I terreni agricoli bene rifugio A condizione di farli produrre
by user
Comments
Transcript
I terreni agricoli bene rifugio A condizione di farli produrre
Venerdì 19 luglio 2013 ::: 21 IL DENARO SOTTO LE ZOLLE 105.000 La bottiglia di Ornellaia da nove litri battutao per beneficenza al prezzo monstre di 105 mila euro. Un’altra bottiglia, questa volta di Monte Vibano, è stata venduta all’asta a 70mila euro. Si trattava di un esemplare unico, uscito dalla cantina per celebrarne una ricorrenza. +22% L’apprezzamento medio dei terreni agricoli in Italia. Depurato dall’inflazione indica che di fatto la terra ha salvato il capitale investito dall’inflazione. Le differenze fra seminativi, vigneti o uliveti, però, sono a dir poco abissali. 1500 Il prezzo base in euro all’ettaro per i seminativi al Sud. Se si acquistano incolti e si riportano in produzione, il loro valore però può salire anche di sette volte. Sempre che siano in posizione tale da consentire l’irrigazione. Investimenti alternativi Vigne, seminativi e uliveti I terreni agricoli bene rifugio A condizione di farli produrre Il mercato fondiario cresce lentamente ma senza interruzioni. I guadagni maggiori si fanno con gli appezzamenti incolti da rimettere in produzione I pezzi da collezione hanno valori impossibili Investire in vino ha le sue regole. Si può comprare en primeur (possibile però solo in Francia) pagando ora per allora (in Italia i futures li hanno emessi e solo in via sperimentale Castello Banfi, Antinori e Frescobaldi) e guadagnando sullo spread di prezzo, oppure partecipare alle aste comprando e rivendendo. Ma c’è una terza via: scommettere su vini che dureranno, tenerseli, magari anche berseli, e venderli a lunga scadenza. E questo è il modo migliore per mettere a profitto i grandi vini italiani. Per avere buona probabilità di guadagno è necessario che il vino sia di una cantina internazionalmente riconosciuta, che abbia avuto ottimi punteggi e che sia perfettamente conservato. Un altro plus: casse intere o grandi formati. Quanto si può guadagnare? Nel giro di tre, quattro anni si può arrivare a raddoppiare se non triplicare l’investimento iniziale. Oggi conviene puntare su cantine italiane già affermate ma sulle quali non c’è speculazione. Qualche nome? Arnaldo Caprai di Montefalco con il suo Sagrantino 25 anni, Castello d’Ama con l’Apparita, Dal Forno con l’Amarone, il Petra di Petra, Franciacorta come il Vittorio Moretti Bellavista o la Cuveé Anna Maria Clementi di Ca’ del Bosco, l’Oreno di tenuta Setteponti, il Pergole Torte di Montevertine, il Barolo Monfortino, il Pelago di Umani Ronchi o il Pollenza di Aldo Brachetti Peretti, il Villa Gemma di Marina Cvetic, buona parte di Montalcino, Sammarco, o su bottiglie già diventate da collezione come il Merlot 2001 di Venica in tiratura limitata per beneficenza, o il Sossò di Livio Feluga. Se però avete trovato una vecchia bottiglia del nonno in cantina avrete un ottimo aceto, ma non un grande affare. Può essere altamente conveniente o moderatamente soddisfacente; mai deludente. Investire in terreni agricoli è una buona opzione. Da ponderare. Non va esercitata sull’onda di un richiamo bucolico, o d’impeto: mollo tutto, vado a vivere in campagna. Perché la terra perché sia un buon investimento bisogna farla rendere. Dunque lavorarla, dunque faticarla. Sapendo due cose: che in Italia i terreni agricoli hanno avuto una lenta, ma costante rivalutazione e costano di più che in quasi tutta Europa, che ci sono all’orizzonte incognite fiscali e normative: legate alla Pac (politica agricola comunitaria) che ridurrà molto i contributi agricoli, ma che potrebbe invece rivalutare terreni, come quelli a coltivazione arborea o a pascolo oggi di minore valore, per effetto del cosiddetto greening (una forma premiale per chi produce agricoltura verde) e al fatto se il governo ripresenterà o meno il decreto scaduto il 30 giugno per assegnare ai giovani agricoltori 1,3 milioni di euro a prezzi concordati. Ciò detto l’investimento in terreni agricoli funziona se si mette il campo a profitto con l’avvertenza che il valore fondiario è di gran lunga superiore al reddito agricolo. È però vero che, mentre l’immobiliare batte in testa, i prezzi dei terreni sono continuati a salire. Nel 2010 si è avuto un più 0,5, nel 2011 un più 0,8, lo