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Un caso di Epatocarcinoma complicato da una CID
Capitolo I Un caso di Epatocarcinoma complicato da una CID a cura del Dott. Emanuele Di Angelantonio SIG. G. C. – 75 ANNI Disturbo principale e sintomatologia in atto Il paziente è giunto alla nostra osservazione, per una sintomatologia presente da circa un mese e caratterizzata da malessere, anoressia, calo ponderale, edemi declivi e dolore all’ipocondrio dx. Anamnesi patologica remota Non ricorda i comuni esantemi dell’infanzia. Nel 1995 ricovero per pancreatite acuta e gastroduodenite Anamnesi Fisiologica Nato a termine, da parto eutocico. Allattamento materno. Sviluppo psicofisico nella norma. Vedovo, due figlie di 43 e 39 anni in buona salute. Alimentazione varia e regolare, non ha mai fumato, non beve alcool, né caffè. Alvo regolare, diuresi fisiologica. Anamnesi Familiare Padre deceduto all’età di 83 anni per cause accidentali. Madre deceduta all’età di 95 anni per cause imprecisate. Terzo di tre germani, uno (maschio) deceduto per cirrosi epatica alcolica, uno (femmina) deceduta per cause imprecisate. Nega familiarità per patologie di interesse internistico. Esame obiettivo Condizioni generali mediocri, psiche lucida, sensorio integro, deambulazione autonoma, decubito indifferente, lievemente disponico, apiretico. Edemi declivi. 9 10 Capitolo 1 Cute: rosea, normoelastica, sollevabile in pliche di medio spessore; annessi cutanei nella norma per età e sesso, pannicolo adiposo normorappresentato, mucose visibili rosee, normoirrorate. Stazioni linfonodali: superficiali apparentemente indenni. Apparato osteoarticolare: apparentemente indenne. Apparato muscolare: normotonico e normotrofico. Capo: normoconformato e normoatteggiato; pupille isocoriche e isocicliche, normoreagenti alla luce e all’accomodazione. Cavo orale: lingua umida, normoprotrusa, faringe roseo. Collo: cilindrico, non dolente né dolorabile ai movimenti di flessoestensione e lateralità. Turgore delle giugulari con presenza di reflusso epatogiugulare. Tiroide non visibile, non palpabile. Torace: troncoconico, emitoraci simmetrici, normoespansibili con gli atti del respiro. Fremito vocale tattile normotrasmesso su tutto l’ambito polmonare, apici in sede, basi mobili, murmure vescicolare fisiologico. Cuore: itto non visibile, palpabile al V spazio intercostale sinistro sull’emiclaveare, azione cardiaca ritmica, tachicardica, toni netti, pause libere. Addome: trattabile, dolente alla palpazione superficiale e profonda in ipocondrio destro, cicatrice ombelicale normoetroflessa, peristalsi presente e valida. Fegato: margine inferiore palpabile, presenza di pulsatilità epatica. Apparato urinario: punti ureterali superiori e medi non dolorabili, manovra di Giordano negativa bilateralmente. Sistema nervoso: non deficit di forza e sensibilità agli arti inferiori e superiori, riflessi osteotendinei normoevocabili. Romberg negativo. Esami ematochimici Emocromo con formula: piastrinopenia. Funzione renale: nella norma. Funzione epatica: GOT 122 U/l ↑, GPT 54 U/l ↑, γGT 228 U/l ↑, ALP 321 U/l ↑, Bilirubuna tot/dir. 1.97/0.8 mg/dl ↑ Protidemia e protidogramma: Proteine totali 5.9 g/dl (albumina 41% ↓, beta1 7.8%, alfa1 5.4%, beta2 7.4%, alfa2 11.5%, gamma 27% ↑). Colesterolo totale 110 mg/dl ↓. Coagulazione: INR 1.38 ↑, aPTT 1.16 sec, fibrinogeno 325 mg/dl, D– dimero 350 ng/ml ↑. Un caso di Epatocarcinoma complicato da una CID 11 Orientamento Diagnostico A questo punto, è nostra consuetudine rivolgere l’attenzione sui dati più importanti desunti dall’anamnesi e dall’obiettività riscontrate nel nostro paziente, oltre che riflettere sui risultati degli esami ematochimici fornitici dal laboratorio. Ebbene, dalla storia del nostro paziente si evidenzia un quadro