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LA STORIA “SEGRETA” DEL “CICLONE TEARDO”

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LA STORIA “SEGRETA” DEL “CICLONE TEARDO”
LA STORIA “SEGRETA” DEL “CICLONE TEARDO”
“Trucioli savonesi” inizia un racconto a puntate su cosa accadde prima,
dopo, durante quei giorni di fuoco e di clamore a livello nazionale. Tutti i
nomi dei protagonisti principali e secondari, imputati e testimoni. Con
una conclusione amara: chi credeva che Savona e provincia, dopo
Teardo, si fossero “purificate” ha sbagliato. Negli ultimi anni si è creato
il “sistema edilizio-immobiliare” con un fiume di denaro e una cerchia di
addetti che finora ha fatto il bello ed il cattivo tempo. Lasciandosi alle
spalle solo polemiche, mentre la macchina da guerra all’ambiente
continua imperterrita a produrre ingenti, inconfessabili profitti. Tanto
cemento, trasformazioni alberghiere e di industrie in “seconde case”.
Prima vittima l’attività alberghiera con oltre sei mila persone già
“espulse” dal lavoro. Poi il superaffollamento da monolocali e bilocali
che fa a pugni con la sbandierata ed ingannevole propaganda sul
“turismo di qualità”. Il turismo agonizza, muore soffocato. Nessuno ha
la forza di fermare i “killer” della disgregazione sociale. La politica, con
rare eccezioni, abbaia. Il mondo della cultura è latitante. Le professioni
sono al centro di un clamoroso e vergognoso conflitto di interessi.
SAVONA - Prima che vada perduto o prima che sia troppo tardi. Abbiamo
scelto di pubblicare, a puntate, documenti-testimonianza inediti per la
stragrande maggioranza dei savonesi (e non). Nonostante i fiumi di inchiostro
allora consumati e non poteva mancare l’intervista che Enzo Biagi fece in tivù
al big dei big. Anzi, tutte le “penne” più famose in Italia, gli hanno dedicato
spazio, approfondimenti, strali, riflessioni, analisi. Da anni lui si tiene lontano,
con avvedutezza, da tutti i riflettori.
Il tema e l’archivio sono il “caso Alberto Teardo”, ex presidente della Regione
Liguria, ex sindacalista, ex segretario provinciale del Psi, professione
dichiarata “funzionario di partito”, iscrizione alla massoneria di Piazza del
Gesù, ma anche di Palazzo Giustiniani, con tessera della P2, dietro regolare
versamento di 1 milione. Teardo finito in carcere mentre era candidato alla
Camera dei deputati per i socialisti di Craxi e nonostante il clamore dello
scandalo raccolse oltre 5 mila preferenze.
Alberto Teardo ha compiuto 70 anni il 26 maggio scorso. Ecco come lo
descriveva Maurizio Parodi, il 14 giugno 1982, dalle pagine de Il Buongiorno:
<Già segretario della Fiom, presidente dell’Iacp, rifondatore del Psi nella città
della Torretta. Molto attaccato alla famiglia e ai suoi due figli, con la moglie
Mirella coltiva la passione per il tennis e per lo sci, tra i suoi hobby il cinema,
il teatro, la musica sinfonica e lirica. Sul suo tavolo non manca mai un
pacchetto di sigarette e la pipa....>. In origine Teardo faceva il fattorino (o la
maschera) in una sala cinematografica.
Teardo (e la sua fedele “corte” trascinata nel baratro) che ha pagato il debito
con la giustizia umana e, dopo qualche tentativo fallito, è
uscito definitivamente di scena, pur rimanendo, c’è da scommettere, dietro le
quinte. Non sono pochi coloro che pensano eserciti ancora un potere. Quale
e in che misura? La sua alleanza con alcuni imprenditori del porto di Savona
sarebbe una sorte di assicurazione. Certamente non ha sbagliato chi l’ha
consigliato di non mettere in difficoltà gli amici rimasti, scegliendo il basso
profilo.
PREVISIONI E ATTESE SBAGLIATE
E’ stato sicuramente un errore ritenere che “via il clan Teardo”, la provincia di
Savona e dintorni, fosse purificata. All’epoca c’era chi sosteneva che, con
Teardo al timone, l’economia savonese tirava. C’era un fervore di opere
pubbliche, di iniziative, finanziamenti statali. Savona che era persino riuscita
a indurre “Genova-matrigna” a miti consigli.
Insomma sotto la lanterna regnava un duro che non dimenticava la sua città.
La sua provincia. Aveva un “peso”.
Vicende, scenari, fatti e misfatti conosciuti, all’epoca, solo da una stretta
cerchia di persone, soprattutto addetti ai lavori. Per altri i ricordi si perdono
col tempo. E, comunque, molti documenti mai divulgati nella loro
completezza.
Oggi è trascorso un quarto di secolo. La scelta di “aprire” i faldoni
dell’archivio è soprattutto rivolta alle giovani generazioni (molti sono nati
proprio in quegli anni settanta e ottanta). Metterli in condizione di conoscere,
di sapere. Farsi un’opinione su una stagione vivacissima, sui protagonisti, nel
bene e nel male. Un contributo alla conoscenza dei fatti. Magari in attesa di
inserire il tutto in un libro, nel ruolo di cronisti. Testimoni e spettatori. Ma non
solo.
TRE MISTERI ANCORA DA SVELARE
Cercheremo di dare una risposta ad alcuni interrogativi che avevano
suscitato molta curiosità, ad iniziare dagli stessi artefici dell’”affaire”. E
nessuno ha mai potuto svelare.
1) Chi passò a Renzo Bailini le notizie che in un primo esposto (da chi
arrivarono i 100 milioni per il “Savona Calcio”) ed un successivo
“chiarimento”, innestarono la più grande inchiesta giudiziaria della
storia savonese? Causando un terremoto. Furono alcuni esponenti
massonici che lui frequentava nel ponente savonese e per ultimo ad
Imperia? Chi di loro può confermare? Chi raccolse le confidenze che
Bailini non fece neppure agli inquirenti e ai giudici?
2) Chi passò la notizia al Secolo XIX (prima pagina, a firma di Luciano
Corrado) relativa ai primi clamorosi sviluppi dell’inchiesta sul Savona
Calcio, con i primi 5 avvisi di garanzia e 4 perquisizioni. Ma anche la
falsa notizia che era stata perquisita la casa di Teardo, ad Albissola
Capo. Seguì un processo per diffamazione, su denuncia di Teardo e
Leo Capello, cassiere più o meno occulto delle tangenti (lamentava
che la sua iscrizione sul registro degli indiziati di reato venne data dal
Secolo XIX con un giorno di anticipo). Il processo per diffamazione
durò quasi sette anni tra Genova e Roma, con un mini risarcimento
danni fissato dai giudici (180 e 500 mila lire). Poi arrivò l' assoluzione
e solo in parte la prescrizione. Un mezzo infortunio che costò caro al
cronista, nonostante si trasformò qualche anno dopo in un grande
risultato promozionale per il giornale. Oltre ad una letteracciarimprovero dell’allora vice direttore Giulio Anselmi, oggi direttore de
La Stampa di Torino, scattò la punizione mai pronunciata di sei mesi
senza firma e tanta solitudine. Per il riscatto professionale l’attesa
durò 19 mesi, fino al grande “blitz” del 14 giugno 1983.
3) Chi contribuì ad insabbiare il troncone della “Teardo-bis”? Il giudice
Del Gaudio, da parlamentare, azzardò nei suoi libri qualche nome.
Anche colleghi che, a suo dire, remavano contro e soprattutto dietro
le quinte. Andò proprio cosi? C’era, per caso, una “manina” tra i
cosiddetti poteri forti che, invece, aveva detto basta? Qualcosa di
interessante l’abbiamo ricostruito, grazie anche alla “soffiata”
(involontaria, forse) di un ex ministro degli Interni in pensione.
Una cosa tuttavia vogliamo dire chiara e forte. Non è un rinvangare per aprire
ferite in chi ha già sofferto, famiglia compresa e soprattutto in gran parte
pagato il debito con la società. In qualche caso poi sono rimasti gli eredi, i
congiunti che non hanno colpe. Semmai hanno rivestito, a loro volta, i panni
di vittime.
Non possiamo neppure, almeno è l’auspicio, essere accusati di voler far
cassa. Non sono in ballo vendite di copie, pubblicità, interessi occulti. La
nostra quarantennale storia professionale (corrispondente e collaboratore
della Gazzetta del Popolo, Il Cittadino, Il Corriere del Pomeriggio, Il Giorno,
La Settimana Ligure, la Nuova Liguria, la Gazzetta del Lunedì e per 34 anni il
Decimonono) e quella di questo giovane ed indipendente blog sono alla luce
del sole.
Negli anni e fino ai giorni nostri sono rimasti in piedi molti interrogativi ai quali
è necessario dare una risposta, laddove è possibile. Per capire, giudicare,
farsi un’idea. Partiamo proprio dall’esigenza di conoscere i fatti, così come si
sono svolti, con documenti inediti, ricorso a dichiarazioni messe nere su
bianco (atti delle indagini, ma anche lettere “riservate”, interrogatori, libri,
articoli di giornali), per ricostruire alcune fasi, alcuni capitoli mai scritti, di
questa enorme tempesta.
Del Gaudio con Caponnetto
IL LIBRO-VERITA’ DI LUGARO
Ci aiuteranno a capire meglio perché certe cose accadono e soprattutto si
ripetono. Iniziamo dalle pagine del libro di Bruno Lugaro (accolto da
autorevoli e disinteressati apprezzamenti per il rigore e l’imparzialità nella
ricostruzione dei fatti) per prendere lo spunto da
due considerazioni-pilota sul caso delle aree Italsider e del fallimento Omsav
(1994).
Una vicenda che senza la ventata di verità di Lugaro nel “Il fallimento
perfetto” (Le carte segrete, i protagonisti, i retroscena dell’inchiesta sulla
vendita dell’Italsider, il crac dello stabilimento Omsav e l’operazione
immobiliare della Darsena), Savona avrebbe definitivamente sepolto nelle
fondamenta di quel complesso in costruzione e dove forse andranno ad
abitare alcuni savonesi che contano.
Pagine che ci hanno spinto ad approfondire nell’archivio. Con alcune
sorprese davvero sconcertanti che aprono nuovi scenari, soprattutto nella
fase finale dell’archiviazione dell’indagine. Dei loro protagonisti, di chi firmò
quegli atti.
Ha scritto Lugaro: <Se, sotto il profilo giudiziario, questi atti non hanno più
alcuna rilevanza, conservano intatto il loro valore storico. Hanno infatti il
merito di aver portato alla luce l’intreccio tra politica e affari che tornò ad
essere in quegli anni il tratto distintivo, a meno di un decennio di distanza
dallo scandalo Teardo...>.
E subito dopo: <La prospettiva di grandi speculazioni immobiliari era il
collante che teneva insieme gli interessi di facoltosi imprenditori locali,
amministratori pubblici, partiti (il Pds in prima fila) e cooperative rosse. Tutti
uniti in una specie di rapporto osmotico al quale non si sottrassero neppure i
sindacati. C’era un gruppo di potere che marciava in un’unica direzione con
un unico obiettivo: realizzare affari utilizzando come pretesto la
riqualificazione urbanistica...>.
I PROGETTI DA ANDORA A VARAZZE
Su questo “capitolo” rinviamo l’approfondimento alla prossima puntata.
Da mesi, e negli ultimi anni, più voci hanno denunciato un quasi sistematico
scempio urbanistico che si consuma nella nostra provincia, dalla costa alla
collina. Purtroppo hanno fatto notizia solo pochi casi eclatanti, come quello
del progetto di realizzare quattro torri dove sorge ad Albenga il vecchio
ospedale. E pochi altri progetti a Varazze, Celle, Savona, Vado, Spotorno,
Finale, Borgio, Ceriale, Alassio. Tanto per citare quelli di cui le cronache
locali si sono occupati più assiduamente.
Ebbene come all’epoca della vicenda Teardo furono poche confidenze e
timorose (giustificate dal panorama di quegli anni e dallo scenario che offriva
la Procura della Repubblica) di uno o due imprenditori a fare da apripista.
Oggi la “grande emergenza” edilizia di questa provincia continua ad essere
sottovalutata. Per ora osserviamo che senza l’intervento di corpi specializzati,
come la Guardia di Finanza, sia impossibile avere il quadro concreto, il
puzzle della situazione.
Chi muove il boom edilizio-immobiliare (escluso chi costruisce per le proprie
esigenze abitative), investe 10 ed ottiene un utile di 100 e come fare una
vincita al casinò. Un settore dove si denuncia 5, ma si ricava 10. Dove circola
una massa enorme di denaro sonante. Con il nero che supera l’ufficiale.
Solo nel regno della camorra e della mafia accade di peggio in materia di
evasione. E’ vero, come confidano alcuni notai ed agenti immobiliari, che ora
sul fronte della lotta all’evasione è cambiato qualcosa, e si assiste ad una
frenata.
Restano tutte quelle operazioni immobiliari, trasformazioni di alberghi, cambi
di destinazione d’uso che hanno messo in moto cifre da capogiro e a
soqquadro il tessuto urbanistico e sociale. Per un’operazione finita nel mirino
della Procura, della Finanza o dell’Ufficio delle Entrate, ce ne sono cento,
duecento, mille che l’hanno fatta franca.
E’ in questo contesto che il cronista, come era accaduto all’epoca della
“Teardo story”, raccoglie segnali della presenza di un esteso pantano.
All’orizzonte sacche trasversali di malaffare, di illegalità diffusa, di impunità.
LA SFIDA ALLO STATO
Le istituzioni, si dice, possono muoversi solo in presenza di denunce, esposti.
Certamente, ma non tutti i giorni si incontrano dei Renzo Bailini (il firmatario
dell’esposto che diede l’avvio all’inchiesta su Teardo e soci). Non si può
chiedere ai cittadini di fare i “martiri” in uno scenario dove neppure gli “onesti”
servitori dello Stato hanno vita facile. Preferendo il quieto vivere.
Sarebbe sufficiente chiedersi ma a chi sono andati gli ingenti profitti della
vendita di migliaia di monolocali e bilocali che hanno raggiunto anche i 15
mila euro il metro quadrato e comunque una media, negli ultimi anni, tra i 4 e
gli 8 mila euro?
Lo Stato, se vuole, ha gli strumenti, come li aveva allora (quando non si
voleva neppure capire il significato degli attentati nei cantieri), per tracciare la
mappa degli interventi edilizi più significativi che hanno interessato la
provincia negli ultimi 5-10 anni. Partendo dalla catena: venditori, acquirenti,
intermediari, progettisti, costruttori e subappalti, fornitori. Ma anche controllo
diretto dei fabbricati, con molti vani tecnici abitabili, sottotetti abitabili (pur in
assenza di altezza regolari), vecchie cubature truccate per ottenere maggiori
ampliamenti, dislivelli taroccati, stessa sorte in molti condoni. Pollai,
baracche, cumuli di lamiere spacciati per ruderi-dimora da ricostruire. Dietro
ogni storia c’è una catena di Sant’Antonio che lucra, trae profitti leciti ed
illeciti. Sa ungere. Sa fare squadra.
Chi pensava che l’esplodere a scoppio ritardato del “caso Italsider”, con la
presa di posizione del procuratore della Repubblica, Vincenzo Scolastico,
facesse suonare un nuovo campanello d’allarme si è sbagliato.
Da Savona a Varazze è all’opera la confraternita che continua a puntare sulla
speculazione immobiliare e non ha interesse a cambiare aria. Come non c’è
interesse a divulgare i dati (accertati e non presunti o denunciati) dei vani
abitabili realmente realizzati in questa provincia. Non bastano le statistiche
dei contatori Enel o del gas. Questo per capire che sono fasulli, irreali, gli
standard urbanistici, il loro rispetto, le proiezioni di sviluppo e crescita.
E proprio dai massimi rappresentanti del potere politico, si continui a parlare
di cubature e non di insediamenti abitativi messi a confronto con le
infrastrutture esistenti, ad iniziare dalla rete stradale, ai servizi.
LE MAZZETTE FUORI MODA?
All’epoca della “Teardo story” emersero più fronti, tangenti sugli appalti
pubblici, sulle forniture e le prime avvisaglie della speculazione immobiliare,
delle aree edificabili o potenzialmente tali con varianti ad hoc, con revisioni
pilotate del piano regolatore. Ora si scelgono altre strade, più tortuose. Allora
era soprattutto un problema di mazzette. Oggi, come è stato accennato
anche in assemblee pubbliche, il “sistema” è più elaborato. Passa attraverso
quella che si può definire “purificazione” finale del denaro. E solo uno
“screening” alla filiera potrebbe far esplodere il bubbone. In qualche caso,
come a Toirano (guardia di Finanza) per aree rese edificabili è iniziato.
Oppure attraverso la consulenza di tecnici comunali con la schiena dritta,
come succede ad Albisola Mare (un caso sconcertante che solo la tenacia di
Dario Freccero de Il Secolo XIX ha portato alla ribalta, con l’intervento diretto
del procuratore Scolastico, dopo due esposti archiviati) ed entroterra di
Finale.
Siamo da troppo tempo di fronte ad una piovra che fa imbestialire, ma rende
felicissimi certi banchieri, anche oltre confine.
A meno che faccia comodo non voler sapere. Molte operazioni edilizie,
soprattutto ai danni del turismo alberghiero e di qualità, gridano vendetta e
vengono attuate nella convinzione di farla franca. Difficile trovare altre
spiegazioni. Operazioni che in molti casi sono presentate, pure ai giornali,
come unico strumento per risolvere problemi di interesse pubblico. Basta
indagare su chi c’è dietro ed attorno per capire la portata di quella
beneficienza. E il danno sul piano urbanistico. Un allarme che pochi
esponenti politici hanno preso a cuore e si capisce la ragione della solitudine,
della emarginazione di chi lotta invano.
Eppure un filo di speranza esiste. Ai tempi di Teardo c’era la convinzione che
nessuno un giorno sarebbe stato chiamato a pagare, forti di un’impunità
diffusa, del “tam-tam” che indicava a chi bisognava rivolgersi in caso di
necessità.
COSA SCRIVEVA SERGIO TURONE
Sergio Turone (giornalista, scrittore, docente universitario morto nel ’95) nel
suo libro “Partiti e mafia, dalla P2...” scriveva sul caso Teardo: <Basti qua
ricordare – per limitarci a due testate storiche ma relativamente periferiche
rispetto alla grande stampa nazionale – il ruolo sostenuto dall’”Ora” di
Palermo in tutte le inchieste di mafia ed il peso che ha avuto il “Secolo XIX”
nel far esplodere il bubbone del caso Teardo in Liguria>.
Direttore del giornale era Tommaso Giglio, capo della redazione di Savona,
Luciano Angelini, suo vice Sergio Del Santo, cronista di giudiziaria Luciano
Corrado.
Altro passaggio significativo del libro (si può mettere a confronto con lo
scenario degli anni duemila): <Fin dal 1981 Sandro Pertini informato
dell’appartenenza di molti esponenti ad inquinanti logge massoniche, sia di
certi intrighi affaristici, su cui documentate indiscrezioni erano state fornite dal
Secolo XIX, aveva ostentatamente reciso ogni rapporto col Psi di Savona. Un
deputato ligure del Psi, Paolo Caviglia, nel corso di un’assemblea dei
socialisti savonesi – densa di concitato sdegno verso i magistrati impegnati
nell’inchiesta – dichiarò con veemenza che gli arrestati dovevano essere
considerati prigionieri politici>.
Più avanti, sempre Sergio Turone: <Nel novembre 1981, quando Teardo era
stato nominato (nonostante la sua appartenenza alla P2) presidente della
giunta regionale ligure con i voti del Psi- Dc- Psdi-Pli, prese avvio l’inchiesta
sui finanziamenti illeciti della squadra di calcio>. Due anni dopo (14 giugno
1983) scattò la maxi retata in tutta la provincia con arresti eccellenti. Scriveva
Turone: <L’episodio del 1981 aveva l’aspetto della parte emergente di un
abuso più ampio. Il Secolo XIX, a firma di Luciano Corrado, fornì alcune
caute ma precise informazioni e Teardo querelò il giornale, dichiarando :
<Sono al centro di una campagna calunniosa e denigratoria...C’è un
superpartito in Italia, e quindi in Liguria, che comprende gruppi, partiti, poteri
diversi e da cui dipende anche questa ignobile macchinazione, che mira a
colpire un Psi che cresce>.
Turone raccolse la testimonianza di Tommaso Giglio a Giampaolo Pansa:
<All’inizio, quando abbiamo cominciato a raccontare ciò che si scopriva su
Teardo c’è stata tanta incredulità. E molti accusavano il giornale e i suoi
giornalisti più impegnati di comportarci da giornale scandalistico...>
Commentò Sergio Turone: <Negli elenchi di Gelli, sequestrati di Castiglion
Fibocchi nel marzo 1981, c’era anche il nome di Alberto Teardo (tessera n.
2022) con l’indicazione del versamento di un milione fatto al “Venerabile”.
Teardo ha sempre negato quell’appartenenza, sia alla commissione
parlamentare di inchiesta sulla P 2 (Tina Anselmi), sia ai giudici inquirenti.
Contro Teardo ed il suo clan rimasero attivi solo alcuni giornali, in primo
luogo il Secolo XIX e soprattutto rimase l’ostilità dichiarata dell’onesto ed
amato presidente Pertini. Alla curiosità dei giornali, Teardo contrappose lo
sdegno dell’innocente calunniato. Al disprezzo di Pertini, il Psi di Savona
tolse il ritratto del presidente dalla parete della sede ed il premio
internazionale di disegno infantile “Sandro Pertini”, giunto alla sua
undicesima edizione, ebbe un nome nuovo, fu ribattezzato “Premio
EdmondoDe Amicis”> (chi era allora segretario provinciale? da chi era
composta la maggioranza del direttivo? n.d.r.)
TESTIMONIANZE DI DEL GAUDIO
Ecco cosa scrisse la “Voce di Montanelli” il 7 dicembre del ’94. Dichiarazioni
di Michele Del Gaudio titolare dell’inchiesta che scoperchiò la “tangentopoli
savonese” : <Ci misero i bastoni tra le ruote in tutti i modi. Riuscimmo a far
condannare Teardo, ma quando si trattò di passare al livello superiore del Psi
ed entrarono in ballo De Michelis e Manca (tessera P2), ci trovammo davanti
un muro. Ci tolsero la segretaria, poi l’auto di servizio con la scorta, poi ci
caricarono duemila processi arretrati contro ignoti>.
Altra dichiarazione di Del Gaudio, questa volta a “L’Europeo”, di cui è stato
direttore Lanfranco Vaccari, oggi responsabile de “Il Secolo XIX” di Genova:
<Ma il processo Teardo bis che puntava a scoperchiare il pentolone del
malaffare di via del Corso a Roma, un decennio prima di Mani pulite, è stato
insabbiato. In un anno abbiamo accertato 368 reati. Si pagavano tangenti per
i grandi appalti e le forniture di salame all’ospedale. Da Savona stavamo per
arrivare a Roma. Hanno iniziato ad intimidirmi. Un avvocato mi disse: “lo sa
quanto vale la sua vita” Non più di dieci milioni. E il sottosegretario alla
giustizia, Gaetano Scamarcio, mi accusò di fare politica per aiutare Ciriaco
De Mita. Sono stato anche denunciato da due massoni vicini al Psi che
sostenevano che mi ero comprato un attico dal Pci. Sono stato costretto a
difendermi, ovviamente non era vero>.
Come funzionava in quegli anni la giustizia a Savona, chiese a Del Gaudio
una giornalista svizzera: <I magistrati inquirenti facevano parte di un unico
compattamento assieme a politici, professionisti e vertici delle forze
dell’ordine. Per cui se sorgeva un problema a carico di un pubblico
amministratore, di un medico o di un avvocato, si tendeva a coprire>.
Un episodio. Vittorio Sgarbi (siamo nel marzo 1995) nel suo programma
televisivo “Sgarbi quotidiani”, su Canale 5, ha sostenuto: <Il giudice Del
Gaudio, oggi deputato comunista, arrestò Alberto Teardo perché suo nemico
politico>. Del Gaudio rispose nel libro “Due anni nel Palazzo” (prefazione di
Franco Astengo che faceva parte della sua segreteria): <Quando fu arrestato
Teardo ero giudice istruttore a Savona e non facevo politica nè in modo
diretto, nè indiretto... Per questa ragione ho querelato Sgarbi....>.
La parabola Del Gaudio, a pagina 135 del suo libro, annovera altri spaccati:
<Intanto una fetta del Pds di Savona mi impedisce all’ultimo momento di
tenere un dibattito alla locale festa dell’Unità con Petrini, Bodrato, Bonsanti e
Garavini sul centro sinistra....cominciano ad apparire articoletti sui giornali
che evidenziano la diffidenza di una parte del Pds contro di me. La solidarietà
espressami dal segretario provinciale non è condivisa da coloro che un
tempo erano politicamente alleati di Teardo>.
ARRIVA IL COLONNELLO BOZZO
Altre testimonianze di addetti ai lavori scritte e raccontate in un libro (“Nei
secoli fedele allo Stato” di Michele Ruggiero, giornalista) dal generale in
pensione Nicolò Bozzo, già braccio destro del generale Carlo Alberto Dalla
Chiesa : <Nel 1982, Savona conservava negli uffici della Procura della
Repubblica i fascicoli di un caso giudiziario destinato a far epoca. L’indagine
su Alberto Teardo, allora presidente della Regione Liguria, indagato per
corruzione. In verità, l’inchiesta segnava il passo da mesi e nessuno avrebbe
scommesso una lira sul ritorno di fiamma delle indagini. Anzi, non aveva
proprio sbocchi. Questo fu il quadro della situazione che mi tracciò con
schiettezza il maresciallo della squadra di polizia giudiziaria Pietro Moretti, a
qualche giorno dal mio arrivo. Moretti, distaccato presso il tribunale di
Savona, aveva preso molto a cuore la faccenda. Ne intravedeva le
potenzialità, riconosceva la volontà e la determinazione dei magistrati di
Savona, il giudice istruttore Michele Del Gaudio e il capo dell’Ufficio
Istruzione, Francantonio Granero, ma con la stessa lucidità aveva riconosciuti
i limiti, i ritardi e gli errori sul piano investigativo, l’impreparazione al compito
degli uomini chiamati ad effettuare le indagini...era evidente che il maresciallo
desiderasse proseguire l’inchiesta...decisi di leggere tutto ciò che riguardava
il potentissimo presidente della Regione, documenti, testimonianze, indizi,
fino a quando la mia attenzione fu richiamata da un appunto: Teardo, tessera
n. 2022 d’iscrizione alla P2....Con una mole di lavoro enorme e la
preoccupazione di assicurare l’incolumità ai magistrati, si decise di ospitare
Del Gaudio e Granero in caserma>.
Altra annotazione del generale Bozzo: <A Del Gaudio, uomo perbene e
magistrato straordinario, non l’hanno mai perdonata. Ha subito un primo
trasferimento alla Sezione civile del tribunale, successivamente è stato
“promosso” da Savona a Genova, infine alla sezione Lavoro del tribunale di
Napoli. Messo nelle migliori condizioni di non nuocere, ha preferito levarsi la
toga. Oggi compone poesie e scrive libri per ragazzi.>
TRIVELLONI SCRISSE A TEARDO
Un’altra figura fu Carlo Trivelloni, già funzionario d’industria e consigliere
comunale di sinistra. Ebbe un ruolo, non sempre messo nel giusto risalto
(scrisse una lettera aperta a Teardo con 10 domande, tra cui spiccava i
proventi dell’asserita ricchezza accumulata e delle proprietà, lettera
pubblicata in cronaca nazionale da Il Secolo XIX, innestando il successivo
esposto firmato da Renzo Bailini).
Ecco il giudizio di Del Gaudio ripreso da “La toga strappata” (oltre 100 mila
copie vendute): <...l’avvocato Trivelloni, una delle poche figure di
galantuomo, che stava venendo fuori dall’inchiesta. Ha avuto il coraggio di
accusare pubblicamente e giudiziariamente Teardo, ha citato nomi e fatti. Ha
stigmatizzato i rapporti amichevoli fra il procuratore della Repubblica Boccia e
il presidente della Regione finito in manette>.
Sempre dalle testimonianze editoriali di Del Gaudio: <Mi è dispiaciuto per un
commissario di polizia, venuto da Genova con un gruppo di agenti per
aiutarci nelle indagini. Granero lo ha sorpreso mentre parlava al telefono
delle indagini con un altro personaggio, iscritto alla P2. Qualcuno voleva
controllarci. Lo abbiamo allontanato. Peccato perché era un bravo
investigatore>. In precedenza era già stata allontanata la segretaria dello
stesso Del Gaudio, scoperta mentre passava notizie riservatissime ad un
avvocato degli indagati nell’inchiesta.
IL DOPPIO GIOCO DI MOLINARI
L’uomo piduista in questione era il questore, diventato anche dirigente per il
Nord Italia, Arrigo Molinari, ucciso due anni fa nell’albergo di famiglia,
ad Andora, per mano di un disgraziato con problemi di droga. Un balordo di
piccolo cabotaggio, secondo la tesi prevalente. Arrigo Molinari era anche il
personaggio che aveva, quando “regnava” a Genova, libero accesso al
Secolo XIX e non solo. Con qualche tappa negli anni successivi anche nella
redazione di Savona. E uno degli hobby da “investigatore” era di registrare (di
nascosto, ovviamente) quando parlava con i “capi” del giornale. Materiale che
poi avrebbe consegnato a persona di fiducia.
Torniamo ad una pagina, questa volta di cronaca, del libro di Del Gaudio, nel
capitolo riservato a collaboratori. <Il successo del nostro lavoro non si
sarebbe verificato se non ci fosse stata la presenza a Savona di tante
persone perbene. Il colonnello Bozzo dei carabinieri, il generale Biscaglia
della guardia di Finanza, il questore Sgarra. E poi, la base, come la chiamo
io: Travisi, Troisi, Pasquinelli, Previ, Mandati, Caiazzo, Piedalumbo, Moretti,
Rimicci, Lombardelli, Corrado, Reina e tanti altri. Ma anche il personale di
cancelleria: Alfonsina, Filomena, Clara, Armanda>.
Altro spunto, altro capitolo. Scrive Del Gaudio: <Ho rilasciato un’intervista a
Marcello Zinola del Secolo XIX. In confidenza il principale motivo che ha
portato me a Genova e Francantonio Granero a Roma, è l’impossibilità di far
fronte ad un carico di lavoro enorme, che ci impediva di curare l’istruttoria
della Teardo-bis. Con il presidente del tribunale Gatti che ci richiamava
continuamente a sbrigare i procedimenti contro ignoti. Si preoccupava più
degli ignoti che degli stralci della tangenti>.
Più avanti Del Gaudio ricorda come gli amici gli hanno fatto notare che <Il
Secolo XIX ha attaccato duramente il presidente Guido Gatti (articolo firmato
da Luciano Corrado n.d.r.) per le sue implicazioni nel processo Teardo>.
Tralasciamo alla prossima puntata altri capitoli della “Del Gaudio story” e che
riguardavano quei giudici che, al momento di dargli man forte nelle indagini,
gli avrebbero a suo dire voltato inspiegabilmente le spalle. E purtroppo, non
furono solo i giudici. E quanto racconteremo in futuro.
Luciano Corrado
NOMI E COGNOMI
SOLO PER LA STORIA
Riportiamo un documento custodito per anni con <l’indice alfabetico delle
copie fotostatiche degli interrogatori ed esami testimoniali relativi al caso
Teardo>. Così riporta l’intestazione. Si tratta di persone interrogate a vario
titolo, come imputati o testimoni che sono in grandissima maggioranza. Un
elenco da consegnare alla storia.
Abrate Domenico, primo interrogatorio il 10 ottobre ’83.
Aonzo Giuliana, primo interrogatorio il 18 luglio ‘83
Acerbi Giovanni Battista, primo interrogatorio il 6 marzo ‘84
Alluto Renato, unico interrogatorio il 17 maggio ‘82
Amandola Tommaso, primo interrogatorio il 11 marzo 1982
Ansaldi Margherita, 21 dicembre ‘83
Aprosio Sergio, 17 luglio ‘83
Arioli Antonio, 21 ottobre ‘83
Aschero Augusto, 13 luglio ‘83
Baciadonne Marco, 24 novembre ‘81
Baccaglioni Giorgio, 28 luglio ‘83
Badano Giancarlo, 10 agosto ‘83
Bagnasco Giuseppe, 6 ottobre ‘83
Bailini Renzo, 9 novembre ‘81
Balbo Giorgio, 15 dicembre ’81
Barbieri Pierluigi, 28 ottobre ‘83
Bardini Mario, 6 febbraio ‘84
Basso Gabriella, 24 gennaio ‘84
Bazzano Luciano, 12 novembre ‘82
Benazzo Angelo, 16 dicembre ‘81
Benelli Maria Costanza, 2 gennaio ‘84
Beneereri Franca,2 gennaio ‘84
Berretta Sergio, 7 ottobre ‘83
Boggi Enrico, 21 maggio ‘82
Bogliolo Brosito, 4 novembre ’82 (7 interrogatori come testimone)
Bertone Federico, 27 agosto ‘83
Bolognini Gemma, 11 febbraio ‘83
Bolognini Nicoletta, 11 febbraio ‘84
Bolzoni Giuseppe, 24 giugno ‘83
Bonato Franco, 24 gennaio ‘84
Bongiorni Nicolino, 2 maggio ‘83
Bonicatti Giovan Battista, 4 giugno ‘82
Bordero Roberto, 25 giugno ‘83
Borghi Marcello, 14 dicembre ‘81
Bortolazzi Giampaolo, 4 febbraio ‘84
Bottino Lorenzo, 12 settembre ‘83
Bovio Pierluigi, 14 dicembre ‘84
Bovero Pietro, 18 luglio ‘83
Bovone Vito, 6 novembre ‘82
Bozzo Nicolò, 16 marzo ‘84
Bracali Luigi, 16 gennaio ‘84
Bramante Renato, 21 marzo ‘84
Briano Pietro, 4 agosto ‘83
Bruno Euro, 6 dicembre ‘83
Bruno Roberto, 27 marzo ‘84
Bruzzone Luigi, 7 luglio ‘83
Buosi Giorgio, 8 febbraio ‘83
Burastero Giacomo, 31 marzo ‘82
Bussino Candidato, 24 marzo ‘84
Buzzi Bruno, 31 agosto ‘83
Calleri Pietro, 14 maggio ‘82
Cane Luigi, 20 marzo ‘84
Caneto Armando, 8 novembre ‘82
Canestro Vincenzo, 26 marzo ‘84
Canovi Vittorio, 11 ottobre ‘83
Capella Anna in Calvi, 11 ottobre ‘83
Capello Leo, 2 novembre ’81 (9 interrogatori)
Caramelli Stefano, 8 novembre ‘82
Carboni Giancarlo, 30 marzo ‘84
Carega Giovanni, 24 settembre ‘82
Carlevarino Lorenzo, 19 agosto ’83 (5 interrogatori da testimone)
Carlevarino Riccardo, 23 agostop ‘83
Carrera Marco, 4 febbraio ‘84
Carretto Laura, 19 agosto ‘83
Casanova Angela, 6 novembre ’82 (7 interrogatori come teste)
Casella Mariolo, 4 aprile ‘84
Castiglioni Giancarlo,21 ottobre ‘83
Cattaneo Adorno Giacomo, 3 agosto ‘83
Cauli Fernando, 18 gennaio ‘84
Cavalli Valerio, 18 febbraio ‘84
Caviglia Andrea, 16 gennaio ‘84
Caviglia Paolo, 17 settembre ‘83
Centi Carlo, 7 dicembre ‘83
Cerdini Floriano, 26 marzo ‘84
Cerisola Giovanni, 10 agosto ‘83
Ceroni Franco, 21 febbraio ‘84
Cerruti Tomaso, 6 febbraio 84
Chiarenza Gaetano, 11 novembre ‘81
Chiesa Ismaele, 3 febbraio ‘84
Ciacci Ernesto, 21 maggio ‘82
Cipriani Giuseppe, 7 aprile ‘83
Codino Rosanna, 16 novembre ‘84
Ciceri Santino, 17 gennaio ‘84
Cognein Rudi, 15 settembre ‘83
Colucci Renato, 2 marzo ‘84
Concon Teresio, 25 gennaio ‘84
Coniglio Carlo, 27 luglio ‘83
Craviotto Tomaso, 10 aprile ‘84
Cutino Stefano, 12 novembre ‘82
LA STORIA “SEGRETA” DEL “CICLONE TEARDO”
Seconda puntata
PERSONAGGI MAI RACCONTATI DI “MANI PULITE” A SAVONA
In questo secondo capitolo leggerete di Gad Lerner, già direttore del
telegiornale di Rai Uno, oggi leader del piccolo schermo in Italia.
Tommaso Giglio, direttore del Secolo XIX quando prese avvio
l’inchiesta, tra processi per diffamazione ed insidie. Ernesto
Monterverde lo storico difensore del Decimono che scrisse una dura
raccomandata all’editore e alla redazione. Camillo Arcuri, caporedattore
all’epoca della “bomba Teardo”. Renzo Bailini, il teste chiave d’accusa
(nella fase iniziale) con retroscena inediti su chi aveva tentato di fargli
confessare, dietro ricompensa, i nomi degli informatori-traditori.
Cronaca delle udienze, sotto i riflettori, del processo promosso da
Teardo e Capello contro Il Secolo XIX e Luciano Corrado messi sotto
pressione da “personaggi oscuri”. Il ruolo determinante e decisivo di un
giudice istruttore, Francantonio Granero, che diversamente dal collega
Michele Del Gaudio rilasciò pochissime interviste e non lasciò la
toga. Nei suoi confronti Savona ha scelto l’oblio. Meritava ben altro per
aver fatto fino in fondo il suo dovere di servitore dello Stato?
