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guardare cinema - Università degli Studi di Brescia
Giovanni Scolari GUARDARE CINEMA VEDERE STORIA. L’USO DEL CINEMA COME DOCUMENTO STORICO DSS PAPERS STO 03-07 Guardare cinema vedere storia L’oggetto dell’analisi non è l’opera, ma il problema inventato dall’uomo. J. Aumont Il cinema e la storia (intesa come disciplina di studio) vivono un rapporto difficile, talvolta contrastato. Molto dipende dalla loro stessa natura che impedisce di trovare punti d’accordo e chiavi interpretative che abbiano il medesimo significato in entrambe le categorie. Nella scuola, poi, questo rapporto diventa addirittura ambiguo perché i destinatari del materiale proposto hanno dentro di sé già codificato un messaggio cinematografico spessissimo in contrasto con i mediatori e con la comunicazione che essi intendono trasmettere. Esiste, quindi, nel destinatario un codice preesistente che tende a deformare la conoscenza degli avvenimenti storici, in contrasto con le distorsioni recepite, talvolta, anche dallo stesso docente. Se si cerca, infatti, di spiegare agli studenti di qualsiasi livello la condizione della donna dal medioevo ad oggi, essi tenderanno a ragionarla nei termini che gli sono stati restituiti dalle esperienze quotidiane e dal valore che alla donna è dato dalla società contemporanea. Ancora più importante sarà l’influsso delle fiction viste anche se propongono modelli in contrasto con la realtà effettiva del periodo. Infine, per esigenze drammaturgiche il cinema tende a semplificare gli avvenimenti saltando intere fasi storiche, eliminando o inserendo personaggi che servono per rafforzare il climax narrativo. I documenti storici, quindi, subiscono l’onta della cancellazione nella memoria collettiva che di epoca in epoca, di generazione in generazione si trasforma deformando inevitabilmente quanto si sta studiando e spiegando. Certo, questo presupposto non aiuta ad affrontare le tipiche domande che si pone un insegnante che decide di utilizzare il materiale filmico per restituire una parvenza di verosimiglianza al racconto storico. Anzi, per certi aspetti complica la vita, induce a ritornare sul più confortevole libro che spiega la storia secondo criteri a lui noti e tranquillizzanti per la classica lezione frontale. Tuttavia, la conoscenza di questi problemi è il punto di partenza per iniziare un percorso di approfondimento che fornisca la chiave di volta per giungere al disvelamento della fiction nella storia. È necessario ricominciare, ove possibile sgombrando la mente dai pregiudizi e dal proprio gusto personale, a “conoscere” il cinema non più e non solo come forma d’intrattenimento, ma anche come mezzo tecnico e di informazione. Bisogna spogliarsi delle sovrastrutture ideologiche per avere uno sguardo il più obiettivo possibile nell’analisi della fiction e di tutti gli 3 Giovanni Scolari aspetti ad essa connessa. Il cinema, infatti, non si esaurisce solamente nell’atto della visione, limitata al contesto socio-culturale del momento, influenzata dall’emotività degli avvenimenti. Detto questo, come si fa a rendere comprensibile la storia? Con quali modalità ci si deve avvicinare al film per spiegare la realtà a cui esso si riferisce? Con quali mezzi si integra il documento storico con la visione della fiction? Sono quesiti giusti che tengono conto non solo della complessità del materiale che si propone, ma anche della platea eterogenea che spesso cerca (in quanto abituata a farlo) solo film di intrattenimento in cui tutto è spiegato, senza lasciare libertà di interpretazione allo spettatore. Si deve, perciò, andare per gradi, crearsi una preparazione tecnica di base credibile partendo dalla conoscenza del mezzo cinematografico per poi passare ad un modello di studio capace di ridurre l’analisi del film all’interno dell’unità di approfondimento che si intende sviluppare. Come dice Pierre Sorlin “Il primo scopo è abituare gli uditori a guardare quello che si vede sullo schermo”. LA PRODUZIONE Cominciamo dalla realizzazione del film dividendolo in diversi momenti e tenendo conto che non tutte le nazioni hanno lo stesso procedimento produttivo. Ci serviremo, quindi, dei modelli ricorrenti in Italia e negli Stati Uniti, utilizzando l’Italia come esempio per la produzione europea. In Italia il progetto del film è quasi sempre concepito dal regista; infatti la cifra stilistica del cinema europeo è quella autoriale. Il regista è l’artista, intorno al quale ruota tutto il film. L’eccezione è data dall’attore così affermato da determinare le regole del gioco. Nel primo caso rientrano i grandi autori della storia del cinema italiano e quelli ancora in attività. Nel secondo, invece, si affermano le maschere comiche che talvolta possono giocare il doppio ruolo di attore-regista, in altre circostanze si costruiscono un gruppo di tecnici fedeli e affezionati da cui si sentono valorizzati. Gli autori e gli attori si legano, in generale, ai pochi produttori che l’Italia offre per realizzare le loro opere. Fuori da questo circolo virtuoso c’è un anonimato che vive di enormi difficoltà distributive. La difficoltà più grande per un cineasta non è, infatti, trovare i soldi per realizzare un film, ma avere canali che lo facciano conoscere e apprezzare dal pubblico. Diverso è, invece, il discorso che riguarda gli Usa. Hollywood è una vera e propria industria in cui dominano le case produttrici che, disponendo di enormi risorse economiche, impongono regole e tempi. In questo caso è 4 Guardare cinema vedere storia il produttore che sceglie la storia, il regista e gli interpreti; dopo di che affida il tutto ai suoi potenti apparati comunicativi che cercano di trasformare il film in un evento mediatico, capace di attirare pubblico. Se per l’Italia, perciò, la quasi totalità dei finanziamenti vanno nella sola produzione, Hollywood investe molta parte del budget anche nel pubblicizzare la pellicola. Questa introduzione può sembrare fuorviante, rispetto al tema proposto, ma non è così. Ogni film non è un luogo a sè, ma è figlio dell’apparato produttivo che l’ha generato. Non è la stessa cosa sapere se un’opera è stata realizzata durante un particolare periodo politico, sapere se un film è stato concepito su finanziamenti statali, piuttosto che da una singola parte politica. Non è la stessa cosa sapere se la censura ha giocato un ruolo determinante nella stesura della sceneggiatura. Esistono, poi, altri aspetti quali quelli della distribuzione. Infatti, le pellicole non vengono fornite direttamente alla sale cinematografiche dalla casa di produzione, ma devono passare attraverso i distributori che hanno il contatto con gli esercenti sparsi per il territorio. Il distributore diventa una figura indispensabile quando il film proviene da una nazione diversa; in tal caso la casa produttrice si affida a lui per garantire incassi che completano la prima parte degli introiti di una fatica cinematografica. È determinante quando influenza, ad esempio, il doppiaggio, oppure censura o varia il manifesto od i trailer che pubblicizzano il film. È accaduto varie volte in passato, infatti, che il distributore facesse modificare dialoghi per motivi politici. Nella versione originale di Casablanca (1942) Bogart aveva partecipato nel ’36 alla resistenza antifascista in Etiopia; nella copia italiana tale riferimento fu eliminato. In quell’occasione non si volle turbare il popolo italiano che, uscito sconfitto dalla guerra, voleva mettersi rapidamente alle spalle il ventennio fascista. LA SCENEGGIATURA Il film è anche testo scritto: la sceneggiatura. Per alcuni autori il testo scritto era difficilmente modificabile in quanto in fase di stesura tutto era stato previsto minuziosamente; per altri come Fellini la sceneggiatura era un canovaccio totalmente manipolabile in sede di ripresa. Per arrivare alla sceneggiatura ci sono alcuni passaggi. Nella prima fase si elabora un soggetto, cioè un racconto breve che comprende la trama, i personaggi, lo spazio e il tempo della narrazione. Dopo si passa ad un trattamento, ovvero l’elaborazione più accurata dell’opera cinematografica in cui viene predisposta una scaletta comprendente le 5 Giovanni Scolari sequenze in cui è diviso il film. Nel trattamento i caratteri dei protagonisti sono delineati compiutamente. Lo stadio successivo è, infine, la sceneggiatura detta anche copione. La sceneggiatura è divisa normalmente in due parti: nella prima sono dettagliati i movimenti della macchina da presa, annotazioni sul clima, ambiente e paesaggio, i gesti e le azioni degli attori; nella seconda sono riportati i dialoghi ed i rumori, talvolta anche la musica quando essa è parte integrante della scena. IL LINGUAGGIO DELLE IMMAGINI Se il testo scritto rappresenta un punto di partenza importante, diverso è il linguaggio delle immagini che richiede una conoscenza meno legata ai significati più evidenti. Come in un componimento letterario lo scrittore utilizza un particolare stile narrativo, anche il regista può optare per differenti inquadrature. Le immagini, infatti, parlano una loro particolare lingua che risponde a regole meno note, ma indispensabili per comprendere appieno il cinema e le sue forme. L’ immagine È composta da alcuni aspetti quali l’inquadratura, la composizione figurativa, i campi e i piani, l’angolazione. L’inquadratura è il campo visivo inquadrato dalla macchina da presa in cui deve essere evidenziato lo spazio scenografico ed umano rappresentato nella pellicola.La composizione figurativa è la disposizione dei volumi all’interno della inquadratura stessa. I campi e i piani sono determinanti per la comprensione di ogni singola scena. I campi considerano la descrizione degli ambienti. I piani riguardano le tecniche di ripresa degli attori. L’ambiente lascia il posto ai risvolti psicologici e drammaturgici dell’azione. Servono a sottolineare l’espressione, il dialogo, il sentimento. Anche l’angolo di ripresa è importante. Alla ripresa frontale, classica e rassicurante, si possono e si devono alternare altri tipi di ripresa (laterale, diagonale, dal basso o dall’alto) a seconda delle esigenze narrative e del messaggio che si vuole insinuare nello spettatore Il montaggio Come si giunge alla forma finale del film? Dove si fanno le scelte su quale tra i ciak girati va inserito nella copia finale, oppure in quale ordine vanno disposte le riprese effettuate da diverse angolazioni? Ed infine come dare unità al significato complessivo dell’opera cinematografica? 6 Guardare cinema vedere storia Tutto questo avviene con il montaggio, il lavoro di assemblaggio delle migliaia di metri di pellicola girata. I computer hanno velocizzato le procedure ma il lavoro del montatore non è, per questo, meno delicato e significativo: dalle sue mani esce il prodotto finale che viene mandato alla stampa, il risultato complessivo dell’opera di decine, centinaia, di persone. Il montaggio, per fare un parallelo con la grammatica, trova riscontro con la sintassi del discorso e come tale va considerato. Con il montaggio si può proporre anche un significato narrativo al film, conseguendo effetti rimarchevoli ai fini della chiarezza del racconto. Il montaggio non si esaurisce in se stesso, ma crea correlazioni più importanti poiché dà vita dando origine ad una realtà inesistente, attraverso un ritmo psicologico e narrativo. Quando si riuniscono due scene attraverso il montaggio si induce il pubblico a fare dei collegamenti che non esistono in natura, spingendolo anzi a dare un’interpretazione soggettiva a quanto visto. Se mostriamo in successione l’immagine di un uomo che spara verso destra e subito dopo un altro che risponde al fuoco da sinistra, lo spettatore trarrà immediatamente la conclusione che i due stanno cercando di colpirsi da grande distanza. Sarà, quindi, spinto a dare un significato all’accostamento senza aver visto materialmente ciò che sta accadendo. Non esiste, infatti, in nessuna delle inquadrature l’atto in sé; inoltre, le due scene potrebbero essere state girate in momenti assolutamente distinti senza che esista alcun rapporto effettivo. L’esempio citato è tratto da Una pallottola spuntata, film demenziale in cui una terza immagine mostra i due che si sparano da pochi centimetri, mancandosi sempre, in modo da creare un effetto comico irresistibile Il montaggio è, quindi, di per sé ingannevole. Inoltre, il cinema dà vita a realtà inesistenti. Il tempo cinematografico non è mai reale poiché si dilata, a seconda delle esigenze narrative. Quante volte abbiamo visto sullo schermo un eroe che cerca di impedire un’esplosione interrompendo il timer a poco più di un secondo dalla fine? E quante volte abbiamo osservato che il conto alla rovescia durava ben di più dei secondi mostrati? In altri casi il tempo si abbrevia. Un uomo compie un tragitto a piedi: nel film la camminata dura pochi secondi, mentre in realtà il tempo impiegato sarebbe molto superiore. Anche lo spazio cinematografico è una pura finzione. Infatti, nella raffigurazione dello spazio la cosiddetta “quarta parete” (dove è posta la cinepresa) è solo immaginata dallo spettatore mentre i personaggi si muovono su tre soli lati. Lasciamo stare, poi, la realtà virtuale costruita dai computer. Se lo sfondo naturale di opere come Il signore degli anelli, è 7 Giovanni Scolari spesso reale, lo stesso non si può dire degli innumerevoli dettagli aggiunti dai tecnici degli effetti speciali. Infine, lo spazio diventa entità fittizia quando ci mostra, ad esempio, un’autovettura che parte e subito dopo giunge in un luogo. Il montaggio ci suggerisce un percorso che concretamente non è mai stato compiuto. In ultima analisi il montaggio crea uno specifico ritmo del film variando i fenomeni di moto, colore e composizione delle immagini, secondo misure quali la diversa lunghezza delle inquadrature. Ancora sull’immagine: bianco e nero e colore Il Bianco e nero ha possibilità che permettono valori espressivi particolari. In Schindler’s List: il colore avrebbe spento l’angoscia della realtà dei campi di concentramento, distogliendo l’attenzione dello spettatore dai dettagli che Spielberg voleva invece evidenziare. Le ombre che tagliano violentemente lo schermo, i volti e i corpi fatti risaltare nei loro tratti principali contrastano con l’unica macchia di colore (la bambina ebrea) che scuote le nostre coscienze come quella di Schindler. In questa circostanza si può dire che il bianco e nero si è “fatto colore”. Anche il colore, tuttavia, possiede delle importanti peculiarità visive. Normalmente ha una funzione descrittiva poiché riproduce esattamente la realtà. Se, però, esaminiamo opere come Million dollar baby comprendiamo che il colore viene spento per rendere meglio l’atmosfera dolente che sovrasta tutti i personaggi. In questo caso il colore assume una funzione narrativa, esprimendo cromaticamente le tematiche presenti nella pellicola. Un’ultima categoria si può riscontrare nel registro più propriamente espressivo, quando il colore dà all’immagine un significato particolare che in se stessa non riuscirebbe a manifestare. La fabbrica di cioccolato di Tim Burton è un prodotto esemplare per l’uso che il regista fa del colore e delle sue possibili variazioni. LA PSICOLOGIA NEL CINEMA Lo spettatore vive di fenomeni psicologici che sono stati analizzati da molti studiosi. Questi studi hanno evidenziato alcuni aspetti dell’esperienza vissuta dal pubblico durante la proiezione. La percezione e lo stato onirico La luce proveniente dallo schermo non è costante, tuttavia lo spettatore non si accorge della sua frammentarietà in quanto vive in uno stato di passività inerziale. Appena seduto nella poltrona si rilassa, 8 Guardare cinema vedere storia disponendosi alla visione. Pur essendo consapevole del carattere illusorio delle immagini, tende a considerare quanto visto come una forma di realtà. A questa dicotomia corrisponde una “distanza psicologica” che consente di entrare o uscire dal film. La visione cinematografica si distingue dalla visione televisiva perchè vissuta in uno stato di torpore che ha molti punti di contatto con il sogno, una sorta di effetto ipnoide che avviene senza che il soggetto se ne avveda. La comprensione e la memorizzazione In questi due fattori gioca un ruolo essenziale non il linguaggio espresso dal film, ma la difficoltà dei soggetti di ricostruire l’azione raccontata. Anzi, studi psicologici hanno mostrato come la problematica più grande riguardi la ricostruzione dell’ambiente. Nella memorizzazione, poi, si è notata una tendenza a “ristrutturare” a posteriori quanto visto secondo una logica personale ed affettiva con una conseguente notevole perdita di informazioni. La partecipazione e l’identificazione È il rapporto “empatico” che si stabilisce tra chi guarda e l’oggetto che scorre sullo schermo. Chi assiste può restare indifferente, ma può anche arrivare a riprendere, mimare le azioni del film in una “fusione” realizzata su basi emozionali ed affettive. Grazie ad esperimenti effettuati, si sono verificati nello spettatore non solo dei processi cognitivi comuni ai personaggi, ma l’accelerazione della frequenza cardiaca e respiratoria, nonché della tensione muscolare in corrispondenza di quanto avveniva sul grande schermo. In sostanza, il film genera una situazione percettiva che crea nel pubblico la sensazione di vivere eventi reali, sensazione rafforzata dalla ricchezza di stimolazioni del flusso delle immagini. Dopo di che si attua, attraverso una serie di mappe cognitive che ognuno ha dentro di sé, un processo di riconoscimento che vive della capacità dello spettatore di ipotizzare e verificare ciò che accade nella narrazione. CINEMA E TELEVISIONE La televisione per Sorlin non ha non possiede la distanza critica della fonte storica poichè si nutre di una visione permanente dell’avvenimento, diversamente dal cinema. Inoltre, ha modificato in modo profondo il modo di scrivere e percepire la storia grazie all’introduzione del testimone, l’individuo comune che ha partecipato personalmente agli avvenimenti. 9 Giovanni Scolari Nella storiografia tradizionale, la testimonianza viene riassunta, talvolta sintetizzata, vagliata nei suoi aspetti meno accertabili. In televisione, al contrario, il testimone diventa protagonista assoluto grazie alla gestualità, alla mimica facciale che lo pone al centro dell’attenzione, portando lo spettatore ad un forte processo di identificazione e comprensione; il quel momento lui è la Storia. La televisione, poi, mette in crisi la classica narrazione storica - che vive di argomentazioni complesse, di tesi analizzate con metodicità e pazienza – prediligendo la sinteticità a discapito della profondità. Infine, pur in presenza di televisori sempre più tecnologicamente avanzati, la forma dell’immagine su grande schermo ed i colori perdono in profondità e lucentezza nel passaggio dalla pellicola al piccolo schermo. Tutte queste critiche hanno più di un fondamento, ma sono limitanti. La diffusione di altre forme di media e l’avvento del satellite con i suoi innumerevoli canali, ha consentito alla televisione di liberarsi della zavorra politico ideologica per rivolgersi anche a prodotti di nicchia. Non è, insomma, solo varietà, telegiornali e sport. Certamente, questi aspetti prevalgono e l’immensità dei programmi televisivi rendono difficile un lavoro completo. Tuttavia, come non notare la maturità raggiunta da molte fiction statunitensi che trattano argomenti scabrosi, in modo diverso e approfondito? E come non accorgersi dell’abisso che le separa dagli omologhi italiani sovrapponibili per interpretazioni, scrittura e tecnica di ripresa? Questa differenza può essere oggetto di studio oppure è una semplice casualità? E come si fa a scartare il linguaggio pubblicitario e dei videoclip che ha formato molte delle nuove leve dei cineasti nostrani e stranieri dal discorso sul cinema in particolare e sulla storia in generale? Rimangono, quindi, alcune perplessità sul ragionamento di Sorlin. Condivisibile è, invece, la considerazione che solo i film di finzione sono in grado di costruire una storia totale, poiché “tutto è reinventato”. Sorlin evidenzia che le limitazioni del cinema sono legate principalmente ad aspetti politici (censura, ideologie) piuttosto che alle imposizioni dettate dal mercato. Resta il documentario, ma Sorlin lo considera, a ragione, fonte di elaborazione parziale. Quando, invece, si sofferma sulla fiction televisiva ne ravvisa l’utilità come fonte storica in quanto ripropone gli abiti, le abitazioni, i consumi degli italiani di quegli anni; tuttavia, non la ritiene sufficientemente interessante poiché non esprime un punto di vista generale. Manca, insomma, quella che lui definisce “lo spessore della storia”. 