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“I teatri milanesi chiusi sono una vera vergogna

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“I teatri milanesi chiusi sono una vera vergogna
maggio - giugno 2013
N. 14
club milano
Elio: “I teatri milanesi chiusi sono una vera vergogna, simbolo della profonda crisi che la città sta vivendo”.
Le immagini poetiche di Pino Ninfa raccontano la difficile vita nelle township di Johannesburg e Cape Town.
Dai Caraibi alle isole Cook: in giro per il mondo alla ricerca dello swing perfetto sui più bei campi da golf.
Alla scoperta della Provenza: una terra antica dove natura, gastronomia e cultura si fondono perfettamente.
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editorial
Là dove c’era l’erba
Recentemente mi è capitato di percorrere a piedi il tragitto che dalla Stazione Centrale porta a Zona Fiera, dove abito da quasi 20 anni. Ho trascorso quell’oretta di
passeggiata notturna come un turista qualsiasi e ho avuto la sensazione di non conoscere affatto la nuova dimensione che sta prendendo la città dove ho scelto di vivere.
In queste poche righe non voglio demonizzare le colate di cemento o parlare dei
grattacieli come espressioni falliche di uno sviluppo figlio dello scorso millennio, ma
semplicemente chiedermi quale sia il fine ultimo e il modello urbano a cui stiamo
mirando. In pratica chi vogliamo essere. Londra, Berlino, New York, Istanbul, persino
Pechino o Dubai, per quanto non esattamente ecocompatibili, hanno un’idea chiara
di cosa vogliono essere e rappresentare. Di grattacieli ce ne sono più che da noi, ma almeno sembra che abbiano un senso e rispondano a esigenze certe. A Parigi La Défense
è stato un progetto da molti criticato, una sorta di ghetto per immigrati che potevano
vedere la Ville Lumière da un arco futuristico che negli anni è diventata la linea di separazione tra la città dei ricchi e i figli della nuova Francia. Si può non condividerne le
basi, ma il progetto aveva una sua struttura e finalità chiare e coerenti. Da noi è tutto
più confuso e, onestamente, senza una gran logica. Neppure il sempre più prossimo
Expo giustifica certi progetti. Per due anni chiunque sia passato per Porta Garibaldi
ha potuto assistere alla straordinaria rapidità ed efficienza con cui sono spuntati dal
nulla il nuovo Palazzo della Regione e il grattacielo Unicredit, meravigliose cattedrali
nel deserto schiacciate tra l’Isola (quartiere molto “parigino”) e Corso Como. E ora?
Non si sa. Al di là della recente acquisizione del 40% del progetto da parte del fondo
sovrano Qatar Holding, non si hanno molte notizie di cosa potrà accadere a quei
palazzi scintillanti. Difficile però accorgersi della totale inutilità e sproporzionata inadeguatezza di queste opere finché non capiti di passeggiarci attorno, specialmente
la sera. Sembrerà strano e un po’ paradossale, ma mi sono “riappropriato” della mia
città quando ho dovuto attraversare tutta Via Paolo Sarpi. Chinatown è, a dispetto
di qualche rigurgito leghista, una parte integrante e irrinunciabile del nostro tessuto
urbano. Aver reso la sua arteria principale un unico spazio pedonale, l’ha valorizzata
e fatta riscoprire da tanti milanesi che per anni l’avevano abbandonata. Durante l’ultimo Fuorisalone proprio questa zona di Milano è stata una delle vetrine di design
più interessanti. Una città moderna, per essere tale, deve rispondere soprattutto alle
nuove esigenze di aggregazione di comunità sempre più “liquide”, in movimento e
multietniche. Un grattacielo vuoto di fianco alla via della movida milanese non ha
molto senso e non porta alcun vantaggio, se non a chi l’ha costruito. L’isola pedonale
di Paolo Sarpi, se pur nata per fare un dispetto ai negozianti cinesi e ai loro carrelli,
ha finito per valorizzare tutto il quartiere. L’ultima tappa del mio cammino è stata la
vecchia Fiera e il gigantesco cantiere di City Life. È notizia di questi giorni che dei
tre grattacieli previsti ne verrà eretto solo uno, quello progettato da Arata Isozaki.
Mancano i fondi, per non parlare degli acquirenti. Per anni comitati di cittadini della
mia zona si sono battuti proprio per questo. Ora è la crisi immobiliare a dare loro una
mano. Ma cosa ne sarà di quella specie di enorme “ground zero” che prima ospitava
le storiche palazzine della Fiera Campionaria? Non si sa, ma sarebbe bello se, almeno
per una volta, tornasse l’erba là dove un tempo c’era la città.
Stefano Ampollini
4
contents
point of view
10
focus
Elegia milanese al cine sparito
Via la cultura dal centro
di Roberto Perrone
di Simone Zeni
inside
26
12
Brevi dalla città
di Carolina Saporiti
outside
14
Brevi dal mondo
di Carolina Saporiti
cover story
16
Fedele forever
di Paolo Crespi
interview
28
Preferisco la nostalgia, odio il rimpianto
di Simone Zeni
focus
30
Due passi nell’orto
di Marilena Roncarà
interview
32
Professione curatore
di Carolina Saporiti
portfolio
20
focus
Round About Township
Dandy a Milano
Foto di Pino Ninfa
di Anna Mezzasalma
design
36
39
Un’azienda stellata
di Dino Cicchetti
style
42
Solid colors
di Luigi Bruzzone
style
Il made in Italy propositivo
di Enrico S. Benincasa
6
44
contents
wheels
46
food
Auto design week
Palato d’alta quota
di Andrea Zappa
di Paolo Crespi
sport equipment
56
48
Golf performance
di Luigi Bruzzone
food
58
Refettorio Simplicitas
di Elisabetta Gentile
overseas
50
Golfisti globetrotter
di Andrea Zappa
wellness
53
Benessere da green
di Simona Lovati
week-end
54
Profumo di lavanda
club house
di Filippo Spreafico
Il tennis, visto da vicino
60
a cura di Enrico S. Benincasa
free time
62
Da non perdere
a cura di Enrico S. Benincasa
In copertina
Stefano Belisari,
in arte Elio.
Foto di Andrea Colzani.
8
point of view
roberto perrone
Vive a Milano da trent’anni, ma ha conservato
solide radici zeneisi. Nato a Rapallo, è giornalista
e scrittore. Per il Corriere della Sera si occupa
di sport, enogastronomia e viaggi. Ha pubblicato
diversi libri, tra i quali il suo ultimo romanzo
Occhi negli occhi edito da Mondadori.
Elegia milanese
al cine sparito
Molti anni fa ho visto un film in bianco e nero che, nell’età del colore, viene utilizzato normalmente quando si vuole fare della poesia oppure ricordare un altro
tempo. Insomma un film un po’ d’essai, un po’ di memoria, un po’ lento. Però bello. L’ho visto in un piccolo cinema di via Torino. Quando ho cominciato a scrivere
questo mio editoriale stavo ragionando sull’estate, su cosa si potesse dire di interessante. E mi è venuto in mente quel film, L’estate di Bobby Charlton. Chi ha un
minimo di conoscenza calcistica sa di cosa parliamo, dell’estate del 1966, quella
del dentista nord-coreano (che poi non era un dentista) che affondò l’Italia nelle
brughiere e dell’Inghilterra che vinse il suo unico Mondiale (veramente anche il
solo titolo a livello di nazionale). Era un road movie. Un padre meridionale litiga
con la moglie alto-atesina e scende lungo la penisola con i figli, verso la Puglia.
Volevo scrivere qualcosa sulle partenze, sulle auto stracolme di bagagli che, come
navi con la stiva piena, avevano i coprimozzi che quasi raschiavano l’asfalto e metà
ruota era coperta. Invece mi è venuto in mente che al posto di quel cinema, ora,
c’è un negozio di abbigliamento. Così il pensiero è diventato un vortice di ricordi
legati non a un film, ma ai cinema milanesi. A quelli scomparsi. A certe grandi
sale tutte moquettate ma anche a piccoli cinema d’essai con le scomode seggiole di legno. Come Santi cacciati dal calendario, questi cinema spariti, inghiottiti
prima dalla strafottenza della Tv, poi dalla dittatura di videocassette e CD, infine
dal satellite e da Internet, formano una specie di mappa segreta di Milano, le cui
linee intersecano la città ricostruendo le emozioni perdute di un cinefilo forestiero che, nelle sue prime solitarie estati milanesi, trascorreva quasi tutte le sere in
un cinema diverso, passando da un film di 007 a una commedia italiana, da un
thriller a una sofisticata produzione hollywoodiana. Cinema in cui ci si rifugiava
per passione, per riempire la solitudine e spesso per la loro frescura. Sarebbe bello
che qualcuno, con una sorta di filo di Arianna di celluloide percorresse la città,
inventandosi una guida ai cinema perduti, da quelli grandi a quelli più piccoli.
Sarebbe bello girare la città così, scoprendo angoli popolati da questi cinema,
fantasmi silenziosi, testimoni discreti di tante estati di città, riempitivi di vite che
sono e non sono le nostre.
Roberto Perrone
10
INSIDE
In scena il capitalismo
Domenica 5 maggio si è tenuto
lo spettacolo, organizzato da
SCM SIM e per la regia di Andrea
Soldani, Goodbye Mr. Capitalism?.
Sul palco, oltre i conduttori de La
Zanzara (Radio 24), Giuseppe
Cruciani e David Parenzo, si sono
avvicendati Umberto Ambrosoli,
Michele Boldrin, Giorgio Arfaras
e Marco Rizzo, supportati da una
serie di video e imitazioni.
www.goodbyemrcapitalism.it
Superstudio in numeri
Dici Fuorisalone e pensi a zona Tortona e a Superstudio Più
che anche quest’anno ha chiuso con successo la settimana
milanese dedicata al design. Negli spazi di via Forcella 13 e
via Tortona 27 sono passati 100 mila visitatori che hanno potuto vedere i 415 prodotti presentati presso le due location,
frutto del lavoro dei 210 designer e dei 69 giovani talenti
chiamati a partecipare all’edizione 2013 del Temporary Museum for New Design.
www.superstudiogroup.com
B.Live, moda per stare bene
B.Live è il nuovo brand realizzato dai ragazzi
dell’Istituto Tumori di Milano grazie alla Onlus
Magica Cleme. La collezione, presentata a dicembre, comprende capi d’abbigliamento, accessori e make-up, creati sotto la supervisione della
stilista Gentucca Bini. La vendita della linea B.Live
si è tenuta ad aprile presso lo Spazio Bugatti.
www.youtube.com/user/magicacleme
Un nuovo giardino
Lo scorso 12 maggio ha aperto Isola Pepe Verde,
un nuovo giardino condiviso sito proprio in via
Pepe, a due passi dai binari della stazione Garibaldi. L’iniziativa è stata promossa e portata avanti
dall’omonima associazione, che ha così ridato
alla città e al quartiere uno spazio per molti anni
lasciato abbandonato.
isolapepeverde.wordpress.com
Yobe, occhiali made in Italy
YOBE (Your Beautiful Eyes) è una nuova linea di occhiali,
ma anche uno store in corso Vercelli 7. Aperto tutti i giorni,
in boutique oltre all’acquisto degli occhiali è possibile anche
effettuare il controllo della vista. Tutti i modelli di YOBE sono
made in Italy e realizzati con particolare attenzione alle materie prime utilizzate, al design e all’artigianalità.
www.yobe.it
12
www.citroen.it
ESCAPE THE ORDINARY
CITROËN DS3 CABRIO
Per fuggire dall’ordinario bisogna essere aperti. Nasce Citroën DS3 Cabrio, l’unica della
a 120 Km/h. Lasciatevi
sua categoria con 5 posti, bagagliaio da 245 litri e tetto apribile
conquistare dai fari posteriori 3D a LED, dagli interni in pelle Blu, dal suo design e dalle
meraviglie della sua tecnologia. A bordo di Citroën DS3 Cabrio ci sono numerose scoperte
da fare, prima di arrivare a quella più importante: voi stessi.
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DS3 1.4 VTi 95 GPL/Benzina (uso a Benzina) 5,9 l/100 Km – (uso a GPL) 8,2 l/100 Km. Emissioni di CO2 su percorso misto: più basse Citroën DS3 1.4 e-HDi 70 FAP
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outSIDE
Riflessioni sul viaggio
I Cheap Trick per John Varvatos
Per festeggiare il 35° anniversario del leggendario
concerto del 28 aprile 1978 a Budokan in Giappone, i Cheap Trick hanno scelto la boutique
Bowery John Varvatos a New York. Sponsor
dell’evento Sony Experia e Legacy Recordings.
La scelta della location si è rivelata perfetta visto
che lo store occupa lo spazio che un tempo
occupava il club underground CBGB’s.
www.johnvarvatos.com
Si svolge dal 24 al 26 maggio la IV edizione di Pistoia – Dialoghi sull’uomo, un festival di antropologia che per il 2013 ha
scelto come fil rouge L’oltre e l’altro. Il viaggio e l’incontro. Tra
gli ospiti invitati ad approfondire il tema del viaggio ci saranno
Marco Aime, Giuseppe Battiston, Francesco Guccini, Erri De
Luca e il fondatore di Lonely Planet Anthony Wheeler.
www.dialoghisulluomo.it
Land Rover compie gli anni
Land Rover ha festeggiato i suoi 65 anni con
un evento presso la tenuta di Packington, in
Inghilterra. Alla celebrazione hanno partecipato
circa 150 veicoli, in rappresentanza della storica
gamma del marchio inglese. Per l’occasione non
poteva mancare il nuovo Defender Elettrico
sperimentale.
www.landrover.com/it/it/lr
La qualità dell’abitare
Eleganza in mostra
Tudor ha presentato quattro nuovi modelli a Baselworld
2013. La referenza 7169, icona assoluta del brand, è stata
reinterpretata dal modello Heritage Chrono Blue. Fastrider
Black Shield dispone di una cassa in ceramica nera e opaca e
segna il rapporto con Ducati. Presentato nel 2011, Heritage
Advisor quest’anno si è impreziosito grazie al quadrante in
due tonalità. Infine Date 26 MM ha arricchito la collezione
Glamour, ispirandosi ai passi seducenti del tango.
www.tudorwatch.com/it
14
Quality Living – il concept store
di Verona dedicato alla qualità
dell’abitare – ha vinto il Global
Innovator Award (GIA) 2012-13 di
Chicago. Quality Living ha trionfato
conquistando i due riconoscimenti
dedicati al settore retail per la sua
capacità di introdurre elementi
di innovazione nell’offerta e nelle
modalità di esposizione.
www.qualitylivingverona.it
Cover story
Stefano Belisari, in arte
Elio, è l’elegante leader
di un gruppo molto
“elegante” che non sa
resistere alla tentazione
del trucco, soprattutto
facciale. La musica,
invece, è tutta Doc.
Foto di Orazio Truglio.
16
Cover story
elio
fedele forever
Il frontman delle Storie Tese spiega il legame sentimentale
con la città che gli ha dato i natali e i primi successi. E quello
a prova di bomba con i membri storici del gruppo fondato
più di trent’anni fa, a cui proprio non riesce ad attribuire un
difetto. Da (ex?) giudice di X Factor, spiega poteri e limiti dei
talent show musicali. E giocando all’assessore lancia una sfida:
riaprire subito tutti i teatri.
di Paolo Crespi
Milanesi si nasce?
Sì e no. Se indaghi un po’, scopri che di
“milanesi-milanesi” ce ne sono ben pochi. Io stesso sono nato qui come mio
padre, ma già i miei nonni erano ascolani… Forse è la città che ti trasforma in
milanese. Mi viene in mente uno come
Montanelli, che pur venendo dalla provincia di Firenze era milanesissimo. E
come lui tanti altri.
Come definiresti il tuo rapporto con
questa città?
Conflittuale. Sono circa trent’anni che
vorrei andarmene, però le voglio bene.
Alla fine, come vedi, sono ancora qua.
Quali sono i personaggi di Milano a
cui ti senti più legato?
Istintivamente rispondo tutta la categoria degli “artisti”, cantanti e comici,
degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, da Jannacci in poi. Ma poi mi rendo
conto di essere coinvolto sentimentalmente proprio con la città in quanto
tale. Al punto un po’ estremo di provare affetto persino per i personaggi
storici. Filippo Tommaso Marinetti,
che a Milano è vissuto (tra l’altro nella
casa dove stava mio padre nei suoi pri-
mi anni), Salvatore Quasimodo, Albert
Einstein (due anni a Milano da ragazzo,
in via Bigli).
E nella Milano di oggi?
Siamo messi veramente male: un crollo verticale. Per cui sono affezionato ai
miei amici e basta.
Se fossi il sindaco, cosa faresti per
migliorare la qualità della vita nella
ex capitale economica, morale, della
moda, degli aperitivi, eccetera, eccetera?
Sindaco non potrei mai esserlo, non sarei in grado. Ma da ipotetico assessore
alla cultura, per prima cosa riaprirei i
teatri chiusi, come il Lirico. Vederli
così è una vergogna, sono il simbolo
della profonda crisi della città. Lo farei
perché i teatri sono poli di attrazione,
luoghi dove avvengono e nascono cose
che vanno al di là della semplice rappresentazione.
