle donne dei villaggi della regione; tali abusi sono stati denunciati anche durante le operazioni militari iniziate nel maggio 2003 e tuttora in corso: ad es., nell’agosto 2003, in un villaggio dell’Aceh settentrionale, i soldati avrebbero stuprato una ragazzina di 12 anni, e le autorità civili e militari locali si sarebbero rifiutate di prendere in considerazione la denuncia sporta dagli abitanti del villaggio. Si sono avuti casi di donne tratte “in arresto”, ma in realtà prese in ostaggio, al posto dei propri familiari membri del GAM che erano riusciti ad evitare l’arresto: secondo quanto riportato, sono state costrette a denudarsi di fronte ai membri delle forze di sicurezza per controllare eventuali tatuaggi sul seno, segno dell’appartenenza al gruppo. Durante le operazioni militari in corso, è stata condotta un’indagine su alcune accuse a carico dei militari per violenza sessuale: finora, la condanna più lunga emessa dal tribunale militare è stata di tre anni e mezzo per i casi di stupro. Tuttavia, si va rafforzando nella giurisprudenza l’avversione al ricorso ai tribunali militari per processare i membri delle forze armate accusati di crimini di diritto internazionale, perché in tali casi essi mancano, o è verosimile che possano mancare, del giusto grado di distacco ed imparzialità. Nonostante le continue denunce di crimini di natura sessuale contro le donne perpetrati dalle forze armate durante le operazioni militari, soltanto un caso è stato oggetto d’indagine e non si è avuta alcuna condanna. Fonte: Stop violence against women: Indonesia – sexual violence by the security forces [Campagna “Stop violence against women” - Indonesia: violenza sessuale perpetrata dalle forze di sicurezza], AI Index: ASA 21/047/2004 4. Stupro durante il conflitto – la lotta solitaria di una donna per ottenere giustizia Kavira Muraulu (Repubblica democratica del Congo) Nel cuore della notte del 16 maggio 2003 un soldato ha fatto irruzione in casa di Kavira Muraulu e l’ha violentata. Il giorno seguente la donna ha sporto denuncia contro di lui: il soldato e i suoi amici sono tornati da lei e l’hanno picchiata, ma lei, imperterrita, ha sporto di nuovo denuncia. L’hanno uccisa a colpi di baionetta allo stomaco. Kavira era una contadina di poco più di 50 anni, viveva vicino a un campo militare a Mangangu, poco distante dalla città di Beni, nella regione del Kivu settentrionale, nella parte orientale delle Repubblica Democratica del Congo. In questa zona, il conflitto tra diverse forze armate infuria da più di cinque anni e molte donne e bambine sono state stuprate, mutilate e uccise in totale impunità. 61 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E L’uomo che ha stuprato Kavira era un soldato del campo militare; quando lei era andata a denunciarlo al suo comandante, quest’ultimo gli aveva ordinato di pagarle un risarcimento di tre dollari americani, ma dinanzi al suo rifiuto di obbedire non aveva mosso un dito. Kavira aveva quindi sporto denuncia al governatore del distretto locale, che l’aveva rassicurata ed esortata a tornare a casa, senza tuttavia prendere alcuna misura per proteggerla. Lo stupratore e altri suoi commilitoni l’hanno colta di sorpresa nei campi, l’hanno legata e malmenata, buttandole giù un dente e ferendola alla mascella, e si sono fermati soltanto quando un’altra donna li ha minacciati con un fucile. Kavira è stata poi ricondotta dal governatore che invano ha tentato di convincerla a ritirare la denuncia. I soldati l’hanno assalita di nuovo, questa volta a colpi di baionetta allo stomaco. Nonostante le continue pressioni ufficiali e il rischio per la sua vita, Kavira era determinata ad ottenere giustizia e risarcimento. Tutte le forze coinvolte nel conflitto nella parte orientale della Repubblica democratica del Congo hanno usato lo stupro di massa e altre forme di violenza sessuale per terrorizzare e sottomettere la popolazione civile. L’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari dell’ONU (UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs) ha stimato che nel Kivu meridionale siano state stuprate circa 5.000 donne tra l’ottobre 2002 e il febbraio 2003, in media 40 al giorno; in molti casi, le vittime sono state anche ferite o uccise deliberatamente. Rapite o spinte dall’estrema povertà, migliaia di donne e bambine sono diventate schiave sessuali o combattenti di prima linea. Il trauma delle vittime è aggravato anche dall’alto rischio di contrarre il virus HIV; inoltre nel paese mancano quasi del tutto le possibilità di trattamento medico e psicologico di cui necessitano. Gli stupri e gli altri crimini di natura sessuale e gli omicidi commessi nella Repubblica democratica del Congo costituiscono crimine di guerra e contro l’umanità, eppure nessuno dei responsabili è stato ancora assicurato alla giustizia. Fonte: Stop violence against women: Democratic Republic of the Congo – one woman’s struggle for justice [Campagna “Stop violence against women” Repubblica democratica del Congo: stupro durante il conflitto – la lotta solitaria di una donna per ottenere giustizia], AI Index: AFR 62/001/2004 5. «Non voglio morire» – Violenza domestica in Iraq “Fatima” (Iraq) «Era molto arrabbiato e ha afferrato il kalashnikov […]. I vicini dicevano ”Lasciala stare” […]. Ma lui non si è fermato, mi ha sparato alle gambe, non le sentivo più, erano come paralizzate; il sole stava tramontando, io ho guardato il cielo e ho detto agli uomini “Non voglio morire”. Allora mi hanno portato all’ospedale» Il 21 maggio 2003 il marito di Fatima (pseudonimo), 19 anni, le ha sparato alle gambe davanti alla famiglia e ai vicini. Sposatasi all’età di 12 anni, 62 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E Fatima veniva trattata come una serva e picchiata regolarmente in casa della famiglia del marito. Aveva tentato di fuggire per tornare dalla propria famiglia ma quel giorno il marito le ha ordinato di tornare a casa con lui; montato in collera dinanzi al suo rifiuto, l’ha colpita dapprima con un pezzo di legno, che si è rotto facendolo arrabbiare ancora di più; allora ha preso il fucile e le ha sparato. Nonostante i testimoni oculari e la gravità del crimine, né la famiglia né l’ospedale hanno denunciato il caso alla polizia e il marito non è stato arrestato. La famiglia ha deciso che il problema andava risolto all’interno del clan familiare. Dimessa dall’ospedale, Fatima è tornata a casa del padre; il marito si è mostrato dispiaciuto e le ha offerto un risarcimento, cercando di riconciliarsi con lei grazie alla mediazione degli anziani: ma Fatima si rifiuta di tornare con lui, nonostante le pressioni. Ormai da decenni le donne irachene sopportano forti privazioni: la perdita dei loro uomini nella guerra tra Iran e Iraq negli anni 1980-1988; l’espulsione di massa in Iran subita da intere famiglie, dichiarate “d’origine iraniana” dalle autorità; la repressione governativa, come gli attacchi con armi chimiche contro la popolazione curda a Halabja nel 1988; la guerra del Golfo nel 1991 e la successiva repressione della rivolta di Shi’a; 13 anni di sanzioni da parte dell’ONU, dal 1990 al 2003; e l’azione militare guidata dagli Stati Uniti nel 2003. Sotto la dittatura di Saddam Hussein, le donne venivano arbitrariamente arrestate, torturate, rapite e “giustiziate” dalle autorità per motivi politici. Si dice che nel 2000 moltissime donne accusate di prostituzione siano state decapitate in pubblico da un gruppo paramilitare. Il vuoto venuto a crearsi a livello sia politico che di sicurezza dopo l’invasione e l’occupazione statunitense del 2003 ha portato alla diffusione di saccheggi e sparatorie. Le quotidiane notizie di sequestri e stupri hanno indotto molte donne a lasciare il lavoro o lo studio e a chiudersi in casa. Secondo i dati della Iraqi Women’s League (Lega delle donne irachene, IWL, organizzazione per i diritti delle donne), dalla fine della guerra, tra l’aprile e l’agosto 2003, più di 400 donne sono state «sequestrate, stuprate e occasionalmente vendute». Ma anche in casa le donne irachene possono non essere al sicuro. Dopo la caduta di Baghdad, il conseguente caos giudiziario, unitamente allo scioglimento delle forze di polizia da parte degli occupanti e alla proliferazione di armi da fuoco, ha contribuito all’aumento dei “delitti d’onore” e delle violenze domestiche: crimini spesso ignorati dalla polizia, come nel caso di Fatima. Alcuni leader islamici hanno sfruttato l’attuale clima di instabilità in Iraq per portare avanti il proprio programma politico, che prevede la limitazione della libertà d’espressione e di movimento delle donne. Fonte: Stop violence against women: ‘I don’t want to die’ – Domestic violence in Iraq [Campagna “Stop violence against women” - «Non voglio morire» – Violenza domestica in Iraq], AI Index: MDE 14/001/2004 63 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E 6. Private della protezione della legge – donne assassinate