10 Guardare cinema vedere storia Sorlin dimostra che non esiste un’unica via allo studio del cinema come fonte storica, ma diverse strade che possono portare a risultati comuni e altrettanto importanti. IL MODELLO STORICO “Ogni immagine è bella perché è lo splendore del vero” diceva Jean Luc Godard (1959) a proposito di India di Roberto Rossellini. Lo splendore del vero richiama il concetto di realtà, intesa come il prolungamento dell’esperienza che noi abbiamo del mondo nell’immagine, insomma la verità delle cose. Il cinema diviene, così, storia. In questo senso, può venire interpretato in diversi modi. È oggetto di una propria storia, ma anche strumento didattico, fonte ed agente storico. Per questo motivo, in primo luogo, bisogna operare una distinzione tra film storico e fonte storica. Quando una pellicola parla di un periodo ormai passato si usa definirla film storico in quanto tenta di ricostruire l’evento utilizzando fonti documentali (libri, atti, manifesti, diari ecc.) ed iconiche (quadri, stampe). Se, invece, si analizzano film coevi al periodo esaminato, gli elementi riportati alla luce funzionano da vera e propria fonte storica. L’utilità di tale ripartizione è superficiale alla luce del modello che andremo ad elaborare successivamente, ma serve per prendere coscienza della diversità delle fonti. Insomma, un film quale Soldato Blu non serve solo come film storico, ma soprattutto come fonte per comprendere come la guerra del Vietnam influenzasse la società statunitense. Queste categorie di pensiero devono però essere affrontate tenendo conto che negli ultimi trenta anni la televisione e i computer hanno profondamente cambiato l’impatto che il cinema ha sulla popolazione. Ora, infatti, il cinema ha perso il predominio sulla diffusione degli stereotipi storici, passato decisamente nelle mani della televisione. Al cinema, però, è rimasta una grande forza in grado di intervenire sui processi sociali grazie alla capacità di svelare verità nascoste o proporre interpretazioni coltivate da minoranze, oppure di fornire modelli a cui aspirare. Inoltre, il cinema è capace ancora di aggregare individui con medesimi gusti ed opinioni, di alimentare mode, di creare gruppi professionali compatti Questa capacità si potenzia massicciamente in virtù dei passaggi televisivi che moltiplicano il messaggio contenuto nell’opera. L’avvento del videoregistratore e, più recentemente del Dvd, ha dato all’analista, in quanto spettatore e studioso, la possibilità di vedere la stessa immagine e la stessa scena per centinaia di volte; inoltre ha reso accessibile 11 Giovanni Scolari un patrimonio sterminato di lungometraggi che vanno dall’origine del cinema ad oggi. A differenza di quanto si fa nella critica cinematografica in cui si da un giudizio estetico partendo da una reazione emozionale e da una visione globale del cinema, l’analisi storica consiste nell’attenzione al dettaglio nella consapevolezza che tutto diventa ugualmente importante in un film. Questa è la prima regola quando si studia un film. Come dice Jacques Aumont si deve partire da un “non sapere”, da un’insoddisfazione dovuta ad un “non so”. Bisogna, insomma, visionare il materiale predisponendosi ad una “messa a distanza” dal film, una messa a distanza non solo dalle reazioni emozionali, ma anche dal sapere preformato che ci ha guidato nella visione da semplice spettatore. Certo, non è facile dimenticare quello che si è letto sui giornali, piuttosto che nei manuali di storia del cinema, ma è necessario per afferrare la somma dei particolari che fanno di ogni opera artistica una fonte per la ricostruzione storica. Mi preme, però, sottolineare come le regole che stiamo per declinare devono essere intese come un modello di riferimento che non deve ingabbiare la fantasia dell’analista, libero di inseguire nuove domande, ipotesi e soluzioni. L’ideale è, però, che il lavoro compiuto sia verificabile in senso scientifico anche se non vi sono procedure assolute di verificabilità in questo campo. Una volta individuato il periodo storico che si intende analizzare, si inizia con un faticoso lavoro di documentazione. Prima di procedere in tal senso, bisogna selezionare quali film possono essere utili al nostro scopo. In questa fase aiuta molto, naturalmente, essere esperti il più possibile di cinema per fare una prima scrematura. Come detto, l’analisi storica prescinde da valutazioni di carattere estetico e, quindi, in questa ottica tutte le pellicole sono degne di attenzione e studio; tuttavia, non potendo visionare ogni produzione collegata all’argomento, si devono vagliare le opere che hanno un senso per il lavoro che si intende compiere. In pratica, se si parla della guerra del Vietnam, è utile parlare di Platoon in quanto, pur essendo del 1986, è opera di un regista, Oliver Stone, che ha partecipato in prima persona alla guerra oggetto della ricerca. Diventa, invece, meno interessante una pellicola come Hamburger Hill (1987), poiché è evidente la ripetizione di concetti espressi da Stone. Tuttavia, lo stesso film può interessare nel momento in cui si vuol approfondire in modo comparativo cosa era rimasto della guerra del Vietnam negli Stati Uniti della fine degli anni ’80, limitando cioè lo studio ad un preciso lasso di tempo. Da evitare in questa primo stadio, perciò, lunghe liste che semplicemente selezionano tutte le opere sulla fase storica interessata. Si 12 Guardare cinema vedere storia rischia così di fare solo un’analisi comparativa mescolando in modo inconsulto prodotti fatti in epoche diverse (ricordate la distinzione tra fonti storiche e film storico?) e senza nessun collegamento effettivo e tanto meno valore scientifico. Dopo aver individuato le produzioni che hanno attinenza con l’argomento che si intende indagare, si passa all’approfondimento documentario. Bisogna rintracciare il più possibile gli articoli e le interviste che riguardano la preparazione del film, le critiche che ha raccolto, i dati di afflusso nelle sale e, infine, cosa di queste opere è stato poi segnalato all’interno di libri riguardanti la storia del cinema. Tale lavoro deve andare in parallelo con gli approfondimenti storici. Tutto il lavoro tracciato in precedenza è significativo e determinante per la ricerca che si realizzerà. Tuttavia, prima di passare alla visione del film, bisogna fare di tutto per rimuoverlo, per dimenticarlo al fine di recepire ogni singola informazione senza avere pregiudiziali di qualsiasi sorta. Il compito è di difficile realizzazione, ma lo sforzo deve essere compiuto. In questo tipo di analisi tutto è ugualmente importante, da particolari apparentemente insignificanti si possono trarre delle chiavi interpretative di parte della storia di quegli anni. Primo compito, perciò, è riuscire a non proiettare sul film una parte di noi, ma prenderlo per se stesso in ogni minimo dettaglio allo scopo di farlo diventare, come dice Aumont: “ciò che si vede e si sente, e per nulla ciò che si sapeva già” Dalla proiezione devono discendere una mappa, dei percorsi, delle ipotesi che dovranno essere viste e sviscerate utilizzando il materiale già accumulato che ora ritorna estremamente d’attualità Tali ipotesi devono anche tenere conto delle capacità inventive dei diversi autori. Non bisogna mai dimenticare che il cinema ha enormi potenzialità ed è in grado di porre quesiti di diversa natura. Il cinema può narrare la storia in molti modi, ma è in grado di diventare anche “agente” di storia. Un’opera, infatti, può essere alla radice di invenzioni profonde sul piano antropologico, acquistando un particolare valore alla luce dell’immagine diversa dell’uomo che ha fornito. Roma città aperta di Rossellini (1945) ha un tale successo che sulla rivista Life viene scritto: “La maggior parte degli spettatori ha ritrovato parte di quella nobiltà che l’Italia aveva perduto sotto Mussolini”. È facile capire, alla luce di quanto letto, che gli eroi di Rossellini hanno riabilitato gli italiani presso l’opinione pubblica americana e mondiale (fino a quel momento diffidente verso il popolo che aveva tollerato e appoggiato oltre vent’anni di regime fascista) ben più di quanto abbiano fatto i governi alla guida della nostra nazione subito dopo il conflitto bellico. 13 Giovanni Scolari A questo punto dal taccuino di qualsiasi analista emergeranno una serie di ipotesi che dovranno poi essere corroborate dal confronto con il materiale raccolto in precedenza. A volte questa documentazione aiuterà a tracciare meglio la mappa dei problemi emersi dalla visione, ma non sarà sufficiente in quanto servono altri dati per supportare le teorie, le ipotesi fornite dai film. La qualità e la quantità dei dati raccolti sarà direttamente proporzionale alla validità scientifica della ricerca. Diverse sono le possibili direzioni dello studio effettuato. Tra le direttrici principali vi sono, senza dubbio, la storia politica (film di propaganda e ideologici), la business history (la macchina economicoindustriale, i modi di sfruttamento), la storia sociale (comportamenti, orientamenti, inquietudini e mode di una comunità). In primo luogo bisogna trovare raffronti con la vita quotidiana così come ci è stata trasmessa dalle fonti documentali e vedere come la vita è influenzata dagli accadimenti. Il film deve essere visionato con un’attenzione assoluta, individuando ogni elemento, anche il meno importante. Si ricostruisce la genesi del film, il contesto storico e sociale in cui la lavorazione è andata avanti. Successivamente, si dovrebbe cercare di individuare i diversi elementi storici del film e collegarli tra loro. Le informazioni ricavate dalla visione - singola o comparata con altre opere – deve essere sottoposta ad un ulteriore approfondimento confortato da dati documentali. In ultima istanza vedere come il film ha interagito con la società circostante diventando di volta in volta fenomeno di costume, momento di aggregazione, intrattenimento, propaganda di regime o ideologica ecc. Tale lavoro viene svolto utilizzando le critiche, gli incassi, la discussione giornalistica e politica, l’influenza sulle mode e sull’immaginario che la pellicola ha creato. Tutto ciò va fatto in costante raffronto con la ricostruzione cronologica degli avvenimenti. Ogni informazione raccolta deve trovare conferma in altre fonti storiche cartacee ed essere legato agli avvenimenti narrati o rappresentati. Il rischio è di cadere nell’interpretazione arbitraria dello spirito del film ed elaborando teorie basate su giochi di parole e slittamenti di significati. 14 Guardare cinema vedere storia L’ITALIA DEL MIRACOLO ECONOMICO VISTA DA FELLINI: 1950-1960 “L'unico e vero realista è l'artista visionario e creativo che meglio riesce a mostrare se stesso attraverso la propria arte” F. Fellini Federico Fellini nasce a Rimini nel 1920. Trasferitosi a Roma giovanissimo, inizia a collaborare con alcune riviste umoristiche. Il suo successo gli permette di fare una veloce carriera nel mondo dello spettacolo, collaborando a spettacoli teatrali e scrivendo per la radio. Infine, il balzo nel cinema come sceneggiatore e poi, a partire dal 1950, come regista. Durante la sua carriera ha ottenuto numerosissimi premi in tutti i principali festival che lo hanno incoronato come uno dei più grandi registi della storia del cinema. La sua scomparsa risale al 1993, pochi mesi dopo aver ricevuto l’Oscar alla carriera, il quinto della sua vita. Dopo questi brevi tratti biografici proviamo a spiegare il motivo della scelta, anche se dalle parole in calce all’inizio del capitolo, vi è già contenuta una chiara traccia. Per chi è a digiuno di cinema gli anni ’50 sono stati certamente il periodo più fecondo della nostra produzione che annoverava registi considerati tra i maestri della settima arte. Questi autori, in particolare Rossellini e De Sica, parrebbero avere le carte in regola per rappresentare meglio la realtà di quegli anni. Eppure Fellini, che ha scelto un registro via via più surreale ed onirico, è un perfetto esempio di come il cinema diventa strumento storico nelle mani di un autore capace di rappresentare non solo il visibile, ma anche il non detto di una società e cioè gli umori, le inquietudini, i cambiamenti sotterranei dell’Italia che passa da una società rurale prebellica ad una cultura industriale sempre più edonistica e consumistica. Infine Fellini si differenzia dagli altri autori per la sua atipicità in quanto egli, pur in mezzo a cambiamenti epocali, non sposa mai completamente una posizione. E non lo fa perché ignori quanto accade o per ignavia, ma perché libero da retaggi ideologici o filosofici che l’avrebbero fatto scivolare nel contingente invece di essere un geniale inventore di immagini e di sentimenti. Infatti, il suo cinema mostrato tutto quello che è presente nella società senza porsi in posizione critica verso qualcosa o qualcuno ma limitandosi ad indugiare sugli uomini e sulle idee e lasciando che essi evidenzino con il loro pratico operare pregi e difetti 15 Giovanni Scolari delle loro convinzioni. Tutto ciò permette allo spettatore e allo studioso un quadro generale che va ben al di là della semplice visione, consentendogli di agire liberamente all’interno di un complesso quadro storico. La sua autonomia assoluta lo mette inevitabilmente al centro delle posizioni critiche emerse nel periodo. Lo studio delle recensioni, provenienti dai due lati dello schieramento politico, è infatti utile al fine di tracciare un esauriente quadro della cultura nel quindicennio analizzato. Lo è ancora di più esaminando le critiche mosse al regista romagnolo che, non essendo definibile per nessuno, diventa attaccabile a seconda dei problemi che i suoi films sollevano o della visuale da cui ha osservato il fenomeno al centro della sua indagine. Così Fellini viene definito, nel giro di pochi anni, nostalgico, cattolico, comunista, realista, barocco, letterario ecc. Da una parte gli viene rimproverato di invitare al male gli spettatori, dall'altra non gli si perdona di non aver aderito al neorealismo. Insomma tutto e il contrario di tutto. L’apprendistato cinematografico di Fellini si svolge nel caotico dopoguerra italiano, attraverso la collaborazione con molti registi italiani, ma in particolare grazie al sodalizio con Roberto Rossellini con cui collaborerà alla stesura della sceneggiatura di diversi film, tra cui Roma città aperta e Paisà. L’esigenza di passare dietro la macchina da presa emerge però rapidamente portandolo all’esordio nel film Luci del varietà, firmato a quattro mani con Alberto Lattuada. 16 Guardare cinema vedere storia LUCI DEL VARIETÀ 1950 La compagnia di avanspettacolo "Polvere di stelle" è in treno dopo un insuccesso rimediato. Liliana Antonelli, una giovane scappata di casa, si presenta al capocomico Checco Dalmonte che cerca subito di approfittare di lei, ricevendone in cambio solo uno schiaffo. Liliana riesce comunque ad entrare nella compagnia. Durante uno spettacolo le cade la gonna suscitando l'entusiasmo del pubblico. Il clamoroso successo la promuove al rango di soubrette. Checco si innamora perdutamente di lei al punto da lasciare la sua compagna, la trasformista Melina Amour. Liliana, però, lo usa per accalappiare un impresario della capitale che la farà entrare in un importante spettacolo. Checco, distrutto,, viene cacciato dalla pensione in cui vive e, senza soldi, ritorna nella vecchia compagnia e da Melina ancora innamorata di lui. Sul treno che li riporta negli scalcinati teatri del Lazio, nota una bella ragazza e inizia a farle la corte. L’esordio di Fellini come regista è relativamente tale. L'iniziativa parte da Lattuada che non dirige più film per l'opposizione dei produttori ai suoi progetti. Lattuada intraprende così la strada della produzione, forte della presenza di sua moglie Carla Del Poggio - a quei tempi attrice ricercata - e di Peppino De Filippo. In questa operazione coinvolge Fellini convincendolo al salto nella regia. La scelta del soggetto cade sull'avanspettacolo, una decisione influenzata da Fellini e dal suo cosceneggiatore Pinelli. In quel mondo l'autore romagnolo era entrato nel 1939 quando, per la rivista Cinemagazzino, aveva realizzato una serie di interviste. Tra gli intervistati figurava Aldo Fabrizi che lo assunse poco dopo per scrivergli i testi di alcuni sketch. Fellini era già famoso per le rubriche che teneva al Marc'Aurelio, un noto settimanale satirico, determinante per la nascita di una scuola di sceneggiatori importante per il cinema italiano. L'amicizia con Fabrizi gli apre le porte dell'avanspettacolo permettendogli di conoscere personaggi e luoghi riproposti in Luci del varietà. Il realismo delle situazioni narrate viene riconosciuto dalle recensioni della stampa specializzata. Nella critica di Bianco e nero, rivista del Centro Sperimentale di Cinematografia, si dice: "Luci del varietà riesce ad ottenere ciò che Lattuada non ottenne mai finora: l'interpretazione veritiera e sensibile di un piccolo mondo". Su Cinema, dove è forte l'influenza di Guido Aristarco e della critica di sinistra, si attribuisce gran merito del realismo dei personaggi a Fellini. Anche Aldo Palazzeschi pone l'accento sulla verosimiglianza della ricostruzione del mondo del varietà, 17 Giovanni Scolari affermando che "il regista (considera Fellini un coadiuvatore) prende a braccio lo spettatore e gli mostra quel mondo non preoccupandosi di farglielo vedere né meglio né peggio di quello che è." Nonostante questo, il film non ha successo. La lobbie dei produttori esercita pressioni affinché il comitato tecnico per la cinematografia (ente previsto dalla legge sul cinema del 1949) neghi ai due registi il premio dell'8% riservato alle imprese di particolare valore artistico. Ponti mette subito in cantiere un film sullo stesso argomento. Vita da cani esce alcuni mesi prima di Luci del varietà influenzandone, in modo negativo, l'andamento commerciale già gravato da grosse difficoltà distributive. Luci del varietà è, negli incassi stagionali, solo 65esimo con 118 milioni, lasciando dietro di sé solo debiti. L'ingloriosa conclusione economica di questo film non deve far dimenticare la sua importanza che sta, come sottolineato dalle recensioni, nella ricostruzione di un universo scomparso, importante sia per l'immaginario collettivo del "maschio italiano" sia per i gusti del pubblico del dopoguerra. La compagnia Polvere di stelle è lo specchio fedele della realtà delle piccole compagnie che sopravvivevano con stentate tournée in provincia o esibendosi nei peggiori locali delle città. Se per le grandi stelle della rivista, infatti, il successo era garantito, le compagnie minori dovevano adattarsi. Nelle località più popolose facevano 30/45 minuti di avanspettacolo che si trasformava in uno stiracchiato show di 1 ora e mezza negli abitati più piccoli. Il cast di queste compagnie era sempre alquanto raffazzonato, messo insieme casualmente. La "Polvere di stelle" può essere considerata come archetipo dell'organizzazione di quegli spettacoli. Ogni artista faceva più di una cosa. Le bellissime girls, annunciate in cartellone, erano per lo più reclutate tra giovani disoccupate, quando non erano le sorelle o le amiche di qualcuno della compagnia o ragazze che, come la Liliana del film, avevano solo l’aspetto fisico come talento. Occorre poi dire che la considerazione popolare le poneva allo stesso livello delle prostitute, poiché molte di loro integravano i magri guadagni col fare la entreneuse. Queste ragazze, poi, erano tutt'altro che attraenti. Fellini e Rinaldo Geleng, suo amico, le chiamavano le "strappone" in quanto "si perdevano i grassi da tanto che erano ciccione". Lo sceneggiatore Bernardino Zapponi le rammentava perché non erano capaci di ballare, ma "in compenso" cantavano molto male. Tuttavia, in una società che aveva patito il soffocante moralismo del regime fascista, l'apparizione di una gamba nuda costituiva un evento straordinario. Il che spiega la reazione del pubblico all'improvviso 18 Guardare cinema vedere storia incidente che fa cadere la gonna a Liliana. L'universo maschile entra in fibrillazione e decreta il successo dello spettacolo fino a quel momento oggetto di fischi e insulti. Le cose non miglioravano molto nelle compagnie di medio livello. Nella rivista che si esibisce a Rimini, all'interno de I Vitelloni, i boys della soubrette sono ben lontani dagli aitanti e muscolosi atleti che si esibiscono oggi. I due si distinguono perché uno è calvo mentre l'altro è terribilmente strabico. Se le ballerine stimolavano la fantasia erotica dello spettatore che non badava troppo alle scarse doti artistiche delle ragazze, gli altri numeri erano spesso oggetto di insulti da parte della platea, che non perdeva mai occasione per far sentire la propria voce. Nel film sono mostrate esibizioni paradossali come quella del finto fachiro indiano e ventriloquo Edison Will. Oppure quella della trasformista Melina che, dopo essere stata sbeffeggiata durante tutto il suo numero, induce alla commozione gli spettatori quando imita Garibaldi con tanto di inno italiano. Il personaggio principale della rivista era, però, il comico, in questo caso Checco, modello assemblato sulle caratteristiche di diversi protagonisti del varietà di quegli anni, come confessa Geleng. Resta ancora da tracciare il ritratto della protagonista femminile: Liliana. Questa donna, una vera e propria arrampicatrice sociale, appare per la prima volta durante un’esibizione della "Polvere di stelle". In mano tiene Bolero, uno dei fotoromanzi più venduti. Del suo passato si sa poco ed il suo unico credito è aver vinto una maratona di ballo. I suoi desideri accomunano a questa figura la vicenda delle molte ragazze sbandate protagoniste di numerose pellicole nel dopoguerra. Liliana è, infatti, più fortunata del personaggio da lei stessa interpretato in Senza pietà 1947, di Lattuada. Anche lei è uscita dalla guerra segnata, desiderosa di coronare i propri sogni, ma incapace di comprendere la realtà. Liliana, però, non si fa travolgere nel tentativo di dimenticare il proprio passato. Usa la bellezza per raggiungere il proprio scopo: il successo e la ricchezza. Tuttavia l'ultima sua apparizione è speculare al suo ingresso nel film quanto a "cultura". Mentre si sta recando a Milano, dove parteciperà ad un’importante rivista, porta con sé ancora dei fotoromanzi, dimostrazione evidente dell’incapacità di uscire dal suo ristretto orizzonte. Questi personaggi vengono inghiottiti dalla crisi dell'avanspettacolo. Pochi di loro sapranno adeguarsi e sopravvivere alla "civiltà" che avanza. Gli uomini come Checco scompaiono tristi e miserabili, abbandonano il palcoscenico e i sogni per tornare alla vita comune di tutti i giorni. La scomparsa di questa forma di spettacolo può sembrare in sé poco importante. Tuttavia l'esame al microscopio di questo mondo ci permette di 19 Giovanni Scolari comprendere parte dell'evoluzione dell'identità culturale dell'Italia del dopoguerra. Per arrivare a questa definizione è però necessario tracciare un quadro della situazione economica della nostra penisola al momento della realizzazione del film (1950), aiutati in questo dalle vicende narrate in Luci del varietà. La situazione è ancora difficile. I passi compiuti da De Gasperi per avvicinare l'Italia