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guardare cinema - Università degli Studi di Brescia

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guardare cinema - Università degli Studi di Brescia
Giovanni Scolari
GUARDARE CINEMA
VEDERE STORIA.
L’USO DEL CINEMA
COME DOCUMENTO STORICO
DSS PAPERS STO 03-07
Guardare cinema vedere storia
L’oggetto dell’analisi non è l’opera,
ma il problema inventato dall’uomo.
J. Aumont
Il cinema e la storia (intesa come disciplina di studio) vivono un
rapporto difficile, talvolta contrastato. Molto dipende dalla loro stessa
natura che impedisce di trovare punti d’accordo e chiavi interpretative che
abbiano il medesimo significato in entrambe le categorie.
Nella scuola, poi, questo rapporto diventa addirittura ambiguo perché
i destinatari del materiale proposto hanno dentro di sé già codificato un
messaggio cinematografico spessissimo in contrasto con i mediatori e con
la comunicazione che essi intendono trasmettere. Esiste, quindi, nel
destinatario un codice preesistente che tende a deformare la conoscenza
degli avvenimenti storici, in contrasto con le distorsioni recepite, talvolta,
anche dallo stesso docente.
Se si cerca, infatti, di spiegare agli studenti di qualsiasi livello la
condizione della donna dal medioevo ad oggi, essi tenderanno a ragionarla
nei termini che gli sono stati restituiti dalle esperienze quotidiane e dal
valore che alla donna è dato dalla società contemporanea. Ancora più
importante sarà l’influsso delle fiction viste anche se propongono modelli
in contrasto con la realtà effettiva del periodo.
Infine, per esigenze drammaturgiche il cinema tende a semplificare
gli avvenimenti saltando intere fasi storiche, eliminando o inserendo
personaggi che servono per rafforzare il climax narrativo.
I documenti storici, quindi, subiscono l’onta della cancellazione nella
memoria collettiva che di epoca in epoca, di generazione in generazione si
trasforma deformando inevitabilmente quanto si sta studiando e spiegando.
Certo, questo presupposto non aiuta ad affrontare le tipiche domande
che si pone un insegnante che decide di utilizzare il materiale filmico per
restituire una parvenza di verosimiglianza al racconto storico. Anzi, per
certi aspetti complica la vita, induce a ritornare sul più confortevole libro
che spiega la storia secondo criteri a lui noti e tranquillizzanti per la
classica lezione frontale. Tuttavia, la conoscenza di questi problemi è il
punto di partenza per iniziare un percorso di approfondimento che fornisca
la chiave di volta per giungere al disvelamento della fiction nella storia.
È necessario ricominciare, ove possibile sgombrando la mente dai
pregiudizi e dal proprio gusto personale, a “conoscere” il cinema non più e
non solo come forma d’intrattenimento, ma anche come mezzo tecnico e di
informazione. Bisogna spogliarsi delle sovrastrutture ideologiche per avere
uno sguardo il più obiettivo possibile nell’analisi della fiction e di tutti gli
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aspetti ad essa connessa. Il cinema, infatti, non si esaurisce solamente
nell’atto della visione, limitata al contesto socio-culturale del momento,
influenzata dall’emotività degli avvenimenti.
Detto questo, come si fa a rendere comprensibile la storia? Con quali
modalità ci si deve avvicinare al film per spiegare la realtà a cui esso si
riferisce? Con quali mezzi si integra il documento storico con la visione
della fiction?
Sono quesiti giusti che tengono conto non solo della complessità del
materiale che si propone, ma anche della platea eterogenea che spesso
cerca (in quanto abituata a farlo) solo film di intrattenimento in cui tutto è
spiegato, senza lasciare libertà di interpretazione allo spettatore.
Si deve, perciò, andare per gradi, crearsi una preparazione tecnica di
base credibile partendo dalla conoscenza del mezzo cinematografico per
poi passare ad un modello di studio capace di ridurre l’analisi del film
all’interno dell’unità di approfondimento che si intende sviluppare. Come
dice Pierre Sorlin “Il primo scopo è abituare gli uditori a guardare quello
che si vede sullo schermo”.
LA PRODUZIONE
Cominciamo dalla realizzazione del film dividendolo in diversi
momenti e tenendo conto che non tutte le nazioni hanno lo stesso
procedimento produttivo. Ci serviremo, quindi, dei modelli ricorrenti in
Italia e negli Stati Uniti, utilizzando l’Italia come esempio per la
produzione europea.
In Italia il progetto del film è quasi sempre concepito dal regista;
infatti la cifra stilistica del cinema europeo è quella autoriale. Il regista è
l’artista, intorno al quale ruota tutto il film. L’eccezione è data dall’attore
così affermato da determinare le regole del gioco. Nel primo caso rientrano
i grandi autori della storia del cinema italiano e quelli ancora in attività.
Nel secondo, invece, si affermano le maschere comiche che talvolta
possono giocare il doppio ruolo di attore-regista, in altre circostanze si
costruiscono un gruppo di tecnici fedeli e affezionati da cui si sentono
valorizzati.
Gli autori e gli attori si legano, in generale, ai pochi produttori che
l’Italia offre per realizzare le loro opere. Fuori da questo circolo virtuoso
c’è un anonimato che vive di enormi difficoltà distributive. La difficoltà
più grande per un cineasta non è, infatti, trovare i soldi per realizzare un
film, ma avere canali che lo facciano conoscere e apprezzare dal pubblico.
Diverso è, invece, il discorso che riguarda gli Usa. Hollywood è una
vera e propria industria in cui dominano le case produttrici che, disponendo
di enormi risorse economiche, impongono regole e tempi. In questo caso è
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Guardare cinema vedere storia
il produttore che sceglie la storia, il regista e gli interpreti; dopo di che
affida il tutto ai suoi potenti apparati comunicativi che cercano di
trasformare il film in un evento mediatico, capace di attirare pubblico. Se
per l’Italia, perciò, la quasi totalità dei finanziamenti vanno nella sola
produzione, Hollywood investe molta parte del budget anche nel
pubblicizzare la pellicola.
Questa introduzione può sembrare fuorviante, rispetto al tema
proposto, ma non è così. Ogni film non è un luogo a sè, ma è figlio
dell’apparato produttivo che l’ha generato. Non è la stessa cosa sapere se
un’opera è stata realizzata durante un particolare periodo politico, sapere se
un film è stato concepito su finanziamenti statali, piuttosto che da una
singola parte politica. Non è la stessa cosa sapere se la censura ha giocato
un ruolo determinante nella stesura della sceneggiatura.
Esistono, poi, altri aspetti quali quelli della distribuzione. Infatti, le
pellicole non vengono fornite direttamente alla sale cinematografiche dalla
casa di produzione, ma devono passare attraverso i distributori che hanno il
contatto con gli esercenti sparsi per il territorio. Il distributore diventa una
figura indispensabile quando il film proviene da una nazione diversa; in tal
caso la casa produttrice si affida a lui per garantire incassi che completano
la prima parte degli introiti di una fatica cinematografica. È determinante
quando influenza, ad esempio, il doppiaggio, oppure censura o varia il
manifesto od i trailer che pubblicizzano il film. È accaduto varie volte in
passato, infatti, che il distributore facesse modificare dialoghi per motivi
politici. Nella versione originale di Casablanca (1942) Bogart aveva
partecipato nel ’36 alla resistenza antifascista in Etiopia; nella copia
italiana tale riferimento fu eliminato. In quell’occasione non si volle
turbare il popolo italiano che, uscito sconfitto dalla guerra, voleva mettersi
rapidamente alle spalle il ventennio fascista.
LA SCENEGGIATURA
Il film è anche testo scritto: la sceneggiatura. Per alcuni autori il testo
scritto era difficilmente modificabile in quanto in fase di stesura tutto era
stato previsto minuziosamente; per altri come Fellini la sceneggiatura era
un canovaccio totalmente manipolabile in sede di ripresa.
Per arrivare alla sceneggiatura ci sono alcuni passaggi. Nella prima
fase si elabora un soggetto, cioè un racconto breve che comprende la
trama, i personaggi, lo spazio e il tempo della narrazione. Dopo si passa ad
un trattamento, ovvero l’elaborazione più accurata dell’opera
cinematografica in cui viene predisposta una scaletta comprendente le
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sequenze in cui è diviso il film. Nel trattamento i caratteri dei protagonisti
sono delineati compiutamente.
Lo stadio successivo è, infine, la sceneggiatura detta anche copione.
La sceneggiatura è divisa normalmente in due parti: nella prima sono
dettagliati i movimenti della macchina da presa, annotazioni sul clima,
ambiente e paesaggio, i gesti e le azioni degli attori; nella seconda sono
riportati i dialoghi ed i rumori, talvolta anche la musica quando essa è parte
integrante della scena.
IL LINGUAGGIO DELLE IMMAGINI
Se il testo scritto rappresenta un punto di partenza importante, diverso
è il linguaggio delle immagini che richiede una conoscenza meno legata ai
significati più evidenti. Come in un componimento letterario lo scrittore
utilizza un particolare stile narrativo, anche il regista può optare per
differenti inquadrature. Le immagini, infatti, parlano una loro particolare
lingua che risponde a regole meno note, ma indispensabili per
comprendere appieno il cinema e le sue forme.
L’ immagine
È composta da alcuni aspetti quali l’inquadratura, la composizione
figurativa, i campi e i piani, l’angolazione.
L’inquadratura è il campo visivo inquadrato dalla macchina da presa
in cui deve essere evidenziato lo spazio scenografico ed umano
rappresentato nella pellicola.La composizione figurativa è la disposizione
dei volumi all’interno della inquadratura stessa. I campi e i piani sono
determinanti per la comprensione di ogni singola scena.
I campi considerano la descrizione degli ambienti. I piani riguardano
le tecniche di ripresa degli attori. L’ambiente lascia il posto ai risvolti
psicologici e drammaturgici dell’azione. Servono a sottolineare
l’espressione, il dialogo, il sentimento.
Anche l’angolo di ripresa è importante. Alla ripresa frontale, classica
e rassicurante, si possono e si devono alternare altri tipi di ripresa (laterale,
diagonale, dal basso o dall’alto) a seconda delle esigenze narrative e del
messaggio che si vuole insinuare nello spettatore
Il montaggio
Come si giunge alla forma finale del film? Dove si fanno le scelte su
quale tra i ciak girati va inserito nella copia finale, oppure in quale ordine
vanno disposte le riprese effettuate da diverse angolazioni? Ed infine come
dare unità al significato complessivo dell’opera cinematografica?
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Guardare cinema vedere storia
Tutto questo avviene con il montaggio, il lavoro di assemblaggio
delle migliaia di metri di pellicola girata. I computer hanno velocizzato le
procedure ma il lavoro del montatore non è, per questo, meno delicato e
significativo: dalle sue mani esce il prodotto finale che viene mandato alla
stampa, il risultato complessivo dell’opera di decine, centinaia, di persone.
Il montaggio, per fare un parallelo con la grammatica, trova riscontro
con la sintassi del discorso e come tale va considerato. Con il montaggio si
può proporre anche un significato narrativo al film, conseguendo effetti
rimarchevoli ai fini della chiarezza del racconto.
Il montaggio non si esaurisce in se stesso, ma crea correlazioni più
importanti poiché dà vita dando origine ad una realtà inesistente, attraverso
un ritmo psicologico e narrativo.
Quando si riuniscono due scene attraverso il montaggio si induce il
pubblico a fare dei collegamenti che non esistono in natura, spingendolo
anzi a dare un’interpretazione soggettiva a quanto visto. Se mostriamo in
successione l’immagine di un uomo che spara verso destra e subito dopo
un altro che risponde al fuoco da sinistra, lo spettatore trarrà
immediatamente la conclusione che i due stanno cercando di colpirsi da
grande distanza. Sarà, quindi, spinto a dare un significato all’accostamento
senza aver visto materialmente ciò che sta accadendo. Non esiste, infatti, in
nessuna delle inquadrature l’atto in sé; inoltre, le due scene potrebbero
essere state girate in momenti assolutamente distinti senza che esista alcun
rapporto effettivo. L’esempio citato è tratto da Una pallottola spuntata,
film demenziale in cui una terza immagine mostra i due che si sparano da
pochi centimetri, mancandosi sempre, in modo da creare un effetto comico
irresistibile
Il montaggio è, quindi, di per sé ingannevole.
Inoltre, il cinema dà vita a realtà inesistenti. Il tempo cinematografico
non è mai reale poiché si dilata, a seconda delle esigenze narrative. Quante
volte abbiamo visto sullo schermo un eroe che cerca di impedire
un’esplosione interrompendo il timer a poco più di un secondo dalla fine?
E quante volte abbiamo osservato che il conto alla rovescia durava ben di
più dei secondi mostrati?
In altri casi il tempo si abbrevia. Un uomo compie un tragitto a piedi:
nel film la camminata dura pochi secondi, mentre in realtà il tempo
impiegato sarebbe molto superiore.
Anche lo spazio cinematografico è una pura finzione. Infatti, nella
raffigurazione dello spazio la cosiddetta “quarta parete” (dove è posta la
cinepresa) è solo immaginata dallo spettatore mentre i personaggi si
muovono su tre soli lati. Lasciamo stare, poi, la realtà virtuale costruita dai
computer. Se lo sfondo naturale di opere come Il signore degli anelli, è
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spesso reale, lo stesso non si può dire degli innumerevoli dettagli aggiunti
dai tecnici degli effetti speciali.
Infine, lo spazio diventa entità fittizia quando ci mostra, ad esempio,
un’autovettura che parte e subito dopo giunge in un luogo. Il montaggio ci
suggerisce un percorso che concretamente non è mai stato compiuto.
In ultima analisi il montaggio crea uno specifico ritmo del film
variando i fenomeni di moto, colore e composizione delle immagini,
secondo misure quali la diversa lunghezza delle inquadrature.
Ancora sull’immagine: bianco e nero e colore
Il Bianco e nero ha possibilità che permettono valori espressivi
particolari. In Schindler’s List: il colore avrebbe spento l’angoscia della
realtà dei campi di concentramento, distogliendo l’attenzione dello
spettatore dai dettagli che Spielberg voleva invece evidenziare. Le ombre
che tagliano violentemente lo schermo, i volti e i corpi fatti risaltare nei
loro tratti principali contrastano con l’unica macchia di colore (la bambina
ebrea) che scuote le nostre coscienze come quella di Schindler. In questa
circostanza si può dire che il bianco e nero si è “fatto colore”.
Anche il colore, tuttavia, possiede delle importanti peculiarità visive.
Normalmente ha una funzione descrittiva poiché riproduce esattamente la
realtà. Se, però, esaminiamo opere come Million dollar baby
comprendiamo che il colore viene spento per rendere meglio l’atmosfera
dolente che sovrasta tutti i personaggi. In questo caso il colore assume una
funzione narrativa, esprimendo cromaticamente le tematiche presenti nella
pellicola. Un’ultima categoria si può riscontrare nel registro più
propriamente espressivo, quando il colore dà all’immagine un significato
particolare che in se stessa non riuscirebbe a manifestare. La fabbrica di
cioccolato di Tim Burton è un prodotto esemplare per l’uso che il regista fa
del colore e delle sue possibili variazioni.
LA PSICOLOGIA NEL CINEMA
Lo spettatore vive di fenomeni psicologici che sono stati analizzati da
molti studiosi. Questi studi hanno evidenziato alcuni aspetti dell’esperienza
vissuta dal pubblico durante la proiezione.
La percezione e lo stato onirico
La luce proveniente dallo schermo non è costante, tuttavia lo
spettatore non si accorge della sua frammentarietà in quanto vive in uno
stato di passività inerziale. Appena seduto nella poltrona si rilassa,
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disponendosi alla visione. Pur essendo consapevole del carattere illusorio
delle immagini, tende a considerare quanto visto come una forma di realtà.
A questa dicotomia corrisponde una “distanza psicologica” che consente di
entrare o uscire dal film.
La visione cinematografica si distingue dalla visione televisiva perchè
vissuta in uno stato di torpore che ha molti punti di contatto con il sogno,
una sorta di effetto ipnoide che avviene senza che il soggetto se ne avveda.
La comprensione e la memorizzazione
In questi due fattori gioca un ruolo essenziale non il linguaggio
espresso dal film, ma la difficoltà dei soggetti di ricostruire l’azione
raccontata. Anzi, studi psicologici hanno mostrato come la problematica
più grande riguardi la ricostruzione dell’ambiente.
Nella memorizzazione, poi, si è notata una tendenza a “ristrutturare”
a posteriori quanto visto secondo una logica personale ed affettiva con una
conseguente notevole perdita di informazioni.
La partecipazione e l’identificazione
È il rapporto “empatico” che si stabilisce tra chi guarda e l’oggetto
che scorre sullo schermo. Chi assiste può restare indifferente, ma può
anche arrivare a riprendere, mimare le azioni del film in una “fusione”
realizzata su basi emozionali ed affettive. Grazie ad esperimenti effettuati,
si sono verificati nello spettatore non solo dei processi cognitivi comuni ai
personaggi, ma l’accelerazione della frequenza cardiaca e respiratoria,
nonché della tensione muscolare in corrispondenza di quanto avveniva sul
grande schermo.
In sostanza, il film genera una situazione percettiva che crea nel
pubblico la sensazione di vivere eventi reali, sensazione rafforzata dalla
ricchezza di stimolazioni del flusso delle immagini. Dopo di che si attua,
attraverso una serie di mappe cognitive che ognuno ha dentro di sé, un
processo di riconoscimento che vive della capacità dello spettatore di
ipotizzare e verificare ciò che accade nella narrazione.
CINEMA E TELEVISIONE
La televisione per Sorlin non ha non possiede la distanza critica della
fonte storica poichè si nutre di una visione permanente dell’avvenimento,
diversamente dal cinema. Inoltre, ha modificato in modo profondo il modo
di scrivere e percepire la storia grazie all’introduzione del testimone,
l’individuo comune che ha partecipato personalmente agli avvenimenti.
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Nella storiografia tradizionale, la testimonianza viene riassunta,
talvolta sintetizzata, vagliata nei suoi aspetti meno accertabili. In
televisione, al contrario, il testimone diventa protagonista assoluto grazie
alla gestualità, alla mimica facciale che lo pone al centro dell’attenzione,
portando lo spettatore ad un forte processo di identificazione e
comprensione; il quel momento lui è la Storia.
La televisione, poi, mette in crisi la classica narrazione storica - che
vive di argomentazioni complesse, di tesi analizzate con metodicità e
pazienza – prediligendo la sinteticità a discapito della profondità. Infine,
pur in presenza di televisori sempre più tecnologicamente avanzati, la
forma dell’immagine su grande schermo ed i colori perdono in profondità e
lucentezza nel passaggio dalla pellicola al piccolo schermo.
Tutte queste critiche hanno più di un fondamento, ma sono limitanti.
La diffusione di altre forme di media e l’avvento del satellite con i suoi
innumerevoli canali, ha consentito alla televisione di liberarsi della zavorra
politico ideologica per rivolgersi anche a prodotti di nicchia. Non è,
insomma, solo varietà, telegiornali e sport.
Certamente, questi aspetti prevalgono e l’immensità dei programmi
televisivi rendono difficile un lavoro completo. Tuttavia, come non notare
la maturità raggiunta da molte fiction statunitensi che trattano argomenti
scabrosi, in modo diverso e approfondito? E come non accorgersi
dell’abisso che le separa dagli omologhi italiani sovrapponibili per
interpretazioni, scrittura e tecnica di ripresa? Questa differenza può essere
oggetto di studio oppure è una semplice casualità?
E come si fa a scartare il linguaggio pubblicitario e dei videoclip che
ha formato molte delle nuove leve dei cineasti nostrani e stranieri dal
discorso sul cinema in particolare e sulla storia in generale?
Rimangono, quindi, alcune perplessità sul ragionamento di Sorlin.
Condivisibile è, invece, la considerazione che solo i film di finzione sono
in grado di costruire una storia totale, poiché “tutto è reinventato”. Sorlin
evidenzia che le limitazioni del cinema sono legate principalmente ad
aspetti politici (censura, ideologie) piuttosto che alle imposizioni dettate
dal mercato. Resta il documentario, ma Sorlin lo considera, a ragione,
fonte di elaborazione parziale. Quando, invece, si sofferma sulla fiction
televisiva ne ravvisa l’utilità come fonte storica in quanto ripropone gli
abiti, le abitazioni, i consumi degli italiani di quegli anni; tuttavia, non la
ritiene sufficientemente interessante poiché non esprime un punto di vista
generale. Manca, insomma, quella che lui definisce “lo spessore della
storia”.
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Sorlin dimostra che non esiste un’unica via allo studio del cinema
come fonte storica, ma diverse strade che possono portare a risultati
comuni e altrettanto importanti.
IL MODELLO STORICO
“Ogni immagine è bella perché è lo splendore del vero” diceva Jean
Luc Godard (1959) a proposito di India di Roberto Rossellini. Lo
splendore del vero richiama il concetto di realtà, intesa come il
prolungamento dell’esperienza che noi abbiamo del mondo nell’immagine,
insomma la verità delle cose. Il cinema diviene, così, storia.
In questo senso, può venire interpretato in diversi modi. È oggetto di
una propria storia, ma anche strumento didattico, fonte ed agente storico.
Per questo motivo, in primo luogo, bisogna operare una distinzione tra film
storico e fonte storica.
Quando una pellicola parla di un periodo ormai passato si usa
definirla film storico in quanto tenta di ricostruire l’evento utilizzando fonti
documentali (libri, atti, manifesti, diari ecc.) ed iconiche (quadri, stampe).
Se, invece, si analizzano film coevi al periodo esaminato, gli elementi
riportati alla luce funzionano da vera e propria fonte storica.
L’utilità di tale ripartizione è superficiale alla luce del modello che
andremo ad elaborare successivamente, ma serve per prendere coscienza
della diversità delle fonti. Insomma, un film quale Soldato Blu non serve
solo come film storico, ma soprattutto come fonte per comprendere come
la guerra del Vietnam influenzasse la società statunitense.
Queste categorie di pensiero devono però essere affrontate tenendo
conto che negli ultimi trenta anni la televisione e i computer hanno
profondamente cambiato l’impatto che il cinema ha sulla popolazione. Ora,
infatti, il cinema ha perso il predominio sulla diffusione degli stereotipi
storici, passato decisamente nelle mani della televisione. Al cinema, però, è
rimasta una grande forza in grado di intervenire sui processi sociali grazie
alla capacità di svelare verità nascoste o proporre interpretazioni coltivate
da minoranze, oppure di fornire modelli a cui aspirare. Inoltre, il cinema è
capace ancora di aggregare individui con medesimi gusti ed opinioni, di
alimentare mode, di creare gruppi professionali compatti Questa capacità si
potenzia massicciamente in virtù dei passaggi televisivi che moltiplicano il
messaggio contenuto nell’opera.