SAVONA - Ci sono capitoli della “Teardo story” che non hanno mai avuto
“l’onore” delle cronache. Mai scritti, né resi noti. Gad Lerner, allora
collaboratore de “L’Espresso”, che deve chiedere scusa ad un discusso e
chiacchierato procuratore della Repubblica di Savona. Tommaso Giglio,
all’epoca direttore del Secolo XIX, da coimputato in un’aula delle udienze del
tribunale di Genova che sbotta: <Le scuse? Questi signori non meritano
neppure il mio biglietto da visita>. Ernesto Monteverde, “maestro” del foro
ligure, quasi fino alla morte fedele avvocato di fiducia e per anni a titolo
gratuito, del glorioso Decimonono dai tempi dei “vecchi Perrone”. Monteverde
che perde le staffe e detta alla segretaria una “raccomandata a.r.” (9
dicembre 1981) destinata all’amministratore delegato Cesare Brivio Sforza, al
direttore Giglio e a Luciano Corrado, altro imputato, per denunciare
inammissibili interferenze e contrasti nel ruolo di difensore.
La lista continua. Camillo Arcuri, già inviato speciale de “Il Giorno”,
caporedattore de Il Secolo XIX, sulle pagine di “Sette”scrive parole di fuoco:
<La Teardo-bis sepolta, nonostante le gravi accuse di Michele Del Gaudio,
con nomi e cognomi, senza che nessuno intervenisse. Né il Consiglio
superiore della magistratura, né i consigli di altre corporazioni, avvocati e
giornalisti, che pure avrebbero avuto materia da vagliare>.
Renzo Bailini, ancora giovanissimo massone di Piazza del Gesù e assai
meno noto come cavaliere del Sovrano Ordine Militare ed Ospedaliero di S.
Maria di Betlemme (bolla pontificia risalente al 14 gennaio 1459), alle prime
armi come pubblicista in provincia di Savona. E’ Bailini che firma uno, poi due
dettagliati esposti-denuncia contro il “clan delle tangenti” e trova nel Secolo
XIX-Savona un implacabile “alleato”.
Renzo Bailini
EMISSARI GIORNALISTI? NO, SONO SPIONI PAGATI
Ma quante sorprese ! Grattacapi. Cinque anni dopo l’inchiesta, gli arresti, le
condanne (non erano ancora definitive), il 16 agosto 1987, domenica, Bailini
è nella sua casa di Milano dove si era “ritirato” per prudenza (lasciando i
genitori e la sorella a Borghetto S. Spirito) e riceve una visita. Un tizio, modi e
toni convincenti, sostiene di essere giornalista del Secolo XIX di Genova e gli
chiede se era disposto ad una “confessione-memoriale”, ben retribuita.
L’emissario-“giornalista” si dimostra assai interessato alla fase iniziale della
vicenda Teardo (in pratica chi fu la gola profonda, lo spione). Chi era stato,
insomma, il suo informatore che aveva “tradito” il clan. Un imprenditore
taglieggiato? Un “fratello muratore” col grembiulino”? O il venerabile della
loggia di appartenenza? Bailini chiede di voler riflettere.
Informa subito e scrive (non si sa mai) a Luciano Corrado che con le sue
cronache dava “buchi” (notizie in esclusiva) ai concorrenti, contribuendo a far
deflagrare il “caso Teardo”. Corrado casca dalle nuvole, chiede notizie al
collega Luciano Basso, segretario di redazione. Per il suo ruolo, è la persona
più “vicina” alla direzione e alla proprietà del giornale.
Basso risponde per “raccomandata a.r.”: <Egregio signor Renzo Bailini...Il
collega Luciano Corrado ci ha mandato copia della sua lettera del 22 agosto
scorso. Per correttezza e soprattutto per amore della verità, dobbiamo dirle
che il nostro giornale non ha mai pensato di chiederle “memoriali” o
“confessioni”. Abbiamo un giornalista che si chiama Giuseppe Palermo e non
Giuliano Palermo. Questo collega non è certamente quello, falso, che si è
presentato domenica 16 agosto a casa sua. Evidentemente qualcuno ha
agito in malafede, sfruttando il nome del giornale e di un collega (peraltro
inesistente a questo nome) per motivi che noi non conosciamo. Questo Le
dovevamo: anche perché Lei ne tragga le opportune conclusioni e si sappia
regolare. Le ripetiamo: il giornale ed il giornalista sono completamente
estranei all’iniziativa a Lei prospettata. Cordiali saluti. Luciano Basso>.
Un mistero che ebbe, anni dopo, una piccola luce. Anzi, col senno del poi,
uno squarcio di luce. Fu il questore Arrigo Molinari, a suo dire infiltrato nella P
2 per scoprire i misteri degli anni del terrorismo e delle stragi di Stato (così lui
le definiva, ma non era il solo) a dare una dritta. Mi ricollego alla precedente
puntata. Ho riferito una confidenza di Molinari. Era solito girare col
registratore nascosto, anche quando si recava nelle redazioni dei giornali
dove era quasi di casa, soprattutto a Genova.
Fu in quella circostanza (dopo le confidenze del questore) che cercai di
collegare la protesta per le pressioni occulte lamentate da Monteverde.
Insomma c’erano talpe?
STRANI PERSONAGGI SI AGGIRAVANO IN TRIBUNALE
C’è da ricordare il mio imbarazzo di fronte a “strani” consigli di un paio di
colleghi, del tipo “stai rischiando grosso, ti conviene scaricare i giudici di
Savona”. C’era il problema, come spiego più avanti, della notizia pubblicata in
prima pagina dal Secolo XIX, quattro colonne, taglio centrale, dal titolobomba: <Inchiesta nel Savona Calcio. Perquisita la casa di Teardo>
Occhiello: <Clamoroso sviluppo dopo l’esposto di un massone> Sommario:
<Il presidente della Regione sarebbe nei guai a causa di misteriosi assegni.
Le comunicazioni giudiziarie per lui ed altre persone nascerebbero da un
sospetto di ricettazione. Ispezionate altre abitazioni e sequestrati documenti
bancari>. Tutto vero, ad eccezione della mancata perquisizione nella casa di
Teardo di via Al Mare 17-8 ad Albisola Superiore.
La notizia fece il giro delle redazioni e agenzie di stampa in tutta Italia: scoop
viene definito in gergo giornalistico. Dal suo ufficio in Regione, Teardo, allora
potentissimo e temutissimo, suonò la gran cassa, chiamando a raccolta i
fedelissimi. E reagì: tutto falso, nessuna perquisizione, definendo la notizia
<ignobile congiura diffamatoria>
Già, Il Secolo XIX che dapprima dà in esclusiva (21 ottobre 1981) l’esposto di
Bailini su “giri di bustarelle” da parte di imprenditori, titolando “Duplice
inchiesta della Procura su Teardo per un esposto che parla anche di
tangenti”. Poi, sempre in esclusiva, i primi avvisi di garanzia, perquisizioni
domiciliari e di uffici.
Ci vuole poco a capire il “feeling” Bailini-Corrado, manca però il secondo
tassello. Solo un magistrato o giudice (procura e allora Ufficio Istruzione del
tribunale), oppure stretto collaboratore, poteva aver soffiato le due notizie,
ricche di particolari. C’è di più, Corrado deve difendersi, dare
spiegazioni, per aver arrecato <un grave danno all’immagine e alla credibilità
del giornale....nonostante richiamato fino a tarda sera, ore 23, a verificare le
notizie> per la “bufala” della perquisizione domiciliare a Teardo. La lettera,
durissima, è firmata per lo staff di direzione da Giulio Anselmi e indirizzata al
capo della redazione Luciano Angelini, al suo vice, Sergio Del Santo ed è lui
che “passò” (ultima correzione) il pezzo-scandalo.
Angelini reagì rassegnando le dimissioni (respinte). Del Santo era molto
abbattuto. Pur senza rivelare la fonte, mi sforzai di far capire ai “capi” che la
mancata perquisizione, nonostante fosse stata decisa ed ero sicuro, venne
bloccata due ore prima del blitz, al primo piano del tribunale, i giudici istruttori
invece erano al secondo piano. Di più: nell’obiettivo iniziale, mi risultava,
doveva esserci anche l’ufficio, a Genova, del super presidente. Sulla
perquisizione piombò il “veto”, un “consiglio” a desistere? Con quale
motivazione? Un giorno, spero di poterlo raccontare, soprattutto per rendere
onore a chi davvero lo merita, non avendolo avuto fino ad oggi, se non in
piccola parte e solo nella prima fase della vicenda quando figurava anche il
capo ufficio Antonio Petrella. A questo punto è utile fare un passo indietro, al
clima che si viveva al giornale e dintorni nei giorni in cui venne fissato il
processo per diffamazione.
QUEL FOTOGRAFO “AMICO” DI TEARDO
Prima udienza, venerdì 15 gennaio 1982. Essendo un processo per
direttissima, la sentenza arriverà già il 28 gennaio. Quel venerdì c’erano le
telecamere della Rai regionale, parecchi fotografi, uno in particolare
continuava a far scatti, ad avvicinarsi per “primi piani”, al punto che il mio
difensore, Romano Raimondo, uomo affabile e professionista abilissimo (con
un grande merito nell’esito finale, dopo 8 anni), pure lui “timoroso” del clima e
del risultato, si avvicinò al Pm d’udienza per chiedere se “conosceva quel
tizio...”. Più sbrigativo Monteverde che difendeva il direttore Giglio, lui
taciturno come sempre, seduto sul banco degli imputati.
Il “maestro” si lascia andare ad una delle sue sagaci battute in dialetto
genovese: <U le’ in frillu, u’ belinun de turnu...>. Con un invito diretto ad
essere meno invadente e rivolto al presidente del collegio giudicante,
Giordano: <Abbiamo anche il fotografo ufficiale del tribunale? O di Teardo?
Non mi era ancora successo in un’aula di giustizia...>.
Questo collega, quasi agli esordi della professione, diventerà in seguito,
meritatamente, dimostrando saggezza ed equilibrio, presidente dell’Ordine
dei giornalisti liguri. Oltre che bravo cronista di giudiziaria.
Nel capo di imputazione venivano indicati i due titoli incriminati: < aver
riportato contrariamente al vero che l’abitazione di Teardo era stata
perquisita, contestualmente (circostanza veritiera) all’invio di comunicazione
giudiziaria per il reato di ricettazione (questa l’imputazione madre di quello
che diventerà un ciclone con 368 reati accertati n.d.r.)>.
Secondo capo d’accusa: <...offeso la reputazione di Leo Capello, nella sua
qualità di presidente del Savona-Calcio affermando che la Procura della
Repubblica di Savona aveva aperto un’inchiesta su un esposto che parlava di
un finanziamento ricevuto da Leo Capello...>
In effetti, Il Secolo XIX pubblicò la notizia il giorno prima dell’iscrizione
ufficiale sul registro A (indagati) della Procura stessa. Un capitolo che mi
vincola, in questo caso con maggiore forza, al segreto professionale. Posso
aggiungere che le spiegazioni date nel libro-testimonianza del giudice Del
Gaudio (in assoluta buona fede e convinzione) non corrispondono alla realtà.
Del resto, in quanto imputato, il codice consente di non dire la verità.
Nessuna congiura antiTeardo comunque. Spero un domani di “aprire il libro”,
ma all’epoca col clima imperante alla Procura della Repubblica di Savona si
dovette escogitare un “mossa strategica” che ottenne il risultato previsto.
Cioè la supercelere richiesta di archiviazione dell’esposto di Bailini da parte
del Procuratore capo, Camillo Boccia, dopo una rapidissima deposizione (8
minuti), quale teste, di Leo Capello e, udite, udite, neppure l’esigenza di
interrogare a chiarimenti e completezza il firmatario, cioè lo stesso Bailini.
Aspetto da incorniciare che ha descritto molto bene il giudice Del Gaudio.
RICHIESTA DANNI DA OLTRE UN MILIARDO
Per concludere il capitolo sentenza, ancora pochi accenni di quei giorni. C’è
chi mi consigliava di rivelare la fonte responsabile della “cantonata” per non
“beccare” una condanna ed una richiesta danni stratosferica. Oltre un
miliardo da destinare in beneficenza. Il direttore Giglio, con grandissima
dignità e correttezza, non entrò mai nel merito della fonte. Non mi chiese.
Non poteva essere frutto di un‘invenzione o “leggerezza”. Aveva capito che si
era inceppato, di fronte al “big” Teardo, un meccanismo. In tutta franchezza
temeva di finire sommerso pure lui, seppure con minori responsabilità come
prevede la legge per i “direttori responsabili”.
Decisi di resistere, non per eroismo. Forse incoscienza, ma lo sentivo come
un dovere di fronte a tanta prepotenza ed impunità perdurante. Del resto in
tema di processi per diffamazione stampa avevo alle spalle due vicende non
proprio piccole. Un importante imprenditore edile (all’epoca dei fatti, anni
sessanta) di Loano, socialdemocratico, assessore provinciale, mi querelò
quando scrivevo sulla Settimana Ligure (direttore responsabile Romano
Strizioli, oggi collaboratore de La Stampa da Albenga) e chiese i danni. Una
storia di presunta speculazione immobiliare. Oggi posso parlarne. La vicenda
si concluse bene per l’intervento di Secondo Olimpio, allora potente capo
ufficio stampa del ministro Paolo Emilio Taviani. Ci pensò il procuratore della
Repubblica in udienza, Camillo Boccia, a favorire una transazione (nessuna
spesa, ma la pubblicazione di un chiarimento). Altra querela, altra grossa
grana la vissi quando da direttore responsabile de La Nuova Liguria (1967)
l’ingegner Emanuele Della Valle, di Albenga, molto popolare in tutta la
vallata, portava avanti la sua tenacissima battaglia sull’arginamento del
Centa e contro il presidente, dottor Franco Ugo. Quella volta fui fortunato
perché Della Valle si assunse l’onere di far fronte a tutte le spese e alla
transazione, senza arrivare ad un processo che si presentava molto
insidioso.
Sta di fatto che, a Genova, mi convinsi a mantenere inviolati i “miei segreti”
anche perché Teardo davanti ai giudici anziché i “toni bassi”, sostenne:
<Sono oggetto di una violenta campagna di stampa, estesa su altri giornali,
Paese Sera (allora con Ennio Remondino, oggi inviato speciale per la Rai in
Turchia n.d.r.) e l’Unità che non giustifico ma capisco per la loro matrice
politica, ma non capisco la sistematica persecuzione da parte del Secolo
XIX>.
Teardo ammise di sapere dell’esistenza di difficoltà economiche del Savona
Calcio, di aver sollecitato sottoscrizioni da parte di amici solo spinto
dall’entusiasmo che lo animava nei confronti del mondo calcistico. Piccola
annotazione divertente di cronaca. La collega dell’Unità che seguiva il
processo restò impressionata dall’attivismo di “quel giovane collega, munito
di macchina fotografica”. Risultato: fu ripreso e “pubblicato” dall’Unita mentre
conversava con Teardo nei dintorni del palazzo di giustizia.
Dopo la prima sentenza con lievi condanne (multe) e piccolo risarcimento,
fissato dagli stessi giudici, la Corte d’appello, sezione II, il 23 settembre ’87
(cinque anni dopo il primo giudizio) manda assolto Corrado per la
diffamazione a Capello “perché il fatto non costituisce reato> e per
diffamazione ai danni di Teardo per <aver agito nell’esercizio di un diritto>.
Questa volta è il procuratore generale di Genova che appella e la Cassazione
annulla la sentenza, con rinvio ad altra Corte d’appello. A quel punto, siamo
al 5 luglio ’89, scatta la prescrizione, l’estinzione del reato e l’improcedibilità
dell’azione penale. Nel frattempo Tommaso Giglio è deceduto, Il Secolo XIX
ha perso uno dei suoi direttori “più indipendenti dal potere politico ed
economico”. Si racconta che rifiutava persino di parlare al telefono con certi
potentati politici romani. Come faceva con palazzinari, affaristi rampanti,
banchieri. Ma non era il solo. Anche Cesare Brivio, per un periodo editoretimoniere del giornale (con i cugini Perrone e Grazioli), non amava certi
personaggi del mondo politico ed imprenditoriale ligure. Per questo non era
considerato un “amico” fidato su cui contare. Un interlocutore valido. E non
era neppure massone, col giuramento dell’aiuto reciproco e della fratellanza
in caso di bisogno. Costi quel che costi.
Inoltre, siamo sinceri, in Italia non abbiamo la buona abitudine dei giornali
inglesi che combattono la crisi di lettori e l’erosione di fette di mercato,
andando a fondo delle cose, con inchieste mirate, fuori del Palazzo, unite
all’innovazione e alla qualità del prodotto.
Persino il “ciclone Teardo” vede da una parte i fedeli, i fedelissimi, anche nel
mondo dell’informazione, locale e nazionale. Ma il tempo, si sa, aiuta a
dimenticare. Tutto.
LETTERA DI SCUSE FIRMATA GAD LERNER
Una storia singolare, per gli sviluppi, interessa un personaggio di primo piano
nel mondo del giornalismo italiano. Finito nel mirino, nelle grane, per aver
osato troppo, o forse per non essersi documentato a sufficienza, o ancora per
aver ricevuto informazioni parziali. Si tratta di Gad Lerner, tra i più autorevoli
giornalisti italiani del “piccolo schermo”. Un collega con fama di serietà,
coerenza e coraggio che è stato direttore della corazzata di “Rai Uno” (il
telegiornale), ora conduce interessanti programmi sulla “7” ed è stato
collaboratore de “L’Espresso”.
Cosa aveva combinato di grave il collega Lerner? Aveva “attaccato” l’allora
procuratore della Repubblica, Camillo Boccia, per il tentativo di insabbiare
l’inchiesta al suo nascere. Perché ? Per Lerner, dietro le quinte, c’era una
frequentazione tra Boccia e Teardo, allora l’uomo più influente e potente a
Savona, ma anche a Genova, in Regione, con solidi legami ed iscrizione in
ambienti massonici (Piazza del Gesù e Palazzo Giustiniani), ma soprattutto
affiliato alla P2 di Gelli, alla quale risultava iscritto, dietro versamento di 1
milione.
Ecco la lettera di scuse che Gad Lerner, assistito dall’avvocato Oreste
Flammini di Roma, dovette scrivere al dottor Boccia il 5 marzo 1985, a meno
di due anni dalla grande retata che portò in carcere il presidente della
Regione, della Provincia ed il suo vice, dell’Iacp, sindaci, assessori e...>
<In riferimento a quanto da me scritto sull’Espresso n.41 del 16 ottobre 1983
nell’articolo dal titolo “Il metodo Teardo”, non ho nessuna difficoltà a darle
atto che dagli atti istruttori del processo Teardo è risultato che Lei non si è
mai occupato di nessuna inchiesta giudiziaria a carico del Teardo stesso, ma
soltanto dell’esposto del signor Renzo Bailini che accennava ad “oscuri
finanziamenti” alla squadra di calcio del Savona.
Dopo l’espletamento delle prime indagini (che avvenne con grande celerità
da parte sua) Lei ebbe a chiedere l’archiviazione del suddetto esposto e,
quindi, la notizia che “tutta l’inchiesta sul clan Teardo sarebbe partita molto
tempo prima” se Lei non avesse archiviato quella volta, si è rivelata priva di
fondamento.
Il suo primo incontro casuale con il Teardo nel corso di una conferenza
organizzata dal Panatlon di Savona è avvenuto, infatti, solo in data 21
novembre 1981 (cioè dopo la sua richiesta di archiviazione dell’esposto di
Bailini) e, di conseguenza nessun rapporto di amicizia è mai intercorso tra Lei
e il signor Teardo.
Lieto di aver chiarito ogni equivoco invio i miei migliori saluti, con l’espresso
consenso da parte mia ad una eventuale pubblicazione della presente lettera
a sue spese nella ipotesi che ella lo ritenga opportuno>.
La lettera di scuse, in tempi reali, ci fu consegnata da un penalista di Savona
che, all’epoca, assisteva il procuratore della Repubblica.
CAMILLO ARCURI SPARO’ A ZERO
Un’altra firma, con un glorioso passato al “Giorno” e documentati, sferzanti
servizi di denuncia sulla speculazione edilizia in Liguria, già negli anni
sessanta. Camillo Arcuri nel periodo in cui è rimasto al Secolo XIX, come
caporedattore, è stato tra i più convinti nel portare avanti la battaglia della
“pulizia” nel mondo politico-amministrativo. Con altri colleghi più anziani
(ricordo soprattutto Badino, Cavassa, Bazzali, Angelini, Grimaldi) e non solo,
ha cercato di incoraggiarmi.
Conosceva l’importanza del sostegno di squadra quando ha scritto per “
Sette” l’intervista a Michele Del Gaudio. Titolo: <Dieci anni fa, Di Pietro ero
io>. Ecco un passo significativo: <Era il 1983. Noi due giudici istruttori di
Savona, Francantonio Granero ed io, ci siamo sentiti veramente isolati
davanti al clan P2 di Teardo, col procuratore della Repubblica che aveva già
chiesto l’archiviazione del caso e col presidente del Tribunale che si era
raccomandato agli stessi gelliani per ottenere la promozione. In più la procura
generale di Genova che, attraverso Sossi, ci invitava a far presto, a chiudere
il caso prima delle elezioni. Teardo era alla vigilia di entrare in parlamento,
mentre noi lo mandammo in carcere>
CHI SCELSE DI ARENARE LA TEARDO-BIS E PERCHE’
Altro passaggio dell’intervista di Michele Del Gaudio ad Arcuri: <La
tangentopoli italiana avrebbe potuto esplodere 10 anni prima, partendo
proprio dalla Liguria, infatti i primi arresti di Di Pietro sono del ’91-’92. Di
sicuro, non saremmo stati tanto osteggiati, perseguitati, noi due giudici
istruttori costretti di fatto ad andarcene, i nostri bracci operativi, il colonnello
dei carabinieri Bozzo, il generale Biscaglia della Guardia di Finanza, trasferiti,
insomma puniti. E’ così che la Teardo-bis, l’inchiesta di più alto livello da noi
indirizzata verso Roma, sulle orme dei Cad2 (Centri di azione democratica
P2 fondati da Teardo) finì in archivio. La sede del Cad 2 di Roma
corrispondeva agli uffici privati di Enrico Manca, il presidente della Rai-Tv. E
ancora, un passaggio di assegni per decine di milioni, come da dichiarazioni
a verbale, che accompagnò l’adesione di Teardo alla corrente di De
Michelis....tutto finì in archivio, sepolto, perché non so – concludeva De
Gaudio – come siano state condotte le indagini ed i giornali hanno evitato di
approfondire, di informare. Non mi importa sapere chi fossero i miei colleghi.
Di certo una volta estromessi noi, non è più stato fatto alcun passo avanti. Il
disegno si è compiuto>.
Eppure non si può scrivere che almeno su questo fronte, Savona faccia parte
per quel periodo dell’elenco di “Corrotti, impuniti e felici”, pubblicato nel n.40
dell’Espresso, l’11 ottobre scorso. Dove compare la fotina di Teardo, con la
condanna definitiva in Cassazione (con una chicca inedita che
pubblicheremo nelle prossime puntate di cui fu protagonista e componente
del collegio giudicante il fratello giudice di Aldo Moro, lo statista ucciso dalle
Brigate Rosse).
FRANCANTONIO GRANERO GIUDICE DIMENTICATO
Ma forse è “omissione di cronaca” ignorare anche chi di interviste non ne ha
mai concesse, se non in un paio di circostanze all’epoca successiva degli
arresti, e che ha avuto un ruolo decisivo, determinante nell’evoluzione
dell’inchiesta e delle indagini. E’ Francantonio Granero che prese il posto di
Antonio Petrella (si interessò solo alla fase iniziale del fascicolo). Granero,
giudice in apparenza scontroso, diffidente, che prima di fidarsi di qualcuno ci
pensava tre volte, ma di estremo coraggio nei momenti più difficili, insidiosi
dell’inchiesta. Anche col cronista sotto processo per diffamazione. Non fu
cosi per un (allora) timorosissimo Del Gaudio. Granero impegnato nell’opera
di informatizzazione degli atti e dell’intero ciclo istruttorio, con un grandissimo
beneficio per la giustizia. Fu il primo processo informatizzato d’Italia.
Grazie a Granero, eppure aveva lasciato Savona quasi nell’indifferenza
generale. Lui, forse, aveva intuito, come altri, di aver osato troppo, e non
l’avrebbero perdonato. Ebbene anche con quel cronista che un giorno gli
confidò - come ha rivelato Del Gaudio in un suo libro - che <ci furono tentativi
persino in Vaticano e al Consiglio Superiore della Magistratura per bloccare
quei due, ma non ci fu nulla da fare>, Granero, con quel suo mezzo sorriso
caratteristico, rispose: <Continueremo a fare il nostro dovere, non importa se
un giorno a Savona si dimenticheranno di noi>. E’ stato profeta.
Luciano Corrado
(Seconda puntata)
ELENCO DI IMPUTATI E TESTIMONI
INTERROGATI NELL’INCHIESTA “TEARDO”
Trattasi di materiale che fa parte di un dossier utilizzato a fini storicodocumentali.
DALMASSO Enzo (teste), primo interrogatorio il 24 marzo ‘84
D’AMBROSIO Domenico (teste), primo interrogatorio il 21 marzo ‘84
DAMONTE Bruno (teste), 22 agosto ‘83
DAMONTE Giovanni (teste), 21 giugno ’83, seguono 5 interrogatori
D’AURELIO Giuseppe (teste), 13 febbraio ‘82
DE DOMINICIS Massino(imputato), 10 divembre ’81, seguono 4 interrogatori
DE FILIPPI Mario (teste), 27 giugno ’83, seguono 3 interrogatori
DOSSETTI Giovanni (imputato), 5 giugno ’82, seguono 8 interrogatori
DOSSETTI Giuseppe (teste, poi imputato), 11 novembre ‘81
DUCCI Mario(teste). 4 febbraio ‘84
FABRONI Giuseppe (teste), 25 maggio ‘82
FARAUT Silvano (teste), 14 maggio ‘82
FARINAZZO Delio (teste), 5 novembre 82
FARINAZZO Silvio (teste), 4 novembre ‘82
FAROPPA Adriano (teste), 1° marzo ‘84
FAVA Francesco (teste), 26 marzo ‘84
FERRANDO Luigi (teste), 16 luglio ‘83
FERRARA Giuseppe (teste), 25 gennaio ‘84
FERRAZZANO Giuseppe (teste), 28 gennaio ‘84
FERRO Giannantonio (teste), 12 ottobre ‘83
FOLCO Guido (teste), 7 luglio ‘83
FRANCHI Angelo (teste), 1°marzo ‘84
FRECCEROAngelo (teste), 4 luglio ‘83
FRANCO Franco (teste), 4 gennaio ‘84
FRECCERO Carlo (teste), 21 maggio ‘82
FRIXIONE Antonio (teste), 27 luglio ‘83
FURLOTTI Mario (teste), 28 gennaio ‘84
GAGGERO Giuseppe (teste), seguono 5 interrogatori
GAGGERO Nino (imputato), 3 settembre ‘83
GAGLIERFO P.Fausto (teste), 16 gennaio ‘84
GALLI Giorgio (teste), 4 aprile ‘84
GAMBARDELLA Nicola (teste), 27 gennaio ‘84
GATTERO Vincenzo (teste messo a confronto), 9 febbraio ‘84
GATTI Francesco (teste), 8 settembre ‘83
GATTO Luisa (teste), 31 marzo ‘82
GENESIO Giuseppe (teste), 8 ottobre ‘83
GERINI Luciano (teste), 10 agosto ‘83
GERMANO Mario (teste), 16 luglio ‘83
GHELARDI Leandro (teste), 24 novembre ‘81
GHERSI Umberto (teste), 21 maggio ‘82
GHINOI Eraldo (teste), 9 gennaio ‘84
GHIGLIAZZA Piersanto (teste), 18 giugno ’83, seguorno 7 interrogatori
GIACCHERO Roberto (teste), 31 gennaio ‘84
GHIGLIOTTI Carlo (teste), 7 febbraio ‘84
GIANCONTIERI Salvatore (teste), 26 agosto ‘83
GIOMETTI Giancarlo (teste), 11 ottobre ‘83
GIORDANO Giuseppe (teste), 16 gennaio ‘83
GIORDANO Roberto (teste), 29 novembre 83
GIUNTINI Luigi (teste), 10 aprile ‘84
GONELLA Roberto (teste), 24 gennaio ‘84
GOVONI Maria (teste), 5 agosto ‘83
GRANAGLIA (teste), 12 aprile ‘84
GRANAIOLA Antonio (teste), 10 settembre ‘83
GRANDIS Maurizio (teste), 23 genniao ‘84
GRECO Maria Enrica (teste), 28 dicembre ‘83
GREGORIO Francesco (teste e poi imputato, 21 maggio ‘83
GREGORIO Vittoria (teste), 14 maggio ‘82
GRISOLIA Luigi (teste), 14 aprile ’82
GRONDONA Alberto (teste), 27 luglio ‘83
GUAGNINI Silvano (teste), 20 novembre ‘81
GUERCI Nicola (imputato), 13 luglio ’83, seguono 6 interrogatori
GULLI Giuseppe (teste), 28 gennaio ‘84
GUGLIELMINO Anna Maria (teste), 9 aprile ‘83
INGARAMO Aldo (teste), 2 giugno ‘82
INVREA Isabella (teste), 10 giugno ‘83
INVREA LUCA (teste), 28 luglio ‘83
LAGASIO Mario (teste), 12 ottobre ‘83
LABATE Fortunato (teste), 28 luglio ‘83
LANZA Giuseppe (teste), 11 febbraio ‘83
LEO Massimo (teste), 16 agosto ‘83
LEQUIO Remo (teste), 26 marzo ‘84
LOCCI Luciano, primo interrogatorio da teste il 10 dicembre ’81 e il 4
novembre ’82, poi da imputato il 5 febbraio ’83, seguono altri due interrogatori
LOCCI Tullio, teste il 14 dicembre ’81, poi imputato l’11 febbraio ‘83
LOMBARDINI Licio (teste), 27 maggio ‘83
LOVATI G. Battista (teste), 24 agosto ‘82
LUGARO Valentino (teste), 24 marzo ‘84
LUGLI Bruto (teste), 1° febbraio ‘84
LOMBARDI Giuseppe (teste), 27 marzo ‘84
LA STORIA “SEGRETA” DEL “CICLONE TEARDO”
nuove rivelazioni di “Trucioli Savonesi”
QUANDO LA FABBRICA DELLE TANGENTI
FECE AUTOGOL. PER DEMERITO DI CHI ?
Per la prima volta, dall’esordio della Teardo story, ricostruiamo i giorni,
mai raccontati, che precedettero l’esposto-pilota dell’inchiesta che l’ex
presidente della Regione Liguria definì “Una sporca storia e io ho
pagato per tutti”, dichiarandosi vittima di una macchinazione (intervista
al settimanale Oggi del 26 agosto 1985). Tutto ebbe origine da un
articolo di Paese Sera, ripreso da Enzo Biagi su Repubblica. Seguirono
un intervento di Adriano Sansa sul Secolo XIX e sullo stesso giornale
“lettera aperta” a Teardo dell’avvocato Carlo Trivelloni. Con sei micidiali
domande, soprattutto sulle ricchezze accumulate da Teardo. Infine
l’esposto-denuncia a firma di Renzo Bailini. Ultimo anello di una catena
che, senza essere preordinata, riuscì a dare l’assalto ad una fortezza a
lungo inespugnabile. Protetta dalle istituzioni locali, ma “scaricata” dal
presidente della Repubblica, Pertini. E grazie anche al ruolo, mai
svelato, di un giudice galantuomo.... I deliranti comunicati del Psi di
Savona e Imperia
Il generale Bozzo
SAVONA- <Il procedimento penale in oggetto trae origine dalla vicenda
cosiddetta del Savona Calcio. A seguito di un esposto in data 29 ottobre
1981, a firma di Bailini Renzo, il procuratore della Repubblica di Savona
interrogava Capello Luigi Leo, presidente della squadra di calcio “Savona
fbc”....>.
E’ l’inizio di un’inchiesta che segnerà la storia socio-politica savonese,
avviata nel 1981 e non ancora conclusa, almeno nella sua fase di
testimonianze a futura memoria. Un esordio che si ripete nella richiesta di
rinvio a giudizio del Pm, Giuseppe Stipo, del rinvio a giudizio del giudice
istruttore (in coppia Del Gaudio-Granero), nelle motivazioni della sentenza di
primo grado a Savona (presidente Gennaro Avolio, relatore Vincenzo Ferro,
a latere Caterina Fiumanò), di appello a Genova, della Cassazione a Roma e
di un successivo verdetto in Corte d’appello. Tanti sono stati i processi. Una
montagna di carte, tra interrogatori, intercettazioni, allegati. Memorie
difensive. Un importo record di parcelle legali e di cui parleremo in altra
puntata.
Non è un rinvangare, aprire ferite che molti, a ragione, vorrebbero chiuse per
sempre. Per chi ha pagato il debito con la giustizia, cosa rara in Italia.
Resta da raccontare, alle generazioni che non hanno avuto modo di
conoscere, di sapere, ciò che accadde “dietro le quinte” di quel violento
terremoto. Scosse Savona, la Liguria, l’Italia. Raggiunse molti paesi europei,
da interessare i turisti affezionati del Mar Ligure. E poi manca un racconto
dall’A alla Z di quella vicenda. Oltre a non conoscere quella parte
“semicarbonara” che pochi hanno vissuto in diretta. Per dare magari una
risposta a chi, copiando una frase dell’insigne giurista torinese Federico
Grosso, <non conoscendo tutti gli atti trasformano la realtà in teatrino>. Ed è
pure accaduto a “studiosi” e “docenti” della “mani pulite” di Savona.
PERCHE’ BAILINI FIRMO’ L’ESPOSTO
In attesa, di dare più spazio agli argomenti documentati con un libro-verità
(ormai va di moda), elenchiamo i passaggi e le tappe facendo parlare gli atti.
E’ il 14 ottobre 1981. Il Secolo XIX, in cronaca nazionale, pagina Liguria,
ospita una lettera aperta dell’avvocato Carlo Trivelloni, consigliere comunale
e che riproduciamo integralmente e tutta da leggere. Per la cronaca
ricordiamo che lo stesso Trivelloni sul periodico “Sinistra indipendente” del
luglio 1986, cinque anni dopo, scriverà un’altra durissima lettera-denuncia,
con molta meno fortuna, dal titolo “Ritorna il clan Teardo”. Da rabbrividire. Da
scatenare televisioni e giornali? Silenzio totale. Solo un’interpellanza, senza
seguito, di due parlamentari. Eravamo già in piena “normalizzazione”. Al
Quirinale non c’era più Pertini, all’Ufficio Istruzione del Tribunale erano in
partenza i giudici Granero e Del Gaudio, tra gli inquirenti era arrivato il
passaparola “lascia fare, hai visto la sorte toccata a Bozzo e altri?”. Al Secolo
XIX erano finiti i tempi del direttore Tommaso Giglio.
Ebbene, come potremo documentare in altra occasione, l’esposto di Bailini
prese proprio lo spunto, l’avvio, l’ispirazione dalla lettera-aperta di Trivelloni,
la cui pubblicazione fu fortemente sponsorizzata, pur tra qualche incertezza
dello staff, dall’allora caporedattore Camillo Arcuri.
L’AVVOCATO TRIVELLONI PRESE LO SPUNTO DA SANSA E BIAGI
La lettera aperta di Trivelloni, dal titolo “Che cos’è il Cad 2 del presidente
Teardo?” iniziava con queste parole: <La limpida e dolente lettera aperta di
Adriano Sansa (magistrato che diventerà poi sindaco di Genova, scomoda
coscienza critica della sinistra cattolica, che non ha mai dimenticato Savona,
dove è cresciuto, attuale presidente del tribunale dei minori n.d.r) pubblicata
dal Secolo XIX del 26 settembre 1981 e la sferzante nota di Ezo Biagi,
apparsa su Repubblica del 24 settembre 1981, mi impongono di manifestare
anche pubblicamente che io non sono tra quei liguri, e sono tanti, che si
meritano Alberto Teardo presidente della Giunta Regionale e Michele Fossa
futuro assessore alla Sanità. Ora, anche perché nessuno pensi che tutti
tacciono per timore o per proprio tornaconto, vorrei porre al presidente
Teardo le seguenti domande... per stare al tema dibattuto dal Secolo XIX>.
PROVENTI DELLA RICCHEZZA ED IL RUOLO DEI “CAD 2 “
Trivelloni chiedeva a Teardo di rendere pubblici i suoi beni (un’abitudine che
si è persa e sarebbe istruttiva per quanto è accaduto e accade in questi anni
di spietata speculazione edilizia-immobiliare a Savona e nella nostra
provincia, assai peggio ed impunita di allora, ma non c’è più Trivelloni n.d.r.).
Visto che Paese Sera, schierato con la sinistra e quotidiano bandiera, il 15
settembre, parlava di un Teardo diventato molto ricco e potente in pochi anni.
Riepiloghiamo le date, è importante. 15 settembre 1981 Teardo nel mirino di
Paese Sera. 24 settembre entra in campo Enzo Biagi su Repubblica. 26
settembre “dolente” lettera di Adriano Sansa sul Decimonono. 14 ottobre
lettera aperta di Trivelloni sul Decimono. 29 settembre arriva in Procura
l’esposto firmato da Renzo Bailini sul “Savona Calcio” dove si parla di
tangenti. Fermiamoci qui.