Nelle ricerche di Google sei più indicizzato dell’omonimo elemento chimico. Come riesci a gestire la popolarità
senza farti fagocitare e senza nemmeno diventare disumano?
La popolarità non è così enorme, noi di
Elio e le Storie Tese non siamo Eros o
la Pausini, che non possono girare per
strada senza essere placcati. Banalmente faccio finta che non ci sia, di non
essere “celebre”. E in genere funziona.
È anche una questione di salute: è fondamentale, se non vuoi sbarellare, non
perdere mai il contatto con la vita di
ogni giorno.
A bocce ferme, che cosa cambia tra
questo secondo posto sanremese, con
annesso premio della critica e premio
per il migliore arrangiamento, rispetto
a quello di 17 anni fa?
Che abbiamo fatto le scelte giuste. La
prima volta che andammo al Festival
non sapevamo a cosa andavamo incontro e c’era soprattutto il gusto della
sfida. Puntavamo a creare un caso, ma
certo non ci aspettavamo di entrare in
lizza per i primi posti, dato che per il
pubblico sanremese eravamo dei perfetti sconosciuti. Questa volta il rischio
maggiore era quello del paragone. Che
fare in più o di diverso oggi che tutti
rompono gli schemi e vogliono fare gli
anticonformisti, a partire dal look? Il
rischio era grande e personalmente ero
17
Cover story
Elio e le Storie Tese
in un recente scatto
di Andrea Colzani.
“Il segreto della nostra tenuta è
l’ostinato lavoro di squadra, in un
progetto a lunghissima scadenza”
un po’ scettico, poi mi sono adeguato
alla volontà del gruppo. Per smarcarci
e dare un senso alla partecipazione abbiamo scelto Dannati Forever, un testo
terribile, che parla di inferno, passato
letteralmente sotto silenzio, e La canzone mononota, la provocazione (costruttiva, contro la noia) vincente.
Nel 2015, insieme all’Expo, voi di Elio
e le Storie Tese celebrerete, discograficamente parlando, le nozze d’argento.
Qual è il segreto dell’amore lunghissimo e a quanto pare felice?
La risposta standard è che il merito è
degli avvocati. Ma siccome mi ha stufato, mi sento di dire che il segreto è
la cocciutaggine, una cosa che ho sicuramente nel mio DNA, insieme all’esigenza (comune) di dare un senso alla
vita, ponendomi degli obiettivi importanti. Il che implica necessariamente
un lavoro lungo: con un impegno limitato nel tempo semplicemente non li
ottieni. A questo aggiungi il fatto che
nei miei desideri c’era fin dall’inizio
quello di dare vita a un gruppo con una
carriera lunga. E questo fortunatamente è accaduto, dopo più di trent’anni
dagli esordi prediscografici siamo una
18
macchina quasi perfetta. Anche perché i miei compagni di strada non sono
meno ostinati di me!
Facciamo un gioco: attribuisci un pregio e un difetto a ciascuno dei componenti della tua band.
Mi rifiuto. I difetti ce li abbiamo tutti e poi non è carino dirli. I pregi sono
abbastanza collettivi. Perché ciascuno
dà il proprio apporto creativo, che è
diverso per ogni componente – il mio
da quello di Faso, quello di Rocco Tanica da quello di Cesareo e così via.
E tutti condividono questa voglia di
continuità, portando anche la propria
percentuale di “smazzamento” del lavoro sporco, condiviso naturalmente
con tutti i nostri preziosi collaboratori.
Perché l’esibizione sul palco dell’Ariston è solo la punta dell’iceberg. Per
arrivarci non basta l’euforia dello stare
insieme divertendosi a comporre delle
scemenze.
X Factor, il talent di cui sei stato protagonista, ha aperto una strada e creato
molte aspettative tra gli aspiranti cantanti di questa generazione. I vostri
esordi, all’epoca, furono molto diversi. Ritieni ci sia ancora spazio per un
altro tipo di “gavetta”?
Le strade per chi vuole esprimersi artisticamente si sono drasticamente
ridotte. Le occasioni odierne hanno
molti aspetti negativi ma sono anche
un modo per guadagnarsi l’attenzione
del pubblico. I talent se vuoi sono crudelissimi, una serie infinita di gente che
viene mandata via: eliminata. Ma se
uno “vale”, se è non solo artisticamente
valido, ma anche dotato di una sorta di
volontà cieca, alla fine arriva. Magari –
vedi il caso di Daniel, il ragazzo bocciato a ripetizione, anche da noi di X
Factor, e poi vittorioso a Italia’s Got Talent – dopo un tot di facciate contro il
muro. Che tutto sommato fanno bene.
Se c’è una cosa che non va dei talent è
il successo ottenuto con relativamente
poco sforzo: accade all’improvviso e
non sei pronto, emotivamente, umanamente. In compenso i talent hanno un
grande merito.
Quale?
Offrono una vetrina per farsi vedere a
gente che ci prova da anni e ha finalmente la sua grande occasione. Come
Nathalie, la cantautrice che a trent’anni ha vinto la quarta edizione di X Fac-
Cover story
Simpatico omaggio
all’unico doppio LP dei
Beatles, Album Biango
è il nuovo disco di Elio
e le Storie Tese. Un
godibile contenitore in
cui convivono gli ultimi
exploit sanremesi con
chicche random come
Lampo, Come gli Area,
Il ritmo in sala prove o
Luigi il pugilista.
tor, in squadra con me.
Com’è lo stato della produzione musicale in Italia? Ci sono ancora dei
“signori professionisti” in grado di
valorizzare e orientare la creazione
musicale?
è davvero un punto dolente. Siamo
come nel medioevo dopo la caduta dell’impero romano. Manca tutto.
Mancano gli autori, i compositori, i
produttori di talento. La crisi è culturale. Per creare qualcosa di significativo dev’esserci questa esigenza, questa
voglia diffusa di parlare attraverso le
canzoni. Negli anni Sessanta e Settanta, la Rca è stata una grande fucina di
talenti: Dalla, De Gregori, Zero, Fogli,
Venditti, Gaetano, Baglioni, Battisti.
La ragione è che lì c’era del metodo.
Un lavoro sistematico svolto con grande professionalità da un forte gruppo
di persone molto decise e preparate.
Meriterebbe di farci un documentario
– non mi risulta sia mai stato fatto –
non tanto per ricordare, ma soprattutto
per capire. Oggi invece si spera che per
caso vengano fuori dei fenomeni. Il talento puoi anche trovarlo così, ma poi
lo devi allevare.
Se non avessi avuto successo come
artista avresti fatto comunque questo
lavoro o ti saresti dedicato ad altro,
provando a farti onore, ad esempio,
come ingegnere?
La musica per me poteva rimanere un
hobby, ma comunque ad alto livello.
Alla fine degli anni Settanta, primi anni
Ottanta – l’inizio del nostro Medioevo – da neodiplomato al conservatorio
Giuseppe Verdi sentivo gli strafalcioni
dei nostri cantanti sanremesi e li confrontavo con il sound dei dischi inglesi e americani. Allora ingegneria era il
piano A, mentre la musica era il piano
P, inteso come “passione”. Per quattro
anni mi sono presentato tutte le mattine a lavorare in ufficio (io e Cesareo
eravamo gli impiegati del gruppo) e
contemporaneamente la sera ero in
tour con Elio e Le Storie Tese. Con
tutti gli inconvenienti del caso. Poi,
grazie al cielo, ho avuto la fortuna di
poter fare un solo lavoro, questo. Sono
molto contento, ma non è stato come
pensavo…
In che senso?
Beh, fare l’impiegato per me aveva
un problema fondamentale: la gabbia.
Entri alle 9, esci alle 5, non si scappa.
Viceversa fare il nostro lavoro è come
per i liberi professionisti, che sono liberi, appunto, ma non sanno mai cosa gli
accadrà. Chiaro che ora non sono preoccupato per l’immediato futuro, ma
lo sono stato per anni. E anche se l’orizzonte temporale si è un po’ allungato, so che non è per sempre. E la fatica
è notevole: di sicuro lavoro più oggi di
quando facevo l’impiegato. Gli aspiranti cantanti almeno questo dovrebbero
saperlo.
Con Album Biango (Hukapan/Sony)
e in attesa del blocco estivo della lunga tournée 2013 di EELST potresti tirare un po’ il fiato. Invece cosa bolle
in pentola?
Con il pianista Roberto Prosseda stiamo preparando un’evoluzione “tricolore” del recital che portiamo in giro nei
ritagli di tempo: un programma con
musiche di Bianchi, Rossini e Verdi…
E con l’amico Luca Lombardi, compositore classico contemporaneo, molto
famoso all’estero, pensiamo a un’opera,
non lirica, per i teatri. A bordo ci sarà
anche Mattia Torre, uno dei tre autori
di Boris.
19
Portfolio
round about
township
Un viaggio fotografico attraverso le periferie urbane di Johannesburg e Città
del Capo, luoghi storici dell’apartheid che ancor oggi sono simbolo di povertà
e malessere sociale. Pino Ninfa racconta, attraverso immagini singolari e poetiche,
con un utilizzo quasi pittorico della luce, la difficile vita nei sobborghi delle due
più grandi città sudafricane. L’occhio del fotografo non mira a spettacolarizzare
le condizioni di disagio di queste realtà, quanto piuttosto a evidenziare il profondo
senso di dignità e solidarietà dei suoi abitanti. Una mostra allo Spazio Oberdan
nel mese di maggio e un omonimo libro per non dimenticare.
Foto di Pino Ninfa
20
Portfolio
In questa pagina.
Per le strade della
township di Philippi,
Città del Capo.
Nella pagina a fianco.
L’interno di
un’abitazione nella
township di Kliptown,
Soweto.
21
Portfolio
22
Portfolio
Foto sopra.
Il dott. Comba ritorna
a casa nella township
di Somora, Città del
Capo.
Foto a fianco.
Si studia alla luce di una
lampada a olio nella
township di Kliptown,
Soweto.
Nella pagina a fianco.
Di notte è quella delle
abitazioni l’unica luce
a illuminare le vie della
township di Somora,
Città del Capo.
23
Portfolio
Foto sopra.
Un vicolo della
township di Somora,
Città del Capo.
Foto a fianco.
Soweto vicino a una
shebeen, un tipico
luogo di ritrovo per
bere una birra.
24
Portfolio
pino ninfa
Sviluppa progetti a livello nazionale e internazionale
legati allo spettacolo e al reportage: l’interesse per
la musica e per il sociale hanno connotato il senso
complessivo della sua fotografia. Ha lavorato per
numerosi eventi musicali e ha realizzato progetti
con Emergency, Unicef, Amani e molti altri.
Fra le sue ultime pubblicazioni: In Jazz, Sulle tracce
dell’avventura-Omaggio a Hugo Pratt e Round
About Township, entrambi per Casadei Editore.
di Andrea Zappa
Quali sono state le motivazioni che ti
hanno portato a realizzare un reportage di questo genere?
Questo lavoro nasce dalla mia voglia di
raccontare delle realtà urbane, in particolare quelle dove permangono delle
situazioni di disagio, non tanto per evidenziarlo crudelmente o per realizzare
scatti d’effetto, quanto nel tentativo di
raccontare questi luoghi facendo emergere la parte più umana delle persone
che lì vivono, in qualche modo anche
con un taglio poetico. Sono luoghi di
estrema difficoltà rispetto a come noi
siamo abituati a vivere: ho avuto la possibilità di immergermi nelle vite di queste persone e di dormire in quei luoghi.
Ciò che a noi appare assurdo e incredibile per loro è la normalità.
Le township sono, come è noto, dei
luoghi molto pericolosi per chiunque
non vi sia nato all’interno, qual è stato
il tuo approccio come uomo e come fotografo a quella realtà?
Bisogna essere assolutamente cauti nel
cercare di introdursi in quei luoghi, è
necessaria una modalità “discreta” e
non da reporter d’assalto che entra con
la macchina fotografica spianata. È importante avere del tempo, cercare di
instaurare un rapporto con le persone.
Io ho anche dormito all’interno di queste township. Prima devi guadagnarti la
loro fiducia e solo in seconda battuta
puoi pensare di scattare, spiegandogli
perché lo fai.
Ma come hai fatto a entrarci?
A Johannesburg ho avuto la fortuna di
conoscere un fotografo locale che aveva
fatto un workshop qualche giorno prima, parlandogli ho avuto la possibilità
di muovermi con lui. In quei luoghi
non c’è alcun genere di sicurezza, non
ci sono regole, e la notte giri completamente al buio senza illuminazione. È
necessario quindi essere accompagnati
e scortati da persone a cui è riconosciuta l’autorità di essere al di sopra delle
parti, evitando così di essere aggrediti.
In molti scatti è evidente un approccio quasi pittorico nell’uso della luce,
come mai questa caratteristica?
Sono le emozioni e le sensazioni personali che portano il fotografo a tradurre
attraverso la macchina quel qualcosa
che vuole trasmettere e raccontare. Io
amo molto la pittura e spesso sono influenzato nei miei scatti da quello che
mi arriva dai grandi pittori di un tempo,
in particolare la loro capacità di usare
la luce. Amo molto giocare con i chiariscuri e con le ombre. Fotograficamente
provengo anche dal mondo della musica e il palco è spesso attraversato da
particolari fasci luminosi. I tagli di luce,
quasi pittorici, presenti in questi scatti,
non sono altro che un modo per rappresentare, con una certa formalità e
una certa estetica, la giusta dignità di
persone che hanno esistenze molto difficili.
Un aneddoto che ti ha colpito durante
questo lavoro?
Ho conosciuto un ragazzo che pur lavorando in banca, e quindi ricevendo
un buono stipendio, ha deciso comunque di rimanere a vivere nella township
di Somora, fra la sua gente. Un esempio
di grande forza, pensa che la sua casa
ha una stanza, un bagnetto e forse una
piccola cucina.
Una volta a Città del Capo hai anche
deciso di realizzare un workshop internamente alla township…
Si, è stata un’esperienza molto interessante nata in collaborazione con Cesvi.
Oltre ai miei scatti in mostra ci saranno,
infatti, 50 foto inserite in un pannello
realizzate dai ragazzi della township
Philippi. Emerge così una visione diversa di quella realtà: il loro modo di
vedere quel sobborgo fa un po’ da contraltare al mio.
25
FOCUS
Via la cultura
dal centro
Librerie che chiudono. Altre, storiche, che passano al web.
Alcune si spostano. E se questi cambiamenti segnassero
semplicemente una rinascita della cultura in periferia?
di Simone Zeni
01
01. Il Mio Libro, la
libreria della giovane
Cristina Di Canio che
ha lasciato il posto fisso
per aprire quella che lei
definisce la sua “scatola
rosa”.
26
Non è certo un momento felice per l’editoria. Anche per le librerie milanesi è giunta l’ora di fare i
conti con crisi, scarse vendite, affitti spesso troppo
cari. Ed è così che due delle più importanti librerie della Milano che legge hanno traslocato dalle
loro sedi storiche: Utopia, dopo trentasei anni di
attività nella sede di via Moscova, all’angolo con
largo La Foppa, si è trasferita in via Vallazze, zona
Città Studi; la libreria Del Mondo Offeso di Laura Ligresti, con una storia più recente che non le
ha impedito di imporsi nel panorama cittadino,
lascia i locali di corso Garibaldi per riaprire in via
Cesare Cesariano. “È terribile – dice lo scrittore
Matteo B. Bianchi – Il centro si sta trasformando in
un’oasi sempre più commerciale e sempre meno culturale, basta girare nei dintorni del Duomo: si possono acquistare solo vestiti. L’idea che una libreria
scompaia e al suo posto spunti l’ennesimo megastore
mi gela il sangue”. Altre librerie del centro hanno dovuto prendere decisioni ben più drastiche:
quella gay-friendly Babele, che dopo una prima
chiusura delle sede in zona Cadorna aveva riaper-
indirizzi
Libreria Del Mondo Offesio
via Cesare Cesariano 7
Libreria Utopia
via Vallazze 34
Libreria Il Mio Libro
via Sannio 18
to in viale Regina Giovanna, nel 2012 ha chiuso
per diventare uno store online, mentre la Hoepli,
tra le più grandi e prestigiose librerie d’Europa,
ha appena messo in cassa integrazione i suoi 60
librai. Continua Matteo B. Bianchi: “Le librerie
indipendenti sono fondamentali perché offrono un
approccio personale che le grandi catene non possono fornire. Un libraio che ti conosce, che sa capire i
tuoi gusti e consigliarti, è preziosissimo, e questo il
cliente lo percepisce. Quando ero uno studente universitario a Pavia andavo in una piccola libreria
accanto alla mensa. All’epoca cominciavo a interessarmi alla giovane narrativa italiana e ho avuto la
fortuna di imbattermi nella persona ideale, che mi
ha indicato tutta una serie di letture fondamentali. Ho un debito formativo enorme nei confronti di
questo libraio perduto nel tempo”. In questo senso
però, il decentramento delle due librerie potrebbe essere persino un cambiamento positivo: non
solo continueranno a vivere, ma potrebbero divenire il fulcro culturale delle zona in cui si sono
spostati. Ne è un esempio la piccola e accoglien-
FOCUS
02
te …Il Mio Libro, aperta dal 2010 in via Sannio
(zona Piazzale Lodi), che è diventata un punto
di riferimento per gli abitanti del quartiere, “Mi
hanno adottata. È bellissimo!”, afferma la titolare
Cristina Di Canio: “Mi sento parte di una famiglia
a tal punto che, rimanendo aperta in pausa pranzo,
capita di organizzarsi con i clienti e di pranzare insieme in libreria. Una sorta di pic-nic tra gli scaffali.