clinico ed obiettivo suggestivo di scompenso cardiaco destro, caratterizzato dal turgore delle giugulari, edemi declivi improntabili e dolenzia epatica per congestione passiva con reflusso epato–giugulare. Nello stesso tempo tra gli esami ematochimici notiamo un aumento dei marcatori di danno epatico, una diminuzione delle proteine totali, in particolare dell’albumina, una riduzione marcata dei valori di colesterolo e un’alterazione del quadro coagulatorio. Seguendo il nostro ragionamento ipotetico–deduttivo, è giunto il momento di scegliere un sintomo guida con il quale tracciare un iter diagnostico che ci permetta di interpretare e spiegare correttamente i meccanismi eziopatogenetici che sono alla base dei disturbi accusati dal nostro paziente. Non c’è dubbio che il quadro clinico e obbiettivo sia suggestivo di uno scompenso cardiaco destro, ma l’alterazione marcata degli indici di funzionalità epatica, non proporzionato con un quadro di scompenso cadiaco, era compatibile con l’ipotesi della presenza di un danno epatico primitivo. Scompenso cardiaco destro Lo scompenso cardiaco è una condizione caratterizzata da incapacita’ del cuore di fornire un apporto ematico adeguato alle richieste metaboliche dei tessuti alle normali pressioni di riempimento. I segni e i sintomi dello scompenso cardiaco sono correlati al ventricolo insufficiente ed alla severita’ e alla durata dello scompenso. A differenza dell’insufficienza ventricolare sinistra, dove le ripercussioni emodinamiche sono prevalentemente a carico del circolo polmonare, con un aumento della pressione capillare polmonare direttamente proporzionale al grado di insufficienza del ventricolo, nel caso dell’insufficienza ventricolare destra è il circolo sistemico ad essere interessato, mentre il circolo polmonare dovrebbe essere caratteristicamente indenne. In realtà tra le cause più frequenti di insufficienza destra vi è una precedente insufficienza del ventricolo sinistro, con aumento della pressione venosa centrale e insorgenza di ipertensione arteriosa polmonare. La clinica dello scompenso destro è costituita da congestione delle vene 12 Capitolo 1 giugulari e linguali; edemi, a seconda della gravità sono localizzati a livello malleolare, della gamba, della coscia, del tronco (stato anasarcatico); versamenti pleurici, ascitici, pericardici; fegato da stasi, ingrossato e dolorante alla palpazione, con aumento delle transaminasi e della bilirubina. Positivo il reflusso epato–giugulare, alla palpazione del fegato si ha riempimento delle vene giugulari; proteinuria causata dalla congestione renale; dolori addominali e inappetenza causati dalla gastrite da congestione, con calo ponderale indotto dal malassorbimento (cachessia cardiaca). Per analizzare le cause di scompenso destro è utile distinguere tra andamento acuto (cuore polmonare acuto) ed andamento cronico (cuore polmonare cronico). Ad andamento acuto: embolia polmonare, infarto del ventricolo destro, pneumotorace iperteso o bilaterale, ernie diaframmatiche voluminose (rottura post–traumatica del diaframma), enfisema mediastinico, accessi asmatici gravi (asma asfissiante). Ad andamento cronico: BPCO, broncopneumopatie croniche restrittive, patologie da alterata mobilità della gabbia toracica, ipertensione polmonare primitiva e secondaria, stenosi valvolare polmonare o dell’arteria polmonare. Cuore polmonare acuto Il brusco aumento della pressione sistolica polmonare, anche fino a 70–80mmHg, è l’evento fisiopatologico centrale, dovuto sia all’esclusione di un ampio territorio del circolo polmonare, sia alla vasocostrizione polmonare riflessa causata dall’ipossia e dalla liberazione locale di sostanze vasocostrittrici. Questo improvviso aumento delle resistenze vascolari provoca: un sovraccarico ventricolare