Trivelloni, uomo pratico, colto, giurista, coraggioso (dote rara tra i nostri
amministratori pubblici quando c’è da denunciare casi di corruzione e
malaffare) mette all’angolo Teardo con questo preciso quesito pubblico: <Se
è così ricco, con quali proventi lo è diventato? E se invece non è vero, quale
è la reale situazione patrimoniale ed economica sua e della famiglia?>.
Saltiamo, per brevità, gli altri interessanti quesiti posti da Trivelloni e che il
lettore potrà comunque leggere nel documento-lettera. Arriviamo alla
domanda sul ruolo del Cad 2. Trivelloni chiedeva di sapere cos’era il Centro
di azione democratica, come funzionava, quale fosse l’oggetto sociale, quali
attività svolgeva realmente.
L’ATTO COSTITUTIVO DEL “CAD 1” TRA SEI SOCI
Carlo Trivelloni non sapeva che in origine era sorto il Cad 1, il 4 marzo 1980,
un anno e mezzo prima dell’esposto di Bailini e delle lettere aperte.
Atto certificato dal notaio Mario Zanobini di Savona e sottoscritto da Alberto
Teardo, Giovanni Carega, Angelo Benazzo, Luigi Capello, Roberto Bordero,
Marcello Borghi, Giovanni Pozzo. E’ costituita, secondo lo scopo sociale,
un’Associazione denominata Centro culturale azione democratica –Cad 1>,
con sede in piazza Diaz al civico numero 10. Trivelloni, nella lettera aperta,
sosteneva che quell’ufficio era in realtà la sede operativa di Teardo e dei suoi
affari.
ENTRANO IN SCENA ESPOSTI ANONIMI?
E’ il 23 ottobre 1981, venerdì. Il Secolo XIX, a firma di Luciano Corrado, esce
con la notizia (prima di una lunga serie) che la Procura della Repubblica sta
indagando sul Cad 2. Nessuno sapeva ancora della registrazione del Cad 1 e
non Cad 2, indicato (erroneamente?) da Trivelloni. L’articolo ha tra virgolette
una dichiarazione anonima: <La persona più autorevole e qualificata a
chiarire cosa in effetti sia il Cad 2, con sede in piazza Diaz a Savona, è il
signor Alberto Teardo, la sua deposizione sarebbe utile per stroncare le
immancabili illazioni>.
Il servizio parla di due esposti anonimi (ma esistevano davvero e da
quando?). E non solo, Il Secolo XIX aggiungeva: <Da segnalare la
precisazione del Quirinale dopo che un articolo di un quotidiano romano,
pubblicato ieri (22 ottobre) faceva riferimento al Leo Capello, attuale
presidente del Savona, il quale avrebbe ricevuto da un non meglio precisato
“benefattore” la somma di 100 milioni di lire per rafforzare la squadra.
Nell’articolo, Leo Capello veniva presentato come “figlioccio di Sandro
Pertini”, circostanza che il Quirinale (Pertini era presidente n.d.r.) ha tenuto
ieri a smentire nella maniera più categorica. In Procura resta da stabilire –
proseguiva Il Secolo XIX – chi dovrà occuparsi dei due dossier. Il procuratore
Boccia o il sostituto Maffeo sul cui tavolo erano inizialmente finiti i fascicoli?>.
QUEL “BUCO” MAI SVELATO DAI PRIMI PROTAGONISTI
Lo snodo in cui si svilupperà la vicenda da quel 23 ottobre, giorno della
pubblicazione sul Secolo XIX dell’avvio di indagini nel “gruppo Teardo”, fino a
metà novembre resta da colmare. Ci sono poche persone (meno delle dita di
una mano) che potrebbero svelarlo. Un segreto da custodire, fino a quando
qualcuno dei protagonisti deciderà di farlo, ammesso che il “fenomeno
Teardo” interessi ancora. Sono parecchi coloro che “non gradiscono”.
Per tornare a bomba diciamo che qualche imprenditore della provincia di
Savona era davvero stanco di subire, e soprattutto di pagare, col rischio di
finire prima o poi nei guai. Tra l’altro, in alcune aziende erano entrati anche
figli e figlie, tenuti a lungo all’oscuro. Non servì parlarne con avvocati, politici
di diversi schieramenti. C’era un sistema che poteva contare sulle massime
istituzioni inquirenti e non. in provincia di Savona; di più è azzardato dire,
almeno per ora. Nessuno volle sapere, ad esempio, la provenienza di alcune
fortune immobiliari e di conti in banca di “uomini dello Stato”. La parola
d’ordine tra gli imprenditori maggiori era: paga e taci, Teardo ha autorevoli
protezioni. Se ti azzardi a colpirlo, sei morto (almeno per la tua azienda). Il
suo è un sistema ben orchestrato, oliato, ha molti complici (come si vedrà dai
risultati dell’inchiesta che scoperchiò una parte della pentola) nei partiti, negli
enti pubblici che contano. Nei Comuni.
Come uscirne? Come minare il “fortino Teardo” che stava rodendo le
fondamenta della convivenza civile? Basti pensare ai 17 attentati dinamitardi
ai cantieri di imprenditori che risultavano tra i “benefattori” del clan Teardo e
di cui fu impossibile accertare la matrice. Basti pensare ai rapporti elettorali
con esponenti di spicco della mala calabrese, presente nel ponente ligure.
Agli assegni che ricevettero tramite Leo Capello, il “cassiere del clan” con
contabilità trovata e sequestrata in un fienile sulle alture di Spotorno, dopo
che una prima volta la fece franca per una strana disattenzione degli
inquirenti.
Forse un domani, non lontano, potrà essere spiegato come fu possibile
arrivare all’inchiesta vera e propria, l’inizio ufficiale, pur tra obiettive difficoltà
e che solo 18 mesi dopo ebbe gli sviluppi che meritava grazie alla presenza
all’Ufficio istruzione del tribunale di Francantonio Granero e Michele Del
Gaudio. Contabilizzarono un business tangentizio di oltre19 miliardi.
PRIME PERQUISIZIONI NELLA SEDE DEL SAVONA FBC
Il 12 novembre 1981, Il Secolo XIX, scrive: <Blitz nella sede del Savona
Calcio>. Carabinieri e giudice istruttore (Del Gaudio) vi si sono chiusi dentro
per tre ore. La minuziosa perquisizione sarebbe da collegare all’istruttoria in
corso sui finanziamenti alla società dopo un esposto alla magistratura>. Nel
servizio si parla, tra l’altro, dell’anziano segretario della società, Gaetano
Chiarenza che ha chiesto invano di poter avvertire il presidente Capello o altri
dirigenti.
Il 14 novembre (ci siamo occupati nelle precedenti puntate) Il Secolo XIX
spara in prima pagina la notizia “Inchiesta sul Savona Calcio, perquisita la
casa di Teardo”. Erano vere le comunicazioni giudiziarie a cinque indiziati di
reato, non la perquisizione nella casa dell’allora presidente della Regione.
Venne bloccata?
Il 28 gennaio, nemmeno due mesi dopo, c’era già la sentenza nei confronti
del direttore responsabile del giornale, Tommaso Giglio e dell’estensore
dell’articolo, Luciano Corrado. Solo lievi multe per il reato di diffamazione e
risarcimento danni modestissimo (500 mila lire) fissato in sentenza.
Annotazione: avete mai letto un giornale che da nei particolari la notizia del
processo, parla di condanne e di risarcimento, senza indicare, precisare
in cosa consisteva la condanna ed la rifusione del danno? E’ successo
anche questo, basta vedere in archivio la pagina del Corriere Mercantile del
29 gennaio 1982. Un articolo da mettere a disposizione della scuola di
giornalismo. Da incorniciare.
DISINFORMARE E MINACCIARE LA TATTICA DEI DIFENSORI
Torniamo ai giorni successivi alla perquisizione al Savona Calcio. La Stampa
che non si distinse all’epoca tra gli “avversari” di Teardo, riporta un
comunicato di questore tenore: <Dopo aver discusso i fatti diffamatori nei
riguardi della società e del suo presidente Capello, l’avvocato Pier Mario
Calabria si trova a disposizione per tutti i chiarimenti. Tutto questo a
salvaguardia dell’onorabilità e della serietà della società e del suo presidente
Capello>. E aggiungeva: <intanto prosegue il processo a Genova per la
querela del presidente della giunta regionale, Teardo, contro il giornale Il
Secolo XIX. Teardo ha reso noto che devolverà in beneficienza quello che si
preannuncia come un miliardario risarcimento danni>.
Il 20 novembre 1981 ancora La Stampa: <L’avvocato Calabria ha reso noto
che i magistrati stanno svolgendo minuziose indagini che chiariranno tutto e
che la società e i suoi dirigenti risulteranno senza dubbio limpidi e puliti. Non
appena gli atti istruttori saranno depositati e potranno essere esaminati,
presenterò una circostanziata denuncia per calunnia>.
Una domanda, quel collega che scriveva è deceduto, ma chi passava quei
pezzi, li “autorizzava”, li titolava, dove sta? Ha fatto per caso carriera? Chi si
ricorda che qualche giornalista ha vissuto per anni sulla forca per aver
raccontato i fatti ed altri hanno svolto il ruolo di giullari o violini, o pompieri?
Ognuno, pare superfluo, nella vita risponde alla sua coscienza. Anche di
giornalista.
LETTERE ANONIME E TELEFONATE MINATORIE
E’ la fine di novembre quando arrivano le prime minacce di una serie. Una la
riproduciamo, a testimonianza. Imbucano la lettera proprio nella città dove
Bailini vive, quella Borghetto che in quegli anni assisteva a “far west”, con
sparatorie, tra malavita organizzata e balordi. Minacce, con esplicito
riferimento ala dinamite usata in precedenza a Borgio Verezzi contro il
sindaco anticemento Enrico Rembado: <Pagherai tu, Corrado, Maffeo,
Petrella e Del Gaudio>.
Nel suo libro Del Gaudio racconta: <Mi telefona Tonino Petrella, ora al
tribunale civile, “guarda che ho ricevuto una telefonata minatoria. Una voce
maschile mi ha detto che se Teardo viene arrestato prima delle elezioni (è
quanto accadrà n.d.r.) tu e i miei figli farete una brutta fine. Sono
preoccupato, ma agisci secondo giustizia>.
Con Bailini, decidiamo di prendere alcune precauzioni. Ho un rapporto di
fiducia con Petrella, con quale spesso capita di passeggiare lungo corso
Italia, a Savona. Una conclusione: se ti vogliono fare la pelle non te lo dicono
prima. La parola d’ordine è comunque quella di non farci intimorire, anche se
il più preoccupato, forse per la sua indole, sembra proprio Del Gaudio. Mi
chiede, infatti, di diradare le visite nel suo ufficio. Per lavoro il cronista di
giudiziaria bussa quasi ogni giorno alla porta del giudice istruttore.
LA DENUNCIA DEI REDDITI DEI POLITICI SAVONESI
All’appello di Trivelloni, il presidente Teardo non risponde, né sul fronte della
ricchezza accumulata, né dei beni immobili. Il Secolo XIX, da parte sua, non
molla la “preda”. A capo della redazione di Savona c’è un granitico e
inattaccabile Luciano Angelini, sostenuto dal suo vice Del Santo e da tutta la
redazione. L’occasione arriva dalla pubblicazione della denuncia dei redditi
dei politici savonesi. Il pezzo inizia con : <Il contribuente Sandro Pertini,
presidente della Repubblica dal luglio 1978, ha dichiarato nell’anno della sua
elezione, un reddito di 6 milioni e 993 mila lire (il 40 per cento del suo reddito
di parlamentare, perché il resto non è tassabile). La moglie, Carla Voltolina,
ha invece denunciato 11 milioni e 124.
Il presidente della Regione, Alberto Teardo che risiede ad Albisola, ha
denunciato 4 milioni e 557 mila lire. Il presidente della Provincia, il
democristiano Domenico Abrate, 8 milioni 430 mila lire. Il sindaco di Savona,
Carlo Zanelli, socialista, 7 milioni e 421 mila lire.
Poi due nomi tra i primi due contribuenti (non politici) di Savona: primo in
assoluto, Rosa Dimetti con 104 milioni e 454 mila lire. Al secondo posto
l’operatore marittimo Mario Vagnola, con 102 milioni. Un nome quest’ultimo
non casuale, con ottimi rapporti sia con Teardo, sia con il procuratore della
Repubblica, Camillo Boccia. La cui foto, ad una cena presente anche Teardo
ed altri “big” di allora, riproduciamo. Era l’unica pezza d’appoggio (vedi
precedente puntata) che aveva il giornalista Gad Lerner, in mancanza di
testimonianze, per sostenere che Teardo aveva incontrato Boccia. Troppo
poco per un’accusa di “protezione”.
IL PSI SCENDE IN CAMPO PARLA DI OSCURI DISEGNI
Ecco il comunicato stampa del 30 novembre 1981, fatto pubblicare sui
giornali e a tutta pagina da “Liguria oggi”, quindicinale laico e socialista diretto
da Aldo Chiarle del quale ci occuperemo nel capitolo sulla massoneria. <I
socialisti del Psi di Imperia e Savona, riuniti ad Albenga, indignati per la
campagna scandalistica, diffamatoria e calunniosa che continua con violenza
contro la persona del primo presidente socialista della Regione Liguria,
esprimono ad Alberto Teardo la loro solidarietà votando unanimemente il
seguente documento. Oscuri disegni politici condotti da discutibili personaggi
continuano la loro azione destabilizzante contro il partito socialista in Liguria.
Tali sistemi tendono a creare un generico e diffuso qualunquismo e,
conseguentemente, una sfiducia nelle istituzioni... (sembra di leggere alcune
dichiarazioni rilasciate a proposito della cementificazione di Savona e Riviera
n.d.r., ad opera di chi? Stiamo raccogliendo i ritagli stampa). Gli esposti e le
denunce – proseguiva il comunicato – recano la firma di personaggi
squalificati, collegati talvolta alla matrice socialista. Personaggi squalificati,
non sorretti, tra l’altro, da capacità, serietà e rigore politico e morale. I
socialisti di Imperia e Savona di fronte ad azioni destabilizzanti per la
democrazia, portate avanti attraverso la violazione sistematica del segreto
istruttorio e la pubblicazione, da parte di una certa stampa, di notizie false,
distorte, mistificatorie, si chiedono di quali interessi oscuri siano portatori e
chi sia alle spalle degli squallidi individui che hanno montato questo attacco
al partito socialista, diffamandone gli uomini più rappresentativi... I socialisti di
Imperia e Savona chiedono altresì alla magistratura di operare con celerità
per giungere all’accertamento della verità di questa oscura vicenda>.
Senza le condanne passate in giudicato di Teardo e C., oggi in molti
dovremmo recitare il “mea culpa”, forse il “De Profundis”. Già, ma dove sono
finiti i firmatari di quel scellerato, in stile mafioso, documento pubblico? C’è
per caso qualcuno che ricopre ancora ruoli istituzionali, oltre che politici, di
partito? I naviganti sono avvertiti.
Luciano Corrado
(terza puntata)
ELENCO DI IMPUTATI E TESTIMONI
INTERROGATI NELL’INCHIESTA “TEARDO”
Trattasi di materiale che fa parte di un dossier utilizzato a fini storicodocumentali
Granero e Del Gaudio
MAGNONE Elvio (teste), interrogato il 24 marzo 1984
MAIO Giovan Battista (teste), interrogato il 10 novembre 1983
MALERBA Francesco (teste), interrogato il 6 marzo 1984
MANCUSO Aldo (teste), interrogato il16 agosto 1983
MUDA Mario (teste), interrogato il 20 novembre 1981
MANNI Mafalda (imputata), interrogata il 13 aprile 1984
MARCIANO’ Francesco (teste), 5 marzo 1984
MARCIANO’ Giovanni (teste), 24 febbraio 1984
MASSAFERRO Elena (teste), 10 settembre 1983
MENDARO Vilma (teste), 12 novembre 1982
MENTI Giancarlo (teste), 18 settembre 1982
MERIALDO Amilcare (teste), 31 gennaio 1984
MICHELI Antonio (teste), 16 gennaio 1984
MINETTI Bruno (teste), 28 marzo 1984
MINUTO Umberto (teste), 16 gennaio 1984
MOLINARI Arrigo (teste), 2 marzo 1984
MORETTI Pietro (teste), 10 aprile 1984
MORIONI Angelo (teste), 19 gennaio 1984
MURIALDO Elisabetta (imputata), 6 novembre 1982
MURONI Giovanni (prima teste), 8 dicembre 1981, poi imputato, 9 marzo
1984
MUSSO Maurizio (teste), 4 aprile 1984
NAN Piero (teste a confronto), 4 aprile 1984
NAPONIELLO Giuseppe (teste), 10 giugno 1983
NEGRI Giuseppe (teste), 30 gennaio 1983
NOCERA Pasquale (teste), 5 settembre 1983
NOVARA Maurizio (teste), 26 marzo 1984
NUCERA Fortunato (teste), 4 novembre 1982
NUCERA Giovanni (teste), 24 marzo 1984
NUVOLO Renato (teste), 26 marzo 1984
ODDONE Antonella (imputata), 24 dicembre 1984
OLIVIERI Barbara (imputata), 17 novembre 1983
ORLANDI Vittorio (teste), 5 dicembre 1983
PANERO Michele (teste), 3 giugno ’83, seguono tre interrogatori
PARRINI Flavio (teste), 12 novembre 1982
PATRIARCA Giancarlo (imputato), 24 agosto 1983
PATRONE Pietro (teste), 6 febbraio 1984
PASTORINO Giobatta (teste), 2 febbraio 1984
PASTORINO Giorgio (teste), 16 gennaio 1984
PASTORINO Lorenzo (teste), 10 febbraio 1984
PELLERINO Francone (teste), 2 marzo 1984
PENNONE Francesco (teste),11 aprile 1984
PESCE Alberto (teste), 17 novembre 1983
PESCETTO Giovanni (teste), 12 ottobre 1983
PESSINA Carlo (imputato), 30 marzo 1984
PIAZZA Giulio (teste), 12 febbraio 1983
PIZZAGHELLO Lorenzo (teste), 3 luglio 1984
PREGLIASCO Carlo (teste) il 3 agosto 1983, poi imputato il 6 giugno 1983,
seguono 5 interrogatori
RAVA Fausto (teste), 10 marzo 1984
RATTI Lorenzo (teste, 27 luglio 1983
RICCI Aldo (imputato e interrogatorio a confronto) il 21 dicembre 1983 e 9
febbraio 1984
RIOLFO Federico (teste), 4 agosto 1983
RIVAROLI Werner (teste), 24 settembre 1982
ROSSETTI Giorgio (terste), 21 ottobre 1983
ROSSI Carlo (teste), 6 ottobre 1984
ROSSI Claudio (teste), 1° febbraio 1984
ROSSI Giovanni (teste), 21 gennaio 1984
ROSSIGNO Teobaldo (teste), 6 settembre 1983
RUSTICHELLI Alfio (teste), 3 febbraio 1984
SACCHI Roberto (teste),16 giugno 1983
SANGALLI Gianfranco (imputato), 14 luglio 1983
LANZONI Gianluigi (teste), 14 ottobre 1983
SAVIO Edoardo (teste), 10 ottobre 1983
SBOTO Elisabetta (teste), 16 gennaio 1984
SCHMID Mirella (teste il 24 settembre 1982, poi imputata il 16 giugno 1983)
SCRIVA Rocco (teste), 14 febbraio 1984
SERTORE Giampietro (teste), 24 giugno 1983
SEU Gesuino (teste), 3 marzo 1984
SICCARDI Roberto (teste il 31 marzo 1982, seguono 10 interrogatori da
imputato)
SIROTTI Raimondo (teste), 2 aprile 1984
SPAGNOLINI Giovanni (teste), 17 gennaio 1984
STOFFINI Fernando (teste),15 ottobre 1983
STINCA Carlo (teste il 3 maggio 1983, interrogato da imputato il 27marzo
1984
STRADA Maurizio (teste), 11 aprile 1984
SIRITO Giorgio (teste), 4 aprile 1984
STINCA Carlo (omonimo del precedente imputato, ma di Torre Annunziata),
3 maggio 1983
TAMBURINI Lorenzo (teste), 6 marzo 1984
TEARDO Alberto (imputato), dal 5 giugno 1982, seguono 8 interrogatori
TESTA Mauro (imputato), 3 settembre 1983
TONDO Mario (teste), 28 febbraio 1984
TORTAROLO Giuseppe (teste), 23 giugno 1983
TORTAROLO Lorenzo (teste), 17 giugno 1983, seguono 3 interrogatori
TOSTO Vincenzo (teste ,12 novembre 1982, seguono 4 interrogatori
TRIVELLONI Carlo (teste), 14 novembre 1981, seguono 3 interrogatori
TROTTA Umberto (imputato), 24 agosto 1983
TRENTI Umberto (imputato), 27 luglio 1983
TRUCCO Guido (teste), 6 marzo 1984
TURPETI Bice (teste), 4 aprile 1984
VADORA Antonio (teste il 2 giugno 1983, poi imputato dal 16 settembre
1983, con sette interrogatori
VAGGI Marisa (teste), 25 settembre 1982
VAGNOLA Mario (teste), 26 maggio 1982
VALFRE’ Alfonso (teste), 27 agosto 1983
VALENTE Rino (teste), 12 novembre 1982
VALLERINO Giuseppe (teste), 19 gennaio 1984
VENTURINO Adelio (teste), 24 genniaon 1984
VENTURINO Pietro (teste), 16 gennaio 1984
VERZA Luigi (teste), 5 gennaio 1984
VIANO Giuseppe (teste), 21 gennaio 1982
FINE ELENCO IMPUTATI E TESTI
LA STORIA “SEGRETA” DEL “CICLONE TEARDO”
quarta puntata della “Teardo story”
QUANDO IL “CAPO” DISSE: <ECCO CHI MI VUOLE MORTO>
Due storiche interviste a “Oggi” e “Arcobaleno”
Teardo e Capello
SAVONA – L’ultima intervista risale al 29 agosto 1998. “Solo” 10 anni fa.
Venne ospitata, in doverosa evidenza e richiamo in prima pagina, dal
settimanale ligure “Arcobaleno”, direttore responsabile Roberto Pizzorno.
Non è uno sconosciuto, a Savona, soprattutto per il suo impegno in politica
con diverse casacche, nel mondo dell’informazione e tra associazioni di
categoria.
Poi una seconda intervista, “vuota sacco”, al settimanale “Oggi”, nel 1985, 22
anni fa, scritta da Sergio De Gregorio.
In questa quarta puntata diamo dunque voce ad Alberto Teardo, per “non
dimenticare” e ricordare che “a volte ritornano”. Se non sono le stesse
persone, magari allontanate dall’interdizione perpetua dai pubblici uffici,
germogliano i “metodi”, i fans, i forti e i pavidi. Nella politica e
nell’amministrazione pubblica. Con una fotocopia che si ripete e in qualche
caso (museruola all’informazione, autocensura, conflitti di interesse nelle
professioni) ha prodotto risultati di vario genere.Il più solare? Plaudere al
“salutare” sviluppo edilizio di Savona e provincia, soprattutto in riva al mare.
Chiudendo fabbriche, cantieri navali. Osannare, con interviste molto
riguardose, i direttori d’orchestra e i loro pifferai. Ignorare le cause reali
dell’inesorabile agonia del turismo di qualità, della strage di alberghi, con
strage di posti di lavoro. Dare sistematico risalto a chi annuncia, senza
pudore, da dieci anni: qui sorgerà un quattro stelle, là sorgerà un cinque
stelle. Dunque posti di lavoro assicurati. Oppure porticcioli e un po’ di
cemento nelle immediate vicinanze. Si rilancia il turismo e finalmente arriva
benessere e ricchezza per tutti.
La strategia si ripete come ai vecchi tempi: fumo negli occhi. Affari d’oro da
una parte (lobby molto riservate), scempio sociale (perdita di posti di lavoro,
non precari, per i giovani diplomati, laureati, allievi degli istituti alberghieri) ed
ambientale dall’altra. Con scenari idrogeologici da brividi, in caso di calamità.
Forse, anche per questo, è utile rileggere gli stralci più significativi di quelle
“storiche”pagine del tipo: vi racconto la mia verità. <Io ho pagato
ingiustamente> - titolava il servizio.
Domanda di Roberto Pizzorno: <E’ in grado di dare una motivazione alla
ricorrente e periodica aggressività, spesso astiosa, insinuante, di certa
stampa nei suoi confronti?>
Risposta di Teardo: <Più che certa stampa il rilievo va diretto nei confronti di
pochi e ben individuati giornalisti (è veramente difficile individuare quei
cattivoni..... sono talmente tanti...n.d.r.), costoro da oltre 15 anni
sistematicamente ed anzi ossessivamente, speculano sulla vicenda
giudiziaria che mi ha coinvolto manipolando i contenuti e le risultanze
nell’evidente intento di portarmi discredito. In tale intento dimenticano di
ricordare che Alberto Teardo è stato oggetto di una sentenza di condanna
che reputa fortemente lesiva ed ingiusta perché irrogata in base al principio,
quanto mai anomalo nel diritto penale, del cosiddetto “concorso morale”. Ciò
significa l’attribuzione di una responsabilità a carattere penale per fatti
commessi da altri. Così come l’equivoco richiamo secondo cui la sentenza mi
coinvolgerebbe in presunte azioni illecite per 18 miliardi è totalmente falsa e
priva di fondamento....Io non ho mai ricevuto, chiesto o fatto richiedere
denaro di provenienza illecita. Nessuna parte lesa o presunta tale mi accusa
direttamente>.
Ecco come il giornalista pubblicista Alberto Pizzorno esordiva il suo
pregnante servizio sul settimanale di informazione indipendente del ponente
ligure.
<Alberto Teardo, ex presidente della Regione Liguria, torna a far parlare di
sé. Da tempo, vista la sua profonda conoscenza nel campo politico, si sta
occupando del movimento di Alpazur, che aspira alla creazione di una macro
regione...Teardo da consulenza al movimento, che dopo l’ultima tornata
elettorale può contare in Comune di un consigliere, sia pure di minoranza.
Abbiamo incontrato l’ex presidente della Regione nel suo ufficio di via Rella,
a Savona, dove ha il quartiere generale il movimento Alpazur....>
Domanda – Signor Teardo, è vero che torna in politica?
Risposta: <Non sono mai uscito da questo mondo. Nonostante le mie
vicende con la giustizia, che ho pagato ingiustamente, sono sempre stato
attento ai problemi socio-economici. Vede, io la politica ce l’ho nel sangue>.
Domanda – La stampa locale ha variamente commentato il suo ritorno
all’attività politica.
Risposta: <Questi che lei definisce organi di stampa, cioè quei giornalisti di
cui parlo, hanno cercato di suggestionare a fini prettamente inconfessabili
una situazione che non ha né ragione, né motivo di tanto scalpore in quanto
non c’è da parte mia alcun ritorno alla politica intesa quale partecipazione
diretta e quindi a prospettive di carattere elettorale....Quindi sono un
osservatore e non un operatore della politica. E solo in tale veste deve
inquadrarsi il ruolo da me assunto di collaboratore e consulente del
Movimento politico Unione del Nord-Ovest- Apzur>.
Domanda – Perché, allora, tanto scalpore giornalistico?
Risposta: <Solo strumentali forzature da malcelati intenti politici...nell’intento
di nascondere la preoccupazione per le potenzialità e la forza di penetrazione
sociale del neo Movimento, forte di un progetto profondamente innovatore
per la nostra Regione e per il Nord Ovest italiano. La cui realizzazione è
affidata ad un gruppo di dirigenti, credibili e qualificati, con il supporto e la
collaborazione delle forze più illuminate della nostra comunità>.
Non è noto, quantomeno a fini storici e di cronaca, a che punto sia quel
grandioso progetto. Saperlo sarebbe di aiuto alla completezza di
informazione (e per zittire quelle “cattive coscienze di giornalisti asserviti a
disegni oscuri”). Roberto Pizzorno potrebbe scrivere, a futura memoria, nomi
e cognomi di quell’illuminato gruppo di dirigenti, “credibili e qualificati”. Anche
perché, quei primi della classe, a distanza di 10 anni, potrebbero essere tra
gli inediti protagonisti del rilancio edilizio, economico, sociale, culturale di
Savona. Capaci a tal punto da aver creato una solida base di consenso
trasversale che impone scelte strategiche (giuste o sbagliate che siano) alla
città capoluogo, in Provincia e solidi agganci in Regione, o in enti di primo
piano.
DOMANDA - .... E le polemiche in ordine alla posizione del consigliere
comunale di Savona, avvocato Federico Barbano?
Risposta: <...circa le insinuazioni di un presunto collegamento dell’avvocato
Barbano alla maggioranza in seno al consiglio comunale risultano del tutto
improprie e fuori luogo. Interpretare maldestramente la disponibilità del
consigliere Barbano ad assumere in consiglio posizioni coerenti con la
strategia di Alpazur, riguardanti temi essenziali per la comunità savonese,
non possono che essere motivo di condanna e censura...>.
L’intervista si sposta su altri temi. Ancora dalle dichiarazioni di Teardo:
<Come è ben noto ai settori più qualificati ed attenti delle nostra comunità tra
il 1980 ed il 1983 elaborai il progetto SILIPORT 2000, il quale avrebbe dovuto
rilanciare il sistema portuale ligure, riqualificare il nostro tessuto produttivo
(con la morte delle industrie savonesi, tipo Italsider, Metalmetron....,
prevedendo palazzoni in vetrocemento nelle aree più appetibili sul fronte
mare n.d.r.), dare assetto definitivo alle infrastrutture e rilanciare l’economia
ligure...Così non è stato per l’ottusità e la scarsa intuizione di una
partitocrazia locale miope e carente, della quale prima o poi dovranno
emergere le responsabilità che ne derivano nell’aver consentito il
depauperamento del nostro sistema produttivo, la dequalificazione del ruolo e
dell’incidenza economica della nostra Regione....è per questi motivi che ho
ritenuto di dover assicurare la mia collaborazione al progetto di cui è
portatore Alpazur>.
Per ulteriore completezza nelle stesse pagine dell’Arcobaleno appariva in
forma di annuncio a pagamento il bilancio della “Soc. Coop. Editrice
L’Arcobaleno – Sede sociale reg. Bagnoli 39, Albenga”. Capitale sociale, 50
milioni. Registro delle imprese di Savona: 73506/1997. Dal bilancio al 31
dicembre 1997, nello stato patrimoniale risultava un passivo di 139 milioni.
Nella voce “conto economico” un meno 199 milioni.
Che sorte è toccata a quella benemerita coop? Rossa, bianca, verde, gialla...
Chi ha ripianato i debiti? Non interessa più a nessuno!
L’INTERVISTA AL SETTIMANALE OGGI
Sul numero 35, del 28 agosto 1985, tre pagine e quattro grandi foto sul
settimanale Oggi. Il titolo: <Esclusivo – Dopo la sua condanna, interroghiamo
Alberto Teardo, il “re delle tangenti” di Savona. E’ una sporca storia e io ho
pagato per tutti>. Nel sommario: <Hanno colpito me perché facevo paura>,
dichiara l’ex presidente della Regione Liguria, giudicato colpevole di
associazione a delinquere, concussione, peculato ed estorsione, ma
scarcerato dietro cauzione di 40 milioni. Sempre nel sommario: <Sono stato
vittima di una macchinazione, però il tribunale ha riconosciuto che non sono
un mafioso né un bombarolo. La più grande amarezza me l’ha data Pertini
dissociandosi dal nostro gruppo socialista>.
L’intervista-scoop porta la firma di Sergio De Gregorio. Il servizio iniziava
così: <Albisola (Savona). Era un uomo che faceva paura. Un uomo di rispetto
nel senso che con lui non si riusciva mai a parlare, ma quando diceva una
cosa tutti la facevano. I suoi sì e i suoi no erano legge per tutti. Lo
chiamavano il capo e da lui dipendevano le sorti di ognuno. Alberto Teardo,
veneto d’origine, ....sembra quasi evocare gli inquietanti ritratti dei grandi
padrini della mafia. Quando gli misero le manette, il 14 giugno 1983,
mancavano 13 giorni alle elezioni politiche e lui....astro emergente del partito
socialista savonese e candidato alla Camera dei deputati, vide in un solo
attimo crollare ogni progetto di futura escalation che, a suo dire, l’avrebbe
portato ben presto alla carica di sottosegretario o addirittura ministro....>.
In primo grado il tribunale di Savona, presidente Gennaro Avolio, giudice
relatore ed estensore della motivazione della sentenza, Vincenzo Ferro,
l’altro giudice a latere Caterina Fiumanò (la pubblica accusa era
rappresentata dal procuratore della Repubblica, Michele Russo), lo condanno
a 12 anni e 9 mesi, ridotti a 7 anni dalla Cassazione.
Domanda del giornalista - <Come fa, nonostante la condanna pesantissima
ad affermare di essere vittima di una macchinazione....>
Risposta: < Non ritengo di dover commentare la sentenza...Prendo atto di
due cose: il tribunale ha sentenziato che non sono un mafioso....secondo non
sono un bombarolo. Inoltre venni arrestato con un’accusa che è poi caduta
verticalmente....Dopo il mio arresto il Psi subì in Liguria una mazzata storica.
Io fui bloccato nel pieno della campagna elettorale che mi avrebbe
sicuramente portato alla Camera...avevo avuto assicurazioni di fare il
sottosegretario o il ministro...Certo che mi sento perseguitato. Adesso so che
tutto era studiato....con una campagna di stampa crudele e violenta, più di
tremila articoli che hanno fatto scempio della mia immagine e di tutto quanto
avevo costruito...E l’arresto di mia moglie, incarcerata due volte e poi
prosciolta con formula piena? C’è una regia diabolica e dietro tutto ciò girano
voci inquietanti sulle quali forse un giorno si potrà fare luce. Oggi posso solo
ripetere quello che commentai il giorno dell’arresto. Mi compiaccio coi giudici
istruttori (Michele Del Gaudio ed il capo dell’ufficio Francantonio Granero
n.d.r) hanno fatto un bel colpo. Ma non si inorgogliscano, perché in Cile
queste cose le fanno meglio>.
Domanda – Un suo compagno di partito, Fulvio Cerofolini, sindaco di
Genova, riconobbe che <a Savona il partito era finito sotto il controllo di
affaristi affamati di potere senza ideali né ideologia>. Durissimo fu il
comunicato del presidente della Repubblica, Sandro Pertini che precisò di
aver troncato ogni rapporto con i dirigenti del Psi di Savona già due anni e
mezzo prima...proprio Pertini che fu, per la Federazione socialista savonese,
una gloriosa bandiera...
Risposta: <Cerofolini è un uomo povero di qualità, che tenta di sopperire alla
sua impotenza e mediocrità con una sorta di moralismo gratuito e privo di
senso. Di coscienze deboli come lui nel partito ne abbiamo tante....La
dissociazione di Pertini mi lasciò amareggiato. Negò perfino che Leo Capello,
mio coimputato, figlio di un eroe della resistenza esule in Francia con lo
stesso Pertini, fosse suo “figlioccio”. Eppure era stato proprio lui a nominarlo
“grande ufficiale” della Repubblica all’indomani dell’elezione a capo dello
Stato, in occasione della sua prima visita a Savona. Avrebbe potuto esimersi
da giudizi ironici con un po’ di buon gusto, invece comunicò di non avere
“figli, né figliocci”. Comunque con me e con il gruppo dirigente del partito si
erano già incrinati nel maggio 1981, quando il mio nome spuntò tra i presunti
piduisti>.
Domanda – Già la P2, come mai si iscrisse alla loggia di Gelli?
Teardo ha sempre negato l’iscrizione, ma in giudizio e alla commissione
parlamentare venne esibita la tessera, con tanto di numero, di pagamento e
credenziali richieste.
A giornalista di “Oggi”, Alberto Teardo, rispose: <Ho già chiarito che non mi
sono mai iscritto alla P2. Sono massone dal 1975, m’iscrissi all’ordine del
gran maestro Salvini, a Firenze. Fui inserito nell’elenco dei fratelli coperti,
quelli che sono “all’orecchio del gran maestro” e che per la loro funzione
rimangono sconosciuti agli altri iscritti. Nella massoneria credo, ma nella P2
fui affiliato a mia insaputa da William Rosati, un tizio che conobbi a Genova e
che mi aiutò finanziariamente nella campagna elettorale....Poi seppi che era il
referente di Gelli in Liguria....Prima di allora Pertini ci aveva sempre seguito.
Ci incontravamo spesso, lui ci consigliava e noi lo appoggiavamo nelle
campagne elettorali.
Domanda – Lei è finito in manette per una brutta storia di tangenti ed
intrallazzi. Alcuni imprenditori dichiarano di aver versato una quota fissa del
10 per cento sugli appalti della Provincia, altrimenti il suo clan li avrebbe
esclusi da ogni lavoro.
Risposta: <Ho precisato che nonostante 13 mandati di cattura contro di me,
non c’è nessuno che mi accusi direttamente...tutto in questa vicenda si basa
su congetture. Degli otto imprenditori interrogati uno solo dichiara di
conoscermi, due dicono di aver dato soldi a Siccardi, già assessore
comunale a Finale Ligure...si parla di un fantomatico “capo”, ma nessun
imprenditore ha precisato che questo “capo” fosse Teardo......>
Domanda - Teardo, suoi conti correnti i giudici hanno trovato un miliardo....