E se entra qualcuno? Beh, può favorire! Qui si trova
tutto ciò che non è «mega». Non ci sono megaspazi,
megapromozioni e certamente non c’è megafretta di
chiudere la vendita”. La libreria diventa un luogo
da frequentare quindi oltre all’acquisto, …Il Mio
Libro organizza numerosi incontri, aperitivi con
gli autori, eventi e anche corsi di scrittura creativa,
svolgendo un vero servizio alla città. Continua la
proprietaria: “Tutto qui si svolge in un clima assolutamente amichevole e famigliare. Non è più «Andiamo in libreria» ma «Andiamo da Cristina». Ci si
chiama per nome, ci si racconta quello che succede.
E questo non solo con i clienti ma anche con gli autori che poi diventano amici». Ad aspettarsi molto
il salone degli
indipendenti
A Torino, dal 16 al 20 maggio, si
svolgerà il Salone Internazionale del
Libro 2013. Questa edizione dedicherà particolare attenzione alla
partecipazione degli editori indipendenti, grazie a una serie d’iniziative
volte a sostenerne la presenza,
segno dell’importanza che viene
loro attribuita. Al Lingotto sanno
che essere piccoli editori significa
non solo pubblicare e vendere ma
anche fare scouting di talenti. In
questo il loro valore è grande.
www.salonelibro.it
dal quartiere e a sperare per il meglio per questo
grande cambiamento è Lucio Morawetz, titolare
della libreria Utopia, che asserisce senza indugio:
“Siamo all’inizio di un’avventura entusiasmante, è
come quando si conosce un nuovo amore”, anche se
non nasconde il proprio rammarico: “Alla fine del
2012, dopo un anno molto difficile, ho pensato che
l’unica maniera per continuare il nostro lavoro fosse
tagliare alcuni costi fissi, in particolare l’affitto che a
causa del calo del fatturato era diventato molto difficile da pagare. La vecchia sede ci mancherà, era una
parte di noi”. Che sia forse un bene per le zone in
cui la libreria Del Mondo Offeso e Utopia hanno aperto, certo è possibile, ma un problema di
fondo c’è e lo riassume bene proprio Morawetz:
“Nel complesso rimane un fenomeno triste, un segno
dei tempi inquietante. Se il centro delle città espelle
la cultura, visto che sono in crisi anche biblioteche,
cinema, teatri e musei, non si tratta di un dilemma
personale di un imprenditore velleitario quale potrei
essere io, ma di un grave problema politico”. Il messaggio è chiaro. Speriamo che la politica senta.
02. L’angolo musicale
della Libreria del
Mondo Offeso nella
nuova sede. Qui si
possono trovare rarità
e volumi fuori edizione.
27
Interview
sergio escobar
Preferisco la nostalgia,
odio il rimpianto
Il direttore del Piccolo Teatro, recentemente riconfermato fino al 2016, non ha dubbi:
“Il Teatro d’Europa ha ancora molto da offrire e non si farà certo trovare impreparato
alla sfida dell’Expo 2015”.
di Simone Zeni
28
interview
piccola grande storia
Fondato nel 1947 da Giorgio
Strehler, Paolo Grassi e Nina
Vinchi, il Piccolo è stato il primo
Stabile italiano, nato con lo slogan
“Teatro d’Arte per Tutti”. Dal 1991
il Piccolo Teatro di Milano è anche
chiamato “Teatro d’Europa”. Tre le
Alla fine del 2012 è stata nuovamente
confermata la sua direzione del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa.
Cosa ci si deve aspettare nei prossimi
tre anni?
Continuare un viaggio per capire e
comprendere, senza cedimenti al pattume della cronaca, la nostra contemporaneità, così da realizzare che significato acquista nel tempo la parola
“cittadinanza”. Il teatro trasforma gli
individui in cittadini, ora fortunatamente dai mille volti, dalle mille lingue. Per capire è meglio fare un viaggio
nella città “nascosta”, quella della metropolitana per esempio, che partecipare ai dibattiti. E comunque sentirsi un
po’ stranieri con se stessi è il modo migliore per ritrovare il senso del teatro e
quindi della città.
Ricopre questo suo prestigioso ruolo
dal 1998, ha un ricordo su tutti che le
è rimasto nel cuore di questi 14 anni?
Certamente più d’uno. Quando Luca
Ronconi ci fa viaggiare in una dimensione sconosciuta di testi come Infinities, Il Professor Bernhardi, Panico, l’ultimo suo spettacolo andato in scena al
Piccolo nelle scorse settimane con uno
straordinario successo. Ma anche l’emozione del pubblico quando Ferruccio Soleri si leva, sotto gli applausi, la
maschera di Arlecchino.
Uno spettacolo che, più degli altri, vor-
rebbe rivedere in scena?
L’ultimo. Il più vicino nel tempo è
quello di cui senti maggiormente lo
“strappo” della fine. Gli altri sono custoditi nel profondo della memoria.
In un numero precedente di Club Milano, Moni Ovadia, esibitosi proprio
di recente sul palco del suo teatro con
Adesso Odessa, ha detto che non riconosce più la vecchia Milano, se non
per qualche tempio della cultura come
il Piccolo e la Scala. Lei trova che la
città sia cambiata? Le piace?
Ci mancherebbe altro: se la città non
cambiasse sarebbe morta. Evito di
elencare gli “attentati” quotidiani che
subisce alla sua bellezza: cito solo la
selva di pali inutili che affliggono vie e
piazze. Personalmente amo la nostalgia,
odio il rimpianto.
C’è una zona o un luogo di Milano
che preferisce?
Mi piace camminare nelle viuzze dietro Piazza Missori, quelle con il ciottolato, dove di notte senti i tuoi passi.
Adoro la piazzetta della chiesa del Carmine di sera, se si ignora l’improprietà
della pur bella scultura di Mitoraj. Ma
anche via San Gottardo, Porta Genova.
Una donna per me è bella solo se ha
almeno un difetto: Milano in questo è
generosa!
Come si rapporterà il Piccolo alla
nuova Grande Milano metropolitana
sedi: quella storica, il Piccolo Teatro
Grassi, lo spazio sperimentale Teatro Studio e la principale, inaugurata
nel 1998, con il nome di Piccolo
Teatro Strehler. Proprio del 1998
è il passaggio di testimone a Sergio
Escobar e a Luca Ronconi.
www.piccoloteatro.org
e all’Expo 2015?
In tutta onestà non è l’atto formale, pur
importante, del riconoscimento di città
metropolitana a cambiare la storia del
Piccolo Teatro e del suo pubblico. Se
negli anni Sessanta si parlava di decentramento, oggi si è inevitabilmente parte di una città attraversata dal mondo
intero, come ogni vera metropoli che si
rispetti. Le zone della città cambiano
come cambia l’illusione dell’immobilità di centro e periferia del mondo “che
conta”. Quanto a Expo, si può dire che
il Piccolo vi si prepara fin dalla fondazione, dal 1947, con la sua intensissima
attività internazionale, con il suo percorso alla ricerca di una nuova idea di
cittadinanza.
A gennaio è scomparsa Mariangela
Melato, non solo grande protagonista
del palcoscenico ma anche illustre milanese doc. Ci vuole regalare un ricordo che ha dell’attrice?
Non mi sento di raccontare aneddoti
che ci scambiavamo sul mondo del teatro, in fondo erano piccole confidenze
personali. Ricordo il suo sorriso ironico
e i suoi occhi. Ricordo il grande lavoro, serio, totale, per prepararsi a ogni
spettacolo. Sbaglia chi dice che non era
una diva: Mariangela era una diva vera
perché donna vera. Sul mio cellulare,
conserverò per sempre il suo numero
di telefono.
29
FOCUS
due passi nell’orto
Stiamo parlando di quelli botanici: otto in tutta la Lombardia e due solo
nella città di Milano. Nati oltre cinque secoli fa con l’intento di studiare
le piante medicinali, ora sono spazi green aperti al pubblico e dedicati
anche alla diffusione della cultura ambientale. La primavera è tra le
stagioni migliori per visitarli.
di Marilena Roncarà
01
01. Veduta del laghetto
con le piante esotiche
nell’orto botanico di
Bergamo Lorenzo
Rota.
30
Nel cuore di Milano, nascosto dietro il Palazzo di
Brera, c’è una piccola meraviglia all’insegna del
green: un orto botanico in pieno centro città, 5
mila metri quadri di verde con 300 specie arboree
diverse, compresi due esemplari di Ginkgo Biloba
tra i più antichi d’Europa. Arrivando la prima sensazione è un certo spiazzamento misto a stupore:
bastano pochi passi per entrare in una nuova dimensione e lasciare definitivamente alle spalle la
città e i pensieri che a vario titolo ronzano in testa.
Quella che vi accoglie è un’oasi di pace e il vostro
sguardo comincerà a correre lieve tra l’aiuola di
officinali, gli esemplari di specie esotiche, le collezioni di peonie, fino agli iris e alle ninfee che, se
è la stagione buona, riaccendono di colori angoli
interi del giardino. Sarà suggestione, ma qui anche
l’aria sembra diversa, a tratti più salubre, di sicuro
più profumata. Siamo dentro il giardino botanico voluto dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria
nella seconda metà del Settecento, un ecosistema
naturale dove il lavoro di conservazione della flora si accompagna alla divulgazione della cultura
sul web
www.reteortibotanicilombardia.it
www.ortobotanicodibergamo.it
www.villacarlotta.it
www.stelviopark.it
www.brera.unimi.it/museo/orto
ambientale: ogni pianta è corredata da un apposito cartellino, che ne indica il nome e la specie.
“Far conoscere forme vegetali insolite o rarissime, far
scoprire come sono fatte piante d’uso comune (come
pomodoro, tè, caffè, ecc.), far capire quanto esse siano importanti nella nostra vita quotidiana, piuttosto
che stupire attraverso la bellezza di fioriture che non
si vedono altrove”. Ecco alcuni dei compiti degli
orti, come racconta il direttore dell’orto botanico
di Bergamo Gabriele Rinaldi, che prosegue: “La
Lombardia è una delle regioni più ricche di specie
animali e vegetali, che però rischiano di essere soffocate dal crescente processo di antropizzazione del
territorio. Per non perdere questo patrimonio negli
orti botanici, accanto a specie esotiche o esemplari
centenari, sono conservate anche piante autoctone,
sia spontanee che coltivate”. In pochi lo sanno, ma
nella sola città di Milano gli orti botanici sono
ben due, oltre a quello storico di Brera, c’è il più
recente di Cascina Rosa, in zona Lambrate, sorto
nel 2001 dalle sterpaglie di una vecchia cascina
abbandonata. Qui, nei 22 mila metri quadri a di-
FOCUS
coltivare la terra
Se Monza con il Festival degli Orti
(23 maggio - 2 giugno) è pronta ad
accogliere incontri, corsi e lezioni
di orticoltura, a Milano è dall’ottobre dello scorso anno che ogni
sabato il campus del Politecnico di
02
sposizione, insieme alle azalee, alle camelie e alle
querce, sono da ammirare le specie acquatiche del
laghetto e i 1500 esemplari di succulenti (impropriamente chiamate piante grasse) ospitati nelle
serre. Cascina Rosa è il terzo orto botanico dell’Università di Milano, assieme a Brera e Toscolano
Maderno sul Garda. Quest’ultimo, nato nel 1964
come stazione sperimentale di una casa farmaceutica, è un orto universitario a vocazione scientifica che ospita piante medicinali, alcune (come la
Camptotheca acuminata originaria del Tibet e del
sud della Cina) importanti per le specifiche proprietà antitumorali. Gli orti della rete lombarda
si caratterizzano per un’elevata biodiversità e così
mentre in quello dello Stelvio (di Rezia, Bormio)
si possono osservare perlopiù piante alpine, a Bergamo sembra piuttosto di entrare in un piccolo
(ha una superficie di molto inferiore a quella di un
campo di calcio), ma ricchissimo feudo del regno
vegetale, dove il papiro lascia il passo al fior di
loto, alla palma del Madagascar o alla drosera carnivora. Tutt’altro scenario è quello che si respira
via Durando (zona Bovisa) viene
letteralmente invaso dagli abitanti
del quartiere, che armati di carriole,
e sementi collaborano con docenti
e studenti alla creazione del primo
orto universitario conviviale italiano.
www.coltivando.polimi.it
03
a Pavia, dove in un orto settecentesco si rimane
incantati dalle orchidee, da un roseto con 200 varietà di piante (una delle più importanti collezioni italiane) e dalle serre realizzate dall’architetto
Giuseppe Piermarini, lo stesso che ha progettato il Teatro alla Scala. Di gran lunga più esteso
è infine giardino botanico di Villa Carlotta, sul
lago di Como, un grande parco storico di 70 mila
metri quadri dove convivono, in perfetta armonia
strutture museali e capolavori della natura, come
il giardino dei bambù, la valle delle felci, gli itinerari delle camelie e 150 specie di azalee che, soprattutto durante la fioritura, levano il fiato per la
bellezza. Gli orti botanici hanno orari di apertura
al pubblico diversi a seconda della vocazione più
o meno scientifica o divulgativa delle strutture. Di
sicuro tutti gli orti della rete lombarda sono aperti
in contemporanea il giorno (e parte della notte)
del solstizio d’estate, un appuntamento da non
perdere per conoscere più da vicino questi musei
a cielo aperto dove niente è statico, ma tutto vive
e continuamente muta.
02.La rigogliosa
fioritura delle azalee
nel giardino botanico di
Villa Carlotta, sul lago
di Como.
03. Le aiuole e la
vegetazione dell’orto
botanico di Brera
lambiscono la facciata
dell’Osservatorio
Astronomico.
31
Interview
massimiliano gioni
PROFESSIONE CURATORE
Il Palazzo Enciclopedico è il titolo della prossima Biennale di Venezia, che
inaugurerà il primo giugno. Massimilano Gioni, il più giovane direttore di sempre,
ne parla come un contenitore dell’accumulo che si rifà al Medio Evo e al Barocco:
epoche che, come la nostra, tendono alla stratificazione dei saperi.
di Carolina Saporiti
Foto di Marco De Scalzi
32
interview
Già direttore artistico della Fondazione
Nicola Trussardi di Milano e Direttore
Associato e dei Progetti Speciali del
New Museum di New York, con l’incarico per La Biennale di Venezia Massimiliano Gioni ha segnato un’altra tappa
importante nella sua carriera.
Si può dire che hai fatto carriera in
fretta, cosa insolita in Italia. C’è stato
un episodio o una persona che identifichi come il momento di svolta?
A 16 anni sono andato a studiare in Canada, al Collegio del Mondo Unito che
raccoglie ragazzi provenienti da ogni
Stato. Lì ho imparato a parlare e scrivere l’inglese e soprattutto a rapportarmi
con tutti e a lavorare con disciplina. Poi,
il momento di svolta è stato nel 2002,
quando Beatrice Trussardi ha deciso
di affidarmi, non ancora trentenne, la
Direzione Artistica della Fondazione
Nicola Trussardi: un incarico che mi ha
portato fortuna.
Qual è stato il tuo primo lavoro nel
mondo dell’arte?
Quando sono rientrato in Italia dal Canada mi sono iscritto al DAMS a Bologna, dove ho studiato Storia dell’Arte.
Non mi era ancora chiaro cosa avrei
fatto, ma l’interesse per l’arte contemporanea si faceva forte. Era la metà degli anni Novanta e con alcuni amici ho
fondato una rivista online, TRAX: Internet non era ancora molto diffuso e ci
piaceva l’idea di essere pionieri e occuparci di cultura a 360 gradi. Giancarlo
Politi, direttore di Flash Art, ne venne
a conoscenza, si incuriosì e cominciai a
lavorare in redazione, prima in Italia e
poi negli Stati Uniti.
Quando ti hanno nominato direttore
della Biennale di Venezia, cos’hai pensato?
La verità? Ho pensato che era l’inizio
della fine… Scherzi a parte, ero emozionato e incredulo e mi sono acce-
so una sigaretta, dopo anni che avevo
smesso di fumare!
Come mai hai scelto come titolo della
Biennale Il Palazzo Enciclopedico?
Ho preso in prestito il titolo dall’artista autodidatta italo-americano Marino
Auriti, che il 16 novembre 1955 ha
depositato presso l’ufficio brevetti statunitense i progetti per il suo Palazzo
Enciclopedico, un museo immaginario
che avrebbe dovuto ospitare tutto il
sapere dell’umanità, collezionando le
più grandi scoperte del genere umano.
L’impresa di Auriti rimase naturalmente incompiuta, ma il sogno di una conoscenza universale e totalizzante attraversa la storia dell’arte e dell’umanità
accumuna molti personaggi eccentrici
che hanno cercato di costruire un’immagine del mondo che sintetizzasse
l’infinita varietà e ricchezza.