destro, che si ripercuote sull’aumento della pressione atriale destra e quindi sulla pressione venosa sistemica, e una riduzione del ritorno venoso all’atrio sinistro con diminuzione della gittata sistolica del ventricolo sinistro e quindi della pressione arteriosa sistemica, fino alla condizione di shock cardiogeno e angina per insufficiente perfusione miocardica. Le cause più frequenti sono l’embolia polmonare (con interessamento > 50% letto vascolare polmonare) e l’infarto del ventricolo destro (nel 40–50% di pazienti colpiti da infarto inferiore si reperta una dilatazione e alterazioni della contrattilità ventricolare destra). Cuore polmonare cronico L’elemento centrale è sempre l’ipertensione del piccolo circolo, che si instaura in modo più subdolo ed è causa di ipossiemia che a sua volta Un caso di Epatocarcinoma complicato da una CID 13 porta alla vasocostrizione con aggravamento della situazione arteriosa polmonare. Il ventricolo destro cerca di compensare sviluppando ipertrofia, obiettivabile dalle onde “P” polmonari all’ECG in D2, D3 e aVF, da alte onde “R” in V1 e V2 con onde “T” invertite, blocco di branca destro e dal ritmo di galoppo diastolico, dopo sforzo, in corrispondenza del processo ensiforme. In tempi successivi compaiono i segni dello scompenso destro, fino al delinearsi della encefalopatia respiratoria, con stato di irrequietezza alternato a fasi di sonnolenza, anomalie comportamentali e disorientamento temporo–spaziale. Tra le cause più frequenti ricordiamo le malattie polmonari croniche, le malattie neuromuscolari e l’ipertensione polmonare primitiva e secondaria. In ambito terapeutico, oltre alla patologia respiratoria sottostante, lo scompenso destro va trattato in urgenza con la somministrazione di O2 a basso flusso (1–2 l/min, per evitare la depressione dei centri respiratori) per il controllo dell’ipossiemia e per ridurre la vasocostrizione polmonare. Utile l’associazione di diuretici e l’attento controllo dell’equilibrio acido– base. Per confermare il quadro clinico di scompenso cardiaco destro il paziente è stato sottoposto ad un ecocardiogramma transtoracico che evidenziava un ventricolo destro dilatato ed ipocinetico e un ventricolo sinistro di volume normale con normali spessori parietali e buona cinesi globale (FE 60%). Veniva inoltre evidenziata la presenza di voluminosa massa nell’atrio destro che appariva in continuità della vena cava inferiore. Per tale motivo il paziente veniva sottoposto ad un ecocardiogramma transesofageo, che confermava la presenza di una voluminosa massa occupante la quasi totalità dell’atrio destro, in continuità con la vena cava inferiore, peduncolata, prolabante all’interno del ventricolo destro (Figura 1). A questo punto alla luce dei dati ottenuti con le indagini strumentale occorre escludere il sospetto diagnostico di un tumore cardiaco. Tumori Cardiaci La prima diagnosi ecocardiografica (M–mode) risale al 1959. Solo nel 1934 è stata formulata la prima corretta diagnosi ante mortem di tumore cardiaco, mentre nel 1952 la diagnosi veniva posta mediante metodica angiografica. L’incidenza dei tumori cardiaci primitivi, su tutte le autopsie, è dello 0.0017%–0.28% Capitolo 1 14 L’incidenza relativa dei tumori cardiaci benigni (75.1% del totale) e quella dei tumori cardiaci maligni (24.9% del totale), sono riportate nella tabella 1. L’esordio clinico dei tumori cardiaci comprende segni e sintomi sia di natura cardiovascolare che sistemica. Tra i primi ricordiamo le precordialgie, gli episodi sincopali, l’insufficienza cardiaca congestizia, le stenosi e/o l’insufficienza valvolare, la pericardite costrittiva, il versamento pericardico o il tamponamento, le turbe del ritmo, i blocchi di conduzione e gli shunts intracardiaci. AS AD Figura 1.1. AS, atrio