L’avvento del videoregistratore e, più recentemente del Dvd, ha dato
all’analista, in quanto spettatore e studioso, la possibilità di vedere la stessa
immagine e la stessa scena per centinaia di volte; inoltre ha reso accessibile
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un patrimonio sterminato di lungometraggi che vanno dall’origine del
cinema ad oggi. A differenza di quanto si fa nella critica cinematografica
in cui si da un giudizio estetico partendo da una reazione emozionale e da
una visione globale del cinema, l’analisi storica consiste nell’attenzione al
dettaglio nella consapevolezza che tutto diventa ugualmente importante in
un film. Questa è la prima regola quando si studia un film.
Come dice Jacques Aumont si deve partire da un “non sapere”, da
un’insoddisfazione dovuta ad un “non so”. Bisogna, insomma, visionare il
materiale predisponendosi ad una “messa a distanza” dal film, una messa a
distanza non solo dalle reazioni emozionali, ma anche dal sapere preformato che ci ha guidato nella visione da semplice spettatore. Certo, non è
facile dimenticare quello che si è letto sui giornali, piuttosto che nei
manuali di storia del cinema, ma è necessario per afferrare la somma dei
particolari che fanno di ogni opera artistica una fonte per la ricostruzione
storica.
Mi preme, però, sottolineare come le regole che stiamo per declinare
devono essere intese come un modello di riferimento che non deve
ingabbiare la fantasia dell’analista, libero di inseguire nuove domande,
ipotesi e soluzioni. L’ideale è, però, che il lavoro compiuto sia verificabile
in senso scientifico anche se non vi sono procedure assolute di
verificabilità in questo campo.
Una volta individuato il periodo storico che si intende analizzare, si
inizia con un faticoso lavoro di documentazione. Prima di procedere in tal
senso, bisogna selezionare quali film possono essere utili al nostro scopo.
In questa fase aiuta molto, naturalmente, essere esperti il più possibile di
cinema per fare una prima scrematura. Come detto, l’analisi storica
prescinde da valutazioni di carattere estetico e, quindi, in questa ottica tutte
le pellicole sono degne di attenzione e studio; tuttavia, non potendo
visionare ogni produzione collegata all’argomento, si devono vagliare le
opere che hanno un senso per il lavoro che si intende compiere. In pratica,
se si parla della guerra del Vietnam, è utile parlare di Platoon in quanto,
pur essendo del 1986, è opera di un regista, Oliver Stone, che ha
partecipato in prima persona alla guerra oggetto della ricerca. Diventa,
invece, meno interessante una pellicola come Hamburger Hill (1987),
poiché è evidente la ripetizione di concetti espressi da Stone. Tuttavia, lo
stesso film può interessare nel momento in cui si vuol approfondire in
modo comparativo cosa era rimasto della guerra del Vietnam negli Stati
Uniti della fine degli anni ’80, limitando cioè lo studio ad un preciso lasso
di tempo.
Da evitare in questa primo stadio, perciò, lunghe liste che
semplicemente selezionano tutte le opere sulla fase storica interessata. Si
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rischia così di fare solo un’analisi comparativa mescolando in modo
inconsulto prodotti fatti in epoche diverse (ricordate la distinzione tra fonti
storiche e film storico?) e senza nessun collegamento effettivo e tanto
meno valore scientifico.
Dopo aver individuato le produzioni che hanno attinenza con
l’argomento che si intende indagare, si passa all’approfondimento
documentario. Bisogna rintracciare il più possibile gli articoli e le
interviste che riguardano la preparazione del film, le critiche che ha
raccolto, i dati di afflusso nelle sale e, infine, cosa di queste opere è stato
poi segnalato all’interno di libri riguardanti la storia del cinema. Tale
lavoro deve andare in parallelo con gli approfondimenti storici.
Tutto il lavoro tracciato in precedenza è significativo e determinante
per la ricerca che si realizzerà. Tuttavia, prima di passare alla visione del
film, bisogna fare di tutto per rimuoverlo, per dimenticarlo al fine di
recepire ogni singola informazione senza avere pregiudiziali di qualsiasi
sorta. Il compito è di difficile realizzazione, ma lo sforzo deve essere
compiuto. In questo tipo di analisi tutto è ugualmente importante, da
particolari apparentemente insignificanti si possono trarre delle chiavi
interpretative di parte della storia di quegli anni.
Primo compito, perciò, è riuscire a non proiettare sul film una parte di
noi, ma prenderlo per se stesso in ogni minimo dettaglio allo scopo di farlo
diventare, come dice Aumont: “ciò che si vede e si sente, e per nulla ciò
che si sapeva già”
Dalla proiezione devono discendere una mappa, dei percorsi, delle
ipotesi che dovranno essere viste e sviscerate utilizzando il materiale già
accumulato che ora ritorna estremamente d’attualità
Tali ipotesi devono anche tenere conto delle capacità inventive dei
diversi autori. Non bisogna mai dimenticare che il cinema ha enormi
potenzialità ed è in grado di porre quesiti di diversa natura. Il cinema può
narrare la storia in molti modi, ma è in grado di diventare anche “agente”
di storia. Un’opera, infatti, può essere alla radice di invenzioni profonde
sul piano antropologico, acquistando un particolare valore alla luce
dell’immagine diversa dell’uomo che ha fornito. Roma città aperta di
Rossellini (1945) ha un tale successo che sulla rivista Life viene scritto:
“La maggior parte degli spettatori ha ritrovato parte di quella nobiltà che
l’Italia aveva perduto sotto Mussolini”. È facile capire, alla luce di quanto
letto, che gli eroi di Rossellini hanno riabilitato gli italiani presso
l’opinione pubblica americana e mondiale (fino a quel momento diffidente
verso il popolo che aveva tollerato e appoggiato oltre vent’anni di regime
fascista) ben più di quanto abbiano fatto i governi alla guida della nostra
nazione subito dopo il conflitto bellico.
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A questo punto dal taccuino di qualsiasi analista emergeranno una
serie di ipotesi che dovranno poi essere corroborate dal confronto con il
materiale raccolto in precedenza. A volte questa documentazione aiuterà a
tracciare meglio la mappa dei problemi emersi dalla visione, ma non sarà
sufficiente in quanto servono altri dati per supportare le teorie, le ipotesi
fornite dai film. La qualità e la quantità dei dati raccolti sarà direttamente
proporzionale alla validità scientifica della ricerca.
Diverse sono le possibili direzioni dello studio effettuato. Tra le
direttrici principali vi sono, senza dubbio, la storia politica (film di
propaganda e ideologici), la business history (la macchina economicoindustriale, i modi di sfruttamento), la storia sociale (comportamenti,
orientamenti, inquietudini e mode di una comunità).
In primo luogo bisogna trovare raffronti con la vita quotidiana così
come ci è stata trasmessa dalle fonti documentali e vedere come la vita è
influenzata dagli accadimenti. Il film deve essere visionato con
un’attenzione assoluta, individuando ogni elemento, anche il meno
importante. Si ricostruisce la genesi del film, il contesto storico e sociale in
cui la lavorazione è andata avanti.
Successivamente, si dovrebbe cercare di individuare i diversi
elementi storici del film e collegarli tra loro. Le informazioni ricavate dalla
visione - singola o comparata con altre opere – deve essere sottoposta ad
un ulteriore approfondimento confortato da dati documentali.
In ultima istanza vedere come il film ha interagito con la società
circostante diventando di volta in volta fenomeno di costume, momento di
aggregazione, intrattenimento, propaganda di regime o ideologica ecc. Tale
lavoro viene svolto utilizzando le critiche, gli incassi, la discussione
giornalistica e politica, l’influenza sulle mode e sull’immaginario che la
pellicola ha creato.
Tutto ciò va fatto in costante raffronto con la ricostruzione
cronologica degli avvenimenti. Ogni informazione raccolta deve trovare
conferma in altre fonti storiche cartacee ed essere legato agli avvenimenti
narrati o rappresentati. Il rischio è di cadere nell’interpretazione arbitraria
dello spirito del film ed elaborando teorie basate su giochi di parole e
slittamenti di significati.
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L’ITALIA DEL MIRACOLO ECONOMICO
VISTA DA FELLINI: 1950-1960
“L'unico e vero realista è l'artista
visionario e creativo che meglio riesce a
mostrare se stesso attraverso la propria
arte”
F. Fellini
Federico Fellini nasce a Rimini nel 1920. Trasferitosi a Roma
giovanissimo, inizia a collaborare con alcune riviste umoristiche. Il suo
successo gli permette di fare una veloce carriera nel mondo dello
spettacolo, collaborando a spettacoli teatrali e scrivendo per la radio.
Infine, il balzo nel cinema come sceneggiatore e poi, a partire dal 1950,
come regista. Durante la sua carriera ha ottenuto numerosissimi premi in
tutti i principali festival che lo hanno incoronato come uno dei più grandi
registi della storia del cinema. La sua scomparsa risale al 1993, pochi mesi
dopo aver ricevuto l’Oscar alla carriera, il quinto della sua vita.
Dopo questi brevi tratti biografici proviamo a spiegare il motivo della
scelta, anche se dalle parole in calce all’inizio del capitolo, vi è già
contenuta una chiara traccia. Per chi è a digiuno di cinema gli anni ’50
sono stati certamente il periodo più fecondo della nostra produzione che
annoverava registi considerati tra i maestri della settima arte. Questi autori,
in particolare Rossellini e De Sica, parrebbero avere le carte in regola per
rappresentare meglio la realtà di quegli anni. Eppure Fellini, che ha scelto
un registro via via più surreale ed onirico, è un perfetto esempio di come il
cinema diventa strumento storico nelle mani di un autore capace di
rappresentare non solo il visibile, ma anche il non detto di una società e
cioè gli umori, le inquietudini, i cambiamenti sotterranei dell’Italia che
passa da una società rurale prebellica ad una cultura industriale sempre più
edonistica e consumistica. Infine Fellini si differenzia dagli altri autori per
la sua atipicità in quanto egli, pur in mezzo a cambiamenti epocali, non
sposa mai completamente una posizione. E non lo fa perché ignori quanto
accade o per ignavia, ma perché libero da retaggi ideologici o filosofici che
l’avrebbero fatto scivolare nel contingente invece di essere un geniale
inventore di immagini e di sentimenti. Infatti, il suo cinema mostrato tutto
quello che è presente nella società senza porsi in posizione critica verso
qualcosa o qualcuno ma limitandosi ad indugiare sugli uomini e sulle idee
e lasciando che essi evidenzino con il loro pratico operare pregi e difetti
15
Giovanni Scolari
delle loro convinzioni. Tutto ciò permette allo spettatore e allo studioso un
quadro generale che va ben al di là della semplice visione, consentendogli
di agire liberamente all’interno di un complesso quadro storico.
La sua autonomia assoluta lo mette inevitabilmente al centro delle
posizioni critiche emerse nel periodo. Lo studio delle recensioni,
provenienti dai due lati dello schieramento politico, è infatti utile al fine di
tracciare un esauriente quadro della cultura nel quindicennio analizzato. Lo
è ancora di più esaminando le critiche mosse al regista romagnolo che, non
essendo definibile per nessuno, diventa attaccabile a seconda dei problemi
che i suoi films sollevano o della visuale da cui ha osservato il fenomeno al
centro della sua indagine. Così Fellini viene definito, nel giro di pochi
anni, nostalgico, cattolico, comunista, realista, barocco, letterario ecc. Da
una parte gli viene rimproverato di invitare al male gli spettatori, dall'altra
non gli si perdona di non aver aderito al neorealismo. Insomma tutto e il
contrario di tutto.
L’apprendistato cinematografico di Fellini si svolge nel caotico
dopoguerra italiano, attraverso la collaborazione con molti registi italiani,
ma in particolare grazie al sodalizio con Roberto Rossellini con cui
collaborerà alla stesura della sceneggiatura di diversi film, tra cui Roma
città aperta e Paisà. L’esigenza di passare dietro la macchina da presa
emerge però rapidamente portandolo all’esordio nel film Luci del varietà,
firmato a quattro mani con Alberto Lattuada.
16
Guardare cinema vedere storia
LUCI DEL VARIETÀ 1950
La compagnia di avanspettacolo "Polvere di stelle" è in treno dopo
un insuccesso rimediato. Liliana Antonelli, una giovane scappata di casa,
si presenta al capocomico Checco Dalmonte che cerca subito di
approfittare di lei, ricevendone in cambio solo uno schiaffo. Liliana riesce
comunque ad entrare nella compagnia. Durante uno spettacolo le cade la
gonna suscitando l'entusiasmo del pubblico. Il clamoroso successo la
promuove al rango di soubrette.
Checco si innamora perdutamente di lei al punto da lasciare la sua
compagna, la trasformista Melina Amour. Liliana, però, lo usa per
accalappiare un impresario della capitale che la farà entrare in un
importante spettacolo. Checco, distrutto,, viene cacciato dalla pensione in
cui vive e, senza soldi, ritorna nella vecchia compagnia e da Melina
ancora innamorata di lui. Sul treno che li riporta negli scalcinati teatri
del Lazio, nota una bella ragazza e inizia a farle la corte.
L’esordio di Fellini come regista è relativamente tale. L'iniziativa
parte da Lattuada che non dirige più film per l'opposizione dei produttori ai
suoi progetti. Lattuada intraprende così la strada della produzione, forte
della presenza di sua moglie Carla Del Poggio - a quei tempi attrice
ricercata - e di Peppino De Filippo. In questa operazione coinvolge Fellini
convincendolo al salto nella regia.
La scelta del soggetto cade sull'avanspettacolo, una decisione
influenzata da Fellini e dal suo cosceneggiatore Pinelli. In quel mondo
l'autore romagnolo era entrato nel 1939 quando, per la rivista
Cinemagazzino, aveva realizzato una serie di interviste. Tra gli intervistati
figurava Aldo Fabrizi che lo assunse poco dopo per scrivergli i testi di
alcuni sketch. Fellini era già famoso per le rubriche che teneva al
Marc'Aurelio, un noto settimanale satirico, determinante per la nascita di
una scuola di sceneggiatori importante per il cinema italiano. L'amicizia
con Fabrizi gli apre le porte dell'avanspettacolo permettendogli di
conoscere personaggi e luoghi riproposti in Luci del varietà.
Il realismo delle situazioni narrate viene riconosciuto dalle recensioni
della stampa specializzata. Nella critica di Bianco e nero, rivista del Centro
Sperimentale di Cinematografia, si dice: "Luci del varietà riesce ad
ottenere ciò che Lattuada non ottenne mai finora: l'interpretazione
veritiera e sensibile di un piccolo mondo". Su Cinema, dove è forte
l'influenza di Guido Aristarco e della critica di sinistra, si attribuisce gran
merito del realismo dei personaggi a Fellini. Anche Aldo Palazzeschi pone
l'accento sulla verosimiglianza della ricostruzione del mondo del varietà,
17
Giovanni Scolari
affermando che "il regista (considera Fellini un coadiuvatore) prende a
braccio lo spettatore e gli mostra quel mondo non preoccupandosi di
farglielo vedere né meglio né peggio di quello che è."
Nonostante questo, il film non ha successo. La lobbie dei produttori
esercita pressioni affinché il comitato tecnico per la cinematografia (ente
previsto dalla legge sul cinema del 1949) neghi ai due registi il premio
dell'8% riservato alle imprese di particolare valore artistico. Ponti mette
subito in cantiere un film sullo stesso argomento. Vita da cani esce alcuni
mesi prima di Luci del varietà influenzandone, in modo negativo,
l'andamento commerciale già gravato da grosse difficoltà distributive. Luci
del varietà è, negli incassi stagionali, solo 65esimo con 118 milioni,
lasciando dietro di sé solo debiti.
L'ingloriosa conclusione economica di questo film non deve far
dimenticare la sua importanza che sta, come sottolineato dalle recensioni,
nella ricostruzione di un universo scomparso, importante sia per
l'immaginario collettivo del "maschio italiano" sia per i gusti del pubblico
del dopoguerra.
La compagnia Polvere di stelle è lo specchio fedele della realtà delle
piccole compagnie che sopravvivevano con stentate tournée in provincia o
esibendosi nei peggiori locali delle città. Se per le grandi stelle della
rivista, infatti, il successo era garantito, le compagnie minori dovevano
adattarsi. Nelle località più popolose facevano 30/45 minuti di
avanspettacolo che si trasformava in uno stiracchiato show di 1 ora e
mezza negli abitati più piccoli. Il cast di queste compagnie era sempre
alquanto raffazzonato, messo insieme casualmente. La "Polvere di stelle"
può essere considerata come archetipo dell'organizzazione di quegli
spettacoli. Ogni artista faceva più di una cosa. Le bellissime girls,
annunciate in cartellone, erano per lo più reclutate tra giovani disoccupate,
quando non erano le sorelle o le amiche di qualcuno della compagnia o
ragazze che, come la Liliana del film, avevano solo l’aspetto fisico come
talento.
Occorre poi dire che la considerazione popolare le poneva allo stesso
livello delle prostitute, poiché molte di loro integravano i magri guadagni
col fare la entreneuse. Queste ragazze, poi, erano tutt'altro che attraenti.
Fellini e Rinaldo Geleng, suo amico, le chiamavano le "strappone" in
quanto "si perdevano i grassi da tanto che erano ciccione". Lo
sceneggiatore Bernardino Zapponi le rammentava perché non erano capaci
di ballare, ma "in compenso" cantavano molto male.
Tuttavia, in una società che aveva patito il soffocante moralismo del
regime fascista, l'apparizione di una gamba nuda costituiva un evento
straordinario. Il che spiega la reazione del pubblico all'improvviso
18
Guardare cinema vedere storia
incidente che fa cadere la gonna a Liliana. L'universo maschile entra in
fibrillazione e decreta il successo dello spettacolo fino a quel momento
oggetto di fischi e insulti. Le cose non miglioravano molto nelle
compagnie di medio livello. Nella rivista che si esibisce a Rimini,
all'interno de I Vitelloni, i boys della soubrette sono ben lontani dagli
aitanti e muscolosi atleti che si esibiscono oggi. I due si distinguono perché
uno è calvo mentre l'altro è terribilmente strabico.
Se le ballerine stimolavano la fantasia erotica dello spettatore che non
badava troppo alle scarse doti artistiche delle ragazze, gli altri numeri
erano spesso oggetto di insulti da parte della platea, che non perdeva mai
occasione per far sentire la propria voce. Nel film sono mostrate esibizioni
paradossali come quella del finto fachiro indiano e ventriloquo Edison
Will. Oppure quella della trasformista Melina che, dopo essere stata
sbeffeggiata durante tutto il suo numero, induce alla commozione gli
spettatori quando imita Garibaldi con tanto di inno italiano. Il personaggio
principale della rivista era, però, il comico, in questo caso Checco, modello
assemblato sulle caratteristiche di diversi protagonisti del varietà di quegli
anni, come confessa Geleng.
Resta ancora da tracciare il ritratto della protagonista femminile:
Liliana. Questa donna, una vera e propria arrampicatrice sociale, appare
per la prima volta durante un’esibizione della "Polvere di stelle". In mano
tiene Bolero, uno dei fotoromanzi più venduti. Del suo passato si sa poco
ed il suo unico credito è aver vinto una maratona di ballo. I suoi desideri
accomunano a questa figura la vicenda delle molte ragazze sbandate
protagoniste di numerose pellicole nel dopoguerra. Liliana è, infatti, più
fortunata del personaggio da lei stessa interpretato in Senza pietà 1947, di
Lattuada. Anche lei è uscita dalla guerra segnata, desiderosa di coronare i
propri sogni, ma incapace di comprendere la realtà. Liliana, però, non si fa
travolgere nel tentativo di dimenticare il proprio passato. Usa la bellezza
per raggiungere il proprio scopo: il successo e la ricchezza. Tuttavia
l'ultima sua apparizione è speculare al suo ingresso nel film quanto a
"cultura". Mentre si sta recando a Milano, dove parteciperà ad
un’importante rivista, porta con sé ancora dei fotoromanzi, dimostrazione
evidente dell’incapacità di uscire dal suo ristretto orizzonte.
Questi personaggi vengono inghiottiti dalla crisi dell'avanspettacolo.
Pochi di loro sapranno adeguarsi e sopravvivere alla "civiltà" che avanza.
Gli uomini come Checco scompaiono tristi e miserabili, abbandonano il
palcoscenico e i sogni per tornare alla vita comune di tutti i giorni.
La scomparsa di questa forma di spettacolo può sembrare in sé poco
importante. Tuttavia l'esame al microscopio di questo mondo ci permette di
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Giovanni Scolari
comprendere parte dell'evoluzione dell'identità culturale dell'Italia del
dopoguerra. Per arrivare a questa definizione è però necessario tracciare un
quadro della situazione economica della nostra penisola al momento della
realizzazione del film (1950), aiutati in questo dalle vicende narrate in Luci
del varietà.
La situazione è ancora difficile. I passi compiuti da De Gasperi per
avvicinare l'Italia alle potenze occidentali creano una lacerante
contrapposizione nella società civile, aggravata dall'intervento statunitense
in Corea del Sud. Nei primi mesi del 1950 l'atmosfera si fa sempre più tesa.
Il 9 gennaio la polizia apre il fuoco a Modena durante una manifestazione
operaia causando sei vittime. La reazione dell'opinione pubblica
contribuisce alla decisione di De Gasperi di dare il via alla riforma agraria
e ad alcune misure compensative per il Mezzogiorno, attardato sul piano
economico, allo scopo di alleggerire le forti tensioni sociali. Tali fatti,
naturalmente, non traspaiono all'interno della pellicola. Ad una superficiale
osservazione questi guitti sembrano non accorgersi di quello che accade al
di fuori del loro mondo. È piuttosto il loro modo di vivere, la loro
mentalità, i mezzucci usati per sopravvivere che fanno cogliere il "clima"
economico-sociale che fa da contorno alle loro vicende personali. In
qualche modo si potrebbe dire che essi "esistono" come personaggi proprio
in quanto lo sfondo li "legittima" ad essere tali. Dunque, al contrario di
quanto appare, essi "sono" nel mondo e ne sono un aspetto tutt'altro che
irrilevante. E quando scompaiono dai film è perché in effetti il mondo ha
virato, ha intrapreso un'altra strada nella quale essi non hanno più non solo
una legittimazione ad esistere, ma neppure vengono "tollerati" come
fantasia o immaginazione. In una parola entrano nell'inerte passato.