Dalla parola “enciclopedico” dobbiamo aspettarci altro oltre alle opere
d’arte strettamente intese?
Assolutamente sì. Viviamo in un’epoca
caratterizzata dal diluvio dell’informazione in cui ogni tentativo di strutturare la conoscenza in sistemi onnicomprensivi non può che essere necessario
e al tempo stesso disperato. La mia
Biennale indagherà proprio queste fughe dell’immaginazione in una mostra
che combinerà opere d’arte contemporanea e reperti storici, oggetti trovati e
artefatti, per dare vita a una riflessione
sui modi in cui le immagini sono utilizzate per organizzare la conoscenza
e per dare forma alla nostra esperienza
del mondo.
Come spiegheresti la tua Biennale a
un visitatore che non è del settore?
Consiglirei di visitarla senza pregiudizi. Mi piacerebbe che Il Palazzo Enciclopedico stimolasse i visitatori a porsi
delle domande, più che a cercare delle
risposte.
In cosa consiste il lavoro di curatore?
Da giovane volevo fare il critico d’arte, perché critici venivano chiamati
maestri come Achille Bonito Oliva o
Germano Celant. La parola curatore
in Italia è arrivata più tardi e alla critica d’arte ho preferito la curatela, che
in fondo è una scrittura nello spazio: si
scrive attraverso le opere in modo attivo e vissuto e con una varietà di componenti che danno la difficoltà e insieme la bellezza di questo ruolo.
Il curatore deve mettersi a disposizione
degli artisti, come elemento che traduce le loro idee in qualcosa di realizzabile e tenendo conto degli aspetti pratici,
come il peso che un pavimento può sostenere o l’altezza e la larghezza di una
porta.
Qual è il museo o lo spazio di Milano
che merita una visita?
Milano è una città piena di tesori, di
posti dove mi piace tornare e a cui mi
unisce un forte legame affettivo. Penso
alla Pinacoteca di Brera, uno dei musei più belli del mondo con capolavori
assoluti come il Cristo morto di Mantegna, o a Villa Reale, dove c’è un piccolo
Cezanne, I ladri e l’asino, che non mi
stancherei mai di guardare.
In molti, ancora, trovano l’arte contemporanea frustrante, sforzandosi di
capirla. C’è un giusto atteggiamento
con cui visitare le mostre?
Non esiste un manuale di istruzioni per
l’uso. Dobbiamo semplicemente ascoltare quello che l’opera ci dice e individuare cosa ci mette in difficoltà, cosa ci
destabilizza, cosa crediamo di non capire e partire da lì. Spesso non è l’opera
d’arte a essere incomprensibile, siamo
noi che siamo talmente abituati a consumare immagini e pensieri in modo
veloce e acritico, che qualsiasi cosa ci
imponga di fermarci qualche istante in
più ci fa paura.
33
style
Dandy a milano
Orologi d’epoca, gemelli e capelli su misura sono “feticci” capaci
non solo di creare uno stile unico ma anche di raccontare qualcosa
della propria personalità. E in fatto di look, l’uomo che vuole
distinguersi seleziona accuratamente i dettagli del suo stile.
di Anna Mezzasalma
Foto di Elisabetta Polelli
01
01. Sergio Melegari,
il cappellaio di via
Paolo Sarpi, nel suo
laboratorio storico.
36
Hanno provato a fargli indossare la gonna. Gli
hanno accorciato l’orlo dei pantaloni e hanno aggiunto make up e borse, ma l’uomo che, in fatto
di stile, vuole distinguersi davvero rimane fedele
ad alcuni dettagli irrinunciabili. Dall’orologio al
cappello, le tendenze di moda non sono riuscite a
offuscare l’interesse per quegli accessori che sintetizzano l’immagine dell’uomo di classe, feticci che
dichiarano stile personale e, sotto sotto, raccontano
anche qualcosa della propria personalità. Ma dove
creano il loro stile i dandy contemporanei? A Milano, chi sa dove cercare trova angoli nascosti con
vere rarità e tantissime chicche. Come NewOldTime, un minuscolo spazio senza tempo nascosto nel
cortile di un palazzo di via Dante. Questo è il regno di Roberto Randazzo, responsabile del settore
Orologi Vintage della NewOldCamera di Ryuichi
Watanabe. L’esperienza e l’amore del collezionista
hanno dato vita a una curatissima selezione: Rolex
sportivi dagli anni Cinquanta agli Ottanta, Longines, Omega, ma anche orologi militari e double
name (come i Rolex per Tiffany o Cartier). “Chi
indirizzi
Newoldcamera
via Dante 12
Demaldé
piazza Carmine 1
Cappelleria Melegari
via Paolo Sarpi 19
sceglie uno dei miei orologi – spiega Roberto – non
lo fa per uno status symbol, ma per un gusto personale. Non si indossano orologi di questo tipo per sfoggiarli, anche perché non sono facilmente riconoscibili,
non fanno scena”. Qui si possono trovare Rolex
militari, ma anche rari Omega, come il prototipo
Speedmaster realizzato per la NASA, o il prezioso e richiestissimo Rolex Daytona Paul Newman,
reso famoso proprio dall’attore di La Stangata. La
spesa non è necessariamente elevata: il valore non
è oggettivo ma è dato dal singolo collezionista e
dalla sua voglia di distinguersi. La stessa voglia che
spinge ad aprire le porte di Demaldè, uno scrigno
di bijoux di ogni epoca situato proprio nel centro
città, in via Ponte Vetero. Nel negozio di Loredana
ed Elvio, infatti, arriva chiunque cerchi un gioiello che sappia fare la differenza, un vezzo, magari
non pregiato, ma capace di attirare l’attenzione. I
gemelli da uomo sono i veri protagonisti di questo
museo di preziosi. Oltre 3 mila pezzi, provenienti
da tutto il mondo, di tutto il Novecento e di ogni
materiale. Si va da quelli preziosi vintage in oro 22
style
03
02
carati con diamanti e smalti, fino a quelli divertenti con marchi come Vespa, Ford, Guinness, passando per i rari gemelli carillon degli anni Cinquanta.
Un vero mondo, nato da una passione personale. “I
gemelli sono ancora vissuti come oggetto da regalare
per segnare le tappe della vita di un uomo – sostiene
Loredana – Battesimo matrimonio, laurea o compleanni importanti sono tutti momenti che vengono
celebrati con un simbolo, più o meno prezioso, serio
o spiritoso”. “Anche se – aggiunge Elvio – sta crescendo il numero di appassionati di tutte le età che
sceglie i gemelli proprio come vezzo, un dettaglio magari da abbinare alla cravatta o scelto anche solo per
farsi notare”. Ecco quindi che si può spaziare, con
una spesa che va dai 20 fino a qualche migliaio
di euro, tra gemelli militari o con gli stemmi dei
college stranieri (dall’Inghilterra all’Arabia Saudita), fino a esemplari vintage di importanti griffe
come Christian Dior o Pierre Cardin. Chi si sente davvero estroverso e sicuro di sé, non perderà
l’occasione di completare il proprio look con un
cappello, l’accessorio che fino a poche generazioni
fa era sinonimo indiscutibile di eleganza. “Oggi il
cappello è un dettaglio scelto da chi vuole farsi notare, senza distinzione di età o possibilità economiche”,
dichiara Sergio Melegari, che di cappelli se ne intende davvero, dal momento che, insieme alla sorella Paola, è responsabile della bottega storica di
famiglia, la cappelleria Melegari di via Paolo Sarpi. Attiva dal 1914, questa istituzione meneghina
non ha mai smesso di accontentare i suoi clienti,
offrendo un’ampia selezione di copricapi di marchi importanti e soprattutto di produzioni artigianali proprie. Nel laboratorio della sede storica si
confezionano cappelli per qualsiasi esigenza: cerimonie e occasioni particolari sono, ovviamente, in
cima alla lista delle ordinazioni. Non mancano poi
clienti raffinati che puntano alla qualità del made
in Italy e alla possibilità di personalizzazione. “Le
richieste spaziano dai modelli insoliti, visti magari
al cinema o indossati da qualche star, alla riproposizione di cappelli classici che non si trovano più
in produzione”, racconta il cappellaio di via Sarpi.
Ricercato, vintage, pezzo unico, dunque, sono le
parole chiave per chi sa esattamente ciò che vuole.
E non c’è moda che tenga.
02. I gemelli con loghi
automobilistici, tra i tre
mila modelli da uomo
di Demaldè.
03. Rolex militare
inglese della collezione
di Roberto Randazzo.
37
advertorial
BMW Milano sponsor del TCM Alberto Bonacossa
BMW Milano, filiale commerciale di BMW Italia, si lega ancora di più al territorio siglando un accordo di
sponsorship con il prestigioso Tennis Club Alberto Bonacossa, circolo che, insieme ad altre otto realtà europee
rientra nell’esclusivo “Club des Centenaires de Tennis”.
Il legame tra tennis e marchi automobilistici è storia antica, i valori sportivi
espressi, quali eleganza, raffinatezza,
forza, dinamismo e tenacia sposano
perfettamente quelli ricercati dal mondo delle quattro ruote. Si sono quindi
trovati in perfetta sintonia sulla terra
rossa del campo due eccellenze milanesi: lo storico Tennis Club Milano
Alberto Bonacossa e BMW Milano
S.r.l., la filiale di vendita di BMW Italia S.p.A. che commercializza i marchi
BMW, BMW Motorrad, MINI e RollsRoyce sul territorio milanese. La concessionaria conta quattro punti vendita
e tre punti di assistenza nel capoluogo.
A San Donato Milanese, in via dell’Unione Europea 1 si trova il rinnovato
Showroom dedicato alla vendita di vetture nuove BMW, MINI e Rolls-Royce.
Presso la sede di via Zavattini 4, sempre
a San Donato Milanese, sorge invece
38
il Centro Assistenza BMW e MINI e
lo Showroom dedicato alla commercializzazione di vetture usate BMW
Premium Selection e MINI Next. Chi
invece alle quattro preferisce le due
ruote, può trovare un’intera struttura
completamente destinata alla vendita
di moto e scooter BMW in via Ammiano 1 a Milano. Recentemente si è poi
aggiunto il punto vendita nuovo e usato e assistenza BMW, BMW Motorrad e
MINI in via dei Missaglia 89.
“Il legame tra il mondo sportivo e BMW
è naturale – ha dichiarato Alessandro
Salimbeni, Amministratore Delegato
di BMW Milano – ed è fondato sul dinamismo stesso del marchio. In questo
senso, ci fa piacere continuare su questa
strada e affiancare la nuova iniziativa al
consolidato rapporto con la EA7 Olimpia Milano. Inoltre, tale accordo testimonia la nostra volontà di essere sem-
pre più presenti nel territorio della città
in vari modi, come abbiamo dimostrato
recentemente anche con l’apertura della sede di via dei Missaglia”.L’intesa tra
la concessionaria e il club tennistico è
volta a promuovere i brand del Gruppo
attraverso molteplici attività di comunicazione ed eventi congiunti che verranno implementati nel corso del 2013.
Il Tennis Club Milano Alberto Bonacossa ospiterà, infatti, l’organizzazione
di tre eventi dedicati a BMW Milano.
Il primo di questi è già in programma
durante il prestigioso Trofeo Bonfiglio
(Campionati Internazionali d’Italia Juniores Maschili e Femminili, 18 – 26
maggio), appuntamento di valore internazionale al quale hanno partecipato, da adolescenti, i più grandi campioni
di ieri e di oggi.
www.bmwmilano.bmw.it
design
Un’azienda stellata
La radio “cubo” TS522
è disponibile nei colori
nero notte, rosso,
bianco neve, arancio
sole, giallo sole, verde
menta, a un prezzo di
239 euro.
Nel firmamento delle aziende italiane Brionvega è stata certamente
una delle più brillanti. Oggi a diversi anni dalla nascita, i suoi oggetti
sono vivi più che mai al punto da essere rieditati in chiave hi-tech.
Testo e illustrazione di Dino Cicchetti
39
DESIGN
01
02
eccellenza italiana
Brionvega è, senza alcun dubbio,
una di quei marchi nostrani che
hanno lasciato il segno nella storia
del design mondiale. Fondata a
Milano nel 1945 da Giuseppe
Brion e l’amico ingegner Pajetta
con il nome B.P.M., si occupava
inizialmente di produzione di com-
01. Il televisore Algol
di Zanuso e Sapper
sempre del 1964.
02 Il “cubo” è
acquistabile anche nella
versione radiosveglia
con un display a cristalli
liquidi che permette di
impostare la sveglia e
di visualizzare l’ora, la
data o la temperatura
della stanza in cui è
posizionata.
40
ponenti elettrici ed elettronici per
poi specializzarsi nella realizzazione
di apparecchi radiotelevisivi con il
nome, prima, di B.P.Radio, poi di
Radio Vega Television e infine, negli
anni Sessanta di Brionvega. Fin da
subito Brion e Pajetta chiamano alla
loro corte i migliori architetti dell’epoca che danno forma a televisori
Negli anni Sessanta la diffusione delle radio era
ormai in declino. La televisione aveva preso il
sopravvento lasciando ben poco spazio agli apparecchi concorrenti. Nel dopoguerra in Italia
era arrivata la radio e nel 1954, con l’inizio delle
prime trasmissioni RAI, arrivò anche il televisore. Nonostante tutto la Brionvega, storica azienda
Milanese, decise comunque di investire, impostando fortemente sul design la progettazione dei
suoi apparecchi. Dalle mani sapienti di Richard
Sapper e Marco Zanuso nasce così la Radio TS
502, ideata nel ’62 e prodotta nel ’64. Meglio
conosciuta come Cubo, la radio è composta di
due sezioni realizzate in plastica colorata dotate
di un’apposita scanalatura, dove passano i cavi di
collegamento fra le due sezioni. Da chiusa la radio
sembra un parallelepipedo leggermente “arrotondato”, difficile da identificare come una radio e
perfetta per ogni tipo di ambiente. Dopo averla
aperta grazie a un semplice tasto, le due sezioni
si uniscono posteriormente grazie a una piccola
calamita, si ottiene così un frontale con i comandi
e il diffusore audio realizzato in zama, una lega
e radio dal design avveniristico e
intramontabile. Arrivano così Bonetto, Zanuso, Sapper, Catiglioni,
Bellini, Asti. Quando negli anni
Ottanta approda anche Sottsass nel
gruppo, Brionvega è già talmente
un mito che inizia la riedizione di
modelli storici da parte degli stessi
designer che li hanno creati.
di alluminio. Infine, grazie alla comoda maniglia
è possibile portare la radio sempre con sé. Così,
mentre negli anni dai suoi altoparlanti veniva fuori prima la voce di Lelio Luttazzi con lo storico
programma Hit Parade, poi Alto Gradimento di
Bracardi, il Cubo di Brionvega diventava un’icona
indiscussa in Italia e all’estero. Oggi la radio è uno
dei pezzi più importanti per i collezionisti di modernariato e design, e diversi esemplari risiedono nei più importanti musei d’arte moderna del
mondo, incluso il MoMA di New York. Nel 2004
il marchio è stato completamente rilevato dalla
Sim2 Multimedia, un’azienda di apparecchi per
la videoproiezione, che ha rimesso in produzione tutti i modelli storici della Brionvega, dopo un
chiaro aggiornamento tecnologico. Per esempio,
al sintonizzatore Fm della radio, digitale, è stato
aggiunto un sintonizzatore DAB e un ricevitore
Wi-Fi per captare il segnale delle radio in streaming web. Infine si è aggiunta una porta Usb per
connettere la docking station per iPhone e iPod,
un telecomando e una chicca come il Pause con
un colpetto alla testa del cubo.
84
12
style
Solid colors
calvin klein by marchon
Occhiale da sole con forma a scudo, cerniera
con logo inciso in metallo e aste in plastica.
giorgio vigna
Collana in argento con inserti in
vetro e rame.
herno
Blazer in cotone spalmato
antipioggia con maxi bottoni.
longchamp
Bauletto in pelle.
Tonalità decise come il giallo sole rendono frizzanti
le linee nette e pulite, che strizzano l’occhio al
glamour geometrico degli anni Sessanta, della
collezione primavera estate 2013 di Michel Kors.
di Luigi Bruzzone
42
style
Pumps
La decolleté è l’accessorio icona di
femminilità, è amata dalle donne
e fa girare la testa agli uomini.
Santoni
Dior
Pura López
Decolleté in coccodrillo lavorazione guanto.
Decolleté a punta in tessuto.
Decolleté in vitello liscio con punta sfilata.
www.santonishoes.com
www.dior.com
www.puralopez.com
Zara
Emporio Armani
Truth or Dare by Madonna
Decolleté in pelle modello People.
Decolleté in pelle stampata effetto lizard.
Decolleté in pelle sintetica.
www.zara.com
www.armani.com
www.zalando.it
Mango
Patrizia Pepe
Diane Von Furstenberg
Decolleté in pelle.
Decolleté in pelle effetto metallo.
Decolleté in vernice modello Anette.
www.mango.com
www.zalando.it
eu.dvf.com
Buffalo
Gucci
Burberry Shoe Collection
Decolleté in vernice.