sinistro; AD, atrio destro Tabella 1.1. Incidenza dei tumori cardiaci benigni e maligni Un caso di Epatocarcinoma complicato da una CID Tumori cariaci benigni (75.1%) Mixomi Lipomi Fibroelastomi papillari Rabdomiomi Fibromi Emangiomi Teratomi Mesoteliomi del nodo A–V Altri Tumori cardiaci maligni (24.9%) Angiosarcomi Rabdomiosarcomi Fibrosarcomi Linfomi Altri 15 30.5% 10.5% 9.9% 8.5% 4.0% 3.5% 3.3% 2.8% 2.1% 9.2% 6.1% 3.3% 1.6% 4.7% Tra i secondi spiccano l’embolizzazione sistemica, l’embolia e l’ipertensione polmonare, la febbre, la cachessia, il malessere, le artralgie, i rash cutanei, le dita a bacchetta di tamburo, il fenomeno di Raynaud, l’ipergammaglobulinemia, l’anemia o la policitemia, la trombocitopenia e la leucocitosi. I mixomi rappresentano il tipo più comune di tumore cardiaco primitivo e costituiscono da un terzo alla metà di tutte le neoplasie cardiache rilevabili all’autopsia. Di solito compaiono su base sporadica, ma in alcuni casi hanno natura ereditaria (con trasmisione autosomica dominate) oppure fanno parte di una sindrome che comprende più alterazioni (lentiggini, nevi, neurofibromi, noduli surrenalici). A tale proposito sono state individuate precise sindromi cliniche: la sindrome NAME (nevi pigmentati, mixoma atriale, neurofibroma mixoide, efelidi) e la sindrome LAMB (lentiggini, mixoma atriale, nevi blu). Per quanto riguarda l’origine del mixoma cardiaco, l’ipotesi più accreditata è quella che ne attribuisce l’origine disgenetica da cellule embrionali mesenchimali totipotenti. L’età più colpita va dalla nascita fino ai 65 anni, con una età media di circa 27 anni. Il rapporto maschi/femmine è di circa 4:3. 16 Capitolo 1 La maggior parte dei mixomi è localizzata negli atri, in particolare nell’atrio sinistro (70–80% dei casi), originando a livello del setto interatriale in prossimità della fossa ovale, e meno frequentemente in atrio destro (15–20% dei casi). Possono anche interessare in una piccola percentuale dei casi (3% circa) il ventricolo sinistro e il ventricolo destro. I mixomi cardiaci esordiscono clinicamente, nel 45% dei casi, con segni e sintomi riferibili a valvulopatia mitralica; fenomeni embolici si manifestano solo nel 28% dei casi, mentre nel 12% dei casi non è rilevabile alcun sintomo, oppure la scoperta del tumore diventa un reperto del tutto casuale. L’ecocardiogramma è estremamente utile nella diagnosi e consente di identificare la sede del tumore, i rapporti con le pareti cardiache e le sue dimensioni, elementi estremamente importanti per l’intervento chirurgico. La tomografia computerizzata e la risonanza magnetica permettono di acquisire utili informazioni in merito alla dimensioni, alla morfologia e alle caratteristiche di superficie del tumore. Il trattamento dei tumori cardiaci primitivi è esclusivamente chirurgico. L’asportazione del tumore è l’unico trattamento efficace, il tasso di recidive nei casi è del 1–3% e nei casi familiari è del 12–22%. Tuttavia, considerando l’età del nostro paziente, la storia e gli esami ematochimici (compatibili con un danno epatico primitivo), possiamo facilmente escludere il sospetto di un tumore cardiaco. Veniva quindi eseguita una angio–tc torace e addome, che evidenziava a livello toracico una trombosi dell’arteria polmonare destra (ramo principale e segmentario del lobo medio e inferiore), la presenza di difetti di riempimento a carico di alcuni rami periferici del lobo inferiore di sinistra, un’area di addensamento parenchimale a destra a morfologia triangolare a livello della grande scissura che prende contatto con la pleura parietale e una trombosi a livello della vena cava inferiore. A livello addominale si evidenziava un fegato marcatamente disomogeneo a margini polilobati con ipertrofia delle porzioni di sinistra, una