All'inizio del film viene mostrato il cartellone dello spettacolo dove si
può leggere il costo del biglietto. Nel paesino laziale una serata con
avanspettacolo e film western costa 110 lire per una poltrona e 75 per un
posto tra i distinti. Nel ‘50 il prezzo d'ingresso medio in Italia per uno
spettacolo di rivista era di 529 lire, per uno di varietà 148, di un film 346.
Un altro dato si riferisce alla sola Italia centrale dove teatro e rivista
costavano rispettivamente 297 e 142 lire.
Appare dunque evidente che le zone battute dalla compagnia teatrale
erano particolarmente depresse. La povertà risulta maggiormente visibile
quando a Sutri, centro in provincia di Viterbo di circa duemila abitanti, i
guitti vengono ospitati da un avvocato che si intuisce esser parte della
"ricca borghesia" del paese, o almeno di quella che sembrerebbe essere
tale. L'avvocato, infatti, segue la rivista da un palco in compagnia di un
dottore e di un presunto duca. Ma più che all'arte, i tre sembrano interessati
solo alle "stelle" della serata, per cui snobbano le ballerine di fila che se ne
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Guardare cinema vedere storia
vanno con i giovanotti del paese. La casa del leguleio è significativa del
livello economico di questa borghesia di paese e di un certo tessuto
economico locale che poi riflette gran parte della provincia italiana
d'allora. Essa è posta in "alto", su di una collina, anche se poi per arrivarci
non esiste una strada asfaltata. Lo stesso avvocato deve recarvisi a piedi
poiché, probabilmente, non dispone di propria autovettura. L'interno della
casa è spoglio, disadorno. La cucina è una grande stanza con spesse mura e
grandi credenze nere; dal soffitto pendono pomodori, salami in modo del
tutto somigliante alle case contadine mostrate ne Il Bidone. La dovizia di
cibo presente nella cucina dell'avvocato esercita sui guitti un richiamo
irresistibile: che contrasto con i magri pasti consumati sui treni o nelle
osterie! Un piatto di pasta e un gustoso vino sono i mezzi di cui si serve il
legale per tacitare le coscienze dei commedianti mentre cerca di concupire
Liliana.
La fame non era d'altro canto fatta solo dagli artisti. Nel 1950 il
consumo annuo pro capite degli italiani è di 165,5 Kg di frumento contro i
180 del decennio 1921-31; 6,9 Kg di carne bovina, l'ammontare più basso
mai registrato tra il 1916 e il 1939; 79,8 litri di vino, una quantità risibile
rispetto al passato. A ciò bisogna aggiungere che 4,5 milioni di famiglie
non mangiavano mai carne e tre milioni la consumavano una volta alla
settimana. Esaminando le condizioni abitative si scoprirà che: il 24% delle
case è sprovvisto di cucina; il 48% di acqua corrente; il 73% del bagno; il
93% di telefono. Non sono dati che debbono sorprendere in quanto nel
1951 ancora il 3% delle famiglie, circa 870.000, viveva in abitazioni
improprie (cantine, soffitte, baracche, grotte), mentre il 21% abitava in
appartamenti sovraffollati (più di due persone per stanza).
Nonostante questo l'Italia, o meglio una parte di essa, si stava
avviando verso il risanamento. Nel 1950 la bilancia commerciale presenta,
per la prima volta dopo la guerra, un saldo positivo. L’economia è
influenzata dall'agricoltura che nel ‘51 contribuisce per il 20% al prodotto
interno lordo e con il 44% all’occupazione. Le regioni più industrializzate
sono Piemonte, Lombardia e Liguria. Le altre vengono considerate
scarsamente industrializzate; in Puglia, Campania, Basilicata, Abruzzo e
Molise, Calabria e Sicilia, gli occupati nell'industria scendevano al di sotto
del 5%!
Proprio le regioni settentrionali beneficiano della politica di sviluppo
infrastrutturale, intrapresa dal governo, che porterà poi all’intensa
emigrazione dei decenni successivi. Infine, Roma riafferma la sua presa
sull'immaginario collettivo grazie all’azione del Papa che con l'anno santo
del 1950 ridà slancio alla sua immagine nel mondo. Anche il cinema e
Cinecittà riprendono vigore, incoraggiando sogni proibiti e speranze di
21
Giovanni Scolari
successo illusorie che trovano sfogo nell’enorme diffusione dei
fotoromanzi. Le vicende cinematografiche di Fellini si intersecano ancora
con i miti degli italiani in una nuova pellicola, la prima diretta da solo, Lo
sceicco bianco.
Il risultato di quanto detto è che l'avanspettacolo beneficia, come tutta
la società italiana, di un'improvvisa e inaspettata libertà che si trasforma
rapidamente in una stagione eccezionale di licenziosità e di turpiloquio.
Maestro delle cerimonie è l'inventore dell'Uomo Qualunque Guglielmo
Giannini che dai giornali chiama "ederasti" i repubblicani e "Andreottino
Culicide" il sottosegretario alla Presidenza del consiglio. Dopo il 1948 si
assiste alla controffensiva dei cattolici grazie alla ritrovata efficienza della
censura. Non a caso il Centro Cattolico Cinematografico boccia Luci del
varietà sconsigliandone la visione a tutti.
È da notare come il C.C.C. ponga molto l'accento sul concubinaggio
di Checco. Era uscito proprio nel 1950 il libro di Luigi Renato Sansone
Fuorilegge del matrimonio, una raccolta di lettere che aveva aperto una
discussione sul divorzio. Questo e altri avvenimenti inaspriscono la
sessuofobia del clero che inizia una martellante campagna moralizzatrice
che porta ad un’autocensura da parte di produttori e registi, incalzati dalla
strisciante azione dei sottosegretari che si succedevano alla delega per il
cinema (Ermini, Scalfaro, Brusasca, Resta) fedeli alla linea di condotta
tracciata da Andreotti.
Le preoccupazioni della vita quotidiana si aggiungevano ad altri
fattori, come la belligeranza tra le due Coree e la guerra fredda, che
spingevano il pubblico ad esorcizzare la paura di un nuovo conflitto
rivolgendosi verso fotoromanzi e film di minore impegno. Queste due
tendenze venivano riassunte dai film di Raffaello Matarazzo con Amedeo
Nazzari e Yvonne Sanson. È in quel periodo che i due raggiungono il
massimo successo, Catene trionfa ai botteghini insieme a Totò. A fare da
doloroso contrappunto è il fallimento di due tra le opere più importanti del
dopoguerra: Miracolo a e Bellissima di Visconti.
Ritorniamo all'avanspettacolo e cerchiamo di comprendere i motivi
che hanno portato alla sua scomparsa nel giro di pochi anni. Dagli annuari
SIAE risulta che il cinema è passato dai 661.549 biglietti del 1950 ai
744.781 del 1960; nello stesso periodo le attività teatrali s’abbassano da
20.979.311 a 10.574.581. Il calo delle presenze è del 50%, ma nel caso
della rivista la perdita è del 70%. L'avanspettacolo era spesso anche
l'introduzione al film; è difficile quindi sapere quanti spettatori avesse. È
però un dato che funge da segnale della crisi. Certamente questo tipo di
manifestazione ha risentito della nuova cappa moralista e dall'avvento della
televisione, ma anche dei mutamenti di gusto degli italiani, usciti
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Guardare cinema vedere storia
dall'isolamento culturale grazie al cinema americano e ai nuovi mezzi di
comunicazione. L'ideale femminile non era più la ballerina di fila, ma
Silvana Mangano o la diva di Hollywood, un mondo che si stava
trasferendo sul Tevere.
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Giovanni Scolari
LO SCEICCO BIANCO 1952
Ivan Cavalli e Wanda giungono a Roma in viaggio di nozze. Devono
partecipare all'udienza papale con uno zio di Ivan, dirigente al Vaticano,
che dovrebbe aiutarlo ad ottenere il posto di segretario comunale. Wanda,
lettrice di fotoromanzi, vuole invece conoscere l'eroe dei suoi sogni: lo
Sceicco Bianco, protagonista della rivista Incanto Blu. Appena il marito si
appisola, Wanda si reca alla redazione del periodico dove viene invitata a
Fregene per seguire la lavorazione del fotoromanzo. Lì conosce lo
Sceicco che in realtà si chiama Fernando Rivoli. Nel frattempo Ivan ha
scoperto la scomparsa della donna e la sta cercando.
Wanda, dopo aver partecipato ad alcune scene come attrice, viene
portata al largo da Nando. Lo Sceicco cerca di approfittare di lei
raggirandola ma un colpo di vento muove la vela che colpisce al capo
Fernando, stordendolo. Al ritorno i due sono attesi dal regista,
imbestialito, e dalla moglie di Fernando, un'orribile megera. Wanda fugge
per non essere picchiata dalla donna, ma viene abbandonata dalla troupe.
Ancora vestita del costume di scena, riesce a rientrare a Roma.
Disperata tenta di suicidarsi buttandosi nel Tevere, ma viene salvata dalla
polizia. Ivan, dopo essersi barcamenato per scusare l'assenza della moglie,
si è gettato alla sua ricerca infruttuosamente. Sconsolato pensa di
rivolgersi alla Polizia, ma la paura dello scandalo lo fa desistere. A questo
punto si eclissa con una prostituta. La mattina successiva, Ivan decide di
confessare tutto allo zio. Un attimo prima di questo giunge una telefonata
che lo avverte del ricovero di Wanda a seguito del tentativo di suicidio.
Dopo aver eluso ancora le domande dei parenti, recupera la moglie e la
porta in fretta e furia all’udienza papale dove la famiglia dello zio li
attende. In piazza San Pietro, Wanda riesce a giustificarsi e gli sposi si
incamminano verso la Basilica.
L'insuccesso della prima regia non ha scoraggiato Fellini che
percepisce di aver trovato la strada per realizzarsi. L'occasione gli giunge
da un soggetto che Michelangelo Antonioni aveva scritto nel ‘49 dopo aver
girato il documentario L'amorosa menzogna, analisi dell’enorme successo
dei fotoromanzi.
Interessato dal fenomeno che assomigliava, sotto molti aspetti, ai suoi
amati fumetti, Fellini comincia a lavorare con Pinelli alla sceneggiatura a
cui collaborerà anche Ennio Flaiano. Il sodalizio con Flaiano rappresenta
l’anello di congiunzione con gli intellettuali di via Veneto dove lo scrittore
era venerato come un maestro e sarà di enorme importanza per i film
successivi.
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Guardare cinema vedere storia
L’opera rappresenta per l'autore romagnolo il distacco dal
neorealismo. Fin dalle prime inquadrature cade l’oggettività dello sguardo.
L'arrivo nella capitale dei due sposini ci mostra una Roma magica,
spaventosa, quasi impressionista. Si può affermare che in questa scena
Fellini ha riversato le sensazioni da lui stesso provate il giorno dell’arrivo
nella città "caput mundi" come dice Ivan dai finestrini del treno. Il mondo
del fotoromanzo è così l'occasione per esplorare i sogni e le illusioni che
popolano l'Italia, di indagare se stesso e gli "altri".
Il fotoromanzo nasce come fenomeno popolare nel giugno del ‘46
con la pubblicazione del primo numero di Grand Hotel. L'impostazione del
giornale si richiama alla formula, sperimentata un decennio prima, del
cineromanzo. All'indomani dell'apparizione di Grand Hotel, il
cineromanzo ritorna ufficialmente in vita con Bolero Film.
Nel primo numero di Grand Hotel è già chiaro il progetto editoriale.
La copertina mostra una coppia di giovani belli, sani e sorridenti che
vivono in un mondo fiorito ed elegante, lontano dalla realtà di quegli anni.
Dentro la rivista, oltre ad alcuni fumetti (le fotografie arriveranno dopo), vi
sono delle rubriche per le lettrici in cui si danno consigli per la risoluzione
di problemi femminili come liberarsi di un capo ufficio insistente, risolvere
i dubbi di casalinghe desiderose di sapere se era lecito radersi le ascelle.
Insomma, mentre l'avanspettacolo rappresentava il luogo dove il
maschio italiano poteva dare sfogo ai propri istinti, la donna era soffocata
dal suo ruolo di angelo del focolare all'interno di una società patriarcale
che la sovraccaricava di doveri. L'apparizione del fotoromanzo crea
quell'isola deserta in cui la donna era libera di sognare senza controlli e
retaggi. Anche la protagonista del film vive in questa dimensione. Quando
parla con la direttrice di Incanto Blu le rivela che: "Tutta la settimana
aspetto soltanto il sabato che mi porti il mio giornaletto. Vado a prenderlo
alla stazione, poi... corro a casa e mi chiudo nella mia stanzetta..... e lì,
comincia la mia vera vita”.
È un atteggiamento condizionato dall’isolamento culturale italiano
interrotto nel dopoguerra dai film statunitensi portatori di un nuovo
modello di vita. La diffusione di questo modello è però rallentato dalle
difficoltà che l'Italia incontra nella ricostruzione della rete dei trasporti,
profondamente lesionata durante la guerra. Unici mezzi di propaganda
erano quindi il cinema ed il fotoromanzo. Quest'ultimo poteva giungere
ovunque ed era disponibile a prezzi abbordabili. Se il prezzo medio di un
film nel 1950 era di 88 £, la rivista Super Cinema di dicembre costava solo
30 £. Andare al cinema non comportava solo una spesa superiore; la vera
difficoltà era la diffusione delle sale cinematografiche su tutto il territorio
nazionale. Nonostante l'incremento delle sale, era impossibile raggiungere
25
Giovanni Scolari
tutte le località come il piccolo centro da cui provengono i due sposini. Un
luogo dove una ragazza come Wanda non può passeggiare da sola per il
corso senza essere importunata da un giovanotto, come lei stessa afferma
durante il colloquio con la direttrice. In un paese di tale ristretta mentalità è
facile ipotizzare una totale ignoranza dell'evoluzione dei costumi in atto
nella società. Così in quest’opera diviene giustificabile lo stupore mostrato
da Wanda quando vede la troupe del fotoromanzo aggirarsi in abiti da
scena. L'apparizione dello sceicco bianco è conseguente: l'eroe dei suoi
sogni infantili è su di un'altalena che lei immagina posta molto in alto,
oggetto dell'infanzia in cui Wanda ancora vive.
L'influenza del fotoromanzo sul tessuto sociale è confermata dal suo
immenso sviluppo. Si calcola che la tiratura complessiva nel 1949 fosse di
2 milioni di copie, con un numero di lettori che raggiungeva i 5 milioni. La
diffusione dei fotoromanzi era poi aiutata dalla semplice veste grafica e dal
realismo dei disegni o delle fotografie che ne permettevano la fruizione
anche agli analfabeti.
Ad un fenomeno di questo tipo la chiesa non poteva restare
indifferente. Le vicende dei fumetti riguardavano, infatti, un argomento a
forte rischio: la famiglia. Alla condanna della gerarchia ecclesiastica, che
aveva classificato la lettura di un fotoromanzo tra i peccati da confessare,
si aggiungeva la riprovazione degli ambienti culturali laici e di sinistra che
consideravano negativamente il fenomeno per il sentimentalismo
dolciastro e la spinta ad evadere dai problemi sociali. Le case editrici
accentuarono così le tendenze moraleggianti delle trame dei fotoromanzi al
punto di sottoporre alcuni romanzi a stravolgimenti pur di non prestare il
fianco a critiche di alcun tipo. L'atmosfera pesante è ulteriormente
dimostrata dall'esclusione, operata sia da Mondadori che da Rizzoli, di
Bolero Film e Sogno dall'elenco ufficiale delle loro testate nonostante i
sostanziosi contributi che le due riviste portavano ai bilanci.
Si spiega così l'insistenza degli editori nel sottolineare le finalità
educative delle pubblicazioni e l'estrema attenzione nel proporre storie che
non urtassero in alcun modo la potente censura cattolica. Inoltre, a seguito
di queste pressioni i personaggi dei fotoromanzi si cristallizzano in ruoli
predefiniti: il protagonista maschile è forte, buono, generoso, una guida
sicura per la famiglia,; la donna è tenera, dolce, materna, il classico angelo
del focolare. Ogni trasgressione alle regole sociali viene punita dalla
collera divina che porta ad una redenzione dolorosa e sofferta o ad una
condanna alla perdizione. A questi canoni si sottomettono anche Ivan e
Wanda pur in modo patetico. L'uomo si infratta con una prostituta; Wanda
tenta il suicidio perché si considera una donna perduta e viene rinchiusa in
manicomio come una povera isterica. Su questa farsa spicca il linguaggio
26
Guardare cinema vedere storia
irreale del fumetto. Wanda si fa perdonare dal marito dicendogli: “È stato
il destino avverso... ma sono pura.... Pura e innocente. Ora.... il mio
sceicco bianco sei tu". Le espressioni che usa sono prese di forza dai
fotoromanzi, ma rispecchiano le lettrici di questi periodici. Ancora in
un’inchiesta del 1979 molte di loro affermano che: "A volte leggo i
fotoromanzi per sapere cosa dire al mio ragazzo". Un caso estremo, forse,
ma non per questo meno significativo, che indica come, nonostante i quasi
30 anni trascorsi dal film, la figura della giovane sposina felliniana sia
specchio fedele delle lettrici di quel tempo.
Nando Rivoli, ultimo lato di questo patetico triangolo amoroso, è
espressione della degenerazione del neorealismo quando si era
erroneamente creduto che gli unici attori credibili fossero i non
professionisti per via della recitazione spontanea dovuta al fatto che essi
"erano" ciò che recitavano. Nando è la caricatura di un fenomeno che
aveva raggiunto dimensioni tali da suggerire a Visconti l'idea di Bellissima
(1952), con Anna Magnani nella parte di una madre di borgata desiderosa
di far entrare nel mondo del cinematografo la figlia di 5 anni.
I confini tra fotoromanzo e cinema sono stati, fin dall'inizio,
estremamente confusi; i prestiti, i plagi e gli scambi tra l'uno e l'altro
settore sono moltissimi. Il fotoromanzo ha preso dal cinema il linguaggio,
a volte le ambientazioni, le mode attraverso cui si cercava di carpire il
gusto del pubblico. Molti sono i volti noti che hanno utilizzato questo
mezzo per lanciarsi nel cinema o per rifiatare dopo un insuccesso. Si
possono ricordare Sophia Loren, Walter Chiari, Claudia Cardinale,
Raffaella Carrà, Giuliano Gemma e anche Renzo Arbore all'inizio degli
anni '70.
Anche il cinema, però, ha preso più volte spunto dai fumetti. Il caso
più clamoroso è la trilogia di Raffaello Matarazzo (Catene 1950, Tormento
1951, I figli di nessuno 1951) che recupera la lezione del fotoromanzo non
solo nei temi trattati ma anche nell'uso del titolo. Catene e Tormento sono
stati due tra i primi fotoromanzi di successo, pubblicati da Bolero Film nel
1947.
Insomma, con quest’opera Fellini era riuscito, in una sola volta, ad
indispettire pubblico, alcuni importanti produttori (Rizzoli era editore di
Sogno), oltre che una certa critica. Con questi presupposti il fallimento era
quasi inevitabile.
A dire il vero l'accoglienza degli addetti al lavoro non è molto
negativa. Il CCC afferma che "il film ha intenti positivi; ma comprende
scene con donne in costumi succinti, episodi alquanto scabrosi, battute
inopportune, che impongono riserve". Vittorio Bonicelli, critico del
Tempo, aggiunge: "...bisogna rimproverare di non avere creduto
27
Giovanni Scolari
abbastanza nelle possibilità che ha l'azione comica di esprimere il senso
tragico o patetico della vita. Ma neppure tutto questo riesce a liquidare un
film come Lo sceicco bianco.". Altri giudizi positivi sono espressi da
Giulio Cesare Castello per Cinema e da Callisto Cosulich. Non mancano
però delle stroncature. Nino Ghelli, di Bianco e nero, emette un giudizio
impietoso: "film talmente scadente per grossolanità di gusto, per
deficienze narrative, per convenzionalità di costruzione, da rendere
legittimo il dubbio se tale prova di Fellini regista debba considerarsi senza
appello."
La critica fa seguito alla proiezione al festival di Venezia del 1952
dove il film passa inosservato. Fellini ricorda che nei giorni successivi alla
proiezione si sentiva lapidato dalla critica e le parole di chi lo aveva difeso
erano "sommerse da un torrente di insulti e di malvagità. - aggiungendo
poi - Quel film fu distrutto, fu negata la sua stessa esistenza."
Fellini addebita l'insuccesso subito dallo Sceicco bianco
all'atteggiamento della critica e al fallimento della casa che si doveva
occupare della distribuzione della pellicola. Ma forse è possibile ipotizzare
che pochi abbiano voluto difendere il film per la posizione scomoda che
l'autore aveva assunto. In un momento in cui, a livello critico, il
neorealismo era intoccabile, Fellini presentava una commedia surreale in
cui si sorrideva della famiglia intesa come istituzione inviolabile,
ponendosi così nella condizione di essere attaccato sia da destra che da
sinistra.
Il risultato finale è un disastro al botteghino. Lo sceicco bianco
incassa solo 33.700.000 di Lire piazzandosi 140° nella classifica della
stagione 1952/53 delle pellicole italiane. Alla stessa data hanno reso dieci
volte di più Il cappotto (427 milioni e 14° posto) di Lattuada, Il brigante di
Tacca del Lupo (378 e 21esima piazza). Il campione d'incassi per il cinema
italiano è Puccini di Carmine Gallone che raggiunge quota 763 milioni.
Per nulla scoraggiato, Fellini pensa di realizzare la storia di una
coppia di girovaghi e la propone a diversi produttori ottenendo sempre
rifiuti. Il soggetto viene momentaneamente accantonato, quando si
trasformerà ne La strada. Un produttore, Pegoraro, si rende disponibile per
produrre un film dell'autore romagnolo a condizione che si tratti di una
commedia. Nasce così I vitelloni.
Il 1951, data di inizio delle riprese, non fu un buon anno per l'Italia.
L'inchiesta parlamentare sulla miseria, che doveva concludersi nel 1952,
disegnava una situazione di estremo disagio. A tutto questo si
aggiungevano una serie di catastrofi naturali come l'inondazione del
28
Guardare cinema vedere storia
Polesine e l'insicurezza della scena politica aggravata dalla guerra di
Corea.
Il governo De Gasperi vede diminuire il suo consenso. Il timore di
una vittoria delle sinistre è ormai svanito e l'elettorato di centro destra torna
a distribuirsi nelle varie forze politiche dell'area. L'equilibrio interno della
DC è minato da forti divisioni interne. Per evitare l'implosione del partito
si impone una correzione di rotta. La scelta del terreno d'attacco è il
Mezzogiorno. Tra il ‘49 e il ‘50 diventano legge la riforma agraria e
l'istituzione della Cassa del Mezzogiorno. In entrambi i casi, le speranze
che i due progetti avevano suscitato vanno deluse. La riforma agraria
incide minimamente sulla redistribuzione del reddito agricolo.