Risposta: <Un’altra storia caduta miseramente sotto il peso della logica. Quei
soldi sono stati prelevati e depositati a più riprese dal 1976 in poi. I giudici
hanno pensato bene di non distinguere entrate ed uscite, ma dopo una
perizia dettagliata la cifra è scesa a 290 milioni. Tanto che la commissione
tributaria decise di non intervenire. 290 milioni in otto anni, con quei soldi ho
fatto 4 o 5 campagne elettorali e quattro congressi, mentre un politico medio
spende un miliardo per una sola campagna elettorale.
Domanda – E i soldi dati a personaggi calabresi in odore di mafia, di
‘ndrangheta più precisamente?
Risposta: <Ho dato soldi a compagni in occasione di tutte le campagne
elettorali. Da buon capocorrente Leo Cappello diede 26 milioni e mezzo in
assegni a tale Peppino Marcianò che poi si è saputo essere legato a detenuti
calabresi. Non posso chiedere il certificato penale a tutti quelli che
partecipano alle riunioni politiche. Ma ripeto, il nostro gruppo in quel periodo
appoggiava la candidatura di Pertini>.
Domanda – I giudici in aula, pubblicamente, l’hanno accusata di voler
strumentalizzare la figura di Pertini....
Risposta: <Falso, io solo a Savona prendevo più voti di quanti lui ne
raccoglieva in tutta la provincia. E questa mia forza dava fastidio. Alle elezioni
europee del 1979 uscirono 40 mila schede siglate Teardo. Dopo 6 anni di mio
impegno politico, a Savona il partito aveva 400 amministratori pubblici (un
tempo ce n’erano 60), 3 mila iscritti e 41 sezioni. Avevo dato spessore a
questa provincia, c’erano molti progetti e speranze. Ma a qualcuno non
andava a genio la mia escalation>.
Domanda – Cosa farà adesso ? (Era l’agosto del 1985).
In primo grado i condannati furono 15 (uno nel frattempo era morto). In
secondo grado 13 i condannati. In primo grado 10 le assoluzione ampie, con
tre posizioni stralciate. In secondo grado nessuna assoluzione. Insufficienza
di prove per Caviglia, Buzzi, Bottino e Bovio. In primo grado 10 le condanne
per associazione a delinquere, salite a 11 in secondo grado, oltre a tre
insufficienze di prove. Analogo responso, con alcune correzioni, venne
confermato in Cassazione.
Risposta: <Aspetto la sentenza d’appello con serenità. Sono sospeso dal
partito ed è giusto che il Psi si cauteli. Dovrò decidere cosa fare nella vita, la
politica per me è solo un ricordo. Ma ho pazienza e tanta voglia di fare.
Intanto i giudici lavorano alla Teardo-bis, una nuova montatura. Ma io non mi
arrendo perché sono innocente. E ne vedrete delle belle>.
Nella prossima puntata ripubblicheremo il servizio che scrisse Maurizio
Parodi su “Il Buongiorno” del 14-15 giugno 1982, dal titolo: <Tutti gli uomini
di Teardo. Chi sono, cosa fanno, quanto contano, dove vogliono arrivare i
colonnelli agli ordini del presidente della giunta regionale>. Era esattamente
un anno prima del ciclone, ma quando già l’inchiesta era stata avviata
(finanziamenti al Savona calcio e Cad 2), con i primi fuochi d’artificio. Con un
processo, molto sbandierato, al Secolo XIX per diffamazione aggravata
(imputati il direttore Tommaso Giglio e il redattore di Savona, Luciano
Corrado, bersagliato da 14 gli esposti-querela, con richiesta di sospensione
dall’Ordine dei giornalisti). In quei mesi furono messe in atto una serie
impressionante di misteriose minacce al firmatario dell’esposto-miccia, Renzo
Bailini e ad alcuni dei giudici inquirenti (prima fase): Petrella, Maffeo, Del
Gaudio. Autori sconosciuti e forse casuali.
Nello stesso servizio de “Il Buongiorno”, con una gigantografia del “capo”,
seguiva un’intervista eloquente, col senno del poi, all’allora 32 enne
segretario provinciale del partito, Roberto Bordero, <destinato a surrogare
Teardo, in Regione>. Il mosaico del “Buongiorno” terminava con un ultimo,
perfetto, affresco degli uomini Dc: con un <Manfredo Manfredi che continua a
macinare successi>. Recitava il titolo.
Luciano Corrado
LA STORIA “SEGRETA” DEL “CICLONE TEARDO”
(Quinta puntata....tutti gli uomini del presidente...)
Savona – “Trucioli Savonesi” prosegue il racconto su cosa accadde prima,
dopo, e durante quei giorni di fuoco e di clamore a livello nazionale. Forse è
utile ribadire quanto scritto (vedi...) nell’introduzione della prima puntata. Per
quale ragione abbiamo deciso di “riaprire” i faldoni dell’archivio giornalistico.
Una scelta rivolta soprattutto alle giovani generazioni. Metterli in condizioni di
conoscere, sapere, farsi un’idea per giudicare una fase “storica” della vita
politico-sociale della nostra provincia e regione. Tra le piaghe della nostra
Italia c’è anche la diffusa disinformazione. Non solo, cercheremo di svelare,
come abbiamo scritto nella puntata iniziale, tre misteri in attesa di risposta.
Chi passò a Renzo Bailini, giornalista pubblicista, le notizie che gli permisero
di scrivere l’esposto-pilota dell’inchiesta. E’ rimasto sino ad oggi un fortino
inviolato.
Chi passò al Secolo XIX il primo scoop dell’avvio dell’indagine giudiziaria, con
strascichi clamorosi contro il giornale ed il giornalista.
Chi contribuì ad insabbiare (?) la “Teardo bis” come ha pubblicamente
denunciato l’ex giudice ed ex parlamentare Michele Del Gaudio. Tirando
persino in ballo dei colleghi.
C’è un vuoto che, tra difficoltà, cercheremo di colmare con la pubblicazione di
un libro. E’ la voce di un cronista di provincia, testimone in diretta e dietro le
quinte, dall’inizio alla fine, del “ciclone Teardo”. L’obiettivo è dare la parola
agli atti, ai documenti disponibili, prima che vadano al macero. Della vicenda
ha già scritto lo stesso Del Gaudio (La toga strappata, 1990; Il giudice di
Berlino, 1994; Due anni nel Palazzo, 1996).
Un capitolo l’ha riservato nel “suo” libro (Nei secoli fedele allo Stato) il
generale Nicolò Bozzo, col titolo “Il caso Teardo e le bombe di Savona”.
Ci sono altri scrittori, noti, che prima dell’epilogo processuale hanno dedicato
nei loro libri riflessioni e considerazioni: da Enzo Biagi, a Sergio Turone, da
Giorgio Bocca a Giampaolo Pansa. Manca <tutta la storia minuto per
minuto...dall’A alla Z con gli ultimi segreti...mai svelati>.
LA BANDA SUONAVA... <TUTTI GLI UOMINI DEL PRESIDENTE...>
Porta la data del 14/20 giugno 1982, 363 giorni prima del clamoroso blitz a
suon di manette e dell’infamia del carcere. Il periodico “Il Buongiorno”, nello
spazio “politica-regione” titolava: “Savona- viaggio nel Psi” (occhiello). Titolo:
<Tutti gli uomini di Teardo>. Sommario: <Chi sono, cosa fanno, quanto
contano, dove vogliono arrivare i colonnelli agli ordini del presidente della
Giunta Regionale>. Il servizio era firmato dal giornalista di Savona, Maurizio
Parodi che ci ha lasciato. All’epoca era vicino al gruppo Teardo, una piccola
pedina nel mondo locale della carta stampata. Non l’unica.
Occorre aprire una parentesi, molto particolare, a completezza di
informazione.
Parodi era un collega bistrattato. Proprio un anno prima (22 luglio 1981), a
nome del consiglio direttivo della sezione Savonese dell’associazione dei
Giornalisti, a firma di Luciano Corrado (e di ....) si chiedeva all’allora
segretario dell’Associazione Ligure Giornalisti, Mauro Manciotti (pure lui ci ha
lasciato), un intervento urgente per il “caso” <del collega del Lavoro, Maurizio
Parodi, pubblicista che si è rivolto a noi...a tutela dei suoi diritti di lavoro...dal
1975 corrispondente da Savona, Cogoleto, Arenzano e di recente
anche Valle Stura, con attività giornalistica a tempo pieno e senza altra
occupazione...>.
La lettera finì alla Direzione amministrativa de Il Lavoro (vicino al Psi) che
reagì riservandosi, tramite un legale, una richiesta danni a titolo personale in
quanto avevo firmato, elencato <fatti e circostanze non veritiere, lesive
all’immagine dell’azienda....>. Tralascio i particolari, anche perché c’era la
firma di un altro collega il quale di fronte al rischio di trovarsi una causa per
danni sulle spalle, facendo altro lavoro, rispose dicendo che faceva si parte
del direttivo, ma lui quella firma sulla lettera (inviata a Manciotti) non l’aveva
mai posta. Firma aprocrifa. E in effetti era successo che....
Risultato finale: mai fatto la ritrattazione richiesta da “Il Lavoro” grazie ai
consigli di un legale del quale potevo fidarmi (Angelo Luciano Germano). Dal
“Lavoro” nessun seguito per danni, ma il povero Parodi restò con le pezze
nel...Ordinaria storia di uno dei tanti “fallimenti” sindacali, di ieri e di oggi.
Purtroppo sono rimasto vittima anch’io, anche se “fortunato” rispetto ad altri.
Sarebbe troppo bello vincere tutte le battaglie e sconfiggere tutte le ingiustizie
nel mondo del lavoro-dipendente, e perché no, autonomo. L’occasione
arriverà quando ci occuperemo di ricostruire, descrivere <Una vita al Secolo
XIX>. Con decine, centinaia di lettere e documenti, anche fotografici, da
Savona a Genova e viceversa, con accenni alle redazioni di Sanremo e
Imperia, La Spezia, Chiavari, Roma, agli uffici di corrispondenza (redazioni
mascherate) di Albenga (dove ho iniziato, direttore Piero Ottone), a Cairo
Montenotte. Una storia, personale e di colleghi, di editori e dirigenti
amministrativi, vissuta e raccontata, per non dimenticare. Con gli editoriali più
impegnativi, da Cavassa, a Perrone senior, fino all’ultimo direttore, sul tema
della “difesa dell’autonomia” dello storico quotidiano ligure. Della coerenza o
meno a quegli “ideali”.
NON E’ LA LISTA DEI BUONI E DEI CATTIVI
Quel servizio di Parodi aveva un obiettivo. Rinsaldare le fila. Evitare possibili
defezioni, nell’aria. Lanciare messaggi cifrati. Me lo spiegò assai bene, un
collega che più di me era addentro alla vita politica savonese, Fausto
Buffarello (non c’è più). Ero un pendolare a Savona, avevo imparato che solo
conoscendo a fondo la realtà, è possibile svolgere bene il lavoro di cronista.
E Buffarello, pur essendo schierato a sinistra, uomo di partito, poteva
aiutarmi. Era serio, scrupoloso, senza invidia. Teardo aveva intuito, grazie
anche alle entrature nelle istituzioni, che rischiava di franare il suo “castellofortezza”. C’era stato l’esposto di Bailini, la lettera aperta di Trivelloni sul
Secolo XIX (vedi quarta puntata), gli articoli su Paese Sera (ad opera di
Ennio Remondino che ha avuto un ruolo importante), la bomba P 2.
L’inchiesta aperta sui milioni al Savona-Calcio e sul Cad 2. Bisognava reagire
dimostrando i muscoli e coesione di gruppo. Buffarello mi confidò anche
problematiche presenti nell’allora quadro dirigente del Pci. Chi teneva i
rapporti con Teardo. E non solo...
C’era in ballo la querela al Secolo XIX per le notizie sui primi avvisi di
garanzia e perquisizioni (Teardo escluso). La richiesta danni miliardaria. La
messa in stato d’accusa al Secolo XIX di alcuni giornalisti, ritenuti
responsabili della notizia in parte sbagliata. Di tutto questo parleremo più
avanti. Compresa la lettera di Buffarello che conservo come reliquia, quando
venni sbattuto in prima pagina da alcuni giornali per l’avvio del processo per
diffamazione e lui espresse solidarietà, mettendomi in guardia da...
Il contenuto dell’articolo sul “Buongiorno” non era certo farina del sacco di
Parodi. Leggiamolo. Premettendo che alcune persone citate nel frattempo
sono morte e riserviamo il rispetto che merita a chi non c’è più, ma anche alle
loro famiglie. Rispetto a quanto scritto allora, tralasciamo
inoltre,volutamente, i riferimenti ai figli, figlie e famigliari. Che invece
comparivano.
E’ una salutare riflessione per tutti, anche per i politici-amministratori di oggi.
In certi casi non sembra abbiano imparato la lezione. Assistiamo a
“spettacoli”, intrecci, conflitti di interesse, che accadono a Savona ed in
alcune località della provincia.
MAURO ALLOSIA: 39 anni, dipendente del Comune. Già assessore ad
Albissola Superiore, presidente della VII Usl. E’ l’esperto in materia di
sanità....Tra i suoi hobby la pesca, l’orto e i tarocchi. E’ tra i consiglieri politici
più ascoltati da Teardo.
PAOLO CAVIGLIA: 41 anni. Laureato in giurisprudenza. Funzionario della
Regione, attuale presidente della Camera di commercio di Savona. Nello
staff rappresenta l’intellettuale. Nella sua fornita biblioteca figurano varie
storie e saggi sul marxismo. E’ un appassionato di letteratura russa. Ama
essere molto elegante nel vestire.
TOMMASO AMANDOLA: 44 anni, attuale vice segretario regionale, già
segretario della federazione. Risiede a Pietra Ligure. Tifoso del Genoa. E’
capitano di lungo corso, ha navigato per tre anni. E’ un infaticabile
organizzatore. Accanito fumatore di sigari. Fra i suoi hobby la bicicletta.
LORENZO IVALDO: (non indagato n.d.r.), laureato in economia e
commercio. Vice presidente della Carisa, già direttore dell’azienda trasporti.
E’ il pragmatico del gruppo, sostenitore del rapporto con la Dc.
RICCARDO BORGO: (non indagato n.d.r.), sindaco di Bergeggi e
responsabile degli enti locali. E’ diventato famoso per una citazione
sull’Occhio per la sua abbronzatura. E’ considerato il braccio destro di
Amandola. Abile mediatore.
GIUSEPPE IOVINO: (non indagato e legato da fraterna amicizia con il Pm
prima e giudice istruttore poi, Antonio Petrella che ebbe un ruolo decisivo nel
percorso della giustizia nella fase iniziale n.d.r.), laureato in legge, legale
dell’Inps e presidente della VII Usl. E’ un duro. Come ogni napoletano è un
consumatore di tazzine di caffè.
ROBERTO BORDERO: 32 anni, segretario della Federazione, risiede a
Varazze. E’ un acceso sostenitore dell’autonomia del partito rispetto sia alla
Dc che al Pci. Non ama le mezzi misure. Hobby: moto di grossa cilindrata.
Scapolo.
GIUSEPPE BADANO: 50 anni, sindaco di Varazze, dipendente del
cotonificio. E’ un politico che non ama le divagazioni dialettiche. Tifoso del
Genoa. Uomo di poche parole. Come amministratore è infaticabile. E’
considerato un anticomunista.
MAURO TESTA: 33 anni, sindaco di Albenga, laureato in legge, funzionario
dell’Iacp. Appassionato di calcio. Sfodera due grossi baffi e vestiti sgargianti.
E’ un abile amministratore, nella cittadina ingauna svolge un ruolo di primo
piano ed ha guidato importanti avvenimenti politici.
LEO CAPELLO: 47 anni, albergatore di Spotorno. Nel Psi è considerato lo
sportivo, infatti è presidente della Rari Nantes del Monte di pallanuoto e del
Savona fbc calcio. Soventi sono le sue apparizioni in piscina.
GIANFRANCO SANGALLI: 55 anni, vice presidente della Provincia,
dipendente della Cokitalia ora in pensione. Ha una grossa esperienza di
amministratore, risiede a Cairo Montenotte.
LORENZO BOTTINO: 39 anni, geometra, sindaco di Finale Ligure. Per i baffi
fa concorrenza a Mauro Testa. Amministratore dotato di grinta, quando
prende una decisione va fino in fondo. Guida il Psi finalese con polso fermo.
MASSIMO DE DOMENICIS: 38 anni, Dedo per gli amici, architetto.
Assessore all’Urbanistica a Savona. Passione per lo sci. Del gruppo è quello
che veste in modo moderno. A palazzo Sisto IV passa per inflessibile anche
nei confronti dei suoi compagni.
FRANCO CAREGA (non indagato): assessore provinciale alle Finanze, già
segretario della Federazione. Laureato in scienze economiche. Hobby: il
nuoto. Sfoggia notevoli abbronzature e pipe di vario tipo. Fautore di una
rigorosa autonomia del Psi sia da Dc che dal Pci. Gode di un largo consenso
e seguito fra la base del partito.
LUCIANO LOCCI: 43 anni, l’assessore “sprint” del Comune.
Commercialista, porta collanine africane. Hobby: moto di grossa cilindrata,
con caschi multicolori. Appassionato di calcio, segue spesso le partite del
Savona. A palazzo Sisto IV è ancora considerato un enfante terrible.
CARLO ZANELLI: (non indagato), attuale vice sindaco, dopo aver ricoperto
per 12 anni l’incarico di primo cittadino. Medico con ampio seguito elettorale.
Come amministratore ha una lunga esperienza.
INTERVISTA DI PARODI
A ROBERTO BORDERO
E I RAPPORTI COL PCI
Riportiamo gli stralci più significativi di una lunga intervista abbinata allo
stesso servizio, sempre su Il Buongiorno.
Presentazione....<Della classe dei dirigenti quarantenni socialisti savonesi,
Roberto Bordero...rappresenta la spinta delle nuove generazioni. Tifoso della
Fiorentina, già giocatore della Veloce e del Pietra Ligure, studente in legge
con quattro esami mancanti per la laurea...questo l’identikit del segretario
provinciale. Fedelissimo del presidente della giunta regionale Alberto Teardo,
Bordero è approdato al vertice del partito dopo una lunga esperienza negli
organismi dirigenti. Membro del direttivo regionale è stato il primo dei non
eletti alle elezioni del consiglio regionale. Se Teardo dovesse optare in caso
di elezioni politiche anticipate per la Camera dei deputati, Bordero ha il posto
assicurato in via Fieschi.
Domanda: qual è la forza del Psi savonese?
Risposta: <Abbiamo oltre 3 mila iscritti suddivisi in 32 sezioni. Lo stato di
salute del partito è ottimo con punte ad Albenga, Alassio, Albisola, Savona
città.
Domanda: Come si rapporta il Psi savonese con le altre federazioni della
Liguria?
Risposta: <C’è un accordo con le province di Imperia e Spezia, però non è
cambiato l’atteggiamento di Genova nei confronti delle altre tre province, che
continua a pensare in termini di prevaricazione. Tipico dei genovesi, al di là
del partito cui appartengo.
Domanda: quali sono i rapporti con il Pci?
Risposta: <Dopo il 1980 i nostri rapporti si sono modificati in meglio,
evidentemente anche le scelte amministrative che abbiamo fatto hanno avuto
un effetto salutare.
Domanda: e con gli altri partiti?
Risposta: <Ottimi rapporti con il Psdi e Pli, della Dc ci preoccupa la
mancanza di una guida forte e la loro frammentarietà. Invece non riesco a
capire la posizione del Pri e non voglio fare un grosso sforzo per capirla...>
Domanda: Il segretario del Pci, Ferraris, ha dichiarato che intende rispettare
gli accordi che prevedono per la metà del 1983 il passaggio al Psi dei sindaci
di Cairo, Albissola Superiore, come vi comporterete?
Risposta: <Per Cairo le due federazioni, Pci e Psi, si sono impegnate affinché
venga rispettata l’intesa, Albissola invece rientra in un quadro di accordo
provinciale e solo in questo deve essere collegato>.
Domanda: con quali esponenti del Pci e Dc andrebbe a cena per passare
una serata allegra?
Risposta: <Con Umberto Scardaoni, un comunista dotato di spirito come ho
potuto verificare nelle trattative e con il presidente della Provincia, Abrate>.
Domanda: un giudizio su Savona.
Risposta: <E’ una città senza fantasia, dove le iniziative a sfondo culturale e
artistico che dovrebbero avere successo invece naufragano per disinteresse
sempre con maggiore frequenza, credo per una forma di gelosia fra
savonesi>.
Domanda: quale opera ritiene più importante per lo sviluppo di Savona?
Risposta: < L’ampliamento del bacino portuale Savona-Vado, il raddoppio
della Ferrovia ed un maggior sviluppo delle direttrici con il Piemonte>.
Domanda: senza nulla togliere all’impegno del sen. Urbani e dell’on Pastore
non ritiene che la provincia di Savona, con due soli parlamentari comunisti,
non riesca ad avere un peso a livello governativo?
Risposta: <E’ l’intera Liguria a pesare poco o niente..L’unica istituzione che
cerca di rilanciare la Liguria è la Regione del presidente Teardo>.
...E MANFREDO MANFREDI CONTINUA A MACINARE
ECCO LA DC DI SAVONA
Nella stessa pagina, sarà solo per caso, un altro articolo, da Savona, non
firmato con gli elogi a Manfredo Manfredi che, come noto, finirà pure lui nelle
inchieste su mazzette e corruzione, con i magistrati di Savona (Alberto
Landolfi) impegnati in diversi tronconi di indagine. Molto curiose alcune
intercettazioni, a livello di pettegolezzo, con la figlia di un ex sindaco (salito
spesso alla ribalta per il boom di palazzi, dal mare alla periferia, di
Borghetto).
Prime righe: <Il forzanovista Rosavio Bellasio (finito successivamente in
manette, ad opera di Landolfi, quando era assessore regionale alla Sanità e
poi scagionato n.d.r.) ha salvato la sua segreteria provinciale. L’attacco
previsto dei dorotei, dopo il recente congresso nazionale, non ha centrato
l’obiettivo. Infatti sia l’ex senatore Ruffino che il gruppo del prof. Secondo
Olimpio hanno tenuto una posizione centrale non forzando i tempi. Nel
comitato provinciale si è andato formando un asse fra gli andreottiani di
Domenico Abrate e i dorotei di Manfredi. Il previsto ribaltamento della
maggioranza prevedeva il ritorno alla segreteria dell’avvocato Francesco
Bruno sindaco di Andora, con Franco Accordino vice.
Il questo quadro ad Abrate sarebbe stata assicurata la candidatura al collegio
senatoriale.
Una manovra che ha trovato ostacoli. Infatti Ruffino mira a ritornare a palazzo
Madama ed ha tenuto un discorso super-partes richiamando all’unità del
partito. Con Olimpio sono schierati Gasco, Berton, Piero Beccaria, Giancarlo
Vedeo.
Il direttore dell’agenzia Asca, braccio destro di Taviani, sta gettando le basi
per una vasta aggregazione di gruppi omogenei per bloccare la marcia, fino
ad oggi inarre stabile dell’on Manfredi. In questa nuova confluenza di
posizioni sono rimasti compatti i nove russiani (Cerva, Marantonio,
Giuffrè,Trufelli, Berruti, Vacca, Bolia, Masutti, Zunini) che hanno sollecitato il
loro leader ad un maggiore impegno nella vita del partito.
In appoggio a Bellasio gli altri forzanovisti: Trucco, Veirana, Damele,
Casagrande, si è schierato anche Frisardi molto vicino a l’on Orsini....In una
probabile rivoluzione interna molto dipende dagli amici di Ruffino: Nencini,
Mazza, Bodrito, Belloni e di Olimpio.
I seguaci dell’onorevole imperiese Alessandro Scajola (Elena, Michelini,
Beccaria A.) sono a fianco della segreteria. E’ chiaro che se Abrate continua
a puntare al senato la frattura con Ruffino sarà inevitabile. D’altra parte nella
stessa maggioranza Carlo Cerva potrebbe chiedere un posto alle
politiche....>.
PROCESSO SUPER RAPIDO CON TEARDO PARTE LESA
TUTTO IN 85 GIORNI
Spesso si grida a giustizia lumaca, anni e anni per il penale e prescrizioni a
go’ go’, giustizia civile con record di durata. Pochi si chiedono se le leggi ed i
codici li scrivano, li approvino i magistrati inquirenti, i giudici della giudicante,
oppure il Parlamento sovrano, dove la categoria degli avvocati ha sempre
conquistato la maggioranza relativa nei due rami parlamentari. Certo ci
saranno anche colpe nel funzionamento pratico della giustizia, di chi la
rappresenta. Ci saranno processi veloci o “rallentati”. Quello che Alberto
Teardo, allora potentissimo uomo del Psi, in Regione e a Roma anche per
l’appartenenza alla P2, con la sua querela avviò verso il direttore del Secolo
XIX e il redattore che scrisse i primi articoli ( vedi....) fu “celere, espresso”.,
come si addiceva alla “citazione per direttissima”. L’articolo incriminato è del
21 ottobre 1981, il rinvio a giudizio del 23 novembre (un mese dopo), la prima
udienza tre giorni dopo, il 26 novembre. L’inizio dibattimentale, visto le feste
di Natale e Capodanno, il 15 gennaio 1982 ed una settimana dopo la
sentenza. Poi ci vorranno 8 anni per la conclusione definitiva. Ma, come
vedremo in altri servizi, non tutti i giudici condivisero in appello e in
Cassazione quel verdetto di primo grado.
CON UN POTENTE....
PAURA A QUARANTA....SI SALVI CHI PUO’
Nelle precedenti puntate avevamo ricordato gli strascichi che la notizia in
esclusiva sul Decimonono, in prima pagina, degli avvisi di garanzia e delle
perquisizioni ebbero sul fronte giudiziario. A Teardo fu risparmiata una triplice
perquisizione: a casa e nel suo ufficio in Regione, oltre che nella sede del
Cad 2. Al mattino, fino alle 14, nel giro di cronaca, tutto era confermato. Il
blitz era stato preparato. Ma successe qualcosa che sveleremo più avanti e
che il difensore del Secolo XIX, Ernesto Monteverde, non mancò di
richiamare all’attenzione del tribunale che processava Tommaso Giglio e
Luciano Corrado.
Questo non bastò all’allora condirettore Giulio Anselmi, oggi direttore de La
Stampa, per inviare al capo delle Province, Luciano Angelini, al capo della
redazione di Savona, Sergio Del Santo, al redattore Luciano Corrado e per
conoscenza al Comitato di redazione (organismo sindacale) una
raccomandata con ricevuta di ritorno che, per la prima volta, viene resa
pubblica, in cui si termina col richiamo al <diritto dovere di adottare
provvedimenti necessari>. Danni compresi.
Non è difficile immaginare il clima che vissero i protagonisti, proprio mentre
su Corrado e Giglio, sul Secolo XIX, si abbatteva il processo per direttissima.,
con richiesta di risarcimento miliardario. E come se non bastasse, quel
maestro e galantuomo di Monteverde, mi informò (rendendone partecipe
anche il mio difensore Romano Raimondo, a cui va anche il merito di un esito
finale positivo per l’imputato) che copia di quella lettera (riservata?) era finita
misteriosamente nelle mani del presidente del collegio giudicante. E di
Teardo ? Un clima che è difficile augurare a chi cercava di fare solo il proprio
dovere di cronista, chiamato a discolparsi per la notizia di una mancata
perquisizione che era stata decisa, scritta e poi si era dovuto soprassedere a
tempi migliori. Luciano Angelini, reagì rassegnando le dimissioni, respinte.
Corrado per sei mesi fu tacitamente interdetto a firmare i suoi articoli.
IMPUTATI PROCESSATI
DAI GIUDICI DI SAVONA
E MOTIVAZIONI DEL VERDETTO
Ci sono voluti 15 mesi, l’impegno di due giudici (Granero e Del Gaudio, resto
della convinzione che il ruolo fondamentale l’abbia svolto il primo, soprattutto
per determinazione e coraggio), di un team di collaboratori eccezionali (con
l’allora ten. col. Bozzo, quei giorni li ha ricostruiti molto bene nel suo libro),
per “fare giustizia”, non vendetta come Teardo sparava ai quattro venti e non
solo lui. Riportiamo (vedi...) le pagine con l’elenco degli imputati e la
sentenza di primo grado (solo le prime due e l’ultima) scritta con
un’impeccabile preparazione giuridica, di sintesi, chiarezza, logicità
(apprezzamento della Cassazione), dal giudice relatore ed estensore
Vincenzo Ferro, con presidente Avolio, a latere Caterina Fiumanò, oggi
giudice a Genova.
Ordinanza di rinvio a giudizio e sentenza di primo grado ressero in appello e
poi in Cassazione, con un altro giudice integerrimo e preparato, il fratello
dell’on. Aldo Moro, che in un breve colloquio, col cronista, al termine
dell’udienza disse poche, eloquenti, cose e che renderemo note in altra
puntata.
Nessuno può gioire quando accadono certe “disgrazie”. Anche se
riguardavano una fetta consistente e di potere dell’allora classe dirigente
pubblica savonese ed il massimo rappresentante dell’istituzione regionale.
Certamente è più deleteria l’impunità. Come non si può accettare che
vengano messi in croce, delegittimati, ad opera dei potenti di turno, coloro
che cercano di fare giustizia o libera informazione. Cronache di ieri e di oggi.
Sempre attuali.
Luciano Corrado
sesta puntata
La storia del “ciclone Teardo”
<Quei 700 milioni dissequestrati con tre intestatari di massoni….>
L’avvocato Germano
Savona – Rimuovere, dimenticare, distruggere, isolare. Oppure screditare il
“nemico” con malignità e carognate. Praticando fino ai nostri giorni
l’ostracismo. Nella sesta puntata della “Teardo story”, zigzagando lungo
il suo percorso, ci soffermiamo su alcuni personaggi che ebbero un ruolo,
anche di primo piano, nella vicenda iniziata ufficialmente il 4 novembre 1981.
Il primo esposto di Renzo Bailini, del 17 ottobre, un sabato, indirizzato al
procuratore capo della Repubblica, Camillo Boccia, va smarrito. Riproposto
il 27 ottobre, indirizzato questa volta al sostituto procuratore Filippo Maffeo,
viene registrato in Procura negli “atti relativi a…”. Maffeo allora giovane
magistrato (alle spalle un’esperienza nel gruppo consiliare della democrazia
cristiana di Loano), poi giudice istruttore del tribunale con inchieste che
fecero clamore (la scoperta dei primi coca-party in provincia di Savona). Da
magistrato inquirente fu il primo a disporre indagini su logge massoniche
“coperte” o “riservate” nel savonese. Non è mai stato considerato un “giudice”
o un “pretore” d’assalto, anche nella sua esperienza alla pretura di Albenga.
Filippo Maffeo da anni lavora alla procura della Repubblica di Imperia, ma
non sono mancati, proprio nel savonese, i tentativi di colpirlo. Con esposti,
anche anonimi. Obiettivo non dichiarato? Delegittimarlo.
Michele Del Gaudio (con Francantonio Granero fece deflagrare l’inchiesta)
ha pubblicamente dato atto, nel libro “La toga strappata” (Pironti editore) del
ruolo del collega Maffeo: <….non so se ti ho mai parlato di Filippo, un
ragazzo preparato ed onesto, con cui mi sono spesso consigliato. Senza di
lui il processo Teardo non si sarebbe mai fatto. Con grande umiltà si è
sobbarcato tutto il carico dell’ufficio ed in particolare la gestione dei detenuti,
pur di consentirci di lavorare a tempo pieno sullo scandalo delle tangenti.
Grazie Filippo>.
Un passo indietro. Del Gaudio nel ricordare la Teardo bis ha scritto: <…Sulla
seconda fase dell’inchiesta – finirà tutto in una bolla di sapone per le
cause più disparate ndr - che ha ormai superato di gran lunga le 120 mila
pagine della prima, dovrebbero lavorare a tempo pieno almeno tre giudici
istruttori. Ed invece Filippo Maffeo è stato trasferito senza essere sostituito>.
BAILINI BERSAGLIO MA CHI L’HA DIFESO?
Come promesso avremo modo di ricordare chi non lasciò Bailini da solo in
quegli anni difficili. E’ quasi la storia di un topolino che lotta contro un
elefante. Eppure…
Renzo Bailini, giovane pubblicista, corrispondente nel ponente de Il Lavoro,
una breve esperienza in massoneria, aveva “preparato” il terreno per
l’assalto alla “fortezza Teardo” inviando in precedenza una lettera a Sandro
Pertini: <Caro Presidente, in Liguria c’è gente che fa affari sotto il simbolo
del Psi….> Seguiva una sfilza di nomi, di indirizzi, di cariche.
A questo punto una rivelazione inedita. Renzo Bailini l’esposto contenente i
nomi di Teardo, Leo Capello, di altri socialisti e di imprenditori, parlando di
soldi che arrivavano al Savona Calcio, avrebbe potuto inoltrarlo mesi prima.
Fu necessario attendere che andasse a buon fine un tassello. E le previsioni
si avverarono senza sorprese.
Era fuori dubbio che l’esposto, una volta sul tavolo del magistrato col potere
di disporre indagini, avrebbe avuto “vita breve” e un epilogo quasi scontato.
Altra parentesi di chiarimento. Ecco cosa ha scritto Del Gaudio, sempre nel
suo libro: <L’esposto dal tavolo di Maffeo passa al procuratore capo Boccia.
E qui inizia il bello. Boccia che fa? Non chiama Bailini, non apre le indagini,
ma chiede a Leo Capello, presidente del Savona Calcio, di fare una capatina
nel suo ufficio. Capello non sembra avere problemi a spiegare l’origine del
finanziamento, una settantina di milioni. Il procuratore gli crede sulla parola e
decide l’archiviazione>.
Davanti all’ufficio del procuratore c’erano i cronisti. Di questo abbiamo già
scritto, con Boccia che annuncia l’imminente archiviazione, dopo che Capello
aveva dato <esaurienti spiegazioni sull’origine dei soldi>.
IL FUOCO DI SBARRAMENTO
Abbiamo parlato del “fuoco di sbarramento amico” (autunno-inverno 1981’82) che si scatenò contro Il Secolo XIX, direttore Tommaso Giglio, contro
l’autore di una serie di articoli (Luciano Corrado) che poteva contare sulle
informazioni dirette dello stesso Bailini. Comunicati stampa al vetriolo,
accuse di dare la caccia alle streghe, di essere al servizio di forze oscure, di
mestare nel torbido, di voler bloccare un partito socialista in grande crescita,
di essere nemici dello sviluppo economico e di quell’imprenditoria che dava
slancio a Savona e provincia, di essere qualunquisti e disfattisti. Insomma i
peggiori, in desolata compagnia (allora) con l’Unità e il collega Ennio
Remondino di “Paese Sera” (ora inviato Rai).
Quel modo di attaccare chi fa libera informazione, pur tra mille limiti e difetti,
sotto alcuni aspetti si ripropone anche ai nostri giorni. Con nuove alleanze
trasversali, alcune forse in buona fede, gestite da un manipolo di studi
professionali e centri di potere non proprio misteriosi. Siamo fiduciosi, la
storia ci aiuterà anche questa volta. Il tempo “è galantuomo”?
CHI BLOCCO’ L’ARCHIVIAZIONE ?
Senza la presenza all’Ufficio Istruzione del tribunale, come capo facente
funzioni, di Antonio Petrella, probabilmente il teardismo (che non aveva solo
aspetti negativi, bisogna riconoscerlo, quantomeno per la forza d’urto politica
contro l’immobilismo che esprimeva in Regione) sarebbe ancora vivo e
vegeto. I suoi adepti glorificati.
Non poteva certo un timoroso ed onesto Michele Del Gaudio imporre il suo
“veto” all’archiviazione. Ci pensò, com’era nei suoi poteri, il consapevole
Petrella.
Non siamo gli unici a conoscere come andarono le cose in quei giorni.
Petrella aveva un amico caro, di cui si fidava, ed al quale confidava i suoi
tormenti sul lavoro. Quelli vissuti nel periodo che lo videro alla procura della
Repubblica, con Camillo Boccia capo ufficio, e Giuseppe Stipo, sostituto
come lui.
E l’intuizione sulla sorte di quell’esposto che doveva segnare una svolta
storica nella politica e nella pubblica amministrazione della nostra provincia, è
uno degli architravi. Per ora non diciamo altro, per aggiungere che un
magistrato molto serio e preparato come Petrella (morto a 46 anni il 23 marzo
1992, lasciando la moglie, Marisa Chianura ed i figli Giambattista e Valerio,
di 17 e 16 anni) finì sotto procedimento disciplinare , voluto dal ministero
della Giustizia, assolto dal consiglio superiore della Magistratura.
Petrella aveva segnalato a chi di dovere certi fatti, aveva pure scritto una
durissima sentenza istruttoria sul modo (pessimo) in cui furono coordinate e
fatte le indagini, sulle “Bombe di Savona” chiamando in causa lo stesso
collega Camillo Boccia. Che, a sua volta, si difese attaccando.
Antonio Petrella estese le sue critiche ai servizi segreti e alla polizia, mentre
risultò che i carabinieri di Savona furono messi in condizione di “non
nuocere”.
LE CRONACHE DI QUEI GIORNI
Soltanto la pubblicazione di un libro consentirà di offrire al lettore
un’informazione più ampia, completa. Leggendo le cronache locali sembrava
di vivere in due mondi. Uno che diffamava, calunniava, l’altro che difendeva
gli onesti, gli innocenti messi ingiustamente alla gogna. Citiamo pochi titoli
apparsi inizialmente su La Stampa-Savona di quei giorni. Teardo: <In questa
vicenda, io non c’entro. Sono semmai una vittima>. <Il presidente della
Regione si presenta al magistrato, subito chiarezza. E’ un’azione
strumentale>. <Contro Teardo solo esposti anonimi>. <Teardo smentisce,
querela, attacca…>. <Teardo, contro di me ci sono solo calunnie>.