alle potenze occidentali creano una lacerante contrapposizione nella società civile, aggravata dall'intervento statunitense in Corea del Sud. Nei primi mesi del 1950 l'atmosfera si fa sempre più tesa. Il 9 gennaio la polizia apre il fuoco a Modena durante una manifestazione operaia causando sei vittime. La reazione dell'opinione pubblica contribuisce alla decisione di De Gasperi di dare il via alla riforma agraria e ad alcune misure compensative per il Mezzogiorno, attardato sul piano economico, allo scopo di alleggerire le forti tensioni sociali. Tali fatti, naturalmente, non traspaiono all'interno della pellicola. Ad una superficiale osservazione questi guitti sembrano non accorgersi di quello che accade al di fuori del loro mondo. È piuttosto il loro modo di vivere, la loro mentalità, i mezzucci usati per sopravvivere che fanno cogliere il "clima" economico-sociale che fa da contorno alle loro vicende personali. In qualche modo si potrebbe dire che essi "esistono" come personaggi proprio in quanto lo sfondo li "legittima" ad essere tali. Dunque, al contrario di quanto appare, essi "sono" nel mondo e ne sono un aspetto tutt'altro che irrilevante. E quando scompaiono dai film è perché in effetti il mondo ha virato, ha intrapreso un'altra strada nella quale essi non hanno più non solo una legittimazione ad esistere, ma neppure vengono "tollerati" come fantasia o immaginazione. In una parola entrano nell'inerte passato. All'inizio del film viene mostrato il cartellone dello spettacolo dove si può leggere il costo del biglietto. Nel paesino laziale una serata con avanspettacolo e film western costa 110 lire per una poltrona e 75 per un posto tra i distinti. Nel ‘50 il prezzo d'ingresso medio in Italia per uno spettacolo di rivista era di 529 lire, per uno di varietà 148, di un film 346. Un altro dato si riferisce alla sola Italia centrale dove teatro e rivista costavano rispettivamente 297 e 142 lire. Appare dunque evidente che le zone battute dalla compagnia teatrale erano particolarmente depresse. La povertà risulta maggiormente visibile quando a Sutri, centro in provincia di Viterbo di circa duemila abitanti, i guitti vengono ospitati da un avvocato che si intuisce esser parte della "ricca borghesia" del paese, o almeno di quella che sembrerebbe essere tale. L'avvocato, infatti, segue la rivista da un palco in compagnia di un dottore e di un presunto duca. Ma più che all'arte, i tre sembrano interessati solo alle "stelle" della serata, per cui snobbano le ballerine di fila che se ne 20 Guardare cinema vedere storia vanno con i giovanotti del paese. La casa del leguleio è significativa del livello economico di questa borghesia di paese e di un certo tessuto economico locale che poi riflette gran parte della provincia italiana d'allora. Essa è posta in "alto", su di una collina, anche se poi per arrivarci non esiste una strada asfaltata. Lo stesso avvocato deve recarvisi a piedi poiché, probabilmente, non dispone di propria autovettura. L'interno della casa è spoglio, disadorno. La cucina è una grande stanza con spesse mura e grandi credenze nere; dal soffitto pendono pomodori, salami in modo del tutto somigliante alle case contadine mostrate ne Il Bidone. La dovizia di cibo presente nella cucina dell'avvocato esercita sui guitti un richiamo irresistibile: che contrasto con i magri pasti consumati sui treni o nelle osterie! Un piatto di pasta e un gustoso vino sono i mezzi di cui si serve il legale per tacitare le coscienze dei commedianti mentre cerca di concupire Liliana. La fame non era d'altro canto fatta solo dagli artisti. Nel 1950 il consumo annuo pro capite degli italiani è di 165,5 Kg di frumento contro i 180 del decennio 1921-31; 6,9 Kg di carne bovina, l'ammontare più basso mai registrato tra il 1916 e il 1939; 79,8 litri di vino, una quantità risibile rispetto al passato. A ciò bisogna aggiungere che 4,5 milioni di famiglie non mangiavano mai carne e tre milioni la consumavano una volta alla settimana. Esaminando le condizioni abitative si scoprirà che: il 24% delle case è sprovvisto di cucina; il 48% di acqua corrente; il 73% del bagno; il 93% di telefono. Non sono dati che debbono sorprendere in quanto nel 1951 ancora il 3% delle famiglie, circa 870.000, viveva in abitazioni improprie (cantine, soffitte, baracche, grotte), mentre il 21% abitava in appartamenti sovraffollati (più di due persone per stanza). Nonostante questo l'Italia, o meglio una parte di essa, si stava avviando verso il risanamento. Nel 1950 la bilancia commerciale presenta, per la prima volta dopo la guerra, un saldo positivo. L’economia è influenzata dall'agricoltura che nel ‘51 contribuisce per il 20% al prodotto interno lordo e con il 44% all’occupazione. Le regioni più industrializzate sono Piemonte, Lombardia e Liguria. Le altre vengono considerate scarsamente industrializzate; in Puglia, Campania, Basilicata, Abruzzo e Molise, Calabria e Sicilia, gli occupati nell'industria scendevano al di sotto del 5%! Proprio le regioni settentrionali beneficiano della politica di sviluppo infrastrutturale, intrapresa dal governo, che porterà poi all’intensa emigrazione dei decenni successivi. Infine, Roma riafferma la sua presa sull'immaginario collettivo grazie all’azione del Papa che con l'anno santo del 1950 ridà slancio alla sua immagine nel mondo. Anche il cinema e Cinecittà riprendono vigore, incoraggiando sogni proibiti e speranze di 21 Giovanni Scolari successo illusorie che trovano sfogo nell’enorme diffusione dei fotoromanzi. Le vicende cinematografiche di Fellini si intersecano ancora con i miti degli italiani in una nuova pellicola, la prima diretta da solo, Lo sceicco bianco. Il risultato di quanto detto è che l'avanspettacolo beneficia, come tutta la società italiana, di un'improvvisa e inaspettata libertà che si trasforma rapidamente in una stagione eccezionale di licenziosità e di turpiloquio. Maestro delle cerimonie è l'inventore dell'Uomo Qualunque Guglielmo Giannini che dai giornali chiama "ederasti" i repubblicani e "Andreottino Culicide" il sottosegretario alla Presidenza del consiglio. Dopo il 1948 si assiste alla controffensiva dei cattolici grazie alla ritrovata efficienza della censura. Non a caso il Centro Cattolico Cinematografico boccia Luci del varietà sconsigliandone la visione a tutti. È da notare come il C.C.C. ponga molto l'accento sul concubinaggio di Checco. Era uscito proprio nel 1950 il libro di Luigi Renato Sansone Fuorilegge del matrimonio, una raccolta di lettere che aveva aperto una discussione sul divorzio. Questo e altri avvenimenti inaspriscono la sessuofobia del clero che inizia una martellante campagna moralizzatrice che porta ad un’autocensura da parte di produttori e registi, incalzati dalla strisciante azione dei sottosegretari che si succedevano alla delega per il cinema (Ermini, Scalfaro, Brusasca, Resta) fedeli alla linea di condotta tracciata da Andreotti. Le preoccupazioni della vita quotidiana si aggiungevano ad altri fattori, come la belligeranza tra le due Coree e la guerra fredda, che spingevano il pubblico ad esorcizzare la paura di un nuovo conflitto rivolgendosi verso fotoromanzi e film di minore impegno. Queste due tendenze venivano riassunte dai film di Raffaello Matarazzo con Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson. È in quel periodo che i due raggiungono il massimo successo, Catene trionfa ai botteghini insieme a Totò. A fare da doloroso contrappunto è il fallimento di due tra le opere più importanti del dopoguerra: Miracolo a e Bellissima di Visconti. Ritorniamo all'avanspettacolo e cerchiamo di comprendere i motivi che hanno portato alla sua scomparsa nel giro di pochi anni. Dagli annuari SIAE risulta che il cinema è passato dai 661.549 biglietti del 1950 ai 744.781 del 1960; nello stesso periodo le attività teatrali s’abbassano da 20.979.311 a 10.574.581. Il calo delle presenze è del 50%, ma nel caso della rivista la perdita è del 70%. L'avanspettacolo era spesso anche l'introduzione al film; è difficile quindi sapere quanti spettatori avesse. È però un dato che funge da segnale della crisi. Certamente questo tipo di manifestazione ha risentito della nuova cappa moralista e dall'avvento della televisione, ma anche dei mutamenti di gusto degli italiani, usciti 22 Guardare cinema vedere storia dall'isolamento culturale grazie al cinema americano e ai nuovi mezzi di comunicazione. L'ideale femminile non era più la ballerina di fila, ma Silvana Mangano o la diva di Hollywood, un mondo che si stava trasferendo sul Tevere. 23 Giovanni Scolari LO SCEICCO BIANCO 1952 Ivan Cavalli e Wanda giungono a Roma in viaggio di nozze. Devono partecipare all'udienza papale con uno zio di Ivan, dirigente al Vaticano, che dovrebbe aiutarlo ad ottenere il posto di segretario comunale. Wanda, lettrice di fotoromanzi, vuole invece conoscere l'eroe dei suoi sogni: lo Sceicco Bianco, protagonista della rivista Incanto Blu. Appena il marito si appisola, Wanda si reca alla redazione del periodico dove viene invitata a Fregene per seguire la lavorazione del fotoromanzo. Lì conosce lo Sceicco che in realtà si chiama Fernando Rivoli. Nel frattempo Ivan ha scoperto la scomparsa della donna e la sta cercando. Wanda, dopo aver partecipato ad alcune scene come attrice, viene portata al largo da Nando. Lo Sceicco cerca di approfittare di lei raggirandola ma un colpo di vento muove la vela che colpisce al capo Fernando, stordendolo. Al ritorno i due sono attesi dal regista, imbestialito, e dalla moglie di Fernando, un'orribile megera. Wanda fugge per non essere picchiata dalla donna, ma viene abbandonata dalla troupe. Ancora vestita del costume di scena, riesce a rientrare a Roma. Disperata tenta di suicidarsi buttandosi nel Tevere, ma viene salvata dalla polizia. Ivan, dopo essersi barcamenato per scusare l'assenza della moglie, si è gettato alla sua ricerca infruttuosamente. Sconsolato pensa di rivolgersi alla Polizia, ma la paura dello scandalo lo fa desistere. A questo punto si eclissa con una prostituta. La mattina successiva, Ivan decide di confessare tutto allo zio. Un attimo prima di questo giunge una telefonata che lo avverte del ricovero di Wanda a seguito del tentativo di suicidio. Dopo aver eluso ancora le domande dei parenti, recupera la moglie e la porta in fretta e furia all’udienza papale dove la famiglia dello zio li attende. In piazza San Pietro, Wanda riesce a giustificarsi e gli sposi si incamminano verso la Basilica. L'insuccesso della prima regia non ha scoraggiato Fellini che percepisce di aver trovato la strada per realizzarsi. L'occasione gli giunge da un soggetto che Michelangelo Antonioni aveva scritto nel ‘49 dopo aver girato il documentario L'amorosa menzogna, analisi dell’enorme successo dei fotoromanzi. Interessato dal fenomeno che assomigliava, sotto molti aspetti, ai suoi amati fumetti, Fellini comincia a lavorare con Pinelli alla sceneggiatura a cui collaborerà anche Ennio Flaiano. Il sodalizio con Flaiano rappresenta l’anello di congiunzione con gli intellettuali di via Veneto dove lo scrittore era venerato come un maestro e sarà di enorme importanza per i film successivi. 24 Guardare cinema vedere storia L’opera rappresenta per l'autore romagnolo il distacco dal neorealismo. Fin dalle prime inquadrature cade l’oggettività dello sguardo. L'arrivo nella capitale dei due sposini ci mostra una Roma magica, spaventosa, quasi impressionista. Si può affermare che in questa scena Fellini ha riversato le sensazioni da lui stesso provate il giorno dell’arrivo nella città "caput mundi" come dice Ivan dai finestrini del treno. Il mondo del fotoromanzo è così l'occasione per esplorare i sogni e le illusioni che popolano l'Italia, di indagare se stesso e gli "altri". Il fotoromanzo nasce come fenomeno popolare nel giugno del ‘46 con la pubblicazione del primo numero di Grand Hotel. L'impostazione del giornale si richiama alla formula, sperimentata un decennio prima, del cineromanzo. All'indomani dell'apparizione di Grand Hotel, il cineromanzo ritorna ufficialmente in vita con Bolero Film. Nel primo numero di Grand Hotel è già chiaro il progetto editoriale. La copertina mostra una coppia di giovani belli, sani e sorridenti che vivono in un mondo fiorito ed elegante, lontano dalla realtà di quegli anni. Dentro la rivista, oltre ad alcuni fumetti (le fotografie arriveranno dopo), vi sono delle rubriche per le lettrici in cui si danno consigli per la risoluzione di problemi femminili come liberarsi di un capo ufficio insistente, risolvere i dubbi di casalinghe desiderose di sapere se era lecito radersi le ascelle. Insomma, mentre l'avanspettacolo rappresentava il luogo dove il maschio italiano poteva dare sfogo ai propri istinti, la donna era soffocata dal suo ruolo di angelo del focolare all'interno di una società patriarcale che la sovraccaricava di doveri. L'apparizione del fotoromanzo crea quell'isola deserta in cui la donna era libera di sognare senza controlli e retaggi. Anche la protagonista del film vive in questa dimensione. Quando parla con la direttrice di Incanto Blu le rivela che: "Tutta la settimana aspetto soltanto il sabato che mi porti il mio giornaletto. Vado a prenderlo alla stazione, poi... corro a casa e mi chiudo nella mia stanzetta..... e lì, comincia la mia vera vita”. È un atteggiamento condizionato dall’isolamento culturale italiano interrotto nel dopoguerra dai film statunitensi portatori di un nuovo modello di vita. La diffusione di questo modello è però rallentato dalle difficoltà che l'Italia incontra nella ricostruzione della rete dei trasporti, profondamente lesionata durante la guerra. Unici mezzi di propaganda erano quindi il cinema ed il fotoromanzo. Quest'ultimo poteva giungere ovunque ed era disponibile a prezzi abbordabili. Se il prezzo medio di un film nel 1950 era di 88 £, la rivista Super Cinema di dicembre costava solo 30 £. Andare al cinema non comportava solo una spesa superiore; la vera difficoltà era la diffusione delle sale cinematografiche su tutto il territorio nazionale. Nonostante l'incremento delle sale, era impossibile raggiungere 25 Giovanni Scolari tutte le località come il piccolo centro da cui provengono i due sposini. Un luogo dove una ragazza come Wanda non può passeggiare da sola per il corso senza essere importunata da un giovanotto, come lei stessa afferma durante il colloquio con la direttrice. In un paese di tale ristretta mentalità è facile ipotizzare una totale ignoranza dell'evoluzione dei costumi in atto nella società. Così in quest’opera diviene giustificabile lo stupore mostrato da Wanda quando vede la troupe del fotoromanzo aggirarsi in abiti da scena. L'apparizione dello sceicco bianco è conseguente: l'eroe dei suoi sogni infantili è su di un'altalena che lei immagina posta molto in alto, oggetto dell'infanzia in cui Wanda ancora vive. L'influenza del fotoromanzo sul tessuto sociale è confermata dal suo immenso sviluppo. Si calcola che la tiratura complessiva nel 1949 fosse di 2 milioni di copie, con un numero di lettori che raggiungeva i 5 milioni. La diffusione dei fotoromanzi era poi aiutata dalla semplice veste grafica e dal realismo dei disegni o delle fotografie che ne permettevano la fruizione anche agli analfabeti. Ad un fenomeno di questo tipo la chiesa non poteva restare indifferente. Le vicende dei fumetti riguardavano, infatti, un argomento a forte rischio: la famiglia. Alla condanna della gerarchia ecclesiastica, che aveva classificato la lettura di un fotoromanzo tra i peccati da confessare, si aggiungeva la riprovazione degli ambienti culturali laici e di sinistra che consideravano negativamente il fenomeno per il sentimentalismo dolciastro e la spinta ad evadere dai problemi sociali. Le case editrici accentuarono così le tendenze moraleggianti delle trame dei fotoromanzi al punto di sottoporre alcuni romanzi a stravolgimenti pur di non prestare il fianco a critiche di alcun tipo. L'atmosfera pesante è ulteriormente dimostrata dall'esclusione, operata sia da Mondadori che da Rizzoli, di Bolero Film e Sogno dall'elenco ufficiale delle loro testate nonostante i sostanziosi contributi che le due riviste portavano ai bilanci. Si spiega così l'insistenza degli editori nel sottolineare le finalità educative delle pubblicazioni e l'estrema attenzione nel proporre storie che non urtassero in alcun modo la potente censura cattolica. Inoltre, a seguito di queste pressioni i personaggi dei fotoromanzi si cristallizzano in ruoli predefiniti: il protagonista maschile è forte, buono, generoso, una guida sicura per la famiglia,; la donna è tenera, dolce, materna, il classico angelo del focolare. Ogni trasgressione alle regole sociali viene punita dalla collera divina che porta ad una redenzione dolorosa e sofferta o ad una condanna alla perdizione. A questi canoni si sottomettono anche Ivan e Wanda pur in modo patetico. L'uomo si infratta con una prostituta; Wanda tenta il suicidio perché si considera una donna perduta e viene rinchiusa in manicomio come una povera isterica. Su questa farsa spicca il linguaggio 26 Guardare cinema vedere storia irreale del fumetto. Wanda si fa perdonare dal marito dicendogli: “È stato il destino avverso... ma sono pura.... Pura e innocente. Ora.... il mio sceicco bianco sei tu". Le espressioni che usa sono prese di forza dai fotoromanzi, ma rispecchiano le lettrici di questi periodici. Ancora in un’inchiesta del 1979 molte di loro affermano che: "A volte leggo i fotoromanzi per sapere cosa dire al mio ragazzo". Un caso estremo, forse, ma non per questo meno significativo, che indica come, nonostante i quasi 30 anni trascorsi dal film, la figura della giovane sposina felliniana sia specchio fedele delle lettrici di quel tempo. Nando Rivoli, ultimo lato di questo patetico triangolo amoroso, è espressione della degenerazione del neorealismo quando si era erroneamente creduto che gli unici attori credibili fossero i non professionisti per via della recitazione spontanea dovuta al fatto che essi "erano" ciò che recitavano. Nando è la caricatura di un fenomeno che aveva raggiunto dimensioni tali da suggerire a Visconti l'idea di Bellissima (1952), con Anna Magnani nella parte di una madre di borgata desiderosa di far entrare nel mondo del cinematografo la figlia di 5 anni. I confini tra fotoromanzo e cinema sono stati, fin dall'inizio, estremamente confusi; i prestiti, i plagi e gli scambi tra l'uno e l'altro settore sono moltissimi. Il fotoromanzo ha preso dal cinema il linguaggio, a volte le ambientazioni, le mode attraverso cui si cercava di carpire il gusto del pubblico. Molti sono i volti noti che hanno utilizzato questo mezzo per lanciarsi nel cinema o per rifiatare dopo un insuccesso. Si possono ricordare Sophia Loren, Walter Chiari, Claudia Cardinale, Raffaella Carrà, Giuliano Gemma e anche Renzo Arbore all'inizio degli anni '70. Anche il cinema, però, ha preso più volte spunto dai fumetti. Il caso più clamoroso è la trilogia di Raffaello Matarazzo (Catene 1950, Tormento 1951, I figli di nessuno 1951) che recupera la lezione del fotoromanzo non solo nei temi trattati ma anche nell'uso del titolo. Catene e Tormento sono stati due tra i primi fotoromanzi di successo, pubblicati da Bolero Film nel 1947. Insomma, con quest’opera Fellini era riuscito, in una sola volta, ad indispettire pubblico, alcuni importanti produttori (Rizzoli era editore di Sogno), oltre che una certa critica. Con questi presupposti il fallimento era quasi inevitabile. A dire il vero l'accoglienza degli addetti al lavoro non è molto negativa. Il CCC afferma che "il film ha intenti positivi; ma comprende scene con donne in costumi succinti, episodi alquanto scabrosi, battute inopportune, che impongono riserve". Vittorio Bonicelli, critico del Tempo, aggiunge: "...bisogna rimproverare di non avere creduto 27 Giovanni Scolari abbastanza nelle possibilità che ha l'azione comica di esprimere il senso tragico o patetico della vita. Ma neppure tutto questo riesce a liquidare un film come Lo sceicco bianco.". Altri giudizi positivi sono espressi da Giulio Cesare Castello per Cinema e da Callisto Cosulich. Non mancano però delle stroncature. Nino Ghelli, di Bianco e nero, emette un giudizio impietoso: "film talmente scadente per grossolanità di gusto, per deficienze narrative, per convenzionalità di costruzione, da rendere legittimo il dubbio se tale prova di Fellini regista debba considerarsi senza appello." La critica fa seguito alla proiezione al festival di Venezia del 1952 dove il film passa inosservato. Fellini ricorda che nei giorni successivi alla proiezione si sentiva lapidato dalla critica e le parole di chi lo aveva difeso erano "sommerse da un torrente di insulti e di malvagità. - aggiungendo poi - Quel film fu distrutto, fu negata la sua stessa esistenza." Fellini addebita l'insuccesso subito dallo Sceicco bianco all'atteggiamento della critica e al fallimento della casa che si doveva occupare della distribuzione della pellicola. Ma forse è possibile ipotizzare che pochi abbiano voluto difendere il film per la posizione scomoda che l'autore aveva assunto. In un momento in cui, a livello critico, il neorealismo era intoccabile, Fellini presentava una commedia surreale in cui si sorrideva della famiglia intesa come istituzione inviolabile, ponendosi così nella condizione di essere attaccato sia da destra che da sinistra. Il risultato finale è un disastro al botteghino. Lo sceicco bianco incassa solo 33.700.000 di Lire piazzandosi 140° nella classifica della stagione 1952/53 delle pellicole italiane. Alla stessa data hanno reso dieci volte di più Il cappotto (427 milioni e 14° posto) di Lattuada, Il brigante di Tacca del Lupo (378 e 21esima piazza). Il campione d'incassi per il cinema italiano è Puccini di Carmine Gallone che raggiunge quota 763 milioni. Per nulla scoraggiato, Fellini pensa di realizzare la storia di una coppia di girovaghi e la propone a diversi produttori ottenendo sempre rifiuti. Il soggetto viene momentaneamente accantonato, quando si