Nonostante questo, la riforma ha, come riflesso, l'abbandono del
governo da parte del Partito Liberale. Il timore dell'avanzata delle destre
spinge il governo a rinviare le elezioni amministrative del sud al 1952,
l'anno successivo a quelle tenute nel settentrione. Ciò avviene perché i ceti
agricoli del meridione si spostano a destra votando il Movimento Sociale
Italiano e il Partito Monarchico che ha trovato tra le proprie fila un leader:
l'armatore napoletano Achille Lauro.
Il dinamismo missino preoccupa De Gasperi, assertore del centrismo,
tanto più che, tramite Don Sturzo e grazie all'assenso del Vaticano, si sta
delineando alle comunali di Roma l'alleanza elettorale DC-MSI. Dopo aver
sventato questo tentativo e vista la trionfale tornata elettorale per le destre
nel sud, il governo decide di limitare i missini emanando la legge Scelba,
dal nome dell'allora ministro degli interni, che vieta la ricostituzione del
partito fascista attuando il dettato costituzionale. La norma costituisce una
minaccia per il MSI. L'anima dura del movimento è avvisata, cresce di
conseguenza in autorità la corrente moderata del neofascismo decisa a
consolidare il successo con una politica che rassicuri l'elettorato
reazionario – conservatore.
Le amministrative confermano il calo della DC (dal 48.5% al 35.1%)
e pongono seri problemi sulla governabilità nella successiva legislatura.
L'unica soluzione appare l'approvazione di una nuova legge elettorale, la
famosa "legge truffa" che entrerà in vigore nel marzo del 1953.
Contemporaneamente prende il via il lungo cammino per la costruzione
dell'Europa unita. Il 27 maggio 1952 viene firmato il trattato che istituisce
la CED (Comunità Europea di Difesa). Il trattato, contestato dalla sinistra,
viene affossato dal parlamento francese, con una maggioranza di
centrodestra, timoroso del riarmo della Germania.
I valori della società italiana, intanto, restano invariati rispetto agli
anni precedenti. Il film è, infatti, l'ulteriore riprova di come l'etica
dominante non imponesse un uguale codice comportamentale a femmine e
29
Giovanni Scolari
maschi. Se per le une l'illibatezza e il riserbo sono le massime virtù, per gli
altri la virilità è praticamente un dovere. È un tratto del carattere nazionale
che il fascismo ha fortemente incoraggiato e che i governi a guida
democristiana e il clero si guardano bene dal criticare. Ed è un aspetto che i
fotoromanzi sottolineano e approvano.
Il fenomeno ha dei riflessi anche nel cinema. I film di Matarazzo
solleticano il gusto del pubblico proponendo ambienti quotidiani, di
immediata riconoscibilità e modestia, in cui primeggiano passioni vietate
alle donne. Affine a questo filone cinematografico, spopolano riduzioni di
opere liriche e film che ripropongono, in una serie di quadri animati,
canzoni di sicura presa. Tutti questi film hanno una radice comune che si
può far risalire alla lirica ottocentesca per tipo di rappresentazione delle
passioni e degli intrecci e per l’enfatizzazione dei momenti topici del
dramma. Il successo è legato alla stabilità dei pubblici popolari e alla
tenuta di una cultura che riesce a giocare a tutto campo, sul piano dei vari
media.
Questi prodotti rappresentano il milieu culturale della massa, della
piccola borghesia provinciale? Difficile dirlo, ma è sicuro che nel
dopoguerra i miti erano ancora famiglia, bandiera, patria, Roma e il Papa
(durante l'anno santo ci sono tre milioni di pellegrini), valori rispettabili ma
vissuti in una dimensione così favolistica da essere inevitabilmente
soggetti alla bonaria satira di Fellini.
30
Guardare cinema vedere storia
I VITELLONI
1953
Alberto, Moraldo, Fausto, Leopoldo e Riccardo sono cinque giovani
provinciali che passano le giornate nell'ozio. Fausto mette incinta la
sorella di Moraldo, Sandra. Cerca di scappare, ma il padre lo costringe a
sposarsi. Leopoldo vuole fare lo scrittore, ma si fa distrarre dalle servette.
Alberto vive con la madre e la sorella che intrattiene un rapporto con un
uomo sposato. Riccardo spreca la sua bella voce tenorile. Moraldo avverte
il disagio della sua condizione.
Tornando ubriaco dal veglione di carnevale Alberto scopre che la
sorella è fuggita con il suo uomo. Fausto si impiega presso il negozio di un
antiquario, ma continua a ricercare avventure galanti. Cerca di
approfittarsi della moglie del negozio, ma la donna racconta tutto al
marito che licenzia su due piedi il giovanotto. Questi vuole vendicarsi e
convince Moraldo con una bugia a rubare la statua di un angelo che giace
invenduta nel magazzino del negozio. I due, però, sono scoperti dalla
polizia e vengono salvati solo dall'intervento del padre di Moraldo.
Al teatro Politeama è di scena una rivista che vede la presenza di un
grande attore decaduto, Sergio Natali. L'attore ha letto una commedia di
Leopoldo e vuole portarla in scena. Dopo lo spettacolo, mentre gli amici si
uniscono alle ballerine, Leopoldo recita l'intera sua commedia a Natali.
L’uomo conduce, poi, Leopoldo alla spiaggia e lo invita al buio tra le
cabine, in quel momento l'aspirante commediografo si accorge delle
intenzioni dell'individuo e scappa.
Fausto, dopo avere passato la notte con la soubrette della
compagnia, ritorna a casa con Moraldo. A seguito di quella notte Sandra
fugge con il bambino lasciando nella disperazione Fausto. Dopo una
giornata di ricerche la donna viene ritrovata nell'abitazione del suocero
che decide di dare una sonora lezione al figlio scioperato. I due si
riconciliano e la vita sembra tornare come prima. Non per Moraldo, però,
che una mattina prende il treno e se ne va a Roma.
Ne Il nuovo Zingarelli il termine "vitellone" viene definito: "Giovane
che trascorre il tempo oziando o in modo vacuo e frivolo, senza cercare di
uscire da un ambiente sociale mediocre e privo di stimoli intellettuali". È
un neologismo coniato proprio dal titolo della terza opera registica di
Fellini. Il vocabolo forse deriva dal dialetto riminese "vidlòn", espressione
con cui i contadini indicavano studenti e sfaccendati. Un'altra ipotesi lo fa
derivare dal dialetto marchigiano ed utilizzato nel lessico familiare di
Flaiano che ne discetta l'origine in una lettera del 1971: "il termine era
usato ai miei tempi per indicare un giovane di famiglia modesta, magari
31
Giovanni Scolari
studente, ma o fuori corso o sfaccendato... Credo che sia una corruzione
di vudellone, un grosso budello, persona […] che mangia a ufo, che non
produce."
Con quest’opera Fellini raffigura la realtà di una parte della provincia
italiana mettendo contemporaneamente in scena il disagio che coglie i
giovani che si affacciano al mondo del lavoro. Se per il ragazzino amico di
Moraldo è normale iniziare a lavorare a 14 anni; per gli sfaccendati piccoli
borghesi che si aggirano in questa Rimini fantastica, il lavoro è uno spettro
che disturba i loro sogni adolescenziali e li vuole costringere a prendersi
carico delle responsabilità della vita.
Come e più delle altre opere vi è una forte connotazione biografica
nei personaggi. Ma sul fatto che i vitelloni fossero un fenomeno tipico
della provincia non solo italiana, ma mondiale non esistono dubbi. Non si
spiegherebbe, diversamente, il forte impatto emotivo che il film ha avuto
sul pubblico e sui registi di tutto il mondo che lo hanno preso come
modello. I casi più famosi sono: Calle Mayor (1956) dello spagnolo J.
Bardem, Mean Streets (1973) di Martin Scorsese.
La lavorazione del film è piuttosto travagliata. I soldi sono pochi e
Sordi, voluto da Fellini contro il parere dei produttori, è impegnato in
teatro con la rivista di Wanda Osiris. L'inseguimento a Sordi porta la
troupe a girare alcune scene a Viterbo e a Firenze. Anche l'inquadratura
che ci propone i vitelloni che guardano il mare dal pontile non è stata girata
sulla riviera adriatica ma ad Ostia. Oltre a Sordi, che da quel momento si
impone sul grande schermo, grazie al personaggio "codardo, infido e
adolescenziale cronico" così peculiarmente "italiano", Fellini riesce ad
imporre anche Franco Fabrizi (doppiato da Manfredi), che aveva notato tra
i boys della Osiris. Il cast è completato dall'ex ragazzo prodigio Franco
Interlenghi (protagonista in Sciuscià), da Leopoldo Trieste, da una serie di
caratteristi provenienti dal teatro, dal fratello di Fellini, Riccardo, e da una
diva del terzo reich, Lyda Baarova, nota per essere stata l'amante di
Goebbels.
La sfiducia verso la pellicola aumenta nei produttori mentre ci si
avvicina alla fine delle riprese. Pegoraro si affretta a mettere in cantiere un
film di sicuro esito commerciale che dovrebbe permettergli di superare il
previsto insuccesso de I vitelloni. I risultati del botteghino smentiranno le
previsioni; mentre Scampolo '53 (così si chiama la pellicola “riparatrice”)
è un disastro, il film di Fellini diventa uno dei successi della stagione.
Incassa infatti nel 53-54 ben 555 milioni e si piazza al nono posto della
classifica delle pellicole italiane. Il risultato commerciale è poi rafforzato
dalla distribuzione all'estero dove I vitelloni spopola. In Argentina è
32
Guardare cinema vedere storia
campione d'incassi nel 1954, in Francia, Inghilterra e USA riscuote buoni
consensi.
Il successo è aiutato anche dall'affermazione ottenuta al Festival di
Venezia del 1953 dove la giuria, presieduta da Eugenio Montale, gli
assegna il Leone d'argento insieme ad altre cinque pellicole in un palmarès
in cui il massimo premio non è stato attribuito ad alcun film.
La critica italiana esprime, però, riserve sull'ultima fatica di Fellini.
Pur non negando la validità dell'opera, essa pretende dal cinema la corretta
formulazione dei problemi sociali e un aiuto per la soluzione degli stessi.
Fernaldo Di Giammatteo scrive sulla rivista Rassegna del film: " È
indubbio che questo film svela una personalità nuova ed abbastanza
autentica, ma è pure indubbio che le doti di questa personalità restino
tuttora vaghe." Moravia, critico dell'Europeo, segnala che "Tutte queste
figure sono disegnate sulla falsariga di un mondo provinciale di marca
deamicisiana per nulla convincente." Non è da meno Filippo Sacchi che,
su Epoca, segnala che il personaggio di Moraldo è "assolutamente
sbagliato nella sua uggiosa passività" facendo casualmente suo, sia pure
partendo da basi diverse, il giudizio del CCC che esprime le proprie riserve
sentenziando: "La condanna di un sistema di vita poco lodevole non è
espressa con sufficiente chiarezza. Tale errore d'impostazione e la
presenza di situazioni e scene scabrose fanno riservare la visione agli
adulti di piena maturità morale." Altre critiche esprimono consenso
all'opera sottolineandone il realismo.
Sappiamo che i vitelloni che hanno ispirato l'opera erano un gruppo di
giovinastri che Fellini aveva conosciuto a Rimini, ma che non aveva mai
frequentato. Inoltre i ricordi di Fellini sono contaminati da quelli di
Flaiano, cresciuto nella provincia pescarese. Tuttavia il contesto sociale in
cui si svolge il film è chiaramente quello dell'Italia postbellica che si sta
velocemente industrializzando.
Rimini era uscita distrutta dall'evento bellico, i bombardamenti
avevano quasi completamente sventrato la città vecchia, poi rifiorita grazie
all'operosità dei suoi abitanti. L'accanimento delle forze alleate sulla città
romagnola è testimoniato dalla sorella di Fellini, Maddalena, che ricorda i
bombardamenti del dicembre 1943 in cui cadevano le "bombe come
grappoli di uva nera."
Gradualmente le pensioncine a conduzione familiare sono svanite,
così come l'economia spicciola e il rapporto solidale tra cittadini che aveva
caratterizzato la città fino ad allora. Il progresso di quegli anni cancella le
attività commerciali che caratterizzavano il centro della cittadina ricordate
sempre da Maddalena Fellini con estremo rimpianto.
33
Giovanni Scolari
La vita era ancora a misura d'uomo. La ricchezza era, invece, ancora
da venire; un esempio emblematico viene dai costumi da bagno fatti molto
spesso con la tela dei paracadute, un tessuto così spesso e duro da lasciare i
segni sulla pelle di coloro che lo portavano. Le ragazze indossavano invece
un costume di lana che non appena si bagnava diventava “tinco”, in
dialetto significa rigido. Le possibilità di divertimento per i giovani d'allora
erano davvero poche, come si può facilmente desumere anche dalle
immagini de I vitelloni e Amarcord (1973). Oltre alle solite feste per
ragazzotti vi era ben poco d'altro da fare: il biliardo, il bar, gli scherzi di
cattivo gusto, il cinema (il Fulgor che appare spesso nella mitologia
felliniana) e, raramente, il varietà. Poi c'erano i sogni, la fuga a Roma, la
capitale che così tanto fascino esercitava su questi giovinastri.
Roma era allora difficilmente raggiungibile, quasi un’avventura. I
collegamenti erano assai difficoltosi e lo resteranno per diverso tempo
anche dopo la guerra. Fellini, infatti, perde quasi completamente i rapporti
con la città d'origine e con i suoi amici d'infanzia per alcuni anni. Quando
vi ritorna, si accorge della scomparsa del borgo, si rende conto che la fauna
locale, che lo ispirerà per alcuni suoi famosissimi personaggi, sta
svanendo. Rimane la nostalgia di tutto ciò, nostalgia presente in Roma, I
clown, Amarcord, Otto e mezzo.
La discrasia esistente tra la Rimini dei suoi ricordi e quella reale
rende difficile il rapporto tra lui e i riminesi. La riconciliazione giunge solo
dopo il primo dei due ictus che lo porteranno alla morte il 31.10.1993.
Sapendo che Fellini è gravemente malato, Rimini si stringe attorno a lui.
La lavorazione del film non è disturbata dalla dura campagna contro
la cosiddetta "legge truffa" che assegnava i due terzi dei seggi alla
coalizione di partiti che avesse ottenuto il 50 per cento più uno dei voti.
Nel tentativo di impedirne l'approvazione, si scatena in parlamento un
durissimo ostruzionismo superato solo da una forzatura del presidente del
Senato Meuccio Ruini. La legge viene approvata in tempo per le elezioni
che vengono indette per il 7 giugno del 1953. È un'altra sconfitta per il
Partito Comunista appena ripresosi dallo shock causato dalla morte di
Stalin.
La riforma della legge elettorale ha, però, provocato gravi lacerazioni
anche all'interno della maggioranza. Dai partiti laici alleati alla DC escono
personaggi che si presentano alle elezioni in formazioni nate
appositamente per impedire alla coalizione formata da: DC, PSDI, PLI,
PRI, Partito sardo d'azione, Sud Tiroler Volkspartei e Partito Popolare
Sudtirolese di ottenere il quorum del 50% dei voti. La percentuale non
viene, infatti, raggiunta anche in virtù dell'azione di piccole liste - Unità
34
Guardare cinema vedere storia
Popolare, guidata dal liberale Corbino, e Alleanza Democratica Nazionale
di Calamandrei, Parri e Codignola - che raccolgono rispettivamente lo 0,5
e lo 0,6%. Una manciata di voti che sono però sufficienti ad impedire la
realizzazione del progetto di "democrazia protetta" che De Gasperi si
proponeva di realizzare con la riforma. Il cartello di partiti da lui guidato
raggiunge solo il 49.8% e nel corso della seconda legislatura viene
ripristinato il proporzionale puro con la cancellazione del premio di
maggioranza appena introdotto. La sconfitta politica del progetto
degasperiano comporta la caduta dell'anziano leader della Dc.
La presidenza del consiglio viene affidata al democristiano Giuseppe
Pella che forma un governo monocolore con l'appoggio esterno di PLI,
PRI, PSDI che scivolerà sulla questione di Trieste. La città faceva parte
dalla fine della seconda guerra mondiale di un territorio libero diviso in
due zone controllate dalle forze vincitrici del conflitto. Nel tentativo di
ridare la sovranità su questa fetta di terra Pella chiede un plebiscito in
entrambe le zone. La reazione jugoslava costringe gli alleati a ritirare
l’appoggio alla proposta italiana. In seguito all’uccisione di sei persone, nel
corso di una manifestazione a Trieste, il governo italiano schiera il proprio
esercito alla frontiera. L'intervento di USA e Gran Bretagna porta ad un
compromesso che lascia all'Italia la zona A mentre la zona B viene
assegnata alla Jugoslavia. Subito dopo Pella paga le tensioni che ha causato
venendo dimissionato dalla Dc che lo definisce, attraverso le parole di De
Gasperi, un "governo amico".
Le tensioni politiche non si riverberano nell’opera felliniana di cui,
peraltro, si erano già concluse le riprese alla fine di gennaio. Le questioni
sociali che vengono toccate sono assai diverse. Traspaiono, comunque, le
angosce delle giovani generazioni che si propongono alla società
impreparati, incapaci di inserirsi nel mondo del lavoro e sconcertati
dall’instabilità del futuro.
Il grande fermento di cui godeva il popolo italiano non aveva ancora
agito in profondità nella mentalità della provincia. Il Sud, in modo
particolare, non riuscirà a ritrovare i legami con il resto d'Italia che invece
proprio nel corso del decennio decolla.
Rimini, invece, e la riviera romagnola risalgono la china grazie al
turismo di massa che inizia ad imporsi dalla seconda metà degli anni
cinquanta. Nel censimento del 1949 l'Emilia Romagna aveva 1.789 esercizi
alberghieri e poteva contare su 34.459 posti letto, ben lontana dalla
Lombardia che aveva la possibilità di ospitare oltre cinquantamila persone.
Davanti all'Emilia Romagna c'erano altre quattro regioni. Già nel 1954 il
35
Giovanni Scolari
dato cambia: gli esercizi aumentano nella Romagna fino a raggiungere il
numero di 2.590, seconda solo alla Lombardia.
Il dato del 1958 testimonia l’incremento della vacanza di massa e le
mutate condizioni economiche. In Emilia Romagna si registra un aumento
delle attività alberghiere di quasi il 70%. Ma il boom del turismo in questa
zona è ancora più riscontrabile dall'aumento del numero dei posti letto che
raggiungono in quattro anni il 17% dell'intero settore in Italia. È facilmente
comprensibile che ciò è dovuto soprattutto allo sviluppo della riviera
adriatica. È ovvio a questo punto affermare che Rimini e le zone limitrofe
avevano subito un cambiamento radicale.
I vitelloni felliniani non vivono l'abnorme crescita del turismo e
dell'artigianato locale; certamente, però, subiscono l'incertezza tipica di
ogni cambiamento epocale e la rivoluzione in atto nella provincia italiana.
Questa trasformazione rendeva ogni giorno più difficile il rapporto tra
padri e figli impostato in modo molto tradizionale.
I problemi tra generazioni sono confermati anche da altre fonti.
Eugenio Turri nel suo libro Miracolo economico, in cui ricostruisce la vita
nel veronese nel decennio in questione, affronta un caso analogo. Narra,
infatti, la storia di un proprietario di un negozio di generi alimentari, Giani
Formagiar, con un figlio di nome Tranquillo che è così descritto: "inquieto,
con poca voglia di studiare, ambizioso, con tendenza a fare il bullo
[...]Passava tutta la giornata al bar a sognare avventure impossibili. Gli
piacevano molto le macchine sportive con cui pensava di fare colpo sulle
ragazze." Sembra uno dei protagonisti del film di Fellini. Tranquillo
finisce in prigione per truffa poi si redime tornandosene a casa per finire
dietro il banco del negozio da cui credeva di fuggire.
Chi invece fugge è Moraldo, il personaggio che più si avvicina al
regista. Prende il treno e se ne va a Roma, verso la capitale dove c'era, o si
sperava ci fosse, il successo o forse un luogo ove svelenire l'inquietudine.
Come lui, molti altri. Si sa, infatti, che il movimento migratorio di quegli
anni si volgeva soprattutto verso le regioni del nord per l’incessante
sviluppo economico. Unica significativa eccezione era il Lazio. Il notevole
rafforzamento dell'amministrazione centrale era stato visto nel sud
dell'Italia, dove la disoccupazione era elevatissima, come una possibilità di
carriera che era stata poi rapidamente sfruttata a fini elettorali, una volta
compresane l’importanza. Nel 1954 il 56.3% degli impiegati e funzionari
pubblici sono di origine meridionale.
Le illusioni e le speranze degli italiani sono anche vittime
dell'incertezza del quadro politico. La debolezza e fragilità delle
maggioranze parlamentari viene compensata dall'intervento dei partiti con
un dinamismo che tende a saltare il momento istituzionale. Il Parlamento,
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Guardare cinema vedere storia
infatti, diventa poco a poco la cassa di risonanza di decisioni e alleanze
maturate fuori da Montecitorio. Questo processo comporta l‘occupazione
dello stato da parte dei partiti che nel suo processo degenerativo spingerà
l'Italia nel baratro della inefficienza. Nasce, insomma, la partitocrazia.
I Vitelloni rappresentano uno degli aspetti deleteri della provincia
italiana. Fellini, è vero, li identifica con una parte della sua adolescenza.
Ma al di là della bonaria simpatia con cui il regista li tratta, essi
rappresentano il rischio di degenerazione di una società che da agricola è,
in pochissimi anni, divenuta industriale. L'improvviso benessere della
media borghesia ancora aggrappata ai valori e alle tradizioni dell'Italia
rurale e prebellica, non concede il tempo di adeguarsi alla nuova mentalità
che il boom economico porta con sé. Gli scompensi che ne derivano sono
una delle ragioni della nascita di questi parassiti. Tuttavia questo
atteggiamento può essere individuato come un elemento di ribellione. La
salvezza che i vitelloni inseguono è il sogno di una realtà diversa.