perché le loro richieste d’aiuto vengono ignorate Alicia Arístregui (Spagna) Alicia Arístregui è stata picchiata e violentata dal marito, aggredita fisicamente e psicologicamente, per tutti i 14 anni del loro matrimonio. Anche dopo che lei l’ha lasciato, lui ha continuato a minacciarla e ad ignorare un’ordinanza del tribunale che gli proibiva di avvicinarla. Alicia e la sua famiglia hanno chiesto aiuto alla polizia e al tribunale ma le loro richieste sono state ignorate. Un giorno però, circa quattro mesi dopo averlo lasciato, Alicia è stata avvicinata dal marito alla fermata dell’autobus, dove aveva appena accompagnato i bambini. È morta accoltellata. Alicia ha lasciato il marito nel gennaio 2002 ed è stata accolta presso una casa protetta statale. Nella richiesta al tribunale di emanare un’ordinanza per impedire al marito di avvicinarla, la donna ha rivelato di aver avuto bisogno di una terapia a causa delle violenze subite; ha raccontato le continue minacce rivolte a lei e alla famiglia per costringerla a cedere la custodia dei figli e la casa, ed ha espresso la convinzione che prima o poi tali minacce sarebbero state messe in atto. Più volte Alicia e i suoi fratelli hanno denunciato l’inosservanza dell’ordine da parte del marito, ma i verbali non sono mai stati trasmessi alla polizia della città in cui lei risiedeva. Le autorità hanno ignorato le loro molteplici richieste di protezione. Nel luglio 2003 il Consiglio generale della magistratura (l’organo giudiziario supremo) ha avallato la condotta del giudice, asserendo che la magistratura non è responsabile del coordinamento dei diversi corpi di polizia. In seguito alla morte di Alicia, uno dei suoi fratelli ha fondato un’organizzazione che si batte affinché le vittime di violenza di genere vengano protette dalla polizia. In molti casi, i tribunali non prendono in seria considerazione le denunce delle donne minacciate di morte o aggredite dai propri compagni, né emanano ordinanze restrittive contro i responsabili, a volte con risultati fatali. Oltre a ciò, scarseggiano i finanziamenti statali ai centri d’emergenza e alle sistemazioni protette, che non sono presenti in tutto il paese e restano affidati all’iniziativa delle organizzazioni non governative. In una sentenza del maggio 2003, la Corte suprema ha rigettato la responsabilità di proteggere le donne dalla violenza domestica: ha revocato il risarcimento stabilito dal tribunale di prima istanza alla famiglia di Mar Herrero, una donna uccisa nell’ottobre 1999 da un ex compagno dopo mesi di minacce e molestie che erano state denunciate alle autorità; la Corte ha stabilito che la responsabilità statale sussisteva soltanto in caso di crimine commesso da agenti statali o dietro loro conoscenza o acquiescenza. L’assassino di Mar Herrero era stato già condannato per il tentato omicidio di una sua ex e scarcerato sette mesi prima con la condizionale e contro il 64 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E parere dello psicologo; sette giorni prima del delitto, era stata respinta la richiesta del procuratore generale di revocare la scarcerazione. Fonte: Stop violence against women: Spain – beyond the protection of the law [Campagna “Stop violence against women” - Spagna: private della protezione della legge], AI Index: EUR 41/001/2004 7. Spezzare il circolo vizioso della violenza “Juliette” (Belgio) Juliette (pseudonimo) non osava raccontare agli amici e alla famiglia che il suo compagno la picchiava. «Ti senti sporca […], lo difendi, ti dispiace per lui […]. Temevo di essere rifiutata e mi vergognavo, così mi sono isolata da tutti. Al dottore ho detto di essere stata aggredita per strada». «Ci siamo conosciuti nell’ottobre del 2000. Era molto geloso, mi perseguitava al telefono e mi controllava anche quando eravamo insieme, voleva sapere dove fossi, con chi fossi ecc. Nel marzo 2001 sono iniziate le violenze fisiche. Alla fine di novembre è stato terribile, mi aveva picchiata di nuovo, stavo troppo male […]; ho lasciato il mio appartamento e mi sono diretta in auto verso la stazione di polizia mentre lui mi inseguiva». Juliette si è rifugiata a Bruxelles, dove ha sporto denuncia contro il proprio compagno; circa due mesi dopo, costui si è presentato a casa sua per chiederle perdono, ma Juliette ha di nuovo chiamato la polizia. Nonostante la gravità delle accuse, Juliette non è del tutto sicura che le autorità abbiano preso provvedimenti, ad eccezione di una richiesta di indagini da parte del pubblico ministero. «Dapprincipio ero restia a sporgere denuncia perché temevo ritorsioni» dice Juliette «ma adesso mi chiedo cosa stia succedendo. Ho sporto due denunce e la polizia ha un dossier sul mio caso: ma ci saranno un processo e una sentenza? e quando?». Nonostante le numerose iniziative di carattere legislativo prese in Belgio a partire dal 1997 per combattere la violenza sulle donne, sembra che la maggior parte delle denunce di violenza domestica non sia soggetta a indagini giudiziarie, e la polizia non è ancora in grado di fornire dati precisi relativi a tali denunce poiché solo recentemente si è iniziato a registrare i casi di violenza domestica separatamente dagli altri tipi di aggressione. Tuttavia, uno studio del 1998 ha stabilito che più del 50 per cento delle donne è stato vittima di violenza in famiglia; di queste circa il 30 per cento è stato vittima del compagno. Juliette alla fine ha trovato la solidarietà e il sostegno del dottore e dei colleghi di lavoro. «Ma di solito quando le persone vedono un donna con un livido sulla faccia dicono subito, per scherzo, “ah, il tuo ragazzo ti ha picchiata!”. Penso che questo sia inaccettabile. Certe battute non devono essere tollerate». I maltrattamenti subiti da Juliette fanno parte di un circolo di violenza. «Il mio compagno e aggressore da bambino è stato vittima di gravi violenze e 65 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E questo l’ha reso inquieto […]. Anche sua madre veniva picchiata da suo padre e sua sorella viene picchiata dal marito». In Belgio, le organizzazioni per i diritti delle donne chiedono sempre più pressantemente servizi di sostegno specializzati per tutte le vittime di violenza domestica, e trattamenti e terapie adeguati per gli aggressori onde evitare ricadute; inoltre, chiedono sostegno e vigilanza per i bambini e le bambine che crescono in questo tipo di famiglie, che spesso da tali esperienze riportano gravi danni psicologici, e in futuro potrebbero ripetere i gesti cui hanno assistito. Fonte: Stop violence against women: Belgium – breaking the cycle of violence [Campagna “Stop violence against women” - Belgio: spezzare il circolo vizioso della violenza], AI Index: EUR 14/001/2004 8. È ora di porre fine agli abusi fra le mura domestiche Marita (Filippine) Quando Marita ha cercato di rifiutarsi ai rapporti sessuali, il marito l’ha picchiata. Una volta ha preteso di fare sesso minacciandola con un coltello alla gola. Dopo 15 anni di matrimonio e nove figli, Marita, 34 anni, temeva altre gravidanze. Suo marito era geloso se lei rientrava tardi, dopo ore passate a vendere cibo per guadagnare qualcosa, essendo lei l’unica a provvedere alla famiglia; e quando lui non riusciva a trovare un impiego stabile, la picchiava ancora di più. Le bruciava le braccia con le sigarette e le continue aggressioni le hanno fatto perdere quasi tutti i denti. Quando ha iniziato a picchiare anche i figli, Marita l’ha lasciato, portandoli con sé. Temeva che il figlio più grande potesse rispondere agli attacchi e finora non ha mai ceduto ai tentativi del marito di convincerla, tra minacce e promesse, a tornare indietro. Le donne filippine sono soggette a standard morali estremamente severi: devono essere docili e servizievoli nell’ambito familiare e nei rapporti intimi; la forte sacralità del matrimonio rende difficile per le donne interrompere le relazioni violente: gli studi dimostrano che in tali situazioni esse sopportano continue e sempre maggiori violenze per una media di 10 anni prima di chiedere aiuto. Grazie al sostegno di un’organizzazione per le donne, Marita ha trovato il coraggio di lasciare il marito. Il suo è soltanto un esempio di come una rete dinamica e attiva di organizzazioni per i diritti umani e i diritti delle donne stia facendo la differenza nelle Filippine, aiutando le vittime di violenza domestica, facendo pressioni per ottenere riforme legali ed enti governativi di sostegno, rafforzando la presa di coscienza e di potere da parte delle donne tramite percorsi d’autostima, istruzione e formazione. Nel novembre 2002, a Manila, numerose associazioni delle donne si sono unite per chiedere giustizia per le vittime di violenza domestica prima di una 66 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E manifestazione commemorativa per l’anniversario della morte di Maria Teresa Carlson, un’ex attrice che aveva chiesto aiuto dopo anni di violenze e che infine si è suicidata