neoformazione espansiva di circa 4 cm localizzata a livello del IV–VII segmento epatico che presenta marcati fenomeni infiltrativi a livello della vena cava inferiore e a livello della parete posteriore dell’atrio destro con ampio sviluppo intracavitario, analoga neoformazione espansiva localizzata a livello del VII–V segmento epatico di circa 6 cm di diametro max con presenza di fenomeni infiltrativi a carico delle vene sovraepatiche di destra, trombosi delle vene iliache, trombosi portale a livello del ramo di sinistro che Un caso di Epatocarcinoma complicato da una CID 17 si estende sino alla biforcazione portale, versamento ascitico di discreta entità con ispessimento del tessuto adiposo peritoneale, presenza di alcune formazioni linfonodali di 1 cm di diametro localizzate in sede interaortocavale. Questi dati ben si correlavano con la positività per l’Anti–HCV. Negativi i markers per l’HbsAg. In definitiva, nel nostro paziente, la presenza di trombosi venosa sistemica (trombosi dell’arteria polmonare, della vena cava inferiore, delle vene iliache e della vena porta), di una trombosi dell’atrio destro e di un’embolia polmonare, evidenziavano uno coagulazione intravascolare disseminata, che in questo caso era da riferirsi verosimilmente alla presenza di un epatocarcinoma (fig. 1.2). EPATOCARCINOMA TROMBOSI VENOSA SISTEMICA + TROMBOSI ATRIO DX EMBOLIA POLMONARE SCOMPENSO DESTRO Figura 1.2 Capitolo 1 18 Coagulazione intravasale disseminata La coagulazione intravascolare disseminata (CID) o coagulopatia da consumo è una sindrome trombotico–emorragica a carattere acuto, subacuto o cronico caratterizzata dalla generalizzazione e dalla perdita del controllo del processo coagulativo. Caratterizzata dalla simultanea presenza di gravi segni e sintomi emorragici e trombotici. È in grado di innescare una patologia da consumo ogni situazione clinica capace di generare una iperformazione di trombina, con la conseguente attivazione e consumo di fattori di coagulazione, di piastrine e produzione di microtrombi di fibrina (fig. 1.3). Lo stimolo procoagulante può essere costituito o dalla diretta attivazione della trombina o dal passaggio in circolo di sostanze in grado di innescare direttamente la via intrinseca o estrinseca della coagulazione, come per esempio la liberazione di grandi quantità di materiale tromboplastinico, un danno endoteliale esteso, la presenza di endotossine batteriche o di complessi immuni. Citochine Fattori scatenanti (IL-6, TNFα) Fattore IXa + (fattore VIII) Fattore IIa Fattore Xa + (fattore V) (trombina) Formazione di fibrina Attivazione e consumo dei fattori plasmatici e delle piastrine Diminuzione attività anticoagulante Occlusione vascolare Inibizione della coagulazione Fattore Tissutale + fattore VIIa ↓Antitrombina III Deficit proteina C Piastrinopenia + deficit dei fattori plasmatici FDP Fibrinolisi Figura 1.3 Inibizione della funzione piastrinica Emorragie Un caso di Epatocarcinoma complicato da una CID 19 Tabella 1.2 Patologie associate alla CID Patologia ostetrica Infezioni severe e sepsi Neoplasie maligne solide Leucemie acute Emolisi acute intravascolari Shock Grandi traumi e ustioni estese Patologia allergica e autoimmune Epatopatie Pancreatite acuta Questo stimolo ipercoagulante induce una iperformazione di trombina, che a sua volta innesca da un lato attivazione, esaurimento e consumo della piastrine e dall’altro promuove la trasformazione del fibrinogeno in fibrina e la liberazione in circolo di grandi quantità di frammenti solubili del fibrinogeno (FDP) ad azione anticoagulante e profibrinolitica. Di solito la CID si verifica in una delle seguenti quattro condizioni cliniche. (1) In corso di complicanze ostetriche (abruptio placentae, nell’aborto terapeutico indotto con soluzione