Il successo che arride a questo film è forse attribuibile al fatto che
l'italiano conosce e riconosce questa categoria di persone e, dunque, ne può
ridere senza sentirsi bersaglio della pungente ironia del regista. I vitelloni è
l'unico film d'autore che sfonda al botteghino. Tuttavia anche quest’opera
appartiene al filone della commedia all'italiana. Nella stagione 53/54 il
pubblico italiano continua insomma a rifuggire dal cosiddetto "cinema
impegnato" fino al punto di rifiutare il tentativo di Zavattini di rilanciare il
neorealismo con un film ad episodi - Amore in città - dove i migliori registi
italiani, tra cui Fellini, girano dei cortometraggi su tematiche neorealiste.
L'insuccesso è totale. Amore in città è solo 90° tra gli incassi stagionali.
Il pubblico si è ormai definitivamente ripiegato su se stesso, comincia
a rifiutare i modelli proposti dal nostro cinema per aderire a miti, gusti,
mentalità dei prodotti statunitensi. Un’identificazione aiutata dall'invasione
delle case produttrici americane sbarcate a Cinecittà per l'economicità e per
la resa degli artigiani italiani. La presenza costante sugli schermi e sui
rotocalchi italiani delle stelle di Hollywood rende ancora più familiare lo
stile di vita statunitense che, agli occhi di tutti, diventa l'Italia di un futuro
ormai prossimo.
37
Giovanni Scolari
LA STRADA 1954
Gelsomina è una povera orfana dall'animo semplice. La madre la
vende ad un artista da strada, il rozzo Zampanò a cui aveva già venduto la
figlia maggiore, appena morta. Addestrata duramente, la ragazza si adatta
alla nuova vita. Gelsomina è a tutti gli effetti la compagna di Zampanò, ma
questi la maltratta e la umilia in continuazione; una notte la abbandona in
un paese per andarsene con una prostituta. Gelsomina fugge, allora,
durante una festa. Lì vede per la prima volta il matto, un funambolo. Dopo
la festa Gelsomina, ubriaca, viene caricata a forza da Zampanò.
Gelsomina si risveglia in un circo dove lavora anche il Matto. Subito
iniziano i dissidi tra lui e Zampanò che sfociano in durissimi litigi.
L'ultimo porta in prigione il bruto che viene scacciato dal circo. Durante
la notte la ragazza incontra il Matto che la convince a restare con il suo
uomo.
Dopo il rilascio di Zampanò ricomincia il girovagare che li conduce
ad un convento di suore che offrono ai due riparo per la notte. Il
ringraziamento per la generosità delle religiose dovrebbe essere il furto di
alcuni ex-voto d'argento, ma Gelsomina si rifiuta di aiutare l'uomo e il
colpo fallisce. Al momento del congedo una suorina, con cui la ragazza ha
fatto amicizia, le chiede se vuole restare al convento, ma lei rifiuta:
bisogna accettare il proprio destino.
Mentre sono in viaggio incrociano l'automobile del Matto ferma per
un guasto. Zampanò aggredisce il rivale e lo uccide. Spaventato cerca poi
di nascondere l'accaduto facendolo passare per un incidente. Gelsomina,
però, è sconvolta: non mangia e non parla più se non per invocare un
aiuto per il Matto. Esasperato, Zampanò la abbandona lasciandole solo la
tromba.
Sono passati alcuni anni, Zampanò, invecchiato, lavora nel Circo
Medini. Mentre sta passeggiando sente una donna cantare la melodia che
Gelsomina suonava con la tromba. La donna rivela di averla imparata da
una ragazza morta alcuni anni prima. La sera, ubriaco fradicio, viene
buttato fuori da un’osteria. Scacciato si rifugia nella spiaggia. Ora è solo,
cade in ginocchio e, per la prima volta, scoppia in un pianto disperato.
Il copione de La strada nasce dall'amore che Fellini e Pinelli
nutrivano nei confronti dei vagabondi. Non è chiaro di chi sia stato lo
spunto iniziale. Kezich attribuisce l'idea a Fellini che avrebbe incontrato
una famiglia di zingari somiglianti a Zampanò e Gelsomina durante le
riprese di Luci del varietà. Pinelli racconta di essersi imbattuto nei due
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Guardare cinema vedere storia
personaggi durante un viaggio in macchina. Pinelli aggiunge, poi, che
Fellini desiderava girare qualcosa sui vagabondi e che la lavorazione li
vide perfettamente concordi, a differenza di Flaiano che riteneva l'idea una
sciocchezza.
La gestazione del film è piuttosto lunga. Pinelli inizia a stendere la
sceneggiatura durante le riprese de I vitelloni. Fellini, inoltre, fatica ad
imporre la Masina come protagonista. I produttori non credono in lei.
Fellini si impone e recluta il cast basandosi solo sul suo istinto.
La prima avviene al Festival di Venezia in un'atmosfera nervosa. Gira
infatti la voce che ambienti politici stiano boicottando Senso, l'opera di
Luchino Visconti rappresentante della cinematografia marxista. Si scatena
la polemica contro Fellini, in quanto adottato dalla stampa cattolica e
borghese in virtù dei contenuti più spirituali delle sue pellicole. Nasce così
un falso dualismo, che durerà una decina d'anni, alimentato ad arte dalla
stampa e dai media, tra due registi che nulla hanno in comune con le
divisioni politiche e ideologiche del periodo che sono alla base della
controversia.
La contestazione alla premiazione del festival che vede Fellini
gratificato dal Leone d'argento - quello d'oro è stato assegnato a Giulietta e
Romeo di Castellani - e Senso completamente escluso da ogni tipo di
riconoscimento, provoca una gazzarra sedata solo grazie all'intervento
della polizia. Inoltre l'amarezza per il boicottaggio subito, spinge Visconti
a rilasciare dichiarazioni abbastanza dure nei confronti dell'opera di Fellini.
I due, dopo un periodo di freddezza reciproca durato anni, si riappacificano
a Mosca durante il festival omonimo del 1963.
Questa contrapposizione è alimentata anche dalla rivalità esistente tra
le due "corti" che vivevano a fianco dei registi. Visconti era, infatti, come
dice Lina Wertmuller "un signore rinascimentale che aveva una corte di
cui la sinistra era il lusso, la ciliegina sulla torta. Prima veniva
l'aristocrazia, poi l'estetismo e, infine, il comunismo". Anche attorno a
Fellini ruotava una struttura che si potrebbe definire anch'essa cortigiana.
Non è difficile immaginare che gelosie, invidie e divisioni ideologiche tra
le due realtà abbiano giocato un ruolo importante nella presunta inimicizia
tra i due.
È probabile che questa contrapposizione sia servita a molti per
mascherare l'avversione profonda per la pellicola felliniana bollata in Italia
come traditrice del neorealismo. Pasolini la definisce un capolavoro, ma
molti critici sono impietosi. Se, nell'Italia degli anni '50, il potere è a
destra, la cultura si situa in una dura opposizione che non accetta i tentativi
di affrancarsi da questa visione manichea della società. È da segnalare che
il fenomeno ha assunto dimensioni abnormi soprattutto in Italia come
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Giovanni Scolari
dimostra la recensione moderatamente positiva che George Sadoul, famoso
critico marxista, fa di La strada. In Italia, invece, la critica si scatena
contro Fellini accusandolo di essersi ispirato a "deteriore letteratura" o di
insincerità. Marotta su L'Europeo, bolla il film come improbabile e deride
chi afferma che "si tratta della tragedia dell'incomunicabilità fra le
creature" poiché "la effettiva tragedia dell'incomunicabilità è solo quella
in atto fra individui normali, pieni di intelligenza, di educazione, di
sensibilità" e non tra "un bruto e una deficiente" che "è ovvio non abbiano
un bel niente da comunicarsi."
I rilievi più articolati vengono mossi da Guido Aristarco e Luigi
Chiarini. Il primo afferma che "Fellini è un regista anacronistico irretito
com'è in problemi e dimensioni umane largamente superate. [..]È rimasto
alla letteratura d'anteguerra, cerca giustificazioni e resta adolescente”. Il
secondo ritiene che "i personaggi ridotti a simboli sono svuotati di una
loro concreta e possibile umanità." Ci mette del suo anche il CCC che
emette il seguente giudizio "La difficoltà di comprensione del film da
parte di un pubblico giovanile e l'assenza di freni morali nel protagonista
consigliano di riservare la visione agli adulti."
Nonostante l’opposizione della critica che tende a privilegiare
l'assunto sociale sui contenuti morali di un film a forma di favola, La
strada riscuote un buon successo nelle sale. Alla fine della stagione 54/55
la classifica degli incassi la pone al 17esimo posto con 430 milioni. Ma il
vero successo la pellicola la coglie all'estero, trionfando ovunque fino a
cogliere l'Oscar per il miglior film straniero nel 1956. Oltre all'ambita
statuetta, la fiaba di Gelsomina è premiata in tutto il mondo. Persino in
Giappone Fellini viene consacrato maestro del cinema; a New York
stabilisce il record di visioni superando i due anni di programmazione e
incassando la bellezza di 650 milioni. Questo successo non scalfisce le
convinzioni della critica italiana, ironica sul ritardo culturale del resto del
mondo.
La polemica sorta intorno al film di Fellini porta ad un dibattito
interno che trova la sua motivazione nella crisi del neorealismo e dei suoi
epigoni critici che trovano conforto nella "militarizzazione" della cultura
cinematografica da parte del PCI. Una militarizzazione nata in seguito
all'uscita del volume di Andrei Zdanov, Politica e ideologia, nel 1949 che
condiziona l'atteggiamento dei comunisti italiani nella cultura durante tutta
la guerra fredda. Certo le rigidità delle teorie zdanoviane vengono
attenuate e smussate, in parte, dalla pubblicazione dei Quaderni di
Gramsci, ma resta manifesta la tendenza conformista di molta parte della
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Guardare cinema vedere storia
critica di schierarsi da una parte del confronto con idee preconcette e forti
pregiudizi.
L'acceso dibattito sul presunto tradimento del neorealismo da parte di
Fellini mostra, alla fine, proprio le lacerazioni presenti in coloro che questa
polemica hanno iniziato. Il fronte neorealista si spezza quindi in diverse
fonti di dissenso in una crisi aggravata dall'invasione sovietica
dell'Ungheria nel ‘56 che produrrà un terremoto negli ambienti culturali
vicini al PCI.
In un'atmosfera così surriscaldata, in cui prevalevano le componenti
ideologiche su quelle sociali e culturali, è sfuggito agli occhi della critica
che l'opera di Fellini descriveva un mondo in via di estinzione: i
vagabondi. L'evoluzione economica dell'Italia stava, infatti, distruggendo
ogni possibilità di vita a questi personaggi che, girovagando da una parte
all'altra della nostra penisola, si inventavano i mestieri più improbabili,
come gli artisti da strada.
L'atmosfera respirata in questo ambiente era stata oggetto di studi da
parte di Pinelli che aveva esordito in teatro con una pièce ambientata tra i
vagabondi. Tale interessamento, oltre al desiderio mai realizzato di
abbracciare questo tipo di vita, ha portato Pinelli ad avvicinare questi
personaggi che ciondolavano da una sagra di paese all’altra. In tutte le
piazze si potevano ammirare giocolieri, mangiafuoco, si potevano
apprezzare le capacità oratorie di imbroglioni che vendevano finto oro a
prezzi stracciati dicendo di averlo ricevuto da contrabbandieri peruviani; o
ancora dei cosiddetti dulcamara che vendevano ai creduloni rimedi e
consigli contro ogni tipo di malattie.
Le strade di tutta Italia erano invase da questi personaggi che, privi di
una casa, raccoglievano in ogni modo il poco che gli bastava da vivere.
Pinelli ritiene che la vita di questi vagabondi fosse frutto di una scelta, data
dal piacere di fare i saltimbanchi senza costrizioni sociali di alcun tipo e
dal rifiuto di ogni tipo di responsabilità.
È difficile definire con precisione la sorte di questi personaggi, non
esistono a proposito né statistiche né fonti a cui riferirsi. È probabile che
l'avvento dell'era industriale li abbia confinati in spazi sempre più
marginali e ristretti, quando non li abbia distrutti e ridotti alla fame. Il loro
destino non poteva essere diverso da quello di Gelsomina.
Da Luci del varietà a La strada si possono notare significative
differenze nella descrizione del paesaggio circostante. Se, infatti, nel film
del debutto esso era ancora fortemente segnato dalle distruzioni belliche,
Anthony Quinn e la Masina vagano per i sobborghi delle città dove i
palazzinari hanno preso piede con i loro ingombranti casermoni. È in
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Giovanni Scolari
questo paesaggio urbano che si possono registrare i cambiamenti avvenuti.
Nel finale ambientato su di un lungomare, quando Zampanò scopre che
Gelsomina è morta, il girovago si aggira tra una folla di persone che si
godono la passeggiata domenicale, sintomo di una rinascita economica che
comincia a farsi sentire.
Il progresso industriale e la rivoluzione sociale in atto in Italia
collidevano con la politica sociale di Papa Pio XII. Il suo ruralismo, i
richiami alla frugalità e all'austerità sono un moto di reazione all'economia
di mercato, tuttavia non gli impediscono di avviare un forte processo di
compenetrazione nella vita di tutti i giorni. Essenziale nell'azione politica e
sociale del Papa è l'accentuazione del culto mariano. La Madonna viene
fatta oggetto di una particolare venerazione al punto che nel 1954 viene
indetto, per la prima volta, un anno santo mariano e viene pubblicata
l'enciclica Sacra virginitas, che fa seguito alla Fulgens corona, resa nota
l'anno precedente.
Anche Fellini ha recepito questo clima mostrandone gli aspetti a volte
spirituali, a volte deleteri. Il culto della Madonna rientra in tre pellicole di
questo decennio: La strada, Le notti di Cabiria (1957) e La dolce vita
(1960). Nel primo film è mostrata la processione della Madonna
Immacolata in un paese; nel secondo il pellegrinaggio al santuario della
Madonna del Divino Amore e ne La dolce vita è di grande importanza
l'episodio dell’apparizione della Madonna a due bambini. Isolando i tre
episodi dal contesto dell'opera in cui si trovano è subito evidente come lo
sguardo di un cattolico, sia pure sui generis come Fellini, passi da
un'attenta e rispettosa descrizione del culto di un paese di provincia, in cui
sono messi in risalto il legame forte e sincero della cultura contadina, alle
parossistiche scene di isterismo religioso presenti nell'ultima pellicola
considerata.
Non è sfuggita, invece, all'attenzione della stampa la critica implicita
all'istituzione matrimoniale insita nei film di Fellini. Questi aspetti non
potevano non irritare sia la critica cattolica - in fondo il culto mariano era
stato incrementato per sottolineare la sacralità della generazione all'interno
dell'istituto del matrimonio - sia la critica marxista che si mostrava
ugualmente moralista e risoluta nel riprovare pubblicamente ogni tentativo
di sollevare il problema del divorzio.
Questi motivi sono alla radice della violenta battaglia che si scatena
all'indomani dell'uscita del successivo film di Fellini Il bidone. Il suo
insuccesso commerciale libera rancori sepolti e meschinità represse che
approfittano dell'occasione per regolare i conti con il cinema felliniano.
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Guardare cinema vedere storia
La vicenda di Gelsomina è ambientata probabilmente alla fine degli
anni quaranta, ma le condizioni della sua famiglia sono terribili e
realistiche come dimostra il rapporto della già citata Commissione
Parlamentare sulla povertà che ha dichiarato che nel 1953 in Basilicata ogni
vano costruito ricoverava in media due persone e mezza. Lo stesso rapporto
indicava i gravi problemi alimentari, già accennati, degli italiani
all'indomani dell'evento bellico. A questa condizione precaria si
aggiungeva un livello di istruzione misero e una condizione igienico sanitaria difficile.
Nel censimento del 1951 risulta, infatti, che nella popolazione
superiore a sei anni i laureati sono solo lo 0,99%, mentre gli analfabeti
sono quasi 5 milioni e mezzo, il 12,89% degli italiani. Inoltre il 75% circa
ha raggiunto al massimo la quinta elementare e non è difficile immaginare
che parecchie di queste persone siano poi incorse nell'analfabetismo di
ritorno.
Da questi numeri si evince in tutta la sua gravità la drammatica
situazione in cui si trova la scuola italiana dopo la seconda guerra
mondiale. A questo quadro sconsolante si aggiunge il fatto che almeno 27
milioni di italiani non parlano la lingua nazionale ma solo il dialetto.
La situazione igienico-sanitaria non è migliore, nel 1950 pochissime
famiglie dispongono di acqua corrente e solo il 27% del gabinetto. L'igiene
è affidata ai metodi tradizionali e l'abbandono di queste abitudini sta ad
indicare la rapida maturazione degli italiani. Quello che nel dopoguerra era
considerato un lusso nel 1960 è già diventato di uso comune, come il
dentifricio o i cosmetici.
Tutte ciò non è solo conseguenza della guerra, ma è figlio della
volontà di mantenere in una condizione di estrema ignoranza gli strati più
poveri della società. Ignoranza che colpisce le persone più deboli come gli
anziani o gli handicappati. I più deboli sono anche i bambini che assistono
immobili e divertiti ai colpi di frusta che Zampanò infligge a Gelsomina
quando questa non comprende cosa deve fare durante lo spettacolo. I più
deboli sono questi girovaghi condannati all'estinzione perché non conformi
allo spirito della nuova società che avanza.
Il simbolo più immediato di questo film è, tuttavia, la motoretta. La
stessa con cui Zampanò percorre l'Italia per raggiungere fiere, sagre,
mercati e circhi, è anche il simbolo della motorizzazione di massa che
avviene nel decennio. L’improbabile vettura a tre ruote che Zampanò usa
non è certo protagonista di questo fenomeno - il girovago peraltro dice che
è di fabbricazione americana - ma è sintomo dell'evoluzione dei mezzi di
trasporto nella penisola.
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Giovanni Scolari
L'inizio di questo processo risale alla primavera del 1946 quando esce
sul mercato un nuovo veicolo a due ruote: la Vespa, che montava il
motorino d'avviamento per aerei costruito durante la guerra dalla fabbrica
Piaggio e che costava solo 80.000 lire. L'anno successivo appare anche la
Lambretta che rende sempre più effervescente il settore che passa dai
106.095 motoveicoli in circolazione nel '46 agli oltre 3 milioni di
motoveicoli su strada del 1957. Grazie allo sviluppo della motorizzazione,
le possibilità di movimento dell'italiano medio aumentano notevolmente e
questo comporta una ridefinizione della concezione dello spazio ed una
maggiore possibilità di allargare il raggio delle proprie conoscenze.
L'automobile stenta ad imporsi per i costi ancora proibitivi per la
maggioranza degli italiani. Nel 1951 vengono, infatti, immatricolati solo
100.000 autoveicoli, un quinto degli esemplari in circolazione. L'utilitaria,
tuttavia, non arriva. La politica aziendale della FIAT non prevede una
vettura di tale genere e preferisce, insieme alle altre case produttrici,
orientarsi su berline di media cilindrata. Solo nel 1955 esce la Seicento a
cui fa seguito, nel 1957, la Nuova Cinquecento (la vecchia non è altro che
la Topolino) sull'onda del trionfale successo della precedente utilitaria. Il
prezzo d'acquisto è di sole 480.000 lire ed è alla portata di vasti strati della
popolazione. Gli effetti sono immediati. Nel 1958 circolano 1.392.525
vetture che diventano quasi 5 milioni e mezzo nel 1965. Il possesso
dell’automobile si impone nell'immaginario collettivo.
La polemica che coinvolge Fellini non porta poi così bene al film che
non ripete, in Italia, il successo de I vitelloni. Va, infatti, decisamente
meglio a Senso che raggiunge il nono posto della classifica stagionale delle
pellicole italiane anche se con un costo di produzione superiore. Per il resto
gli incassi stagionali premiano ancora la produzione cosiddetta
commerciale ed in modo particolare la riduzione di grandi classici come
Ulisse di Mario Camerini e Giulietta e Romeo di Renato Castellani.
Nella stesso anno il pubblico rifiuta (come aveva già fatto durante gli
anni precedenti con opere del calibro di Germania anno zero, Francesco
Giullare di Dio e Europa '51) in maniera netta e inconfutabile Roberto
Rossellini, che esce nelle sale con tre diverse opere: Viaggio in Italia,
Giovanna d'Arco al rogo e La paura. Il film che va meno male è il primo,
che incassa appena 50 milioni. Rossellini, che si è da tempo avviato per
una sua personale interpretazione della realtà e dell'arte cinematografica, è
autore troppo scomodo per poter essere ridotto a simbolo, sia pure
improprio come abbiamo visto per Fellini e Visconti, di una parte politica.
Il pubblico, si sa, accetta con molte difficoltà opere impegnative e pregne
di sottintesi filosofici, ma è indubbio che il disconoscimento di colui che è
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Guardare cinema vedere storia
il padre del neorealismo e unico maestro di Fellini è un fenomeno di
rimozione che pesa sulla cultura italiana del periodo.
Tutto ciò è causato dalla netta divisione che si crea nella cultura
italiana, nelle istituzioni e nei luoghi di potere. Questo processo di
parcellizzazione fa nascere tante piccole cellule corporative che si
aggregano a seconda del referente politico a cui si rifanno per sopravvivere
e che da questo sono utilizzate per attingere consensi elettorali e
propagandistici. Lina Wertmuller afferma che la nascente partitocrazia
svolge negli anni '50 un intenso “lavoro di fondo per far diventare
politicizzato ogni pezzo della vita degli italiani. Lavoro fatto molto
attentamente. Le strutture dei partiti si sono infilate in tutti i gangli della
vita italiana e quindi anche del cinema. In tal senso la sinistra ha sempre
lavorato per attrarre verso di sé gli intellettuali nonostante quasi tutti i
registi fossero di quell'area politica. Anche se gli artisti poi sono
totalmente anarchici, ognuno è iscritto al partito di se stesso." Gli effetti
sul pubblico sono limitati: come vedremo per La dolce vita, le diatribe
ideologiche fanno incassare solo se portano con sé scandalo e morbosa
curiosità.
Se il mondo politico si sta spartendo il potere nei vari settori della vita
economica e sociale, gli italiani sono concentrati sui benefici che lo
sviluppo economico, non ancora giunto al suo culmine, sta portando.
Abitudini, consumi, tradizioni vengono sconvolti da questa marea di novità
che si unisce al travolgente successo della televisione di stato.
Questa rapida evoluzione colpisce anche l'istituto più sacro e
intoccabile d'Italia: la famiglia. Tuttavia l'analisi che Fellini fa della vita di
coppia viene sottaciuta, dimenticata, si preferisce confinarla nel campo
della incomunicabilità tra esseri umani.
