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MOSTRA SULLA CONDIZIONE FEMMINILE NELL`ANTICHITÀ In
MOSTRA SULLA CONDIZIONE FEMMINILE NELL'ANTICHITÀ In tutte le civiltà del mondo antico l'universo maschile e quello femminile percorrono strade parallele, destinate ad ambiti profondamente diversi: da una parte, il fragore della guerra, i sussurri dell'intrigo politico, le trattative per gestire denaro e potere, la pluralità delle voci di poeti, oratori e scrittori, dall'altra la quiete della casa, il mutismo dell'obbedienza, il monotono rumore di fusi e telai, il silenzio dell'ignoranza. In questo senso emblematico è il culto reso dalle donne romane alla dea Tacita Muta, ninfa alla quale Giove strappò la lingua perché troppo loquace. Per noi, sopraffatti dal frastuono della vita moderna, è una sfida esplorare questo mondo silente, riportando alla superficie immagini di donne egizie, greche, etrusche, italiche, romane e germaniche e provando a ricostruire la loro esistenza di figlie, mogli, madri e vedove. Si scopre allora che, pur nelle diversità dettate da tempi, culture e credenze religiose, esistono alcune costanti: la convinzione dell'inferiorità femminile, l'educazione a una millenaria sottomissione all'uomo, lo sbocco obbligato nel matrimonio e nella maternità, la segregazione tra le mura domestiche. A ciò si aggiunge, laddove filosofi e letterati hanno lasciato le loro testimonianze, una ripetuta e violenta invettiva contro il genere femminile, una secolare misoginia che travolge donne comuni, potenti e addirittura divinità, dipinte come false, peccatrici, intriganti, in ogni caso pericolose, forse perché pronte a ribellarsi al modello ideale loro imposto. L'esposizione si articola in due sezioni: la prima si propone di ripercorrere la storia di donne appartenenti ad alcune delle principali civiltà fiorite sul Mediterraneo, seguendo il filo della loro esistenza dalla nascita alla maturità, ponendo l'accento sulle regole imposte dalla società maschile e cercando di esplorare i desideri, i gusti, le paure, la religiosità di quel mundus muliebris affascinante e sommerso; la seconda sezione presenta un percorso biografico che tratteggia la vita di ambiziose sovrane, temibili donne di corte, sensibili letterate e colte cortigiane, alcune finite nell'oblio, altre passate alla storia e rimaste famose fino a oggi. Un suggestivo arazzo in cui si alternano, a formare la trama e l'ordito, donne forti e figure rassegnate, tutte capaci, se ascoltate, di far sentire la propria voce allora come adesso. L'ANTICO EGITTO La "signora della casa" Dipinti, sculture e rilievi, ai quali si aggiungono fonti giuridiche, testamenti, contratti di matrimonio e lettere private, permettono di ricomporre, nei suoi aspetti essenziali e nella sua evoluzione, il quadro della vita delle donne nell'antico Egitto, fin dal delicato momento della nascita. A differenza che in altre culture antiche, nascere femmina non costituisce un immediato pericolo di vita: la nascita, in una società a elevata mortalità infantile, è ritenuta una benedizione degli dei ed è accompagnata da cerimonie dedicate alle divinità protettrici della puerpera e del neonato. Educata in casa come tutti i figli, la bambina di buona famiglia può accedere all'istruzione scolastica, privilegio negato invece alle fanciulle dei ceti più modesti, nei quali l'istruzione è riservata ai maschi. Il naturale destino della giovane è il matrimonio, fondamento del nucleo familiare, cellula base della società egizia. Una volta raggiunta l’età del matrimonio, intorno ai quattordici anni per la donna e ai diciotto per l’uomo, i giovani possono scegliere liberamente il coniuge, anche di diversa estrazione sociale o addirittura straniero. Le nozze non vengono celebrate con riti religiosi o civili, ma formalizzate dalla coabitazione degli sposi e talora dalla stipula di contratti. Divenuta nebet-per, “signora della casa”, la sposa si dedica, aiutata da servitori e balie se di ceto abbiente, alle attività