fisiologica, nella sindrome da ritenzione del feto morto e nella fase iniziale dell’embolia amniotica). (2) In corso di infezioni, soprattutto da gram –, la cui endotossina causa generazione di attività di fattore tissutale sulla membrana citoplasmatica dei monociti e delle cellule endoteliali. (3) In presenza di neoplasia. (4) Shock da qualsiasi causa, probabilmente a causa della generazione di attività di fattore tissutale su monociti e cellule endoteliali (tab. 1.2). La CID può associarsi a complicanze tromboemboliche quando si verifichino situazioni di ipercoagulabilità che comprendono la trombosi venosa, vegetazioni trombotiche della valvola aortica ed emboli arteriosi che prendano origine da tali vegetazioni. In tali situazioni è difficile che si verifichi un sanguinamento anomalo. Invece, la trombocitopenia e la deplezione di fattori plasmatici della coagulazione in corso di CID determinano una grave tendenza alle emorragie, aggravata dalla fibrinolisi secondaria. I dati di laboratorio variano con la gravità della CID. Sono rappresentati 20 Capitolo 1 da trombocitopenia, tempo di protrombina normale (PT) normale o appena prolungato, un tempo di tromboplastina parziale (PTT) corto, fibrinogenemia normale o lievemente ridotta e aumentato tasso dei prodotti di degradazione della fibrina. Una CID massiva comporta una notevole varietà di anomalie dei test di screening consistenti in: trombocitopenia; un PT e un PTT marcatamente prolungati; una concentrazione di fibrinogeno plasmatico marcatamente ridotta; un test paracoagulativo positivo alla protamina per la presenza dei monomeri di fibrina e un livello molto alto di D– dimero plasmatico e dei prodotti di degradazione della fibrina nel siero. La terapia della causa deve far prontamente regredire la CID. Se l’emorragia è grave, c’è l’indicazione a una terapia sostitutiva: concentrati di piastrine per correggere la trombocitopenia. La somministrazione di eparina può essere appropriata qualora i rilievi clinici suggeriscano lo sviluppo di complicanze trombotiche. Nei pazienti con CID secondaria a neoplasia maligna, non è possibile un rapido trattamento del processo di base e può essere indicato l’uso di anticoagulanti per prevenire la CID, particolarmente se il paziente è portatore di un tumore maligno per il quale la terapia potrebbe indurre una remissione. Epatocarcinoma L’epatocarcinoma è la neoplasia maligna primitiva del fegato più frequente ed è in termini di frequenza relativa la quinta causa di cancro nel mondo. Rappresenta più del 5% di tutti i tumori maligni, ed è la principale causa di morte nei pazienti con cirrosi compensata. L’incidenza del tumore è in crescita in molte aree geografiche, Italia inclusa (10 casi ogni 100000 abitanti). È particolarmente frequente nell’Asia Orientale, nell’Africa Centrale e Occidentale, dove raggiunge tassi di 21–48 casi ogni 100.000 abitanti maschi. Europa Settentrionale, Australia e Nord America sono aree a bassa incidenza di tumore. L’ incidenza e la distribuzione geografica del tumore dipendono dalla diversa distribuzione geografica dei fattori di rischio: in Africa e Sud Asia, aflatossina b1 e HBV (HCC in soggetti giovani e in assenza di cirrosi) (diagnosi tardiva); in Giappone, Egitto e Sud Europa, HCV (pazienti anziani, quasi tutti con cirrosi); in Centro– nord Europa, HCV e alchool (prevalentemente in pazienti con preesistente patologia epatica, cirrosi nel 90–95% dei casi). In ogni caso in tutte le popolazioni, età avanzata e sesso maschile predispongono al tumore. 