Decolleté a punta in vernice.
Decolleté a punta in pelle di serpente.
www.sarenza.it
www.gucci.com
www.burberry.com
43
style
Il made in Italy propositivo
Nel Dna di Mauro Grifoni, fondatore e direttore creativo dell’omonimo brand,
l’attenzione ai dettagli e la riscoperta delle tradizioni artigiane convivono
felicemente con la sperimentazione e il coraggio di proporre strategie di
comunicazione differenti rispetto allo status quo.
di Enrico S. Benincasa
44
style
Il vostro brand è presente sia in Italia
sia all’estero. Ci sono differenze tra le
linee disponibili in Italia e quelle presenti sui mercati internazionali?
No, non ci sono differenze. Ed è importante che non ci siano per portare fuori
dai confini l’idea e le peculiarità che ci
distinguono dagli altri brand. Quindi
non c’è nessun tipo di adattamento ai
mercati, se non a livello di alcuni fit.
Da qualche mese avete aperto uno
store ad Amsterdam. Come mai avete
scelto la città olandese per questo debutto nord europeo?
Olanda, Danimarca, Svezia e gli altri
paesi del nord Europa ci stanno dando buone soddisfazioni e Amsterdam è
una piazza in costante crescita per noi.
Abbiamo trovato questa location e ci
è subito piaciuta molto, è stata un’opportunità che abbiamo colto al volo.
Volevamo iniziare con una capitale del
Nord interessante, e Amsterdam certamente lo è.
Avete già in programma prossime
aperture?
Stiamo valutando diverse opportunità,
in particolare in Oriente. In Cina per
esempio, abbiamo due corner in shop
che stanno funzionando bene. Nel nord
Europa abbiamo avviato dei contatti e
stiamo valutando l’espansione attraverso queste soluzioni, ideali per far comprendere bene lo styling del brand.
So che uno dei suoi luoghi preferiti è il
Giappone. È un’altra zona in cui state
valutando aperture?
Nel Sol Levante siamo presenti da 18
anni, dove vendiamo e abbiamo clienti solidi. È un mercato interessante
per noi, perché è competitivo. I clienti giapponesi sono esigenti, anche per
via dell’offerta incredibile che hanno.
Sono sempre alla ricerca di un prodotto interessante e penso che il nostro
lo sia, in quanto incorpora l’italianità
salvaguardando comunque un respiro
internazionale.
L’ultima vostra campagna, che ha
come protagonista la modella-fotografa Cate Underwood, è senza dubbio originale perché capovolge quelle
che sono le regole non scritte della comunicazione nel mondo della moda.
Com’è nata questa idea?
Avevamo voglia di cambiare il modo di
comunicare, volevamo differenziarci e
non entrare in competizione con tutti
quelli che fanno campagne in modo,
diciamo, “standard”. Conosciamo Cate
da tempo e, scambiando delle opinioni con lei, che è anche una modella, ci
siamo detti: “Perché non fotografiamo
in maniera diversa, con una Polaroid e
gli smartphone, senza trucco e parrucco?
Perché non andiamo un po’ controcorrente rispetto alla ipertecnologia e al fotoritocco?”. Penso che oggi bisogna togliere
più che aggiungere, anche nelle collezioni, per dare un po’ più di chiarezza e
allo stesso tempo un segnale forte.
Soddisfatti?
Assolutamente sì. Fare una campagna
con questi mezzi dove è la stessa modella che si fotografa è stata una cosa
che ha fatto “chiacchierare”. Lo rifarei
senza minimo dubbio.
Il recupero delle tradizionali lavorazioni artigianali è nel DNA del vostro
brand, così come l’attitudine a speri-
mentare partendo da esse. Come comiugate queste due anime, a prima
vista differenti?
Siamo stati i primi a sperimentare
alcuni trattamenti, come la tintura a freddo su felpe, jeans, maglie in
cashmere e camicie, già 15 anni fa, o
il tessuto agugliato alla maglia, circa
5 anni fa, cose che poi altri hanno riproposto nel giro di due stagioni. Ogni
giorno sperimentiamo e proviamo cose
nuove, ma non abbiamo voluto sfruttare queste idee per tipizzarci, per essere quelli che sono capaci solo a fare
quella particolare lavorazione. Bisogna
anche fare attenzione a non generare
confusione nel consumatore finale che,
da un brand propositivo come il nostro,
accetta volentieri più soluzioni e non
solo quelle conosciute perché considerate specifiche del marchio.
Mauro Grifoni e il made in Italy: cosa
occorrebbe fare secondo lei per sostenerlo e promuoverlo?
Sono le stesse aziende che dovrebbero aiutare e tutelare il made in Italy.
Il sistema deve autoregolamentarsi. Il
peso vero rimane sulle spalle dei creativi, sulla loro fantasia. Oggi ci sono dei
prodotti fatti all’estero che sono molto
vicini ai nostri come qualità, realizzati
con costi di manodopera inferiori e ciò
ci obbliga a produrre più velocemente
per poter competere. Ma la cosa importante è che il made in Italy sia nel
Dna e nella testa di chi lo produce.
Non è un materiale che lo determina:
è la manodopera, il gusto, lo stile che
rendono un prodotto italiano degno di
questo nome.
45
wheels
Auto design week
sul web
www.bmw.it
www.citroen.it
www.ford.it
www.hyundai-motor.it
www.lexus.it
www.opel.it
www.renault.it
01
La Settimana del Design di Milano non è mai stata invasa come
quest’anno dalla presenza del mondo automotive. Un sodalizio nuovo
che sta dando ottimi risultati per tutti i protagonisti con e senza ruote.
di Andrea Zappa
01. Il rendering
dell’istallazione Fluidic
– Sculpture in Motion
di Hyundai realizzata
presso Superstudio Più
di via Tortona.
46
Installazioni, mostre, performance e concorsi.
Sono innumerevoli i modi con i quali il mondo
dell’auto ha sposato quello del design nell’ultimo
appuntamento milanese. Fuorisalone e Salone del
Mobile hanno visto una partecipazione importante sotto varie formule dei principali marchi automobilistici. Evidenziando una volta di più quanto
sia labile il confine tra forme diverse di design e,
soprattutto, l’importanza che ha per loro il pubblico di un evento come la Settimana del Design.
A fine aprile si è svolta presso il Temporary Store
“Adam&You” di Corso Giuseppe Garibaldi 51/A
la cerimonia di premiazione degli “Adam Design
Award”. Concorso voluto da Opel Italia in collaborazione con lo IED. Gli studenti si sono misurati nella realizzazione di numerosi mood boards
dedicati all’Adam, l’ultima urban car prodotta
della casa tedesca. Anche Lexus, nel cui DNA il
design ha sempre avuto un ruolo importante, ha
dato vita alla prima edizione del concorso internazionale “Lexus Design Award”. Il marchio di lusso
di Toyota è riuscita a raccogliere 1243 progetti,
premiandone 12 il 9 aprile al Museo della Permanente in via Turati 34. Tra i vincitori anche il
giovane designer ferrarese Rudy Davi con la sua
lampada Klava. Dopo i concorsi è stata la volta
delle conferenze: Ford ha organizzato all’interno
della Fiera di Rho il dibattito Democratising design
& technology. Al Fuorisalone, invece, in via Tortona
37 ha fatto bella mostra di sé, in anteprima italiana, il Suv Ecosport e Applink, il sistema di lettura vocale dei quotidiani sviluppato con Spotify e
Kailiki. Hyundai ha invece stupito presso Superstudio Più attraverso l’istallazione Fluidic – Sculpture in Motion, realizzata dallo Hyundai Advanced
Design Center in collaborazione con WhiteVoid.
L’opera occupava un’area di mille metri quadrati
ed era costituita da una nuvola di 12 mila sfere
luminescenti: uno spettacolo di luci e laser che,
ispirandosi alle forme della natura, creava figure e
immagini tridimensionali di grande impatto visivo. Il tutto reso possibile grazie a un particolarissimo sistema tecnologico di scanner 3D che, rilevando il calore e la presenza umana, permetteva
wheels
02
03
ai visitatori di interagire con l’installazione. Non
da meno BMW che, in occasione di questo evento,
si è fatta in due. Alla Facoltà Teologica dell’Italia
settentrionale, ha promosso l’installazione rotante Quiet motion dei francesi Ronan e Erwan Bouroullec, dedicata alla mobilità elettrica. Mentre il
marchio Mini ha dato appuntamento ai giovani
con l’evento Mini Kapooow! al Paceman Garage
di via Tortona, mettendo in bella mostra l’accattivante e ultima nata Mini Paceman. Citroën, invece, parte dall’automobile per arrivare agli arredi, e
ispirandosi alla sua aggressiva ed elegante DS3, ha
proposto al Salone di Rho un sofà di design. Una
raffinata seduta in pelle, le cui linee ricordano la
sua vettura di punta. Ha poi presentato il 9 aprile
presso 10 Corso Como la Citroën DS3 Cabrio
L’Uomo Vogue Limited Edition, il cui primo modello è stato battuto durante un’asta a favore di
un’iniziativa internazionale di charity. Il ricavato
di 100 mila euro è stato totalmente devoluto a
Women Create Life, un progetto che sostiene e
promuovere attività in grado di migliorare le condizioni di salute di donne e bambini attraverso
l’arte e la cultura. La DS3 Cabrio, quella non in
edizione limitata, in media patner con la rivista
WU magazine, ha fatto capolino anche in zona
Navigli in via Corsico 3 all’interno del temporary
store Brandstorming, spazio che accoglie opere di
artisti contemporanei, allestimenti ed esposizioni
di produzioni dal taglio moderno e industriale.
L’auto si integrava perfettamente con gli skyline
di carta e luci di Samantha Bonanno, i tavolini
luminosi a forma di lettera ricavati da vecchie
insegne in metallo e plexiglass di Letterarium,
oltre ai pezzi unici d’arredamento di DeSteel.it
derivati dalla riconversione dell’utilizzo di macchinari industriali. Non poteva mancare Renault,
sempre dedita alla realizzazione di innovative
concept car. Il marchio francese ha presentato in
esclusiva alla Triennale di Milano la nuova Twin’Z,
frutto dell’incontro tra due mondi quello dell’arredamento e dell’automobile. Il designer inglese
Ross Lovegrove ha avuto carta bianca nella progettazione dell’abitacolo, sviluppando una visione
degli interni molto legata al mondo naturale. Il
tetto in vetro stratificato si prolunga nel lunotto,
lasciando una totale visione del cielo ai passeggeri.
Di grande effetto la tinta blu satinata e trattata
come una vera pelle che non sembra verniciata
ma piuttosto spalmata, praticamente anodizzata,
dando l’impressione di una pigmentazione naturale. Auto futuristiche, auto che diventano oggetti
di arredo all’interno di spazi dedicati a lampade e
sedie o che divengono, esse stesse, fonte di ispirazione per la creazione di complementi per la casa,
l’alta tecnologia degli studi di progettazione dei
grandi marchi messa al servizio di installazioni e
opere che lasciano incantati: il confine tra il mondo delle quattro ruote e il design non è mai stato
così labile. Ma c’è mai stato un confine?
02. La Citroën DS3
Cabrio in esposizione
all’interno del
temporary store
Brandstorming in
zona Navigli. Foto di
Alessandro Treves.
03. L’evento Mini
Kapooow! in via
Tortona che ha visto
protagonista la Mini
Paceman.
47
sport equipment
Golf performance
Dimenticate kilt, baschetto con pom pom e gilet
a losanghe. Dai tempi delle origini di questo sport,
la tenuta del golfista è cambiata radicalmente, pur
mantenendo lo stile e l’imprinting retrò.
di Luigi Bruzzone
Il golfista italiano
Edoardo Molinari in
tenuta Colmar durante
un momento di gioco.
Foto courtesy Colmar.
48
Della primitiva tenuta per praticare questa elegante disciplina sportiva, sono sopravvisuti ben
pochi elementi nel guardaroba del moderno golfista. Possiamo ricondurre immediatamente al gioco del golf e al suo paese di origine – la Scozia,
appunto – losanghe e fantasie checked che sono
ancora molto utilizzate come motivi identificativi
nell’abbigliamento ideato per questo sport. Oggi
l’attenzione si concentra sulle esigenze di performance del giocatore, a partire dall’assoluta libertà
di movimento garantita dall’attenta progettazione
dei capi e dall’utilizzo di materiali con un forte
contenuto tecnologico.
La ricerca stilistica è infatti indirizzata su tessuti
all’avanguardia con proprietà anticalore, antimicrobiche, antivento e impermeabili che permettono al golfista di affrontare nel migliore dei modi
gli agenti atmosferici. Questa disciplina, infatti, si
pratica a stretto contatto con la natura, e rende
lo sportivo soggetto alle più diverse condizioni climatiche. Negli ultimi anni il golf, che sta
vivendo di una sempre più grande popolarità a
livello mondiale, ha attirato l’interesse di moltissime griffe che hanno sviluppato linee di abbigliamento dedicate. Si tratta di collezioni con
forte attenzione allo stile ma anche agli aspetti di
funzionalità, che affiancano la proposta di marchi
prettamente tecnici come Nike, Adidas e Colmar.
Parliamo di collezioni in grado di rispondere alle
necessità dei golfisti più esigenti, compresi i professionisti, come per esempio la linea RLX Ralph
Lauren, sponsor tecnico del campione Matteo
Manassero. Stile e performance si integrano quindi alla perfezione, garantendo al golfista di vestire
sul campo in modo impeccabile pur mantenendo
un altissimo livello di tecnicità.
sport equipment
Perfect shot
Tecnologia e un guardaroba casual per
non sbagliare un colpo sui campi da golf.
Bushnell
TaylorMade
Garmin
Telemetro digitale Tour Z6, assicura grande
Guanti in pelle con inserti in Lycra, garantiscono
GPS da polso Approach S2, con le mappe di oltre
precisione nel misurare le distanze sul campo.
una presa e traspirazione eccezionali.
30.000 campi di tutto il mondo precaricate.
www.bushnellgolf.eu
www.taylormadegolf.eu
www.garmin.it
Colmar
Berwich
Chervò
Pullover in cotone con inserti tono su tono
Pantaloni in cotone stretch a quadri con tasche
Polo in tessuto tecnico che assicura la massima
sui gomiti e girocollo con bottone.
alla francese e profili a contrasto.
traspirabilità e libertà di movimento.
www.colmar.it
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Tommy Hilfiger Tailored
Manlio Paradisi
The Bridge
Borsone da week-end in pelle con chiusura
Scarpa da golf bicolore a coda di rondine, in pelle
Sacca da golf in cuoio, dotata di numerose tasche
a zip, manici e tracolla staccabile.
idrorepellente e cuoio con fondo brevettato.
e completamente realizzata artigianalmente.
eu.tommy.com
www.manlioparadisi.it
www.thebridge.it
49
overseas
Golfisti globetrotter
01
Caraibi, Medio Oriente, Asia, Isole del Pacifico sono solo alcune
delle destinazioni in cui l’industria del turismo golf addicted ha dato
vita ai migliori campi del momento. Chiudete gli occhi, fate girare
il mappamondo e puntate il dito: difficilmente in zona non troverete
un 18 buche dove dare sfogo al vostro swing.
di Andrea Zappa
01. Alcuni giocatori a
piedi lungo una strada
statale che attraversa
il Nullarbor Links nel
sud dell’Australia, il
campo da golf più lungo
al mondo, circa 1300
chilometri.
50
Il merito della diffusione del golf nel mondo è da
attribuirsi agli scozzesi, veri cultori di questa disciplina fin dal XVI secolo. Sembra infatti che, già
a partire dai primi del Cinquecento, fossero numerose le fatture pagate dalla tesoreria della corona per l’acquisto di palline e mazze, ma anche per
saldare i danni e le scommesse perse durante le
gare. Le cronache dell’epoca narrano che lo stesso re di Scozia, Giacomo VI, attorno al Seicento,
abbandonava volentieri gli impegni da sovrano
per dedicarsi al miglioramento del proprio swing.
I campi allora si estendevano spesso, con grande
“gioia” dei passanti, anche attraverso spazi pubblici, come giardini, strade e piazze. Fortunatamente
non è più così da molto tempo. Nei secoli il golf
si è diffuso ampiamente a ogni latitudine dando
vita a innumerevoli campi di altissimo livello e
svestendosi di quel carattere un po’ elitario che lo
aveva contraddistinto fino a qualche decennio fa.
Secondo gli ultimi dati sono oltre 50 milioni gli
appassionati che ogni anno viaggiano in giro per il
mondo con lo scopo di misurarsi sui più suggestivi e performanti green del pianeta. Non a caso il
fascino del golf sta, oltre che nell’eleganza e nella tecnicità del gesto, anche nel fatto che è uno
dei pochi sport a non avere un campo da gioco
standardizzato: sebbene, infatti, alcuni elementi progettuali siano obbligatori per regolamento,
ogni campo presenta spesso inedite caratteristiche
estetiche e paesaggistiche che lo rendono unico.