trasformerà ne La strada. Un produttore, Pegoraro, si rende disponibile per produrre un film dell'autore romagnolo a condizione che si tratti di una commedia. Nasce così I vitelloni. Il 1951, data di inizio delle riprese, non fu un buon anno per l'Italia. L'inchiesta parlamentare sulla miseria, che doveva concludersi nel 1952, disegnava una situazione di estremo disagio. A tutto questo si aggiungevano una serie di catastrofi naturali come l'inondazione del 28 Guardare cinema vedere storia Polesine e l'insicurezza della scena politica aggravata dalla guerra di Corea. Il governo De Gasperi vede diminuire il suo consenso. Il timore di una vittoria delle sinistre è ormai svanito e l'elettorato di centro destra torna a distribuirsi nelle varie forze politiche dell'area. L'equilibrio interno della DC è minato da forti divisioni interne. Per evitare l'implosione del partito si impone una correzione di rotta. La scelta del terreno d'attacco è il Mezzogiorno. Tra il ‘49 e il ‘50 diventano legge la riforma agraria e l'istituzione della Cassa del Mezzogiorno. In entrambi i casi, le speranze che i due progetti avevano suscitato vanno deluse. La riforma agraria incide minimamente sulla redistribuzione del reddito agricolo. Nonostante questo, la riforma ha, come riflesso, l'abbandono del governo da parte del Partito Liberale. Il timore dell'avanzata delle destre spinge il governo a rinviare le elezioni amministrative del sud al 1952, l'anno successivo a quelle tenute nel settentrione. Ciò avviene perché i ceti agricoli del meridione si spostano a destra votando il Movimento Sociale Italiano e il Partito Monarchico che ha trovato tra le proprie fila un leader: l'armatore napoletano Achille Lauro. Il dinamismo missino preoccupa De Gasperi, assertore del centrismo, tanto più che, tramite Don Sturzo e grazie all'assenso del Vaticano, si sta delineando alle comunali di Roma l'alleanza elettorale DC-MSI. Dopo aver sventato questo tentativo e vista la trionfale tornata elettorale per le destre nel sud, il governo decide di limitare i missini emanando la legge Scelba, dal nome dell'allora ministro degli interni, che vieta la ricostituzione del partito fascista attuando il dettato costituzionale. La norma costituisce una minaccia per il MSI. L'anima dura del movimento è avvisata, cresce di conseguenza in autorità la corrente moderata del neofascismo decisa a consolidare il successo con una politica che rassicuri l'elettorato reazionario – conservatore. Le amministrative confermano il calo della DC (dal 48.5% al 35.1%) e pongono seri problemi sulla governabilità nella successiva legislatura. L'unica soluzione appare l'approvazione di una nuova legge elettorale, la famosa "legge truffa" che entrerà in vigore nel marzo del 1953. Contemporaneamente prende il via il lungo cammino per la costruzione dell'Europa unita. Il 27 maggio 1952 viene firmato il trattato che istituisce la CED (Comunità Europea di Difesa). Il trattato, contestato dalla sinistra, viene affossato dal parlamento francese, con una maggioranza di centrodestra, timoroso del riarmo della Germania. I valori della società italiana, intanto, restano invariati rispetto agli anni precedenti. Il film è, infatti, l'ulteriore riprova di come l'etica dominante non imponesse un uguale codice comportamentale a femmine e 29 Giovanni Scolari maschi. Se per le une l'illibatezza e il riserbo sono le massime virtù, per gli altri la virilità è praticamente un dovere. È un tratto del carattere nazionale che il fascismo ha fortemente incoraggiato e che i governi a guida democristiana e il clero si guardano bene dal criticare. Ed è un aspetto che i fotoromanzi sottolineano e approvano. Il fenomeno ha dei riflessi anche nel cinema. I film di Matarazzo solleticano il gusto del pubblico proponendo ambienti quotidiani, di immediata riconoscibilità e modestia, in cui primeggiano passioni vietate alle donne. Affine a questo filone cinematografico, spopolano riduzioni di opere liriche e film che ripropongono, in una serie di quadri animati, canzoni di sicura presa. Tutti questi film hanno una radice comune che si può far risalire alla lirica ottocentesca per tipo di rappresentazione delle passioni e degli intrecci e per l’enfatizzazione dei momenti topici del dramma. Il successo è legato alla stabilità dei pubblici popolari e alla tenuta di una cultura che riesce a giocare a tutto campo, sul piano dei vari media. Questi prodotti rappresentano il milieu culturale della massa, della piccola borghesia provinciale? Difficile dirlo, ma è sicuro che nel dopoguerra i miti erano ancora famiglia, bandiera, patria, Roma e il Papa (durante l'anno santo ci sono tre milioni di pellegrini), valori rispettabili ma vissuti in una dimensione così favolistica da essere inevitabilmente soggetti alla bonaria satira di Fellini. 30 Guardare cinema vedere storia I VITELLONI 1953 Alberto, Moraldo, Fausto, Leopoldo e Riccardo sono cinque giovani provinciali che passano le giornate nell'ozio. Fausto mette incinta la sorella di Moraldo, Sandra. Cerca di scappare, ma il padre lo costringe a sposarsi. Leopoldo vuole fare lo scrittore, ma si fa distrarre dalle servette. Alberto vive con la madre e la sorella che intrattiene un rapporto con un uomo sposato. Riccardo spreca la sua bella voce tenorile. Moraldo avverte il disagio della sua condizione. Tornando ubriaco dal veglione di carnevale Alberto scopre che la sorella è fuggita con il suo uomo. Fausto si impiega presso il negozio di un antiquario, ma continua a ricercare avventure galanti. Cerca di approfittarsi della moglie del negozio, ma la donna racconta tutto al marito che licenzia su due piedi il giovanotto. Questi vuole vendicarsi e convince Moraldo con una bugia a rubare la statua di un angelo che giace invenduta nel magazzino del negozio. I due, però, sono scoperti dalla polizia e vengono salvati solo dall'intervento del padre di Moraldo. Al teatro Politeama è di scena una rivista che vede la presenza di un grande attore decaduto, Sergio Natali. L'attore ha letto una commedia di Leopoldo e vuole portarla in scena. Dopo lo spettacolo, mentre gli amici si uniscono alle ballerine, Leopoldo recita l'intera sua commedia a Natali. L’uomo conduce, poi, Leopoldo alla spiaggia e lo invita al buio tra le cabine, in quel momento l'aspirante commediografo si accorge delle intenzioni dell'individuo e scappa. Fausto, dopo avere passato la notte con la soubrette della compagnia, ritorna a casa con Moraldo. A seguito di quella notte Sandra fugge con il bambino lasciando nella disperazione Fausto. Dopo una giornata di ricerche la donna viene ritrovata nell'abitazione del suocero che decide di dare una sonora lezione al figlio scioperato. I due si riconciliano e la vita sembra tornare come prima. Non per Moraldo, però, che una mattina prende il treno e se ne va a Roma. Ne Il nuovo Zingarelli il termine "vitellone" viene definito: "Giovane che trascorre il tempo oziando o in modo vacuo e frivolo, senza cercare di uscire da un ambiente sociale mediocre e privo di stimoli intellettuali". È un neologismo coniato proprio dal titolo della terza opera registica di Fellini. Il vocabolo forse deriva dal dialetto riminese "vidlòn", espressione con cui i contadini indicavano studenti e sfaccendati. Un'altra ipotesi lo fa derivare dal dialetto marchigiano ed utilizzato nel lessico familiare di Flaiano che ne discetta l'origine in una lettera del 1971: "il termine era usato ai miei tempi per indicare un giovane di famiglia modesta, magari 31 Giovanni Scolari studente, ma o fuori corso o sfaccendato... Credo che sia una corruzione di vudellone, un grosso budello, persona […] che mangia a ufo, che non produce." Con quest’opera Fellini raffigura la realtà di una parte della provincia italiana mettendo contemporaneamente in scena il disagio che coglie i giovani che si affacciano al mondo del lavoro. Se per il ragazzino amico di Moraldo è normale iniziare a lavorare a 14 anni; per gli sfaccendati piccoli borghesi che si aggirano in questa Rimini fantastica, il lavoro è uno spettro che disturba i loro sogni adolescenziali e li vuole costringere a prendersi carico delle responsabilità della vita. Come e più delle altre opere vi è una forte connotazione biografica nei personaggi. Ma sul fatto che i vitelloni fossero un fenomeno tipico della provincia non solo italiana, ma mondiale non esistono dubbi. Non si spiegherebbe, diversamente, il forte impatto emotivo che il film ha avuto sul pubblico e sui registi di tutto il mondo che lo hanno preso come modello. I casi più famosi sono: Calle Mayor (1956) dello spagnolo J. Bardem, Mean Streets (1973) di Martin Scorsese. La lavorazione del film è piuttosto travagliata. I soldi sono pochi e Sordi, voluto da Fellini contro il parere dei produttori, è impegnato in teatro con la rivista di Wanda Osiris. L'inseguimento a Sordi porta la troupe a girare alcune scene a Viterbo e a Firenze. Anche l'inquadratura che ci propone i vitelloni che guardano il mare dal pontile non è stata girata sulla riviera adriatica ma ad Ostia. Oltre a Sordi, che da quel momento si impone sul grande schermo, grazie al personaggio "codardo, infido e adolescenziale cronico" così peculiarmente "italiano", Fellini riesce ad imporre anche Franco Fabrizi (doppiato da Manfredi), che aveva notato tra i boys della Osiris. Il cast è completato dall'ex ragazzo prodigio Franco Interlenghi (protagonista in Sciuscià), da Leopoldo Trieste, da una serie di caratteristi provenienti dal teatro, dal fratello di Fellini, Riccardo, e da una diva del terzo reich, Lyda Baarova, nota per essere stata l'amante di Goebbels. La sfiducia verso la pellicola aumenta nei produttori mentre ci si avvicina alla fine delle riprese. Pegoraro si affretta a mettere in cantiere un film di sicuro esito commerciale che dovrebbe permettergli di superare il previsto insuccesso de I vitelloni. I risultati del botteghino smentiranno le previsioni; mentre Scampolo '53 (così si chiama la pellicola “riparatrice”) è un disastro, il film di Fellini diventa uno dei successi della stagione. Incassa infatti nel 53-54 ben 555 milioni e si piazza al nono posto della classifica delle pellicole italiane. Il risultato commerciale è poi rafforzato dalla distribuzione all'estero dove I vitelloni spopola. In Argentina è 32 Guardare cinema vedere storia campione d'incassi nel 1954, in Francia, Inghilterra e USA riscuote buoni consensi. Il successo è aiutato anche dall'affermazione ottenuta al Festival di Venezia del 1953 dove la giuria, presieduta da Eugenio Montale, gli assegna il Leone d'argento insieme ad altre cinque pellicole in un palmarès in cui il massimo premio non è stato attribuito ad alcun film. La critica italiana esprime, però, riserve sull'ultima fatica di Fellini. Pur non negando la validità dell'opera, essa pretende dal cinema la corretta formulazione dei problemi sociali e un aiuto per la soluzione degli stessi. Fernaldo Di Giammatteo scrive sulla rivista Rassegna del film: " È indubbio che questo film svela una personalità nuova ed abbastanza autentica, ma è pure indubbio che le doti di questa personalità restino tuttora vaghe." Moravia, critico dell'Europeo, segnala che "Tutte queste figure sono disegnate sulla falsariga di un mondo provinciale di marca deamicisiana per nulla convincente." Non è da meno Filippo Sacchi che, su Epoca, segnala che il personaggio di Moraldo è "assolutamente sbagliato nella sua uggiosa passività" facendo casualmente suo, sia pure partendo da basi diverse, il giudizio del CCC che esprime le proprie riserve sentenziando: "La condanna di un sistema di vita poco lodevole non è espressa con sufficiente chiarezza. Tale errore d'impostazione e la presenza di situazioni e scene scabrose fanno riservare la visione agli adulti di piena maturità morale." Altre critiche esprimono consenso all'opera sottolineandone il realismo. Sappiamo che i vitelloni che hanno ispirato l'opera erano un gruppo di giovinastri che Fellini aveva conosciuto a Rimini, ma che non aveva mai frequentato. Inoltre i ricordi di Fellini sono contaminati da quelli di Flaiano, cresciuto nella provincia pescarese. Tuttavia il contesto sociale in cui si svolge il film è chiaramente quello dell'Italia postbellica che si sta velocemente industrializzando. Rimini era uscita distrutta dall'evento bellico, i bombardamenti avevano quasi completamente sventrato la città vecchia, poi rifiorita grazie all'operosità dei suoi abitanti. L'accanimento delle forze alleate sulla città romagnola è testimoniato dalla sorella di Fellini, Maddalena, che ricorda i bombardamenti del dicembre 1943 in cui cadevano le "bombe come grappoli di uva nera." Gradualmente le pensioncine a conduzione familiare sono svanite, così come l'economia spicciola e il rapporto solidale tra cittadini che aveva caratterizzato la città fino ad allora. Il progresso di quegli anni cancella le attività commerciali che caratterizzavano il centro della cittadina ricordate sempre da Maddalena Fellini con estremo rimpianto. 33 Giovanni Scolari La vita era ancora a misura d'uomo. La ricchezza era, invece, ancora da venire; un esempio emblematico viene dai costumi da bagno fatti molto spesso con la tela dei paracadute, un tessuto così spesso e duro da lasciare i segni sulla pelle di coloro che lo portavano. Le ragazze indossavano invece un costume di lana che non appena si bagnava diventava “tinco”, in dialetto significa rigido. Le possibilità di divertimento per i giovani d'allora erano davvero poche, come si può facilmente desumere anche dalle immagini de I vitelloni e Amarcord (1973). Oltre alle solite feste per ragazzotti vi era ben poco d'altro da fare: il biliardo, il bar, gli scherzi di cattivo gusto, il cinema (il Fulgor che appare spesso nella mitologia felliniana) e, raramente, il varietà. Poi c'erano i sogni, la fuga a Roma, la capitale che così tanto fascino esercitava su questi giovinastri. Roma era allora difficilmente raggiungibile, quasi un’avventura. I collegamenti erano assai difficoltosi e lo resteranno per diverso tempo anche dopo la guerra. Fellini, infatti, perde quasi completamente i rapporti con la città d'origine e con i suoi amici d'infanzia per alcuni anni. Quando vi ritorna, si accorge della scomparsa del borgo, si rende conto che la fauna locale, che lo ispirerà per alcuni suoi famosissimi personaggi, sta svanendo. Rimane la nostalgia di tutto ciò, nostalgia presente in Roma, I clown, Amarcord, Otto e mezzo. La discrasia esistente tra la Rimini dei suoi ricordi e quella reale rende difficile il rapporto tra lui e i riminesi. La riconciliazione giunge solo dopo il primo dei due ictus che lo porteranno alla morte il 31.10.1993. Sapendo che Fellini è gravemente malato, Rimini si stringe attorno a lui. La lavorazione del film non è disturbata dalla dura campagna contro la cosiddetta "legge truffa" che assegnava i due terzi dei seggi alla coalizione di partiti che avesse ottenuto il 50 per cento più uno dei voti. Nel tentativo di impedirne l'approvazione, si scatena in parlamento un durissimo ostruzionismo superato solo da una forzatura del presidente del Senato Meuccio Ruini. La legge viene approvata in tempo per le elezioni che vengono indette per il 7 giugno del 1953. È un'altra sconfitta per il Partito Comunista appena ripresosi dallo shock causato dalla morte di Stalin. La riforma della legge elettorale ha, però, provocato gravi lacerazioni anche all'interno della maggioranza. Dai partiti laici alleati alla DC escono personaggi che si presentano alle elezioni in formazioni nate appositamente per impedire alla coalizione formata da: DC, PSDI, PLI, PRI, Partito sardo d'azione, Sud Tiroler Volkspartei e Partito Popolare Sudtirolese di ottenere il quorum del 50% dei voti. La percentuale non viene, infatti, raggiunta anche in virtù dell'azione di piccole liste - Unità 34 Guardare cinema vedere storia Popolare, guidata dal liberale Corbino, e Alleanza Democratica Nazionale di Calamandrei, Parri e Codignola - che raccolgono rispettivamente lo 0,5 e lo 0,6%. Una manciata di voti che sono però sufficienti ad impedire la realizzazione del progetto di "democrazia protetta" che De Gasperi si proponeva di realizzare con la riforma. Il cartello di partiti da lui guidato raggiunge solo il 49.8% e nel corso della seconda legislatura viene ripristinato il proporzionale puro con la cancellazione del premio di maggioranza appena introdotto. La sconfitta politica del progetto degasperiano comporta la caduta dell'anziano leader della Dc. La presidenza del consiglio viene affidata al democristiano Giuseppe Pella che forma un governo monocolore con l'appoggio esterno di PLI, PRI, PSDI che scivolerà sulla questione di Trieste. La città faceva parte dalla fine della seconda guerra mondiale di un territorio libero diviso in due zone controllate dalle forze vincitrici del conflitto. Nel tentativo di ridare la sovranità su questa fetta di terra Pella chiede un plebiscito in entrambe le zone. La reazione jugoslava costringe gli alleati a ritirare l’appoggio alla proposta italiana. In seguito all’uccisione di sei persone, nel corso di una manifestazione a Trieste, il governo italiano schiera il proprio esercito alla frontiera. L'intervento di USA e Gran Bretagna porta ad un compromesso che lascia all'Italia la zona A mentre la zona B viene assegnata alla Jugoslavia. Subito dopo Pella paga le tensioni che ha causato venendo dimissionato dalla Dc che lo definisce, attraverso le parole di De Gasperi, un "governo amico". Le tensioni politiche non si riverberano nell’opera felliniana di cui, peraltro, si erano già concluse le riprese alla fine di gennaio. Le questioni sociali che vengono toccate sono assai diverse. Traspaiono, comunque, le angosce delle giovani generazioni che si propongono alla società impreparati, incapaci di inserirsi nel mondo del lavoro e sconcertati dall’instabilità del futuro. Il grande fermento di cui godeva il popolo italiano non aveva ancora agito in profondità nella mentalità della provincia. Il Sud, in modo particolare, non riuscirà a ritrovare i legami con il resto d'Italia che invece proprio nel corso del decennio decolla. Rimini, invece, e la riviera romagnola risalgono la china grazie al turismo di massa che inizia ad imporsi dalla seconda metà degli anni cinquanta. Nel censimento del 1949 l'Emilia Romagna aveva 1.789 esercizi alberghieri e poteva contare su 34.459 posti letto, ben lontana dalla Lombardia che aveva la possibilità di ospitare oltre cinquantamila persone. Davanti all'Emilia Romagna c'erano altre quattro regioni. Già nel 1954 il 35 Giovanni Scolari dato cambia: gli esercizi aumentano nella Romagna fino a raggiungere il numero di 2.590, seconda solo alla Lombardia. Il dato del 1958 testimonia l’incremento della vacanza di massa e le mutate condizioni economiche. In Emilia Romagna si registra un aumento delle attività alberghiere di quasi il 70%. Ma il boom del turismo in questa zona è ancora più riscontrabile dall'aumento del numero dei posti letto che raggiungono in quattro anni il 17% dell'intero settore in Italia. È facilmente comprensibile che ciò è dovuto soprattutto allo sviluppo della riviera adriatica. È ovvio a questo punto affermare che Rimini e le zone limitrofe avevano subito un cambiamento radicale. I vitelloni felliniani non vivono l'abnorme crescita del turismo e dell'artigianato locale; certamente, però, subiscono l'incertezza tipica di ogni cambiamento epocale e la rivoluzione in atto nella provincia italiana. Questa trasformazione rendeva ogni giorno più difficile il rapporto tra padri e figli impostato in modo molto tradizionale. I problemi tra generazioni sono confermati anche da altre fonti. Eugenio Turri nel suo libro Miracolo economico, in cui ricostruisce la vita nel veronese nel decennio in questione, affronta un caso analogo. Narra, infatti, la storia di un proprietario di un negozio di generi alimentari, Giani Formagiar, con un figlio di nome Tranquillo che è così descritto: "inquieto, con poca voglia di studiare, ambizioso, con tendenza a fare il bullo [...]Passava tutta la giornata al bar a sognare avventure impossibili. Gli piacevano molto le macchine sportive con cui pensava di fare colpo sulle ragazze." Sembra uno dei protagonisti del film di Fellini. Tranquillo finisce in prigione per truffa poi si redime tornandosene a casa per finire dietro il banco del negozio da cui credeva di fuggire. Chi invece fugge è Moraldo, il personaggio che più si avvicina al regista. Prende il treno e se ne va a Roma, verso la capitale dove c'era, o si sperava ci fosse, il successo o forse un luogo ove svelenire l'inquietudine. Come lui, molti altri. Si sa, infatti, che il movimento migratorio di quegli anni si volgeva soprattutto verso le regioni del nord per l’incessante sviluppo economico. Unica significativa eccezione era il Lazio. Il notevole rafforzamento dell'amministrazione centrale era stato visto nel sud dell'Italia, dove la disoccupazione era elevatissima, come una possibilità di carriera che era stata poi rapidamente sfruttata a fini elettorali, una volta compresane l’importanza. Nel 1954 il 56.3% degli impiegati e funzionari pubblici sono di origine meridionale. Le illusioni e le speranze degli italiani sono anche vittime dell'incertezza del quadro politico. La debolezza e fragilità delle maggioranze parlamentari viene compensata dall'intervento dei partiti con un dinamismo che tende a saltare il momento istituzionale. Il Parlamento, 36 Guardare cinema vedere storia infatti, diventa poco a poco la cassa di risonanza di decisioni e alleanze maturate fuori da Montecitorio. Questo processo comporta l‘occupazione dello stato da parte dei partiti che nel suo processo degenerativo spingerà l'Italia nel baratro della inefficienza. Nasce, insomma, la partitocrazia. I Vitelloni rappresentano uno degli aspetti deleteri della provincia italiana. Fellini, è vero, li identifica con una parte della sua adolescenza. Ma al di là della bonaria simpatia con cui il regista li tratta, essi rappresentano il rischio di degenerazione di una società che da agricola è, in pochissimi anni, divenuta industriale. L'improvviso benessere della media borghesia ancora aggrappata ai valori e alle tradizioni dell'Italia rurale e prebellica, non concede il tempo di adeguarsi alla nuova mentalità che il boom economico porta con sé. Gli scompensi che ne derivano sono una delle ragioni della nascita di questi parassiti. Tuttavia questo atteggiamento può essere individuato come un elemento di ribellione. La salvezza che i vitelloni inseguono è il sogno di una realtà diversa. Il successo che arride a questo film è forse attribuibile al fatto che l'italiano conosce e riconosce questa categoria di persone e, dunque, ne può ridere senza sentirsi bersaglio della pungente ironia del regista. I vitelloni è l'unico film d'autore che sfonda al botteghino. Tuttavia anche quest’opera appartiene al filone della commedia all'italiana. Nella stagione 53/54 il pubblico italiano continua insomma a rifuggire dal cosiddetto "cinema impegnato" fino al punto di rifiutare il tentativo di Zavattini di rilanciare il neorealismo con un film ad episodi - Amore in città - dove i migliori registi italiani, tra cui Fellini, girano dei cortometraggi su tematiche neorealiste. L'insuccesso è totale. Amore in città è solo 90° tra gli incassi stagionali. Il pubblico si è ormai definitivamente ripiegato su se stesso, comincia a rifiutare i modelli proposti dal nostro cinema per aderire a miti, gusti, mentalità dei prodotti statunitensi. Un’identificazione aiutata dall'invasione delle case produttrici americane sbarcate a Cinecittà per l'economicità e per la resa degli artigiani italiani. La presenza costante sugli schermi e sui rotocalchi italiani delle stelle di Hollywood rende ancora più familiare lo stile di vita statunitense che, agli occhi di tutti, diventa l'Italia di un futuro ormai prossimo. 