saltando dal ventitreesimo piano di un palazzo. Nel 1997, le pressioni esercitate da tali gruppi hanno favorito l’adozione di nuove leggi contro la violenza sessuale. Prima, lo stupro non era considerato un grave crimine contro la persona ma soltanto un “crimine contro la castità”: una donna stuprata doveva provare di non aver deliberatamente perso la verginità. In un’importante sentenza della Corte suprema del 2000, una donna condannata a morte per aver ucciso il marito si è vista commutare la pena e il caso è stato riaperto. Tuttavia non esiste ancora una legge contro la violenza domestica sebbene vi sia un disegno di legge in discussione; i fondi per i progetti relativi alle questioni di genere sono insufficienti e le leggi in vigore per proteggere le donne non sono applicate correttamente. Nonostante l’indefesso lavoro delle organizzazioni femminili e una Costituzione che stabilisce la parità fra uomini e donne, nelle Filippine la violenza domestica è molto radicata e le donne come Marita continuano a subire. Fonte: Stop violence against women: Philippines – time to end abuse in the home [Campagna “Stop violence against women” - Filippine: è ora di porre fine agli abusi fra le mura domestiche], AI Index: ASA 35/001/2004 67 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E APPENDICE 8 - NOTE SUI DIRITTI UMANI DELLE DONNE «I diritti delle donne sono diritti umani»: questa frase è una solenne affermazione di giustizia e dignità umana per le donne, perché quando una donna viene trattata come inferiore ad un uomo, ciò equivale a considerarla un essere “meno umano” dell’uomo. Le violazioni dei diritti umani che colpiscono le donne sono così sistematiche e dilaganti da essere ritenute cosa naturale da molte persone. In tutto il mondo le donne sono sistematicamente discriminate in molti settori della vita sociale, politica, giuridica e culturale: godono di meno diritti per quel che riguarda il lavoro; hanno diritti legali più limitati; viene loro negato il diritto alla proprietà privata; guadagnano meno degli uomini a parità di mansione; ricevono meno attenzione a scuola; sono soggette a violenza da parte di attori statali e di privati, in casa e fuori. Che cosa intendiamo per “diritti umani delle donne”? Gli atti di violenza e discriminazione rivolti alle donne rappresentano violazioni dei diritti umani: dall’aggressione da parte di mariti o compagni allo stupro delle detenute da parte della polizia; dalla disparità di retribuzione tra donne e uomini al negare alle bambine istruzione, cure mediche e persino alimentazione eguali a quelle concesse ai loro fratelli. Tali violazioni però sono troppo spesso viste come problemi limitati ai diritti delle donne e quindi meno importanti, o come faccende private di cui le autorità non devono occuparsi. La Dichiarazione universale dei diritti umani concede gli stessi diritti a uomini e donne, bambine e bambini, in virtù del loro essere umani e a prescindere dal loro ruolo o dalla relazione che intercorre tra loro, che siano madri, figlie, padri, datori di lavoro o altro: quando le violazioni a danno di donne e bambine non sono riconosciute in quanto violazioni dei diritti umani, le donne sono svalutate collettivamente come esseri umani e vedono negata parte della propria natura umana. I diritti umani non sono un regalo concesso arbitrariamente dai governi, né possono da questi ultimi essere ritirati o applicati esclusivamente ad alcune persone e non ad altre: quando i governi agiscono in questo modo e negano i diritti umani a un gruppo sociale, devono essere chiamati a risponderne. I governi però non sono i soli responsabili: gli attori economici e i singoli individui devono anch’essi essere ritenuti giudicabili. Troppo spesso il relativismo culturale, sotto forma di tradizione sociale e culturale, diviene pretesto per negare i diritti umani delle donne: il diritto alla libertà di religione o il diritto alla protezione della famiglia possono essere strumentalizzati per giustificare l’oppressione delle donne. La CEDAW è tuttavia molto chiara nell’affermare (art.5): «Gli Stati parte dovranno adottare misure adeguate al fine di: a) modificare gli schemi di condotta sociali e culturali di uomini e donne, mirando all’eliminazione di pregiudizi, usanze e pratiche d’ogni altro tipo che 68 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E si fondino sull’idea di inferiorità o superiorità di un sesso rispetto all’altro o sull’assegnazione ad uomini e donne di ruoli stereotipati». La DEVAW delle Nazioni Unite stabilisce (art.4): «Gli Stati devono condannare la violenza sulle donne e non devono invocare usanze, tradizioni o considerazioni religiose per evitare i propri obblighi rispetto alla sua eliminazione». Secondo Radhika Coomaraswami, ex-Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza sulle donne «[…] nel prossimo secolo i problemi posti dal relativismo culturale e le sue implicazioni per i diritti delle donne rappresenteranno uno dei temi più importanti nel campo dei diritti umani internazionalmente riconosciuti» (UN Doc. E/CN.4/2002 /83, 31 gennaio 2002, § 1). Il concetto di debita diligenza dei governi è il principio giuridico secondo cui i governi possono essere chiamati a rispondere di crimini commessi da attori non statali (v. Appendice 10). La storia del riconoscimento dei diritti delle donne come diritti umani La Dichiarazione universale è il documento principale per comprendere i nostri diritti umani, ma negli ultimi 50 anni sono stati emessi anche altri documenti internazionali e regionali, che si riferiscono a preoccupazioni specifiche. A grandi linee, nello sviluppo dei diritti umani delle donne si sono avute tre fasi. La prima era incentrata sulla garanzia per le donne dei medesimi diritti politici degli uomini (elettorato attivo e passivo ecc.); i diritti “di prima generazione” sono infatti quelli civili e politici, enunciati nell’ICCPR, che può essere invocato dalla singola persona contro le interferenze arbitrarie da parte dello Stato. Tali diritti si definiscono anche “negativi”, nel senso che richiedono allo Stato di astenersi da certe azioni (tortura, privazione della vita o della libertà ecc.), di darsi dei limiti e rispettare l’autonomia del singolo individuo, ma hanno anche un carattere spiccatamente paternalistico e non solo non mettono in questione gli stereotipi sulle donne, ma in qualche caso si sono prestati addirittura a rafforzarli; ad es., una Convenzione OIL dell’epoca dichiarava che le donne non dovevano lavorare di notte, presumibilmente perché questo era considerato in contrasto coi loro doveri familiari: l’effetto più macroscopico fu di limitare le opportunità di guadagno delle donne. La seconda fase dello sviluppo dei diritti umani delle donne (1960-1980) si è focalizzata su eguaglianza e discriminazione, culminando nella creazione (1979) della Convenzione (con la relativa Commissione) per l’eliminazione della discriminazione avversa alle donne (Convention/Committee on the Elimination of Discrimination against Women, entrambi CEDAW), che tratta dell’obbligo, per gli Stati, di eliminare le politiche discriminatorie, e definisce differenti aree di discriminazione (vita politica e pubblica, lavoro, sanità, credito finanziario, legislazione ecc.); è un trattato vincolante, ovvero gli Stati 69 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E che l’hanno firmato devono rispettarlo e farlo rispettare ai propri cittadini e cittadine (debita diligenza). Per molto tempo, tuttavia, i diritti delle donne sono stati relegati in secondo piano dal sistema delle Nazioni Unite; la CEDAW ha operato isolata dalle altre Commissioni, e queste a loro volta non hanno integrato i diritti delle donne nei rispettivi trattati: ad es. la Commissione contro la tortura non ha fatto menzione degli atti di tortura che avevano una connotazione di genere specifica. Le cose hanno cominciato a cambiare alla fine degli anni ’80, quando si è registrato un movimento crescente verso l’interpretazione di abusi e violazioni a connotazione di genere come questioni rientranti nel raggio d’azione delle vigenti convenzioni internazionali. La terza fase del riconoscimento dei diritti delle donne come diritti umani è cominciata agli inizi degli anni ’90 e vede il tentativo di integrare in maniera più sistematica i temi riguardanti i diritti umani delle donne nei trattati delle Nazioni Unite sui diritti umani . I diritti delle donne e il diritto internazionale Le accese campagne portate avanti negli ultimi decenni dalle organizzazioni per i diritti delle donne e da altri soggetti hanno condotto a significativi progressi nel diritto internazionale e nell’impegno della comunità internazionale di documentare e combattere le violazioni dei diritti delle donne (per ulteriori informazioni v. It’s in our hands, op. cit., cap.6, e Making rights a reality: The duty of states to address violence against women, op. cit., cap.3). Definizioni