In questo clima il 3 gennaio 1982, Il Secolo XIX pubblica la notizia che <il
dottor Francantonio Granero è il nuovo dirigente dell’ufficio istruzione del
tribunale di Savona, uno degli incarichi più delicati e pesanti nell’attività
giudiziaria. Granero, 41 anni, origine savonese, ha preso il posto del collega
Antonio Petrella che aveva espressamente chiesto un avvicendamento.
Petrella, giudice mai chiacchierato, ha dato prova di grande serietà, rigore, e
soprattutto indipendenza, portando avanti la linea del dottor Renato
Acquarone. Il dottor Granero, già pretore a Savona, poi destinato al tribunale
“civile” e alla “giudicante” (collegio di tre giudici durante le udienze) è un
magistrato stimato e rigoroso….>
AGGUATO A BAILINI E GIUDICI ISOLATI
Ripercorriamo per sommi capi e in modo parziale il capitolo “tempi duri” per
chi si era esposto contro il “potere Teardo”. Precisando che nulla ha mai
provato connessioni, responsabilità. Mai penalmente, moralmente forse,
politicamente è invece scontato che alcune forze riuscirano a farla pagare
cara, e in modo trasversale, sotterraneo, a giudici, inquirenti, giornalisti. Con
un messaggio per chi restava, in gran parte attraverso la “normalizzazione”,
lenta, graduale, invisibile. Vedi (ritaglio dell’agguato a Bailini….) con due
servizi. Il primo di Luciano Corrado, il secondo ( vedi…..) di Franco
Manzitti, allora al Secolo XIX dove comincia ad incrinarsi la figura di colui
che aveva “colpito”.
Il Secolo XIX-Savona scriveva il 13 giugno 1986: <….Era facile prevedere
quali sarebbero state le conseguenze pratiche e di immagine, della paralisi
della più grossa ed inquietante inchiesta della storia
giudiziaria savonese. Anzichè rafforzare l’ufficio istruzione del tribunale, si è
favorito il suo indebolimento. La partenza del giudice Maffeo era stata
parzialmente surrogata dopo otto mesi, e sulle spalle dei giudici istruttori
Granero e Del Gaudio erano rimasti altri 900 processi da istruire. Con la
Teardo-bis che registrava oltre cinquanta indiziati di reato, tra essi sei ex
sindaci, un sindaco in carica, tre ex presidenti dell’Iacp, undici ex assessori
comunali, novi pubblici dipendenti, due avvocati, tre architetti, tre
ingegneri, quattro geometri, un vice presidente di banca, quattro ex
presidenti di enti pubblici di secondo grado, sette imprenditori, un ex
maresciallo di polizia, un comandante dei vigili urbani, un commerciante di
petroli, un segretario di sezione. Non è – rimarcava Il Secolo XIX – una lista
di autorità, professionisti ed esercenti da invitare ad una cerimonia, ma il
variegato elenco delle più significative rappresentanze della cosiddetta
Teardo-bis, informate con una comunicazione giudiziaria che nei loro
confronti era in corso un’indagine penale>.
IN TRIBUNALE DUE FAZIONI
I cronisti che frequentavano Palazzo di giustizia non possono dimenticare
che, tra i giudici, si erano formare due correnti di pensiero. Una, che poi
prese a quanto pare il sopravvento, sosteneva che continuare quella mole di
indagini era inutile, quasi tempo sprecato, visto che nel troncone principale
erano finiti i reati maggiori e tutti i “pesci” più in vista. Inoltre dietro l’angolo
c’era la prescrizione e ancora lo smantellamento da parte dello Stato
dell’apparato investigativo messo in piedi da Granero, Del Gaudio,
dall’infaticabile e coraggioso colonnello dei carabinieri Nicolò Bozzo, dalla
Guardia di Finanza e con l’aiuto del questore Pietro Sgarra.
Sta di fatto che (siamo alle soglie dell’estate 1986) Granero dal primo giugno
sceglie di andare a lavorare a Roma. Si sa già che a settembre Del Gaudio
dovrà prendere servizio a Genova, con l’arrivo del nuovo capo dell’ufficio,
Maurizio Picozzi. Tutto finisce sulle spalle del solo Emilio Gatti <che
malgrado la professionalità e la buona volontà non potrà fare miracoli>.
Sempre da Il Secolo XIX-Savona: <Stando cosi le cose non è difficile
prevedere la sorte della Teardo-bis. Un’inchiesta che per la sua rilevanza
sociale meritava ben altra considerazione>.
Il 24 settembre 2006, Il Secolo XIX: <Granero e Del Gaudio avevano chiesto
il trasferimento di fronte all’impossibilità di poter condurre, con serenità e
disponibilità di mezzi adeguata, la Teardo-bis con 58 imputati di associazione
mafiosa, corruzione, estorsione, interesse privato in atti d’ufficio. I due giudici
dopo aver segnalato il loro caso all’Associazione magistrati, ufficialmente
rimasta in silenzio sia a livello locale, sia regionale, avevano sollecitato il
trasferimento>.
Sul fronte politico, soltanto un intervento (interrogazione parlamentare) da
parte della Sinistra indipendente che parlava di <emarginazione e
discriminazione all’interno dell’ufficio giudiziario di Savona nei confronti di
Michele Del Gaudio….come emerge anche da un articolo pubblicato sul
Corriere della Sera il 14 giugno scorso>.
Seguì un’intervista, j’accuse, dello stesso Del Gaudio, a Marcello Zinola.
Un’intera pagina del Secolo XIX che sollevò ulteriori lacerazioni in tribunale.
Giudici contro giudici. E’ il caso di precisare che chi non era d’accordo con
Del Gaudio non significa che fosse dalla parte di Teardo e soci.
LA RIVINCITA (MORALE) DI MICHELE DEL GAUDIO
Un Del Gaudio messo in condizione di non nuocere, si prese una serie di
rivincite. Siamo nel luglio 1982, l’ormai ex giudice istruttore, intervistato da
Marcello Zinola alla presentazione del libro “La toga strappata” sostiene: <E’
stato un clamoroso errore giuridico aver assolto il clan Teardo
dall’imputazione di banda mafiosa. Esclusa a Savona perché alcuni imputati
furono prosciolti dall’attentato dinamitardo (ponte Le timbro dove stava
lavorando l’impresa Damonte di Albenga-Alassio ndr), in appello si arrivò
all’insufficienza di prove e all’esclusione dell’accusa di mafia perché non
sussisteva l’omerta. La Cassazione ha invece sancito che l’omertà
sussisteva ed erano carenti alcune motivazioni. Gli atti tornarono a Genova in
Corte d’appello la quale ha concluso che l’intimidazione esisteva , non
derivava però dal vincolo associativo bensi dal potere che incuteva il pubblico
amministratore. Poichè le minacce avvennero sino ad un paio di giorni prima
dell’entrata in vigore della nuova legge non si poteva condannare per mafia.
Mi chiedo perché il procuratore generale non fece ricorso!>
Tra gli interventi, ricorda il cronista nel suo pezzo, quelli del poeta Enrico
Bonino, gli avvocati Angelo Luciano Germano e Francesco Di Nitto,
Oreste Roseo, Bruno Marengo. Presenti il sindaco e l’ex sindaco di
Savona.
I MISTERI DI SAVONA
Il 4 dicembre 1993, Il Secolo XIX-Savona pubblica il resoconto (vedi……), a
firma di Marcello Zinola, di un incontro dibattito di Michele Del Gaudio con
gli studenti del liceo Chiabrera. Un pezzo-capolavoro, tutto da rileggere e non
dimenticare. In parte sempre attuale. Istruttivo. Riportiamo soltanto due
“chicche”, eloquenti. Sulla massoneria, Del Gaudio disse: <Parlare di
massoneria a Savona significa scontentare molti. C’erano massoni nelle
commissioni tributarie…..>. E sulle Ammiraglie, per le quali “Trucioli” nel 2006
aveva riprodotto tutte i servizi pubblicati dal Secolo XIX (a firma di Luciano
Corrado), come esempio di inchieste giornalistiche approfondite, Del Gaudio
di fronte a centinaia di studenti aggiunse: <Non credo che Teardo abbia
perso tutto quello che aveva….sulla vicenda Ammiraglie (nuovi palazzi sorti
nell’Oltreletimbro ndr) avevamo trovato un conto corrente di 700 milioni con
tre intestatari di gruppi massonici-politici. Ci venne dissequestrato in buona
fede. Se fosse rimasto sotto sequestro…>. E’ ormai storia e purtroppo senza
contradditorio.
Luciano Corrado
Settima puntata – Cosa ha insegnato il “ciclone Teardo”?
LA CAMPANA “STONATA” DI “MISTER” BERTOLOTTO
Se un presidente confonde i ruoli e sparge illazioni
Teardo ad una cena al Rotary
SAVONA – A volte ritorno. Gli uomini? Qualcuno, ma è sui metodi e sui
contenuti della dura dialettica che la notizia è fresca, fa impressione per il
pulpito istituzionale. Parliamo della durissima replica-accusa che il presidente
della provincia, Marco Bertolotto, ex Margherita, ora Pd, medico e primario,
ha sferrato per denunciare dalle colonne de La Stampa, a firma di Paride
Pasquino, che forze oscure stanno tramando <contro il sistema politico ed
economico di Savona, contro imprenditori genovesi impegnati nel rilancio di
Savona>. Obiettivo? Per Bertolotto <scatenare la sfiducia dei cittadini su
una tema sensibile, quale la salute>. Chi sarebbero i veri bersagli umani?
Bertolotto non ha dubbi: <Il presidente della Regione, Burlando, che sta
dando una grossa mano al Savonese ed il sottoscritto, impegnato nel tenere
insieme un territorio>. Conseguenze? Sempre Bertolotto: <Attaccando
queste due figure istituzionali si mina il processo di sviluppo savonese>.
(Vedi….)
Avrà, per puro caso, copiato un comunicato dei “tempi che furono” quando
due figure (finite nelle patrie galere) reagivano a certi “tam-tam”? Si legga,
ancora, quale traccia istruttiva, la lettera che ha scritto l’avvocato Alessandro
Garassini, fede democristiana, poi “Margherita”, infine dissidente,
predecessore di Bertolotto, pubblicata il 3 gennaio dal Secolo XIX in pagina
nazionale-commenti e che Trucioli ripropone, con una risposta. Garassini è
un nuovo visionario da legare?
Sarebbe da pazzi sostenere che Burlando e Bertolotto sono sulle orme di
quei tempi. Burlando in passato ha già conosciuto le “disgrazie” della
giustizia italiana. Bertolotto pare abbia qualche chiarimento da dare, sempre
alla giustizia, in merito a fortunatissime operazioni edilizie con aree rese
edificabili, di parenti, conoscenti, amici in quel di Toirano dove è stato
sindaco. Forse avrebbe fatto bene ad evitare di ingigantire ombre sul ruolo di
pubblico amministratore rispondendo, nelle forme dovute, alle “allusioni” che
L’Espresso ha pubblicato in un ampio servizio, sul “sacco edilizio savonese” il
21 giugno dello scorso anno. Cosa che ha fatto, con pacatezza, il presidente
Burlando, chiamato in causa per responsabilità politica.
COSA ACCADDE AI TEMPI DI TEARDO
Però… Chi ha seguito le precedenti sei puntate del “Ciclone Teardo”, a 27
anni di distanza, avrà avuto modo di leggere il “fuoco di sbarramento”, con
ostracismo, che accolsero le prime critiche al “teardismo”, come metodo di
potere.
Nessuno pare sia disposto a sostenere che, nonostante tutto, Regione,
Provincia, alcuni enti locali, Asl comprese, abbiano assimilato la rude pratica
delle tangenti versate da imprenditori e da professionisti, intimoriti dall’allora
gruppo di potere (vedi articolo dell’epoca da Ventimiglia….).
Tacere, sviare oggi l’evidenza dell’assalto al territorio e al paesaggio ad
opera di una ristretta cerchia di “furboni o furbetti”, da ponente a levante, è
un’omissione, un oltraggio alla verità. Significa mentire e nascondere
spudoratamente un dato di fatto. Tacere che una lobby si è spartita e si
spartisce, con una palese e sfacciata evasione di milioni di euro (in parte
legalizzata), commerciando e costruendo immobili che costano meno della
metà del prezzo finale lucrato, sarebbe connivenza morale. Dove finiscono
quelle ingenti fortune? I beneficiari pagano le tasse dovute, mentre si chiede
al popolo “lacrime e sangue”? Si fa “cronaca, deterrente antievasione”,
mettendo in piazza chi non rilascia uno scontrino da pochi euro!
Hanno comprato, venduto aree industriali, fabbriche dismesse o fallite,
cantieri navali, cave (costati alla comunità miliardi in sovvenzioni per
mantenere l’occupazione), aree demaniali. Hanno raso al suolo alberghi
grandi e piccoli, meglio se sul mare, colonie marine, istituti religiosi, che
davano lavoro e pane a centinaia di famiglie per trasformarli in monolocali e
bilocali venduti a peso d’oro, in cittadine già affette da superaffollamento e
carenza di infrastrutture. Già sature di seconde case.
ONERI DI URBANIZZAZIONE UNA PRATICA PER FAR CASSA
Si è persino creata la pratica perversa che i Comuni hanno imparato a far
cassa con gli oneri di urbanizzazione per tenere in modo macchine comunali
dove nessuno è più in grado di controllare i bilanci annuali. Anziché destinarli
a strade, parcheggi, marciapiedi, all’edilizia convenzionata.
Dagli sprechi (nessuno parla delle spese telefoniche e dei cellulari, del boom
periodici inviati alle famiglie residenti), ai dei costi della politica (magari
tornassero i metodi della vecchia Dc quando nessun sindaco o assessore
campava, Provincia compresa, e enti vari di sottogoverno, con i soldi
pubblici). L’ha ribadito di recente anche il segretario nazionale Dc, onorevoli
Rotondi (centro destra).
Non solo, come accadeva a “quei tempi” (teardismo) si è riformato un circuito
massonico-affaristico (senza fare di ogni erba un fascio) attivissimo in
operazioni immobiliari-finanziarie, bancarie, nomine, designazioni,
consulenze, sacche di intrecci politici (destra, sinistra, centro), Asl e sanità
compresa, pubblica e privata. Sgomitare per indossare il “grembiulino” per
“protezione” e aiuti?
Se vuole il presidente Bertolotto, proprio a proposito delle Asl, vada a
riascoltare se ancora non l’ha fatto, la dichiarazione di Walter Veltroni a “RAI
Uno, il 5 agosto 2007: <Via subito la politica dalle Asl….>. Il leader del Pd ha
spiegato assai bene le ragioni. Da allora su questo fronte tutto tace. Anche e
soprattutto in provincia di Savona, in Liguria.
La mancata trasparenza nelle Asl è cosa nota in molti ambienti e bisogna
presumere che Bertolotto sia come San Tommaso. Così come
probabilmente è per lui ostica la tesi dei conflitti di interesse. Un esempio?
Studi professionali dove un professionista tutela l’ente pubblico, il collega
tutela il privato, l’impresa, l’imprenditore. Forse è solo questione di buon
gusto? Oppure dirigente ospedaliero controllore e controllato.
NON SARA’ REATO MA SI E’ PERSO LA MORALE
Non abbiamo gli strumenti, le prove per sostenere che in tutto questo
panorama gli unici a violare il codice penale, a pratica l’illegalità, siano i
“poveretti” come accadeva ai tempi in cui un procuratore della Repubblica, a
Natale, riceveva così tanti regali da essere accatastati in un locale del
carcere Sant’Agostino. Oppure quel magistrato che vendeva tappeti anche
tra avvocati penalisti, dai quali non aveva problemi ad accettare persino
assegni che lasciano tracce. Roba vecchia, con protagonisti ormai passati ad
altra vita.
Secondo Bertolotto che risultati darebbe la radiografia attuabile, diciamo a
caso, delle prime cento-duecento operazioni immobiliari (miliardarie in lire)
condotte nella nostra provincia negli ultimi 8-10 anni?
Marco Bertolotto non è un “capo popolo” o “segretario politico”. E’ una figura
istituzionale, doppiamente pagato con i soldi dei contribuenti (in Provincia e in
ospedale, quale presidente e quale primario). Come può sostenere (senza
peraltro citarli) che due giornalisti del Secolo XIX (Sansa e Menduni) autori
della documentata inchiesta giornalistica sulle Asl, primari e dintorni, siano al
servizio di interessi inconfessabili e si prestino comunque a screditare la
sanità pubblica per favorire…? E che è in corso una manovra subdola di
denigrazione sistematica?
Il presidente Bertolotto, nell’intervista-confessione-difesa miscela opinioni
discutibili o meno, con pesantissime illazioni. Perché non dichiara che anche
“Trucioli Savonesi” che di fatto, a settembre, ha iniziato a raccontare delle
nomine dei primari e dirigenti nelle Asl, raccogliendo dichiarazioni nel
savonese ed imperiese propri da primari in pensione, è al servizio di
<qualche investitore privato che vede ridurre i profitti>. Poiché crediamo nella
giustizia non avremmo difficoltà, come è già accaduto in passato ad altri
personaggi politici, ma anche giornalisti, a ritrovarci in tribunale perché <sia
fatta giustizia>.
Se c’è un settore – sanità privata – che in questa Regione, soprattutto in
questa provincia, è sempre stato penalizzato dalle scelte politiche di sinistra e
di centro-sinistra, è stato proprio l’iniziativa privata nelle case di cura. C’è un
dossier storico
che sarebbe utilissimo rispolverare, per “non dimenticare”.
I RAPPORTI DI TEARDO CON L’ALLORA PCI
In questa settima puntata dove abbiamo deviato, E CE NE SCUSIAMO, sulla
ricostruzione del “ciclone Teardo” riproduciamo, per meglio capire alcuni
meccanismi di allora, l’articolo sul rapporto con uomini dell’allora Pci. A quei
tempi negli ambienti dell’ex presidente della Regione non ci si stancava di
insistere sul fatto che il Pci savonese, nonostante una macchina
organizzativa e burocratica, impiegati e funzionari, che costava decine di
milioni al mese, non si andò mai a fondo per far luce sulla provenienza del
denaro. E questo non risponde a verità. Scavarono Granero e Del
Gaudio, lavoro che si interruppe con la Teardo-bis. Scavò soprattutto, senza
troppo fortuna, anzi con un boomerang, il procuratore Renato Acquarone.
Il resoconto dell’articolo del 1988 riguardante l’imputato-assolto, Pierluigi
Bovio, ex sindaco di Borghetto S. Spirito del PCI, valente architetto, può
fornire una risposta, una soluzione (vedi….).
Altrettanto significativa la deposizione davanti ai giudici dell’ex assessore a
Ventimiglia, Luigi Cane, ex segretario del Psi intemelio. E’ il puzzle, il
mosaico di cosa significhi, per la politica trasversale agli affari, l’esercizio del
potere.
E si potrà comprendere meglio per quale ragione, come successe col
teardismo, ci troviamo di fronte ad un risveglio della massoneria affaristica. E
ai nanetti della politica. Nelle prossime puntate dedicheremo alcuni capitoli,
pubblicando i rapporti firmati dall’allora colonnello Nicolò Bozzo proprio sulle
logge savonesi ed imperiesi. Non per sparare nel mucchio, screditare gli
“affiliati”, ma perché troppi governanti e politici di oggi sembra abbiano
dimenticato quella “lezione”, di storia.
Luciano Corrado
ESCLUSIVO/Un documento storico del “ciclone Teardo”- Ottava puntata
QUANDO SUL PALCO SALIVA IVALDO:
STORIE DI RICATTI E VERGOGNE DIETRO L’ “ACCORDO DI
SPOTORNO”
Dalla Cassa di Risparmio alla Monteponi, dalle Cooperative ai Sindacati,
dalla Fornicoke alla Demont, alla Geni. E poi Unione Industriali, Partito
Comunista, Intini, Sanguinetti, Jovino, Biamino, Ferraro, Bolla, Borgo
(sindaco di Bergeggi), Longhi, Ruberto (vice sindaco di Vado), Pelle (sindaco
di Alassio), Valenza, Mazzetti. Una testimonianza-riflessione senza veli
nell’allora terremotato e decimato Partito socialista savonese.
di Lorenzo Ivaldo*
Savona - Il 20 dicembre 1986 si è svolto a Monteurbano un convegno di
amministratori socialisti. Questo il testo del discorso tenuto da Lorenzo
Ivaldo, esponente del Psi, registrato dal servizio messo a disposizione dal
Comune di Savona e di cui siamo in possesso.
<Dicevo da un trombato a un trombato …non è un problema mio perché ho
lasciato già da oltre un mese e mezzo le mie dimissioni nelle mani del
compagno Ugo Intini e le ho lasciate perché a me la Cassa di Risparmio di
Savona non mi interessa.
Interessano altre cose, quindi sapevo benissimo che non era un problema
mio, l’unica cosa è che tecnicamente sono l’unico nelle terne della Banca
d’Italia, quindi sono l’unico che può essere nominato socialista in questa
fase.
Per garantire tutto un futuro di possibilità di negoziazione, di ricomposizione
dei compagni all’interno del partito, ho lasciato più di un mese e mezzo fa le
mie dimissioni in bianco che sono dimissioni esecutive perché sono
indirizzate al Ministro del Tesoro e al direttore di Savona della Banca d’Italia.
Quindi non è un problema mio il fatto della conferma o riconferma, la verità è
che è andata una delegazione a Roma a dire che piuttosto che venga
riconfermato Ivaldo è meglio che il candidato fosse di un altro partito. So chi
sono questi compagni, ma è inutile che lo dica perché non sono in grado di
provarlo. Io sono abituato a dire le cose solo quando ho documentazione da
esporre. Chiuso quindi il problema personale.
Invece a me quello che preoccupa e che credo debba preoccupare tutti noi,
non solo noi che siamo qui, ma anche quelli che guidano il partito e che
militano in questo partito, è che il partito di Savona non è interlocutore di
nessuno.
Io ho vissuto in maniera quasi kafkiana la vicenda dell’insediamento
Monteponi in Vado Ligure. Ma sapete tutti quali sono i problemi
occupazionali della nostra provincia.
Voi sapete tutti che è stata chiusa la Cokeria di Vado Ligure e che c’è un
accordo sindacale per la riconversione di alcune aree di proprietà della
Fornicoke per iniziativa industriale.
Io ho saputo, per caso, per il fatto che essendo a Roma e quindi in un posto
dove qualche notizia si riesce a sapere, non tanto per la verità, ho saputo che
c’era una cooperativa, e quando diciamo cooperative io ho pensato alla solita
cosa, poi ho scoperto che questa cooperativa che combinazione è dei
socialisti, è un colosso a livello nazionale nel campo che adesso si dice
“pacchettage”. Ma è pacchettamento volgarmente parlando, cioè la
confezione di pacchi.
Il termine anche cosi si presta un po’ a doppie interpretazioni. Questa
cooperativa aveva fatto una proposta di insediamento di risorse di assunzioni
che partono dalle 40 alle 50 immediate, ma che sono una potenzialità di
sviluppo con contratti alla mano, quindi documentabili che può arrivare alle
120-150 persone nell’arco di tre anni e non è piccola cosa.
E’ una cosa grossa, di fronte a questa c’era l’opposizione dell’Unione
Industriali perché vedeva la possibilità di un insediamento di una ditta della
Valle Bormida: la Demont che ha bisogno di aree a fine costa per gli impianti
che assembla e la preferenza del Comune di Vado per questa soluzione
(voci, voci, io parlo solo se ho documenti in tasca).
Voci dicono che sotto ci fosse un pacco di circa 500 milioni perché la Geni, la
società Fornicoke che commercializza queste aree ha dei finanziamenti per
40 milioni ad addetto di quelli rilevati dalla Fornicoke. Quindi un miliardo e
600 milioni, e pare che ci fosse un agreement, dico pare, sono voci che
nessuno ha dimostrato – tra il partito comunista e l’Unione Industriale – di
quelle dimensioni. Il resto (1/3, 1/3, 1/3).
Ne abbiamo avuto conoscenza tramite un sindacalista di Milano perché la
cooperativa si è rivolta al sindacato. Quindi a questo sindacalista della Cgil
che è Vittorio Valenza il quale ha informato casualmente un amico comune
che è Antonio Mazzetti , ex sindacalista della CGIL, che collabora sempre
occasionalmente, perché queste cose sono avvenute una sera a cena.
A Valenza ne ha parlato Mazzetti che, a sua volta, ha parlato a Sanguinetti,
che ne ha parlato a me ed abbiamo ripreso questa situazione per i capelli.
Con l’intervento dei compagni che sono impegnati nel sindacato, nella CGIL,
nella Uil con Longhi che è impegnato nella Lega delle Cooperative, con la
compagna Ruberto, che devo dire –vice sindaco di Vado Ligure – che non
ne sapeva assolutamente nulla, totalmente all’oscuro di questo problema.
Perché povera figlia è messa là, sola in mezzo ad una marea di comunisti
che sanno tutto, che sono organizzati e che cercano di salvare la dignità del
partito. Come può, tenendo conto dell’inesperienza…abbiamo fatto una
battaglia che oggi il partito comunista ha perso.
Si vede che non erano 500 milioni, ma comunque, se lo erano ci ha
rinunciato perché ieri la cooperativa ha firmato l’accordo con il Comune di
Vado Ligure.
In tutte queste cose, l’unica cosa che ha saputo fare il partito, inteso come
struttura, è di convocare a cose fatta la compagna Ruberto, il compagno
Cavalli in Federazione, rimproverargli aspramente di aver avuto contatti con
me, dicendogli tra l’altro che io lo faccio solo perché voglio diventare direttore
dell’Unitaria di Vado.
Compagni è vero che siamo un po’ caduti in basso, ma io resto sempre un
dirigente di azienda di 400 persone, ho rinunciato autonomamente a fare il
direttore – dico ho un minimo di dignità -. Questo per dire che cosa è la
Federazione di Savona oggi.
Perché cosi non lo so, lo so forse o me lo immagino anche se ci sono dei
momenti in cui mi è difficile pensare che il livello di autodistruzione possa
arrivare a certi limiti.
Posso capire Biamino, il compagno Biamino, non era nessuno. La sua
alternativa era fare il segretario provinciale e non entrare nemmeno in
direttivo provinciale. Ha trovato chi l’ha sponsorizzato per fini totalmente
diversi da quelli che sono un’iniziativa di partito. Io credo che ci sia, e lo dico
con molta franchezza compagni, io credo che ci sia una volontà precisa che
passa attraverso i nostalgici del tempo passato e i ricatti che qualcuno che si
chiami Teardo o qualcosa di simile è in grado di fare su una serie di
compagni, perché quello che è successo al Congresso ha una sola parola.
Ci sono compagni che io conosco da 24 anni con i quali abbiamo fatto
battaglie di tutti i tipi, che sono compagni che godono di stima e di rispetto
con i quali abbiamo un vecchio rapporto di amicizia che quella sera hanno
fatto cose di cui profondamente si vergognano. Non posso non pensare
diversamente e mi sono ricordato di un articolo che avevo letto tanti anni fa
sulla Democrazia Cristiana di Napoli ai tempi dei Gava. Quando gli uomini
di Gava portavano a votare la gente e li accompagnavano nell’urna e c’era
gente che usciva piangendo “Mi spiace ho fatto una cosa di cui mi vergogno,
ma non posso fare differentemente”.
C’è un compagno che me l’ha detto, si chiama Sisto Pelle che non poteva
fare diversamente. Ma io credo che quella sera in Comune a Savona ci siano
stati altri compagni che hanno fatto alcune cose nella quali non credevano e
che le hanno fatte perché qualcuno gli hanno detto che se non si faceva in
quel modo potevano avere dei problemi.
Eppure credo che da quel momento sia nata una realtà in questa
Federazione, da una parte c’è chi vuole dimostrare che dopo Teardo il partito
non esiste. Non so se per pura soddisfazione di distruggerlo o per poi portarci
a trattare e a dire, senza di me voi a Savona arrivate al 4 per cento. Quindi
complessivamente nel quadro regionale voi perdete un consigliere, un
deputato ecc…
Potrebbe anche essere un’ipotesi di lavoro, visto che si parla sovente di
reiscrizione di Teardo al partito, cosa che non esiste. Io ho chiesto alla
compagna Sale (?) che ha detto se viene qui la domanda su Teardo qualche
problema ce lo pone.
Se questa volontà di distruzione del partito per dimostrare che solo una
persona è in grado di farlo… O c’è qualcosa di diverso, e c’è qualcosa di
diverso perché si è ricostruito un accordo che era l’accordo di Spotorno.
Sappiamo tutti che a Spotorno si erano incontrati Teardo, Ferraro ed
altri della componente della sinistra ed avevano siglato un patto dove c’era
tutta una scalettatura. Questo accordo esiste di nuovo ed è l’accordo che ha
portato al siluramento di Riccardo Borgo. E’ l’accordo che ha tentato di
portare Jovino, dopo la presidenza dell’USL, alla Cassa di Risparmio. Non
ce l’ha fatta perché non c’è nelle terne, dopo che ha portato tutti quegli
sconquassi, doveva portare Bolla alla Comunità Montana.
Mi dispiace per Bolla perché è un bravo compagno con cui non si può che
avere rapporti di amicizia, vedergli fare la figura triste che ha fatto mi
dispiace.
Io credo, compagni, che se noi valutiamo queste cose intanto dobbiamo porci
un problema, noi siamo alla vigilia di un congresso, e non possiamo farlo
sulle divisioni. E faremo un avallo comunque a questa Federazione.
Dobbiamo lanciare un’idea per costituire una commissione degli
amministratori, una Costituente del partito in provincia di Savona che passi al
di sopra delle correnti.
A Savona non possiamo permetterci il lusso di dividerci tra compagni …E
deve passare verticalmente anche in mezzo alla componente di sinistra. Io so
che questa componente ha fatto 2-3-4 riunioni. Che è stata tenuta assieme
con le mani e con i piedi dal compagno Cerofolini che ha problemi
elettorali quindi cerca di non spaccare un suo potenziale elettorato…che
però ha grossi dubbi e contestazioni soprattutto nei confronti del compagno
Ferraro.
So che molti compagni della sinistra aspettano un segnale da noi. Ecco io
credo che noi dobbiamo tra le altre cose lavorare in questo senso. Io ho
citato prima la compagna Ruberto. Una compagna che prima quasi non
conoscevo, non avevo mai avuto modo di frequentarla. L’ho conosciuta in
questa occasione, è della sinistra, ma lo è incidentalmente. Come lo sono
incidentalmente tanti compagni che sono diventati della sinistra perché gli
andava bene come era gestito il partito prima.
Non è che abbia delle particolari affezioni o che abbia delle particolari
ideologie, vuol fare la socialista, vuol fare la vice sindaco socialista nella
maniera più dignitosa possibile. Ce ne sono molti altri, io credo che dovranno
diventare un polo di aggregazione anche per questi.
Lorenzo Ivaldo è stato direttore generale dell’Acts dagli anni ’70 fino alla
presidenza (anni 2000) di Luca Delbene, con la nuova qualifica di
Dirigente Responsabile dell’esercizio; (presidente, con Ivaldo direttore,
era Paolo Caviglia, attuale vice sindaco di Savona, poi presidente della
Camera di Commercio, quindi parlamentare Psi), mentre Leo Capello,
all’epoca cassiere ed amministratore del clan Teardo, dopo gli arresti
aveva dovuto lasciare la poltrona, ambitissima, nel consiglio di
amministrazione della Cassa di Risparmio di Savona.
PS: documentazione storica raccolta dal giornalista Luciano Corrado
Del Gaudio
Nona puntata
QUANDO TELETRILL A SUON DI MILIONI
FACEVA DA MEGAFONO AL “CLAN”
Ricostruiamo uno dei capitoli meno noti del “sistema Teardo”. I
cortigiani della carta stampa e dell’emittente locale. I segreti scoperti
nella valigetta del “capo”. Il ruolo e le confessioni di Nanni Patrone che
era un esponente politico di Pietra Ligure. La tivù, sovvenzionata con le
tangenti, doveva trasferirsi da Ceriale in una villa delle Opere Sociali, a
Savona. La Corte d’appello: <Su Teletrill non si è andati a fondo>.
di Luciano Corrado
Savona – Che senso ha, 28 anni dopo i primi articoli di stampa sul “sistema
Teardo”, riproporre quegli anni, quei giorni, quei personaggi? Siamo arrivati
alla nona puntata e forse é utile indicare alcuni obiettivi della ricostruzione
storica di quel periodo.
Primo: i giovani sono quasi all’oscuro di quel terremoto (fu il primo in Italia
che coinvolse rappresentanti delle istituzioni, arrestati e condannati anche
per associazione a delinquere). Non esiste neppure un libro da consegnare
alla storia. Solo citazioni editoriali e neppure aggiornate.
Secondo: metodi e trame, pur in assenza di dinamite, di estorsioni
(concussione) in stile mafioso, sono tornati ad inquinare una grossa fetta
della vita politico-amministrativa-sociale savonese, attraverso l’edilizia, aree
edificabili e potenzialmente tali, controllo della sanità, costruzione di
porticcioli e annessi, alcuni appalti, trasformazioni alberghiere ed industriali.
Terzo: finita nel dimenticatoio la “Teardo story”, si è ricreato un nocciolo duro
di politici e del mondo degli affari (con frange massoniche che hanno ripreso
potere e vigore) che scorrazzano da ponente a levante. Preda prediletta:
operazioni immobiliari e terriere lungo la fascia costiera, attraverso la
gestione dei piani regolatori e soprattutto delle varianti. Il tutto condito da
benevolenze e da facili arricchimenti trasversali (pubblici amministratori,
imprenditori, professionisti, banche (e….rappresentanti delle istituzioni?)
Qualcosa è cambiato col governo Prodi, ma restano impunite e favorite
sacche di maxi-evasione fiscale nel mercato immobiliare, in parte legalizzate
dalle stesse normative. Sia sugli immobili e ancora di più sui terreni, di cui
non si parla quasi mai, dove si compra a 10 e si denuncia 2, rispettando la
legge. Persino le pietre dovrebbero sapere di quel fiume di denaro in nero
che si miscela ai finanziamenti ufficiali (mutui, leasing, linee di credito) delle
banche che sul mattone fanno anch’esse affari d’oro.
Dove e a chi finisce la differenza tra le somme denunciate e quelle
effettivamente erogate, pagate? Chi ha interesse a tenere il coperchio
chiuso? C’è per caso una spartizione molto più sofisticata rispetto ai metodi
grossolani e meno prudenti degli anni settanta, ottanta? Nel ’90, arriverà
invece la tangentopoli di “mani pulite” (Milano).
Quarto: oggi chi ha ancora la forza non di sparare nel mucchio, ma di porsi
domande, riflessioni, constatazioni, considerazioni, scrivere, fotografare la
realtà rischia di finire al macero. Messo all’indice. Chissà chi ricorda quando
lo scorso anno Antonio Ricci (Striscia la notizia) dichiarò in due circostanze
ai giornali locali (caso progetto di torri nella sede del vecchio ospedale di
Albenga) che con lui molti lamentano…parlano di…ma poi hanno paura di
esporsi, per timore di…
Eppure come allora, c’è chi grida il solito “leit motiv”: chi è a conoscenza
di…vada dal magistrato, denunci, altrimenti zitti, è solo demagogia e
denigrazione.
Come non fosse sufficiente, su ogni altra cosa, osservare la distruzione del
tessuto sociale ed ambientale che si continua a perpetrare. Non solo, prima
fanno scempio dell’unica concreta risorsa esistente (turismo alberghiero),
scoraggiano (vedi la piana albenganese e terreni agricoli) l’agricoltura
rendendo più appetibile il mattone che garantisce guadagni facili e una
robusta evasione fiscale, poi invocano interventi e responsabilità (sempre di
altri) per denunciare la crisi del settore.
La storia riuscirà certamente a raccontare la grave responsabilità – tra i
megafoni più popolari c’è Beppe Grillo - della stragrande maggioranza del
mondo dell’informazione. Sul suo sito sono ben descritte le motivazioni. Il
direttore di “Liberazione” (Comunisti italiani), Sansonetti, il 21 gennaio
scorso, a La 7, le ha definite <Responsabilità gigantesche nella corruzione
morale>. A questo danno tremendo è sottoposta anche la nostra provincia. E
il futuro?
A LEZIONE DI STORIA
Le cause del crollo del “potere Teardo” si possono ristringere al coraggio di
un manipolo di persone che, rischiando grosso…., come confidava Arrigo
Molinari (ex questore, ex piduista, ex infiltrato anche nei giornali, ex Gladio,
ucciso quando era ormai in pensione nella sua stanza da letto di Andora da
un balordo), hanno contribuito a scoperchiare la pentola.
Qualcuno ha pagato la sua scelta, ma chi riesce a rileggere quelle carte,
potrà rendersi conto che per altri ha significato conquistare potere. O
riconquistare potere. Con benevolenze e spinte, massoniche comprese, ma
sui giornali non c’è traccia, non c’è più spazio, non c’è storia.
Un vuoto che colmeremo, come già annunciato, pubblicando il rapporto sulla
massoneria firmato dall’allora colonnello dei carabinieri Nicolò Bozzo ed atti
della Commissione d’inchiesta sulla P2 mai resi noti nella loro completezza
per quel che riguarda le province di Savona e Imperia. Anche a distanza di
qualche anno sono assai istruttivi per capire fatti, alleanze, nomine in leve di
comando. E la “terra bruciata” fatta attorno ai “nemici”.