37 Giovanni Scolari LA STRADA 1954 Gelsomina è una povera orfana dall'animo semplice. La madre la vende ad un artista da strada, il rozzo Zampanò a cui aveva già venduto la figlia maggiore, appena morta. Addestrata duramente, la ragazza si adatta alla nuova vita. Gelsomina è a tutti gli effetti la compagna di Zampanò, ma questi la maltratta e la umilia in continuazione; una notte la abbandona in un paese per andarsene con una prostituta. Gelsomina fugge, allora, durante una festa. Lì vede per la prima volta il matto, un funambolo. Dopo la festa Gelsomina, ubriaca, viene caricata a forza da Zampanò. Gelsomina si risveglia in un circo dove lavora anche il Matto. Subito iniziano i dissidi tra lui e Zampanò che sfociano in durissimi litigi. L'ultimo porta in prigione il bruto che viene scacciato dal circo. Durante la notte la ragazza incontra il Matto che la convince a restare con il suo uomo. Dopo il rilascio di Zampanò ricomincia il girovagare che li conduce ad un convento di suore che offrono ai due riparo per la notte. Il ringraziamento per la generosità delle religiose dovrebbe essere il furto di alcuni ex-voto d'argento, ma Gelsomina si rifiuta di aiutare l'uomo e il colpo fallisce. Al momento del congedo una suorina, con cui la ragazza ha fatto amicizia, le chiede se vuole restare al convento, ma lei rifiuta: bisogna accettare il proprio destino. Mentre sono in viaggio incrociano l'automobile del Matto ferma per un guasto. Zampanò aggredisce il rivale e lo uccide. Spaventato cerca poi di nascondere l'accaduto facendolo passare per un incidente. Gelsomina, però, è sconvolta: non mangia e non parla più se non per invocare un aiuto per il Matto. Esasperato, Zampanò la abbandona lasciandole solo la tromba. Sono passati alcuni anni, Zampanò, invecchiato, lavora nel Circo Medini. Mentre sta passeggiando sente una donna cantare la melodia che Gelsomina suonava con la tromba. La donna rivela di averla imparata da una ragazza morta alcuni anni prima. La sera, ubriaco fradicio, viene buttato fuori da un’osteria. Scacciato si rifugia nella spiaggia. Ora è solo, cade in ginocchio e, per la prima volta, scoppia in un pianto disperato. Il copione de La strada nasce dall'amore che Fellini e Pinelli nutrivano nei confronti dei vagabondi. Non è chiaro di chi sia stato lo spunto iniziale. Kezich attribuisce l'idea a Fellini che avrebbe incontrato una famiglia di zingari somiglianti a Zampanò e Gelsomina durante le riprese di Luci del varietà. Pinelli racconta di essersi imbattuto nei due 38 Guardare cinema vedere storia personaggi durante un viaggio in macchina. Pinelli aggiunge, poi, che Fellini desiderava girare qualcosa sui vagabondi e che la lavorazione li vide perfettamente concordi, a differenza di Flaiano che riteneva l'idea una sciocchezza. La gestazione del film è piuttosto lunga. Pinelli inizia a stendere la sceneggiatura durante le riprese de I vitelloni. Fellini, inoltre, fatica ad imporre la Masina come protagonista. I produttori non credono in lei. Fellini si impone e recluta il cast basandosi solo sul suo istinto. La prima avviene al Festival di Venezia in un'atmosfera nervosa. Gira infatti la voce che ambienti politici stiano boicottando Senso, l'opera di Luchino Visconti rappresentante della cinematografia marxista. Si scatena la polemica contro Fellini, in quanto adottato dalla stampa cattolica e borghese in virtù dei contenuti più spirituali delle sue pellicole. Nasce così un falso dualismo, che durerà una decina d'anni, alimentato ad arte dalla stampa e dai media, tra due registi che nulla hanno in comune con le divisioni politiche e ideologiche del periodo che sono alla base della controversia. La contestazione alla premiazione del festival che vede Fellini gratificato dal Leone d'argento - quello d'oro è stato assegnato a Giulietta e Romeo di Castellani - e Senso completamente escluso da ogni tipo di riconoscimento, provoca una gazzarra sedata solo grazie all'intervento della polizia. Inoltre l'amarezza per il boicottaggio subito, spinge Visconti a rilasciare dichiarazioni abbastanza dure nei confronti dell'opera di Fellini. I due, dopo un periodo di freddezza reciproca durato anni, si riappacificano a Mosca durante il festival omonimo del 1963. Questa contrapposizione è alimentata anche dalla rivalità esistente tra le due "corti" che vivevano a fianco dei registi. Visconti era, infatti, come dice Lina Wertmuller "un signore rinascimentale che aveva una corte di cui la sinistra era il lusso, la ciliegina sulla torta. Prima veniva l'aristocrazia, poi l'estetismo e, infine, il comunismo". Anche attorno a Fellini ruotava una struttura che si potrebbe definire anch'essa cortigiana. Non è difficile immaginare che gelosie, invidie e divisioni ideologiche tra le due realtà abbiano giocato un ruolo importante nella presunta inimicizia tra i due. È probabile che questa contrapposizione sia servita a molti per mascherare l'avversione profonda per la pellicola felliniana bollata in Italia come traditrice del neorealismo. Pasolini la definisce un capolavoro, ma molti critici sono impietosi. Se, nell'Italia degli anni '50, il potere è a destra, la cultura si situa in una dura opposizione che non accetta i tentativi di affrancarsi da questa visione manichea della società. È da segnalare che il fenomeno ha assunto dimensioni abnormi soprattutto in Italia come 39 Giovanni Scolari dimostra la recensione moderatamente positiva che George Sadoul, famoso critico marxista, fa di La strada. In Italia, invece, la critica si scatena contro Fellini accusandolo di essersi ispirato a "deteriore letteratura" o di insincerità. Marotta su L'Europeo, bolla il film come improbabile e deride chi afferma che "si tratta della tragedia dell'incomunicabilità fra le creature" poiché "la effettiva tragedia dell'incomunicabilità è solo quella in atto fra individui normali, pieni di intelligenza, di educazione, di sensibilità" e non tra "un bruto e una deficiente" che "è ovvio non abbiano un bel niente da comunicarsi." I rilievi più articolati vengono mossi da Guido Aristarco e Luigi Chiarini. Il primo afferma che "Fellini è un regista anacronistico irretito com'è in problemi e dimensioni umane largamente superate. [..]È rimasto alla letteratura d'anteguerra, cerca giustificazioni e resta adolescente”. Il secondo ritiene che "i personaggi ridotti a simboli sono svuotati di una loro concreta e possibile umanità." Ci mette del suo anche il CCC che emette il seguente giudizio "La difficoltà di comprensione del film da parte di un pubblico giovanile e l'assenza di freni morali nel protagonista consigliano di riservare la visione agli adulti." Nonostante l’opposizione della critica che tende a privilegiare l'assunto sociale sui contenuti morali di un film a forma di favola, La strada riscuote un buon successo nelle sale. Alla fine della stagione 54/55 la classifica degli incassi la pone al 17esimo posto con 430 milioni. Ma il vero successo la pellicola la coglie all'estero, trionfando ovunque fino a cogliere l'Oscar per il miglior film straniero nel 1956. Oltre all'ambita statuetta, la fiaba di Gelsomina è premiata in tutto il mondo. Persino in Giappone Fellini viene consacrato maestro del cinema; a New York stabilisce il record di visioni superando i due anni di programmazione e incassando la bellezza di 650 milioni. Questo successo non scalfisce le convinzioni della critica italiana, ironica sul ritardo culturale del resto del mondo. La polemica sorta intorno al film di Fellini porta ad un dibattito interno che trova la sua motivazione nella crisi del neorealismo e dei suoi epigoni critici che trovano conforto nella "militarizzazione" della cultura cinematografica da parte del PCI. Una militarizzazione nata in seguito all'uscita del volume di Andrei Zdanov, Politica e ideologia, nel 1949 che condiziona l'atteggiamento dei comunisti italiani nella cultura durante tutta la guerra fredda. Certo le rigidità delle teorie zdanoviane vengono attenuate e smussate, in parte, dalla pubblicazione dei Quaderni di Gramsci, ma resta manifesta la tendenza conformista di molta parte della 40 Guardare cinema vedere storia critica di schierarsi da una parte del confronto con idee preconcette e forti pregiudizi. L'acceso dibattito sul presunto tradimento del neorealismo da parte di Fellini mostra, alla fine, proprio le lacerazioni presenti in coloro che questa polemica hanno iniziato. Il fronte neorealista si spezza quindi in diverse fonti di dissenso in una crisi aggravata dall'invasione sovietica dell'Ungheria nel ‘56 che produrrà un terremoto negli ambienti culturali vicini al PCI. In un'atmosfera così surriscaldata, in cui prevalevano le componenti ideologiche su quelle sociali e culturali, è sfuggito agli occhi della critica che l'opera di Fellini descriveva un mondo in via di estinzione: i vagabondi. L'evoluzione economica dell'Italia stava, infatti, distruggendo ogni possibilità di vita a questi personaggi che, girovagando da una parte all'altra della nostra penisola, si inventavano i mestieri più improbabili, come gli artisti da strada. L'atmosfera respirata in questo ambiente era stata oggetto di studi da parte di Pinelli che aveva esordito in teatro con una pièce ambientata tra i vagabondi. Tale interessamento, oltre al desiderio mai realizzato di abbracciare questo tipo di vita, ha portato Pinelli ad avvicinare questi personaggi che ciondolavano da una sagra di paese all’altra. In tutte le piazze si potevano ammirare giocolieri, mangiafuoco, si potevano apprezzare le capacità oratorie di imbroglioni che vendevano finto oro a prezzi stracciati dicendo di averlo ricevuto da contrabbandieri peruviani; o ancora dei cosiddetti dulcamara che vendevano ai creduloni rimedi e consigli contro ogni tipo di malattie. Le strade di tutta Italia erano invase da questi personaggi che, privi di una casa, raccoglievano in ogni modo il poco che gli bastava da vivere. Pinelli ritiene che la vita di questi vagabondi fosse frutto di una scelta, data dal piacere di fare i saltimbanchi senza costrizioni sociali di alcun tipo e dal rifiuto di ogni tipo di responsabilità. È difficile definire con precisione la sorte di questi personaggi, non esistono a proposito né statistiche né fonti a cui riferirsi. È probabile che l'avvento dell'era industriale li abbia confinati in spazi sempre più marginali e ristretti, quando non li abbia distrutti e ridotti alla fame. Il loro destino non poteva essere diverso da quello di Gelsomina. Da Luci del varietà a La strada si possono notare significative differenze nella descrizione del paesaggio circostante. Se, infatti, nel film del debutto esso era ancora fortemente segnato dalle distruzioni belliche, Anthony Quinn e la Masina vagano per i sobborghi delle città dove i palazzinari hanno preso piede con i loro ingombranti casermoni. È in 41 Giovanni Scolari questo paesaggio urbano che si possono registrare i cambiamenti avvenuti. Nel finale ambientato su di un lungomare, quando Zampanò scopre che Gelsomina è morta, il girovago si aggira tra una folla di persone che si godono la passeggiata domenicale, sintomo di una rinascita economica che comincia a farsi sentire. Il progresso industriale e la rivoluzione sociale in atto in Italia collidevano con la politica sociale di Papa Pio XII. Il suo ruralismo, i richiami alla frugalità e all'austerità sono un moto di reazione all'economia di mercato, tuttavia non gli impediscono di avviare un forte processo di compenetrazione nella vita di tutti i giorni. Essenziale nell'azione politica e sociale del Papa è l'accentuazione del culto mariano. La Madonna viene fatta oggetto di una particolare venerazione al punto che nel 1954 viene indetto, per la prima volta, un anno santo mariano e viene pubblicata l'enciclica Sacra virginitas, che fa seguito alla Fulgens corona, resa nota l'anno precedente. Anche Fellini ha recepito questo clima mostrandone gli aspetti a volte spirituali, a volte deleteri. Il culto della Madonna rientra in tre pellicole di questo decennio: La strada, Le notti di Cabiria (1957) e La dolce vita (1960). Nel primo film è mostrata la processione della Madonna Immacolata in un paese; nel secondo il pellegrinaggio al santuario della Madonna del Divino Amore e ne La dolce vita è di grande importanza l'episodio dell’apparizione della Madonna a due bambini. Isolando i tre episodi dal contesto dell'opera in cui si trovano è subito evidente come lo sguardo di un cattolico, sia pure sui generis come Fellini, passi da un'attenta e rispettosa descrizione del culto di un paese di provincia, in cui sono messi in risalto il legame forte e sincero della cultura contadina, alle parossistiche scene di isterismo religioso presenti nell'ultima pellicola considerata. Non è sfuggita, invece, all'attenzione della stampa la critica implicita all'istituzione matrimoniale insita nei film di Fellini. Questi aspetti non potevano non irritare sia la critica cattolica - in fondo il culto mariano era stato incrementato per sottolineare la sacralità della generazione all'interno dell'istituto del matrimonio - sia la critica marxista che si mostrava ugualmente moralista e risoluta nel riprovare pubblicamente ogni tentativo di sollevare il problema del divorzio. Questi motivi sono alla radice della violenta battaglia che si scatena all'indomani dell'uscita del successivo film di Fellini Il bidone. Il suo insuccesso commerciale libera rancori sepolti e meschinità represse che approfittano dell'occasione per regolare i conti con il cinema felliniano. 42 Guardare cinema vedere storia La vicenda di Gelsomina è ambientata probabilmente alla fine degli anni quaranta, ma le condizioni della sua famiglia sono terribili e realistiche come dimostra il rapporto della già citata Commissione Parlamentare sulla povertà che ha dichiarato che nel 1953 in Basilicata ogni vano costruito ricoverava in media due persone e mezza. Lo stesso rapporto indicava i gravi problemi alimentari, già accennati, degli italiani all'indomani dell'evento bellico. A questa condizione precaria si aggiungeva un livello di istruzione misero e una condizione igienico sanitaria difficile. Nel censimento del 1951 risulta, infatti, che nella popolazione superiore a sei anni i laureati sono solo lo 0,99%, mentre gli analfabeti sono quasi 5 milioni e mezzo, il 12,89% degli italiani. Inoltre il 75% circa ha raggiunto al massimo la quinta elementare e non è difficile immaginare che parecchie di queste persone siano poi incorse nell'analfabetismo di ritorno. Da questi numeri si evince in tutta la sua gravità la drammatica situazione in cui si trova la scuola italiana dopo la seconda guerra mondiale. A questo quadro sconsolante si aggiunge il fatto che almeno 27 milioni di italiani non parlano la lingua nazionale ma solo il dialetto. La situazione igienico-sanitaria non è migliore, nel 1950 pochissime famiglie dispongono di acqua corrente e solo il 27% del gabinetto. L'igiene è affidata ai metodi tradizionali e l'abbandono di queste abitudini sta ad indicare la rapida maturazione degli italiani. Quello che nel dopoguerra era considerato un lusso nel 1960 è già diventato di uso comune, come il dentifricio o i cosmetici. Tutte ciò non è solo conseguenza della guerra, ma è figlio della volontà di mantenere in una condizione di estrema ignoranza gli strati più poveri della società. Ignoranza che colpisce le persone più deboli come gli anziani o gli handicappati. I più deboli sono anche i bambini che assistono immobili e divertiti ai colpi di frusta che Zampanò infligge a Gelsomina quando questa non comprende cosa deve fare durante lo spettacolo. I più deboli sono questi girovaghi condannati all'estinzione perché non conformi allo spirito della nuova società che avanza. Il simbolo più immediato di questo film è, tuttavia, la motoretta. La stessa con cui Zampanò percorre l'Italia per raggiungere fiere, sagre, mercati e circhi, è anche il simbolo della motorizzazione di massa che avviene nel decennio. L’improbabile vettura a tre ruote che Zampanò usa non è certo protagonista di questo fenomeno - il girovago peraltro dice che è di fabbricazione americana - ma è sintomo dell'evoluzione dei mezzi di trasporto nella penisola. 43 Giovanni Scolari L'inizio di questo processo risale alla primavera del 1946 quando esce sul mercato un nuovo veicolo a due ruote: la Vespa, che montava il motorino d'avviamento per aerei costruito durante la guerra dalla fabbrica Piaggio e che costava solo 80.000 lire. L'anno successivo appare anche la Lambretta che rende sempre più effervescente il settore che passa dai 106.095 motoveicoli in circolazione nel '46 agli oltre 3 milioni di motoveicoli su strada del 1957. Grazie allo sviluppo della motorizzazione, le possibilità di movimento dell'italiano medio aumentano notevolmente e questo comporta una ridefinizione della concezione dello spazio ed una maggiore possibilità di allargare il raggio delle proprie conoscenze. L'automobile stenta ad imporsi per i costi ancora proibitivi per la maggioranza degli italiani. Nel 1951 vengono, infatti, immatricolati solo 100.000 autoveicoli, un quinto degli esemplari in circolazione. L'utilitaria, tuttavia, non arriva. La politica aziendale della FIAT non prevede una vettura di tale genere e preferisce, insieme alle altre case produttrici, orientarsi su berline di media cilindrata. Solo nel 1955 esce la Seicento a cui fa seguito, nel 1957, la Nuova Cinquecento (la vecchia non è altro che la Topolino) sull'onda del trionfale successo della precedente utilitaria. Il prezzo d'acquisto è di sole 480.000 lire ed è alla portata di vasti strati della popolazione. Gli effetti sono immediati. Nel 1958 circolano 1.392.525 vetture che diventano quasi 5 milioni e mezzo nel 1965. Il possesso dell’automobile si impone nell'immaginario collettivo. La polemica che coinvolge Fellini non porta poi così bene al film che non ripete, in Italia, il successo de I vitelloni. Va, infatti, decisamente meglio a Senso che raggiunge il nono posto della classifica stagionale delle pellicole italiane anche se con un costo di produzione superiore. Per il resto gli incassi stagionali premiano ancora la produzione cosiddetta commerciale ed in modo particolare la riduzione di grandi classici come Ulisse di Mario Camerini e Giulietta e Romeo di Renato Castellani. Nella stesso anno il pubblico rifiuta (come aveva già fatto durante gli anni precedenti con opere del calibro di Germania anno zero, Francesco Giullare di Dio e Europa '51) in maniera netta e inconfutabile Roberto Rossellini, che esce nelle sale con tre diverse opere: Viaggio in Italia, Giovanna d'Arco al rogo e La paura. Il film che va meno male è il primo, che incassa appena 50 milioni. Rossellini, che si è da tempo avviato per una sua personale interpretazione della realtà e dell'arte cinematografica, è autore troppo scomodo per poter essere ridotto a simbolo, sia pure improprio come abbiamo visto per Fellini e Visconti, di una parte politica. Il pubblico, si sa, accetta con molte difficoltà opere impegnative e pregne di sottintesi filosofici, ma è indubbio che il disconoscimento di colui che è 44 Guardare cinema vedere storia il padre del neorealismo e unico maestro di Fellini è un fenomeno di rimozione che pesa sulla cultura italiana del periodo. Tutto ciò è causato dalla netta divisione che si crea nella cultura italiana, nelle istituzioni e nei luoghi di potere. Questo processo di parcellizzazione fa nascere tante piccole cellule corporative che si aggregano a seconda del referente politico a cui si rifanno per sopravvivere e che da questo sono utilizzate per attingere consensi elettorali e propagandistici. Lina Wertmuller afferma che la nascente partitocrazia svolge negli anni '50 un intenso “lavoro di fondo per far diventare politicizzato ogni pezzo della vita degli italiani. Lavoro fatto molto attentamente. Le strutture dei partiti si sono infilate in tutti i gangli della vita italiana e quindi anche del cinema. In tal senso la sinistra ha sempre lavorato per attrarre verso di sé gli intellettuali nonostante quasi tutti i registi fossero di quell'area politica. Anche se gli artisti poi sono totalmente anarchici, ognuno è iscritto al partito di se stesso." Gli effetti sul pubblico sono limitati: come vedremo per La dolce vita, le diatribe ideologiche fanno incassare solo se portano con sé scandalo e morbosa curiosità. Se il mondo politico si sta spartendo il potere nei vari settori della vita economica e sociale, gli italiani sono concentrati sui benefici che lo sviluppo economico, non ancora giunto al suo culmine, sta portando. Abitudini, consumi, tradizioni vengono sconvolti da questa marea di novità che si unisce al travolgente successo della televisione di stato. Questa rapida evoluzione colpisce anche l'istituto più sacro e intoccabile d'Italia: la famiglia. Tuttavia l'analisi che Fellini fa della vita di coppia viene sottaciuta, dimenticata, si preferisce confinarla nel campo della incomunicabilità tra esseri umani. Il clima avvelenato è evidente in un episodio del 1957 quando il vescovo di Prato, Pietro Fiordelli, classifica come "pubblici concubini" due giovani che si sono sposati civilmente in una lettera al loro parroco. La lettera, diffusa in parrocchia, provoca la denuncia del prelato, assolto in appello dopo la condanna subita nel giudizio di primo grado. Ad influenzare pesantemente il processo intervengono esponenti DC tra cui Andreotti che qualifica il processo come "un impressionante episodio di laicismo anticlericale, che dobbiamo combattere come il comunismo". Anche il presidente del consiglio Adone Zoli interviene appoggiando il proprio ministro "perché sul caso del vescovo si è instaurata una speculazione politica." Non sorprende allora che gli anni '50 abbiano visto una diminuzione dei casi di separazione legale, numero che aumenterà notevolmente non appena si alleggerirà la pressione ed il peso della chiesa nella vita pubblica. 