21 Un caso di Epatocarcinoma complicato da una CID L’identificazione dei fattori di rischio ha grandemente favorito il riconoscimento delle cause del tumore ed ha reso possibile prevenzione e sorveglianza, tesa alla diagnosi precoce del tumore. Nei pazienti con cirrosi la sorveglianza con ecografia addominale e Į–fetoproteina permette una diagnosi precoce e favorisce il trattamento radicale del tumore (fig. 1.4). La diagnosi precoce di tumore riduce il tasso di mortalità epatospecifica poiché permette di identificare tumori piccoli ben trattabili con cure radicali. Poiché il tumore è la principale causa di morte nei pazienti con cirrosi compensata, la sorveglianza incide positivamente anche sulla storia naturale del paziente cirrotico. I portatori cronici di epatite B e i pazienti con cirrosi compensata sono i naturali candidati ai programmi di sorveglianza . Nei pazienti con cirrosi, l’intervallo di sorveglianza di 6 mesi con ecografia è considerato conveniente in termini di costo–efficacia. Screening in pazienti con cirrosi Nodulo diam. Diagnosi HCC procedura Nodulo <1 cm Improbabile (<50% sono HCC) US a 3 mesi Nodulo 1-2 cm probabile AFP, TC-spirale e/o RM biopsia è richiesta per la diagnosi ma 40% falsi egativi Nodulo 2-3 cm Altamente probabile AFP,TC-spirale e/o RM la biopsia è indicata solo in assenza di ipervascolarizzazione arteriosa. Nodulo 3 cm diagnostico AFP,TC-spirale e/o RM la biopsia è raramente indicata. Ricercare invasione vascolare Figura 1.4 Capitolo 1 22 I tumori maggiori di 2 cm si diagnosticano facilmente combinando procedure cliniche, radiologiche ed invasive. La diagnosi di epatocarcinoma è pressoché certa nei pazienti con malattia cronica di fegato che sviluppano un nodulo che appare ipervascolarizzato nella fase arteriosa di TC spirale o alla RMN. La diagnosi è ancora più certa nei pazienti con elevati livelli sierici di alfafetoproteina (>400 ng/ml). Nei noduli inferiori a 2 cm, la diagnosi definitiva può essere difficile rispetto ai macronoduli di rigenerazione. In linea di principio, una lesione che appare come un nodulo ipoecogenico o iperecogenico in malattia cronica di fegato, dovrebbe essere considerata una lesione pre–neoplastica, cioè nodulo di macrorigenerazione o tumore, e deve essere indagata di conseguenza. Nei noduli inferiori a 2 cm, la probabilità di diagnosi falsamente negative con TC o RMN è elevata (40%) data l’immatura vascolarizzazione arteriosa del piccolo nodulo. L’uso combinato di aspirato citologico più microistologia intranodulare ed extranodulare, aumenta l’accuratezza diagnostica al 96%. I casi non risolti con tecniche di immagine o con biopsia epatica richiedono controlli con US ad intervalli di 3 mesi, fino all’ottenimento della diagnosi finale (fig. 1.5). Screening in pazienti con cirrosi Pazienti cirrotici US+AFP/6m No nodulo Nodulo epatico 1cm 2cm Biopsia < 1cm > 2cm AFP 400 ng/mL TC - RMN HCC Figura 1.5 Aumentata AFP US/3m TC No HCC US+AFP/6m Normale AFP Un caso di Epatocarcinoma complicato da una CID 23 Il trattamento viene scelto in base a criteri empirici, cioè presenza o assenza di cirrosi, numero e dimensione del tumore, grado di deterioramento della funzione epatica. Non esistono studi controllati che confrontino l’efficacia dei trattamenti disponibili, mentre data la eterogeneità nelle sopravvivenze tra gruppi controllo non è possibile confrontare i risultati dei differenti studi presenti in letteratura. Nei pazienti con fegato normale la resezione epatica è la principale opzione terapeutica nei pazienti con fegato normale e buona funzione epatica, e conferisce sopravvivenza a cinque anni del 50%. In queste casistiche, i buoni risultati della resezione epatica probabilmente dipendono dall’assenza di cirrosi, che permette una estesa resezione del fegato senza ridurre la sopravvivenza. Gli scarsi risultati con trapianto probabilmente riflettono problemi nella selezione dei pazienti, cioè il trapianto in pazienti con tumore così avanzato da essere stato giudicato inoperabile con resezione. Nei