Il clima avvelenato è evidente in un episodio del 1957 quando il
vescovo di Prato, Pietro Fiordelli, classifica come "pubblici concubini" due
giovani che si sono sposati civilmente in una lettera al loro parroco. La
lettera, diffusa in parrocchia, provoca la denuncia del prelato, assolto in
appello dopo la condanna subita nel giudizio di primo grado. Ad
influenzare pesantemente il processo intervengono esponenti DC tra cui
Andreotti che qualifica il processo come "un impressionante episodio di
laicismo anticlericale, che dobbiamo combattere come il comunismo".
Anche il presidente del consiglio Adone Zoli interviene appoggiando il
proprio ministro "perché sul caso del vescovo si è instaurata una
speculazione politica." Non sorprende allora che gli anni '50 abbiano visto
una diminuzione dei casi di separazione legale, numero che aumenterà
notevolmente non appena si alleggerirà la pressione ed il peso della chiesa
nella vita pubblica.
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Giovanni Scolari
Le grandi speranze che gli italiani avevano al momento della caduta
del fascismo sono oramai un pallido ricordo. Ogni aspetto della società
viene utilizzato in questa guerra sotterranea tra partiti governativi, in cui la
DC troneggia, e l'opposizione dove il Partito Comunista è leader
incontrastato. Chi è fuori da questa logica viene attaccato, contestato.
Fellini, che nel 1954 era l'alfiere del cinema cattolico, l'anno successivo
viene abbandonato dopo l'insuccesso de Il bidone, quando parte della
critica si pone come obiettivo la distruzione del suo modo di fare cinema.
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Guardare cinema vedere storia
IL BIDONE 1955
Augusto, 48enn truffatore, comincia ad avvertire la vuotezza della
sua vita. I bidoni con gli amici Ricasso e Roberto non gli bastano più. Un
colpo alla sua dignità gli viene dall'incontro con un vecchio complice,
Rinaldo, ora ricco spacciatore di cocaina. Questi lo invita alla festa di
capodanno con Picasso e la moglie, ignara del vero lavoro del marito.
Alla festa c’è anche Roberto che ruba un portasigarette d'oro facendosi
scoprire. Rinaldo caccia tutti. Iris, la moglie di Picasso, minaccia di
abbandonarlo. L'uomo le promette che cambierà vita.
I tre, invece, tornano presto al lavoro. Durante l’ennesimo imbroglio
Augusto incontra la figlia che non vedeva da anni. I due si danno
appuntamento per la domenica successiva. La cricca si ferma in un paese,
Picasso, ubriaco, ha una crisi di coscienza e torna dalla famiglia, gli altri
due se ne vanno con una prostituta locale.
Augusto cerca di fare colpo sulla figlia promettendo di aiutarla a
mantenersi all'università. La giornata si conclude, invece, con il suo
arresto. Uscito di prigione, cerca di rientrare nel giro, ma non trova
nessuno. Si aggrega ad altri con cui ripete il bidone in cui si finge un
Monsignore. Stavolta la vittima è una famiglia molto povera con una figlia
poliomielitica. Augusto rimane toccato dalla ragazza e rivela ai compagni
di averle restituito i soldi. I complici non gli credono e lo inseguono
ferendolo gravemente, poi lo perquisiscono, trovandogli in una scarpa il
malloppo. Abbandonato nel dirupo dove era caduto, Augusto si trascina
moribondo fino al ciglio della strada. Lì vede due donne. "Aspettate, vengo
con voi". Sono le sue ultime parole.
Il successo de La strada che, nel mondo continua a mietere premi e
riconoscimenti, non era stato digerito dalla critica che aveva definito
Fellini e i suoi sceneggiatori i "sorridenti affossatori del neorealismo".
Quest’ostilità preconcetta accompagna la prima de Il bidone a Venezia.
L'accoglienza è gelida; il pubblico abbandona la sala, gli incassi sono
deludenti. Il bidone non da fastidio solo a sinistra, ma sconcerta anche i
recensori di altre posizioni politiche e ideologiche. Il CCC boccia il film
con un giudizio molto duro e con critiche esplicite a scene come quella del
capodanno o del night-club.
Fellini conscio di pagare il successo dell’anno precedente, afferma
che "il problema con La strada fu che la Chiesa cercò di appropriarsene,
di usarlo come una bandiera. Il ritorno della spiritualità. Così Cinema
nuovo vi si oppose. Ve lo assicuro, se i critici di Cinema nuovo lo avessero
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Giovanni Scolari
elogiato per primi, allora sarebbe stato il turno della Chiesa a mettere il
veto".
Il provincialismo della stampa italiana è colto all'estero dove vi è un
tentativo per rivalutare il film che non sortirà effetti in Italia. Aristarco,
infatti, accusa Fellini di non riuscire a "svincolarsi dalla sua posizione
sentimentale" che gli fa provare simpatia per i suoi protagonisti, simpatia
"abbastanza discutibile se si considera che i bidonati sono della povera
gente". Molti altri critici stroncano la pellicola. Marinucci dichiara che gli
errori del film sono "nel copione, nell'impostazione, nel tono e nello
svolgimento della materia". Castello ritiene che in alcuni casi Il bidone sia
artificioso, retorico e diseguale al punto da giudicarlo "un'opera
mediocremente riuscita"; Ojetti lamenta la mancanza "di un preciso
messaggio di condanna, una morale". Attacchi come si vede, molto
violenti che non tenevano conto del grande lavoro di ricerca compiuto. A
dispetto della critica che riteneva ingiusto mostrare sullo schermo imbrogli
a persone povere, proprio queste erano oggetto della astuzia dei manigoldi.
Molte delle truffe mostrate nel film erano infatti vere, come realistico era
l'atteggiamento di Augusto che si vantava delle sue gesta e dei suoi bidoni
come fossero opere d'arte. Anche i bidonisti fanno parte di quei personaggi
che vengono cancellati dallo sviluppo industriale dell'Italia. Appaiono,
invece, i nuovi criminali dediti ad attività più remunerative come lo
spaccio della cocaina che penetra negli alti livelli della società, ambienti
vietati ad Augusto che è e resta invece ai margini del mondo "perbene". Il
vero bidonista è un essere solitario, non può permettersi una famiglia, in
sostanza un emarginato.
Il Bidone porta alla luce un fenomeno diffusissimo nell'immediato
dopoguerra. Nel decennio 1941-1950 i reati denunciati presso l'autorità
giudiziaria di cui è stata avviata l'azione penale sono in media 843.281
all'anno. Questo dato assume diverso valore se si esamina la statistica anno
per anno. Si va dai 484.332 delitti del 1941 al 1.260.870 del 1946, record
dei crimini nel decennio. Tutti i tipi di reati subiscono, dal ‘45 al '50,
un'impennata impressionante. Ma se alcuni sono riflesso della tormentata
situazione politica, le truffe vivono un singolare periodo d'oro che termina
solo nel 1961. Negli anni successivi al sessanta, a fronte di un aumento
esponenziale di molti tipi di reato (furti, percosse, rapine), il numero di
frodi denunciate rimane più o meno invariato, diminuendo anzi a livello
percentuale. Se, infatti, nel periodo 1945-1961 le truffe costituivano il 5%
circa dei delitti perseguiti, questa percentuale crolla fino a poco meno del
2,5% nel 1985.
Da queste statistiche appare evidente come i bidoni fossero ben altro
che un problema di scarsa importanza nella società italiana degli anni
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Guardare cinema vedere storia
cinquanta. Questo elevato numero di denunce testimonia la redditività di
questo settore della microcriminalità.
Non può dunque essere casuale che con il 1960, data in cui viene
situato il boom economico, si assiste al declino di questa forma di
delinquenza. Fellini, da attento osservatore della realtà sociale, porta sotto
l'occhio di tutti ancora una volta una parte d'Italia che si va estinguendo.
Il processo che provoca la scomparsa di questi personaggi è
simbolizzato dalla televisione le cui trasmissioni iniziano nel 1954. Essa
conquista subito un gran pubblico e nel 1959 si contano già un milione e
mezzo di abbonati. Ad un anno dalla sua comparsa, i ceti più abbienti la
considerano un elemento indispensabile della vita quotidiana. Fellini
sottolinea questo durante la scena del veglione di capodanno. A casa dello
spacciatore la televisione fa già bella mostra di sé.
L'influenza del televisore sul costume italiano non può essere
trascurata, soprattutto per l'aiuto fornito alla scuola nel diffondere l'italiano
parlato, ancora largamente ignorato dalla popolazione. Infatti, dal
censimento del 1951 si ricava che metà degli italiani parla solo il dialetto.
Nel 1955, il numero degli spettatori televisivi supera già quello dei
frequentatori delle sale cinematografiche.
La diffusione della televisione va di pari passo con quella di altri
elettrodomestici. Frigoriferi, lavatrici e altri oggetti rivoluzionano le
abitudini delle massaie e costituiscono l'orgoglio e il vanto della nostra
industria. Sono dei piccoli, ma significativi passi avanti nelle condizioni di
vita della popolazione che ha sempre moti di meraviglia anche di fronte a
semplici innovazioni. È il caso della reazione della prostituta di paese,
ingaggiata da Augusto e Roberto, quando si accorge che la loro macchina
ha, addirittura, l'autoradio.
Questi benefici non raggiungono tuttavia la totalità degli abitanti.
Vasti strati della popolazione sono costretti a vivere ancora in baracche o
in alloggi di fortuna. L'emigrazione interna ha creato una massa di disperati
in cerca di casa che pesa sulla situazione sociale delle grandi metropoli.
Che il problema dei baraccati sia molto sentito è confermato
dall’attenzione che il cinema riserva alla questione. De Sica e Zavattini, vi
tornano per due volte con Miracolo a Milano (1951) e Il tetto (1954). Ma
moltissime pellicole del decennio hanno per oggetto l'esigenza della casa di
proprietà.
Già nel '55, si possono notare i primi frutti della maturazione
culturale dell'Italia. È di quell'anno la realizzazione di parte del dettato
costituzionale che ancora non era stato assolto dal Parlamento. Vedono la
luce la Corte Costituzionale, il Consiglio Superiore della Magistratura e il
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Giovanni Scolari
Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. Rimane, invece,
irrealizzata la parte relativa alle regioni, attuata solo 15 anni dopo. In
Parlamento viene eletto Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi,
esponente di rilievo della DC, con i voti favorevoli di socialisti e
comunisti.
Il 1956 è un anno molto "caldo" a livello mondiale. Alcuni
avvenimenti scuotono l'opinione pubblica internazionale, già in tensione
per la guerra fredda. Tre eventi si impongono: il rapporto segreto del XX
congresso del Partito Comunista sovietico (reso noto dagli USA) che svela
le nefandezze compiute da Stalin; la crisi del canale di Suez; l'intervento
armato dell'Unione Sovietica in Ungheria per sopprimere il governo
democratico di Imre Nagy.
Questi avvenimenti rendono quell’anno essenziale per la storia della
cultura italiana tanto da divenire un'etichetta per una generazione di poeti.
La definizione "generazione del '56" si deve a Giovanni Raboni che scrive
"avere vent'anni nel 1956 ha voluto dire formarsi e crescere in un clima
fortemente segnato dalla caduta delle certezze ideologiche e dalle
speranze di mutamento sociale che avevano caratterizzato il primo
decennio postbellic ".
Se, infatti, la condanna del mito di Stalin e la rassicurante figura di
Kruscev avevano dato nuove speranze di pace al mondo occidentale,
l'intervento dei carri armati in Ungheria distrugge ogni illusione e provoca
una serie di riflessioni di natura politica anche all'interno del monolitico
partito comunista italiano. Sotto l'ombrello del "migliore", il PCI riesce a
limitare i danni alla propria credibilità mantenendo in dimensioni
accettabili il dissenso e perdendo solo alcuni parlamentari.
Più grave è, invece, la situazione della CGIL, il sindacato che fa
riferimento al Partito Comunista. L'offensiva padronale riesce, infatti, ad
ottenere importanti risultati tanto che nelle elezioni del 1955 per le
commissioni interne alla Fiat, la CGIL, per la prima volta nel dopoguerra,
perde la maggioranza assoluta. Parte da questa sconfitta la nuova strategia
del sindacato che passa dalla contrattazione centralizzata del contratto di
lavoro ad una articolata, con accordi decisi settore per settore e azienda per
azienda, riavvicinando così la dirigenza sindacale alla base.
A controbilanciare gli avvenimenti in terra d'Ungheria, ha, d'altro
canto, pensato l'esplosiva situazione del Medio oriente. Un attacco
congiunto di Israele, Francia e Gran Bretagna tenta di togliere dalle mani
di Nasser il controllo assoluto del Canale di Suez. Questa guerra fornisce
un’ottima un'arma di propaganda contro l’"imperialismo" del blocco
occidentale.
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Guardare cinema vedere storia
Il contraccolpo più rilevante nella politica interna italiana viene
comunque dall’invasione sovietica in Ungheria che fornisce al PSI la
legittimazione a rompere l'alleanza politica con i comunisti. Iniziano così
contatti che hanno per fine la formazione un governo di centro-sinistra.
Questi contatti danno il via ad una serrata polemica tra le due forze di
sinistra. Quando Togliatti paragona l'azione dell'esercito russo in Ungheria
all'appoggio fornito alla Repubblica spagnola durante la guerra civile,
Nenni insorge denunciando il confronto storico come assolutamente falso e
ciò porta il PSI a non rinnovare il patto di unità d'azione per la prima volta
dopo la guerra.
Si rafforza, intanto, l'invadenza dei partiti nell'opinione pubblica. Nel
1956 viene istituito il Ministero delle Partecipazioni Statali. Nonostante
questo ministero si proponga di fungere da contraltare ai monopoli privati,
la cooperazione tra azionisti pubblici e privati non entusiasma nessuno.
Ernesto Rossi, fustigatore del malcostume italiano dalle pagine del Mondo,
esprime la sua preferenza per le nazionalizzazioni secche piuttosto
dell'ibrido costituito dalle partecipazioni statali. Egli afferma: "Il sistema
dell'azionariato misto ha come necessaria conseguenza l'immeritato
arricchimento degli azionisti privati, soci dello stato, tutte le volte che il
governo, mosso da ragioni di interesse collettivo, aiuta le società di cui è
azionista a reggersi in piedi od a sviluppare la produzione al di là di
quanto potrebbe essere sviluppata con i loro mezzi ordinari."
Sfugge all'opinione pubblica che la proliferazione di enti a
partecipazione statale serve alla DC per rimpinguare le scorte di consenso
e di potere venuto a mancare con il declino dell'età degasperiana.
L'economia italiana continua, intanto, nei suoi progressi, anche se
questi dipendono prevalentemente dalla domanda interna. Il tasso di
crescita del PIL è in media del 5,5%; i maggiori investimenti sono infatti
nell'edilizia, nei lavori pubblici e nell'agricoltura. La mancanza di
programmazione facilita l’iniziativa privata nelle regioni più ricche ma
crea al tempo stesso uno squilibrio delle infrastrutture che è alla radice
della persistente "Questione meridionale".
Mentre l'Italia è conquistata dalle innovazioni tecnologiche che
sembrano ormai alla portata di tutti, Fellini insiste a mostrare personaggi ai
margini della società, che si arrabattano a vivere in condizioni anomale,
con crisi di coscienza che li rendono incapaci di accettare la propria vita.
Il film, però, viene emarginato dal pubblico. Le classifiche dell'anno
vedono in testa La donna più bella del mondo con la Lollobrigida, segue
Marcellino pan y vino. Nei primi dieci incassi, a parte il solito Totò,
figurano Pane amore e ... di Comencini e Don Camillo e l'on. Peppone di
Gallone.
51
Giovanni Scolari
I dati degli incassi annuali danno conto di un malessere dell'industria
cinematografica. Diminuiscono infatti gli spettatori soprattutto dei film
italiani. Solo Il ferroviere di Germi, poi, si occupa di tematiche sociali ,
mentre tutti gli altri rientrano nel filone della commedia all'italiana o sono
polpettoni sentimentali che attingono al repertorio del melodramma.
Trionfano, invece, le pellicole made in USA che costituiscono più
della metà delle pellicole in circolazione in Italia nel 1956. I film
statunitensi incassano il 63% circa della spesa annuale del pubblico nel
cinema, con una rendita media vicina a 23 milioni e ottocentomila. Le
pellicole italiane introitano mediamente 21 milioni e settecento mila lire
circa. Alle altre nazioni vanno le briciole e le cinematografie dell'intero
blocco comunista sono praticamente inesistenti..
Il dato reale, insomma, è che, al di là degli schieramenti ideologici,
l'industria Hollywoodiana era capace di fornire, insieme agli artigiani della
commedia all'italiana, dei modelli e dei personaggi in cui per la
popolazione era facile parteggiare.
Questo non riesce invece agli epigoni del cinema neorealista e al
cinema cosiddetto d'autore (non a tutto ovviamente). Inizia una
divaricazione tra pubblico e cinema italiano. Le riflessioni di natura
ideologica o spirituale non riguardano la maggior parte della popolazione
che poco partecipa al confronto tra capitalismo e marxismo in atto negli
anni cinquanta. Il lungo inseguimento alla ricchezza si sta, infatti,
concludendo. Nessuno osa pronunciarlo ma la nazione si avvia ad entrare
nel mondo industrializzato, alla pari con le grandi potenze mondiali.
52
Guardare cinema vedere storia
LE NOTTI DI CABIRIA 1957
Cabiria è una prostituta che vive alla periferia di Roma in un cubo di
cemento. Viene gettata nel Tevere dal suo ragazzo che la deruba. Salvata
da alcuni ragazzini torna nella sua abitazione dove l'amica e vicina
Wanda, anche lei prostituta, le fa capire che la caduta era un tentativo di
omicidio. Incredula Cabiria caccia l'amica, ma poi prende le cose del
fidanzato e le brucia.
La giovane batte sulla passeggiata archeologica. Una delle prostitute
si è comprata la seicento. Al suono della radio del veicolo Cabiria si
lancia in un mambo che provoca gli insulti di una veterana del
marciapiede. Scoppia tra le due una rissa che viene sedata portando via
Cabiria in seicento. Sulla macchina un pappone cerca di convincerla a
mettersi sotto la sua protezione, ma lei rifiuta e si fa lasciare in via Veneto
dove assiste ad una lite tra il divo Alberto Lazzari e la sua donna Jessy.
Abbandonato dalla donna, Lazzari nota Cabiria e la porta con sé nella sua
lussuosissima villa. Incredula per tanta fortuna Cabiria piange perché sa
che nessuno potrà mai crederle. Per ricordare la sua avventura chiede un
autografo. In quel momento arriva Jessy. Lazzari nasconde Cabiria in
bagno. La mattina seguente Lazzari fa uscire la giovane e le da un po' di
denaro.
Le prostitute si recano al santuario del Divino amore in compagnia
di un vecchio spacciatore storpio che vuole la grazia della Madonna per
tornare a camminare. Anche loro si fanno coinvolgere dall'atmosfera di
devozione e invocano Maria. Ma non ci sono miracoli e Cabiria, ubriaca e
amareggiata, insulta tutti perché capisce di non essere cambiata.
Durante uno spettacolo, viene ipnotizzata da un illusionista che le fa
credere di essere amata da un giovane di nome Oscar. Cabiria rinviene
mentre il pubblico la deride. All'uscita un giovane le chiede un
appuntamento: si chiama Oscar. Cabiria rimane colpita dai modi gentili
dell'uomo che all’ennesimo incontro le chiede di sposarla. Cerca di
spiegargli che vita fa, ma lui le dice che il passato non conta. Cabiria
pazza di felicità vende tutto ciò che ha. Salutata Wanda tra le lacrime,
raggiunge Oscar. Dopo aver cenato, Oscar la porta in un bosco fino ad un
promontorio. Lì cambia aspetto. Cabiria lo guarda e capisce che la vuole
uccidere. Distrutta gli chiede di mettere fine alle sue sofferenze perché non
vuole più vivere. Oscar si limita a rubarle tutti i soldi e fugge. È notte,
Cabiria esce disperata dal bosco. Sulla strada incontra dei ragazzi
provenienti da una festa. Le ballano intorno. Cabiria si guarda attorno
con riconoscenza e poi abbozza un sorriso.
53
Giovanni Scolari
L'insuccesso ha diminuito la credibilità di Fellini. Lombardo,
presidente della Titanus, lo prega di stracciare il contratto. Fellini si mette
serenamente alla ricerca di un nuovo soggetto e di un nuovo produttore. Li
trova entrambi agli inizi del '56. La storia prende spunto da due incontri
avvenuti nei mesi antecedenti. Sul set de Il bidone la troupe aveva
conosciuto una prostituta che viveva in una baracca. Fellini rimane
impressionato dalla vitalità di questa donna che aveva tentato per tre volte
il suicidio, riuscendo sempre ad uscirne con ottimismo. Il secondo incontro
è quello con Giorgio Tirabassi detto "l'uomo del sacco". Tirabassi era una
personalità singolare. Usciva ogni sera verso le 22 con dei sacchi
contenenti viveri, indumenti e medicine da distribuire agli sbandati di
Roma di cui conosceva nascondigli e abitudini. Credeva di aver avuto da
Dio l'ordine di fare queste opere di bene, ma non apparteneva ad alcuna
associazione religiosa e viveva di offerte di privati.
La conoscenza di questo personaggio avviene tramite Pinelli. Durante
la preparazione del film i due partecipano alle incursioni notturne
dell'uomo, ma presto Fellini si stanca e inizia ad approfondire la
conoscenza di una parte di mondo meno filantropica. Accompagnato da
Pasolini, Fellini può assistere alla vita notturna delle borgate romane.
Insieme allo scrittore e allo scenografo Gherardi scorazza per la
passeggiata archeologica e per i centri del malaffare capitolino. Il poeta lo
aiuterà poi a rendere credibili i dialoghi, collaborando alla sceneggiatura.
Alcune ulteriori curiosità sono importanti per decifrare il film. L'idea
dei due tentativi di omicidio che Cabiria si ispirano ad un grave fatto di
cronaca avvenuto poco tempo prima: il ritrovamento in un lago del
cadavere senza testa di una prostituta. L'avvenimento aveva fortemente
impressionato l'opinione pubblica ed era stato al centro dell'attenzione
della stampa per diverso tempo.
Un altro importante spunto per la realizzazione della pellicola si deve
al caso. L'idea dell'incontro tra la prostituta e il divo non era infatti nuova,
Fellini l'aveva proposta vanamente anni prima a Rossellini per il film
L'amore. Quando è ripescata per Le notti di Cabiria viene scelto per la
parte del divo Amedeo Nazzari, famosissimo per i suoi atteggiamenti
divistici e per il suo impressionante guardaroba. Il gioco di specchi diventa
talmente manifesto che, superate le perplessità iniziali di Nazzari, il
personaggio viene chiamato Alberto Lazzari.