di violenza contro le donne DEVAW (1993), art.1: «Secondo le finalità della presente Dichiarazione, col termine “violenza sulle donne” si intende qualsiasi atto di violenza con connotazione di genere, che per le donne abbia o possa avere come conseguenza un danno o una sofferenza di carattere fisico, sessuale o psicologico, ivi comprese la minaccia di tali azioni, la coercizione e la privazione illegale della libertà, nell’ambito della vita sia pubblica che privata» Dichiarazione e Piattaforma d’azione di Pechino (1995): «Diagnosi di violenza sulle donne 113. Col termine “violenza sulle donne” si intende qualsiasi atto di violenza con connotazione di genere, che per le donne abbia o possa avere come conseguenza un danno o una sofferenza di carattere fisico, sessuale o psicologico, ivi comprese la minaccia di tali azioni, la coercizione e la privazione illegale della libertà, nell’ambito della vita sia pubblica che privata. Di conseguenza, la violenza sulle donne comprende, senza ad esse limitarsi, le forme seguenti: a. violenza fisica, sessuale e psicologica nell’ambito della famiglia: percosse, abuso sessuale delle bambine nell’ambiente domestico, violenza 70 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E connessa alla dote matrimoniale, stupro maritale, mutilazioni genitali femminili e altre pratiche dannose per le donne, violenza non maritale e violenza connessa allo sfruttamento; b. violenza fisica, sessuale e psicologica nella sfera collettiva: stupro, abuso sessuale, molestie sessuali e intimidazione sul luogo di lavoro, nelle istituzioni scolastiche e in qualsiasi altro luogo, traffico di donne e prostituzione forzata; c. violenza fisica, sessuale e psicologica perpetrata o tollerata dallo Stato, in qualsiasi luogo. 114. Fra gli atti di violenza sulle donne rientrano la violazione dei diritti umani delle donne in situazioni di conflitto armato, in particolare omicidio, stupro sistematico, riduzione in schiavitù sessuale e gravidanza forzata. 115. Fra gli atti di violenza sulle donne rientrano inoltre la sterilizzazione e l’aborto forzato, l’uso coatto/obbligato di contraccettivi, l’infanticidio femminile e la selezione prenatale del sesso» Date Focalizzazione dell’attivismo Risultati (diritto internazionale) anni ‘60 status politico e civile Dichiarazione universale dei diritti umani; ICCPR anni ‘70 eguaglianza e discriminazione CEDAW (1979) anni ’80-‘90 diritti umani delle donne e Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (UN Economic and Social Council, ECOSOC): riconoscimento della violenza domestica come «grave violazione dei diritti delle donne» (1986) attenzione alla violenza sulle donne Conferenza mondiale di Nairobi (e soprattutto parallelo Forum delle ONG): attenzione al problema della violenza sulle donne come oggetto di grave preoccupazione mondiale e adozione di strategie lungimiranti che collegano la promozione e il mantenimento della pace all’eliminazione della violenza sulle donne sia nella sfera pubblica che in quella privata CEDAW, Raccomandazione generale 19 (1992) (1) 71 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E Conferenza mondiale sui diritti umani (Vienna 1993): «I diritti delle donne sono diritti umani» (2) DEVAW (1993) (3) istituzione della figura del/-la Relatore/trice speciale sulla violenza alle donne (1994) Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo (Il Cairo 1994) (4) IV Conferenza mondiale sulle donne (Pechino 1994) (5) Statuto di Roma istitutivo del Tribunale penale internazionale (6) Protocollo opzionale alla CEDAW (2000) (7) NOTE 1: Vi si riconosce che la violenza fondata sul genere inficia gravemente o impedisce del tutto l’esercizio dei seguenti diritti: a. diritto alla vita; b. diritto di non subire tortura né trattamenti/punizioni crudeli, inumani o degradanti; c. diritto a pari protezione, in conformità alle norme del diritto umanitario, in tempo di conflitto armato internazionale o interno; d. diritto alla libertà e alla sicurezza personale; e. diritto a pari garanzie legali; f. diritto alla parità nell’ambito familiare; g. diritto al massimo standard raggiungibile di salute fisica e mentale; h. diritto a condizioni di lavoro giuste e favorevoli. 2: Soltanto nel 1993, alla Conferenza di Vienna, la comunità internazionale dei diritti umani ha riconosciuto ufficialmente che: 1) la violenza sulle donne è vera e propria violazione dei diritti umani, anche se ha luogo nell’intimità della famiglia; 2) i diritti delle donne e delle bambine fanno «parte inalienabile, integrante ed indivisibile dei diritti umani»; e 3) la violenza fondata sul genere ed ogni forma di molestia e sfruttamento sessuale, in particolare quelle derivanti dai pregiudizi insiti nelle culture e dal traffico internazionale, sono incompatibili con la dignità e il valore della persona umana. 3: Art.1: «Col termine “violenza sulle donne” si intende qualsiasi atto di violenza con connotazione di genere, che per le donne abbia o possa avere come conseguenza un danno o una sofferenza di carattere fisico, sessuale o psicologico, ivi comprese la minaccia di tali azioni, la coercizione e la privazione illegale della libertà, nell’ambito della vita sia pubblica che privata». 72 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E 4: Vi si è dichiarato che la libertà da violenza e coercizione è in tutto il mondo prerequisito essenziale del conseguimento della salute procreativa e della pianificazione familiare. 5: Nella Piattaforma d’azione, il documento centrale della Conferenza di di Pechino, i governi hanno dichiarato che «la violenza sulle donne costituisce violazione dei diritti umani fondamentali ed è d’ostacolo al conseguimento degli obiettivi della parità, dello sviluppo e della pace». 6: Sancisce la giurisdizione del Tribunale su genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra: di tali crimini in generale cadono vittime tanto gli uomini quanto le donne, ma alcuni per loro stessa natura colpiscono le donne in maniera esclusiva (ad es. la gravidanza coatta) o sproporzionata (ad es. la violenza sessuale). La violenza sulle donne può essere strumento di genocidio. Le donne non rientrano specificamente nelle quattro categorie (gruppi nazionali, etnici, “razziali” [v. n. d. trad. al secondo “Consiglio” della Fase 1, Sessione 5, primo giorno], religiosi) che godono dell’esplicita tutela della Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide (Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, nota come “Genocide Convention”, Convenzione sul genocidio, 1948); ciononostante, determinati tipi d’aggressione alle donne di ciascuno di tali gruppi, miranti alla sua distruzione parziale o totale, possono in quanto tali costituire genocidio. L’art. 7.1.g riconosce come crimini contro l’umanità: stupro, schiavitù sessuale, prostituzione coatta, gravidanza coatta, sterilizzazione coatta ed ogni altra forma di violenza sessuale di comparabile gravità; riconosce altresì espressamente che nel crimine di riduzione in schiavitù rientra il traffico di donne; allo stesso comma, lettera h, si afferma che la persecuzione fondata, fra altri elementi, sul genere, di un gruppo o una collettività identificabile, se condotta in connessione ad uno qualunque dei crimini ricadenti nella giurisdizione del Tribunale, costituisce crimine contro l’umanità. L’art.8 stabilisce la perseguibilità come crimini di guerra degli atti individuali di stupro, schiavitù sessuale, prostituzione coatta, gravidanza coatta, sterilizzazione coatta ed ogni altra forma di violenza sessuale, in grave infrazione o violazione dell’art.3 comune alle Convenzioni di Ginevra (1949), commessi nel corso dei conflitti armati internazionali ed interni. La definizione di tali crimini di guerra è essenzialmente identica a quella dei corrispondenti crimini contro l’umanità basati sulla violenza sessuale. Per ulteriori informazioni v. AI, ICC fact sheet 7: Ensuring justice for women [Tribunale penale internazionale, scheda 7: Garantire la giustizia alle donne], AI index: IOR 40/08/00. 7: In vigore dal 22 dicembre 2000, rappresenta un’ulteriore pietra miliare nel cammino verso la piena realizzazione dei diritti e delle libertà fondamentali di tutte le donne, nonché il riconoscimento dell’universalità dei diritti umani; vi si afferma che la sua ratifica implica il riconoscimento della competenza della CEDAW nei seguenti ambiti: 1) l’esame delle petizioni presentate, singolarmente o in gruppo, dalle donne che abbiano esperito tutte le vie di riparazione previste dall’ordinamento giuridico del loro Paese; e 2) la conduzione di indagini sulle violazioni gravi o sistematiche della Convenzione. 73 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E APPENDICE 9 – LA “DEBITA DILIGENZA” (DUE DILIGENCE) Presentazione PowerPoint Questa presentazione è disponibile in internet nel database HRE (per informazioni sull’accesso si prega di contattare il team HRE del Segretariato internazionale: [email protected] ); potete utilizzarla anche nel presente formato, con la raccomandazione di adattarla o crearne una nuova adeguata alle esigenze della realtà locale e al vostro stile personale. 