domestiche e ai figli, che sono qualificati con il nome del padre e della madre. L’assenza di prole è motivo di profonda infelicità per una coppia e costituisce, insieme all'adulterio, una delle più frequenti cause di divorzio, che entrambi i coniugi possono richiedere. Regine, sacerdotesse e dee Vivendo in ambito familiare e domestico, la donna egizia riveste raramente un ruolo pubblico; eccezionali sono i casi di donne scriba, così come quelli di una donna visir e di una donna medico, tutte appartenenti all’élite sociale. La sola donna che può esercitare un’influenza politica è la regina, sposa del sovrano e come lui figura divina, capace di assumere la reggenza o, in casi eccezionali, di salire al trono con le stesse prerogative del faraone. Di particolare prestigio godono, durante il Nuovo Regno (1550-1070 a.C.) e l’Epoca Tarda (664-342 a.C.), le sacerdotesse del tempio di Karnak a Tebe, principesse che assumono i titoli di “Sposa di Amon” e “Divina Adoratrice di Amon” e amministrano le proprietà del tempio, associando a quella religiosa un’ampia autorità politica. In generale, le donne di alto rango e della famiglia reale possono esercitare il sacerdozio, perlopiù fra il clero ausiliario, accompagnando la liturgia come musiciste: fin dall’epoca più antica si conoscono numerose sacerdotesse, soprattutto della dea Hathor, divinità celeste e madre primordiale, legata alla fertilità e venerata come dea dell’amore, della musica e della danza. Al pantheon femminile appartengono anche Nut, dea di antichissima origine, incarnazione della volta celeste, e Iside, maga potente, sposa fedele del fratello Osiride e madre premurosa del loro figlio Horus, ai quali si assimilano rispettivamente il re defunto e il re vivente. Sugli altari domestici, a testimoniare la devozione femminile, compaiono anche Thoeris e Bes, divinità beneauguranti connesse alla fertilità e alla nascita. IL MONDO GRECO Il dovere di essere una donna "ideale" Raffigurazioni, corredi funerari, epigrafi e testi giuridici offrono un significativo spaccato della vita femminile nel mondo greco, ma sono soprattutto gli scrittori antichi a raccontare la storia delle donne, guardate con sospetto, trattate come esseri inferiori, sentite come creature temibili, infide e ammaliatrici. La misoginia,ingrediente costante della letteratura greca dall'VIII secolo a.C., porta gli autori a tratteggiare una figura femminile ideale, poco appariscente, pudica e sottomessa, dedita esclusivamente alla maternità, con un orizzonte ristretto ai lavori domestici, tra i quali primeggiano la tessitura e la preparazione del pane. In questo quadro si registrano varianti determinate da luoghi ed epoche: l'educazione femminile e la vita matrimoniale seguono infatti schemi differenti in ambito attico, dorico, ionico e nelle colonie occidentali, mentre nel corso del tempo si verificano evoluzioni e involuzioni nella considerazione della donna. A una certa libertà nel mondo minoicomiceneo (III-II millennio a.C.) segue, fin dall'età omerica (VIII secolo a.C.), una graduale segregazione in casa della donna,sancita anche dalle leggi, che raggiunge il suo apice nell'Atene del V secolo a.C., l'epoca in cui la città più democratica della Grecia combatte appassionatamente per la sua libertà. Soltanto con l'età ellenistica (dal IV secolo a.C.) la conquista dell'Egitto, dove la donna gode di una certa considerazione, e la circolazione di nuove idee filosofiche consentono alle donne una vita più libera, come documentano alcune epigrafi che menzionano donne medico, artiste, benefattrici e atlete. Le testimonianze antiche svelano ogni capitolo della vita femminile in Grecia, dalla nascita all'educazione, dal matrimonio alla maternità, dagli aspetti spirituali a quelli materiali. Il matrimonio: una scelta obbligata Convinta che il suo destino sia generare figli maschi, che assicurino la continuazione della stirpe e diventino buoni cittadini, la donna greca trova nel matrimonio il compimento naturale della