La preparazione è attraversata dalla morte per infarto del padre di
Fellini: Urbano. Vi è, però, anche il conferimento dell'Oscar, per il miglior
film straniero, a La strada.
54
Guardare cinema vedere storia
L'annuncio dell'inizio delle riprese crea preoccupazione negli
ambienti culturali in quanto cade nel vivo del dibattito parlamentare in atto
per l'abolizione delle case di tolleranza. Dopo uno sfortunato incontro con
la senatrice Merlin, narrato più avanti, la preparazione prosegue suscitando
timori tra i politici e gli ambienti ecclesiastici.
Mentre il film è in fase di montaggio nascono le prime polemiche.
Nicola De Pirro, direttore generale dello spettacolo, fa trapelare che ci sono
molte apprensioni per i presunti contenuti immorali del film. Inoltre il
sindaco di Roma, il Dc Salvatore Rebecchini, ha intenzione di protestare
perché ritiene scandaloso mostrare una parte monumentale della città, la
passeggiata archeologica, come centro del vizio e della criminalità.
Ovviamente tace che il luogo è sede della prostituzione romana e
dimentica che la stampa sta dando ampio rilievo al "martellatore della
Passeggiata Archeologica", uno psicopatico che ha già ucciso diverse
donne.
Questi elementi spingono la Censura a rinviare il visto che
consentirebbe al film di partecipare al Festival di Cannes. Nessuno si
sbilancia, ma è evidente che il visto è legato ad una lunghissima
contrattazione. Vista la situazione, Fellini tenta l'ultima carta e si rivolge ad
un padre gesuita, Angelo Arpa, un amico che gli era stato presentato alcuni
anni prima da Brunello Rondi. Arpa, introdotto negli ambienti curiali
genovesi, suggerisce di mostrare il film al Cardinale di Genova Giuseppe
Siri, il più giovane cardinale d'Italia, che è anche il potentissimo presidente
della Conferenza Episcopale Italiana da cui dipendeva il CCC e l'Azione
Cattolica.
L'opera viene mostrata segretamente al cardinale. La proiezione
avviene dopo la mezzanotte. Il prelato parlerà con Fellini solo se il film è
di suo gradimento. L'intervento di Arpa, che durante la proiezione ha
spiegato a Siri la vicenda umana e spirituale di Cabiria, convince il
cardinale ad intercedere perché la censura elimini ogni veto.
L'assenso del cardinale spalanca tutte le porte. La censura concede
immediatamente il visto e cade ogni resistenza ministeriale. L'unico
sacrificio richiesto è il taglio dell'episodio in cui si mostra l'uomo del
sacco. Kezich sostiene che il taglio è frutto di un compromesso con la
chiesa in quanto "la carità non va sottratta ai suoi canali legittimi“; padre
Arpa sostiene che la decisione è stata presa in quanto l'episodio appariva
fuori dall'ottica del film.
Non appena si sparge la voce della visita a Siri, inizia una polemica
contro Fellini e la sua presunta sottomissione al potere ecclesiastico. Ma
anche i critici marxisti, come Aristarco, restano impressionati e sorpresi di
fronte alla dimostrazione di potere data dalla chiesa italiana.
55
Giovanni Scolari
L'intervento diretto di Siri ha zittito anche coloro che
precedentemente si erano mostrati scandalizzati dall'ambientazione del
film e che, di colpo, si sono trovati senza argomenti. Ottenuto il visto la
pellicola va a Cannes dove riscuote un enorme successo e Giulietta Masina
riceve il premio quale migliore attrice protagonista.
Il trionfo sulla croisette spiana la strada al film che, uscito in patria,
riceve recensioni positive anche se non mancano rilievi e appunti. Ad
alcuni non piace la scena dell'ipnotizzatore, altri rilevano come la
narrazione sia discontinua. Aristarco ribadisce, una volta di più, l'accusa di
cadere nell'artificio letterario in alcuni momenti del film. Ma la maggior
parte dei giornalisti specializzati è positivamente colpita e loda la
maturazione compiuta dal regista.
Molto favorevoli sono le posizioni espresse dai critici appartenenenti
al mondo cattolico come padre Nazareno Taddei che su Letture, un
periodico gesuita, esprime la sua ammirazione per Le notti di Cabiria
affermando: "La tematica di Fellini [..] sta portando a maturazione il
germe del miglior Rossellini; finalmente in neorealismo più sincero e più
valido spezza i confini del pessimismo senza fondo e prende per oggetto la
realtà vera e completa." Lo stesso CCC si schiera a favore dell'opera (non
poteva certo smentire il presidente della CEI) con il seguente giudizio
"L'impostazione del film è positiva. Vengono infatti messi in risalto il
calore della vita e il desiderio di redenzione anche in creature che le
circostanze - più che la colpa personale - hanno ridotto all'abiezione.
L'argomento e alcuni situazioni, quale ad esempio la sequenza del
Santuario, che può destare qualche perplessità, fanno riservare il film agli
adulti di piena maturità morale".
Il successo di Cannes lancia il film che comincia a ricevere premi e
attestati da tutto il mondo. Le notti di Cabiria viene distribuito persino in
Egitto nel 1958, colpendo anche la fantasia di Nasser che invita la Masina,
definita addirittura la "Chaplin-donna” nel palazzo presidenziale. Nulla è
vietato alla coppia regina del cinema italiano a cui sono aperte tutte le
porte del jet set. Addirittura Jacqueline Kennedy organizza un party in
onore di Fellini. A coronamento di tutto questo giunge il secondo Oscar
consecutivo.
Fellini rappresenta agli occhi del mondo il meglio della cultura
italiana e l'erede del neorealismo. A testimonianza di questo basta riportare
la recensione del critico francese Andrè Bazin, punto di riferimento della
nouvelle vague, che dice: "…Fellini va più in là nell'estetica neorealista,
tanto in là da traversarla e trovarsi dall'altra parte."
Ora è un personaggio estremamente celebre. Gli Oscar conquistati
rafforzano l'orgoglio della nazione e anche il Presidente del Consiglio Aldo
56
Guardare cinema vedere storia
Moro si fa riprendere mentre riconsegna, davanti alla macchina da presa
della Settimana Incom, l'Oscar a Fellini al suo ritorno in patria.
Il successo dell'ultima opera conferisce sicurezza a Fellini che si getta
nella realizzazione di Viaggio con Anita,. Il progetto svanisce e a questo
punto il cineasta matura l'idea di fare un affresco del mondo festaiolo di
Roma e di via Veneto.
L'Italia affronta il 1960 con i migliori presagi. Ma non sfugge a
Fellini cosa si è perso in questo trapasso e le insidie presenti in uno
sviluppo che ha sì portato il benessere, ma che ha in sè i germi della sua
distruzione. La dolce vita non è solo il ritratto di una società, ne è la sua
epigrafe funebre.
Per facilitare la lavorazione del film, Fellini e Pinelli si recano dalla
senatrice Merlin promotrice del progetto di legge per la soppressione delle
case chiuse. I due, esterrefatti, assistono ad una dimostrazione pratica della
senatrice socialista che mostra loro come le case di tolleranza fossero da
abolire sulla base di un calcolo che aveva come elementi il numero di
orgasmi di cui ha bisogno un uomo rapportato al numero di donne
esistenti. Inoltre, la Merlin rammenta le parole che sua nonna le disse al
momento del matrimonio: "Ringrazia le puttane se ti puoi sposare in
bianco!" Questa affermazione era una delle molle che l'avevano spinta a
presentare il progetto di legge.
La personale guerra intrapresa dalla Merlin contro le case di
tolleranza è iniziata nel 1949, quando ha presentato per la prima volta in
parlamento una proposta di legge in tal senso. Decaduto nel corso della
legislatura, il progetto viene ripresentato in Senato nel 1953 per essere
approvato il 21 gennaio 1955. Nell'ottobre dello stesso anno passa alla
Camera dove inizia una lunga discussione che ha termine solo tre anni
dopo con la definitiva promulgazione della legge.
L'iter parlamentare è stato particolarmente tribolato. Se la sinistra
vedeva nella regolamentazione una forma di oppressione sociale che
serviva a coprire i soprusi della borghesia che sfogava i bassi istinti con
donne ritenute di classe inferiore; per molti esponenti democristiani questo
sistema diminuiva i rischi di contagio fisico e morale e costituiva uno
scudo contro il disordine. Mancava, poi, la volontà di facilitare la
discussione e l’approvazione della legge. Pesava, però, la risoluzione
dell'ONU che nel 1947 aveva condannato le case chiuse e il fatto che
l'Italia era rimasto il solo paese occidentale a possedere ancora una
legislazione di tal genere. Gli antiabolizionisti puntavano, invece, sulla
paura di una diffusione incontrollata delle malattie veneree.
57
Giovanni Scolari
Prevalsero, ovviamente, gli abolizionisti che promettevano di "porre
fine alla schiavitù delle prostitute che garantiva gli interessi di un gruppo
ricco, ben organizzato e seminascosto." Essi contavano, poi, sul fatto che
molte prostitute scegliessero di cambiare tipo di esistenza se fosse stato
mostrato loro che esistevano possibilità alternative di vita.
Il voto finale alla Camera, 385 a favore del disegno di legge e 115
contrari, palesa la spaccatura nel paese. L'alto numero dei voti contrari solo il MSI e alcuni esponenti del partito monarchico avevano espresso
pubblicamente il loro dissenso - mostra come diversi deputati di tutte le
estrazioni politiche erano a favore della regolamentazione.
Moltissime furono le reazioni negative alla chiusura dei "casini". Fu
un trauma collettivo, la scomparsa di un’istituzione che faceva parte
integrante della società e del modo di pensare della gente. A difesa delle
case chiuse si ergono importanti personalità tra cui Aldo Palazzeschi e
Indro Montanelli. Tutta questa discussione appare certo strumentale in
quanto la prostituzione non era certo affare solo di 4.000 "lucciole"
autorizzate, come risultava da un congresso della Società di Medicina
sociale del 1950. La passeggiata archeologica, dove si muove Cabiria, era
popolata da donne e uomini disperatamente alla ricerca di un guadagno, a
prescindere da ogni tipo di regolamentazione. Questi esseri umani
vivevano, come dice Cabiria, sotto i ponti, in case diroccate. Lei, invece,
proclama orgogliosamente al divo che ha una casa tutta sua con l'acqua, la
luce e il gas. Un’abitazione che è un cubo di cemento, con una sola
finestra, piazzato in mezzo alla campagna di Acilia, alla periferia di Roma.
Un buco così appetito da essere immediatamente acquistato da una
famiglia numerosissima quando la ragazza se ne disfa nel momento in cui
accetta la proposta di matrimonio di Oscar.
È questo, infatti, il periodo del cosiddetto "sacco di Roma". Durante il
grande boom edilizio, durato dal '53 al '63, i grandi proprietari immobiliari,
tra cui il Vaticano, si gettarono in una vorace speculazione edilizia con la
complicità delle amministrazioni comunali. Ogni zona della capitale fu
invasa dal cemento al punto che, ancora nel 1970, una casa su sei era
abusiva. L'Assessorato all'edilizia romano viene descritto dal settimanale
Espresso come un luogo dove "I funzionari sono quasi sempre fuori; al
loro posto, lavorano privati cittadini che sono entrati per vedere a che
punto stanno le loro pratiche [...] e fanno come se fossero in casa loro".
La speculazione edilizia non riguardava, d'altro canto, solo la
capitale. È questo il risultato di precise scelte politiche; il governo lascia la
massima libertà agli imprenditori edili non volendo mettere mano ad alcun
provvedimento per la tutela del territorio. Le case crescono rapidamente:
58
Guardare cinema vedere storia
dalle 73.400 edificate nel 1950 si passa alle 273.500 del 1957 e alle
450.000 del 1964.
Il paesaggio urbano che Fellini mostra nelle sue opere è
chiarificatore. Da La strada in avanti la periferia di Roma è identificata
con i casermoni costruiti senza strade asfaltate e opere di urbanizzazione
come i collegamenti alla rete fognaria regolare.
L'alternativa, però, non era certo migliore; la vita nella baraccopoli
era molto più disagiata. Di fronte alla evidente immobilità delle istituzioni,
il cittadino non può fare altro che accettare queste condizioni. Il desiderio
di avere una casa di proprietà è fortissimo e l'aumentato tenore di vita che
rende possibile questo sogno a molte persone, fa il gioco degli speculatori.
Se il migliorato livello dell'economia italiana consente alla
popolazione di cullarsi in qualche illusione, il sistema politico, invece,
offre segnali allarmanti. La legislatura che si sta per concludere è stata
caratterizzata dalla debolezza dell'esecutivo. La formula del centrismo
sembra non essere più sufficiente per garantire la stabilità politica e si
rende necessaria una nuova alleanza.
La Democrazia cristiana si trova impossibilitata ad agire, divisa com'è
tra chi preferirebbe orientarsi a destra, conglobando nel governo
monarchici e missini, e chi prediligerebbe uno sbocco a sinistra verso quel
Partito Socialista che, seppure ancora marxista, ha fornito garanzie della
sua democraticità con la ferma reazione all'invasione sovietica in Ungheria.
Nell'incertezza, la DC si tiene ancorata al centro e affronta le elezioni del
1958 con qualche timore. Le urne premiano ancora la coalizione di centro.
I partiti al governo aumentano la loro percentuale così come si rafforzano i
socialisti mentre il PCI si mantiene al livello della precedente tornata
elettorale. Calano sensibilmente le destre. La terza legislatura si dovrebbe,
visto i risultati del voto, configurare come di tutta tranquillità. Invece si
presenta subito nel segno dell'incertezza.
59
Giovanni Scolari
LA DOLCE VITA
1960
Marcello, reporter di un periodico scandalistico, e il fotografo
Paparazzo sono in un night dove entra la ricchissima Maddalena con cui il
giornalista si apparta. Sfuggiti ai fotografi, i due offrono un passaggio ad
una prostituta che li ospita mentre fanno all'amore. A casa poi Marcello
trova e salva la sua compagna Emma che ha tentato il suicidio.
Arriva la diva americana Sylvia. Durante la conferenza stampa,
Marcello deve calmare per telefono la gelosia di Emma. Intanto
sopraggiunge ubriaco il compagno di Sylvia, Robert, che ironizza su tutti.
In visita a San Pietro, la diva si fa di corsa i gradini della cupola. Resiste
solo Marcello che la raggiunge in tempo per vedere il cappello di Sylvia
volare via per il forte vento.
Al night club Sylvia balla selvaggiamente con un amico. Quando
torna al tavolo Robert la insulta. Umiliata, l’attrice fugge in lacrime
inseguita da Marcello che la conduce via in macchina. Dopo aver cercato
inutilmente un appartamento dove portarla, Marcello capita casualmente
vicino alla fontana di Trevi. Sylvia entra vestita nella fontana, Marcello la
segue, ma l'incantesimo dura poco: lo scroscio della fontana si ferma, è
l'alba. Marcello riaccompagna Sylvia in albergo dove trova Robert
infuriato. L'attore americano schiaffeggia la donna e piglia a pugni il
giornalista.
Mentre cura un servizio, Marcello vede entrare in chiesa un
carissimo amico, Steiner, e lo raggiunge. Più tardi, a casa di Steiner, si
scambiano delle confidenze. Marcello ammette di non pensare più di
diventare scrittore, l’altro lo mette al corrente di un suo disagio interiore.
In una trattoria sulla spiaggia Marcello incontra Paolina, una
ragazzina simpatica.
Marcello e Paparazzo con Emma si recano nel luogo dove due
bambini affermano di aver visto la Madonna. Intorno alla casa dei bimbi
c'è una folla immensa. I bambini sono però dei mistificatori e la famiglia
cerca di approfittare della situazione. Dopo una nottata farsesca, sotto un
violentissimo temporale, tutti se ne vanno. Sul prato resta un morto.
Una sera Marcello trova suo padre giunto nella capitale per lavoro.
Il giornalista lo porta in un night dove gli presenta Fanny. L'anziano
signore comincia a corteggiare la ballerina che lo invita a casa sua.
Marcello segue con altre due ragazze. Sotto casa, Fanny esce spaventata,
il padre di Marcello sta male. Il vecchio è seduto su una sedia, non è
grave, ma l'incidente lo ha umiliato e così decide su due piedi di tornare a
casa con il treno.
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Guardare cinema vedere storia
C’è una festa a palazzo Mascalchi. Marcello si aggiunge al gruppo.
Lì trova Maddalena che gli fa una singolare dichiarazione d'amore.
Marcello la ricambia ma lei è già nelle braccia di un altro.
È accaduta una tragedia: Steiner ha ucciso i figli e si è sparato.
Marcello, incredulo, aiuta la polizia ad avvisare la moglie che apprende la
notizia davanti alla crudele ressa dei fotoreporters.
In una villa di Fregene si festeggia l'annullamento del matrimonio di
Nadia. Alla festa c'è di tutto. Nadia improvvisa uno spogliarello, ma sul
più bello arriva l’ex marito. L'atmosfera degenera, Marcello insulta tutti e
umilia una ragazza ubriaca. Cacciati di casa, i reduci dell'orgia assistono
sulla spiaggia alla pesca di un pesce-mostro. Marcello nota una ragazzina
che lo chiama da lontano. È Paolina. Marcello non capisce e se ne va.
Paolina, assolutoria, gli sorride.
Via Veneto si afferma come cuore mondano e intellettuale di Roma
durante il periodo fascista. Negli anni cinquanta l'intellighenzia romana se
ne impossessa. Al caffè Rosati si incontrano De Feo, Flaiano, Panunzio.
Nel bar si possono ascoltare in anticipo le polemiche sugli avvenimenti
culturali che verranno pubblicati ne Il Mondo e su L'Espresso. Allo Strega
o da Doney, dall'altro marciapiede, si possono ammirare i divi del cinema.
L'esplosione della vita notturna romana coincide con la morte di Papa
Pacelli, avvenuta il 9 ottobre 1958, che, si dice, avesse sempre osteggiato
questo tipo di manifestazioni. Coincide anche con il boom dei giornali
scandalistici che mitizzano via Veneto. Lo spettacolo di quelle sere si
insinua nella mente di Fellini e conquista facilmente i suoi collaboratori
alla sceneggiatura: Flaiano, che frequenta da tempo la via, e Pinelli. L'idea
si innesta su Moraldo in città, un copione mai realizzato. L'atmosfera di via
Veneto determina un cambiamento in Fellini che, come scrive Flaiano nel
giugno del 1958, sull'idea base sovrappone l'intenzione di "dare un ritratto
di questa società dei caffè che folleggia tra l'erotismo, l'alienazione, la
noia e l'improvviso benessere. [..] Il film avrà per titolo La dolce vita e
non ne abbiamo scritto ancora una riga."
Via Veneto rappresenta, d'altro canto, per Flaiano un pezzo
importante della sua vita e l'amarezza del film è anche la sua quando
commenta il cambiamento avvenuto negli ultimi anni: "Com'è cambiata
dal '50, da quando […] mi fermavo alla libreria di Rossetti, con
Napolitano, Bartoli, Saffi, Brancati, Maccari e il poeta Cardarelli. [..]
c'era una gaia animazione paesana, giornalisti e scrittori prendevano
l'aperitivo. [..] Ora che sta arrivando l'estate salta agli occhi che questa
non è più una strada, ma una spiaggia. [..] Anche le conversazioni sono
61
Giovanni Scolari
balneari, barocche e scherzose, e si riferiscono a una realtà
esclusivamente gastro-sessuale."
Dopo il consueto walzer dei produttori, il film è tra le mani di Amato
le cui finanze non bastano a coprire le spese che continuano a lievitare. A
questo punto entra in gioco Angelo Rizzoli.
La composizione del cast è faticosa. Dopo aver scelto come
protagonista Mastroianni, preferito a Paul Newman, Fellini si sbizzarrisce
nella ricerca dei volti giusti. Vorrebbe Elio Vittorini nella parte di Steiner,
ma non riesce a convincerlo. L'ultima importante scelta è quella di Anita
Ekberg, la bellissima attrice svedese che rappresentava agli occhi del
regista il simbolo della donna. L'attrice era da tempo protagonista delle
cronache rosa italiane.
Le riprese del film diventano meta continua di visitatori, di curiosi,
fino ad entrare nella vita mondana della città. L'atmosfera festaiola
raggiunge il culmine durante le riprese del bagno della Ekberg nella
fontana di Trevi. Per girare quella scena furono necessarie otto o nove notti
durante le quali i proprietari delle case che davano sulla piazza affittarono
ai curiosi balconi, finestre e terrazzi. L'entusiasmo per l'attrice svedese è
tale che, durante un esterno a Tor di Schiavi, scoppiano tumulti quando la
folla accorsa scopre che non prende parte alle riprese.
Dopo aver visionato l'immenso materiale girato Fellini appronta una
copia campione che viene vista solo dai due produttori: Rizzoli e Amato. I
due sconvolti sembra che abbiano telefonato nel corso della notte al
presidente della Titanus, Lombardo, per cercare di svendere il film.
Si giunge così all’anteprima romana presso il cinema Fiamma. Alla
conclusione venti secondi di applausi e qualche isolato fischio.
L’attenzione passa a Milano dove la serata di presentazione è fissata per il
5 febbraio 1960 al cinema Capitol. Sul film, intanto, pende la spada di
damocle della censura, particolarmente attiva in quell'anno come
dimostrano i brutali tagli apportati a Rocco e i suoi fratelli di Visconti.
Tutto, però, fila liscio in quanto ancora una volta l'intervento di padre Arpa
ha consentito di superare i veti. La pellicola viene mostrata al cardinale Siri
che concede il suo benestare, il gesuita invia allora una lettera a Gronchi in
cui si riporta il giudizio di Siri, subito dopo la censura dà il suo permesso
classificando l'opera sotto la dicitura "adulti con riserva".
La prima milanese è un disastro. Il pubblico, prevenuto dalla
campagna scandalistica montata precedentemente, si agita e rumoreggia.
Alla fine solo qualche applauso convinto e molte grida di protesta.
Qualcuno apostrofa Mastroianni come comunista, una persona sputa
addosso a Fellini.
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Guardare cinema vedere storia
La stampa segue passo passo le vicende del film. Il 5 febbraio, vigilia
dell'uscita dell'opera nelle sale, molti quotidiani commentano La dolce vita
grazie alla visione riservata per i critici avvenuta il giorno prima. I
commenti sono tiepidi ma sufficientemente positivi. Tommaso Chiaretti è
convinto che il crepuscolarismo è la vera strada poetica di Fellini che
"altrove aveva imboccato male, dalla parte del misticismo, cioè, dalla
parte cieca." Ma anche al critico del Paese appare evidente che ci si trova
di fronte ad "una delle opere più nuove e, in un certo senso, rivoluzionarie
del cinema mondiale degli ultimi anni". L'eccezionalità dell'avvenimento è
colto da tutti i cronisti. Su La Nazione del 6 febbraio si dice, riferendosi al
neologismo derivato da I vitelloni, che "l'espressione La dolce vita ha
avuto un'accoglienza ancora più immediata: la si usa oralmente e per
iscritto già da mesi, e il film di Fellini non è uscito che ieri." Il giornalista
la definisce "una delle tre o quattro opere più forti del cinema italiano."