74 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E APPENDICE 10 – CHE COS’È LA “DEBITA DILIGENZA” (DUE DILIGENCE)? «Inoltre, ove abbiano omesso di intervenire con la debita diligenza per prevenire le violazioni dei diritti, indagare sugli atti di violenza e e punirli e garantire risarcimento [alle vittime], gli Stati possono essere ritenuti responsabili degli atti compiuti da privati» CEDAW, Raccomandazione generale 19 I governi hanno la responsabilità di: 1. rispettare: astenersi da ogni interferenza diretta o indiretta nei diritti delle persone; 2. proteggere: prevenire gli abusi nei confronti di persone notoriamente esposte ad un pericolo specifico ed immediato e, a livello più generale, nei confronti di ogni potenziale vittima; 3. realizzare pienamente e promuovere il rispetto dei diritti da parte di tutti, tramite l’adozione di: adeguate misure legislative, amministrative, finanziarie, giudiziarie, promozionali e d’altro tipo; l’educazione ai diritti, attraverso molteplici strumenti: istruzione scolastica, pubblica informazione attraverso i media, informazioni agli/alle utenti dei servizi. La “debita diligenza” (due diligence) rappresenta la soglia minima d’azione e d’impegno che lo Stato deve profondere per adempiere alla propria responsabilità di protezione dalle violazioni: • quando né il perpetratore né la vittima siano pubblici ufficiali (violenza domestica etc.); • quando lo Sato sia o dovrebbe ragionevolmente essere a conoscenza di violazioni dei diritti umani e ciononostante ometta di adottare le adeguate misure preventive. (L’obbligo per lo Stato di perseguire i funzionari che commettano violazioni dei diritti umani non è negoziabile e non rientra negli standard di debita diligenza). In base al diritto internazionale, i governi hanno l’obbligo di esercitare la debita diligenza per garantire alle donne il loro diritto a: eguaglianza, vita, libertà e sicurezza, libertà dalla discriminazione, dalla tortura e da qualsiasi trattamento crudele, inumano e degradante; essi devono adottare politiche e programmi volti a realizzare tali diritti e a garantire riparazione e risarcimento alle persone che hanno subito violazioni. I governi nazionali hanno la responsabilità di intraprendere azioni volte a prevenire in primo luogo le violazioni dei diritti umani delle donne e a portarne i responsabili dinanzi alla giustizia: ciò comporta la responsabilità dell’adozione di misure educative, legali e pratiche volte a ridurre l’incidenza 75 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E della violenza (ad es. miglior illuminazione stradale in una zona dove si sono verificati stupri). Alcuni paesi, interpretando erroneamente il diritto internazionale dei diritti umani, ritengono che la loro responsabilità sia limitata a garantirne il rispetto esclusivamente da parte delle persone che agiscono per loro conto (attori statali): in realtà l’obbligo di prevenire, indagare e punire le violazioni vale anche per quelle commesse da attori non statali. Definizioni Attori non statali – Individui privati che agiscono al di fuori di qualsiasi organizzazione governativa o posizione di potere (anche gli attori economici, quali le aziende). Attori statali – Individui che agiscono per conto dello stato (funzionari statali, polizia, magistratura, guardie carcerarie, forze di sicurezza e personale medico e paramedico pubblico e di istituti di educazione). Responsabilità dello stato – La responsabilità dello stato per gli atti di violenza sulle donne, siano essi commessi da attori statali o non statali (vasta gamma di attori, tra cui autorità legali parallele, autorità locali, regionali e municipali e gruppi armati). Famiglia – Sebbene il termine venga spesso inteso nel senso di “famiglia nucleare”, esistono diverse forme di famiglia: allargata, monoparentale, omoparentale; un approccio globale deve considerare la famiglia come un luogo di relazioni personali intime piuttosto che come istituzione definita dallo Stato. Violenza contro le donne – Il lavoro di AI si basa sulla definizione contenuta nella DEVAW: «qualsiasi atto di violenza con connotazione di genere, che per le donne abbia o possa avere come conseguenza un danno o una sofferenza di carattere fisico, sessuale o psicologico, ivi comprese la minaccia di tali azioni, la coercizione e la privazione illegale della libertà, nell’ambito della vita sia pubblica che privata». La violenza di genere è stata definita nella Raccomandazione generale 19 della CEDAW come una violenza «diretta contro la donna in quanto tale, o che la colpisca la donna in maniera sproporzionata». In altre parole, non tutti gli atti che causano sofferenza alla donna sono fondati sul genere, e non tutte le vittime di violenza fondata sul genere sono donne: vi sono anche uomini, ad es. gli omosessuali perseguitati, percossi e uccisi perché non si adeguano al concetto di virilità socialmente approvato. Secondo interpretazioni più estese della definizione contenuta nella DEVAW, la violenza sulle donne comprende anche gli atti d’omissione quali la negligenza e la deprivazione; strumenti legali internazionali più recenti allargano tale definizione fino ad includere, in particolare, la violenza strutturale, ossia la sofferenza derivante dall’impatto dell’organizzazione dell’economia sulla vita delle donne. La violenza sulle donne comprende, ma non è limitata a: 76 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E • violenza nel contesto familiare: violenze fisiche inflitte dal partner, violenze sessuali ai danni di minori di sesso femminile nell’ambito domestico, violenza per motivi di dote, stupro coniugale, mutilazioni genitali femminili ed altre pratiche tradizionali pregiudizievoli per la salute, e inoltre maltrattamenti ai danni delle lavoratrici domestiche, ivi comprese la segregazione forzata, la riduzione in schiavitù e la violenza sessuale; • violenza nella sfera della collettività: stupro ed altre forme di violenza sessuale, molestie sessuali e lo stupro sul posto di lavoro, all’interno di istituti di educazione e altrove; e inoltre tratta, prostituzione forzata, lavoro forzato e violenza (sessuale o no) commessa da gruppi armati; • violenza fondata sul genere perpetrata o tollerata dallo Stato, o da attori statali, quali polizia, guardie carcerarie, esercito, guardie di frontiera, funzionari dell’immigrazione e così via: ad es. stupri commessi da forze governative durante i conflitti armati, sterilizzazione forzata, tortura in custodia e violenza commessa da funzionari ai danni delle rifugiate. All’interno di ciascuna categoria, la violenza può essere fisica, psicologia o sessuale; può manifestarsi attraverso la negligenza e la deprivazione, oltre che attraverso atti palesi di violenza o molestia. La violenza fisica da parte del partner è spesso accompagnata da violenza sessuale, deprivazione, isolamento e negligenza, come pure da violenze psicologiche. Per ulteriori informazioni, v. Making Rights a Reality: The duty of states..., op. cit., cap.4. 77 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E APPENDICE 11 - «NON CI SONO PIÙ SCUSE: AFFRONTATE LA VIOLENZA SESSUALE» Comunicato stampa originale del comitato esecutivo della Guyana Human Rights Association (Associazione per i diritti umani della Guyana, GHRA), 4 ottobre 2004 Le circostanze dello spaventoso assassinio della studentessa sedicenne Abigail Gittens rivelano in pieno quanto la società sia indifferente di fronte alla violenza nei confronti delle bambine e delle donne. Abbiamo sentito, a giustificare e condonare il fallimento nello sradicare la violenza sulle donne, scuse riferite alla mancanza di risorse e di competenze; scuse riferite alla religione e alla cultura; scuse riferite alla povertà. Certamente non ci sono più scuse. È necessaria una grande campagna che coinvolga il governo e le organizzazioni religiose e civili per assicurare che ogni guyanese sappia che la violenza a donne e bambine è inaccettabile e che i perpetratori saranno chiamati a risponderne. I fatti principali di questo caso sono assolutamente eloquenti riguardo allo stato della protezione dell’infanzia in Guyana. Una sedicenne ha mantenuto una burrascosa “relazione” con un 28enne per quasi due anni. In quel periodo l’uomo l’ha indotta ad allontanarsi da casa per tre mesi; grazie agli strenui sforzi di sua madre, Abigail è stata costretta a tornare a casa e messa in libertà vigilata; gli sforzi della madre in seguito hanno ottenuto che Abigail non volesse più avere rapporti con quell’uomo. Egli allora ha iniziato a perseguitarla: due settimane fa è entrato nella sua casa durante la notte, stuprandola nel sonno, poi il giorno seguente ha pugnalato lei e la madre mentre facevano ritorno dalla stazione