sua esistenza. La fanciulla sa che l'amore non farà parte della sua vita coniugale: lo annunciano l'età matura del coniuge, non scelto e quasi sconosciuto, e il cerimoniale stesso del matrimonio, che assume simbolicamente, nel passaggio alla casa dello sposo, le apparenze di un rapimento. Anche la segregazione nella nuova dimora e la scarsa frequentazione di marito e figli le rendono la vita priva di affetti.Sottoposta al coniuge, la donna di buona famiglia vive in una parte a lei riservata della casa (gineceo) amministrando le faccende domestiche, non partecipa a banchetti, spettacoli teatrali o giochi ginnici, compare in pubblico soltanto in occasione di feste religiose o riti funerari; il solo ruolo pubblico a lei riconosciuto è quello di sacerdotessa. La moglie ha così scarsa importanza che, in caso di adulterio, frequente motivo di divorzio, la punizione colpisce l'amante e non l'adultera. L'inferiorità della donna, sancita da leggi che non le riconoscono diritti civili e politici, trova giustificazione anche biologica nel pensiero di Aristotele, che sostiene persino il ruolo passivo della madre nella riproduzione: sarebbe infatti l'uomo, "forma e spirito", a trasformare la materia femminile inerte, dando origine alla vita. Nel IV secolo a.C. il dibattito sulla "questione femminile" sembra tuttavia acceso, come traspare dai trattati filosofici e dai versi di poeti comici e tragici, da cui emergono figure femminili intelligenti e determinate, preludio all'immagine della donna ellenistica, che vive più liberamente anche l'amore. La moglie e le "altre" Il matrimonio della donna greca è complicato dalla presenza di altre figure femminili nella vita del marito. Questi infatti può scegliersi una concubina (pallaké), riconosciuta giuridicamente, la quale ha obbligo di fedeltà e genera figli legittimi, dotati di diritti di successione. Fuori di casa inoltre l'uomo può frequentare donne di diversa estrazione sociale, quali etere e prostitute. L'etera è una sorta di "accompagnatrice", in genere colta e raffinata, un'amante non occasionale ammessa nel mondo maschile precluso a mogli e concubine, mentre la prostituta (porné) svolge una professione soggetta alla generale riprovazione ma non punita dalla legge, sottoposta a tariffe e imposte precise. Una categoria a sé è rappresentata dalle prostitute sacre (hierodoûlai), la cui presenza è documentata anche nel mondo orientale. Consacrate alla divinità, generalmente Afrodite, queste giovani donne si vendono offrendo il ricavato al tempio in cui vivono e godono di una certa considerazione sociale. Oltre che per Afrodite, dea dell'amore e della fertilità per eccellenza, il mondo femminile mostra particolare devozione per le divinità preposte al matrimonio, alla maternità, alla famiglia e alla casa, quali Era, protettrice delle unioni legittime, e Ilizia, dea delle partorienti e dei neonati; le attività domestiche sono tutelate dalla casta Atena e da Hestia, dea del focolare, mentre alla vergine Artemide si rivolgono le fanciulle nel passaggio dalla pubertà all'età del matrimonio. Molto praticati dalle donne sono anche culti iniziatici che promettono la salvezza dopo la morte, come quello di Demetra e Persefone e quello dionisiaco. IL MONDO ETRUSCO Una vita tra libertà e affetti familiari Sono soprattutto le numerose raffigurazioni su pareti tombali, rilievi, urne, sarcofagi e specchi che, con le testimonianze epigrafiche e archeologiche, consentono di delineare la storia della donna nel mondo etrusco, privo di fonti letterarie e caratterizzato da una molteplicità di centri con diverse strutture economiche e sociali. Da alcuni ricchi corredi funerari si deduce che, fin dall'VIII-VII secolo a.C., la donna etrusca riveste un certo ruolo all'interno della famiglia e del gruppo, mentre i dipinti e le sculture dei secoli successivi mostrano figure femminili che banchettano e bevono vino accanto ad affettuosi mariti o che assistono a spettacoli pubblici. Sembra pertanto che la donna etrusca