45 Giovanni Scolari Le grandi speranze che gli italiani avevano al momento della caduta del fascismo sono oramai un pallido ricordo. Ogni aspetto della società viene utilizzato in questa guerra sotterranea tra partiti governativi, in cui la DC troneggia, e l'opposizione dove il Partito Comunista è leader incontrastato. Chi è fuori da questa logica viene attaccato, contestato. Fellini, che nel 1954 era l'alfiere del cinema cattolico, l'anno successivo viene abbandonato dopo l'insuccesso de Il bidone, quando parte della critica si pone come obiettivo la distruzione del suo modo di fare cinema. 46 Guardare cinema vedere storia IL BIDONE 1955 Augusto, 48enn truffatore, comincia ad avvertire la vuotezza della sua vita. I bidoni con gli amici Ricasso e Roberto non gli bastano più. Un colpo alla sua dignità gli viene dall'incontro con un vecchio complice, Rinaldo, ora ricco spacciatore di cocaina. Questi lo invita alla festa di capodanno con Picasso e la moglie, ignara del vero lavoro del marito. Alla festa c’è anche Roberto che ruba un portasigarette d'oro facendosi scoprire. Rinaldo caccia tutti. Iris, la moglie di Picasso, minaccia di abbandonarlo. L'uomo le promette che cambierà vita. I tre, invece, tornano presto al lavoro. Durante l’ennesimo imbroglio Augusto incontra la figlia che non vedeva da anni. I due si danno appuntamento per la domenica successiva. La cricca si ferma in un paese, Picasso, ubriaco, ha una crisi di coscienza e torna dalla famiglia, gli altri due se ne vanno con una prostituta locale. Augusto cerca di fare colpo sulla figlia promettendo di aiutarla a mantenersi all'università. La giornata si conclude, invece, con il suo arresto. Uscito di prigione, cerca di rientrare nel giro, ma non trova nessuno. Si aggrega ad altri con cui ripete il bidone in cui si finge un Monsignore. Stavolta la vittima è una famiglia molto povera con una figlia poliomielitica. Augusto rimane toccato dalla ragazza e rivela ai compagni di averle restituito i soldi. I complici non gli credono e lo inseguono ferendolo gravemente, poi lo perquisiscono, trovandogli in una scarpa il malloppo. Abbandonato nel dirupo dove era caduto, Augusto si trascina moribondo fino al ciglio della strada. Lì vede due donne. "Aspettate, vengo con voi". Sono le sue ultime parole. Il successo de La strada che, nel mondo continua a mietere premi e riconoscimenti, non era stato digerito dalla critica che aveva definito Fellini e i suoi sceneggiatori i "sorridenti affossatori del neorealismo". Quest’ostilità preconcetta accompagna la prima de Il bidone a Venezia. L'accoglienza è gelida; il pubblico abbandona la sala, gli incassi sono deludenti. Il bidone non da fastidio solo a sinistra, ma sconcerta anche i recensori di altre posizioni politiche e ideologiche. Il CCC boccia il film con un giudizio molto duro e con critiche esplicite a scene come quella del capodanno o del night-club. Fellini conscio di pagare il successo dell’anno precedente, afferma che "il problema con La strada fu che la Chiesa cercò di appropriarsene, di usarlo come una bandiera. Il ritorno della spiritualità. Così Cinema nuovo vi si oppose. Ve lo assicuro, se i critici di Cinema nuovo lo avessero 47 Giovanni Scolari elogiato per primi, allora sarebbe stato il turno della Chiesa a mettere il veto". Il provincialismo della stampa italiana è colto all'estero dove vi è un tentativo per rivalutare il film che non sortirà effetti in Italia. Aristarco, infatti, accusa Fellini di non riuscire a "svincolarsi dalla sua posizione sentimentale" che gli fa provare simpatia per i suoi protagonisti, simpatia "abbastanza discutibile se si considera che i bidonati sono della povera gente". Molti altri critici stroncano la pellicola. Marinucci dichiara che gli errori del film sono "nel copione, nell'impostazione, nel tono e nello svolgimento della materia". Castello ritiene che in alcuni casi Il bidone sia artificioso, retorico e diseguale al punto da giudicarlo "un'opera mediocremente riuscita"; Ojetti lamenta la mancanza "di un preciso messaggio di condanna, una morale". Attacchi come si vede, molto violenti che non tenevano conto del grande lavoro di ricerca compiuto. A dispetto della critica che riteneva ingiusto mostrare sullo schermo imbrogli a persone povere, proprio queste erano oggetto della astuzia dei manigoldi. Molte delle truffe mostrate nel film erano infatti vere, come realistico era l'atteggiamento di Augusto che si vantava delle sue gesta e dei suoi bidoni come fossero opere d'arte. Anche i bidonisti fanno parte di quei personaggi che vengono cancellati dallo sviluppo industriale dell'Italia. Appaiono, invece, i nuovi criminali dediti ad attività più remunerative come lo spaccio della cocaina che penetra negli alti livelli della società, ambienti vietati ad Augusto che è e resta invece ai margini del mondo "perbene". Il vero bidonista è un essere solitario, non può permettersi una famiglia, in sostanza un emarginato. Il Bidone porta alla luce un fenomeno diffusissimo nell'immediato dopoguerra. Nel decennio 1941-1950 i reati denunciati presso l'autorità giudiziaria di cui è stata avviata l'azione penale sono in media 843.281 all'anno. Questo dato assume diverso valore se si esamina la statistica anno per anno. Si va dai 484.332 delitti del 1941 al 1.260.870 del 1946, record dei crimini nel decennio. Tutti i tipi di reati subiscono, dal ‘45 al '50, un'impennata impressionante. Ma se alcuni sono riflesso della tormentata situazione politica, le truffe vivono un singolare periodo d'oro che termina solo nel 1961. Negli anni successivi al sessanta, a fronte di un aumento esponenziale di molti tipi di reato (furti, percosse, rapine), il numero di frodi denunciate rimane più o meno invariato, diminuendo anzi a livello percentuale. Se, infatti, nel periodo 1945-1961 le truffe costituivano il 5% circa dei delitti perseguiti, questa percentuale crolla fino a poco meno del 2,5% nel 1985. Da queste statistiche appare evidente come i bidoni fossero ben altro che un problema di scarsa importanza nella società italiana degli anni 48 Guardare cinema vedere storia cinquanta. Questo elevato numero di denunce testimonia la redditività di questo settore della microcriminalità. Non può dunque essere casuale che con il 1960, data in cui viene situato il boom economico, si assiste al declino di questa forma di delinquenza. Fellini, da attento osservatore della realtà sociale, porta sotto l'occhio di tutti ancora una volta una parte d'Italia che si va estinguendo. Il processo che provoca la scomparsa di questi personaggi è simbolizzato dalla televisione le cui trasmissioni iniziano nel 1954. Essa conquista subito un gran pubblico e nel 1959 si contano già un milione e mezzo di abbonati. Ad un anno dalla sua comparsa, i ceti più abbienti la considerano un elemento indispensabile della vita quotidiana. Fellini sottolinea questo durante la scena del veglione di capodanno. A casa dello spacciatore la televisione fa già bella mostra di sé. L'influenza del televisore sul costume italiano non può essere trascurata, soprattutto per l'aiuto fornito alla scuola nel diffondere l'italiano parlato, ancora largamente ignorato dalla popolazione. Infatti, dal censimento del 1951 si ricava che metà degli italiani parla solo il dialetto. Nel 1955, il numero degli spettatori televisivi supera già quello dei frequentatori delle sale cinematografiche. La diffusione della televisione va di pari passo con quella di altri elettrodomestici. Frigoriferi, lavatrici e altri oggetti rivoluzionano le abitudini delle massaie e costituiscono l'orgoglio e il vanto della nostra industria. Sono dei piccoli, ma significativi passi avanti nelle condizioni di vita della popolazione che ha sempre moti di meraviglia anche di fronte a semplici innovazioni. È il caso della reazione della prostituta di paese, ingaggiata da Augusto e Roberto, quando si accorge che la loro macchina ha, addirittura, l'autoradio. Questi benefici non raggiungono tuttavia la totalità degli abitanti. Vasti strati della popolazione sono costretti a vivere ancora in baracche o in alloggi di fortuna. L'emigrazione interna ha creato una massa di disperati in cerca di casa che pesa sulla situazione sociale delle grandi metropoli. Che il problema dei baraccati sia molto sentito è confermato dall’attenzione che il cinema riserva alla questione. De Sica e Zavattini, vi tornano per due volte con Miracolo a Milano (1951) e Il tetto (1954). Ma moltissime pellicole del decennio hanno per oggetto l'esigenza della casa di proprietà. Già nel '55, si possono notare i primi frutti della maturazione culturale dell'Italia. È di quell'anno la realizzazione di parte del dettato costituzionale che ancora non era stato assolto dal Parlamento. Vedono la luce la Corte Costituzionale, il Consiglio Superiore della Magistratura e il 49 Giovanni Scolari Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. Rimane, invece, irrealizzata la parte relativa alle regioni, attuata solo 15 anni dopo. In Parlamento viene eletto Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, esponente di rilievo della DC, con i voti favorevoli di socialisti e comunisti. Il 1956 è un anno molto "caldo" a livello mondiale. Alcuni avvenimenti scuotono l'opinione pubblica internazionale, già in tensione per la guerra fredda. Tre eventi si impongono: il rapporto segreto del XX congresso del Partito Comunista sovietico (reso noto dagli USA) che svela le nefandezze compiute da Stalin; la crisi del canale di Suez; l'intervento armato dell'Unione Sovietica in Ungheria per sopprimere il governo democratico di Imre Nagy. Questi avvenimenti rendono quell’anno essenziale per la storia della cultura italiana tanto da divenire un'etichetta per una generazione di poeti. La definizione "generazione del '56" si deve a Giovanni Raboni che scrive "avere vent'anni nel 1956 ha voluto dire formarsi e crescere in un clima fortemente segnato dalla caduta delle certezze ideologiche e dalle speranze di mutamento sociale che avevano caratterizzato il primo decennio postbellic ". Se, infatti, la condanna del mito di Stalin e la rassicurante figura di Kruscev avevano dato nuove speranze di pace al mondo occidentale, l'intervento dei carri armati in Ungheria distrugge ogni illusione e provoca una serie di riflessioni di natura politica anche all'interno del monolitico partito comunista italiano. Sotto l'ombrello del "migliore", il PCI riesce a limitare i danni alla propria credibilità mantenendo in dimensioni accettabili il dissenso e perdendo solo alcuni parlamentari. Più grave è, invece, la situazione della CGIL, il sindacato che fa riferimento al Partito Comunista. L'offensiva padronale riesce, infatti, ad ottenere importanti risultati tanto che nelle elezioni del 1955 per le commissioni interne alla Fiat, la CGIL, per la prima volta nel dopoguerra, perde la maggioranza assoluta. Parte da questa sconfitta la nuova strategia del sindacato che passa dalla contrattazione centralizzata del contratto di lavoro ad una articolata, con accordi decisi settore per settore e azienda per azienda, riavvicinando così la dirigenza sindacale alla base. A controbilanciare gli avvenimenti in terra d'Ungheria, ha, d'altro canto, pensato l'esplosiva situazione del Medio oriente. Un attacco congiunto di Israele, Francia e Gran Bretagna tenta di togliere dalle mani di Nasser il controllo assoluto del Canale di Suez. Questa guerra fornisce un’ottima un'arma di propaganda contro l’"imperialismo" del blocco occidentale. 50 Guardare cinema vedere storia Il contraccolpo più rilevante nella politica interna italiana viene comunque dall’invasione sovietica in Ungheria che fornisce al PSI la legittimazione a rompere l'alleanza politica con i comunisti. Iniziano così contatti che hanno per fine la formazione un governo di centro-sinistra. Questi contatti danno il via ad una serrata polemica tra le due forze di sinistra. Quando Togliatti paragona l'azione dell'esercito russo in Ungheria all'appoggio fornito alla Repubblica spagnola durante la guerra civile, Nenni insorge denunciando il confronto storico come assolutamente falso e ciò porta il PSI a non rinnovare il patto di unità d'azione per la prima volta dopo la guerra. Si rafforza, intanto, l'invadenza dei partiti nell'opinione pubblica. Nel 1956 viene istituito il Ministero delle Partecipazioni Statali. Nonostante questo ministero si proponga di fungere da contraltare ai monopoli privati, la cooperazione tra azionisti pubblici e privati non entusiasma nessuno. Ernesto Rossi, fustigatore del malcostume italiano dalle pagine del Mondo, esprime la sua preferenza per le nazionalizzazioni secche piuttosto dell'ibrido costituito dalle partecipazioni statali. Egli afferma: "Il sistema dell'azionariato misto ha come necessaria conseguenza l'immeritato arricchimento degli azionisti privati, soci dello stato, tutte le volte che il governo, mosso da ragioni di interesse collettivo, aiuta le società di cui è azionista a reggersi in piedi od a sviluppare la produzione al di là di quanto potrebbe essere sviluppata con i loro mezzi ordinari." Sfugge all'opinione pubblica che la proliferazione di enti a partecipazione statale serve alla DC per rimpinguare le scorte di consenso e di potere venuto a mancare con il declino dell'età degasperiana. L'economia italiana continua, intanto, nei suoi progressi, anche se questi dipendono prevalentemente dalla domanda interna. Il tasso di crescita del PIL è in media del 5,5%; i maggiori investimenti sono infatti nell'edilizia, nei lavori pubblici e nell'agricoltura. La mancanza di programmazione facilita l’iniziativa privata nelle regioni più ricche ma crea al tempo stesso uno squilibrio delle infrastrutture che è alla radice della persistente "Questione meridionale". Mentre l'Italia è conquistata dalle innovazioni tecnologiche che sembrano ormai alla portata di tutti, Fellini insiste a mostrare personaggi ai margini della società, che si arrabattano a vivere in condizioni anomale, con crisi di coscienza che li rendono incapaci di accettare la propria vita. Il film, però, viene emarginato dal pubblico. Le classifiche dell'anno vedono in testa La donna più bella del mondo con la Lollobrigida, segue Marcellino pan y vino. Nei primi dieci incassi, a parte il solito Totò, figurano Pane amore e ... di Comencini e Don Camillo e l'on. Peppone di Gallone. 51 Giovanni Scolari I dati degli incassi annuali danno conto di un malessere dell'industria cinematografica. Diminuiscono infatti gli spettatori soprattutto dei film italiani. Solo Il ferroviere di Germi, poi, si occupa di tematiche sociali , mentre tutti gli altri rientrano nel filone della commedia all'italiana o sono polpettoni sentimentali che attingono al repertorio del melodramma. Trionfano, invece, le pellicole made in USA che costituiscono più della metà delle pellicole in circolazione in Italia nel 1956. I film statunitensi incassano il 63% circa della spesa annuale del pubblico nel cinema, con una rendita media vicina a 23 milioni e ottocentomila. Le pellicole italiane introitano mediamente 21 milioni e settecento mila lire circa. Alle altre nazioni vanno le briciole e le cinematografie dell'intero blocco comunista sono praticamente inesistenti.. Il dato reale, insomma, è che, al di là degli schieramenti ideologici, l'industria Hollywoodiana era capace di fornire, insieme agli artigiani della commedia all'italiana, dei modelli e dei personaggi in cui per la popolazione era facile parteggiare. Questo non riesce invece agli epigoni del cinema neorealista e al cinema cosiddetto d'autore (non a tutto ovviamente). Inizia una divaricazione tra pubblico e cinema italiano. Le riflessioni di natura ideologica o spirituale non riguardano la maggior parte della popolazione che poco partecipa al confronto tra capitalismo e marxismo in atto negli anni cinquanta. Il lungo inseguimento alla ricchezza si sta, infatti, concludendo. Nessuno osa pronunciarlo ma la nazione si avvia ad entrare nel mondo industrializzato, alla pari con le grandi potenze mondiali. 52 Guardare cinema vedere storia LE NOTTI DI CABIRIA 1957 Cabiria è una prostituta che vive alla periferia di Roma in un cubo di cemento. Viene gettata nel Tevere dal suo ragazzo che la deruba. Salvata da alcuni ragazzini torna nella sua abitazione dove l'amica e vicina Wanda, anche lei prostituta, le fa capire che la caduta era un tentativo di omicidio. Incredula Cabiria caccia l'amica, ma poi prende le cose del fidanzato e le brucia. La giovane batte sulla passeggiata archeologica. Una delle prostitute si è comprata la seicento. Al suono della radio del veicolo Cabiria si lancia in un mambo che provoca gli insulti di una veterana del marciapiede. Scoppia tra le due una rissa che viene sedata portando via Cabiria in seicento. Sulla macchina un pappone cerca di convincerla a mettersi sotto la sua protezione, ma lei rifiuta e si fa lasciare in via Veneto dove assiste ad una lite tra il divo Alberto Lazzari e la sua donna Jessy. Abbandonato dalla donna, Lazzari nota Cabiria e la porta con sé nella sua lussuosissima villa. Incredula per tanta fortuna Cabiria piange perché sa che nessuno potrà mai crederle. Per ricordare la sua avventura chiede un autografo. In quel momento arriva Jessy. Lazzari nasconde Cabiria in bagno. La mattina seguente Lazzari fa uscire la giovane e le da un po' di denaro. Le prostitute si recano al santuario del Divino amore in compagnia di un vecchio spacciatore storpio che vuole la grazia della Madonna per tornare a camminare. Anche loro si fanno coinvolgere dall'atmosfera di devozione e invocano Maria. Ma non ci sono miracoli e Cabiria, ubriaca e amareggiata, insulta tutti perché capisce di non essere cambiata. Durante uno spettacolo, viene ipnotizzata da un illusionista che le fa credere di essere amata da un giovane di nome Oscar. Cabiria rinviene mentre il pubblico la deride. All'uscita un giovane le chiede un appuntamento: si chiama Oscar. Cabiria rimane colpita dai modi gentili dell'uomo che all’ennesimo incontro le chiede di sposarla. Cerca di spiegargli che vita fa, ma lui le dice che il passato non conta. Cabiria pazza di felicità vende tutto ciò che ha. Salutata Wanda tra le lacrime, raggiunge Oscar. Dopo aver cenato, Oscar la porta in un bosco fino ad un promontorio. Lì cambia aspetto. Cabiria lo guarda e capisce che la vuole uccidere. Distrutta gli chiede di mettere fine alle sue sofferenze perché non vuole più vivere. Oscar si limita a rubarle tutti i soldi e fugge. È notte, Cabiria esce disperata dal bosco. Sulla strada incontra dei ragazzi provenienti da una festa. Le ballano intorno. Cabiria si guarda attorno con riconoscenza e poi abbozza un sorriso. 53 Giovanni Scolari L'insuccesso ha diminuito la credibilità di Fellini. Lombardo, presidente della Titanus, lo prega di stracciare il contratto. Fellini si mette serenamente alla ricerca di un nuovo soggetto e di un nuovo produttore. Li trova entrambi agli inizi del '56. La storia prende spunto da due incontri avvenuti nei mesi antecedenti. Sul set de Il bidone la troupe aveva conosciuto una prostituta che viveva in una baracca. Fellini rimane impressionato dalla vitalità di questa donna che aveva tentato per tre volte il suicidio, riuscendo sempre ad uscirne con ottimismo. Il secondo incontro è quello con Giorgio Tirabassi detto "l'uomo del sacco". Tirabassi era una personalità singolare. Usciva ogni sera verso le 22 con dei sacchi contenenti viveri, indumenti e medicine da distribuire agli sbandati di Roma di cui conosceva nascondigli e abitudini. Credeva di aver avuto da Dio l'ordine di fare queste opere di bene, ma non apparteneva ad alcuna associazione religiosa e viveva di offerte di privati. La conoscenza di questo personaggio avviene tramite Pinelli. Durante la preparazione del film i due partecipano alle incursioni notturne dell'uomo, ma presto Fellini si stanca e inizia ad approfondire la conoscenza di una parte di mondo meno filantropica. Accompagnato da Pasolini, Fellini può assistere alla vita notturna delle borgate romane. Insieme allo scrittore e allo scenografo Gherardi scorazza per la passeggiata archeologica e per i centri del malaffare capitolino. Il poeta lo aiuterà poi a rendere credibili i dialoghi, collaborando alla sceneggiatura. Alcune ulteriori curiosità sono importanti per decifrare il film. L'idea dei due tentativi di omicidio che Cabiria si ispirano ad un grave fatto di cronaca avvenuto poco tempo prima: il ritrovamento in un lago del cadavere senza testa di una prostituta. L'avvenimento aveva fortemente impressionato l'opinione pubblica ed era stato al centro dell'attenzione della stampa per diverso tempo. Un altro importante spunto per la realizzazione della pellicola si deve al caso. L'idea dell'incontro tra la prostituta e il divo non era infatti nuova, Fellini l'aveva proposta vanamente anni prima a Rossellini per il film L'amore. Quando è ripescata per Le notti di Cabiria viene scelto per la parte del divo Amedeo Nazzari, famosissimo per i suoi atteggiamenti divistici e per il suo impressionante guardaroba. Il gioco di specchi diventa talmente manifesto che, superate le perplessità iniziali di Nazzari, il personaggio viene chiamato Alberto Lazzari. La preparazione è attraversata dalla morte per infarto del padre di Fellini: Urbano. Vi è, però, anche il conferimento dell'Oscar, per il miglior film straniero, a La strada. 