Le 9 o 18 buche possono trovare spazio in pianura, in collina, così come in montagna o in qualsiasi
luogo dove vi sia la possibilità di avere ampi spazi
a disposizione. Questo offre agli appassionati la
overseas
golf in convento
Con quasi 80 campi da golf distribuiti in tutto il Paese, e grazie anche
a un clima mite quasi tutto l’anno,
il Portogallo rappresenta una delle
destinazioni top per gli appassionati
di questo sport. Nei pressi di Lisbona a Serra de Sintra, c’è il campo di
Penha Longa, uno tra i più belli del
paese e sede di numerose competizioni a livello europeo. A fianco al
fairway un resort di lusso con vista
mare, realizzato all’interno di un ex
convento.
www.penhalonga.com
possibilità di muoversi e competere immersi in
scenari molto diversi e di grande fascino.
La Repubblica Dominicana, per esempio, vanta
ormai una lunga tradizione ed è stata recentemente nominata “Golf Destination of the Year per i
Caraibi e l’America Latina” dall’Associazione Internazionale dei Tour Operator di Golf (IAGTO).
Solo nella capitale Santo Domingo se ne contano
tre, ma è soprattutto sul lato orientale della penisola che si ha la massima concentrazione: ben
18 campi dei 28 totali presenti. Fiore all’occhiello tra questi è il Cana Bay Golf Club, perfettamente integrato con l’ambiente naturale, fa parte
dell’Hard Rock Palace Casino Golf & Spa Resort
di Punta Cana. Le sue 18 buche sono il prodotto
dell’immaginazione e della creatività del celebre
giocatore Jack Nicklaus.
Non da meno le Barbados, con un totale di 8
campi. Il Barbados Golf Club, 18 buche 72 par,
è firmato da Ron Kirby, uno dei più rinomati architetti del settore. La presenza di due laghi e di
immensi alberi di oltre 25 anni di età, strategicamente piantati lungo il percorso, innalza il livello
di gioco, fino a condurre i giocatori al famigerato
“Amen Corner” tra le buche 15 e 16. La Clubhouse del campo è una residenza coloniale immersa
in uno splendido giardino con una terrazza dalla
quale ammirare l’intera area. Un altro campo nominato dagli esperti tra i migliori dei Caraibi, è il
Green Monkey (18 buche 72 par), nei pressi dello
storico e prestigioso Sandy Lane Hotel. Il nome
deriva dalle scimmie verdi che popolano la zona.
Ricavato da un’antica cava di calcare a cielo aperto, offre uno scenario unico, dove il bianco delle
rocce contrasta con il verde intenso degli ampi fairway e con il blu dei suoi cinque laghi. I golf cart
messi a disposizione degli ospiti sono provvisti di
GPS che, oltre a mostrare la posizione sul campo e le distanze, offrono suggerimenti sul miglior
modo di affrontare il percorso e un sistema per
ordinare direttamente al bar bibite e spuntini. Altro paradiso terrestre per i golfisti di ogni livello è
senza dubbio El Camaleon Mayacoba Golf Club a
Playa del Carmen in Messico. Un campo unico nel
suo genere avvolto da una lussureggiante vegetazione tropicale che possiede fairway fiancheggiati
da dune di sabbia e mangrovie, cenotes e lagune
cristalline. Chi invece non teme gli effetti del jet
lag sull’efficacia del proprio swing e ama giocare a
bordo di mezze lune di sabbia bianca incoronate
da alte palme, può decidere di raggiungere le lontane Isole Cook. Qui si trovano due campi da golf
da 9 buche, uno a Rarotonga e l’altro sull’isola di
Aitutaki. I locali dicono simpaticamente che alle
51
overseas
sul web
www.canabay.com
www.barbadosgolfclub.com
www.sandylane.com
www.mayakobagolfclassic.com
www.mazaganbeachresort.com
www.almoujgolf.com
www.nullarborlinks.com
02
02. Ultimo colpo sul
green di una delle 18
buche del Great Rift
Valley Lodge & Golf
Resort in Kenya. Il
campo si trova a un
altitudine di 2 mila
metri ed è circondato
da panorami di grande
fascino.
52
Cook in realtà c’è un unico campo da 18: “Basta
prendere l’aereo per completare il circuito!”.
Destinazione molto amata dai golfisti è anche la
Malesia che garantisce agli appassionati ben 200
campi di altissimo livello dall’incredibile varietà
di percorsi: in montagna, a strapiombo sul mare,
nel mezzo delle foreste, nel cuore delle città. Una
caratteristica di molti golf club malesi è la possibilità di giocare in notturna, godendo di una temperatura più fresca rispetto alle ore diurne.
Per chi cerca panorami mozzafiato, il Great Rift
Valley Lodge & Golf Resort in Kenya, premiato
con il Certificato di Eccellenza da TripAdvisor,
dovrebbe soddisfarne ampiamente questa esigenza. Costruito a circa 2 mila metri di altitudine,
gode di uno dei landscape più spettacolari di tutta
l’Africa. La vista si estende dalle acque del lago
Naivasha al cratere vulcanico del Monte Longonot, fino ai pendii spioventi delle Montagne Aberdare. La Clubhouse offre un raffinato ristorante
e due bar con vista sul lussureggiante fairway del
campo di circa 6 mila metri. Il prestigioso premio
di “Golf Resort 2013” nella categoria “Resto del
Mondo”, agli ultimi IAGTO Awards, gli oscar del
settore, è stato però assegnato al Mazagan Golf
Club in Marocco, campo disegnato dal celebre
campione sudafricano Gary Player. Un 18 buche
link, par 72, che si snoda lungo tre chilometri di
spiaggia seguendo i contorni delle dune circostanti. Chi non ha mai giocato con il vento avrà vita
dura su questo campo. Rimanendo in tema di
dune, non si può non segnalare il nuovissimo Almouj Golf nel Sultanato dell’Oman. Perfetto sia
per principianti sia per esperti si estende per oltre
6500 metri e si adatta perfettamente alle caratteristiche del territorio di Muscat con le sue coste e
le sue dune naturali. Restando in Medio Oriente,
la compagnia aerea Etihad, mette a disposizione
ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi, un esclusivo
Golf Club in cui poter fare pratica e rilassarsi. I
passeggeri possono utilizzare parte delle miglia
accumulate come fee di gioco. L’esclusivo Etihad
Golf Club garantisce agli iscritti agevolazioni in
vari campi nel mondo in base a dove la compagnia
fa scalo. Chi invece è uno stakanovista di questo
sport e non vuole mai smettere di giocare, può
mettere alla prova la resistenza del proprio swing
nelle terre aride e sconfinate del Western Australia, affrontando il Nullarbor Links, il campo da
golf più lungo al mondo. Più di mille chilometri di
tracciato divisi per tappe: sul sito nullarborlinks.
com consigliano circa quattro giorni di tempo per
arrivare alla fine e di portarsi molta acqua. Chi sa
se il re di Scozia, Giacomo VI, avrebbe approvato?
WEllness
Benessere da green
Il prestigio del golf incontra l’eccellenza di terme e Spa nei resort più esclusivi della
Toscana, ispirando la mise en place di rituali dedicati.
di Simona Lovati
terme di saturnia
La struttura di fama internazionale, in provincia di Grosseto, ha
ideato il Golfer Back Massage, per
infondere scioltezza ed elasticità
ai muscoli di schiena e braccia.
Perfetto anche in coppia.
www.termedisaturnia.it
La zona termale della Egoista Spa del Principe Forte dei Marmi in Versilia.
montebelli agriturismo
e country hotel
Nell’incontaminata Maremma, i
giocatori possono concedersi il
meritato relax con una tecnica
distensiva, che esercita movimenti di
trazione su dorso, spalle e collo.
www.montebelli.com
argentario golf resort
& spa
A Porto Ercole (GR), la proposta è il Fairway & Spa Ritual, una
metodica specifica per eliminare le
contratture alla schiena, seguita da
un soin viso idratante di Carita.
www.lavithotels.com
Non solo club privati per happy few, il
golf è un’attività fisica a tutti gli effetti,
capace di apportare benefici sia al corpo sia alla mente. La sua pratica, che
coinvolge braccia, polsi, spalle, busto,
gambe e piedi, consente di rafforzare la tonicità muscolare, bruciare una
quantità di calorie superiore rispetto
all’allenamento in palestra, aumentare
la coordinazione e favorire la concentrazione. Senza contare la possibilità
di giocare immersi nel verde, un vero
toccasana per rasserenare lo spirito. E
poi è adatto a tutti, bambini compresi.
Al termine di una partita, niente di meglio che ritemprare le membra grazie a
massaggi studiati ad hoc per sciogliere
le contratture e fare il pieno di energia,
in vista di una sfida sulle 18 buche.
Sospeso tra il blu della costa e la maestosità delle Alpi Apuane, il Principe
Forte dei Marmi è uno degli indirizzi
glam-chic della Versilia. La sua architettura contemporanea è un inno alle
linee essenziali. Gli interni sono realizzati in marmo, onice e pordoro, e
giocano con le sfumature del bianco,
protagonista di tutti gli ambienti, che
“si scalda” negli elementi di arredo, declinandosi nei toni di beige e marrone.
Nella Egoista Spa, nome evocativo che
invita a prendersi cura di sé, gli ospiti
possono provare protocolli di bellezza
tradizionali e innovativi, come la seduta anti-età con infusione di ossigeno
iperbarico puro.
La “chicca” è il Quiro Golf Massage,
firmato Natura Bissé, un trattamento
rilassante, mirato al riallineamento e
all’equilibrio corporeo. La sua particolarità consiste nell’esecuzione di manovre di pressione, lente e profonde,
con l’aiuto di speciali palline da golf
ergonomiche, fatte scivolare e ruotare
su muscoli e articolazioni. L’obiettivo
è migliorare la flessibilità, calmare la
tensione nervosa, dare sollievo agli arti
indolenziti, ottimizzare la respirazione
e scaricare lo stress accumulato. Il tutto
mentre nella cabina si sprigionano gli
aromi di un’essenza personalizzata, secondo i gusti del golfista.
53
WEEK - END
Profumo di lavanda
01
Molto antica e profondamente legata alle sue tradizioni,
la Provenza è una vera terra di mezzo, un piccolo forziere pieno
di tesori da scoprire. Tra natura, gastronomia e cultura.
di Filippo Spreafico
01. L’abbazia
cistercense di
Sénanques, fondata
nel XII secolo e ancora
occupata da una
comunità di monaci.
Foto courtesy
Atout France
Emmanuel Valentin.
54
Accade tra il mese di giugno e l’agosto avanzato,
a seconda dei giorni di sole, della latitudine, del
clima, e come tutte le cose belle è destinata a non
durare molto a lungo: è un momento magico e
prezioso, che a Valensole, un villaggio con poco
più di 3 mila anime nell’Alta Provenza, succede
fortunatamente tutti gli anni. È la fioritura della lavanda, uno dei fiori e dei profumi simbolo
di questa terra, un evento capace ancora oggi di
raccontare una storia antica, fatta di tradizioni, di
culture e di persone legate a un territorio ibrido,
da sempre a metà strada tra la Francia imperiale
e il sole del Mediterraneo, tra la Gallia medievale
e Roma.
La Provenza è una delle province più antiche
d’Oltralpe e la sua storia è presente in ogni villaggio, in ogni abbazia, in ogni campo coltivato a
perdita d’occhio: ancora oggi, a soli 200 chilometri dal confine italiano, la regione è meta di un
turismo colto e attento, di chi ama il mare ma non
le spiagge affollate, di chi desidera un profondo
contatto con la natura senza però rinunciare al
comfort.
L’incredibile ricchezza della Provenza richiederebbe molto più di un lungo weekend per essere
assaporata in ogni suo aspetto: la sua fortunata
latitudine permette alla regione di essere sempre
diversa, mese dopo mese, con territori e paesaggi
in costante cambiamento. A partire dalla Camargue.
A sud di Arles e a ridosso del delta del Rodano,
la Camargue è un lembo di terra unico in tutto
Europa, per conformazione e biodiversità: acqua
salata e dolce si incontrano tra paludi, praterie e
natura incontaminata, diventando un habitat perfetto per numerose specie animali, come fenicotteri rosa e i famosi cavalli bianchi che da questa
regione prendono il nome, oggi ancora presenti in
piccole mandrie allo stato brado. Non è un caso
che la Réserve Nationale de la Camargue sia oggi
WEEK - END
02
una delle mete preferite per chi ama i lunghi tour
in bicicletta: gli itinerari della Digue à la Mer, delle grandi saline di Giraud o del Parco Ornitologico di Pont de Gau, tutti percorsi attrezzati per
accogliere i cicloturisti d’Europa, rappresentano
un’eccezionale opportunità per visitare in maniera consapevole ed ecologica una delle zone più
belle e ancora autentiche del Vecchio Continente.
I dintorni di Avignone e i territori del dipartimento di Vaucluse, nel cuore della Provenza, sono
terra di conquista per chi desidera un weekend
all’insegna dell’enogastronomia: arroccati tra i
villaggi e le valli si trovano i vitigni da cui si produce il celebre Châteauneuf-du-Pape, ancora
oggi presentato all’interno di bottiglie marchiate
con l’insegna papale. Anche la gastronomia della
Provenza può dirsi una sorta di punto d’incontro
tra l’Italia e la Spagna: la cousine du soleil, come
viene chiamata, mischia influenze liguri a quelle
catalane, grazie a specialità come la pissaladière,
pizza con olive e cipolle, o la gardiane de taureau, lo stufato di carne di toro. Più ci si avvicina
al mare, più il pesce e in particolare i moules, i
molluschi, diventano i re incontrastati della tavola: da provare, magari insieme alla ratatouille che
rimane uno dei piatti simbolo della regione, anche
la bouillabaisse, la celebre zuppa che prevede sia
la patria dei ricci
Le “Oursinades” si tengono ogni
anno alla fine dell’inverno a Carry
Le Rouet, un villaggio di pescatori a
pochi chilometri da Marsiglia. Nata
negli anni Cinquanta, la sagra è oggi
un punto di riferimento per tutti gli
amanti dei frutti di mare: durante
l’evento è possibile gustare a crudo
i ricci freschissimi pescati a mano
direttamente lungo la costa, con
altri molluschi e mitili di stagione.
pesce di mare sia di palude. Rimanendo a ridosso della costa, lontano dai fasti e dalla mondanità
della Costa Azzurra, delle luci di Cannes e del clamore di Nizza, è possibile scoprire alcune gemme
della Provenza, come il villaggio di Saintes Maries
de la Mer, sulle cui spiagge e strade il 24 e il 25
maggio viene portata in trionfo la statua della Patrona dei Gitani: un’occasione questa per tutti gli
zingari d’Europa, che dopo tanto peregrinare si
riuniscono e si incontrano tra balli, fuochi sulla
spiaggia, giochi equestri e festeggiamenti.
Per chi ama l’avventura e i paesaggi più aspri e
difficili, ma non meno incantevoli, il Parc Naturel
Régional du Luberon è la meta ideale: chiamato
anche il Colorado provenzale a causa delle cave
d’ocra di Roussillon e dei canyon della Gola di
Régalon, questo territorio è caratterizzato dalla
presenza di numerosi villaggi e borghi fuori dal
tempo, tra castelli medioevali e abbazie cistercensi. Tra queste ultime, un cenno va dedicato
all’Abbazia Notre-Dame de Sénanque, costruita
nella prima metà del 1100, ancora oggi abitata da
monaci che vivono in solitudine e in silenzio. È
proprio qui che accanto all’Abbazia si estendono
gli infiniti campi di lavanda, che i monaci, con
una tecnica millenaria, lavorano con pazienza per
estrarne l’essenza. Proprio come una preghiera.
02. Il Palazzo dei
Papi di Avignone, sito
all'interno delle antiche
mura dei bastioni,
vicino al Ponte dei
Benezet.
Foto courtesy
Atout France
Jean Malburet.
55
food
Palato d’alta quota
01
Viaggio da insider nel Gate Gourmet, l’hangar dell’aeroporto di Zurigo
dove gli chef fanno a gara per rendere appetibili i manicaretti destinati
ai passeggeri dei voli di linea di mezzo mondo.
di Paolo Crespi
01. Servizio in cabina,
classe business, durante
un volo continentale
della Swiss. Tutti i pasti
sono preparati con cibi
freschi e la supervisione
di vari chef nel Gate
Gourmet di Zurigo.
56
Mangiare in aereo, si sa, non è sempre un’esperienza gratificante. Al punto che molti passeggeri,
soprattutto nei voli a corto raggio (in particolare
quelli delle compagnie low-cost, che fanno pagare extra un servizio di ristorazione spesso scadente), preferiscono il fai-da-te in aeroporto o con
cibi portati da casa. Ma potendo scegliere il vettore e la classe di volo, giocando tra una buona
economy, la business e la first, la faccenda cambia,
anche radicalmente.