di polizia dove avevano sporto denuncia; in conseguenza dell’accoltellamento la ragazza ha trascorso 3 giorni in ospedale. Infine la settimana scorsa, mentre lei rientrava a casa di sera, lui l’ha travolta con una motocicletta e l’ha pugnalata ripetutamente: questo brutale accanimento alla fine ne ha causato la morte. Secondo i resoconti della stampa, la polizia di Ruimveldt ha omesso di raccogliere una dichiarazione dalla ragazza mentre questa si trovava in ospedale e ha fatto ben poco per trovare l’uomo, nonostante le prove certe di persecuzione [il c.d. stalking - n. d. trad.], effrazione e violazione di domicilio, aggressione con arma letale e conseguenti lesioni gravissime. Chiediamo alla polizia un pieno chiarimento riguardo alla mancanza di serietà nel trattare la questione, e tuttavia bisogna riconoscere che la polizia riflette atteggiamenti e valori che pervadono la società. È assurdo che un uomo ventiseienne possa essere sessualmente coinvolto con una ragazzina di 14 anni senza che questo costituisca reato. È sfruttamento sessuale, non una “relazione”, ed è reso possibile solo da inaccettabili livelli di compiacenza alimentati da due principali fonti: le nostre maggiori comunità religiose e la mercificazione di giovani donne e bambine nella commercializzazione del sesso su vasta scala. Islam e Cristianità, insieme al Giudaismo, credono nell’eguaglianza fra le persone. Ciononostante, questo credo esclude quattro categorie di esseri 78 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E umani: minori, schiavi, non credenti e donne. I bambini escono dall’infanzia crescendo, gli schiavi possono venire affrancati, le persone non credenti possono convertirsi alla “vera” fede, ma la condizione di donna è irrimediabile. Le tre maggiori religioni hanno cercato di migliorare la condizione delle donne, ma restano dominate dai maschi e dalle tradizioni maschili. Per ragioni diverse la descrizione è egualmente valida per l’Induismo. Che sia per queste o per altre ragioni, resta il fatto che la dirigenza maschile delle comunità religiose non è pubblicamente turbata dalla violenza contro le donne come dovrebbe essere. Sul più vasto fronte secolare, la società maschile adulta deve confrontarsi con la propria diffusissima ambivalenza nei confronti della mercificazione sessuale delle donne, che si manifesta attraverso film sessualmente espliciti in televisione, insinuanti pubblicità di feste, puntando su giovani donne in pubblicità di alcolici cariche di riferimenti sessuali e salaci resoconti di incidenti relativi al sesso in alcune sezioni dei media. I maschi adulti sono in uno stato di negazione di fronte alle connessioni fra un’eccessiva licenza sessuale e la violenza di tipo sessuale. Basta guardare i tribunali per verificare la scarsa importanza attribuita alla violenza sessuale da parte della società maschile. Le vittime di violenza sessuale che hanno il coraggio di portare in tribunale gli stupri subiti devono combattere contro avvocati sogghignanti che stanno a scaldare la sedia, una cultura legale che concede tutti i benefici di dubbio e differimento all’accusato, e una generale indifferenza verso ciò che le vittime stanno vivendo. Esse devono gridare e ripetere dettagli intimi per via del livello del brusio nell’aula, mentre viene loro ordinato di girarsi da una parte e dall’altra per soddisfare i capricci di pubblici ministeri e difensori. Tale prassi è sistematicamente e intenzionalmente umiliante, e raramente si ottiene altro che far rivivere il trauma e lo shock dello stupro originario. Un buon punto di partenza per iniziare a riconoscere i problemi delle vittime sarebbe migliorare le condizioni del Tribunale durante l’inaudito numero di casi di stupro che verranno dibattuti nelle sessioni dell’Alta Corte a iniziare da oggi (41 stupri, 20 molestie sessuali e atti osceni, 6 incesti e 9 casi di sodomia). Dal giugno del 2004 una lunga serie di organizzazioni civili si sono incontrate al Guyana Human Rights Centre (Centro per i diritti umani della Guyana) per rivedere le leggi riguardanti l’“età del consenso”: ne è emersa la forte raccomandazione di elevarla a 18 anni, una posizione che ha riscosso ampio sostegno da parte di tutta la nazione. Il principio che regge l’età del consenso è di proteggere le bambine e i bambini dallo sfruttamento degli adulti finchè non abbiano un’età in cui poter impostare relazioni sessuali libere e mature. La maggioranza delle bambine vuole la protezione offerta da un’elevata età del consenso, fermo restando che ciò non significa criminalizzare l’attività sessuale fra giovani coetanei. In conformità al Domestic Violence Act (legge sulla violenza domestica) e al disegno di legge sul traffico d’esseri umani, e nello spirito degli impegni internazionali della Guyana per i diritti umani, la GHRA chiede che i gruppi religiosi rivedano il pensiero tradizionale sull’età del consenso centrato sullo 79 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E sviluppo biologico, allo scopo di riconoscere la necessità di proteggere i diritti e le opportunità di cui le giovani donne devono godere nel pieno e integro sviluppo della loro personalità, alla pari coi maschi. 80 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E APPENDICE 12 – INTERVISTARE VITTIME E TESTIMONI DI VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI I. La forte influenza dei fattori psicologici, sociali e politici Nel preparare e poi valutare la testimonianza di persone che abbiano subito violenza in prima persona o ne siano state testimoni, tenete a mente quanto segue: 1. Queste persone possono apparire inaffidabili: potrebbero mostrarsi reticenti su determinati elementi relativi alla violazione subita, per evitare ricordi dolorosi, imbarazzo e vergogna; potrebbero aver difficoltà a ricordare alcuni episodi, confondere i luoghi o i tempi o aggiungere dettagli in maniera disordinata, man mano che vengono loro in mente e che si sentono più a loro agio con voi. Può derivarne una fallace, ingiusta impressione di inaffidabilità, se non addirittura di disonestà. 2. Possono esagerare: potrebbero (più o meno inconsciamente) caricare le tinte ed esasperare le proprie reazioni per assicurare che la storia faccia impressione e sia creduta; questo non vuol dire che il loro racconto sia falso, ma che potrebbero esservi alcuni elementi d’esagerazione che devono essere filtrati. 3. Possono avere una finalità politica: i/le dissidenti potrebbero avere interesse ad aumentare, nella loro denuncia, il numero e la gravità delle violazioni, a conferma dello sfascio morale del governo. 4. La tortura sessuale è la più difficile da raccontare a causa dell’ambiente sociale, culturale, morale e politico di partenza. In quasi tutte le società una donna, un uomo, una bambina o un bambino che si facciano avanti a denunciare uno stupro, una violenza, un’umiliazione sessuale, hanno molto da perdere e molto probabilmente affrontano pressioni straordinarie e ostracismo da parte dei membri più intimi della famiglia e da parte della società in generale. II. Prepararsi all’intervista 1. Tenete a mente che le violazioni potrebbero avere un significato culturale e storico: • 81 insieme alle definizioni internazionalmente accettate delle violazioni dei diritti umani, v’è anche un altro significato che è andato articolandosi attraverso la storia e la cultura delle comunità osservate (ad es. la tortura potrebbe essere sentita come destino individuale; il maltrattamento in custodia come un fatto comune, non più avvertito come una violazione). Dalla vostra prospettiva questo vuol dire rivolgervi a vittime e testimoni in modo da farvi ben capire da loro (in modi che per loro abbiano senso), soprattutto tenendo presente che un equivalente linguistico non è necessariamente un equivalente concettuale. Da qui l’importanza di www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E sottoporre in anticipo le domande o il questionario ad attivisti/-e locali. 2. Abbiate consapevolezza e profonda conoscenza della mentalità diffusa, in relazione alla sessualità e alla violenza sessuale, nel paese (o area geografica o comunità locale) d’origine delle persone intervistate, e anche della vostra stessa mentalità: tali atteggiamenti socioculturali influenzano direttamente la riluttanza a toccare certi temi, il senso di colpa, la verbalizzazione del vissuto, il recupero della salute mentale, e anche il vostro stesso approccio all’intervista (nervosismo, disagio, senso di colpa, vergogna… col linguaggio del corpo, ad es. l’incapacità di mantenere il contatto visivo, potreste trasmettere tutto questo alle persone intervistate). • Vi sono degli argomenti che vi causano paura, imbarazzo, dolore? Cercate di rimanere in contatto con le vostre paure e discutetene con i/le colleghi/e. 3. Siate consapevoli del fattore “incredibilità”: potrebbe riuscire difficile per voi e per il pubblico accettare fino in fondo la verità dei resoconti di straordinarie crudeltà e comportamenti anomali. 