Alberto Teardo aveva capito benissimo che al potere si può restare,
consolidare soprattutto se tra gli alleati, c’è anche l’informazione scritta e
televisiva. Accadeva allora. Teardo ed i suoi uomini potevano contare sulla
“benevolenza” in quel periodo de La Stampa, sull’appoggio aperto de Il
Lavoro (quando era di proprietà del Psi), Il Mercantile, La Gazzetta del
Lunedì, la solita latitanza della Rai regionale. E varie riviste locali, come
abbiamo già visto in precedenti puntate.
Non bastava. Il “vertice” teardiano aveva messo gli occhi su una televisione
privata (Teletrill) che alla fine si è fusa (venduta, come si è fatto per anni con
gli stabilimenti balneari), con un buon risparmio fiscale, con Telenord.
IL PROGETTO “SFUMATO” DI COMPRARE TELETRILL
Raccontiamo un capitolo “esemplare” ricostruendo gli atti ufficiali. Con l’aiuto
della relazione del giudice relatore, Francesco Rossini…VEDI… che
componeva il collegio della Corte d’Appello di Genova (terza sezione penale).
Siamo tra il 1987 ed il 22 gennaio 1988, data del deposito della sentenza.
Il gruppo Teardo aveva cercato di comprare la tivù che iniziò la sua attività a
Ceriale per poi trasferirsi a Quiliano, ma puntava ad avere una nuova sede
a Savona, in un immobile (villa) delle Opere Sociali.
Il giudice Rossini terminò la sua ricostruzione, in pubblica udienza, con
queste parole: <La pratica relativa a Teletrill avrebbe meritato un maggiore
approfondimento, diciamo che fu superveloce ed il sudore d’agosto ha fatto
da oliatore>. In altre parole, quel giudice d’appello leggendo gli atti
(imputazione, sentenza e motivazione di primo grado a Savona) si convinse
che sarebbe stato il caso di approfondire. Vedremo il perché.
ELOGI E CRITICHE AI GIUDICI DEL TRIBUNALE DI SAVONA
Francesco Rossini (presidente era Giovanni Ghiglione, a latere Carlo
Caboara) la mattina di giovedì 26 novembre 1987 fece questo esordio nel
definire la sentenza del tribunale di Savona, scritta dal relatore Vincenzo
Ferro, presidente Gennaro Avolio, a latere Caterina Fiumanò: <Stile
pregevole, sintesi molto efficace, esame scrupoloso delle varie ipotesi di
reato, merito anche della penna magica del collega Ferro>.
Non sono mancati gli appunti. Ad esempio: <Sulla vicenda dei Piani d’Invrea,
a Varazze, sarebbe stato utile approfondire le deposizioni contrastanti
dell’avvocato Renzo Ratti che si occupò del caso come libero professionista
e del geometra Giuseppe Gaggero in veste di mediatore>.
Altro rilievo: <L’incontro a Naso di Gatto (Savona) tra Alberto Teardo,
l’imputato Bruno Buzzi e Riccardo Carlevarino in cui si sarebbe parlato
della sorte di Villa Cambiaso. Incontro negato da Buzzi, ma confermato da
Teardo. La sentenza di Savona attribuisce l’incontro ad una data imprecisata
del 1978, mentre era possibile arrivare ad una precisa determinazione>.
BOLZONI: PRESIDENTE DEL TRIBUNALE MASSONICO
Altro rilievo del giudice della Corte d’appello: <Giuseppe Bolzoni é stato
arrestato e scarcerato nell’ambito dell’indagine sull’affare della Ciamea
(edilizia), incluso nella Teardo-bis. Bolzoni – rimarcò Rossini – è un
personaggio davvero curioso. Maestro venerabile della loggia massonica XX
Settembre e pare presidente del “tribunale massonico”. E’ forse per questo
motivo che chiamava “micio” il presidente del tribunale di Savona(si trattava
di Guido Gatti ndr). Bolzoni, pensionato del porto con 1 milione 100 mila lire
al mese di pensione si era fatto ristrutturare una villa da 180 milioni. Aveva
per caso ricevuto un’eredità?>.
E Francesco Rossini così descrisse il comportamento dell’allora procuratore
della Repubblica, Camillo Boccia: <In seguito all’esposto di Renzo Bailini
del 29 ottobre, data di rubricazione, il 2 novembre giorno dei Morti, Leo
Capello si presenta al procuratore della Repubblica, dà spiegazioni, indica i
nomi di coloro che gli hanno fornito denaro per il Savona Calcio, ma la
circostanza non risulterà vera. Il 3 novembre il dottor Boccia chiede
l’archiviazione al giudice istruttore…>.
Rossini nell’introdurre il capitolo dell’accusa di associazione mafiosa mossa
nella sentenza di rinvio a giudizio dai giudici istruttori Francantonio Granero
e Michele Del Gaudio (caduta con la sentenza dei giudici di Savona),
accenna ad un <grande, lugubre argomento>. Mentre per la condanna degli
imputati per <associazione a delinquere, si tratta di pubblici ufficiali,
contrariamente alle solite associazioni delittuose tra comuni cittadini.
Un’associazione potente. Che sapeva incutere paura al punto che uno solo
tra gli imputati, Nicola Guerci, ha confessato le sue colpe e risarcito il danno.
Mentre Roberto Siccardi è stato il solo ad aver ammesso l’attività di
esazione svolta a favore dell’impresa Ghigliazza (i fratelli Piersanto e
Giacomo) che preferiva trattare direttamente con lui i versamenti al gruppo
Teardo. In istruttoria – concludeva Rossini – l’imputato Siccardi precisò di
aver dato soldi anche a Teardo, ma di solito versava nella cassa di Leo
Capello.>
Un altro passaggio della relazione di Rossini: <Giorgio Buosi, nipote di
Teardo, viveva a Venezia dove faceva l’impiegato, un bel giorno, il 13
dicembre 1980, venne in Liguria e ad Alassio ebbe subito un colpo di
fortuna, trovò per caso Roberto Siccardi che lo accompagnò da un notaio e
si trovò socio dell’imprenditore alassino Brosito Bogliolo…>
TELETRIL, TEARDO OPERE SOCIALI E..
A pagina 244 della motivazione di primo grado dei giudici di Savona inizia la
ricostruzione, nei dettagli, di quella straordinaria vicenda per la conquista di
Teletril. La sezione di Savona della Società Nazionale di Salvamento di cui
era vice presidente Angelo Benazzo (autista del “capo”, uno degli imputati al
processo) aveva sede in un immobile delle Opere Sociali N.S. della
Misericordia, a Savona, via Nizza 10/A.
Benazzo presenta in Comune domanda per esecuzioni di lavori del
caseggiato a due piani. Il benestare arriva a tamburo battente il 31 agosto
1982 (in 5 giorni) con la firma dell’assessore all’urbanistica Massimo De
Domenicis (anche lui tra gli imputati). Le Opere Sociali, con le dovute
garanzie, compreso l’accollo di tutte le spese, acconsentono ad un nuovo
contratto di locazione di sette anni, sui 10 richiesti.
Il Tribunale stabilì che la Società di Salvamento non era legittimata a
chiedere l’autorizzazione al Comune sostituendosi alle Opere Sociali. Lo
imponeva, tra l’altro, anche il regolamento edilizio comunale. Il tribunale
descrive tutta una serie di violazioni ed anomalie messe in atto anche
dall’assessore De Domincis.
Con quale scopo? Il collegio giudicante: <La realtà è ben altra, i lavori che il
Benazzo intendeva eseguire erano quelli, come emerge dalla testimonianza
di Pietro Patrone (ex assessore e consigliere comunale a Pietra Ligure, ndr)
che conferma ed avvalora sul punto le notizie raccolte dagli organi di polizia
giudiziaria, alla concessione in uso di una parte dell’immobile delle Opere
Sociali all’emittente televisiva privata Teletril, per un canone di 700 mila
mensili, contro le 200 mila corrisposte alle Opere Sociali. E alla emittente
televisiva Teletril era interessato Alberto Teardo, vedansi in tal senso le
deposizioni testimoniali di Teresio Concon, di Giovanni Ferrara, nonché i
documenti prodotti da Marcello Borghi nella parte in cui ne risulta l’attività di
propaganda svolta in favore di Teardo e della sua corrente politica proprio da
Teletril>.
INTERESSI IMMOBILIARI DIETRO TELETRILL
Da pagina 334 a 342 i giudici istruttori Granero e Del Gaudio hanno
ricostruito il capitolo La Pineta Spa, con sede legale a Framura (Spezia).
Ecco qualche spunto: <Questa società che ha per oggetto, costruzione e
manutenzione di immobili, nonché l’esercizio di attività alberghiere, ristorante,
bar, campeggi, viene in rilievo non tanto per quel che risulta dalla contabilità
ufficiale quanto perché nella valigetta sequestrata ad Alberto Teardo in
occasione del suo arresto, il 14 giugno 1983, è stato trovato un foglio
manoscritto intitolato “promemoria x società La Pineta. I soci risultanti
dagli atti...Ismaele Chiesa, Alfio Rustichelli, arch. Gianpaolo
Bartolozzi testimoniarono che gli interessati alle operazioni immobiliari
erano Vittorio Orlandi il quale ha ammesso che con lui erano, a loro volta,
interessati Angelo Benazzo e Vito Bovone. Benazzo era pure interessato
ad operazioni immobiliari a Deiva Marina…..Tenuto conto delle effettive
funzioni del Benazzo non è azzardato ipotizzare che fosse solo
prestanome.>
A questo punto entra il scena il “gruppo Patrone” e tale avvocato De Vizia
che ricorre anche nella vicenda dei cantieri Baglietto.
Pietro Patrone, scrivono i giudici <nella sua qualità di testimone ha
dichiarato di aver incontrato per caso nella Federazione del Psi di Savona,
tale Orlandi che gli propose di entrare in una società proprietaria di un
complesso edilizio con ristorante, discoteca, piscina e una pineta di 30 mila
metri quadrati a Framura. Patrone ha precisato che si trattava della società
Pineta Spa. ..Io mi dissi interessato, ma avevo bisogno di altri soci in quanto
non potevo reggere da solo la spesa globale che era di 305 milioni. Mi rivolsi
allora ad Alberto Teardo, proponendogli l’affare ed ebbi dallo stesso una
risposta positiva. L’appunto sequestrato nella valigetta di Teardo lo riconosco
perché è stato scritto da me. Risponde a verità che il 75 per cento del
pacchetto azionario è stato acquistato da Chiesa e dal 18 per cento delle
azioni acquistate da Rustichelli. Mentre l’architetto Giampaolo Bartolozzi,
amico di Orlandi, ha voluto mantenere il 7 per cento. La sigla che compare
sul promemoria sequestrato a Teardo, ovvero Na, sta per Nanni, indica la
mia persona, in quanto tutti mi chiamano Nanni. La sigla GA indica l’allora
vice presidente della giunta regionale Gustavo Gamalero che doveva avere
il 10 per cento delle azioni. La sigla BE indica Angelo Benazzo col 10 per
cento. La sigla AL indica Alberto Teardo che doveva avere il 15 per cento.
La sigla OR indica Vittorio Orlandi che doveva avere il 25 per cento.
Nell’appunto sequestrato a Teardo ci sono i soldi già dati e da dare. In realtà
le somme di 67 milioni e 30 milioni a Chiesa e Rustichelli sono state
anticipate da me e pagate con assegni. Teardo mi aveva dato solo 25 milioni
in contanti, Benazzo 9 milioni in assegni, Gamalero 13 milioni, Teardo
avrebbe dovuto darmi complessivamente 151 milioni, Benazzo 44,
Gamalero 44. Ma successivamente all’arresto di Teardo ho dovuto ancora
sborsare 50 milioni a Rustichelli. Preciso che Teardo mi ha consegnato i 25
milioni personalmente in contanti, ma dopo il suo arresto non mi ha più
versato il rimanente. Ho trovato un possibile acquirente nell’avvocato
Carmine De Vizia di Torino>.
Concludono i giudici istruttori (pagina 341): <Viene dimostrato attraverso il
legame societario costituito col Patrone, l’interesse del Teardo per
l’emittente televisiva Teletrill con la quale gli associati, tramite Leo Capello,
raggiunsero un accordo triennale per la ripresa diretta delle partite del
Savona Calcio dietro corrispettivo di 7 milioni annui, come si è dimostrato
per altre somme inerenti il finanziamento della squadra e la provenienza
illecita. Il collegamento con Teletrill che va ben oltre un semplice contratto di
prestazione d’opera e spiega il “riusciamo a trovare due piani di una villa
come nuova sede” di proprietà delle Opere Sociali, ufficialmente in affitto a
Benazzo>.
Fin qui la parola agli atti giudiziari. La Teletrill story avrà altri sbocchi. Una
conclusione tuttavia può essere utile. In quel periodo Teletrill oltre ai
programmi musicali (assai seguiti) iniziava anche con cronache e dibattiti in
studio. Un suo telegiornale ed era molto sponsorizzata con articoli in cronaca
locale.
Secondo voi chi erano i giornali ed i giornalisti fiancheggiatori, cortigiani,
come direbbe Giampaolo Pansa? E chi erano invece i giornalisti cattivi,
definiti “moralizzatori da strapazzo”, “diffamatori di professione”. A volte derisi
persino nelle trasmissioni? Responsabili di descrivere “realtà fantasiose”, al
punto che <non vale neppure la pena di leggere quegli articoli e quel
giornale?>.
Per fortuna ci sono gli archivi parlanti, altrimenti potrebbe persino accadere
che i cortigiani di ieri, oggi per la storia fossero scambiati per gli artefici di
un’informazione corretta ed onesta, a favore di un “gruppo di potere” che si
arricchiva anche con il denaro pubblico e violentava le istituzioni. A quanto
pare la lezione non è servita.
Luciano Corrado
DECIMA PUNTATA
TANGENTI, I DANNI CHE LO STATO CHIESE A SETTE CONDANNATI
Pubblichiamo l’articolo scritto su “il Giornale” di domenica 14 maggio
1995. Ricostruisce la sentenza della Corte dei Conti che pretese un
risarcimento di un miliardo e 300 milioni. A cui bisogna aggiungere le
spese della giustizia penale, diverse decine di milioni, ma soprattutto le
parcelle legali (63 avvocati) che ammontarono a miliardi. In qualche
caso ci furono, infatti, quattro gradi di giudizio.
di Patricia Tagliaferri
Genova - Lo Stato presenta il conto ad Alberto Teardo e alla sua “banda”.
Un conto a nove zeri che condanna l’ex presidente della Regione Liguria ed
altri sei suoi amministratori a versare un risarcimento miliardario nella Casse
dell’Istituto autonomo case popolari (Iacp) di Savona e di alcuni enti locali
della Liguria, danneggiati dal più grande scandalo politico-affaristico della
Riviera Ligure.
Dopo la magistratura ordinaria anche i giudici contabili condannano Teardo e
soci. Con una motivazione di 150 pagine la Corte dei Conti compila il lungo
elenco delle ruberie che nell’’83 portarono dietro le sbarre l’ex presidente
socialista della giunta di via Fieschi ed i suoi compagni d’affari.
Adesso a distanza di 10 anni i magistrati sollecitano la restituzione del bottino
raccolto a suon di bustarelle estorte alle imprese che cercavano di
aggiudicarsi gli appalti indetti dalla pubblica amministrazione.
Una goccia nel mare della corruzione come specificano gli stessi giudici della
Corte: <I fatti oggetto del presente giudizio costituiscono solo una parte dei
più numerosi ed inquietanti fatti oggetto del giudizio penale>.
Alberto Teardo non sarà il solo a dover mettere mano al portafogli. Insieme
a lui indiscusso capo del sodalizio criminoso che gli è costato oltre 5 anni di
galera, sono stati condannati anche Massimo De Dominicis, ex assessore
all’Urbanistica del Comune di Savona per il Psi; Marcello Borghi, ex
presidente dell’Iacp ed ex sindaco anch’esso appartenente al garofano della
cittadina di Albissola; Nicola Guerci, Domenico Abrate,
Gianfranco Sangalli, Roberto Siccardi.
Diversa sorte è toccata a Pierluigi Bovio, ex sindaco di Borghetto Santo
Spirito che dopo essere stato assolto dalla magistratura ordinaria, è stato
“graziato” anche dai giudici contabili per non aver avuto alcun ruolo
nell’affidamento degli appalti pubblici.
In tutto gli enti derubati dovranno riscuotere oltre un miliardo e 300 milioni.
Spetterà a Teardo, Abrate e Sangalli, restituire la fetta più sostanziosa della
somma: da soli dovranno racimolare un miliardo di lire, per rimpinguare le
casse della Provincia di Savona. Gli spiccioli per un totale di 300 milioni
diviso in somme di diverso importo a seconda delle imputazioni dovranno
essere sborsati dagli altri amministratori finiti nella rete tesa dalla Corte dei
Conti.
Nel fare i conti in tasca all’ex presidente della giunta regionale ligure ed ai
suoi soci, i giudici contabili hanno seguito alla lettera i risultati dell’inchiesta
penale. La Corte, infatti, in più parti della sentenza fa proprie le espressioni
usati dai giudici d’appello per descrivere il clima di intimidazione in cui
sarebbe maturato lo scandalo.
Soprattutto quando si parla di Teardo e della sua sconfinata influenza. <Nel
corso di una continua e non resistibile ascesa- ricordano i magistrati della
Corte dei Conti – era stato facile per l’imputato costruire un gruppo di
persone a lui devote, impegnate nell’estensione del comune potere e del
proprio personale arricchimento>.
Teardo, dunque, era il vero motore dell’associazione a delinquere: <La sua
posizione politico-istituzionale gli conferiva la potenzialità di produrre un
effettivo condizionamento sia nelle nomine alle cariche amministrative, sia
nell’attività delle istituzioni cui era affidata la cura dell’interesse della
collettività relativo alla realizzazione di opere pubbliche>.
Tutti gli ex amministratori liguri condannati, presidente in testa, avevano in
altre parole trovato il modo di pensare al proprio tornaconto invece di
perseguire l’interesse degli enti pubblici. E per arricchirsi hanno addirittura
messo insieme <un quadro poliennale – si legge ancora nelle motivazioni
della sentenza – strutturato sistematicamente, nel quale le imprese
svolgevano stabilmente e continuamente la propria attività, finendo con
l’accettare la vessatoria situazione e rendendola compatibile con le redditività
del rapporto-costi-ricavi>.
Le ditte di costruzione, in pratica, erano obbligate a sottostare ai ricatti di
Teardo e degli altri amministratori, per non essere esclusi dalla “torta” degli
appalti. Il meccanismo messo insieme dall’ex presidente della Regione aveva
trasformato la tangente in un balzello fisso che gli imprenditori si erano
abituati a mettere in conto. La mazzetta, che generalmente si aggirava
intorno al 10 per cento dell’importo globale dell’appalto, veniva infatti
incorporata nell’offerta che “risultava quindi maggiorata, con l’aumento
dell’onere dell’amministrazione”.
Ma alcune tangenti superavano il dieci per cento, arrivavano fino al 12 , ed in
alcuni business fino al taglieggiamento del 15 per cento. Una sorta di Iva in
nero che ogni ditta appaltatrice sapeva di dover versare nelle tasche di
Teardo e dei suoi complici. Ora la banda della Riviera dovrà restituire una
parte del denaro sottratto attraverso la ragnatela di appalti e mazzette con cui
taglieggiava il ponente ligure.
Ma la somma, i giudici contabili lo hanno ricordato, rappresenta una goccia di
quanto l’ex presidente della Regione era riuscito a stipare nella sua
cassaforte. Che comunque, tra qualche tempo, sarà un po’ più vuota.
Patricia Tagliaferri
ECCO LE CIFRE
(Che devono versare)
Iacp di Savona
Borghi, De Dominicis, Teardo, 125 milioni
Borghi, Guerci, 14 milioni
Provincia di Savona
Teardo, Abrate, Sangalli
1 miliardo e 40 milioni
Comune di Borghetto
Teardo, 112 milioni
Comune di Savona
Teardo, 11 milioni
Comune di Finale Ligure
Teardo, Siccardi 38 milioni
“Ciclone Teardo” undicesima puntata
CAVIGLIA IERI, CAVIGLIA OGGI
DA DETENUTO (ASSOLTO) A VICE SINDACO
Gli ex soci di Teardo occupano ancora posizioni di potere, cariche
pubbliche, si sono riciclati? I condannati no, tra gli assolti (con
motivazione diverse) la risposta è sì. Eppure poco o nulla, almeno su
certi metodi, è cambiato. Scriveva il giudice che motivò la sentenza,
Vincenzo Ferro (con i colleghi Fiumanò e Avolio): <La lottizzazione
politica appare certamente un sistema deprecabile se raffrontato con i
principi della buona amministrazione, in quanto tutt’altro che idoneo a
garantire la collocazione della “persona giusta” al “posto giusto”. E’ un
sistema generalizzato su scala nazionale>. Si da atto a Caviglia che pur
“sponsorizzato” e con requisiti precari per la presidenza della Camera
di Commercio, <l’ente è rimasto un’oasi unica dalla contaminazione che
aveva pervaso ed inquinato la vita amministrativa savonese>. Caviglia
massone? <Non è reato…> Nel complesso la fotocopia di
un’attualissima realtà savonese dove la sinistra è al potere, ma anche
dove governa Forza Italia e “soci”.
di Luciano Corrado
Ugo Intini e Piero Biamino
SAVONA – Lungo il cammino della “Teardo story” , giunti all’undicesima
puntata, sono frequenti le segnalazioni di chi ci chiede: dove sono finiti i
protagonisti (25 i processati nella Teardo 1, la Teardo-bis è invece
naufragata) di quella vicenda? Occupano ancora posizioni di potere? cariche
pubbliche? Si sono riciclati?
Diciamo subito che nessuno dei condannati, con sentenza passata in
giudicato, ricopre ruoli nella pubblica amministrazione. Anche perché è stata
comminata la pena accessoria di interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Diverso il discorso per chi è stato assolto, in qualche caso magari con la
formula (allora esistente) dell’insufficienza di prove, per uno o più reati
contestati.
Merita di essere segnalato il caso di Pierluigi Bovio, architetto, sindaco
comunista di Borghetto S. Spirito, che condannato in primo grado a 4 anni e
4 mesi, ma assolto in appello ed in Cassazione con formula ampia, è rimasto
“lontano” non solo da incarichi istituzionali, ma anche dalla vita politica attiva.
Una rarità.
Nel capitolo che affrontiamo in questa puntata il protagonista è Paolo
Caviglia, 66 anni, già funzionario della Regione, scagionato in primo grado (il
Pm chiese 4 anni e 6 mesi per associazione a delinquere di stampo
mafioso), poi in appello a Genova, con la conferma della Suprema Corte,
oggi riveste un ruolo di spicco sia nella vita politica (al vertice provinciale del
Psi), sia nelle istituzioni (è vice sindaco del Comune di Savona). Un ruolo
pubblico che ha conquistato con le elezioni dei candidati al “parlamentino”
locale, dunque il consenso popolare.
Appare inutile, per una serie di ragioni, pubblicare sia gli interrogatori di
Caviglia, sia le carte della pubblica accusa e del rinvio a giudizio. Anche
perché trattasi di un cittadino che ha subito oltre due anni di detenzione (tra
Badecarros, in Sardegna, Sanremo e in ultimo ai domiciliari, tra il 2 settembre
1983 con l’arresto e la scarcerazione, 8 agosto 1985) senza una condanna
definitiva, pagando un prezzo durissimo sotto l’aspetto umano, morale e
famigliare.
SCRISSE LA MOTIVAZIONE UN GIUDICE INDISCUSSO
Ci sembra utile ripercorrere la “storia” giudiziaria di Caviglia, nell’ambito del
ciclone Teardo, pubblicando i passi salienti della motivazione della sentenza
di primo grado, a Savona sull’imputato Caviglia.
Motivazione scritta, con una serenità di giudizio unanimemente riconosciuta,
dall’allora giudice estensore Vincenzo Ferro, un savonese, classe 1935, che
proprio in questi giorni ha concluso “senza ombre” la sua lunga carriera di
servitore dello Stato e della giustizia. Al tribunale di Savona ha lavorato alla
sezione civile, sezione penale, sezione fallimentare. Tra le sue mani sono
“passati”, come si suole dire, vicende, cause, processi delicatissimi, difficili,
dirompenti.
Chi ha seguito la sua attività da cronista di giudiziaria non può dimenticare la
complessità ed il ruolo che Ferro ebbe, ad esempio, nel “giallo Mario
Berrino”, il noto pittore di Alassio al centro di un sequestro assai anomalo.
Uno dei grandi “buchi neri” della storia savonese. Ignorato. Come per le
“bombe di Savona” anche il periodo, ironia della sorte, coincide.
Ferro, come giudice istruttore (svolse minuziosi sopralluoghi sui luoghi
dell’asserita prigione e sui percorsi dal giorno del rapimento); ordinò anche
l’arresto di Berrino, un cinque novembre, al termine di una drammatica
mattinata. Il pittore di fama internazionale è stato forse la sola persona che
ha descritto in termini di biasimo e non solo, l’operato del giudice Ferro (leggi
pagina 28 e 29 del libro “Mario Berrino” (Il giallo Berrino) terza edizione).
Vincenzo Ferro dalla prima sezione civile della Corte d’appello, passò alla
prima sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, infine è tornato a
Genova a presiedere la prima sezione civile della Corte d’appello.
Chiusa questa parentesi doverosa, per ricordare un “valoroso ed integerrimo
magistrato”, torniamo al personaggio Caviglia, negli atti scritti proprio da
Ferro.
CHI ERA CAVIGLIA E CHI LO ACCUSAVA
Paolo Caviglia, a pagina 8, della motivazione di primo grado viene definito
<pubblico amministratore, presidente della Camera di Commercio per volontà
di Teardo, presidente dell’Azienda Consortile dei Trasporti Savonesi (Acts),
interessato ad attività societarie afferenti all’associazione…>. Ovvero
l’imputazione principale e più grave di <associazione a delinquere ed
associazione di stampo mafioso>.
La prima volta che venne contestata in Italia a pubblici amministratori-pubblici
ufficiali, ma questo aspetto è sparito da tutte le ricostruzione storiche di
giornali e tivù, Rai compresa. Associazione mafiosa, caduta per diversi
imputati condannati, perché l’ultimo attentato ad un cantiere (ponte sul
Letimbro) dell’impresa Damonte di Alassio avvenne alla vigilia della nuova
legge che avrebbe comportato l’aggravamento della posizione degli imputati
accusati di “mafiosità”. Accusa affrontata anche in Cassazione che demandò
il giudizio finale ad una nuova sezione della Corte d’appello di Genova.
Escluse la mafia, con una serie di palesi contraddizioni, messe bene in risalto
dal giudice Michele Del Gaudio nei suoi libri.
Agli atti del processo di Savona, quello della sentenza che oggi illustriamo,
figura difensore di Caviglia l’avvocato Giorgio Finocchio di Borgio Verezzi.
Ecco la motivazione scritta nei confronti di Paolo Caviglia. Inizia a pagina 399
con queste parole: <Nell’esame della posizione dell’imputato occorre, preso
atto dell’assenza originaria di imputazioni specifiche diverse da quella di
associazione per delinquere e di associazione di tipo mafioso,analiticamente
considerare gli elementi, particolarmente numerosi, indicati come sintomatici
nel provvedimento di rinvio a giudizio (firmato da Michele Del Gaudio e
Francantonio Granero ndr) e nella requisitoria del Pubblico Ministero (era
Michele Russo ndr) per verificare se in alcuno di essi, pur in difetto di
rilevanza penale autonoma, siano riscontrabili estremi di contributo alla
attività dell’associazione criminosa.
NOMINATO NON PER MERITI MA PER SCELTA DI TEARDO
Il dato più importante è ravvisabile nella nomina del Caviglia a Presidente
della Camera di Commercio di Savona rispondente ad una scelta di ordine
essenzialmente politico espressa dal Psi, volta ad assicurare a tale partito
una delle cariche di rilevanza politica in sede locale, e sostenuta nelle
opportune sedi dal Teardo quale autorevole esponente del partito stesso.
Esclusa la sussistenza nella linea di condotta seguita dal Teardo dei
connotati tipici dell’intimidazione mafiosa (il tribunale non ha condiviso la tesi
accusatoria dei giudici istruttori ndr), devesi riconoscere che ci si trova in
realtà in presenza di un palese episodio dell’ormai comune fenomeno della
lottizzazione politica, cioè di quel sistema di distribuzione delle cariche
pubbliche che è ispirato alla creazione e al mantenimento di determinati
equilibri di potere tra le varie forze politiche.
Tale e non altro (alla stregua delle parole del Teardo all’imprenditore Andrea
De Filippi) sembra essere stato il titolo del Caviglia alla nomina alla
presidenza di un ente dotato di ampie competenze promozionali e consultive
in materia economica. Anzi, il significato di tale nomina è andato al di là delle
persone del Caviglia e del De Filippi, in quanto la scelta del primo a
preferenza del secondo si è tradotta nella designazione di un presidente di
estrazione e formazione burocratica anziché di un presidente di estrazione e
di esperienza imprenditoriale.
La cosiddetta lottizzazione politica, in se stessa considerata, appare
certamente un sistema deprecabile se raffrontato con i principi della buona
amministrazione, in quanto tutt’altro che idoneo a garantire la collocazione
della “persona giusta” al “posto giusto”.
E’ chiaro che questa valutazione viene qui formulata in termini generali, e non
implica alcuna risposta negativa al quesito, processualmente irrilevante, se il
Caviglia fosse o meno dotato delle qualità e di competenza richieste dalla
carica. Importa qui rilevare che, proprio perché il sistema sopra descritto si
presenta caratterizzato da diffusione generalizzata su scala nazionale e
risponde ad esigenze ed interessi di ordine politico di ampia dimensione, non
è ravvisabile alcuna connessione tra siffatta, meno corretta, forma di
esercizio del potere politico, in se stessa considerata, e il perseguimento
delle finalità dell’associazione criminosa tendente alla realizzazione di
profitto patrimoniale mediante penetrazione di reati contro la pubblica
amministrazione
CAMERA DI COMMERCIO: OASI INCONTAMINATA
Tengasi presente, tra l’altro, che nessuna specifica illegalità è emersa in
ordine all’attività della Camera di Commercio, rimasta – almeno a quanto
consta – oasi immune dalla contaminazione che pare aver pervaso e
inquinato la vita amministrativa savonese.
Perciò, la posizione assunta dal Caviglia nella Camera di Commercio, pur
politicamente qualificata e condizionata dalla posizione di potere di Teardo,
non è comparabile sotto il profilo che qui interessa, con quello di un Abrate, di
un Sangalli, di un Borghi in seno ad altri enti pubblici.
Non è necessario accertare, ai fini della presente decisione, se la procedura
relativa alla nomina di Caviglia si sia svolta nel rispetto della più rigorosa
legalità. E risulta poi irrilevante che il Caviglia sia assurto a cariche direttive di
alcune imprese parastatali, verosimilmente alfine di acquisire una parvenza di
imprenditorialità in vista della presidenza della Camera di Commercio stessa.
Non in virtù di proprie attitudini culturali e professionali, ma essenzialmente
in forza di indicazioni politiche, ancora riferibili al Teardo, ma non
riconducibili, fino a prova diversa, a manifestazioni di quella “illegalità diffusa”
di cui si parla nel provvedimento di rinvio a giudizio.
ATTIVITA’ A FINALE LIGURE
DISCUSSE, MA LECITE
Il Caviglia ha occupato la carica di consigliere comunale, capogruppo
consiliare del partito socialista, nell’amministrazione del Comune di Finale
Ligure, a fianco del sindaco Lorenzo Bottino, nel periodo in cui la vita
amministrativa di quel Comune è stata tormentata dalle vicende edilizie che
hanno formato oggetto di numerose inchieste.
La presenza di Caviglia non può tuttavia essere interpretata in senso
criminalmente strumentale al pagamento della tangente di 300 milioni di lire
in relazione alla lottizzazione di San Bernardino, per la semplice ragione che
di siffatta tangente manca la prova. Che la presenza di Caviglia vada
ricollegata alle numerose irregolarità edilizie che si sarebbero verificate in
quel periodo è ancora da dimostrare; inoltre la persona del Caviglia non
risultà, né alla stregua della sua funzione, né alla luce del contenuto delle
notizie raccolte.
Circa l’appartenenza occulta del Caviglia alla società che gestiva Il Covo e la
pizzeria Mamma Mia, si possono formulare considerazioni analoghe a quelle
già svolte a proposito di Bottino, in ordine alla non compatibilità deontologica
fra lo svolgimento di attività commerciali a siffatti livelli e la qualità di pubblico
amministratore, alla quale devesi aggiungere per il Caviglia, la non
compatibilità giuridica di qualsiasi attività commerciale svolta in prima
persona rispetto alla qualità di funzionario presso la Regione Liguria. Ma la
partecipazione, tra l’altro, più che formale, ad un’attività per sua natura non
illecita in se stessa, non significa imprenditorialità illegale…
Altro problema è quello della eventuale illecita provenienza del capitale
impiegato dal Caviglia..ma va sottolineato che in dibattimento non sono
emerse condotte caratterizzate da rilevanza penale. E va rimarcata
l’estraneità del Caviglia all’articolato sistema societario del quale il Teardo, il
Capello, il Gaggero ed altri imputati si servivano per il reimpiego dei profitti
illecitamente conseguiti.
MASSONE ISCRITTO
A DUE OBBEDIENZE
Circa l’affiliazione ad una loggia massonica non occorrerebbe spendere
ulteriori parole a quanto già osservato al proposito in termini più generali.
Merita tuttavia di essere segnalata la gratuità del riferimento al passaggio del
Caviglia da una all’altra obbedienza del quale non si desume alcuna prova,
né dalle dichiarazioni dell’imputato, né da alcuna altra fonte processuale.
Il “ritenuto dimostrato legame di Caviglia con Federico Casanova, peraltro
citato soltanto in ordine alla gestione calore dell’Iacp alla cui attività Caviglia
è sempre rimasto estraneo, si fonda sulle dichiarazioni del teste Minuto il
quale ha dichiarato di aver sentito dire dal Casanova che Caviglia era stato
gratificato con buoni benzina gratuiti per 2000 litri di carburante. La prova non
esiste.
Come pure l’asserito interessamento del Caviglia ad una lottizzazione nel
Comune di Pietra Ligure alla quale erano interessati gli imputati Bongiorni e
Vadora.
Non risulta che il Caviglia si sia avvalso scorrettamente della sua carica,
conseguita certamente e ancora una volta in funzione politica, di presidente
dell’Acts...
Del fatto di essere stato tramite per il passaggio della somma di tredici milioni
e mezzo proveniente da Teardo, il Caviglia ha dato una spiegazione che non
ha avuto prova contraria e dunque credibile.
I movimenti bancari facenti capo al Caviglia, infine, non paiono tali da destare
particolare sospetto. In particolare non si può condividere l’assunto del
giudice istruttore secondo cui essi sarebbero già di per se sintomatici della
volontà di nascondere la natura dell’operazione e la provenienza del denaro,
ma nulla è emerso nel rapporto finanziario tra Caviglia e Capello, cassiere del
clan>.
Luciano Corrado
Ciclone Teardo/ Dodicesima puntata
MAURO TESTA, 2 ANNI DI CARCERE
POI UNA CONTRASTATA ASSOLUZIONE
Era sindaco di Albenga e funzionario Iacp, oggi segretario politico del
Psi ingauno. Dagli atti processuali il suo ruolo negli appalti, vicende
edilizie, la confessione di un collega sulle tangenti, i versamenti su tre
conti correnti bancari, la cassetta di sicurezza, la mai chiarita
scomparsa di schede, la doppia iscrizione a due obbedienze
massoniche. Ma nessuna prova contro l’imputato Testa, solo una
condanna a 6 mesi (prescritta) per un reato minore. Nell’aprile scorso
tornò alla ribalta quale convinto fautore delle quattro torri al posto del
vecchio ospedale, con un progetto di Arte&Nucera.
SAVONA – Nella lista dei 26 imputati (inizialmente 42) rinviati a giudizio e
processati dal tribunale di Savona nel 1985, il nome di Mauro Testa occupa il
numero 19. Un personaggio, noto e discusso, già all’epoca. Sindaco di
Albenga, seconda città della provincia per numero di abitanti, ma
anche esponente di primo piano del Psi e funzionario dello Iacp allora
definito a torto o a ragione l’ente più corrotto della provincia (ora Arte).
Mauro Testa, 59 anni compiuti proprio il 17 febbraio, ha in buona parte
seguito la stessa sorte di Paolo Caviglia (di lui ci siamo occupati nella scorsa
puntata della “Teardo story”) ed attuale vice sindaco di Savona, oltre ad
essere al vertice savonese del Psi.
Entrambi arrestati il 2 settembre 1983, entrambi assolti (per Testa c’è
un’assoluzione ampia dal capo d’accusa più grave, una condanna a 6 mesi
dichiarata prescritta per un reato minore ed un’insufficienza di prove).
Entrambi scarcerati l’8 agosto 1985, il giorno della sentenza di primo grado.
Testa era detenuto nella casa circondariale di Fossano
Entrambi rivestono, a 25 anni da quei giorni, ruoli pubblici, con un impegno
diretto in politica. Mauro Testa è segretario ingauno dei socialisti
democratici, direttore dell’Agenzia regionale territoriale per l’edilizia.
TESTA FAVOREVOLE AL PROGETTO DELLE TORRI
Nell’aprile 2007 fu tra i protagonisti della durissima polemica per le quattro
torri (20 mila metri cubi) che, secondo un progetto di massima, si vorrebbero
costruire al posto del vecchio ospedale (vedi articolo….). Testa, con il gruppo
socialista (Vincenzo Damonte e Tullio Ghiglione), si schierò per il “sì”, a
favore del progetto Arte-gruppo Nucera .