54 Guardare cinema vedere storia L'annuncio dell'inizio delle riprese crea preoccupazione negli ambienti culturali in quanto cade nel vivo del dibattito parlamentare in atto per l'abolizione delle case di tolleranza. Dopo uno sfortunato incontro con la senatrice Merlin, narrato più avanti, la preparazione prosegue suscitando timori tra i politici e gli ambienti ecclesiastici. Mentre il film è in fase di montaggio nascono le prime polemiche. Nicola De Pirro, direttore generale dello spettacolo, fa trapelare che ci sono molte apprensioni per i presunti contenuti immorali del film. Inoltre il sindaco di Roma, il Dc Salvatore Rebecchini, ha intenzione di protestare perché ritiene scandaloso mostrare una parte monumentale della città, la passeggiata archeologica, come centro del vizio e della criminalità. Ovviamente tace che il luogo è sede della prostituzione romana e dimentica che la stampa sta dando ampio rilievo al "martellatore della Passeggiata Archeologica", uno psicopatico che ha già ucciso diverse donne. Questi elementi spingono la Censura a rinviare il visto che consentirebbe al film di partecipare al Festival di Cannes. Nessuno si sbilancia, ma è evidente che il visto è legato ad una lunghissima contrattazione. Vista la situazione, Fellini tenta l'ultima carta e si rivolge ad un padre gesuita, Angelo Arpa, un amico che gli era stato presentato alcuni anni prima da Brunello Rondi. Arpa, introdotto negli ambienti curiali genovesi, suggerisce di mostrare il film al Cardinale di Genova Giuseppe Siri, il più giovane cardinale d'Italia, che è anche il potentissimo presidente della Conferenza Episcopale Italiana da cui dipendeva il CCC e l'Azione Cattolica. L'opera viene mostrata segretamente al cardinale. La proiezione avviene dopo la mezzanotte. Il prelato parlerà con Fellini solo se il film è di suo gradimento. L'intervento di Arpa, che durante la proiezione ha spiegato a Siri la vicenda umana e spirituale di Cabiria, convince il cardinale ad intercedere perché la censura elimini ogni veto. L'assenso del cardinale spalanca tutte le porte. La censura concede immediatamente il visto e cade ogni resistenza ministeriale. L'unico sacrificio richiesto è il taglio dell'episodio in cui si mostra l'uomo del sacco. Kezich sostiene che il taglio è frutto di un compromesso con la chiesa in quanto "la carità non va sottratta ai suoi canali legittimi“; padre Arpa sostiene che la decisione è stata presa in quanto l'episodio appariva fuori dall'ottica del film. Non appena si sparge la voce della visita a Siri, inizia una polemica contro Fellini e la sua presunta sottomissione al potere ecclesiastico. Ma anche i critici marxisti, come Aristarco, restano impressionati e sorpresi di fronte alla dimostrazione di potere data dalla chiesa italiana. 55 Giovanni Scolari L'intervento diretto di Siri ha zittito anche coloro che precedentemente si erano mostrati scandalizzati dall'ambientazione del film e che, di colpo, si sono trovati senza argomenti. Ottenuto il visto la pellicola va a Cannes dove riscuote un enorme successo e Giulietta Masina riceve il premio quale migliore attrice protagonista. Il trionfo sulla croisette spiana la strada al film che, uscito in patria, riceve recensioni positive anche se non mancano rilievi e appunti. Ad alcuni non piace la scena dell'ipnotizzatore, altri rilevano come la narrazione sia discontinua. Aristarco ribadisce, una volta di più, l'accusa di cadere nell'artificio letterario in alcuni momenti del film. Ma la maggior parte dei giornalisti specializzati è positivamente colpita e loda la maturazione compiuta dal regista. Molto favorevoli sono le posizioni espresse dai critici appartenenenti al mondo cattolico come padre Nazareno Taddei che su Letture, un periodico gesuita, esprime la sua ammirazione per Le notti di Cabiria affermando: "La tematica di Fellini [..] sta portando a maturazione il germe del miglior Rossellini; finalmente in neorealismo più sincero e più valido spezza i confini del pessimismo senza fondo e prende per oggetto la realtà vera e completa." Lo stesso CCC si schiera a favore dell'opera (non poteva certo smentire il presidente della CEI) con il seguente giudizio "L'impostazione del film è positiva. Vengono infatti messi in risalto il calore della vita e il desiderio di redenzione anche in creature che le circostanze - più che la colpa personale - hanno ridotto all'abiezione. L'argomento e alcuni situazioni, quale ad esempio la sequenza del Santuario, che può destare qualche perplessità, fanno riservare il film agli adulti di piena maturità morale". Il successo di Cannes lancia il film che comincia a ricevere premi e attestati da tutto il mondo. Le notti di Cabiria viene distribuito persino in Egitto nel 1958, colpendo anche la fantasia di Nasser che invita la Masina, definita addirittura la "Chaplin-donna” nel palazzo presidenziale. Nulla è vietato alla coppia regina del cinema italiano a cui sono aperte tutte le porte del jet set. Addirittura Jacqueline Kennedy organizza un party in onore di Fellini. A coronamento di tutto questo giunge il secondo Oscar consecutivo. Fellini rappresenta agli occhi del mondo il meglio della cultura italiana e l'erede del neorealismo. A testimonianza di questo basta riportare la recensione del critico francese Andrè Bazin, punto di riferimento della nouvelle vague, che dice: "…Fellini va più in là nell'estetica neorealista, tanto in là da traversarla e trovarsi dall'altra parte." Ora è un personaggio estremamente celebre. Gli Oscar conquistati rafforzano l'orgoglio della nazione e anche il Presidente del Consiglio Aldo 56 Guardare cinema vedere storia Moro si fa riprendere mentre riconsegna, davanti alla macchina da presa della Settimana Incom, l'Oscar a Fellini al suo ritorno in patria. Il successo dell'ultima opera conferisce sicurezza a Fellini che si getta nella realizzazione di Viaggio con Anita,. Il progetto svanisce e a questo punto il cineasta matura l'idea di fare un affresco del mondo festaiolo di Roma e di via Veneto. L'Italia affronta il 1960 con i migliori presagi. Ma non sfugge a Fellini cosa si è perso in questo trapasso e le insidie presenti in uno sviluppo che ha sì portato il benessere, ma che ha in sè i germi della sua distruzione. La dolce vita non è solo il ritratto di una società, ne è la sua epigrafe funebre. Per facilitare la lavorazione del film, Fellini e Pinelli si recano dalla senatrice Merlin promotrice del progetto di legge per la soppressione delle case chiuse. I due, esterrefatti, assistono ad una dimostrazione pratica della senatrice socialista che mostra loro come le case di tolleranza fossero da abolire sulla base di un calcolo che aveva come elementi il numero di orgasmi di cui ha bisogno un uomo rapportato al numero di donne esistenti. Inoltre, la Merlin rammenta le parole che sua nonna le disse al momento del matrimonio: "Ringrazia le puttane se ti puoi sposare in bianco!" Questa affermazione era una delle molle che l'avevano spinta a presentare il progetto di legge. La personale guerra intrapresa dalla Merlin contro le case di tolleranza è iniziata nel 1949, quando ha presentato per la prima volta in parlamento una proposta di legge in tal senso. Decaduto nel corso della legislatura, il progetto viene ripresentato in Senato nel 1953 per essere approvato il 21 gennaio 1955. Nell'ottobre dello stesso anno passa alla Camera dove inizia una lunga discussione che ha termine solo tre anni dopo con la definitiva promulgazione della legge. L'iter parlamentare è stato particolarmente tribolato. Se la sinistra vedeva nella regolamentazione una forma di oppressione sociale che serviva a coprire i soprusi della borghesia che sfogava i bassi istinti con donne ritenute di classe inferiore; per molti esponenti democristiani questo sistema diminuiva i rischi di contagio fisico e morale e costituiva uno scudo contro il disordine. Mancava, poi, la volontà di facilitare la discussione e l’approvazione della legge. Pesava, però, la risoluzione dell'ONU che nel 1947 aveva condannato le case chiuse e il fatto che l'Italia era rimasto il solo paese occidentale a possedere ancora una legislazione di tal genere. Gli antiabolizionisti puntavano, invece, sulla paura di una diffusione incontrollata delle malattie veneree. 57 Giovanni Scolari Prevalsero, ovviamente, gli abolizionisti che promettevano di "porre fine alla schiavitù delle prostitute che garantiva gli interessi di un gruppo ricco, ben organizzato e seminascosto." Essi contavano, poi, sul fatto che molte prostitute scegliessero di cambiare tipo di esistenza se fosse stato mostrato loro che esistevano possibilità alternative di vita. Il voto finale alla Camera, 385 a favore del disegno di legge e 115 contrari, palesa la spaccatura nel paese. L'alto numero dei voti contrari solo il MSI e alcuni esponenti del partito monarchico avevano espresso pubblicamente il loro dissenso - mostra come diversi deputati di tutte le estrazioni politiche erano a favore della regolamentazione. Moltissime furono le reazioni negative alla chiusura dei "casini". Fu un trauma collettivo, la scomparsa di un’istituzione che faceva parte integrante della società e del modo di pensare della gente. A difesa delle case chiuse si ergono importanti personalità tra cui Aldo Palazzeschi e Indro Montanelli. Tutta questa discussione appare certo strumentale in quanto la prostituzione non era certo affare solo di 4.000 "lucciole" autorizzate, come risultava da un congresso della Società di Medicina sociale del 1950. La passeggiata archeologica, dove si muove Cabiria, era popolata da donne e uomini disperatamente alla ricerca di un guadagno, a prescindere da ogni tipo di regolamentazione. Questi esseri umani vivevano, come dice Cabiria, sotto i ponti, in case diroccate. Lei, invece, proclama orgogliosamente al divo che ha una casa tutta sua con l'acqua, la luce e il gas. Un’abitazione che è un cubo di cemento, con una sola finestra, piazzato in mezzo alla campagna di Acilia, alla periferia di Roma. Un buco così appetito da essere immediatamente acquistato da una famiglia numerosissima quando la ragazza se ne disfa nel momento in cui accetta la proposta di matrimonio di Oscar. È questo, infatti, il periodo del cosiddetto "sacco di Roma". Durante il grande boom edilizio, durato dal '53 al '63, i grandi proprietari immobiliari, tra cui il Vaticano, si gettarono in una vorace speculazione edilizia con la complicità delle amministrazioni comunali. Ogni zona della capitale fu invasa dal cemento al punto che, ancora nel 1970, una casa su sei era abusiva. L'Assessorato all'edilizia romano viene descritto dal settimanale Espresso come un luogo dove "I funzionari sono quasi sempre fuori; al loro posto, lavorano privati cittadini che sono entrati per vedere a che punto stanno le loro pratiche [...] e fanno come se fossero in casa loro". La speculazione edilizia non riguardava, d'altro canto, solo la capitale. È questo il risultato di precise scelte politiche; il governo lascia la massima libertà agli imprenditori edili non volendo mettere mano ad alcun provvedimento per la tutela del territorio. Le case crescono rapidamente: 58 Guardare cinema vedere storia dalle 73.400 edificate nel 1950 si passa alle 273.500 del 1957 e alle 450.000 del 1964. Il paesaggio urbano che Fellini mostra nelle sue opere è chiarificatore. Da La strada in avanti la periferia di Roma è identificata con i casermoni costruiti senza strade asfaltate e opere di urbanizzazione come i collegamenti alla rete fognaria regolare. L'alternativa, però, non era certo migliore; la vita nella baraccopoli era molto più disagiata. Di fronte alla evidente immobilità delle istituzioni, il cittadino non può fare altro che accettare queste condizioni. Il desiderio di avere una casa di proprietà è fortissimo e l'aumentato tenore di vita che rende possibile questo sogno a molte persone, fa il gioco degli speculatori. Se il migliorato livello dell'economia italiana consente alla popolazione di cullarsi in qualche illusione, il sistema politico, invece, offre segnali allarmanti. La legislatura che si sta per concludere è stata caratterizzata dalla debolezza dell'esecutivo. La formula del centrismo sembra non essere più sufficiente per garantire la stabilità politica e si rende necessaria una nuova alleanza. La Democrazia cristiana si trova impossibilitata ad agire, divisa com'è tra chi preferirebbe orientarsi a destra, conglobando nel governo monarchici e missini, e chi prediligerebbe uno sbocco a sinistra verso quel Partito Socialista che, seppure ancora marxista, ha fornito garanzie della sua democraticità con la ferma reazione all'invasione sovietica in Ungheria. Nell'incertezza, la DC si tiene ancorata al centro e affronta le elezioni del 1958 con qualche timore. Le urne premiano ancora la coalizione di centro. I partiti al governo aumentano la loro percentuale così come si rafforzano i socialisti mentre il PCI si mantiene al livello della precedente tornata elettorale. Calano sensibilmente le destre. La terza legislatura si dovrebbe, visto i risultati del voto, configurare come di tutta tranquillità. Invece si presenta subito nel segno dell'incertezza. 59 Giovanni Scolari LA DOLCE VITA 1960 Marcello, reporter di un periodico scandalistico, e il fotografo Paparazzo sono in un night dove entra la ricchissima Maddalena con cui il giornalista si apparta. Sfuggiti ai fotografi, i due offrono un passaggio ad una prostituta che li ospita mentre fanno all'amore. A casa poi Marcello trova e salva la sua compagna Emma che ha tentato il suicidio. Arriva la diva americana Sylvia. Durante la conferenza stampa, Marcello deve calmare per telefono la gelosia di Emma. Intanto sopraggiunge ubriaco il compagno di Sylvia, Robert, che ironizza su tutti. In visita a San Pietro, la diva si fa di corsa i gradini della cupola. Resiste solo Marcello che la raggiunge in tempo per vedere il cappello di Sylvia volare via per il forte vento. Al night club Sylvia balla selvaggiamente con un amico. Quando torna al tavolo Robert la insulta. Umiliata, l’attrice fugge in lacrime inseguita da Marcello che la conduce via in macchina. Dopo aver cercato inutilmente un appartamento dove portarla, Marcello capita casualmente vicino alla fontana di Trevi. Sylvia entra vestita nella fontana, Marcello la segue, ma l'incantesimo dura poco: lo scroscio della fontana si ferma, è l'alba. Marcello riaccompagna Sylvia in albergo dove trova Robert infuriato. L'attore americano schiaffeggia la donna e piglia a pugni il giornalista. Mentre cura un servizio, Marcello vede entrare in chiesa un carissimo amico, Steiner, e lo raggiunge. Più tardi, a casa di Steiner, si scambiano delle confidenze. Marcello ammette di non pensare più di diventare scrittore, l’altro lo mette al corrente di un suo disagio interiore. In una trattoria sulla spiaggia Marcello incontra Paolina, una ragazzina simpatica. Marcello e Paparazzo con Emma si recano nel luogo dove due bambini affermano di aver visto la Madonna. Intorno alla casa dei bimbi c'è una folla immensa. I bambini sono però dei mistificatori e la famiglia cerca di approfittare della situazione. Dopo una nottata farsesca, sotto un violentissimo temporale, tutti se ne vanno. Sul prato resta un morto. Una sera Marcello trova suo padre giunto nella capitale per lavoro. Il giornalista lo porta in un night dove gli presenta Fanny. L'anziano signore comincia a corteggiare la ballerina che lo invita a casa sua. Marcello segue con altre due ragazze. Sotto casa, Fanny esce spaventata, il padre di Marcello sta male. Il vecchio è seduto su una sedia, non è grave, ma l'incidente lo ha umiliato e così decide su due piedi di tornare a casa con il treno. 60 Guardare cinema vedere storia C’è una festa a palazzo Mascalchi. Marcello si aggiunge al gruppo. Lì trova Maddalena che gli fa una singolare dichiarazione d'amore. Marcello la ricambia ma lei è già nelle braccia di un altro. È accaduta una tragedia: Steiner ha ucciso i figli e si è sparato. Marcello, incredulo, aiuta la polizia ad avvisare la moglie che apprende la notizia davanti alla crudele ressa dei fotoreporters. In una villa di Fregene si festeggia l'annullamento del matrimonio di Nadia. Alla festa c'è di tutto. Nadia improvvisa uno spogliarello, ma sul più bello arriva l’ex marito. L'atmosfera degenera, Marcello insulta tutti e umilia una ragazza ubriaca. Cacciati di casa, i reduci dell'orgia assistono sulla spiaggia alla pesca di un pesce-mostro. Marcello nota una ragazzina che lo chiama da lontano. È Paolina. Marcello non capisce e se ne va. Paolina, assolutoria, gli sorride. Via Veneto si afferma come cuore mondano e intellettuale di Roma durante il periodo fascista. Negli anni cinquanta l'intellighenzia romana se ne impossessa. Al caffè Rosati si incontrano De Feo, Flaiano, Panunzio. Nel bar si possono ascoltare in anticipo le polemiche sugli avvenimenti culturali che verranno pubblicati ne Il Mondo e su L'Espresso. Allo Strega o da Doney, dall'altro marciapiede, si possono ammirare i divi del cinema. L'esplosione della vita notturna romana coincide con la morte di Papa Pacelli, avvenuta il 9 ottobre 1958, che, si dice, avesse sempre osteggiato questo tipo di manifestazioni. Coincide anche con il boom dei giornali scandalistici che mitizzano via Veneto. Lo spettacolo di quelle sere si insinua nella mente di Fellini e conquista facilmente i suoi collaboratori alla sceneggiatura: Flaiano, che frequenta da tempo la via, e Pinelli. L'idea si innesta su Moraldo in città, un copione mai realizzato. L'atmosfera di via Veneto determina un cambiamento in Fellini che, come scrive Flaiano nel giugno del 1958, sull'idea base sovrappone l'intenzione di "dare un ritratto di questa società dei caffè che folleggia tra l'erotismo, l'alienazione, la noia e l'improvviso benessere. [..] Il film avrà per titolo La dolce vita e non ne abbiamo scritto ancora una riga." Via Veneto rappresenta, d'altro canto, per Flaiano un pezzo importante della sua vita e l'amarezza del film è anche la sua quando commenta il cambiamento avvenuto negli ultimi anni: "Com'è cambiata dal '50, da quando […] mi fermavo alla libreria di Rossetti, con Napolitano, Bartoli, Saffi, Brancati, Maccari e il poeta Cardarelli. [..] c'era una gaia animazione paesana, giornalisti e scrittori prendevano l'aperitivo. [..] Ora che sta arrivando l'estate salta agli occhi che questa non è più una strada, ma una spiaggia. [..] Anche le conversazioni sono 61 Giovanni Scolari balneari, barocche e scherzose, e si riferiscono a una realtà esclusivamente gastro-sessuale." Dopo il consueto walzer dei produttori, il film è tra le mani di Amato le cui finanze non bastano a coprire le spese che continuano a lievitare. A questo punto entra in gioco Angelo Rizzoli. La composizione del cast è faticosa. Dopo aver scelto come protagonista Mastroianni, preferito a Paul Newman, Fellini si sbizzarrisce nella ricerca dei volti giusti. Vorrebbe Elio Vittorini nella parte di Steiner, ma non riesce a convincerlo. L'ultima importante scelta è quella di Anita Ekberg, la bellissima attrice svedese che rappresentava agli occhi del regista il simbolo della donna. L'attrice era da tempo protagonista delle cronache rosa italiane. Le riprese del film diventano meta continua di visitatori, di curiosi, fino ad entrare nella vita mondana della città. L'atmosfera festaiola raggiunge il culmine durante le riprese del bagno della Ekberg nella fontana di Trevi. Per girare quella scena furono necessarie otto o nove notti durante le quali i proprietari delle case che davano sulla piazza affittarono ai curiosi balconi, finestre e terrazzi. L'entusiasmo per l'attrice svedese è tale che, durante un esterno a Tor di Schiavi, scoppiano tumulti quando la folla accorsa scopre che non prende parte alle riprese. Dopo aver visionato l'immenso materiale girato Fellini appronta una copia campione che viene vista solo dai due produttori: Rizzoli e Amato. I due sconvolti sembra che abbiano telefonato nel corso della notte al presidente della Titanus, Lombardo, per cercare di svendere il film. Si giunge così all’anteprima romana presso il cinema Fiamma. Alla conclusione venti secondi di applausi e qualche isolato fischio. L’attenzione passa a Milano dove la serata di presentazione è fissata per il 5 febbraio 1960 al cinema Capitol. Sul film, intanto, pende la spada di damocle della censura, particolarmente attiva in quell'anno come dimostrano i brutali tagli apportati a Rocco e i suoi fratelli di Visconti. Tutto, però, fila liscio in quanto ancora una volta l'intervento di padre Arpa ha consentito di superare i veti. La pellicola viene mostrata al cardinale Siri che concede il suo benestare, il gesuita invia allora una lettera a Gronchi in cui si riporta il giudizio di Siri, subito dopo la censura dà il suo permesso classificando l'opera sotto la dicitura "adulti con riserva". La prima milanese è un disastro. Il pubblico, prevenuto dalla campagna scandalistica montata precedentemente, si agita e rumoreggia. Alla fine solo qualche applauso convinto e molte grida di protesta. Qualcuno apostrofa Mastroianni come comunista, una persona sputa addosso a Fellini. 