conduca un'esistenza più libera delle contemporanee greche e romane, godendo di una considerazione testimoniata anche dall'uso di aggiungere al nome del figlio, accanto al patronimico, pure il matronimico. Come presso tutti i popoli dell'antichità, l'universo femminile etrusco ruota attorno al matrimonio, che può unire anche sposi provenienti da diverse città. Giuridicamente libera dalla tutela del padre o del marito, la sposa gestisce la casa, si dedica a filare e a tessere, educa i figli e ha il diritto di possedere oggetti di lusso. In famiglia non sono banditi l'affetto e l'intimità, che caratterizzano i legami tra i coniugi, tra le madri e i figli e anche tra le donne sposate e la famiglia di provenienza. Questi comportamenti, incomprensibili per i Greci, producono maligne descrizioni delle donne etrusche, ritenute troppo libere e di scarsa moralità. Gli scrittori romani ammirano invece l'intraprendenza, l'autonomia e il coraggio delle Etrusche, tra le quali spicca l'ambiziosa Tanaquilla, che avrebbe aiutato il marito Tarquinio Prisco a diventare re di Roma. L'ITALIA PREROMANA Indizi e immagini del mondo femminile Tacciono le malevole lingue degli scrittori greci e latini quando l'attenzione si sposta sul mosaico composto dalle popolazioni dell'Italia preromana, diverse per origini, lingua, tradizioni, religione. Sulla condizione di vita delle donne appartenenti a etnie così differenti possono gettare luce soltanto le fonti archeologiche, in particolare i corredi funerari, le rare immagini dipinte o scolpite e le molte offerte votive, che consentono di cogliere alcuni aspetti di un mondo femminile generalmente elitario,quali il tipo di abbigliamento e la foggia degli ornamenti, le mansioni all'interno dei gruppi familiari o alcune manifestazioni della vita spirituale. Poco si ricava invece sul ruolo della donna nella vita pubblica e privata, sulla composizione delle famiglie, sull’educazione riservata alle fanciulle, sulle regole imposte dagli uomini a mogli, madri e vedove. Vi sono tuttavia alcuni elementi comuni che superano le differenze etniche, geografiche e cronologiche e che si rivelano nella costante immagine della donna come custode della casa, della famiglia e dei beni, filatrice e tessitrice, devota a divinità femminili che favoriscono la fertilità, proteggono partorienti e neonati, curano la sterilità. Alcune di queste si identificano con le greche Demetra, Persefone e Afrodite, altre conservano caratteristiche locali, come la Reitia dei Veneti, l'italica Mater Matuta o le Matronae dei Celti, altre ancora restano nell’anonimato, ma il loro culto è testimoniato da migliaia di ex voto rinvenuti in ogni parte d’Italia. IL MONDO ROMANO Nascere donna fra tradizione e libertà Il mondo romano non raggiunge le vette della misoginia greca, anche se per secoli poeti, letterati e legislatori, intimoriti dalla complessità dell'animo femminile e dalle pretese delle donne, ripropongono con insistenza un unico modello di donna ideale: silenziosa, casta, pudica, pia, onesta, moderata nell’alimentazione e nelle spese, dedita alla casa e a filare la lana. Nella millenaria storia di Roma la condizione femminile registra in realtà improvvise aperture e bruschi ritorni alla tradizione, rivelando la coesistenza di situazioni complesse, conservatrici e innovative al tempo stesso. Fonti letterarie, epigrafi e reperti archeologici lasciano scorgere un mondo in fermento, con figure femminili apparentemente senza voce e quasi sempre sconosciute nei tempi più antichi (VIII-IV secolo a.C.), alle quali succedono, negli ultimi secoli della Repubblica (III-I secolo a.C.), personalità di un certo rilievo, fino alla comparsa di matrone e imperatrici protagoniste della vita degli uomini e della storia (I-V secolo d.C.). Una ricca documentazione sul mondo femminile è offerta dalle leggi con cui gli uomini cercano di arginare situazioni che rischiano di sfuggire al loro controllo, prescrivendo meticolosamente alle donne come comportarsi, vestirsi, gestire