Gli “airline meals”, i pasti da consumare a bordo, sono per necessità organizzative il frutto di
una catena di montaggio che deve comprimere
le esigenze del palato e quelle della pura sopravvivenza in un vassoietto standard perfettamente
equilibrato, in grado di planare integro sulle nostre ginocchia una o più volte durante il volo. Se è
compiuta a regola d’arte, questa missione richiede grande professionalità e un lavoro di squadra
che solo poche grandi firme del catering internazionale sono in grado di offrire. Per scoprire cosa
succede dietro le quinte di una grande “fabbrica”
del cibo in volo, abbiamo colto l’occasione del
decimo anniversario di “Taste of Switzerland”, il
programma della compagnia Swiss che varia ogni
tre mesi i menu di bordo di business e first class,
affidandoli ogni volta alla direzione di grandi chef
stellati, titolari in rinomati alberghi e ristoranti
della Confederazione (nella primavera 2013 è di
turno Martin Göschel, del Relais & Châteaux Paradies di Ftan, nei Grigioni). La base operativa del
programma è Gate Gourmet, la più grande compagnia di catering aereo indipendente del mondo,
con quartier generale nell’hub internazionale di
Zurigo. Parte di Gate Group (che si occupa anche di comfort e intrattenimento di bordo e servizi accessori come il lavaggio e il de-icing delle
aeromobili, compagnia di proprietà americana),
l’organizzazione, che opera in 28 paesi nei cinque
continenti, con una task-force di 28 mila addetti,
distribuisce quotidianamente pasti per oltre 300
milioni di passeggeri, preparandoli secondo protocolli rigorosi in 122 cucine specializzate. Quella
di Zurigo è una delle più grandi e attrezzate, su
un’area di 29.000 metri quadrati, con 700 persone al lavoro su vari turni, fra cuochi e addetti alla
food
02
logistica, e 69 “high loader” (i container mobili
che servono a caricare le vettovaglie direttamente
a bordo degli aerei). Ogni giorno dal gate gastronomico partono oltre 90 tipi diversi di “special
meal”: cibi etnici e diete particolari richiesti dalle
diverse compagnie aeree (sono circa 270 quelle
servite complessivamente dal gruppo), sulla base
delle segnalazioni dei passeggeri in fase di prenotazione. Girando per il Gate Gourmet, con tanto
di camice sterile e cuffia per i capelli (obbligatori
anche per i pochissimi visitatori autorizzati), la
prima sorpresa è l’atmosfera internazionale che vi
si respira: alla grande varietà di cibi, ingredienti e
metodi di preparazione corrisponde infatti il mix
culturale delle persone che lavorano sulle linee
di produzione, selezionate in 58 paesi del mondo
per garantire, ad esempio, che il sushi sia sfilettato come si deve e che il cibo kosher sia cucinato
secondo tutti i crismi della tradizione. Poche cucine al mondo possono permetterselo. Quando gli
chef si recano qui per proporre un nuovo menu
o sperimentare la fattibilità di un nuovo piatto
trovano la collaborazione di una grande “brigata”.
malpensa a.d. 2015
“Terzo terzo” è la parola magica, un
po’ criptica (è la terza parte finora
incompiuta del Terminal 1 dell’originario progetto di Malpensa 2000)
che nell’anno dell’Expo rivoluzionerà lo scalo milanese elevandolo
a livelli davvero europei. Con il suo
completamento vedranno la luce
tra l’altro una grande area del lusso
e un ristorante stellato sul modello
di quelli degli aeroporti londinesi.
La specializzazione, insieme alla meticolosità dei
controlli (sulla qualità delle materie prime, sull’igiene, sul rispetto delle procedure) è la chiave
di volta dell’efficienza della struttura, che ogni
giorno, insieme al cibo, di varietà e complessità
crescente consegna a hostess e steward anche i
quotidiani e i periodici destinati alle diverse classi
di volo.
Quando si parla di food, i rischi naturalmente sono all’ordine del giorno e i pochi incidenti
rilevanti verificatisi in vent’anni di attività sono
un buon biglietto da visita. Anche la tecnologia
ha un ruolo importante nel Gate Gourmet: perché nulla si perda o “sbagli strada” nei meandri
di questa complicata filiera, occorre identificare
otticamente e tracciare, una volta completato,
ogni singolo vassoio. Un ultimo aspetto centrale,
nella complessità di questo delicato meccanismo,
è la cura dell’ambiente, perseguita attraverso il
sistematico riciclo di Pet: alluminio, stagno, olio,
carta e cartone. Come teoricamente dovremmo
fare tutti nelle nostre “cambuse”, ma molto più
in piccolo.
02. Rifornimento a
bordo di un aereo
mediante un “high
loader” di Gate
Gourmet nell’hub di
Zurigo. Ogni giorno
il servizio consegna
migliaia di pasti già
porzionati negli
appositi vassoi.
57
food
Giovanni Ruggieri
Non ha ancora trent’anni e il cibo è il suo lavoro
da più di un decennio. Ha già lavorato con i più
grandi nomi della ristorazione italiana ma non ha
alcuna intenzione di fermarsi. Nato a Betlemme
e vissuto in Piemonte, da poco più di un anno è
a Milano alla guida della cucina del ristorante
Refettorio Simplicitas. Tra ingredienti bio e a km zero,
la semplicità è il suo obiettivo principale.
di Elisabetta Gentile
Chi sono i tuoi maestri in cucina?
Una persona è stata fondamentale: Alfredo Chiocchetti, lo chef dello “Scrigno
del Duomo” di Trento. Mi ha insegnato
ad apprezzare, valorizzare e utilizzare
tutti i prodotti “limitrofi” al ristorante
affinché ci sia la più totale autenticità.
E qua al Refettorio ho fatto esattamente la stessa cosa. Ho impiegato un anno
intero per selezionare i miei fornitori.
Che caratteristiche devono avere?
Essere rigorosamente piccoli, produrre nella maniera più vicina possibile
a come si produceva a inizio secolo e
avere una qualità altissima dei prodotti.
La filosofia di Refettorio Simplicitas
ha come obiettivo principale la ricerca
della semplicità, dell’autenticità e della qualità. Come traduci questi valori
nella tua cucina?
Per me vuol dire esaltare la tradizione
contadina, sgrassarla da tutte le ridondanze e renderla contemporanea. Noi
crediamo molto nella frase: “leggerezza
con gusto”, ovvero dare sapore cercando
58
di fare eccedere il meno possibile quello che è la parte grassa di un piatto.
Ogni giorno nel vostro ristorante proponete un piatto diverso. Cosa vuol
dire questo per il tuo lavoro?
Occorre avere un approccio totalmente diverso rispetto all’organizzazione
di un ristorante classico dove il menù
cambia con meno frequenza. È dieci
volte più complicato, ma proprio per
questo più bello! Stilo il menu 10 giorni in anticipo rispetto alla settimana in
cui entrerà in vigore. La mia difficoltà,
oltre quella di proporre ricette sempre
nuove è assicurarmi che i miei fornitori,
dato le loro piccole dimensioni, abbiano la disponibilità dei prodotti.
Uno dei vostri punti di forza è offrire
menu a prezzi contenuti ma di altissima qualità. Come si coniuga low price,
qualità e creatività?
In un concetto moderno di ristorazione
questa scelta potrebbe essere qualcosa
che limita la creatività, perché ci sono
tutta una serie di prodotti che non pos-
so utilizzare. Se lo si vede da punto di
vista della semplicità refettoriale però
è bellissimo, perché riesco ad avere un
approccio che è totalmente diverso da
tutti gli altri ristoratori.
Nella tua cucina scegli e utlizzi sempre
prodotti bio, biodinamici e a km zero.
Ma un posto tutto speciale lo occupano le erbe. Da dove nasce questa passione?
Ho sempre amato la natura, sin da piccolo. Con il passare degli anni ho approfondito, studiato e mi sono avvicinato alle prime erbe medicinali, l’ipperico
piuttosto che l’assenzio. A nove anni ho
fatto il mio primo orto e l’ho portato
avanti fino a undici. Anche oggi al Refettorio ne ho uno tutto mio personale,
che non è fisico ma “mentale”, reso possibile da tutti i contadini che ho selezionato personalmente e da cui faccio
arrivare i prodotti. Quotidianamente e
sempre freschissimi. Non troverai mai
qui da noi un gambo di sedano molle o
del prezzemolo appassito.
food
La ricetta dello chef
Giovanni Ruggeri ci presenta una delle
specialità della cucina del Refettorio
Simplicitas.
Risotto al crescione
Ingredienti per quattro persone: un mazzo
di crescione, 400 gr di riso carnaroli, vino
bianco, parmigiano, olio e sale quanto basta.
Tostare il riso con poco olio e salare
fino a che i chicchi diventino ustionanti al polpastrello. Sfumare con un
generoso bicchiere di vino bianco e
sfregolare fino a quando non è evaporato. Bagnare il riso con un acqua
appena salata in ebollizione. Tenere il
riso sempre ben bagnato e rabboccare d’acqua man mano che la cottura
va avanti. Cuocere per dodici minuti.
Negli ultimi minuti di cottura mantenere il riso abbastanza asciutto e
girarlo continuamente in modo tale
da far espellere tutto l’amido. Sfoglia-
refettorio simplicitas
Nato dalla mente illuminata di
Rinaldo Invernizzi, Refettorio
Simplicitas è un angolo di pace
assoluta nel cuore di Milano.
Centocinque coperti, un’ambiente
semplice ed elegante all’insegna
del silenzio e della ricerca della
qualità. Il locale, progettato da
Piero Castellini, si caratterizza per
l’atmosfera sobria ed essenziale.
Pavimento in legno, pareti chiare
e vetrate che danno su un
meraviglioso giardino interno.
Come in ogni refettorio che si
rispetti anche qui in via dell’Orso il
silenzio è d’oro. E se qualcuno alza
la voce, a disposizione dei clienti
c’è una campanella che può essere
suonata per richiamare all’“ordine”
i commensali più rumorosi. Il
ristorante milanese è la prima
tappa di un progetto di carattere
europeo che vede imminenti le
aperture a Salisburgo e a Monaco.
Via dell’Orso 2, Milano
www.refettoriomilano.it
re il crescione, sbianchirlo e frullarlo
con acqua, olio e sale. Far raffreddare
la crema. A cottura ultimata aggiungere olio, parmigiano (una manciata),
la salsa al crescione e un altro mestolo
di acqua di cottura che ha continuato
a bollire. Sbattere violentemente il risotto e renderlo all’onda. Mantecare e
servire subito. Eseguire questi passaggi
con la massima velocità perché tutte le
verdure verdi, dopo due minuti a contatto con il calore, iniziano a perdere il
loro colore, rischiando di compromettere l’appetosità della ricetta.
59
Club house
Il tennis, visto da vicino
Da oltre 15 anni Danilo Pizzorno segue i campioni del tennis mondiale
da dietro una telecamera, aiutandoli a migliorare grazie alla video
analisi. È una colonna portante del team Piatti e oggi la sua esperienza è
al servizio anche dei ragazzi del Tennis Club Milano Alberto Bonacossa.
di Enrico S. Benincasa
60
Club house
“Non esistono colpi perfetti. Esistono
però colpi d'eccellenza, come il dritto
di Federer o il rovescio di Djokovic”
Come hai iniziato con la video analisi?
Ho iniziato circa 20 anni fa, c’era ancora l’analogico. In quel periodo ero al
Tennis Club Le Pleiadi, dove ho conosciuto Riccardo Piatti e ho cominciato
a sperimentare queste tecniche con i
tennisti italiani di quel periodo come
Caratti, Furlan, Camporese e Pescosolido. Il mio progetto Video Tennis (www.
dartfish.tv/progettovideotennis)
ha
debuttato nel 2001, con l’avvento del
digitale, quando con Piatti seguivamo
Ivan Ljubicic, che in quel periodo era
entrato nei primi 50 del mondo. Oggi
continuo a collaborare con Riccardo,
seguendo sia campioni come Gasquet
ma anche i ragazzi del Tennis Club
Milano Alberto Bonacossa, e collaboro
anche con il team Sartori per seguire
Andreas Seppi.
Quanto è diffusa oggi a livello pro?
è diffusa, ma non tutti la usano. Giro i
tornei in tutto il mondo e non ci sono
tantissimi analisti riprendere le azioni di gioco. So che Murray, Federer e
Nadal la usano. Anche Djokovic, che
ho seguito in prima persona, continua
a utilizzarla. In altre discipline è molto
presente. Per darti un metro di paragone, più di 400 atleti che sono arrivati a
podio nelle ultime Olimpiadi usavano
strumenti di video analisi e Dartfish, la
stessa piattaforma che uso io. Dal 2006
al 2012 c’è stato un incremento incredibile, quasi tutte le federazioni usano
il supporto visivo e si sono dotate della
figura del video analyst.
Tecnicamente come si svolge il tuo lavoro con l’atleta?
Quando lavoro con un solo un giocatore posso usare più telecamere, altrimenti ne uso una sola e mi sposto. Abbiamo
standardizzato delle procedure che riguardano le angolazioni di ripresa, ma
rimane un lavoro molto soggettivo, non
per tutti funziona allo stesso modo.
La telecamera è uno strumento che
può essere percepito come molto invasivo. In qualche modo condiziona il
lavoro con il tennista?
Il giocatore ad alto livello è abituato,
con i ragazzi giovani e gli amatori si è
più vicini alla sensazione della partita.
C’è quindi più contrazione e timore, e
lo si nota quando si lavoro sul singolo
colpo. In genere viene chiesto al tennista di ripetere 10 volte un servizio o un
dritto per poi estrapolare il migliore. In
genere è nei primi tre, il 90% delle volte è il primo. Parlando con chi fa tiro a
segno o tiro con l’arco, mi è stato confermato che anche nel loro sport è così.
I ragazzi di oggi, che sono al 100%
nativi digitali, come accolgono l’utilizzo di queste tecnologie applicate allo
sport?
Viviamo nell’era dell’immagine, le nuove generazioni sono già pronte per interfacciarsi con questi tipi di supporto.
Può succedere che i primi step siano
di chiusura, ma poi arriva l’apertura
totale. Abbiamo notato che giocatori
giovani come Quinzi e Donati arrivano
ad autoanalizzarsi, tanto sono educati a
lavorare con questi sistemi. Riescono a
correggersi senza l’aiuto del video analista, sono quasi autosufficienti.
Utilizzi mai qualche modello di confronto, magari un colpo preciso di un
tennista? In poche parole, esistono dei
colpi perfetti a cui fare riferimento?
No, esistono dei colpi d’eccellenza
come il dritto di Federer o il rovescio
di Djokovic. Quando inizio un percorso di video analisi con un ragazzo,
propongo un colpo di un tennista che
è simile a lui, e poi gli faccio vedere
come esegue lo stesso colpo un altro
campione. Tutti i giocatori hanno dei
passaggi obbligati che sono determinati
dalla biomeccanica, e in mezzo a questi passaggi ci sono i particolarismi, che
non vanno toccati. Quando questi passaggi sono eseguiti correttamente viene
fuori il colpo con la massima fluidità e
la massima energia.
Qual è oggi il tuo obiettivo?
Continuare a lavorare in questo campo,
sia con i pro, sia con i giovani, come sto
facendo ora con il team Piatti. Se sono
arrivato a questi livelli lo devo soprattutto a lui, che mi ha sempre spinto a
migliorare e a trovare nuovi obiettivi da
raggiungere. Ho tantissimo materiale
video archiviato, un giorno mi piacerebbe sfruttarlo per fare un film o un
documentario, ma sono sempre impegnato e al momento è solo un’idea.
61
free time
Da non perdere...
Una selezione dei migliori eventi che
animeranno la città e non solo nei
prossimi mesi.
a cura di Enrico S. Benincasa
Jovanotti
Dopo la parentesi americana di
quest’inverno, fatta di tanti concerti
in piccoli club, Lorenzo Cherubini
in arte Jovanotti torna a suonare
in Italia, questa volta negli stadi. Il
Backup Tour, che prende il nome
dall’omonimo progetto discografico
uscito a fine 2012, toccherà Milano
il 19 e 20 giugno. La prima data
è praticamente sold out, qualche
biglietto lo si trova ancora online; la
seconda ancora no, ma conviene
sbrigarsi perché il tutto esaurito
non è così lontano.
Stadio San Siro
il 19 e 20 giugno
www.ticketone.it
Taste of Milano 2013
Superstudio Più
dal 30 maggio al 2 giugno
www.tasteofmilano.it
Le Grand Fooding
Quest’anno l’evento milanese di Le
Fooding celebrerà il cibo per quello
che ormai è diventato, ovvero un
cult. Ecco quindi CULTorama, tre
serate culinarie d’eccezione con
protagonisti cinque top chef che
serviranno i loro piatti iconici dal
“bancone” di un truck. Il tutto in
un luogo veramente di culto per la
Milano by night, ovvero il Plastic. I
biglietti saranno a breve in vendita
online, come sempre parte del
ricavato andrà in beneficienza.
Plastic
dal 2 al 4 luglio
www.legrandfooding.com
62
L’evento dedicato al food di qualità e
all’alta ristorazione accessibile a tutti
torna per la quarta volta in città. Confermato il posizionamento in primavera inoltrata (le prime due edizioni,
2010 e 2011, si svolsero a settembre),
questa volta è la location a cambiare.