62 Guardare cinema vedere storia La stampa segue passo passo le vicende del film. Il 5 febbraio, vigilia dell'uscita dell'opera nelle sale, molti quotidiani commentano La dolce vita grazie alla visione riservata per i critici avvenuta il giorno prima. I commenti sono tiepidi ma sufficientemente positivi. Tommaso Chiaretti è convinto che il crepuscolarismo è la vera strada poetica di Fellini che "altrove aveva imboccato male, dalla parte del misticismo, cioè, dalla parte cieca." Ma anche al critico del Paese appare evidente che ci si trova di fronte ad "una delle opere più nuove e, in un certo senso, rivoluzionarie del cinema mondiale degli ultimi anni". L'eccezionalità dell'avvenimento è colto da tutti i cronisti. Su La Nazione del 6 febbraio si dice, riferendosi al neologismo derivato da I vitelloni, che "l'espressione La dolce vita ha avuto un'accoglienza ancora più immediata: la si usa oralmente e per iscritto già da mesi, e il film di Fellini non è uscito che ieri." Il giornalista la definisce "una delle tre o quattro opere più forti del cinema italiano." Comunque l'anteprima milanese ha confermato le pessimistiche previsioni per l'esito del film, il più costoso mai prodotto in Italia. Il 6 febbraio Fellini si reca a pranzo senza farsi illusioni per gli incassi della giornata. Quando fa ritorno al Capitol si trova davanti ad uno spettacolo imprevedibile. La folla ha sfondato le porte del cinema, tutti vogliono vedere il film prima che venga sequestrato e quelli che non riescono ad entrare protestano calorosamente. È l'inizio di un trionfo che porterà La dolce vita ad essere il campione d'incassi del 1960 con oltre 2 miliardi di ricavato, una cifra che, rivalutata al 1993, supera i 58 milioni di €. Le reazioni non si fanno attendere. La prima interrogazione parlamentare è del 9 febbraio da parte di un deputato missino che stigmatizza "l'offesa palese alle virtù e alla probità della popolazione romana e la banale canzonatura dell'alta missione di Roma quale centro del cattolicesimo e di antiche civiltà." A questa interrogazione ne fanno seguito altre. Lo stesso giorno ha inizio la campagna denigratoria de L'Osservatore Romano che in un corsivo senza firma (opera forse del suo direttore il conte Della Torre) intitolato "Basta!" afferma che: "il male, il delitto, il vizio ostentato sugli schermi, sviscerato nella sua psicologia [..] è incentivo al male, al delitto, al vizio; ne è propaganda". L'articolo prosegue con un violento attacco alla critica che ha lodato il film e conclude con un appello, richiamando al loro dovere i pubblici poteri "cui compete e la sanità del costume, e il rispetto al buon nome di un popolo civile". La reazione del quotidiano vaticano è l'espressione dell'intervento della parte più retriva del mondo ecclesiastico che si esprime in varie circostanze. Dopo l'intervento di padre Arpa presso il cardinale Siri, di cui abbiamo detto, sembrava che tutto fosse chiarito. Il film dalla categoria 63 Giovanni Scolari "vietato per tutti" era passato in quella "adulti con riserva"; inoltre era stato proiettato presso il centro culturale S. Fedele, gestito dai gesuiti, dove era stato accolto con grande interesse; Arpa era, infine, riuscito a fissare un incontro tra Fellini e il cardinale Montini, il futuro Paolo VI. Il 9 febbraio esce l'articolo già citato: è il segnale che la cosiddetta "nobiltà nera" del Vaticano, la componente più reazionaria del mondo ecclesiastico, ha ripreso il controllo della situazione. Immediatamente la stampa cattolica si adegua. Il CCC riporta il film nella categoria delle pellicole "escluse per tutti". L'intervento diretto della Segreteria di Stato Vaticana ha, dunque, probabilmente costretto Siri a togliere la sua approvazione all'opera di Fellini. Anche Montini annulla l'incontro previsto con il regista romagnolo. Il film viene poi attaccato dalla Giunta Araldico-Genealogica del Corpo della Nobiltà Italiana, che deplora il conte Odescalchi per aver affittato il Castello di Bassano di Sutri e i nobili che figurano nel film come comparse. Alcuni di loro affermano di essere stati imbrogliati dal regista. Fellini risponde in una conferenza stampa a Firenze affermando di non aver ingannato nessuno e che tutti erano a conoscenza della parte. Le polemiche non sono ancora finite. Un lettore del foglio vaticano invita le autorità competenti a incriminare Anita Ekberg per uso abusivo dell'abito talare a causa di un costume di scena. L’enorme successo della pellicola spinge gli ambienti ecclesiastici a rincarare la dose contro Fellini e chi all'interno della Chiesa osa appoggiarlo. Se le proteste di alcuni parlamentari non ottengono risultati in quanto il governo, per bocca del sottosegretario Magrì, non prende provvedimenti; durissima è la repressione nel mondo religioso. L'Osservatore Romano affida gli attacchi alla pellicola a otto articoli che ribattezzano il film La Schifosa vita. In uno di questi, pubblicato il 10 marzo, Cinecittà diventa la città dantesca di Dite e si spiega come la vera arte "è chiara, schietta, non induce in equivoco [...] è l'arte su cui non s'affatica, non si contorce la distinzione tra l'artista che indulge al male, sino a compiacersene si da incitare altrui al delitto, e l'artista che invece vi insinua tutto il proprio sdegno per sdegnare gli altri." Concordemente il resto della stampa cattolica ammonisce i fedeli a non vedere la pellicola seguendo i precetti religiosi. Questi articoli aggrediscono in modo particolare due gesuiti: padre Angelo Arpa e padre Nazareno Taddei. A padre Arpa, vittima degli strali dell'Osservatore Romano, viene imposto un anno di silenzio. La vicenda di padre Taddei è significativa. Taddei, critico molto apprezzato, è uno dei responsabili del Centro San Fedele e del periodico, ad esso collegato, Letture, che pubblica nel mese di marzo una sua valutazione de La dolce vita. L'articolo esprime una valutazione complessivamente positiva del 64 Guardare cinema vedere storia film anche se "è da destinare a visioni limitate o almeno a persone opportunamente preparate". Come si vede il giudizio si allinea alla posizione espressa inizialmente dal CCC. Nonostante ciò, le reazioni sono furibonde. Su Scena Illustrata ci si stupisce che padre Taddei non capisca che il film raggiunge finalità comuniste. Secondo il giornalista La dolce vita e la stampa che difende la pellicola costituiscono "un ulteriore e efficace contributo a far dilagare il male" in quanto, prosegue, è facile intuire che le masse sono attratte da "dannosi e morbosi compiacimenti". L'Osservatore Romano rincara la dose affermando che: "Si dice che l'autore di codesta fatica sia un religioso. Ma se ne dicono tante!" Gli attacchi continuano attraverso le massime autorità ecclesiastiche. Al Centro S. Fedele giunge, anche una lettera del cardinal Montini in cui si dice: "sono costretto a deplorare l'esaltazione che il rev. Taddei fa del film La dolce vita. La sua apologia rompe l'argine del nostro popolo alla dilagante immoralità delle scene". Alla reprimenda fa seguito una chiarificazione che Letture pubblica nel luglio dello stesso anno e i provvedimenti punitivi nei confronti di padre Bressan, direttore del periodico, che viene trasferito e di padre Taddei, spedito all'estero. Nel frattempo il film è giunto al XIII Festival di Cannes dove è in concorso. La giuria, presieduta da Georges Simenon, lo premia con la Palma d'oro. L'Oscar per il miglior film straniero va, invece, ad appannaggio di un'opera di Bergman. L'ambita statuetta viene vinta, però, da Piero Gherardi per la migliore scenografia. Tuttavia, l'impatto del film è talmente forte che riesce a modificare il linguaggio facendo entrare nei vocabolari di tutto il mondo neologismi come dolcevita e paparazzo. L'ultima fatica felliniana scontenta anche molta parte della cinematografia italiana scesa in campo a fianco dell'autore riminese più per reazione verso la campagna moralizzatrice che per reale solidarietà. Oltre a Rossellini, altri due maestri del cinema italiano lasciano trapelare la loro insofferenza con frasi significative. De Sica considera Fellini un regista geniale ma ritiene che non sia mai riuscito a liberarsi "da un modo di vedere le cose un tantino cafone." Di Visconti si riporta una dichiarazione in cui afferma che i nobili di Fellini erano i nobili visti dalla sua donna di servizio. Pinelli ricorda anche furiose discussioni con il regista Pietro Germi che disapprovava La dolce vita. Ancora nel dicembre del sessanta Flaiano scrive che spesso incontrava qualcuno che gli rimproverava di aver collaborato a mostrare Roma come una sentina di vizi. È evidente che Fellini ha toccato un nervo scoperto della Roma di quegli anni che stava vivendo un periodo di splendore mascherando “una certa putrefazione o perlomeno un'inquietudine." Non sorprende quindi l'alzata di scudi dopo l'uscita del film. 65 Giovanni Scolari Invece, molti episodi proposti nella Dolce vita sono tratti da avvenimenti realmente accaduti. Il via vai di attori, artisti e personaggi del jet-set in via Veneto era foriero di aneddoti facilmente traducibili sul grande schermo. Sono infatti gli anni della famosa "Hollywood sul Tevere". L'inizio di questa pacifica e fruttuosa invasione si può datare con la produzione di Quo Vadis (1952). L'afflusso continuo dei capitali statunitensi porta le stelle del firmamento cinematografico a Roma. Le avventure sentimentali delle dive riempiono le colonne dei giornali scandalistici. Il punto più alto e, allo stesso tempo, l'inizio del declino dei paparazzi vengono raggiunti con la relazione tra Richard Burton e Elizabeth Taylor sul set di Cleopatra. Lo sfruttamento esacerbato del legame amoroso dei due attori causa una caduta di interesse nel pubblico mentre i finanziamenti americani tornano in patria dopo che Hollywood è riuscita a superare la crisi produttiva che l'aveva colpita. Oltre alle baruffe tra divi, gli altri argomenti prediletti dalle riviste scandalistiche sono la cronaca nera e gli episodi di fanatismo religioso. Chi immortalava tutto ciò era il fotoreporter che da questo film in poi assumerà il nome di uno dei personaggi: Paparazzo. L'origine del neologismo è, come al solito, difficile da definire. Il cognome è probabilmente la corruzione del termine papataceo che sta ad indicare una fastidiosa zanzara. Flaiano afferma, invece, di averlo trovato in un libro di Gissing. La spasmodica attenzione verso la cronaca nera è probabilmente causata dalla censura esercitata durante il ventennio fascista su episodi di questo genere. Calato il velo di silenzio, i giornalisti si sono gettati su questi tragici fatti. Il primo importante fatto di cronaca del dopoguerra avviene nel novembre ‘46 quando una giovane commessa trucida a Milano la moglie e i tre figli dell'amante. Ma i casi di delitti efferati sono, purtroppo, un’ineluttabilità del quotidiano. La cronaca si interseca anche alla politica. È il caso della morte di Wilma Montesi, il cui cadavere viene rinvenuto sul lido di Ostia l'11.4.53. Dopo una prima inchiesta che attribuisce la morte ad un malessere, la stampa svela che la Montesi è deceduta durante un'orgia a cui aveva partecipato uno dei figli di Attilio Piccioni, esponente della DC. Il processo amplifica l'attenzione dell'opinione pubblica in un crescendo di colpi di scena che portano il capo della polizia a dimettersi e compromettono definitivamente Piccioni stesso. La campagna-stampa della sinistra viene bloccata da Scelba che, grazie alla polizia, riesce a trovare le prove che uno dei più implacabili accusatori comunisti amava assistere alle esibizioni erotiche dell’anziana moglie con dei giovani. 66 Guardare cinema vedere storia L'episodio dell'omicidio-suicidio di Steiner è dunque una brutale realtà, un’anticipazione di quanto Pinelli definisce come la disperazione della felicità. Efficace la ricostruzione di un certo tipo di giornalismo, di cui Marcello è rappresentante, che vive di insinuazioni e pettegolezzi. Il cosiddetto "bel mondo" faceva di tutto, poi, per facilitare questo lavoro con una serie di scandali, molti dei quali sono stati inseriti nel film. Tre episodi sono esplicitamente citati. Il primo risale al 1957 quando Pierluigi Praturlon, uno dei fotoreporter che servirono da modello per Paparazzo, immortala Anita Ekberg mentre fa il bagno in Fontana di Trevi in un servizio fotografico che fa il giro del pianeta. La Ekberg è protagonista delle cronache rosa anche per le violente scenate con il marito Anthony Steel. Un altro fotografo, Tazio Secchiaroli, viene picchiato due volte nel corso della stessa giornata prima da Farouk, re d'Egitto, e poi da Anthony Franciosa, fidanzato di Ava Gardner. Altro fondamentale episodio ispirato alla realtà è quello dello spogliarello finale che richiama lo strip-tease improvvisato dalla ballerina turca Aiché Nanà in un famoso ristorante romano nel novembre del '58. Questa serie di scandali, riportati con dovizia di particolari dalla stampa, diventano addirittura argomento di discussione al Parlamento. Nell'estate del 1958 l'On. democristiano Brusasca chiede che sia vietata la diffusione di notizie riguardanti i divi e le loro storie d'amore in quanto bisogna far fronte "alle gravi conseguenze delle morbose curiosità, delle egoiste insofferenze, della svalutazione dei doveri coniugali e soprattutto del tradimento degli obblighi verso i figli che stanno diffondendosi tra il nostro popolo". L'ultima fatica felliniana ingloba in sé gran parte dell'Italia del sessanta fino ad essere la descrizione, quasi psicanalitica, dei fasti e di alcuni rituali tipici della società romana e, di riflesso, dei sogni e delle illusioni dell'intera nazione. Eppure il nucleo di questo film è già oltre. Fellini, conscio della trasformazione del senso morale in atto, intravede i pericoli e le storture di questo sviluppo e li indica senza indugi, con sincerità. Via Veneto, raggiunto il suo culmine, comincia a sfiorire. La Hollywood sul Tevere tramonta, i divi si ritrovano in altri luoghi, i night club lentamente spariscono. Dice Flaiano: "Via Veneto è sempre più irriconoscibile , travolta ormai dalla sua stessa fama, lasciata ai turisti, ai facili incontri e al cinematografo. Gli intellettuali hanno seguito i pittori a piazza del Popolo, topograficamente difesa dagli assalti della moda.....". Quando si parla di anni sessanta, ricorre la definizione di Boom economico. Si scopre, invece, che la sensazione del benessere è causata da 67 Giovanni Scolari fenomeni che, sviluppatisi in precedenza, raggiungono il loro culmine tra il '58 e il '63. In questo periodo si registra, infatti, il raggiungimento della piena occupazione (3% nel 1962), la progressione costante dei salari e la notevole impennata dei consumi privati. Tuttavia lo sviluppo economico non solo non è stato supportato da un’offerta aggiuntiva di servizi (casa, scuole, ospedali), ma ha avuto profonde ripercussioni sul piano sociale. Inoltre, l'incremento dei consumi risponde a bisogni ed esigenze materiali e non ad una crescita dell'utilizzo di beni superflui. Nel 1962, infatti, la spesa per commestibili è ancora pari al 47,5% delle uscite complessive della famiglia italiana (con il tabacco, il 51,4%). Le abitudini alimentari subiscono, invece, profonde modifiche. I cereali secondari (orzo, segala, mais, avena) vengono sostituiti dal pane bianco e dalla pasta di grano duro; i legumi perdono il requisito di piatto-base per divenire semplici contorni. È la carne a divenire l'alimento quotidiano degli italiani. Vittorio Valletta (amministratore delegato della FIAT) diceva, nel 1961, che le cose sarebbero andate bene fino a quando gli italiani non avessero raggiunto il benessere detenuto dagli altri popoli occidentali. Il miracolo era per lui, come ebbe occasione di dichiarare l'anno seguente, solo il raccorciamento di distanze rispetto alle posizioni più avanzate dell'Occidente Europeo. Rimanevano, infatti, serie questioni da risolvere come lo squilibrio esistente tra il nord e il sud aggravato dalla fortissima emigrazione verso le regioni più industrializzate. È vero che tra il '56 e il '60 gli investimenti sono consistenti anche nel Mezzogiorno (poco più del 43% del totale), ma non toccano i problemi strutturali che sono alla radice delle difficoltà economiche del meridione. I problemi non fermano l'avanzata economica della nazione. Tra il '58 e il '63 il tasso di crescita annuo del prodotto interno lordo è del 6,3 per cento, gli investimenti in macchinari e impianti industriali aumentano del 14% all'anno, la produzione industriale viene raddoppiata. Determinante per lo sviluppo economico italiano è anche il Mercato Comune Europeo nato nel 1957 a Roma. L'esportazione verso i paesi del MEC, facilitata dal basso costo della manodopera che permette prezzi concorrenziali, passa dal 23% del 1953 al 29,8 del 1960, ad oltre il 40,2% nel 1965. Il miracolo economico porta con sé anche il consumismo il cui veicolo di diffusione è la pubblicità che, in forma limitata, fa la sua apparizione anche sui teleschermi. Nasce il 3 febbraio 1957, Carosello che diventa immediatamente un appuntamento fisso nelle case degli italiani. Si impongono mode ispirate ai nuovi idoli giovanili che fanno della ribellione motivo di vita. 68 Guardare cinema vedere storia Nel momento di massima forza economica è riscontrabile una situazione di tensione a livello istituzionale. Mentre il mondo respira aria nuova con il papato di Giovanni XXIII e l'avvento di Kennedy, insieme alla politica più umana, pur con molte cadute, di Krusciov, l'Italia non riesce a trovare un governo stabile. Papa Giovanni non svolge, come il suo predecessore, una politica sotterranea per impedire l'avvicinamento tra socialisti e democristiani anche se non lo favorisce. Il percorso che porta al centro sinistra è però notevolmente tormentato. Il tentativo di inizio legislatura di resuscitare il quadripartito fallisce. In una parte della DC si fa largo anche l'idea di un accordo con le destre. Questa ipotesi viene rafforzata dalla caduta del governo Fanfani, che si dimette anche da segretario della DC, nel gennaio '59. Era proprio Fanfani, infatti, ad insistere per l'apertura ai socialisti. Il congresso elegge nuovo segretario Moro che congela ogni possibile svolta clamorosa. Si arriva così alla primavera del ‘60 quando, all'ennesima crisi, il presidente della Repubblica Gronchi nomina Fernando Tambroni, esponente di secondo piano della DC, Presidente del Consiglio. Tambroni, a capo di un monocolore ancora più debole dei precedenti, ottiene la fiducia solo grazie al voto delle destre. Il voto costringe Tambroni a rassegnare le dimissioni, ma Gronchi decide di riproporre lo stesso esecutivo con lievi modifiche. Tambroni ottiene una risicata fiducia. Ancora una volta essenziale è l'apporto del MSI che, dopo pochi mesi, chiede, e ottiene, il permesso di tenere il proprio congresso a Genova, città medaglia d'oro della resistenza. La decisione provoca la reazione delle forze antifasciste che scendono in piazza. Dal capoluogo ligure la contestazione si estende a tutta Italia. Gli scontri con la polizia provocano una decina di morti. In Parlamento si assiste ad un durissimo scontro. Tambroni è costretto a dimettersi e lascia il posto al redivivo Fanfani che forma un governo centrista con una variante significativa: l'astensione del PSI. L'accordo tra socialisti e democristiani era visto come una iattura da una buona fetta dell'opinione pubblica. Molta preoccupazione mostra la chiesa che non accetta l'idea di una collaborazione con un partito di ispirazione marxista. Nel ‘59 il cardinale Ottaviani critica duramente Fanfani e nel maggio del '60 giunge dalle colonne dell'Osservatore Romano la condanna dell’apertura ai socialisti. Giovanni XXIII si muove, invece, saggiamente e con l'enciclica Pacem in terris giunge alla distinzione tra l'errore e l'errante. Rimane la condanna del marxismo come dottrina filosofica, ma poiché le dottrine restano ed i movimenti che ne derivano possono mutare sensibilmente, "il pericolo di dialogare con l'errore non sussisterebbe più". Un’affermazione di questo tipo non poteva non essere che un, sia pur velato, assenso alla politica del centro-sinistra. 69 Giovanni Scolari Contrariamente alle grandi aspettative, gli anni sessanta iniziano sotto il segno degli scontri di piazza, dal risvegliarsi delle lotte sindacali, del lavoro sotterraneo dei servizi segreti. Le speranze suscitate da Papa Giovanni XXIII e da Kennedy muoiono con loro anche se i due personaggi rimangono impressi nella memoria collettiva degli italiani. I due personaggi avevano svolto il loro compito circondati da un affetto inusuale in quanto entrambi rappresentavano il volto umano del potere. La loro morte coincide con il ritorno alla realtà, il miracolo economico si esaurisce. 70 Guardare cinema vedere storia BIBLIOGRAFIA Fonti scritte Annuario SIAE, Anni: 1994 Annuari ISTAT, Anni: dal 1948 al 1963 "L'Arena", Anni: 1995 "L'Avanti", Anni: 1957/'59/'60/'62/'63/'64 "Corriere della Sera", Anni: 1957/'61/'62/'63/'95 "Giornale del mattino di Firenze", Anni: 1960 "Il Giorno", Anni: 1956/'57/'58/'60/'62/'63/'64 "Il Messaggero", Anni: 1962 "La Nazione", Anni: 1956/'60 "La Notte", Anni: 1957/'58/'59/'61/'62/'63/'64 "L'Osservatore Romano", Anni: 1960 "Paese sera", Anni: 1955/'60/'63 "Il Paese", Anni: 1960 "Il Popolo", Anni: 1959/'62/'63 "Il sole 24 ore", Anni: 1987 "Il Tempo", Anni: 1955/'60/'63/'64/'95 "Il Tirreno", Anni: 1960 "L'Unità", Anni: 1957/'60/'62/'63/'64/'65/'66 Fonti filmiche Amarcord, regia di F. Fellini, 1973 L'amorosa menzogna, regia di M. Antonioni, doc., 1949 Bellissima, di L. Visconti, 1951 Il bidone, regia di F. Fellini, 1955 La dolce vita, regia di F. 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