il patrimonio, sposarsi, procreare, divorziare. Una vita tra regole e leggi Il destino della fanciulla divenuta matrona con il matrimonio è codificato dai modelli di virtù celebrati dal mondo maschile, incarnati da Lucrezia, Virginia, Cornelia, donne disposte a morire per non essere disonorate, totalmente dedite a marito e figli. Queste figure ideali vengono riproposte con insistenza soprattutto quando i comportamenti si allontanano dalla tradizione, con il calo della natalità e l'aumento di aborti, divorzi e adulteri: alla massima libertà dei costumi, registrata sul finire della Repubblica (I secolo a.C.), cercano di porre rimedio le leggi promulgate da Augusto (27 a.C.-14 d.C.), significativo documento della situazione reale. La tradizione prevede che la fanciulla entri nella casa dello sposo con un complesso cerimoniale; nel suo matrimonio sono banditi l’amore e l’erotismo e ritenute inutili le manifestazioni affettive nella vita coniugale e familiare, mentre le sono richieste solidarietà con il marito, condivisione dei suoi interessi intellettuali e morali, partecipazione alla sua vita pubblica. Il destino di una donna nata libera è quello di avere molti figli, nei confronti dei quali ha il ruolo assai impegnativo di educatrice. In età augustea sono addirittura previsti premi per chi ha prole numerosa, mentre chi non è sposato e non ha figli è sottoposto a sanzioni. Punto focale della vita familiare è la fedeltà femminile, tanto che l’adulterio è ritenuto un crimine che, riguardando l’intera società, deve essere pubblicamente perseguito; il marito tradito è tenuto al ripudio, mentre il padre dell'adultera può uccidere la figlia e l’amante.Fin dall'età più antica è previsto il divorzio, molto praticato dai ceti aristocratici, che utilizzano il matrimonio come strumento per alleanze politiche. Al di fuori della famiglia La donna romana è educata per essere una moglie devota e una madre esemplare, ma la sua vita non si svolge sempre entro questi confini. Le matrone dotate di un patrimonio personale possono diventare vere imprenditrici o impiegare il proprio denaro in opere di pubblica utilità, mentre le donne dei ceti più umili esercitano talora attività artigianali e commerciali, accumulando anche discrete fortune.Gli scrittori antichi e le epigrafi ricordano tessitrici, filatrici e sarte, negozianti, pettinatrici e massaggiatrici, ostetriche, segretarie e ancelle. A queste si aggiungono le donne che svolgono mestieri di dubbia fama, quali danzatrici, acrobate e suonatrici, attrici e mime, ostesse, locandiere e maghe. In ultima posizione nella scala sociale si collocano le meretrici, dalle raffinate cortigiane alle misere prostitute di strada, alle ragazze che esercitano la prostituzione sacra in onore di Venere, pratica di origine orientale che interessa marginalmente il mondo romano. Anche in ambito religioso la donna svolge un ruolo importante non soltanto nel privato della domus ma in cerimonie pubbliche precluse agli uomini e presiedute da sacerdotesse.La devozione femminile si rivolge a divinità derivate dal pantheon greco (Minerva, Giunone, Cerere, Proserpina, Diana, Venere) e a un gran numero di figure divine locali e straniere, tra le quali Carmenta, protettrice del parto, Bona Dea, connessa alla fecondità e alla salute, Vesta, dea del focolare domestico,l'egizia Iside, legata alla maternità e all'aldilà, invocata per la dolorosa perdita di figli. A partire dal I secolo d.C. si diffonde inoltre il culto delle donne della famiglia imperiale, del quale sono sacerdotesse le esponenti delle élites locali, investite di una prestigiosa carica pubblica che dà lustro all'intero casato. DALLA TARDA ANTICHITÀ ALL'ALTO MEDIOEVO Il cristianesimo e la donna germanica Il cristianesimo, che penetra nel mondo romano a tutti i livelli sociali, influisce profondamente anche sulla condizione della donna. La tolleranza e il perdono che la nuova religione concede a chi si converte permettono agli adepti di iniziare una vita