Comunque l'anteprima milanese ha confermato le pessimistiche
previsioni per l'esito del film, il più costoso mai prodotto in Italia. Il 6
febbraio Fellini si reca a pranzo senza farsi illusioni per gli incassi della
giornata. Quando fa ritorno al Capitol si trova davanti ad uno spettacolo
imprevedibile. La folla ha sfondato le porte del cinema, tutti vogliono
vedere il film prima che venga sequestrato e quelli che non riescono ad
entrare protestano calorosamente. È l'inizio di un trionfo che porterà La
dolce vita ad essere il campione d'incassi del 1960 con oltre 2 miliardi di
ricavato, una cifra che, rivalutata al 1993, supera i 58 milioni di €.
Le reazioni non si fanno attendere. La prima interrogazione
parlamentare è del 9 febbraio da parte di un deputato missino che
stigmatizza "l'offesa palese alle virtù e alla probità della popolazione
romana e la banale canzonatura dell'alta missione di Roma quale centro
del cattolicesimo e di antiche civiltà." A questa interrogazione ne fanno
seguito altre. Lo stesso giorno ha inizio la campagna denigratoria de
L'Osservatore Romano che in un corsivo senza firma (opera forse del suo
direttore il conte Della Torre) intitolato "Basta!" afferma che: "il male, il
delitto, il vizio ostentato sugli schermi, sviscerato nella sua psicologia [..]
è incentivo al male, al delitto, al vizio; ne è propaganda". L'articolo
prosegue con un violento attacco alla critica che ha lodato il film e
conclude con un appello, richiamando al loro dovere i pubblici poteri "cui
compete e la sanità del costume, e il rispetto al buon nome di un popolo
civile".
La reazione del quotidiano vaticano è l'espressione dell'intervento
della parte più retriva del mondo ecclesiastico che si esprime in varie
circostanze. Dopo l'intervento di padre Arpa presso il cardinale Siri, di cui
abbiamo detto, sembrava che tutto fosse chiarito. Il film dalla categoria
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Giovanni Scolari
"vietato per tutti" era passato in quella "adulti con riserva"; inoltre era
stato proiettato presso il centro culturale S. Fedele, gestito dai gesuiti, dove
era stato accolto con grande interesse; Arpa era, infine, riuscito a fissare un
incontro tra Fellini e il cardinale Montini, il futuro Paolo VI. Il 9 febbraio
esce l'articolo già citato: è il segnale che la cosiddetta "nobiltà nera" del
Vaticano, la componente più reazionaria del mondo ecclesiastico, ha
ripreso il controllo della situazione. Immediatamente la stampa cattolica si
adegua. Il CCC riporta il film nella categoria delle pellicole "escluse per
tutti". L'intervento diretto della Segreteria di Stato Vaticana ha, dunque,
probabilmente costretto Siri a togliere la sua approvazione all'opera di
Fellini. Anche Montini annulla l'incontro previsto con il regista romagnolo.
Il film viene poi attaccato dalla Giunta Araldico-Genealogica del Corpo
della Nobiltà Italiana, che deplora il conte Odescalchi per aver affittato il
Castello di Bassano di Sutri e i nobili che figurano nel film come
comparse. Alcuni di loro affermano di essere stati imbrogliati dal regista.
Fellini risponde in una conferenza stampa a Firenze affermando di non
aver ingannato nessuno e che tutti erano a conoscenza della parte. Le
polemiche non sono ancora finite. Un lettore del foglio vaticano invita le
autorità competenti a incriminare Anita Ekberg per uso abusivo dell'abito
talare a causa di un costume di scena.
L’enorme successo della pellicola spinge gli ambienti ecclesiastici a
rincarare la dose contro Fellini e chi all'interno della Chiesa osa
appoggiarlo. Se le proteste di alcuni parlamentari non ottengono risultati in
quanto il governo, per bocca del sottosegretario Magrì, non prende
provvedimenti; durissima è la repressione nel mondo religioso.
L'Osservatore Romano affida gli attacchi alla pellicola a otto articoli che
ribattezzano il film La Schifosa vita. In uno di questi, pubblicato il 10
marzo, Cinecittà diventa la città dantesca di Dite e si spiega come la vera
arte "è chiara, schietta, non induce in equivoco [...] è l'arte su cui non
s'affatica, non si contorce la distinzione tra l'artista che indulge al male,
sino a compiacersene si da incitare altrui al delitto, e l'artista che invece vi
insinua tutto il proprio sdegno per sdegnare gli altri." Concordemente il
resto della stampa cattolica ammonisce i fedeli a non vedere la pellicola
seguendo i precetti religiosi.
Questi articoli aggrediscono in modo particolare due gesuiti: padre
Angelo Arpa e padre Nazareno Taddei. A padre Arpa, vittima degli strali
dell'Osservatore Romano, viene imposto un anno di silenzio. La vicenda di
padre Taddei è significativa. Taddei, critico molto apprezzato, è uno dei
responsabili del Centro San Fedele e del periodico, ad esso collegato,
Letture, che pubblica nel mese di marzo una sua valutazione de La dolce
vita. L'articolo esprime una valutazione complessivamente positiva del
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Guardare cinema vedere storia
film anche se "è da destinare a visioni limitate o almeno a persone
opportunamente preparate". Come si vede il giudizio si allinea alla
posizione espressa inizialmente dal CCC. Nonostante ciò, le reazioni sono
furibonde. Su Scena Illustrata ci si stupisce che padre Taddei non capisca
che il film raggiunge finalità comuniste. Secondo il giornalista La dolce
vita e la stampa che difende la pellicola costituiscono "un ulteriore e
efficace contributo a far dilagare il male" in quanto, prosegue, è facile
intuire che le masse sono attratte da "dannosi e morbosi compiacimenti".
L'Osservatore Romano rincara la dose affermando che: "Si dice che
l'autore di codesta fatica sia un religioso. Ma se ne dicono tante!"
Gli attacchi continuano attraverso le massime autorità ecclesiastiche.
Al Centro S. Fedele giunge, anche una lettera del cardinal Montini in cui si
dice: "sono costretto a deplorare l'esaltazione che il rev. Taddei fa del film
La dolce vita. La sua apologia rompe l'argine del nostro popolo alla
dilagante immoralità delle scene". Alla reprimenda fa seguito una
chiarificazione che Letture pubblica nel luglio dello stesso anno e i
provvedimenti punitivi nei confronti di padre Bressan, direttore del
periodico, che viene trasferito e di padre Taddei, spedito all'estero.
Nel frattempo il film è giunto al XIII Festival di Cannes dove è in
concorso. La giuria, presieduta da Georges Simenon, lo premia con la
Palma d'oro. L'Oscar per il miglior film straniero va, invece, ad
appannaggio di un'opera di Bergman. L'ambita statuetta viene vinta, però,
da Piero Gherardi per la migliore scenografia. Tuttavia, l'impatto del film è
talmente forte che riesce a modificare il linguaggio facendo entrare nei
vocabolari di tutto il mondo neologismi come dolcevita e paparazzo.
L'ultima fatica felliniana scontenta anche molta parte della
cinematografia italiana scesa in campo a fianco dell'autore riminese più per
reazione verso la campagna moralizzatrice che per reale solidarietà. Oltre a
Rossellini, altri due maestri del cinema italiano lasciano trapelare la loro
insofferenza con frasi significative. De Sica considera Fellini un regista
geniale ma ritiene che non sia mai riuscito a liberarsi "da un modo di
vedere le cose un tantino cafone." Di Visconti si riporta una dichiarazione
in cui afferma che i nobili di Fellini erano i nobili visti dalla sua donna di
servizio. Pinelli ricorda anche furiose discussioni con il regista Pietro
Germi che disapprovava La dolce vita. Ancora nel dicembre del sessanta
Flaiano scrive che spesso incontrava qualcuno che gli rimproverava di aver
collaborato a mostrare Roma come una sentina di vizi.
È evidente che Fellini ha toccato un nervo scoperto della Roma di
quegli anni che stava vivendo un periodo di splendore mascherando “una
certa putrefazione o perlomeno un'inquietudine." Non sorprende quindi
l'alzata di scudi dopo l'uscita del film.
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Giovanni Scolari
Invece, molti episodi proposti nella Dolce vita sono tratti da
avvenimenti realmente accaduti. Il via vai di attori, artisti e personaggi del
jet-set in via Veneto era foriero di aneddoti facilmente traducibili sul
grande schermo. Sono infatti gli anni della famosa "Hollywood sul
Tevere".
L'inizio di questa pacifica e fruttuosa invasione si può datare con la
produzione di Quo Vadis (1952). L'afflusso continuo dei capitali
statunitensi porta le stelle del firmamento cinematografico a Roma. Le
avventure sentimentali delle dive riempiono le colonne dei giornali
scandalistici. Il punto più alto e, allo stesso tempo, l'inizio del declino dei
paparazzi vengono raggiunti con la relazione tra Richard Burton e
Elizabeth Taylor sul set di Cleopatra. Lo sfruttamento esacerbato del
legame amoroso dei due attori causa una caduta di interesse nel pubblico
mentre i finanziamenti americani tornano in patria dopo che Hollywood è
riuscita a superare la crisi produttiva che l'aveva colpita.
Oltre alle baruffe tra divi, gli altri argomenti prediletti dalle riviste
scandalistiche sono la cronaca nera e gli episodi di fanatismo religioso. Chi
immortalava tutto ciò era il fotoreporter che da questo film in poi assumerà
il nome di uno dei personaggi: Paparazzo. L'origine del neologismo è,
come al solito, difficile da definire. Il cognome è probabilmente la
corruzione del termine papataceo che sta ad indicare una fastidiosa
zanzara. Flaiano afferma, invece, di averlo trovato in un libro di Gissing.
La spasmodica attenzione verso la cronaca nera è probabilmente
causata dalla censura esercitata durante il ventennio fascista su episodi di
questo genere. Calato il velo di silenzio, i giornalisti si sono gettati su
questi tragici fatti. Il primo importante fatto di cronaca del dopoguerra
avviene nel novembre ‘46 quando una giovane commessa trucida a Milano
la moglie e i tre figli dell'amante. Ma i casi di delitti efferati sono,
purtroppo, un’ineluttabilità del quotidiano.
La cronaca si interseca anche alla politica. È il caso della morte di
Wilma Montesi, il cui cadavere viene rinvenuto sul lido di Ostia l'11.4.53.
Dopo una prima inchiesta che attribuisce la morte ad un malessere, la
stampa svela che la Montesi è deceduta durante un'orgia a cui aveva
partecipato uno dei figli di Attilio Piccioni, esponente della DC. Il processo
amplifica l'attenzione dell'opinione pubblica in un crescendo di colpi di
scena che portano il capo della polizia a dimettersi e compromettono
definitivamente Piccioni stesso. La campagna-stampa della sinistra viene
bloccata da Scelba che, grazie alla polizia, riesce a trovare le prove che uno
dei più implacabili accusatori comunisti amava assistere alle esibizioni
erotiche dell’anziana moglie con dei giovani.
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Guardare cinema vedere storia
L'episodio dell'omicidio-suicidio di Steiner è dunque una brutale
realtà, un’anticipazione di quanto Pinelli definisce come la disperazione
della felicità.
Efficace la ricostruzione di un certo tipo di giornalismo, di cui
Marcello è rappresentante, che vive di insinuazioni e pettegolezzi. Il
cosiddetto "bel mondo" faceva di tutto, poi, per facilitare questo lavoro con
una serie di scandali, molti dei quali sono stati inseriti nel film. Tre episodi
sono esplicitamente citati. Il primo risale al 1957 quando Pierluigi
Praturlon, uno dei fotoreporter che servirono da modello per Paparazzo,
immortala Anita Ekberg mentre fa il bagno in Fontana di Trevi in un
servizio fotografico che fa il giro del pianeta. La Ekberg è protagonista
delle cronache rosa anche per le violente scenate con il marito Anthony
Steel. Un altro fotografo, Tazio Secchiaroli, viene picchiato due volte nel
corso della stessa giornata prima da Farouk, re d'Egitto, e poi da Anthony
Franciosa, fidanzato di Ava Gardner. Altro fondamentale episodio ispirato
alla realtà è quello dello spogliarello finale che richiama lo strip-tease
improvvisato dalla ballerina turca Aiché Nanà in un famoso ristorante
romano nel novembre del '58.
Questa serie di scandali, riportati con dovizia di particolari dalla
stampa, diventano addirittura argomento di discussione al Parlamento.
Nell'estate del 1958 l'On. democristiano Brusasca chiede che sia vietata la
diffusione di notizie riguardanti i divi e le loro storie d'amore in quanto
bisogna far fronte "alle gravi conseguenze delle morbose curiosità, delle
egoiste insofferenze, della svalutazione dei doveri coniugali e soprattutto
del tradimento degli obblighi verso i figli che stanno diffondendosi tra il
nostro popolo".
L'ultima fatica felliniana ingloba in sé gran parte dell'Italia del
sessanta fino ad essere la descrizione, quasi psicanalitica, dei fasti e di
alcuni rituali tipici della società romana e, di riflesso, dei sogni e delle
illusioni dell'intera nazione. Eppure il nucleo di questo film è già oltre.
Fellini, conscio della trasformazione del senso morale in atto, intravede i
pericoli e le storture di questo sviluppo e li indica senza indugi, con
sincerità. Via Veneto, raggiunto il suo culmine, comincia a sfiorire. La
Hollywood sul Tevere tramonta, i divi si ritrovano in altri luoghi, i night
club lentamente spariscono. Dice Flaiano: "Via Veneto è sempre più
irriconoscibile , travolta ormai dalla sua stessa fama, lasciata ai turisti, ai
facili incontri e al cinematografo. Gli intellettuali hanno seguito i pittori a
piazza del Popolo, topograficamente difesa dagli assalti della moda.....".
Quando si parla di anni sessanta, ricorre la definizione di Boom
economico. Si scopre, invece, che la sensazione del benessere è causata da
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Giovanni Scolari
fenomeni che, sviluppatisi in precedenza, raggiungono il loro culmine tra il
'58 e il '63. In questo periodo si registra, infatti, il raggiungimento della
piena occupazione (3% nel 1962), la progressione costante dei salari e la
notevole impennata dei consumi privati. Tuttavia lo sviluppo economico
non solo non è stato supportato da un’offerta aggiuntiva di servizi (casa,
scuole, ospedali), ma ha avuto profonde ripercussioni sul piano sociale.
Inoltre, l'incremento dei consumi risponde a bisogni ed esigenze
materiali e non ad una crescita dell'utilizzo di beni superflui. Nel 1962,
infatti, la spesa per commestibili è ancora pari al 47,5% delle uscite
complessive della famiglia italiana (con il tabacco, il 51,4%). Le abitudini
alimentari subiscono, invece, profonde modifiche. I cereali secondari
(orzo, segala, mais, avena) vengono sostituiti dal pane bianco e dalla pasta
di grano duro; i legumi perdono il requisito di piatto-base per divenire
semplici contorni. È la carne a divenire l'alimento quotidiano degli italiani.
Vittorio Valletta (amministratore delegato della FIAT) diceva, nel
1961, che le cose sarebbero andate bene fino a quando gli italiani non
avessero raggiunto il benessere detenuto dagli altri popoli occidentali. Il
miracolo era per lui, come ebbe occasione di dichiarare l'anno seguente,
solo il raccorciamento di distanze rispetto alle posizioni più avanzate
dell'Occidente Europeo.
Rimanevano, infatti, serie questioni da risolvere come lo squilibrio
esistente tra il nord e il sud aggravato dalla fortissima emigrazione verso le
regioni più industrializzate. È vero che tra il '56 e il '60 gli investimenti
sono consistenti anche nel Mezzogiorno (poco più del 43% del totale), ma
non toccano i problemi strutturali che sono alla radice delle difficoltà
economiche del meridione.
I problemi non fermano l'avanzata economica della nazione. Tra il '58
e il '63 il tasso di crescita annuo del prodotto interno lordo è del 6,3 per
cento, gli investimenti in macchinari e impianti industriali aumentano del
14% all'anno, la produzione industriale viene raddoppiata. Determinante
per lo sviluppo economico italiano è anche il Mercato Comune Europeo
nato nel 1957 a Roma. L'esportazione verso i paesi del MEC, facilitata dal
basso costo della manodopera che permette prezzi concorrenziali, passa dal
23% del 1953 al 29,8 del 1960, ad oltre il 40,2% nel 1965.
Il miracolo economico porta con sé anche il consumismo il cui
veicolo di diffusione è la pubblicità che, in forma limitata, fa la sua
apparizione anche sui teleschermi. Nasce il 3 febbraio 1957, Carosello che
diventa immediatamente un appuntamento fisso nelle case degli italiani. Si
impongono mode ispirate ai nuovi idoli giovanili che fanno della ribellione
motivo di vita.
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Guardare cinema vedere storia
Nel momento di massima forza economica è riscontrabile una
situazione di tensione a livello istituzionale. Mentre il mondo respira aria
nuova con il papato di Giovanni XXIII e l'avvento di Kennedy, insieme
alla politica più umana, pur con molte cadute, di Krusciov, l'Italia non
riesce a trovare un governo stabile. Papa Giovanni non svolge, come il suo
predecessore, una politica sotterranea per impedire l'avvicinamento tra
socialisti e democristiani anche se non lo favorisce. Il percorso che porta al
centro sinistra è però notevolmente tormentato. Il tentativo di inizio
legislatura di resuscitare il quadripartito fallisce. In una parte della DC si fa
largo anche l'idea di un accordo con le destre. Questa ipotesi viene
rafforzata dalla caduta del governo Fanfani, che si dimette anche da
segretario della DC, nel gennaio '59. Era proprio Fanfani, infatti, ad
insistere per l'apertura ai socialisti. Il congresso elegge nuovo segretario
Moro che congela ogni possibile svolta clamorosa. Si arriva così alla
primavera del ‘60 quando, all'ennesima crisi, il presidente della Repubblica
Gronchi nomina Fernando Tambroni, esponente di secondo piano della
DC, Presidente del Consiglio. Tambroni, a capo di un monocolore ancora
più debole dei precedenti, ottiene la fiducia solo grazie al voto delle destre.
Il voto costringe Tambroni a rassegnare le dimissioni, ma Gronchi decide
di riproporre lo stesso esecutivo con lievi modifiche. Tambroni ottiene una
risicata fiducia. Ancora una volta essenziale è l'apporto del MSI che, dopo
pochi mesi, chiede, e ottiene, il permesso di tenere il proprio congresso a
Genova, città medaglia d'oro della resistenza. La decisione provoca la
reazione delle forze antifasciste che scendono in piazza. Dal capoluogo
ligure la contestazione si estende a tutta Italia. Gli scontri con la polizia
provocano una decina di morti. In Parlamento si assiste ad un durissimo
scontro. Tambroni è costretto a dimettersi e lascia il posto al redivivo
Fanfani che forma un governo centrista con una variante significativa:
l'astensione del PSI.
L'accordo tra socialisti e democristiani era visto come una iattura da
una buona fetta dell'opinione pubblica. Molta preoccupazione mostra la
chiesa che non accetta l'idea di una collaborazione con un partito di
ispirazione marxista. Nel ‘59 il cardinale Ottaviani critica duramente
Fanfani e nel maggio del '60 giunge dalle colonne dell'Osservatore
Romano la condanna dell’apertura ai socialisti. Giovanni XXIII si muove,
invece, saggiamente e con l'enciclica Pacem in terris giunge alla
distinzione tra l'errore e l'errante. Rimane la condanna del marxismo come
dottrina filosofica, ma poiché le dottrine restano ed i movimenti che ne
derivano possono mutare sensibilmente, "il pericolo di dialogare con
l'errore non sussisterebbe più". Un’affermazione di questo tipo non poteva
non essere che un, sia pur velato, assenso alla politica del centro-sinistra.
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Giovanni Scolari
Contrariamente alle grandi aspettative, gli anni sessanta iniziano sotto
il segno degli scontri di piazza, dal risvegliarsi delle lotte sindacali, del
lavoro sotterraneo dei servizi segreti. Le speranze suscitate da Papa
Giovanni XXIII e da Kennedy muoiono con loro anche se i due personaggi
rimangono impressi nella memoria collettiva degli italiani. I due
personaggi avevano svolto il loro compito circondati da un affetto inusuale
in quanto entrambi rappresentavano il volto umano del potere. La loro
morte coincide con il ritorno alla realtà, il miracolo economico si esaurisce.
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Guardare cinema vedere storia
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"Rivista del cinematografo", Anni: 1953/'54/'57/'63
"Rivista del cinema italiano", Anni: 1954
"Rotosei", Anni: 1957/'60/'61
"Scena illustrata", Anni: 1960
"Segnocinema", Anni: 1995
"Settimana Incom", Anni: 1952/'53/'54/'55/'62
"Settimanali cattolici", Anni: 1960
"Sipario", Anni: 1954/'55/'57
"Teatro Scenario", Anni: 1954/'55
"Tempo", Anni: 1954/'55/'62
Bibliografia specifica
Bondanella P., Il cinema di Federico Fellini, Guaraldi, 1994
Cattini A. (a cura di), Luci del varietà, Mantova, 1994
Cirio R., Il mestiere di regista, Garzanti, 1994
Costantini C. , Conversation avec Federico Fellini, Denoel, 1995
Fellini F., Block notes di un regista, Milano, Longanesi, 1988
Fellini F., Fare un film, Einaudi, 1980
Fellini F., Quattro film, Torino, Einaudi, 1974
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Giovanni Scolari
Fellini M., Storia in briciole di una casalinga straripata, Guaraldi, 1994
Kezich T., Fellini, Rizzoli, 1988
Pecori F., Federico Fellini, Il castoro, 1974
Risset J., L'incantatore, Schweiller, 1995
Verdone M., Federico Fellini, Il castoro, 1994
Zapponi B., Il mio Fellini, Marsilio, 1995
Fonti orali
Intervista con Arpa Angelo del 5.11.1995
Intervista con Benzi Titta del 24.4.95.
Intervista con Fellini Maddalena del 24.4.95
Intervista con Geleng Rinaldo del 5.6.95 e del 14.9.95
74
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