Il capostipite Giovanni Nucera era tra i più votati esponenti del Psi
albenganese, dal 1982 iscritto alla sezione “Balletti” ed alla sua prima
esperienza elettorale alle comunali, nel 1988, ottenne 486 preferenze
personali, subito dopo il capogruppo Danilo Sandigliano e Testa.
Giovanni Nucera venne coinvolto e arrestato, difeso dagli avvocati
Vernazza e Mazzitelli, nell’ambito dell’inchiesta del 1996 del Pm, Landolfi
su Viveri ed altri 54 indagati. L’epilogo non fu proprio esaltante per la
giustizia. Sempre Giovanni Nucera risultò acquirente di tre alloggi di
proprietà di Alberto Teardo e della moglie Mirella Schmid a Palo di
Sassello. I sussurri di allora asserivano che durante un periodo di latitanza,
Teardo potè contare proprio sull’amico e finanziatore del partito, Nucera.
Che non tradì mai, come fece con Angioletto Viveri.
Oggi i tre figli di Nucera, capeggiati da Andrea con un’esperienza di
pubblico amministratore a Ceriale, dopo la morte del papà, hanno potenziato
un piccolo impero non solo nel savonese.
Vasti gli interessi in attività edilizie, immobiliari, terriere e nel settore
alberghiero, anche fuori dai confini della Liguria. Da Ceriale, alla Valbormida,
da Alassio a Borgio Verezzi, a Varigotti, dalla Sardegna a Roma, alla Costa
Azzurra, all’Africa. La principale sede operativa resta ad Albenga, poi Milano,
con appendici societarie e finanziarie in Lussemburgo.
Un’importante risorsa, insomma, di cui si potrebbe dare un giudizio positivo,
se non fosse annebbiato da alcuni buchi neri per un legame fin troppo
chiacchierato con alcuni esponenti politici, compresi parlamentari e pubblici
amministratori (progettisti e consulenti a vario titolo, dunque a libro paga).
E’ utile aggiungere che la seconda generazione dei Nucera non ha nulla da
spartire con il “ciclone Teardo” (sia prima edizione, sia la Teardo-bis
archiviata dai nuovi giudici inquirenti) per il quale Trucioli Savonesi si
propone di offrire ai lettori una “rivisitazione storica”, quasi interamente
documentata con materiale d’archivio. Destinata soprattutto ai molti cittadini,
politici e non, giornalisti compresi, che sono affetti da “memoria corta”.
Si aggiunga il mai abolito principio che l’assenza di responsabilità
penalmente non riconosciute, non significa ignorare i principi, i valori di
opportunità morale-etica soprattutto per chi è chiamato a svolgere funzioni
pubbliche, elettive o attività politica.
ITER DELL’INCHIESTA E DEI VARI PROCESSI
Mauro Testa dovette attendere il 12 giugno 1989 per uscire definitivamente
dal tunnel, dall’inferno processuale. Nei suoi confronti c’era l’accusa di
associazione di stampo mafioso (contesta a 17 imputati e rimasta tale per 11
di loro, fino all’assoluzione con un secondo processo in Corte d’appello a
Genova) ed interessi privati in atti d’ufficio per la “gestione calore” dell’Iacp di
cui era allora coordinatore amministrativo.
Testa, già in primo grado, a Savona, fu assolto per “mafia” con formula
ampia. Insufficienza di prove per uno di due episodi riguardanti gli interessi
privati. Il pubblico ministero del dibattimento, Michele Russo, aveva invece
chiesto la condanna a 5 anni, 6 mesi 1 milione di multa. Assolto con la stessa
formula anche nel giudizio di secondo grado, a Genova. Poi l’appello del
procuratore generale Michele Marchesiello.
La Suprema Corte di Cassazione, in quel lontano giugno1989,
contrariamente alle richieste della procura generale, respinse l’estensione
dell’accusa di associazione a delinquere di tipo mafioso, riproposta per lo
stesso Testa e Caviglia. Ha inoltre annullato la condanna a 6 mesi di Mauro
Testa in quanto il reato era estinto dalla prescrizione. Dispose, come
accennato, un nuovo giudizio in Corte d’appello a Genova, per l’accusa di
mafia, a carico di 11 imputati, ritenendo che sussisteva una “carenza di
motivazione” nell’assoluzione.
Difensore di Testa era l’avvocato Antonio Chirò, già vice pretore di Savona.
<Sono soddisfatto – dichiarava il legale al Secolo XIX - per due motivi. Testa
esce da questa brutta avventura senza condanne; personalmente non ho mai
avuto dubbi sulla sua estraneità. Inoltre nessuno riuscirà mai a convincermi
sull’esistenza di un reato di stampo mafioso nella vicenda Teardo>.
IL RUOLO DI TESTA DESCRITTO DA FERRO
Come abbiamo fatto per Paolo Caviglia, è sicuramente utile ripercorrere il
ruolo processuale di Mauro Testa seguendo la motivazione della sentenza di
primo grado, a Savona, considerata la più completa per farsi un’idea di quel
“mosaico”, con le sue 120 mila pagine. Motivazione scritta dal giudice
savonese Vincenzo Ferro al quale tutti riconoscevano un ottimo lavoro sia
sul merito, sia in diritto-dottrina giuridica.
Ecco cosa è scritto nella sentenza di 463 pagine dattiloscritte e che
analizzava la posizione dei singoli imputati a giudizio.
<Testa, pubblico amministratore, quale sindaco del Comune di Albenga,
pubblico funzionario, quale dipendente dello Iacp di Savona, commetteva
reati e consentiva all’associazione di perseguire i suoi fini, anche abusando
delle sue rispettive funzioni>.
Motivazione dell’assoluzione: <Testa è stato rinviato a giudizio quale membro
dell’associazione per delinquere e dell’associazione mafiosa perché, nelle
suddette qualità, commetteva reati e consentiva all’associazione di
perseguire i suoi fini anche abusando delle sue rispettive funzioni.
Dalle specifiche imputazioni relative ai soli reati di interesse privato in atti
d’ufficio, di cui era chiamato a rispondere, il Testa viene prosciolto, in parte
con formula ampia ed in parte con formula dubitativa.
Tra le altre ipotesi di reato, che sono state rimesse al proseguo dell’istruttoria,
l’unica riferibile al Testa è quella relativa alla “gestione calore” dell’Istituto
autonomo delle case popolari della provincia di Savona, per la quale, alla
stregua del dispositivo istruttorio, si profila un’imputazione a carico di
Marcello Borghi e Mauro Testa, ai sensi dell’articolo 324 (interesse privato
ndr), pur non essendo ancora state formulate concrete contestazioni.
Senza bisogno di ripetere quanto si legge nel provvedimento di rinvio a
giudizio a proposito di tale complessa vicenda, occorre qui soltanto osservare
che l’ eventuale correlazione tra il Testa e gli altri imputati di associazione
criminosa, in ordine alla gestione calore, passerebbe necessariamente
attraverso un intento di favorire indebitamente l’impresa “Hot Casa” del
gruppo di Federico Casanova, che sarebbe legato alle persone del Borghi,
del Teardo e del Caviglia. In assenza di prove, allo stato non raggiunta, di
specifiche forme di illegittimità nelle procedure adottate, l’esistenza di tali
legami resterebbe affidata alle testimonianze di Pietro Bovero e Umberto
Minuto, la cui estrema labilità, impedisce allo stato di dare corpo a quelle che
appaiono solo vaghe congetture…
Resta quindi da esaminare – prosegue la motivazione della sentenza nel suo
testo integrale - se, ed in quale modo, all’infuori della commissione di reati, il
Testa abbia altrimenti cooperato all’attività associativa. Appare superflua la
introduzione nel capo d’accusa della congiunzione “anche”, poiché, alla luce
della motivazione del rinvio a giudizio, non risultano addebitate al
Testa forme di condotta che non siano correlate con le sue funzioni. Resta
da verificare, in particolare, l’affermazione secondo cui egli sarebbe stato
“appositamente sistemato dal gruppo mafioso alle dipendenze dello Iacp di
Savona per consentire il controllo degli appalti banditi da detto istituto”.
PERSONALITA’, CARRIERA RACCOMANDAZIONI POLITICHE
Va detto – scrive ancora Ferro nelle motivazioni - che la personalità del Testa
non è favorevolmente lumeggiata da una carriera professionale intrapresa e
proseguita all’insegna della “raccomandazione” politica, anziché il pubblico
concorso. Ci si astiene, tuttavia, volutamente, da una più approfondita
indagine circa la legalità formale dell’assunzione del Testa, poiché mentre,
da un lato, non sono stati ritenuti dagli inquirenti estremi di reato al riguardo,
non risultano d’altra parte essere stati esperiti da eventuali controinteressati
gli opportuni rimedi amministrativi. Non si ravvisano quindi, circa le pretese
occulte motivazioni dell’inserimento del Testa nell’organigramma dell’Istituto,
se non generici motivi di sospetto.
L’affermazione di Nicola Guerci (l’unico tra gli imputati ad aver confessato e
risarcito i danni ndr), secondo cui le tangenti venivano incassate dalle
persone del gruppo che faceva capo al Teardo, quali Borghi, De Dominicis
e il Testa, richiederebbe, relativamente al Testa stesso, più approfondita
indagine e più convincente dimostrazione.
I TESTI CHE ACCUSAVANO
MA SENZA FORNIRE PROVE
Al Testa i giudici istruttori addebitano, inoltre, le dichiarazioni del teste Adelio
Venturino il quale considera il Testa, a tutti gli effetti, un membro del gruppo
teardiano. Ma il Venturino incorre in errore quando afferma che il Testa,
passato dalla sinistra del partito alla corrente teardiana, ne fu premiato
diventando in breve tempo funzionario dello Iacp e sindaco di Albenga,
laddove il Testa all’epoca dell’assunzione allo Iacp era legato proprio alla
corrente di sinistra dell’avvocato Giovanni Isoleri che si poneva in contrasto
con la corrente di Teardo, e quando sostiene che le tangenti dello Iacp
passavano necessariamente attraverso l’asse costituito dal Testa e dai
presidenti e vice presidenti del momento, mentre l’episodio di concussione ai
danni dell’imprenditore Stefano Cutino dimostra, almeno quanto al Testa, il
contrario.
Che il Testa fruisse dell’autorizzazione ad assentarsi dalla sede di servizio
per l’adempimento delle sue funzioni di pubblico amministratore, non solo
non è illecito in se stesso, ma costituisce conseguenza del principio a cui è
pervenuta la nostra civiltà giuridica (art. 51 della Costituzione)….che il Testa
ne fruisse in misura eccedente i limiti del legittimo o del necessario, può
essere vero, anche se non provato. Ma ove ciò fosse dimostrato, non
varrebbe certo ad avvalorare l’ipotesi di una presenza assidua ed attiva
dell’imputato nello Iacp a scopi di coordinamento dell’attività criminosa in
esso attuata.
Infine, le notevoli disponibilità economiche del Testa hanno ricevuto una non
inattendibile spiegazione nelle sue condizioni di famiglia>.
E qui si conclude la motivazione.
COSA DICHIARO’ A GRANERO NEGLI INTERROGATORI
Il 3 settembre 1983, il giorno dopo l’arresto, Mauro Testa, presenti gli
avvocati Tito Signorile e Antonio Chirò, così esordi nel suo primo
interrogatorio da detenuto davanti al giudice istrutturo Francantonio
Granero: <Sono coniugato, dirigente dello Iacp, non ho fatto il militare, sono
laureato in giurisprudenza, sono già stato condannato per contravvenzioni al
codice della strada. Fui assunto all’Iacp con contratto a termine nel novembre
1974 dopo che mi ero laureato a luglio ed avevo fatto pratica nello studio
dell’avvocato Giovanni Isoleri e fu lui a segnalarmi all’architetto Nino
Gaggero. Non sono stato io, sia per la giovane età, sia per la mancanza di
esperienza professionale, a gestire tutti gli appalti per un importo globale di
10 miliardi nel corso del dicembre 1974. Non è vero che gestivo in prima
persona l’elenco delle imprese da invitare all’offerta. Non sono io che decisi
di gestirli col sistema della lecitazione privata. Né che fu possibile assegnarle
col sistema del ribasso. Mai ho partecipato alle gare. Non riesco a spiegare
perché sono sparite le schede segrete dell’Amministrazione dell’Iacp relative
agli appalti stessi. Le ho cercate anch’io in quando ero fino al giorno del mio
arresto coordinatore amministrativo dell’ente. Posso aggiungere che ebbi
dell’ostracismo dai colleghi….
LE PROPRIETA’ IMMOBILIARI E I VERSAMENTI IN BANCA
Nel corso dello stesso interrogatorio, scritto dal brigadiere dei carabinieri
Gaetano Parisi, il detenuto Testa dichiarava: <Le proprietà immobiliari di cui
sono proprietario sono state da me acquistate con denaro prestatomi da mia
madre, frutto della mia famiglia da oltre 30 anni. Tre dei conti correnti dei
quali sono titolare, sono in realtà di mia madre ed io sono delegato per la
firma. Sono socio accomandante della società Agem, ma tale società,
indipendentemente dagli scopi statutari, non ha mai svolto attività di
compravendita immobiliare, ma soltanto amministrazione ed assicurazione di
condomini.
E’ vero che sono socio dell’Atex, anzi lo ero. Io ho versato cinque milioni, 3
come capitale e 2 per fondo cassa. Era mal gestita e ho perso tutto. Ignoravo
che questa società con sede a Roma, si identificasse con il Cad di Roma. Tra
i soci c’erano Eraldo Ghinoi, Borghi, Siccardi, De Domenicis, Gregorio,
funzionario della Camera dei deputati, Marina Zugnoni.
Prendo atto che da una telefonata intercettata presso l’utenza telefonica di
Euro Bruno (altro imputato del troncone principale ndr), risulterebbe la mia
amicizia con il noto pregiudicato Pietro Nalbone, detto “zu Pietro”, preciso
però che l’ho conosciuto esclusivamente in carcere ed ho avuto con lui
normali rapporti tra detenuti.
I conti correnti intestati a me e mia madre contengono anche gli incassi del
bar e del denaro regalato a mia madre dalla nonna. Prendo atto che si tratta
sempre di cifre tonde e banconote di grosso taglio che mal si conciliano con
gli incassi di un bar, non so fornire spiegazione in proposito.
Prendo atto delle distinte di versamento sulla Banca d’America e
d’Italia…sulle distinte di versamento del Banco di Roma di Savona, in
banconote da 50 e 100 mila lire, nel periodo 1980-1983. Sono soldi
esclusivamente di mia madre.
E’ vero che ero titolare di una cassetta di sicurezza intestata a Massimo De
Domenicis, lui mi chiese un favore in quanto non voleva che lo sapesse sua
moglie.
Prendo atto del conto corrente della banca San Paolo di Albenga, anche
questi sono soldi di mia madre.
Prendo atto dei due libretti al portatore della Cassa di Risparmio di Genova
e Imperia, non so perché furono aperti, ma credo per versare gli interessi
dei Bot.
Circa la vicenda di Regione Frontero, con immobile della Rivierauto, mi
riporto al parere che rilasciò al Comune, quando ero sindaco, il prof. Lorenzo
Acquarone.
Circa la vicenda della “Cuneo Polli” e alle aree al centro delle polemiche mi
riporto a quanto dichiarai all’epoca al sostituto procuratore Maria Teresa
Cameli. Cosi pure per la costruzione di un edificio a Lusignano destinato a
materiale agricolo... Preciso che non ho mai interferito per la costruzione
dell’immobile aggiudicato all’impresa Filippone.
E’ vero che partecipai ad una cena elettorale, insieme a Teardo, organizzata
all’Ariston di Andora della famiglia Pallavicino, suocero dell’attuale
questore di Nuoro, Arrigo Molinari.
Ignoravo che Alberto Teardo o suoi emissari avessero versato soldi, in
campagna elettorale, a noti pregiudicati….
IL RUOLO DI TESTA
NELLA MASSONERIA
<Prendo visione dei documenti a me sequestrati e contenuti nella busta D.
Effettivamente, come risulta dal documento n.23, io ero iscritto alla
massoneria. Entrai, dapprima, nella loggia XX Settembre di Savona, della
quale era maestro venerabile Giuseppe Bolzoni (che chiamava “micio”
l’allora presidente del tribunale Guido Gatti, come risulta dalla relazione del
giudice Rossini in Corte d’appello a Genova ndr). Entrai in loggia su invito di
Bolzoni che conoscevo perché frequentava la Federazione del Psi di
Savona. In loggia c’era anche Massimo De Dominicis. Non ero tra i più
assidui in loggia e cosi decisi di trasferirmi alla loggia intitolata a Giuseppe
Mazzini, sempre dell’obbedienza di Palazzo Giustiniani ad Albenga. Dopo
l’arresto sono stato sospeso. Prendo visione delle due tessere di iscrizione
alla massoneria contrassegnate con il numero 49. Prendo atto che le tessere
sono datate primo dicembre 1976 e 12 giugno 1978, riguardano la mia
adesione, dapprima come apprendista e poi come grado secondo,
all’obbedienza di Piazza del Gesù. Trattasi della loggia Le Acacie di
Albenga, della quale facevano parte, tra gli altri, il commercialista Malpezzi di
Alassio e Gianfranco Sasso di Albenga, cioè la stessa persona
cointeressato all’operazione Cuneo Polli. Ricordo ancora i nomi di Angelo
Emilio Mosso sindaco del Comune di Villanova d’Albenga, e di Giancarlo
Ieri, segretario comunale di Albenga.
Preciso che lasciai l’obbedienza di Piazza del Gesù, su richiesta di
Giuseppe Bolzoni. Nella loggia Le Acacie è probabile ci fosse anche
Augusto Guglieri, impiegato di Carlo Pallavicino e delegato di spiaggia di
Andora>.
Questa è la storia descritta con la parte più significativa degli atti processuali.
Mauro Testa resta pur sempre, anche una vittima della giustizia, che non ha
condiviso, nel giudizio finale, l’accusa principale per la quale era finito in
carcere. La detenzione, al di là dell’esito finale, è un’esperienza durissima, a
volte devastante. Non sappiamo se Testa l’ha superata e come.
Il suo ritorno a capofitto nella politica, anche in vicende delicatissime come la
costruzione delle torri nella sede del vecchio ospedale, con annessi e
connessi, gettano molte ombre da dissipare, e per le quali è in corso pure un
processo, con richiesta danni, da parte di Arte e del presidente di allora,
Franco Bellenda, contro Antonio Ricci (Striscia la Notizia e albenganese
d’origine).
Vicende che pare non rappresentino quella svolta morale ed etica di cui ha
tanto bisogno l’Italia (vedi relazione della Corte dei Conti sulla corruzione).
Anche nel Savonese e l’Imperiese resta folta la schiera dei non vedenti. Sarà
solo per caso.
Luciano Corrado
TREDICESIMA PUNTATA
MALAVITA, MASSONERIA, AFFARI CHI VERSAVA E CHI INCASSAVA
I PRIMI DRAMMATICI INTERROGATORI DOPO GLI ARRESTI
Per la prima volta vengono pubblicati stralci dei verbali integrali, con
domanda e risposta, dell’ex presidente della Regione. Una miniera di
notizie ai più sconosciuta. Legami e storie da Genova a Ventimiglia,
fino a Roma. Con molti nomi eccellenti. Il ruolo dei clan calabresi. I voti
pagati. Persino versamenti per 120 milioni (eravano nel 1983) ad un
certo “Pepp”. Teardo ha sempre negato di aver preteso soldi e parlava
di finanziamenti leciti, al partito.
di Luciano Corrado
Savona – Questa tredicesima puntata, zigzagando tra un capitolo e l’altro del
“monumentale” fardello di documenti della “Teardo story”, la dedichiamo ad
alcuni interrogatori a cui fu sottoposto l’ex presidente della Regione Liguria
dopo il suo arresto, il 14 giugno 1983, a pochi giorni da una probabile
elezione in Parlamento dove si era candidato nelle liste del Psi, con una
promessa: futuro neo sottosegretario di Stato.
Bettino Craxi, in visita al cimitero di Stella il 23 febbraio 1991 (vedi articolo
del Secolo XIX…), avvicinato con molte difficoltà (e lo riveliamo per la prima
volta) dal cronista, alla richiesta: “quali errori aveva commesso lui ed il partito
per il caso Teardo”, in prima battuta disse: <Non rispondo>. Poi avvicinandosi
e a bassa voce quasi per non farsi sentire: <Con l’impegno che non scriva
nulla, abbiamo sbagliato noi, Pertini aveva ragione, ma Teardo per certi versi
è una delle poche vittime che paga e qualcuno tra i piedi ce l’ha messo.
Basta, ho già detto troppo>.
Il giudice Francantonio Granero, assistito dal brigadiere Giuseppe
Corrado, chiede all’imputato Teardo da chi è stato iniziato nella massoneria.
Teardo: <Confermo di essere stato iniziato dal Gran Maestro Salvini e capii
successivamente che la forma adottata era quella per cui io restavo
all’orecchio del Gran Maestro e non venivo inserito in una specifica loggia.
Confermo che anch’io ho avuto occasione di leggere che l’iniziazione
all’orecchio era il sistema adottato per la costituzione della loggia massonica
P 2, ma ripeto che nulla io sapevo di essere stato iscritto nella loggia di Licio
Gelli come risulta dai documenti sequestrati>.
Granero: <Cosa accadde dopo…>.
Teardo: <Dopo essere rimasto all’orecchio del Gran Maestro Salvini,
dell’obbedienza di Palazzo Giustiniani, senza più partecipare a riunioni,
senza più incontrarlo, io ebbi una certa crisi sui valori della massoneria e ne
parlai diffusamente con l’avvocato Enzo Mazza (era presidente della Cassa
di Risparmio di Savona ndr) che non faceva alcun mistero della sua
appartenenza alla massoneria stessa e, più specificatamente, all’obbedienza
di Piazza del Gesù. Io risolsi quindi la mia crisi accettando l’invito del Mazza
ad affiliarmi alla loggia Mistral e partecipai un paio di volte alle riunioni che si
tenevano in via Famagosta, a Savona>.
Nota: Lino Salvini, fiorentino, nel volume “In nome della loggia”, introvabile
nelle librerie italiane, casa editrice Napoleone (ha fatto una brutta fine), si
rivelano molti retroscena e misteri della politica-massoneria deviata-poteri
occulti e viene descritto tra i <più o meno coscienti servi sciocchi di un potere
occulto nel Grande Oriente d’Italia>, la massoneria più numerose ed
autorevole, con molti personaggi illustri e di specchiata fama. E’ Salvini che
“candida”, a Genova, Ermidio Santi (Psi-Psdi). Ha nella schiera Antonio
Cariglia, onnipotente ras della Federazione socialista di Firenze e
capogruppo per il Psdi alla Camera; l’ex ministro della Sanità, Luigi Mariotti,
vice presidente della Camera dei deputati. Salvini è stato anche presidente
(1970-1974) della Lidu (Lega italiana per i diritti dell’uomo) con sede in
Francia e sarà sostituito da Pasquale Bandiera, onorevole
repubblicano, iniziato a sua volta alla massoneria da Fank Gigliotti nel 1943
ed iscritto ad una loggia massonica di New York. Bandiera fu vice presidente
mondiale della Federazione internazionale, dal 1973, al posto di Francois
Mitterand, leader socialista francese e dal 1981 presidente della Repubblica
per due mandati.
Granero: <Le risulta se in quel periodo aderirono alla loggia Paolo Caviglia
e Mauro Testa…>. Entrambi massoni iscritti però a due obbedienze (ndr)
Teardo: <Non so dire se in quel periodo anche Caviglia e Testa abbiano
aderito all’Obbedienza di Piazza del Gesù. Per quel che ne so, prima di allora
Caviglia non era affiliato ad alcuna loggia e quindi l’affiliazione propostagli
dall’avvocato Mazza dovrebbe corrispondere, nulla mi risulta per Testa.
Ricevo lettura di uno stralcio delle valutazioni rese in sede di interrogatorio da
Paolo Caviglia circa la degenerazione delle logge savonesi o di alcune di
esse dagli ideali massonici e circa la commistione tra massoneria, politica ed
affari. Io condivido questo giudizio.>
Granero:<Ricorda come iniziò il suo primo rapporto massonico?…
Teardo: <Non so perché mi si parli di Arrigo Molinari che io conosco in
quanto vice questore di Genova. Non capisco le domande inerenti la vicenda
di Villa Cambiaso o peggio della P2. La cosa mi sorprende e mi sconcerta. La
mia affiliazione massonica trae origine dal fatto che un giorno
accompagnando un compagno socialista a fare la Tac, conobbi per caso
Willian Rosati che adesso è morto. Costui mi parlò di massoneria…il fatto
che lui fosse iscritto alla P2…come pure dell’appartenenza alla stessa loggia
P2, su mia presentazione, di Franco Gregorio…(funzionario della Camera,
poi del Quirinale, cacciato da Pertini ndr), mi fa sorridere il collegamento, il
riferimento al Presidente degli Stati Uniti…Come pure alle iniziative
dell’ambasciata americana per opporsi all’avanzata de partito comunista>.
IL CAPITOLO MALAVITA E CLAN DEI CALABRESI
Granero: <Ci parli delle conoscenze in ambienti calabresi….>.
Teardo: <E’ vero che conosco molte persone degli ambienti calabresi del
ponente ligure…persone che incontro nei miei giri elettorali. Non conosco
alcun Mafodda sebbene Lei mi faccia rilevare di un appunto esistente tra i
documenti che mi sono stati sequestrati. A chi svolge attività politica capita
spesso di ritrovarsi segnalazioni e biglietti concernenti persone che non
conosce.
Conosco Giuseppe Marcianò (vedi foto) ed anche Ciccio Marcianò (vedi
foto). Il primo ha un ristorante a Vallecrosia ove abbiamo tenuto riunioni
elettorali. Penso che le spese siano state pagate da Leo Capello in quanto
era il tesoriere del partito.(Che sarà successivamente sostituito da Giovanni
Nucera, imprenditore di Albenga e consigliere comunale ndr.). Io spesso ho
dato rimborsi elettorali alle persone che si adoperavano nella campagna
elettorale. Ma non ho mai comprato voti. Al massimo posso aver aiutato
qualcuno con un rimborso spese fittizio.
Granero: <Guardi questa documentazione…>.
Teardo: <Prendo atto che Leo Capello ha consegnato a Peppino Marcianò
o ad altri componenti della sua famiglia assegni bancari per un totale di 25
milioni e 500 mila lire. Non so spiegare l’entità della cifra.>
Granero: <Chi avvertì subito i Marcianò del suo arresto?….>
Teardo: <Non so chi e perché abbia ritenuto di avvertire Giuseppe
Marcianò del mio arresto, certo è che pochi giorni prima io avevo tenuto una
riunione in un altro ristorante di Vallecrosia ed in tale riunione era presente
Marcianò.
Non conosco alcun Stefanelli, forse solo rivendendolo potrei ricordarmi.
Conosco i fratelli Foti che gestiscono il bar, mi pare Maggiora a Savona. Mi
hanno aiutato in campagna elettorale.
Non conosco nessun Fotia.
Prendo visione di un appunto sequestrato a Capello nel quale si fa
riferimento a 120 milioni dati ad un certo Pepp.>.
Infatti nella valigetta “segreta” che Teardo gettò dalla finestra il giorno
dell’arresto fu trovato un appunto, rivela la motivazione della sentenza,
firmata dal giudice estensore Vincenzo Ferro, in cui si da atto <che è stato
rinvenuto a Teardo un appunto nel quale si legge “Mafodda –Peppino –
Ernesto”. Il Mafodda è implicato in processi svoltesi in altre parti d’Italia per
gravi reati. Ernesto fa riferimento a tale Morabito, identificato per altre
indagini di polizia a livello calabrese, trattasi poi di Peppino Marcianò che
comperava voti nel ponente ligure, tra i corregionali calabresi ed era stato
anche indicato il prezzo unitario per ogni voto>.
La sentenza di Ferro cita <una vicenda analoga attribuita agli incontri,
maggio-giugno 1983, di Roberto Bracco, autista personale di Teardo, con
Adriano Fiori, Gianni Comassi, Rocco Scriva, Sebastiano Fotia, sempre
per chiedere voti. C’è poi la testimonianza di Giuseppe Dell’Atti,
pregiudicato e trafficante di droga, noto a questo tribunale, il quale ha riferito
che nel 1981, quando era rinchiuso a Chiavari, ricevette una visita e
sollecitato a svolgere propaganda elettorale per Leo Capello. Ci sono poi le
rivelazioni di Lorenzo Carlevarino a proposito dell’imputato Buzzi, tramite
del collegamento tra il Teardo e la malavita, ma non meritano ulteriore
commento>. Rimarcava infine Ferro nella sentenza.
I RAPPORTI COL PCI
E CON MIRGOVI
Granero: <I suoi rapporti con il geometra Antonio Mirgovi…. Teardo:
<Sono stati di natura politica, costui cercava di smussare gli angoli delle
tensioni esistenti tra il Pci ed il Psi, soprattutto per l’interessamento di
Mirgovi sulla questione del Depuratore consortile di Savona. Parecchie volte
lui venne a farmi visita in Regione. Non escludo di aver incontrato di notte il
geometra Mirgovi nella sede del Cad di Savona.
Non ricordo e per me è una novità che mio nipote Giorgio Buosi abbia avuto
in assegnazione un appartamento ed un’altra unità immobiliare nell’ambito
dell’operazione Ammiraglie di Savona. Lui non me ne ha mai fatto cenno>.
Granero: <Suo nipote andava in Israele?….>
Teardo: <Conosco Isac Boumaguin perché ho acquistato da lui tappeti e
perché mio nipote Buosi è andato con lui in Israele per prendere contatti con
uomini d’affari di quel paese quando divenne socio della Citram
I RAPPORTI CON BOVIO
SINDACO DI BORGHETTO
Teardo: <Non conosco affatto Pierluigi Bovio, il quale anzi come sindaco
del Pci di Borghetto ha sempre fatto dichiarazioni molto violente contro di me.
Uscimmo come socialisti dalla giunta di Borghetto perché non volevamo più
collaborare con il Bovio. Mi risulta anche che il Bovio abbia fatto pesanti
dichiarazioni sul mio conto. Si figuri quindi se andavo a prendere tangenti con
Bovio>.
I NOMI DI CHI PAGAVA
I MAGGIORI IMPRENDITORI
Granero: <Ci sono dichiarazioni dell’imputato Roberto Siccardi, degli
imprenditori PierSanto Ghigliazza, di Brosito Bogliolo, di Giovanni
Damonte, di Angelo Freccero, di Mario Germano, di Mario De Filippi, di
Giampiero Sertore, di Giovanni Dossetti, ed altri ancora… . Siccardi
incassava e dice ai costruttori che consegnava i soldi al “capo”, cioè a lei….>.
Teardo: <Mai ricevuto somme illecite da nessuno. Sono questioni semmai
che riguardano chi incassava, Dossetti e Siccardi…Prendo atto che
risultano versamenti in contanti da parte mia su conti correnti e libretti al
portatore in corrispondenza alle date dei versamenti ammessi dagli
imprenditori…>
ARRIVA DEL GAUDIO
CI SONO I “PIZZINI”
Segue un interrogatorio da parte del giudice Michele Del Gaudio, assistito
dal vice brigadiere Luigi Ferrante, dove si parla di una serie di “pizzini”, scritti
con la macchina da scrivere sequestrata in casa di Teardo il giorno
dell’arresto.
Del Gaudio: <Se i soldi dei costruttori non sono andati a lei, può indicare chi
erano i suoi finanziatori?…>
Teardo: <Preferisco non indicare le fonti dei finanziamenti. Né le persone
che mi sostenevano. Io non ho mai chiesto soldi. Ma sono state terze
persone, anche non socialiste, che hanno ritenuto di finanziarmi perché ero
un uomo politico in ascesa. Con proposte di politiche economiche
rivoluzionarie per la Liguria. Finanziamenti che non hanno nulla a che vedere
con gli appalti pubblici.>.
Del Gaudio elenca poi altre dichiarazioni e tutte le società, ALMENO 14, in
cui risulta quale socio occulto il Teardo che <ammetto SOLO la veridicità
delle dichiarazioni rese da Angela Casanova e di tutti i singoli dati della sua
testimonianza, mi riservo per tutti gli altri addebiti una successiva verifica>.
Del Gaudio: <Riconosce questo assegno di 80 milioni del 2 giugno 1983,
rilasciato a sua moglie e girato a Leo Capello…>.
Teardo: <Trattasi della vendita di tre appartamenti della casa di mia moglie a
Palo di Sassello acquistati dall’imprenditore Giovanni Nucera di Albenga,
collegato al Psi, soldi destinati a finanziare la imminente campagna elettorale,
quale candidato al Parlamento. (Ora la potente holding degli eredi Nucera,
è socia di Arte, ex Iacp, interessati in una società che ha presentato un
progetto di massima per costruire quattro torri nella sede del vecchio
ospedale di Albenga, progetto sostenuto a spada tratta dal Psi ingauno e da
altri esponenti dell’imprenditoria savonese ndr).
Ancora l’interrogatorio di Teardo: <Ed era il Capello che gestiva il denaro
della campagna elettorale…Nego con fermezza le accuse e le pressioni che
sostiene di aver ricevuto Carlo Centi sindaco di Spotorno per l’ex colonia
Bresciana ed un terreno dell’Opera Pia Siccardi. E’ vero che ho incontrato
Centi qualche volta, ma ero con Capello e non so se sia stato lui, in mia
assenza, a fare certe pressioni, a mia insaputa>.
Del Gaudio: <Come venne in possesso del verbale “segretato” della teste
Angela Casanova, da noi interrogata prima del suo arresto?… Teardo:
<Non ricordo e non l’ho nemmeno letto. Anzi cercai di nascondere la valigetta
il giorno in cui fui arrestato proprio perché conteneva quella relazione sulla
testimonianza della Casanova… E’ vero ho incontrato un certo Rodriguez
interessato ai cantieri Baglietto di Varazze…E’ vero ho incontrato
Ferdinando Mach di Palmenstein per motivi politici ed elettorali…E’ vero
che c’è un mio appunto indirizzato a Gianfranco Sangalli per questioni
elettorali…E’ vero l’appunto sull’agenda nera, recante il nome di Pericu, in
quanto prof. Pericu di Genova, membro del CTU che aveva presentato le
dimissioni ed io l’ho pregato di rimanere, non riesco invece a spiegare perché
ho scritto “12,30 Procura SV”. E’ vero che ho fatto una cena elettorale con
tale Filippone Francesco, un calabrese, imprenditore a Ceriale…>.
TUTTI I VERSAMENTI
IN DENARO CONTANTE
Del Gaudio: <Come mai faceva tanti versamenti di denaro in contanti, anche
grosse somme come risulta dai documenti di varie banche…?>.
Teardo: <In gran parte derivano da iscritti e non iscritti al Psi, ed anche
finanziamenti ufficiosi dalla sede centrale del Psi che mi riteneva un
esponente da privilegiare. Non intendo però aggiungere altro, né
approfondire. Questa è la prassi nel partito. Una volta abbiamo ricevuto
oblazioni in contanti per 190 milioni>.
Del Gaudio: <C’è un versamento dell’avvocato Mazza, nel giugno 1978, di
assegni per 33 milioni….>.
Teardo: <Era una casa che avevo al Santuario e venduta ad un amico,
tramite l’avvocato Mazza che ha anticipato i soldi…>
Del Gaudio: <C’è un assegno di Tomaso Amandola, di 4 milioni e 200 mila
del 22 giugno 1980..>.
Teardo: <Ha comprato l’auto usata di mia moglie>.
Del Gaudio: <Ci sono assegni per 12 milioni e 750 mila a suo fratello
Sandro…>
Teardo: <Oggetti tipici che io ho comprato a Venezia e per due vacanze in
estate, sempre a Venezia>.
Del Gaudio: <E gli assegni all’altro suo fratello Paolo per 28 milioni…>.
Teardo: <Soldi che avevo prestato al nipote Giorgio Buosi e poi restituiti>.
Del Gaudio: <E l’assegno di 9 milioni a favore di Antonio Mirgovi…>
Teardo: <Non ricordo, forse l’acquisto da parte mia di un appartamento a
Prato Nevoso, ove Mirgovi era di casa da anni>.
Complessivamente i giudici arriveranno a contabilizzare 19 miliardi 690
milioni 569 mila lire, di cui tre miliardi movimentati da Leo Capello, cassiere
del partito e della corrente teardiana.
Luciano Corrado
UNDICESIMA PUNTATA
Paolo Caviglia
IL RUOLO DEGLI IMPRENDITORI E’ ZEPPO DI MISTERI TRA TANGENTI
E PARCELLE
Nessuno ha mai ricostruito la vera contabilità finale del “dare” e
dell’”avere”, anche dopo le condanne. Non si sa neppure chi riuscì ad
incassare i risarcimenti (enti pubblici compresi). Miliardi in parcelle
legali (unico salasso certo). Intanto Teardo può godersi tre mila euro al
mese per la pensione di ex presidente della Regione e di assessore (tre
mandati). Come scattò la “trappola” finale, con le cronache sportive sul
“Savona Calcio”.
Savona – Era stata la giornalista di Repubblica-Il Lavoro, Ava Zunino, ad
informarci, per la prima volta, l’autunno scorso, che Alberto Teardo poteva
godersi una “vecchia serena” (sarà cosi?) grazie alla Regione Liguria di cui
era stato presidente ed assessore. Tre legislature (l’ultima interrotta per
candidarsi al Parlamento, ma arrivarono le manette a sorpresa) con una
ricompensa mensile di tre milioni netti al mese. Denaro versato per intero,
senza pignoramenti di un quinto da parte di eventuali creditori (Stato o
privati). E qui si apre il capitolo della quindicesima puntata del “ciclone
Teardo”, a 28 anni dall’inizio dell’inchiesta, a 25 dai primi arresti.