4. Reperite le strutture locali (ONG, ospedali, studi legali ecc.) in grado di fornire assistenza alle vittime di tortura (anche la violenza sessuale è tortura) e altri tipi di violazioni, per potervi indirizzare, all’occorrenza, le persone intervistate, alla fine del colloquio. 5. Scrivete un elenco dei dati e fatti necessari a verificare le denunce: 6. • un modo d’interrogare sistematico e mirato è necessario per assicurare che tutti i dati richiesti siano stati annotati e tutte le domande necessarie siano state poste; • attenzione però: non attenetevi rigidamente all’elenco delle domande, non abbiate l’aria dell’avvocato che fa il controinterrogatorio, altrimenti sarà difficile stabilire la relazione di fiducia e collaborazione necessaria ad ottenere le informazioni; • sottoponete l’elenco ai contatti locali che hanno lavorato sulla tematica o che si sono occupati di casi simili, per ricevere consigli: spesso aggiungeranno domande, ne cancelleranno altre che non sono culturalmente adatte, e così via. Penne e registratori: • per raccogliere le testimonianze, assicuratevi d’avere a disposizione penne funzionanti e carta a sufficienza, oppure un registratore funzionante e un numero sufficiente di cassette vuote; • prima di far uso del registratore, chiedete sempre il permesso della persona intervistata. III. Rendere l’intervista il più possibile serena e non traumatica 82 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E 7. 8. 9. Siate consapevoli del valore terapeutico dell’intervista e della vostra stessa presenza: • ricordate: delle violazioni voi non avete colpa, non siete lo stupratore; non sentitevi come se lo foste; • sia a medio che a lungo termine, per vittime e testimoni raccontare la propria storia non è cosa negativa; • aver la possibilità di raccontare il proprio vissuto è terapeutico: consente di comprenderlo meglio e affrontarlo. Effetti a breve termine e debriefing: • tuttavia, a breve termine l’intervista risveglia lo stress posttraumatico, con frequenti reazioni come flashback [l’improvviso riaffiorare alla mente delle scene traumatiche, “rivissute” con piena vividezza di percezioni ed emozioni - n. d. trad.], incubi ecc.; • l’ideale sarebbe che a tutti i colloqui seguisse immediatamente (lo stesso giorno o il seguente) un debriefing in cui si chiede alle persone intervistate, ciascuna separatamente o tutte insieme, quali sentimenti ed emozioni abbiano provato durante l’intervista. Quando il debriefing non è possibile… • riconoscete i limiti del vostro lavoro dinanzi alle persone intervistate (e con voi stessi/-e); • durante l’intervista, dimostrate la vostra attenzione e la vostra cura, esprimendo le vostre preoccupazioni: “Comprendo la sua rabbia, la sua tristezza…”; • sostenete la loro forza, riconoscetela e rinsaldatela in ogni maniera: “C’è voluto del coraggio da parte sua per venire qui”, “Mi sembra davvero che lei stia dando prova di grande forza in questa situazione”; • siate consapevoli delle vostre stesse paure: se avete inconsciamente introiettato le paure della persona che avete di fronte, cercando di evitare gli argomenti che le suscitano, ciò potrebbe rafforzare in lei la convinzione che siano cose troppo spaventose, imbarazzanti o dolorose per poterne parlare; Alla fine dell’intervista: 83 • se è il caso, indirizzate la persona alle organizzazioni locali che forniscono assistenza nei casi di tortura e violenza sessuale; • dedicate qualche minuto a scoprire quanto siano vicini alla superficie i sentimenti negativi e lo stress: “L’intervista l’ha turbata?” “Sembra proprio ch’io l’abbia turbata ancora…”; • se necessario, esorcizzate: “Ora forse lei si sente come se stesse rivivendo tutto di nuovo, ma non è così, è tutto finito”; www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E • chiedete se ha modo di rivolgersi ad amici o familiari, una o più persone che senta vicine, e suggerite di confidarsi con loro -attenzione però, perché informare amici e parenti della violenza subita, specie se di tipo sessuale, può causare grave danno alla vittima; • fate sentire la vostra vicinanza affettiva tramite il linguaggio del corpo: strette di mano, un braccio attorno alle spalle ecc. (qualsiasi gesto che sia culturalmente adatto); Da tenere presente… MOLTI/E ESPERTI/E SCONSIGLIANO INVECE IL CONTATTO FISICO IN SIMILI CASI, SPECIE SE È UN UOMO AD INTERVISTARE UNA DONNA; IL GESTO PIÙ INNOCENTE PUÒ ESSER FRAINTESO A CAUSA DELLA (BEN GIUSTIFICATA!) IPERSENSIBILITÀ DELLA VITTIMA. • non sentitevi in colpa, non preoccupatevi eccessivamente: nella maggior parte dei casi le vittime hanno intorno a sé una rete di sostegno (amici, parenti, compagni/-e di prigionia ecc.): potranno parlare con loro dell’intervista (potreste incoraggiarle a farlo, comunque). 10. Abbiate cura anche della vostra salute mentale: • intervistare le vittime di violazioni dei diritti umani è una pratica stressante. I punti sopra indicati valgono anche per voi. Parlate delle interviste con i vostri colleghi e colleghe di missione o al Segretariato internazionale; avvaletevi dei servizi offerti da AI, come la figura dell’Occupational Health Nurse [“infermiere/-a per la salute sul lavoro”: in Gran Bretagna, Stati Uniti e altri paesi, categoria di infermieri/-e professionisti/-e indipendenti che vigilano sulle condizioni sanitarie, dal punto di vista fisico e psicologico, in ambito lavorativo - n. d. trad.]. IV. All’inizio di un’intervista 1. 84 Tenete l’intervista in privato: • le sessioni d’intervista non devono mai presentare elementi che possano richiamare la situazione stessa della violazione; • il colloquio dev’essere condotto in solitudine, voi e la persona intervistata, a meno che un’altra presenza (amico/-a, parente, rappresentante di un’ONG ecc.) non sia richiesta dalla persona stessa, imposta dai costumi locali o giudicata opportuna da voi; • evitate interviste collettive; • il colloquio dev’essere condotto privatamente: • se possibile, in luogo appartato; www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E • 2. 3. 4. altrimenti, in uno spazio “creato” da voi disponendo sedie, tavoli ecc. in modo da ottenere una certa privacy. Stabilite un rapporto di fiducia: • la persona deve convincersi che volete davvero ascoltare la sua storia; che siete preparati/-e a dedicare tempo ad ascoltare e registrare i dettagli; che rispetterete il suo desiderio di riservatezza ed ogni altra sua preoccupazione; • cominciate l’intervista con i saluti e i convenevoli propri della cultura della persona intervistata; • spiegate che cos’è AI, che cosa può fare e quali sono i suoi limiti. Rispettate la riservatezza: • spiegate chiaramente lo scopo dell’intervista e informate la persona dell’uso che verrà fatto delle informazioni: deve comprendere gli scopi e le eventuali conseguenze del suo fornire informazioni, e su quali basi le sta condividendo; • chiedete il permesso se intendete usare il suo nome nel rapporto. Non date false rassicurazioni: • riconoscete i limiti del vostro lavoro dinanzi alla persona intervistata (e con voi stessi/-e); • la persona potrebbe chiedervi di continuo rassicurazioni sul fatto che tutto andrà bene: voi non potete assolutamente saperlo, e mentireste se diceste il contrario. V. Consigli sulla conduzione dell’intervista 1. 2. Ascoltate: cominciate con una domanda franca e diretta e permettete alla persona di raccontarvi di sé nei suoi modi e tempi. • “Mi dica che cosa è successo il…” o “Può descrivermi la sua esperienza nelle mani di…?”; • non interrompetela subito, anche se alcuni punti sembrassero poco chiari; permettetele di narrare la sequenza degli eventi per come l’ha compresa; • pregatela di parlare più lentamente se avete problemi a prendere appunti. Chiedete chiarimenti con domande che richiedano risposte brevi: • 85 ritornate sul resoconto della persona intervistata per chiarire alcuni punti come date e durate, luoghi, identità, numeri, ruoli, età: “Mi ha detto che i soldati sono venuti a casa sua. Si ricorda quanti erano?”, “Ricorda il grado dei soldati? I loro nomi? Soprannomi?”, “Ha detto che sono state uccise tre persone. Sa chi erano?”, “Come sapeva www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E che i suoi aggressori appartenevano ad un reparto speciale della polizia?”, “Ha visto qualche arma? Di che tipo?” ecc. 3. 4. 5. Gli “apriporta”: • la persona potrebbe avere difficoltà nel comunicare: potete chiederle come si sente e quindi incoraggiarla a continuare a parlare: “Vorrebbe dirmi ancora qualcosa su questo punto?” o “Vuole parlarmene?”; • le domande a risposta aperta (dichiarazioni complete o incomplete, domande a cui non si può rispondere con un semplice sì o no) sono d’incoraggiamento e d’ausilio nella comunicazione: “Mi corregga se sbaglio: lei nutre una serie di preoccupazioni riguardo a…” o “Potrebbe spiegarmi meglio…”; • fate domande sulla salute, su possibili dolori fisici: “Come va la sua salute?”, “Ha mal di testa?”; potreste quindi proseguire con: “A che cosa crede che siano dovuti questi dolori?”: se la persona non riesce a fare collegamenti, potreste far riferimento ad altri casi di persone che soffrono di disturbi analoghi; • potreste porre domande più generali come: “Qual è stata la cosa più dura per lei durante la sua prigionia?”