scorso anno un ritocco di quattro decimali che fa il paio con quello atteso alla fine di quest’anno. La stima dice che dal 2000 a oggi i terreni agricoli si sono rivalutati del 22%. Depurando dall’inflazione si può dire che hanno mantenuto il valore. I prezzi medi correnti vanno da 20 a 30mila euro l’ettaro, ma ci sono zone nel Sud Italia dove si paga decisamente meno e anzi i prezzi sono in discesa e altre come nel Nord-Est dove si spuntano anche 60mila euro l’ettaro. Senza contare i meleti trentini e dell’Alto Adige, i terreni padani per il florovivaismo, certi uliveti o le vigne di Montalcino, del Chianti, del Prosecco, della Langa, del Trentino e dell’Alto Adige che possono arrivare anche a un milione all’ettaro. La ragione? È che c’è sempre meno terra da coltivare (perdiamo circa cento campi di calcio al giorno in Italia) e che un parziale ritorno all’attività agricola ha fatto crescere la domanda di superfici. Spingendo in alto il ricorso all’affitto, formula che è molto richiesta da terzisti: coloro i quali comprano i macchinari per lavorare la terra e poi, per sfruttare al massimo le attrezzature, si mettono a coltivare (per lo più seminativi) anche per proprio conto. Basti dire che agli inizi di questo secolo la superfice coltivata condotta in locazione era più o meno pari al 18% e quest’anno si arriverà al raddoppio netto. Ma quanto può rendere un terreno agricolo affittato? Tenendo conto che spesso una parte di superficie viene data in comodato gratuito, i canoni possono andare da un minimo di 200 euro lordi all’ettaro al mese a un massimo di 700 euro. Dipende dalle zone, ma considerando che gli affitti sono mediamente per 15 anni si può dire che tenendo conto di tasse e svalutazione, il rendimento netto medio è dell’1%, in alcune zone però si arriva anche a superare i rendimenti finanziari toccando il 4,5%. C’è anche la formula alternativa del pagamento in coltura. Significa che ci si fa dare all’incirca un terzo del raccolto. Nel caso di alcune colture (ad esempio l’uva in zone di particolare pregio) è addirittura più conveniente che incassare denaro. Una delle cautele che si devono avere investendo in terreni agricoli è infatti di valutare la posizione, la presenza o meno di acqua, l’estensione della proprietà, il tipo di coltura che è già presente e quelle che eventualmente si possono sviluppare. Perché un investimento sia sicuramente remunerativo bisogna ragionare per orticole, pascolo, seminativo su estensioni minime di 25-30 ettari. Certo se si punta alla vigna si può stare su superfici anche più ridotte (ma comunque l’investimento sale e di parecchio), lo stesso se si fa un frutteto purché intensivo e un uliveto. Poi ci sono le colture specializzate come le erbe officinali e aromatiche o i vivai che consentono una buona redditività anche su superfici ridotte. Un azzardo, ma che può dare grandi soddisfazioni sia sotto il profilo del ritorno patrimoniale, sia sotto il profilo della redditività della coltivazione, è l’acquisto di terreni incolti, ma fertili. Per esempio un incolto nel Sud Italia (purché sia irrigabile) può essere pagato dai 1500 ai 4mila euro all’ettaro. Quel terreno una volta riportato a coltura può moltiplicare d’amblet il suo valore (teorico) per sei, sette volte visto che i terreni coltivati si pagano da un minimo di 9mila euro (pascolo o seminativo) a un massimo di 35-40 mila euro per una vigna. Ovviamente da questa ipotetica rivalutazione lorda vanno sottratte le spese – spesso molto onerose – per rimettere a coltura il terreno. Ma se questo è il panorama complessivo c’è da notare che in agricoltura i pezzi pregiati non conoscono crisi: anzi i prezzi sono in costante ascesa anche perché sovente questi terreni sono «corredati» da fabbricati o da annessi agricoli che fanno lievitare il valore dell’investimento, e che in generale il mercato non è dinamico. Chi vende aspetta tempi (ancora) migliori, chi compra spesso non trova credito tenendo conto che bisogna considerare non solo l’acquisto della terra, ma anche la prosecuzione della coltivazione. In sostanza comprare terra conviene a condizione di continuare a farla produrre, perché il vero rischio è di veder naufragare l’investimento a seguito della cessazione dell’attività agricola. L’unico vero elemento di drastica svalutazione. C.C.