Saranno infatti gli spazi di Superstudio
Più in via Tortona a ospitare l’edizione 2013 di Taste of Milano. Un piccolo
fuorisalone del gusto, quindi, al quale
parteciperanno 14 chef, tra cui alcune
giovani promesse dell’alta cucina che
ruoteranno nei quattro giorni della manifestazione. I quattro chef emergenti
sono stati scelti dalla prestigiosa associazione Jeune Restaurteurs d’Europe
e si affiancheranno a nomi confermati
come Andrea Aprea (Vun), Roberto
Okabe (Finger’s), Viviana Varese (Alice), Matteo Torretta (Al V Piano) e Andrea Provenzani (Il Liberty). Non mancheranno le novità, come per esempio
Luigi Taglienti del Trussardi Alla Scala
ed Enrico Bartolini del Devero, a cui si
affiancheranno anche numerosi chef
ospiti da tutta Italia, impegnati in varie
attività durante gli eventi in programma. Parteciperanno a questa festa del
cibo milanese anche tantissimi espositori di prodotti e servizi speciali dedicati al food, acquistabili direttamente in loco. I bambini a Taste saranno i
benvenuti con un’area tutta dedicata
a loro, così come celiaci, vegetariani e
vegani: nei menu degli chef non mancheranno opzioni appositamente rivolte a loro.
free time
Trofeo Bonfiglio 2013
La leggenda del Mago e del
Paron
Una mostra fotografica dedicata a
due leggende dello sport italiano,
il “Mago” Helenio Herrera e il
“Paron” Nereo Rocco, arriva a
Palazzo Reale. A curare il tributo in
immagini a questi grandi personaggi
del calcio è stato Gigi Garanzini,
una delle firme più prestigiose del
giornalismo sportivo italiano. La
mostra è coprodotta da Skira, che
pubblicherà a breve un volume
speciale dedicato a questa iniziativa.
Palazzo Reale
dal 22 maggio all’8 settembre
www.comune.milano.it/palazzoreale
Tennis Club Milano Alberto Bonacossa
dal 18 al 26 maggio
www.tcmbonacossa.it
Le immagini della vittoria di Gianluigi Quinzi (qui in una foto di Francesco Panunzio) sulla terra rossa di via
Arimondi sono ancora ben vive nella
memoria di tutti gli appassionati di
tennis italiano. Accadeva giusto un
anno fa, e oggi il Tennis Club Milano
Alberto Bonacossa è pronto a trovare
il nuovo “possessore temporaneo” del
Trofeo Bonfiglio, gli Internazionali di
Italia Juniores che quest’anno giungono alla 54esima edizione. Il torneo
milanese è uno dei più importanti appuntamenti mondiali a livello di tennis giovanile, equiparato dagli addetti
ai lavori ai quattro tornei del Grande
Slam e all’Orange Bowl e arriva in calendario giusto dopo il torneo del Foro
Italico. Il trionfo di Quinzi quest’anno
potrebbe essere bissato da un altro italiano. Baldi, Donati e Napolitano sono
tra gli accreditati alla vittoria finale, ma
non sarà una passeggiata: sono molti
gli juniores stranieri che contenderanno loro la vittoria finale, primi fra tutti
il serbo Milojevic e il croato Coric. In
campo femminile puntiamo tutto su
Giulia Pairone, che si distinse per grinta e determinazione nel 2012. Come di
consueto, l’ingresso ai campi di via Arimondi per assistere alle partite sarà gratuito ma, per chi non riuscirà a essere a
Milano, SuperTennis Tv (canale 64 del
DDT) coprirà semifinali e finali, mentre grazie alla app Tennis Touch Live
Tracker sarà possibile essere aggiornati
in tempo reale sui risultati delle partite
più importanti.
We Own The Night
Nike ha organizzato una 10 km
notturna per le vie della città (partenza da largo Cairoli) in contemporanea con altre capitali europee
come Barcellona, Berlino, Londra,
Amsterdam e Parigi. Per partecipare è sufficiente collegarsi al sito e
iscriversi, per allenarvi potete unirvi
al Red Snakes Running Club, che
si ritrova ogni martedì e giovedì al
Nike Stadium di Foro Bonaparte o,
in alternativa, utilizzare la app Nike
+ o la nuovissima app NTC.
Partenza da Largo Cairoli
il 31 maggio
www.nike.com/weownthenightmilano
63
free time
Colazione da Porsche
Un sabato mattina al mese, le due filiali milanesi del marchio tedesco, davanti a
un caffè e a una brioche, vi invitano a scoprire il mondo Porsche in maniera insolita
e informale.
a cura della Redazione di Club Milano
coffee and test drive
Bere un caffè insieme e ammirare
le vetture della gamma Porsche,
scoprendo nei dettagli i segreti
di queste auto da sogno. Sono
le "Colazioni da Porsche", che
si svolgono un sabato al mese,
alternativamente, in entrambe le
filiali milanesi del marchio tedesco.
In più, in alcuni appuntamenti, è
anche possibile provare Boxster,
Cayman o Carrera con gli istruttori
della Porsche Sport Driving School.
Un invito a colazione il sabato, giorno
off per molti di noi, è sempre una cosa
gradita. Se poi a invitarti sono i Centri Porsche di Milano, come si fa a dire
di no? Dall’inizio dell’anno, un sabato
al mese, in entrambe le filiali milanesi della casa di Stoccarda (una è in Via
Stephenson, l’altra in Via Rubattino)
aprono le proprie porte a clienti e appassionati per offrire loro un appuntamento speciale, con contenuti ogni
volta diversi, resi ancor più piacevoli
dalla possibilità di degustare un caffè
accompagnato da una brioche fresca di
forno. Ogni appuntamento, dunque, è
caratterizzato da un tema: quello del 20
aprile scorso, ad esempio, svoltosi in Via
Stephenson, era dedicato alla sicurezza
stradale. Grazie alla collaborazione con
la Michelin, i partecipanti, hanno avuto
la possibilità di effettuare un controllo degli pneumatici, in vista delle partenze per i “ponti” festivi e i weekend
fuori porta a cavallo fra aprile e maggio.
Nel primo weekend di marzo, invece, la
64
Colazione ha avuto uno speciale occhio
di riguardo per le donne, che i Centri
Porsche di Milano hanno omaggiato
con un cadeaux per la cura del corpo
offerto da L’Occitane en Provence. A
contraddistinguere tale appuntamento,
così come anche alcuni della “serie”, la
possibilità di effettuare un test drive
con gli istruttori della Porsche Sport
Driving School, scuola ufficiale di guida
sicura e sportiva Porsche. Quindi, fra un
caffè e una chiacchierata in totale relax,
le Colazioni da Porsche sono anche occasioni per scoprire da vicino i modelli
della gamma Porsche, particolarmente
ricca e completa, cui si è aggiunta a febbraio la nuova Cayman, e, ovviamente,
provarli di persona affiancati da istruttori professionisti. Una gamma che,
inoltre, quest’anno celebra il 50° anniversario della sua punta di diamante, la
mitica 911. L’occasione per festeggiare
una delle icone della casa di Stoccarda
è alle porte: il 1° giugno, infatti, nella
cornice della Coppa Intereuropa Sto-
rica, presso l’Autodromo Nazionale di
Monza, la 911 sarà celebrata con un
programma ricco di attività. La prima, è
la parata in pista di tutte le vetture partecipanti. Successivamente, ci sarà una
sfilata delle vetture più rappresentative
della storia della 911, una mostra con
tutte le sette serie nell’area allestita a
tema, un contest dedicato ai possessori del modello che premierà la 911 più
bella fra tutte e anche alcune categorie
“speciali”. Difficile trovare uno scenario
migliore per celebrare questo modello,
da sempre simbolo d’innovazione ma
rimasto comunque fedele agli stilemi
che lo contraddistinguono e lo rendono
riconoscibile da tutti gli amanti delle
quattro ruote, oggi come ieri. Tutte le
informazioni sul calendario delle Colazioni e sull’evento “50 anni 911”, dedicato naturalmente agli appassionati
possessori di questo modello, sono disponibili sul sito.
www.milano.porsche.it
network
Puoi trovare Club Milano
in oltre 200 location
selezionate a Milano
night & restaurant: Antica Trattoria della Pesa V.le Pasubio 10
Bar Magenta Largo D’Ancona Beda House Via Murat 2 Bento Bar C.so
Garibaldi 104 Bhangra Bar C.so Sempione 1 Blanco Via Morgagni 2
Blue Note Via Borsieri 37 Caffè della Pusterla Via De Amicis 24 Caffè
Savona Via Montevideo 4 California Bakery Pzza Sant’Eustorgio 4 - V.le
Premuda 449 - Largo Augusto Cape Town Via Vigevano 3 Capo Verde
Via Leoncavallo 16 Cheese Via Celestino IV 11 Chocolat Via Boccaccio 9
Circle Via Stendhal 36 Colonial Cafè C.so Magenta 85 Combines XL Via
Montevideo 9 Cubo Lungo Via San Galdino 5 Dada Cafè / Superstudio
Più Via Tortona 27 Deseo C.so Sempione 2 Design Library Via Savona 11
Elettrauto Cadore Via Cadore ang. Pinaroli 3 El Galo Negro Via Taverna
Executive Lounge Via Di Tocqueville 3 Exploit Via Pioppette 3 Fashion
Cafè Via San Marco 1 FoodArt Via Vigevano 34 Fusco Via Solferino 48 G
Lounge Via Larga 8 Giamaica Via Brera 32 God Save The Food Via Tortona
34 Goganga Via Cadolini 39 Grand’Italia Via Palermo 5 HB Bistrot Hangar
Bicocca Via Chiese 2 Il Coriandolo Via dell’Orso 1 Innvilllà Via Pegaso
11 Jazz Cafè C.so Sempione 4 Kamarina Via Pier Capponi 1 Kisho Via
Morosini 12 Kohinoor Via Decembrio 26 Kyoto Via Bixio 29 La Fabbrica
V.le Pasubio 2 La rosa nera Via Solferino 12 La Tradizionale Via Bergognone
16 Le Biciclette Via Torti 1 Le Coquetel Via Vetere 14 Le jardin au bord
du lac Via Circonvallazione 51 (Idroscalo) Leopardi 13 Via Leopardi 13
Les Gitanes Bistrot Via Tortona 15 Lifegate Cafè Via della Commenda
43 Living P.zza Sempione 2 Luca e Andrea Alzaia Naviglio Grande 34
MAG Cafè Ripa Porta Ticinese 43 Mandarin 2 Via Garofano 22 Milano Via
Procaccini 37 Mono Via Lecco 6 My Sushi Via Casati 1 - V.le Certosa 63
N’ombra de Vin Via San Marco 2 Noon Via Boccaccio 4 Noy Via Soresina
4 O’ Fuoco Via Palermo 11 Origami Via Rosales 4 Ozium t7 café - via
Tortona 7 Palo Alto Café C.so di Porta Romana 106 Panino Giusto P.zza
Beccaria 4 - P.zza 24 Maggio Parco Via Spallanzani - C.so Magenta 14 - P.zza
Cavour 7 Patchouli Cafè C.so Lodi 51 Posteria de Amicis Via De Amicis
33 Qor Via Elba 30 Radetzky C.so Garibaldi 105 Ratanà Via De Castillia
28 Refeel Via Sabotino 20 Rigolo Via Solferino 11 Marghera Via Marghera
37 Rita Via Fumagalli 1 Roialto Via Piero della Francesca 55 Serendepity
C.so di Porta Ticinese 100 Seven C.so Colombo 11 - V.le Montenero 29
- Via Bertelli 4 Smeraldino P.zza XXV Aprile 1 Smooth Via Buonarroti 15
Superstudio Café Via Forcella 13 Stendhal Via Ancona 1 Tasca C.so Porta
Ticinese 14 That’s Wine P.zza Velasca 5 Timè Via S.Marco 5 Tortona 36
Via Tortona 36 Trattoria Toscana C.so di Porta Ticinese 58 Union Club Via
Moretto da Brescia 36 Van Gogh Cafè Via Bertani 2 Volo Via Torricelli 16
Zerodue_Restaurant C.so di Porta Ticinese 6 56 Via Tucidide 56 3Jolie Via
Induno 1 20 Milano Via Celestino 4
stores: Ago Via San Pietro All’Orto 17 Al.ive Via Burlamacchi 11
Ana Pires Via Solferino 46 Antonia Via Pontevetero 1 ang. Via Cusani
Bagatt P.zza San Marco 1 Banner Via Sant’Andrea 8/a Biffi C.so Genova
6 Brand Largo Zandonai 3 Brian&Barry via Durini 28 Brooksfield C.so
Venezia 1 Buscemi Dischi C.so Magenta 31 Centro Porsche Milano
Nord Via Stephenson 53 Centro Porsche Milano Est Via Rubattino 94
C.P. Company C.so Venezia Calligaris Via Tivoli ang. Foro Buonaparte
Dantone C.so Matteotti 20 Eleven Store Via Tocqueville 11 FNAC Via
Torino 45 Germano Zama Via Solferino 1 Gioielleria Verga Via Mazzini
1 Henry Cottons C.so Venezia 7 Joost Via Cesare Correnti 12 Jump Via
Sciesa 2/a Kartell Via Turati ang. Via Porta 1 La tenda 3 Piazza San Marco 1
Le Moustache Via Amadeo 24 Le Vintage Via Garigliano 4 Libreria Hoepli
Via Hoepli 5 MCS Marlboro Classics C.so Venezia 2 - Via Torino 21 - C.so
Vercelli 25 Moroso Via Pontaccio 8/10 Native Alzaia Naviglio Grande 36
Paul Smith Via Manzoni 30 Pepe Jeans C.so Europa 18 Pinko Via Torino 47
Rossocorsa C.so porta Vercellina 16 Rubertelli Via Vincenzo Monti 56 The
Store Via Solferino 11 Valcucine (Bookshop) C.so Garibaldi 99
showroom: Alberta Ferretti Via Donizetti 48 Alessandro Falconieri
Via Uberti 6 And’s Studio Via Colletta 69 Bagutta Via Tortona 35
Casile&Casile Via Mascheroni 19 Damiano Boiocchi Via San Primo 4
Daniela Gerini Via Sant’Andrea 8 Gap Studio C.so P.ta Romana 98 Gallo
Evolution Via Andegari 15 ang. Via Manzoni Gruppo Moda Via Ferrini 3
Guess Via Lambro 5 Guffanti Concept Via Corridoni 37 IF Italian Fashion
Via Vittadini 11 In Style Via Cola Montano 36 Interga V.le Faenza 12/13
Jean’s Paul Gaultier Via Montebello 30 Love Sex Money Via Giovan
Battista Morgagni 33 Massimo Bonini Via Montenapoleone 2 Miroglio Via
Burlamacchi 4 Missoni Via Solferino 9 Moschino Via San Gregorio 28
Parini 11 Via Parini 11 Red Fish Lab Via Malpighi 4 Sapi C.so Plebisciti 12
Spazio + Meet2Biz Alzaia Naviglio Grande 14 Studio Zeta Via Friuli 26
Who’s Who Via Serbelloni 7
beauty & fitness: Accademia del Bell’Essere Via Mecenate 76/24
Adorè C.so XXII Marzo 48 Caroli Health Club Via Senato 11 Centro
Sportivo San Carlo Via Zenale 6 Damasco Via Tortona 19 Palestre
Downtown P.za Diaz 6 - P.za Cavour 2 Fitness First V.le Cassala 22 - V.le
Certosa 21/a - Foro Bonaparte 71 - Via S.Paolo 7 Get Fit Via Lambrate 20
- Via Piranesi 9 - V.le Stelvio 65 - Via Piacenza 4 - Via Ravizza 4 - Via Meda
52 - Via Vico 38 - Via Cenisio 10 Greenline Via Procaccini 36/38 Gym Plus
Via Friuli 10 Intrecci Via Larga 2 Le Garcons de la rue Via Lagrange 1 Le
terme in città Via Vigevano 3 Orea Malià Via Castaldi 42 - Via Marghera
18 Romans Club Corso Sempione 30 Spy Hair Via Palermo 1 Tennis Club
Milano Alberto Bonacossa Via Giuseppe Arimondi 15 Terme Milano P.zza
Medaglie d’Oro 2, ang. Via Filippetti Tony&Guy Gall. Passerella 1
art & entertainment: PAC (Padiglione Arte Contemporanea) Via
Palestro 14 Pack Foro Bonaparte 60 Palazzo Reale P.zza Duomo Teatro
Carcano C.so di Porta Romana 63 Teatro Derby Via Pietro Mascagni
8 Teatro Libero Via Savona 10 Teatro Litta C.so Magenta 24 Teatro
Smeraldo P.zza XXV Aprile 10 Teatro Strehler Largo Greppi 1 Triennale
V.le Alemagna 6 Triennale Bovisa Via Lambruschini 31
hotel: Admiral Via Domodossola 16 Astoria V.le Murillo 9 Boscolo C.so
Matteotti 4 Bronzino House Via Bronzino 20 Bulgari Via Fratelli Gabba 7/a
Domenichino Via Domenichino 41 Four Season Via Gesù 8 Galileo C.so
Europa 9 Nhow Via Tortona 35 Park Hyatt (Park Restaurant) Via T. Grossi
1 Residence Romana C.so P.ta Romana 64 Sheraton Diana Majestic V.le
Piave 42
inoltre: Bagni Vecchi e Bagni Nuovi di Bormio (SO) Terme di PreSaint-Didier (AO)
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club milano
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