. Indagate (senza intimidire): • se in qualche punto la storia appare poco chiara, contraddittoria o incoerente con ciò che già si sa sullo schema, è importante scoprire perché: farlo in spirito di delucidazione anziché di critica aiuterà a consolidare la relazione tra voi e la persona intervistata; • sui punti poco chiari ponete domande diverse in diversi momenti dell’intervista; • stabilite una cronologia chiara degli eventi utilizzando punti o eventi di riferimento, sia personali che esterni; ad es. stabilite ora, giorno o settimana dell’episodio in riferimento alla routine domestica (es. andare al lavoro, in tribunale o al mercato, a raccogliere legno o acqua ecc.) e ad attività o eventi ricorrenti o invece inusitati (funzioni religiose settimanali, elezioni, cerimonie di villaggio, vittorie miltari ecc.): “L’hanno arrestata molto dopo la sua visita alla moschea?” o “L’attacco al villaggio è avvenuto prima di Natale?” o “Il suo rapimento ha avuto luogo prima dell’elezione del Presidente?”; • se qualcosa ancora non torna, fatelo notare: “Questo punto non mi torna, sono un po’ confuso/-a”, e ponete domande più dirette. Siate consapevoli della posizione politica della persona intervistata: • 86 potrebbe influenzare la sua testimonianza, quel che viene detto e quel che viene taciuto (ad es. la persona potrebbe essere restia a fornire spontaneamente informazioni su violazioni commesse dalla www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E sua comunità o dal suo partito politico); essa tuttavia potrebbe rispondere a una domanda diretta, ad es. “Prima dell’arresto, sa se c’erano stati problemi tra X e Y?” o “Sa chi ha spinto i ribelli ad attaccare gli abitanti del villaggio?”. 6. Siate sensibili alla mentalità, sul piano sociale e culturale, della persona intervistata: • 7. 8. in alcuni casi, occorre far piena chiarezza su questi elementi prima che la persona possa parlare della violazione (che cosa è successo e come). Spiegate che, secondo i principi internazionali, certe azioni costituiscono violazioni dei diritti umani, ma non liquidate sbrigativamente le idee della persona esprimendo giudizi come “È sbagliato vedere lo stupro come…” o “Sbaglia se pensa che questa non sia stata una tortura”. Come ascoltare e rispondere: • dovete mantenere la calma ed essere capaci di trasmetterla alla persona dinanzi a voi; • ascoltate a mente aperta, con empatia e senza giudizi o preconcetti: ricordate che state parlando con una persona e non con uno stereotipo; • prestate attenzione a tono, volume, ritmo, inflessioni della vostra voce e della sua; • siate prudenti nell’uso di espressioni cariche di valore prescrittivo (“devi”, “dovresti”, “avresti dovuto”, “bisogna” ecc.); • cercate di mantenere il contatto visivo con la persona per tutta la durata dell’intervista; • annuite mentre ascoltate. Che cosa fare se la persona intervistata parla senza fermarsi: • se è molto sconvolta, può darsi che si metta a parlare senza quasi tirare il fiato per molto tempo: cercate di non interromperla troppo presto; • se continua parlare più di quanto sembri necessario, potete invitarla a fermarsi, fare qualche respiro profondo e star seduta senza parlare per un po’; • potrebbe essere il caso di esprimere le vostre preoccupazioni: ditele che vedete bene quanto sia sconvolta, che immaginate la sua tristezza ecc. VI. Concludere l’intervista 1. Chiedete alla persona intervistata se vuole aggiungere qualcosa e se ha qualche domanda. 2. Controllate come potete usare le informazioni ottenute. 87 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E 3. Se necessario e possibile, suggerite alla persona di rivolgersi ad altre organizzazioni locali che si occupino di quel tipo di problemi. 4. Manifestatele solidarietà: 88 • mettete in evidenza il fatto che vi sono persone che si preoccupano di ciò che essa ha subito e della sua sicurezza; • enfatizzate il valore delle sue azioni; • offrite sostegno morale: se sta piangendo restatele accanto, mettetele un braccio attorno alle spalle (se nella sua cultura è consentito) ecc. www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E APPENDICE 13 - VALUTAZIONE DEL WORKSHOP 1. Quali sono secondo lei gli elementi più utili di questo workshop? 2. Quali i meno utili? 3. Quale aspetto del workshop potrebbe essere migliorato, e come? 4. Che cosa pensa dei metodi utilizzati in questo workshop? 5. Secondo lei, com’è stata condotta la facilitazione del workshop? 6. Che cosa pensa dell’organizzazione generale del workshop? 7. Quale seguito vorrebbe che avesse il workshop? 8. Ulteriori commenti: 89 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E APPENDICE 14 - LINK E CONTATTI UTILI Documenti Legali: Per la Sessione 1 del secondo giorno occorrono i testi di vari strumenti di diritto internazionale, e forse riterrete utile averne a disposizione altri per rispondere ad eventuali domande. Sul sito www.ohchr.org/english/law/ è possibile accedere ai principali trattati in materia di diritti umani, fra cui: • Carta delle Nazioni Unite (UN Charter) • Dichiarazione universale dei diritti umani (Universal Declaration of Human Rights, UDHR) • Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights, ICESCR) • Patto internazionale sui diritti civili e politici (International Covenant on Civil and Political Rights, ICCPR) • Protocollo opzionale all’ICCPR • Convenzione contro la tortura ed ogni altro trattamento o punizione crudele, inumano o degradante (Convention against Torture and Other Cruel, Inhuman or Degrading Treatment or Punishment, CAT) • Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione avversa alle donne (Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women, CEDAW) • Convenzione sui diritti dei/delle minori (Convention on the Rights of the Child) • Dichiarazione sull’eliminazione della violenza sulle donne (Declaration on the Elimination of Violence Against Women, DEVAW) • Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio (Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide) Convenzioni di Ginevra Link in rete: • in lingua inglese Università di Ginevra, Media Studies (studi sui media), www.unige.ch/iued/wsis/DEVDOT/00613.HTM World Association for Christian Communication (Associazione Mondiale per la Comunicazione Cristiana, WACC), Global Media Monitoring Report [Rapporto globale sui media], www.wacc.org.uk www.journalism.org - www.journalism.co.uk (portali di ricerche, risorse, idee e servizi di vario tipo per il giornalismo su tutti i mezzi di comunicazione) www.journalismuk.co.uk (agenzie di stampa con sede nel Regno Unito) 90 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E www.womenaction.org (rete di media per i diritti delle donne e l’attuazione della Piattaforma d’azione di Pechino), v. specialmente la sezione “Women & media” www.pdhre.org (informazioni utili sulla CEDAW) www.aidsalliance.org/graphics/secretariat/publications/ene0502_energiser_gui de_eng.pdf (esercizi energizzanti) • in lingua francese www.panos-ao.org (pluralismo dell’informazione, partecipazione civile e altri temi in Africa occidentale), v. specialmente la sezione “Organisations professionnelles” (principali siti dei media francesi e africani) Agence de Presse Sénégalaise (Agenzia di stampa senegalese, APS): www.aps.sn Agence Panafricaine de Presse, Panapress (Agenzia di stampa panafricana): www.panapress.com/RubIndexlat.asp?code=fre007 • in lingua spagnola Comité de América Latina y el Caribe para la Defensa de los Derechos de la Mujer (Comitato latino-americano e caraibico per la difesa dei diritti delle donne): www.cladem.org Centre for Justice and International Law (Centro per la giustizia e il diritto internazionale): www.cejil.org 91 www.amnesty.it/educazione AMNESTY INTERNATIONAL DIRITTI: FARLI DIVENTARE REALTÀ WORKSHOP DI EDUCAZIONE AI DIRITTI UMANI PER GIORNALISTI/E NOTE 1. www.un.org/womenwatch/daw/beijing/platform/media.htm . 2. DEVAW, art.4: www.unhchr.ch/huridocda/huridoca.nsf/(Symbol)/A.RES.48.104.En?Opendoc ument 3. Esercizi energizzanti tratti (con minimi adattamenti) da una pubblicazione online della Aids Alliance (Lega per la lotta all’AIDS) www.aidsalliance.org/graphics/secretariat/publications/ene0502_energiser_gui de_eng.pdf (in inglese, francese e spagnolo). 4. Adattamento da Media Awareness Network - www.media-awareness.ca. 5. Agnès Callamard, A methodology for Gender-Sensitive Research [Metodologia della ricerca condotta secondo la prospettiva del genere], 1999, Amnesty International Publications e International Center for Human Rights. 92 www.amnesty.it/educazione