rinnovata all'interno della comunità cristiana, ma l'insistenza su valori morali come la castità e la purezza e la condanna di comportamenti ritenuti viziosi riportano la donna nel chiuso della casa, al tradizionale ruolo di moglie e madre.Inoltre pratiche fino a quel momento usuali, quali il concubinaggio, l'esposizione dei figli, l'aborto e l'adulterio, vengono severamente sanzionate. Con la dissoluzione dell'Impero romano d'Occidente (476) e l'arrivo di nuove genti, i costumi romani si fondono con quelli barbarici, che ne subiscono l'influenza. Nella società germanica, il ruolo della donna all'interno del gruppo, in origine quasi paritetico a quello dell'uomo, si modifica profondamente. Presso i Longobardi, insediati in Italia dal 568 e convertiti alla fede cristiana, la donna deve essere sposa fedele alle tradizioni, madre e custode della legittimità della prole; ricondotta allo spazio della famiglia e della casa, svolge lavori tessili ed è soggetta alla potestà maschile. Pur restando subalterna all'uomo, tra VII e VIII secolo la donna di alto lignaggio assume funzioni sociali di un certo peso: cura le volontà testamentarie del marito defunto ed è responsabile della distribuzione dei suoi beni, anche in opposizione ai figli maschi. Nell’VIII secolo inoltre molte badesse gestiscono proprietà terriere e beni immensi, entrando nel tessuto finanziario della società, spesso per assicurare che i patrimoni familiari non vengano smembrati. Filare, tessere, tramare, ordire inganni È antica e imperitura l’immagine della donna seduta a filare la lana e a tessere al telaio, competenze che fin dall’età neolitica (dal VII millennio a.C.) le sono state attribuite dall’uomo, simboli di un’esistenza che si “dipana” nel chiuso della casa. Nessuna civiltà antica del Mediterraneo è insensibile all’affascinante immagine della tessitrice, con la quale si sono confrontate donne di ogni ceto sociale, accompagnate anche nella loro ultima dimora da fusaiole, conocchie, rocchetti e pesi da telaio. Lanam fecit (filò la lana) è la formula ricorrente nei monumenti funerari romani con cui mariti e figli assicurano eterna memoria a mogli e madri esemplari, mentre la letteratura tramanda figure di filatrici e tessitrici, alcune rassicuranti altre temibili, come Atena, Penelope, Andromaca, Elena, Aracne, Circe, Calipso e le tre Moire, che, arbitre del destino umano, dipanano il filo della vita assegnato a ciascun mortale. L’occhio maschile guarda con sospetto anche a questa attività femminile: se, infatti, l’abilità nell’intrecciare trama e ordito è per la donna fattore positivo, sinonimo di armonia domestica, per l’uomo può essere simbolo di macchinazione e inganno. Anche in questo caso la misoginia maschile sembra tradire realtà familiari più turbolente di quanto imposto da leggi e tradizioni, realtà nelle quali, tra fusi e telai, si levano, protestando, le voci femminili. E oggi? Sono trascorsi secoli, il volto del mondo è molto cambiato e, con esso, almeno in Occidente, anche la vita della donna. Dagli anni Sessanta del Novecento si è sviluppato, in vari ambiti disciplinari, come la storia, la sociologia, l’antropologia e la letteratura, un grande interesse per la condizione femminile. Gli women studies hanno approfondito molte tematiche relative alla vita delle donne, evidenziando come ancora oggi permangano significative disuguaglianze rispetto alle opportunità offerte agli uomini. I gender studies hanno evidenziato come il “genere”, inteso come definizione della condizione sociale (comportamenti, obblighi e funzioni) di maschi e femmine, sia una costruzione culturale. Ogni cultura determina ruoli, norme comportamentali,eventualmente anche stereotipi e pregiudizi in base alle caratteristiche biologiche di uomini e donne. Nell’antichità come ancora oggi, la nascita, l’educazione, il matrimonio, il lavoro e più in generale lo status all’interno della struttura sociale sono lo specchio attraverso cui è possibile comprendere la condizione femminile.