pazienti cirrotici con piccolo tumore il trapianto è il migliore trattamento per pazienti con tumore singolo < 5 cm di diametro o in pazienti con meno di 3 tumori ciascuno < 3 cm, con una sopravvivenza a 5 anni di circa il 70%. Criteri diagnostici HCC secondo la Conferenza di Barcelona EASL • Criteri Istologici e/o citologici • Criteri non-invasivi (pazienti cirrotici) 1. Criteri radiologici: Conferma con due tecniche di radiologiche Lesione focale > 2cm con ipervascolarizzazione arteriosa 2. Criteri combinati: Una tecnica radiologica + AFP AFP > 400 ng/mL Figura 1.6 24 Capitolo 1 Nei Paesi con scarse donazioni di fegato, i cirrotici con modesta ipertensione portale e bilirubina normale dovrebbero essere innanzitutto considerati per la resezione, mentre quelli con predittori avversi dovrebbero essere selezionati per il trapianto. I pazienti con tumore inoperabile e di dimensioni inferiori a 5 cm sono indicati per trattamenti ablativi con iniezione interstiziale di alcol o radiofrequenza. Questi trattamenti sono efficaci poiché causano necrosi del tumore senza danneggiare significativamente il fegato cirrotico peritumorale e comprendono l’iniezione intratumorale di etanolo assoluto (PEI), acido acetico o soluzione salina surriscaldata, nonché la termoablazione con radiofrequenza, microonde o laser. In studi non controllati, la sopravvivenza appare ampiamente influenzata dello stato di funzione epatica e dalle dimensioni e numero dei tumori. La chemioembolizzazione arteriosa transcatetere (TACE) del tumore è un trattamento alternativo. Esso sfrutta il duplice rifornimento di sangue del fegato, visto che il tumore è rifornito solo dall’arteria epatica. La TACE determina necrosi ischemica del tumore e rende possibile l’iniezione di agenti antitumorali direttamente nel tumore, favorendo elevata concentrazione locale di farmaci antineoplastici e riducendo gli effetti collaterali sistemici. La TACE sembra una valida opzione terapeutica nei pazienti cirrotici con tumore multifocale inoperabile e buon compenso epatico. Conclusioni Il nostro paziente è giunto con un quadro clinico ed obiettivo suggestivo di scompenso cardiaco destro, caratterizzato dal turgore delle giugulari, edemi declivi e dolenzia epatica per congestione passiva con reflusso epato–giugulare. All’ingresso in reparto la nostra attenzione, oltre che dall’aspetto obiettivo, è stata attratta dal quadro degli esami ematochimici, che mostravano una marcata alterazione degli indici di funzionalità epatica, poco compatibile con l’ipotesi di un fegato da stasi. Sulla scorta di questi dati abbiamo eseguito un angio–tc del fegato, che evidenziava la presenza di un epatocarcinoma, la presenza di trombosi venosa sistemica , dell’atrio destro e di un’embolia polmonare. La sintomatologia dell’embolia polmonare era nell’anamnesi silente, ma è riconducibile all’aumento della pressione venosa per lo scompenso di tipo epatoportale che ha portato il paziente alla nostra osservazione. Quindi ci siamo trovati di fronte ad un epatocarcinoma che si è manifestato clinicamente con un quadro di scompenso cardiaco destro causato Un caso di Epatocarcinoma complicato da una CID 25 da un’embolia polmonare in seguito ad una coagulazione intravascolare disseminata. Nonstante l’inizio precoce della terapia il paziente è deceduto in seguito a shock emorragico secondario a sanguinamento gastroenterico da verosimile rottura di varici gastro–esofagee. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Shapiro L. M., Cardiac tumours: diagnosis and management, Heart, 2001 Feb; 85(2): 218–22. Reynen K., Cardiac myxomas, N Engl J Med, 1995 Dec14; 333(24): 1610–7 Bruix et al Easl Conference on HCC, Barcelona, 2000 J Hepatol 2001; 35: 421–430. Harrison’s, Principi di Medicina Interna, 14° Edizione.