Il ruolo che ebbero gli imprenditori savonesi, in gran parte. Per i difensori
degli imputati non erano concussi, semmai corruttori o addirittura finanziatori
volontari di un partito che allora aveva potere o sapeva esercitarlo. La Dc per
anni aveva instaurato il metodo del contributo volontario, del riconoscimento
da parte dell’imprenditore che faceva affari ed appalti nel “pubblico”.
I metodi cambiarono con l’avvento del craxismo ed il teardismo fu il primo,
almeno per quanto è dato a sapere, a pretendere tangenti a percentuale.
Quando riveleremo (lo avevamo promesso nelle prime puntate) come si
arrivò alla “resa dei conti finale”, sarà più facile capire cosa accadde
realmente in quel mondo, tra gli imprenditori savonesi.
Un “segreto”, un retroscena, lo ripetiamo, che neppure i magistrati inquirenti
forse conoscono. A loro del resto non interessava capire il vero meccanismo
che fece esplodere il “bubbone”, ma raccogliere indizi e prove. Di
colpevolezza o innocenza. Cosa che i giudici istruttori Francantonio
Granero e Michele Del Gaudio, grazie ad uno staff di ottimi collaboratori
(Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia), fecero con capacità,
determinazione, scrupolo e indipendenza.
Con altrettanto senso dello Stato e della giustizia si mosse il tribunale di
Savona, chiamato a giudicare (Avolio, Fiumanò, Ferro (estensore della
motivazione della sentenza).
Il verdetto finale (confermato con sentenza passata in giudicato) dice, in
parole povere, che gli imprenditori furono costretti a pagare al “clan” perché
intimoriti da pubblici-amministratori che ricoprivano anche la veste di pubblici
ufficiali. Non solo, in quel periodo si registrarono anche una serie di misteriosi
attentati a cantieri edili, ad opera di ignoti. E ancora qualcuno venne
“minacciato” di essere tagliato fuori dagli appalti pubblici. O di trovarsi alle
calcagna dei concorrenti temibili.
A pagina 445 della sentenza di Savona (danni materiali e morali) si legge che
enti pubblici e privati sono stati esclusi, va da se, da ogni richiesta risarcitoria
per tutti quei capi di accusa a cui non è seguita una condanna e sono diversi i
capi di imputazione che scagionano gli imputati.
LA LISTA DEGLI IMPRENDITORI
Accade esattamente l’opposto per gli addebiti, con conseguente condanna.
Vediamoli singolarmente, sempre seguendo, la motivazione della sentenza di
primo grado. Si all’imprenditore Lorenzo Tortarolo, vittima di concussione,
ad opera di Giovanni Dossetti. Si alla richiesta danni dell’Iacp nei confronti
dello stesso Dossetti, poi di Alberto Teardo, Marcello Borghi, Massimo De
Domenicis e Roberto Bordero (per lui l’addebito minore della ricettazione).
La stessa sentenza riferisce un passo delle dichiarazioni di Domenico
Abrate, il quale parla dello Iacp (appalti e forniture, gare) come dell’ente più
corrotto della provincia di Savona. Sarà il presidente Pietro Bovero, vedi
vignetta satirica sul giornalino dell’Unione industriali savonese, ad ingaggiare
con lo stesso Tortarolo, una durissima battaglia legale e giudiziaria (con
l’avvocato Emilio Vignolo) per lavori mal eseguiti nella costruzione di case
popolari, ma anche nei confronti dei pubblici amministratori.
Si alle domande risarcitorie per la “Spa I.CO.SE”, Mario De Filippi, Rocco
De Filippi; per la Spa Damonte Emanuele e C: Bruno Damonte, Giovanni
Damonte, per Giampietro Sartore (gruppo Lombardini), Piersanto
Ghigliazza, nonché la Provincia di Savona nei confronti di Teardo,
Capello, Dossetti, Siccardi e Domenico Abrate, limitatamente ai fatti
posteriori al 1980. Ghigliazza, inoltre, ha agito solo contro Siccardi e non
verso gli altri imputati. Dagli atti emergono ottimi rapporti di amicizia tra
Siccardi e Piersanto Ghigliazza ed un altro teste importante, il geometra
Piero Nan del Comune di Loano, per mai provate storie di tangenti. Una delle
tante pagine rimaste oscure nel grande “puzzle”.
Si alle domande risarcitorie di Brosito Bogliolo della ditta Agostino Bogliolo,
nei confronti di Teardo, Capello e Pierluigi Bovio, sindaco di Borghetto
(definitivamente assolto negli altri gradi di giudizio). Si al risarcimento al
Comune di Borghetto per alcuni appalti.
Si al risarcimento ai danni del Comune di Savona e ancora di Bogliolo per
opere che quest’ultimo stava realizzando in città, nei confronti di Teardo e
Siccardi.
Si alla richiesta danni dello Iacp nei confronti di Nicola Guerci (unico
imputato ad aver confessato e risarcito i danni alle parti civili già nelle prime
fasi), Marcello Borghi per la concussione al geometra-appaltatore Stefano
Cutino che negli anni successivi sarà al centro di un ingente fallimento, con
vendita di tutte le proprietà.
Si alle domande di danni avanzate dal Comune di Finale nei confronti di
Teardo, Capello, Siccardi, per l’appalto del porticciolo.
Si alle domande della Damonte Emanuele Spa, contro Teardo, Capello e
Dossetti per altra concussione.
Si ai danni richiesti dal Comune di Savona e dalle Opere Sociali con De
Dominicis e Benazzo per l’accusa minore di interessi privati in atti d’ufficio.
La lista delle imprese comprende ancora Giampietro Sertore,
rappresentante di “Cave Strade” (gruppo Lombardini), Angelo Freccero,
rappresentante della Mantobit snc.
I DANNI DA LIQUIDARSI A PARTE
Il tribunale di Savona e poi la Corte d’appello disposero che l’ammontare del
risarcimento dovesse procedere ed essere determinato (quantificato) in
separata sede, cioè con un altro giudizio civile, oltre al pagamento delle
spese di costituzione di parte civile. A Savona furono fissate per l’Iacp in un
milione 600 mila lire a carico di Teardo, Borghi, De Dominicis, Dossetti e
Bordero.
Stesso discorso per i danni alla Provincia, liquidarsi in separata sede, spese
liquidate in 3 milioni a carico di Teardo, Capello, Abrate (solo dopo il 1980),
Dossetti, Sangalli.
In favore del Comune di Finale, chiamati a risarcire 3 milioni (danni a parte),
Teardo, Capello, Siccardi.
Teardo, Capello, Siccardi, chiamati a risarcire le spese per 3 milioni e 600
mila lire (danni a parte) a Brosito Bogliolo.
Dossetti Giovanni chiamato a risarcire a Lorenzo Tortarolo un milione 600
mila per spese, danni a parte.
Teardo, Capello, Siccardi chiamati a risarcire spese per un milione 600 mila
(danni a parte) al Comune di Borghetto Santo Spirito.
De Domincis e Benazzo chiamati a pagare spese per un milione e 600 mila
(danni a parte) alle Opere Sociali (vicenda villa di via Nizza-Teletrill).
Teardo, Siccardi, De Dominicis, Benazzo, chiamati a risarcire 3 milioni di
spese al Comune di Savona.
Teardo, Capello, Abrate, Sangalli, Dossetti, Siccardi, con la formula in
solido tra loro, chiamati a risarcire spese per 3 milioni e 600 mila (danni a
parte) a Mario e Rocco De Filippi.
Teardo, Capello, Abrate, Sangalli, Dossetti e Siccardi, chiamati a risarcire
spese per 3 milioni e 600 mila (danni a parte) a Bruno e Giovanni Damonte.
Teardo, Capello, Abrate (solo dopo 1980), Sangalli, Dossetti, Siccardi,
condannati a risarcire 3 milioni a Giampietro Sertore/Lombardini (danni a
parte).
Siccardi chiamato a risarcire a Piersanto Ghigliazza spese per un milione e
600 mila (danni a parte).
Altra nota, anche l’impresa dei fratelli Giuseppe e Giovanni Dossetti
qualche anno dopo si trovò al centro di un totale dissesto finanziario e
finirono sul lastrico.
IL RISARCIMENTO EBBE SORTI DIVERSE
Cosa è successivamente accaduto? Premettiamo che nessuno pare sia
riuscito ad avere il quadro-contabilità preciso dei soldi che effettivamente gli
imprenditori incassarono dagli imputati condannati con sentenza definitiva.
C’è chi, ad esempio, tra i costruttori, si è costituito anche nel giudizio in Corte
d’appello a Genova e poi ha rinunciato in Cassazione dove solo un piccolo
gruppo di “parti civili” ha ritenuto di essere presente. Non sappiamo come
furono precisamente ripartite le spese di giustizia a carico degli imputati.
In pratica è accaduto che le spese legali affrontate dai concussi
dall’associazione a delinquere sono state di gran lunga superiori ai
risarcimenti ottenuti.
Non è stato neppure possibile sapere (perché mai reso noto) quanto abbiano
effettivamente introitato gli stessi enti pubblici che erano parte civile.
E’ accaduto ciò che con frequenza si verifica nei processi civili e penali,
particolarmente complessi. La vera “stangata” arriva dagli studi legali. Assai
più salata di qualsiasi pena inflitta dalla giustizia, carcere escluso.
Ad Alberto Teardo, ad esempio, il battagliero avvocato della prima ora,
Silvio Romanelli, presentò una parcella a nove zeri (miliardi). Non sappiamo
come andò a finire. Il secondo avvocato Vittorio Chiusano si “accontentò”
con alcune centinaia di milioni.
Calcoli ufficiosi, raccolti negli stessi ambienti del foro di Savona e Genova,
davano allora (fine processo, ci fu infatti un quarto grado in Corte d’appello a
Genova e poi la Teardo-bis, assai più breve e concisa) notizia che per le
spese legali si andava da una ventina di milioni (siamo negli anni ’80, tra la
metà e la fine) per l’imputato meno compromesso, ai miliardi di Teardo, con
una media, sempre fatta con l’ipotesi di addetti ai lavori, di 200 milioni ad
imputato.
Naturalmente emerse anche qualche eccezione. Negli appunti di archivio
abbiamo, ad esempio, i casi assistiti dall’avvocato Umberto Cavallo ed
Antonio Di Maggio. Mentre sorsero seri problemi, altro caso, nelle parcelle
dell’avvocato Pier Mario Calabria con Leo Capello. Altri mitigarono le loro
pretese come Umberto Ramella (assisteva Gianfranco Sangalli).
PIU’ CARA LA PARCELLA O LA TANGENTE?
La conclusione è disarmante. Per un imprenditore al centro di “tangenti” è più
conveniente pagare e rifarsi poi con le “maggiorazioni” SUI LAVORI, piuttosto
che imbarcarsi in un processo, con i tempi lunghi della giustizia. Si capisce
perché l’allarme “corruzione in Italia” è tra i più alti d’Europa (prima in
classifica), come denuncia anche la Corte dei Conti, ma il coperchio salta
assai di rado. Vedi ultimi anni in provincia di Savona.
E poi i metodi si sono assai raffinati. Ci sono gli intermediari, le fatture fasulle,
gonfiate, i contanti depositati su banche estere, nei paradisi fiscali. I
prestanome. Meglio se si trovano “professionisti” che svolgono doppi ruoli.
Allora, come documentarono le carte, vennero messi in atto metodi assai
spiccioli, persino tracce di assegni, di società d’affari ad hoc. Oltre al denaro
alla corrente teardiana (che spendeva per mantenere in piedi l’apparato) c’è
stato un “pro domo mea”, che il giudice Ferro ha definito “arricchimento
personale”. Chi più, chi meno. Spese per amanti varie incluse.
Una pentola che esplose non perché cosi lo decisero gli imprenditori e
tantomeno le categorie a cui appartenevano.
CHI TRADI’ IL CLAN NON ERANO LE VITTIME
Un “passaparola” che, in loggia (MASSONICA), doveva restare riservato ai
“fratelli” (a chi sapeva ed era in formato dell’andazzo). E’ finito, INVECE, alle
orecchie di qualcuno. E non fu facile mettere in moto l’“antifuoco” perché
come dimostrarono le prime mosse, laddove si doveva indagare (Procura
della Repubblica e qualche apparato istituzionale annesso) c’era “spettatore”
(per non dire di più). Gli imprenditori e (consulenti vari) sapevano che non
potevano fidarsi, ribellarsi, conoscevano “l’aria che tirava”. Esporsi era
davvero rischioso.
Basti pensare alla sorte dei primi esposti antitangenti. Con quel bigliettino
scritto a mano, consegnato alla polizia giudiziaria per “indagini e rapporto”. A
buon intenditor, poche parole. Questo era il clima che si respirava in alcune
stanze delle cosiddette istituzioni democratiche in quegli anni.
L’occasione propizia arrivò con la scusa dei finanziamenti al “Savona Calcio”.
Il ”gruppo Teardo” aveva anche giornalisti amici (con un massone),
ossequiosi, poteva contare sulla loro collaborazione involontaria. Ci sono gli
articoli che precedono proprio i primi eventi seri, concreti, dell’inchiesta.
LA TRAPPOLA CON I GIORNALISTI AMICI
Insomma, la “trappola” quando ancora non entrarono in scena i giudicipilastro Granero e Del Gaudio, iniziò con questi scenari. Chi pagava
tangenti si confidava, qualcuno teneva d’occhio il gruppo per “capire”. I
segnali avvenivano cavalcando notizie del potenziamento della squadra
(Savona-calcio), progetti, programmi societari, ingresso di nuovi soci. In
pratica chi “chiedeva soldi” asseriva che da una parte servivano alla squadra
e dall’altra erano spese per rafforzare il partito del “capo”. Inconsapevoli
giornalisti facevano il loro dovere da cronisti sportivi, mentre tutto attorno si
muoveva una giostra di bustarelle.
Finchè arrivò l’ora X, il magistrato X (Camillo Boccia) che chiese come
previsto l’archiviazione dell’inchiesta sui finanziamenti al Savona-Calcio con
la formula del decreto <di impromovibilità dell’azione penale per mancanza di
estremi di reato”, era i 3 novembre 1981. E un altro (Antonio Petrella, dalla
procura era stato trasferito a capo dell’Ufficio istruzione del tribunale)
che invece ordinò (5 novembre 1981, due giorni dopo)<che la fattispecie va
adeguatamente approfondita, giacchè la notizia criminis, fornita
dall’esponente (Renzo Bailini), che non risulta essere stato sentito in sede di
indagini preliminari, appare concreta e suscettibile di individuazione di ipotesi
criminose e dei loro autori>.
Petrella ( a lui gran parte del merito di quell’atto di pulizia generale)
disponeva di <procedere oltre con il rito formale>. Sapeva che avrebbe
dovuto lasciare quell’ufficio al 31 dicembre 1981, lo sapevano anche altri.
Non era un segreto nelle stanze della cittadella giudiziaria, eppure qualcuno
intuì che c’era il rischio che l’uovo di rompesse e non mancarono le minacce
(telefonate minatorie al suo numero privato, con allusione ai figli).
Il gruppo, ancora forte nelle istituzioni (non fecero però il conto con il ruolo
che avrebbe avuto, tra gli altri, Sandro Pertini), nei giornali, iniziò il primo
sbarramento contro Il Secolo XIX (processo per diffamazione e violazione
del segreto istruttorio e maxi-richiesta danni e di cui abbiamo già scritto).
Arrivò a capo dell’Ufficio del giudice istruttore un coriaceo ed inattaccabile
Granero e dar manforte ad un timoroso, seppure preparato ed onesto, Del
Gaudio. Ci fu anche la piena collaborazione del Pm, Giuseppe Stipo (prime
richieste di ordini di cattura).
Quando già lo stesso Del Gaudio, temeva di “non farcela”, temeva ritorsioni,
di non trovare il “bandolo della matassa”, ancora un provvidenziale Renzo
Bailini che fornisce alcuni nomi, dopo l’iniziale esposto-bis del 27 ottobre. E’
la dritta “sicura”, giusta. Su un conto dell’Ambrosiano, a Savona (l’ex banca
di Calvi) si trovano tracce (libretti al portatore), conti correnti che conducono
ai fratelli Giovanni e Giuseppe Dossetti, a Elisabetta Murialdo in Valle.
LE ULTIME DRAMMATICHE FASI
Entrava a quel punto in scena Carlo Trivelloni (in precedenza, quale
consigliere comunale indipendente della sinistra, aveva scritto una lettera
aperta al Secolo XIX chiedendo pubblicamente a Teardo se erano vere le
voci relative alle sue fortune economiche e altro..). Trivelloni – questo lo
rivela anche la sentenza di Savona – disse di aver ricevuto una telefonata
anonima che parlava di operazioni finanziarie di Teardo compiute da
Lorenzo Ivaldo, Mauro Allosia, Ippazio Scarcia, l’architetto Nino Gaggero
e dal figlio Paolo, dal genero di lui, dal prof. Alessandro Destefanis, oltre a
notizie relativi a collaboratori del presidente della Regione. I nomi che
compaiono nella sentenza hanno visto poi imputato esclusivamente Nino
Gaggero.
I tasselli successivi furono Nicolino Bongiorni e Antonio Vadora di Finale.
Il primo affermò di aver prestato 60 milioni, in assegni circolari da 10 milioni
ciascuno, a Teardo a titolo di amicizia per la campagna elettorale, Vadora
ammise un versamento di 39 milioni a Mirella Schmidt, moglie di Teardo.
Precisando che si trattò di un cambio assegni bancario in assegni circolari.
Sempre alla vigilia del grande blitz del 14 giugno 1983, tocca agli agenti
immobiliari Michele Panero e Carlo Pregliasco che ammettono di aver
pagato una “provvigione” di 182 milioni per vendite fatte da Isabella Invrea a
Varazze. Somma suddivisa tra Marcello Borghi,Teardo e Siccardi. Ormai il
diluvio era iniziato. La efficiente macchina investigativa ed organizzativa (per
la prima volta in Italia un processo venne coadiuvato da un sistema
tecnologico computerizzato) messa in piedi da Granero (con Del Gaudio
infaticabile esecutore) cominciava a dare i suoi frutti. Dovettero usare mille
precauzioni (due i collaboratori infedeli scoperti), si trasferirono persino nel
comando carabinieri di corso Ricci. Blindarono gli uffici istruzione nel vecchio
tribunale con vetri antiproiettile.
Peccato che lo Stato, soprattutto nei loro confronti, alla fine sia stato molto
ingrato. Anche se non furono i soli a pagare per aver fatto il loro dovere. Il
potere occulto tornò a farsi sentire, o meglio a rimettere le “cose a posto”.
Toccò analoga sorte a qualche altro dipendente dello Stato. Per alcuni
un’esperienza di dedizione al dovere, da non ripetere. Per altri il ricordo di
aver partecipato ad un “vento storico”. Dovesse ripresentarsi, meglio lasciar
fare agli altri. Fare il meno possibile, l’indispensabile. Accadde anche in
qualche giornale, ma di questo parleremo in altre puntate.
Luciano Corrado
Sedicesima puntata
Peppino Marcianò
EREDITA’ DEL TEARDISMO, SONO TORNATI I TEMPI BUI ?
La sferzante analisi, sempre attuale, del giudice Vincenzo Ferro
In questa tappa ricostruiamo il ruolo di personaggi secondari (Mauro
Testa ed Euro Bruno) con alcuni retroscena curiosi da Albenga. A
confronto anche la figura dell’appaltatore Iacp, Francesco Filipppone e
del big Licio Lombardini.
Il giudice Ferro, nella motivazione della sentenza al maxi-processo,
citava <il nefasto effetto della diseducazione politica, il deterioramento
del clima della vita sociale, con il più spregevole dei moventi, l’”auri
sacra fames”… Il grave pregiudizio alla credibilità delle istituzioni>.
Infine eccovi l’incredibile “cappa di silenzio” dopo il libro “Il fallimento
perfetto”, di Bruno Lugaro, con i “furbetti” messi in piazza. E poi
frammenti di memoria con articoli de “Il Secolo XIX”.
Savona – Ci sono personaggi che compaiono nella “Teardo story” indicati, a
torto o a ragione, in quella zona grigia tra politica, malaffare, affari, pubblica
amministrazione, imprenditoria privata, piovra, mani sulla città. Come si è
trasformato, negli anni, il “modello Teardo”? I “tempi bui” sono davvero
tornati, come confermerebbe il “silenzio di tomba” seguito al librotestimonianza del giornalista Bruno Lugaro dal titolo “Il fallimento
perfetto”? Dove si accenna, tra l’altro, all’eredità del teardismo, con nuovi e
vecchi attori. Dove emerge la corrosione di un tessuto sociale e soprattutto di
sviluppo sostenibile. Incoraggiato, rispetto a quei tempi, da una diffusa
“assenza” delle istituzioni.
Rileggendo l’“affresco-sentenza” che allora scrisse il giudice Vincenzo Ferro
(parlò di “auri sacra fames”) sono cambiati i metodi, i personaggi, non la
sostanza forse ad opera di un “manipolo di furbetti” che tiene in scacco
Savona, ma anche la provincia, con la sua Riviera ricca di occasioni per far
soldi, tanti, in fretta. Traduzione: cementizzazione con monolocali e bilocali.
Con “presidenti” amici degli amici, sindaci ora compiacenti, ora incapaci. A
discapito di un civile sviluppo che finisce, lo ripetiamo per l’ennesima volta,
per arricchire pochi, impoverire molti e soprattutto sta scardinando le
fondamenta del turismo e dell’agricoltura, dopo aver ucciso le industrie, gli
alberghi, deturpato la risorsa ambientale, saccheggiato il territorio.
In una precedente puntata abbiamo raccontato stralci di verbali di
interrogatorio di Alberto Teardo nei mesi successivi al suo arresto e il primo
“confronto” tra accusa e difesa, con la motivazione della sentenza di primo
grado a Savona che con le sue 463 pagine dattiloscritte può essere
considerata la “bibbia” della “verità processuale” (che non è necessariamente
la “verità reale”) del troncone principale del maxi-processo. Seguirà, infatti,
con ben altra sorte, la cosiddetta “Teardo-bis”.
Abbiamo, tra gli altri personaggi, citato la domanda che il giudice istruttore
Michele Del Gaudio (verbalizzante il maresciallo dei carabinieri, Gianmario
Caletti) fece al detenuto-imputato Teardo.
In questa puntata cercheremo di offrire al lettore alcune sfaccettature di quel
mondo, lasciando parlare gli atti (di ieri), ma anche della storia più recente.
Prendiamo a “campione” due mondi. Quello politico-amministrativo (con
Mauro Testa ed Euro Bruno, uscirono scagionati seppure con formule
diverse, per Testa rimase soprattutto una prescrizione di reato alla quale
aveva facoltà di opporsi e non lo fece).
Sull’altro fronte, un big del mondo degli affari, nel caso il “cosiddetto” Gruppo
Lombardini (lo ritroveremo anche nelle operazioni edilizie dell’area portuale
di Savona). Su un fronte ancora diverso, un appaltatore che all’epoca
operava con l’Iacp, definito l’ente più corrotto della provincia. Il suo nome è
sparito dalle cronache, si tratta di Francesco Filippone.
INTERROGATORO DI TEARDO
Del Gaudio: legga questo figlietto….
Teardo: <Rimostratemi il foglietto di appunti n.6 , in cui compare il nome di
Filippone e Bettarini, riconosco la mia grafia e trattasi di una
raccomandazione di certo Filippone di Albenga, di origini credo calabresi,
che avanza dei soldi dallo Iacp di Imperia, ove era direttore Bettarini. Scrissi
questo foglietto in occasione di una cena elettorale ad Albenga o meglio nella
zona di Albenga. Mi sembra però che non ho fatto la raccomandazione in
questione…>.
Del Gaudio: A Lei risulta che Filippone avesse rapporti con esponenti del
suo partito…ad Albenga, a Savona…
Teardo: <Mai sentito, non ricordo neppure se avesse rapporti con compagni
socialisti del savonese…>.
RETROSCENA DI UNA SMENTITA
Pubblichiamo (vedi…allegato) la lettera che Francesco Filippone il 15
novembre 1980, aveva inviato al Secolo XIX. Da essa emergono alcuni fatti.
Il giornale pubblicò, anche con l’apporto di corrispondenze dalla Calabria,
vicende che riguardavano Cittanova (storie di ‘ndrangheta, insomma).
Filippone scriveva e smentiva chi l’aveva in qualche modo chiamato in
causa, a suo dire ingiustamente ed in modo diffamatorio.<Lamento e protesto
l’assurdo linciaggio morale di cui sono stato vittima da parte di questo
giornale e mi riservo di agire nei confronti degli estensori degli articoli e del
vostro quotidiano per i danni tutti che mi sono stati provocati, sia morali che
materiali ed economici. …Preciso di aver inviato al procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Palmi (R.C) il seguente telegramma:
“Illustrissimo procuratore della Repubblica, sbalordito mia incriminazione
confermo tutto quanto dichiarato, poiché corrisponde a verità. Pregola
VALUTARE DISASTROSE CONSEGUENZE SULLA MIA ATTIVITA’
LAVORATIVA dovute in vero a simile imputazione. Chiedo revoca qualsiasi
provvedimento a mio carico. Sono assolutamente innocente…>.
LE POLIZZE AD ALBENGA
All’epoca della lettera-smentita (fine 1980) non era ancora iniziata alcuna
indagine (accadrà un anno dopo) sull’attività del “clan Teardo”. Filippone,
per vie misteriose, ottenne il numero di telefono “riservato” del cronista che
firmò alcuni pezzi e gli chiese un incontro urgente. Allo sconosciuto, fino a
quel momento uomo d’affari calabrese, venne spiegato che il giornalista
scriveva in base ad informazioni che riceveva e che arrivavano da colleghi di
Reggio Calabria. Un Filippone infuriato e minaccioso fece presente che a
seguito degli articoli fu chiamato dalla direzione di una banca di Savona e
c’era il rischio di una revoca dei fidi, tra l’altro doppiamente penalizzante in
quanto lui operava anche con enti pubblici, come l’Iacp di Savona e Imperia.
Cosa emerse, successivamente, nell’ambito del troncone principale della
“Teardo uno”?
LE RISULTANZE IN TRIBUNALE
A pagina 38 della sentenza del tribunale di Savona, si legge dell’imputazione
per “interessi privati in atti d’ufficio in concorso” per gli imputati Mauro Testa
e Euro Bruno che Filippone conoscevano, eccome. <Il Testa – riporta la
sentenza – nella sua qualità di funzionario dell’Iacp di Savona con la qualifica
di coordinatore amministrativo e di sindaco di Albenga, Euro Bruno quale
assessore supplente dello stesso comune, concorrendo con il Testa,
prendevano attraverso la Sas Agem 81, con sede in Albenga, società di cui
erano gli unici soci. Che agiva come procacciatore di affari nell’interesse della
Lara srl, con sede in Genova. Agenzia di assicurazioni, e riscuotere le
provvigioni, un interesse privato in atti d’ufficio con violazione, da parte del
Testa, quale pubblico funzionario del divieto di esercitare attività
commerciale>.
Quale attività? Ancora la motivazione della sentenza <facendo stipulare
polizze fedejussorie ai titolari di concessioni ad edificare rilasciate dallo
stesso Testa nella sua veste di sindaco di Albenga, concessionari ai quali
concedeva, previe dette fideiussioni a favore del Comune, facoltà di
pagamento rateali degli oneri di costruzione ed urbanizzazione e facendo
stipulare analoghe polizze alle imprese aggiudicatarie di appalti indetti dallo
Iacp di Savona a garanzia dei pagamenti di legge da parte degli
aggiudicatari>.
CHI PAGAVA LE POLIZZE
Chi figurava nell’elenco? Sei di queste polizze, riporta la sentenza, sono state
stipulate da Francesco Filippone tra il 24 settembre 1981 ed il 30 settembre
1981.
Vale la pena rimarcare che si trattò di collaborazione in data successiva agli
articoli di giornale che riportavano notizie poco rassicuranti provenienti dalla
Calabria. E comunque respinte come lesive e diffamatorie dal Filippone
anche nei confronti dell’Istituzione rappresentata dalla Procura della
Repubblica.
Vicende che non imposero alcuna prudenza. Non fu in pratica né una
remora, né un ostacolo nei rapporti tra l’imprenditore-appaltatore ed il
“gruppo Teardo”, con il sindaco Testa e l’assessore Bruno.
Tra le polizze indicate nella stessa sentenza figurano i nomi di Andrea
Biamonti (ex esponente di spicco del Pli, poi rifugiato a Cuba dopo aver fatto
piangere molti albenganesi che gli avevano affidato dei risparmi per
investimenti), l’imprenditore Bruno Giallombardo (una solida posizione e
una notevole influenza politica anche ai nostri giorni), Giovanni Bonavera,
l’Edilponte di Gravellone & C., la Marisol di Taramasco L. & C., pure con
sede ad Albenga. E altri ancora tra i quali il maggiore appaltatore dell’Iacp di
Savona dell’epoca, Lorenzo Tortarolo che poi diventerà tra i maggiori
accusatori, ma solo dopo il “tintinnio di manette” durante un drammatico
interrogatorio di nove ore.
L’ASSESSORE SCARCERATO
La sentenza di Savona ricorda che il 3 gennaio 1984 il Tribunale, in sede di
appello, concedeva la libertà provvisoria a Euro Bruno (ordinanza che
veniva poi annullata, dopo il ricorso del Pm, dalla Corte di Cassazione con
sentenza del 23 marzo 1984 per difetto di motivazione). Il tribunale di nuovo
investito dell’esame, confermava la precedente decisione di libertà
provvisoria con ordinanza del 16 maggio 1984>
Euro Bruno veniva infine assolto con la formula ampia: “il fatto non sussiste”.
Diversa e più ingarbugliata, come vedremo, la sorte di Testa.
A pagina 268 la motivazione della sentenza spiega ed entra nel merito.
<Possono essere congiuntamente esaminate le imputazioni di interesse
privato in atti d’ufficio a carico di Mauro Testa al n.39 e 40 del provvedimento
di rinvio a giudizio. La prima delle quali vede coimputato con il Testa, Euro
Bruno, mentre la seconda è contestata a titolo di concorso anche a Roberto
Siccardi.
La prima imputazione ha oggetto l’attività del Testa, nella sua qualità di
sindaco di Albenga e di coordinatore amministrativo dell’Iacp della provincia
di Savona e dal Bruno, anche quale assessore supplente del Comune di
Albenga, nella stipulazione di fidejussioni assicurative a garanzia del
pagamento differito , da parte dei titolari di concessioni edilizie rilasciate dal
Comune…per oneri di urbanizzazione…; nonché garanzie di legge da parte
degli aggiudicatari degli appalti banditi dallo Iacp con la società sas Agem 81
del quale Testa era socio accomandante e Bruno socio accomandatario.
Trattasi di 12 polizze concernenti il Comune di Albenga e 10 concernenti
l’Iacp.
La società di Testa e Bruno agiva quale procacciatore d’affari per conto della
Lara srl di Genova, di fatto la prima intrattenendo i contatti con i clienti, la
seconda con le società assicuratrici e venendo suddivisa tra l’una e l’altra la
provvigione>.
TESTA E BRUNO SCAGIONATI
Scrive il tribunale di Savona nella sentenza: <C’è un errore di data, ovvero va
letta fino al 4 settembre 1982, data dell’ultima polizza e non fino al novembre
1982. …trattasi inoltre di reato proprio, il quale può essere commesso solo
dal pubblico ufficiale e non sarebbe comunque addebitale agli imputati
l’aggravante dell’abuso della funzione pubblica ai sensi….Ancora al Testa
non può essere addebitato la violazione del divieto di esercizio di attività
commerciale, poiché non può dirsi imprenditore esercente il socio
accomandante di una sas, almeno fino a quando non compia personalmente
atti di gestione sociale. E’ vero che Testa partecipava agli utili della società,
manca per la sussistenza del reato la prova di una condotta di
strumentalizzazione, di una ingerenza approfittatrice in vista dell’interesse
privato.. Non risulta neppure un eccesso di potere da parte del Testa nel
condizionare le scelte del privato. Per quanto riguarda le polizze dello Iacp,
esse erano firmate da Marcello Borghi e non dal Testa…>.
FORNITURA DI MOBILI AL COMUNE
A pagina 271 è scritto: <La seconda imputazione si riferisce alla fornitura al
Comune di Albenga di arredi per l’ufficio scolastico da parte della Illsa Spa di
Saronno deliberata dalla giunta comunale nella seduta del 5 settembre 1979
con la partecipazione di Testa in qualità di assessore…in relazione alla
fornitura la ditta Roberto Giordano ha emesso nei confronti della Atex srl di
Roma (della quale Testa e Roberto Siccardi erano soci) fattura per lire 5
milioni 472 mila lire. Oltre a Iva per 825 mila lire, a titolo di provvigione. La
prova che il Testa nella sua attività fosse preventivamente a conoscenza che
avrebbe ricevuto una provvigione non è stata raggiunta pienamente, pur
sussistendo elementi non privi di rilevanza….tra l’altro la delibera relativa
all’Illsa venne assunta all’unanimità e della pratica si occupò direttamente,
per competenza, un altro assessore, il geometra Danilo Sandigliano, non
coinvolto nell’imputazione>.
Concludendo, assoluzione di Testa e Bruno dall’imputazione (polizze
fedejussorie) con la formula più ampia e assoluzione del Testa e del Siccardi
(fornitura mobili) per insufficienza di prove.
CONDANNE E ASSOLUZIONE: PERCHE’?
Il giudice estensore, Vincenzo Ferro, nelle conclusioni complessive, ha
scritto e vale la pena riproporre quel testo integrale anche per i suoi
riflessi futuri, ai “metodi teardiani”, a quel costume politico. A quanto
accade ai nostri giorni.
<E’ venuto il momento del giudizio definitivo di merito, affidato ad un
convincimento nel cui ambito non può essere posto a carico del
giudicabile a titolo di sospetto o di congettura o di indizio equivoco, in
ossequio a quello che non è solo un principio di diritto inderogabile, ma
anche e soprattutto un irrinunciabile postulato di civiltà. I limiti che la
coscienza del giudice incontra e ritiene invalicabili non sono già
sintomo di una sconfitta che la giustizia subisce per l’incapacità degli
uomini e dei mezzi ad attingere una verità talvolta sfumata e sfuggente,
bensì espressione della validità di un sistema che non ha bisogno di
privare nessuno della tutela garantistica che a tutti è assicurata, per
raggiungere risultati di difesa sociale che possono adeguatamente
soddisfare la coscienza civile>.
E ancora: <Questa è anche la risposta a quanto di sottilmente eversivo
vi può essere in una criminalità che tende a costruire la propria
impunità ed il proprio successo sulle incertezze e sulle lacune del
diritto positivo, sull’inefficienza degli apparati, sul disorientamento e
sulla sfiducia dei cittadini….>.
<In questo processo si giudicano imputati comuni e fatti di delinquenza
comune, ai quali l’ordinamento democratico è in grado di reagire, senza
sconfinare dal rispetto dei diritti di tutti e di ciascuno, in modo
sufficientemente energico. Gli imputati non hanno motivo alcuno di
proclamarsi “prigionieri politici” (tesi che sostennero Teardo e Paolo
Caviglia ndr). Nessuno di essi può dolersi di essere stato condannato
per motivi politici. Questa sentenza e questo processo non sono
momenti di lotta politica, ma sono certamente atti di rilevanza politica,
nel senso più ampio e nobile dell’espressione, nella misura in cui
contribuiscono a tracciare la linea di demarcazione tra attività politica a
servizio dei cittadini ed attività criminosa a scopo di ingiusto profitto di
privati>.
Forse è completezza di informazione osservare che il giudice Ferro,
riconosciuto come “personalità di grande e profonda cultura giuridica”, fedele
servitore dello stato di diritto, ha poi scritto “illuminate sentenze e motivazioni”
destinate a far giurisprudenza, come supremo giudice della Cassazione. Una
garanzia per tutti, in quel processo di Savona che farà storia.
E’ ancora Ferro (con il presidente Gennaro Avolio e Caterina Fiumanò)
che traccia questo ulteriore giudizio-commento complessivo.
IL GIUDIZIO SU IMPUTATI CONDANNATI
A pagina 432 si legge: <…gli imputati (condannati) hanno dimostrato…una
particolarmente accentuata propensione a delinquere. Nessuno di essi si è
trovato in una peculiare situazione di necessità o di occasione, apprezzabile
umanamente quale causa esterna di induzione al delitto, al quale invece i
giudicabili sono stati spinti da una radicata tendenza all’illecito, alla
prevaricazione, alla sopraffazione, esaltata dall’inserimento in un tessuto
ambientale in cui proprio tali disvalori erano assunti, ad un tempo, come
strumento di realizzazione e metro di valutazione del successo professionale
e politico. I giudicabili hanno dato a vedere un rilevante grado di pericolosità
sociale….>.
MOVENTE: ARRICCHIMENTO PERSONALE
A pagina 433 la motivazione rende più tranciante il discorso-analisi: <Il
substrato morale che accomuna gli imputati tutti, superando le diverse
estrazioni politiche e sociali, non va ricercato in una pur distorta passione
politica e nell’ardua ricerca di motivazioni ideali, bensì nel più spregevole dei
moventi: la “auri sacra fames” da soddisfare mediante l’appropriazione e la
distrazione della ricchezza altrui, pubblica e privata. Particolarmente grave
appare il danno sociale arrecato da soggetti investiti di pubbliche funzioni a
considerevoli livelli, che attingono la massima autorità nell’ambito regionale,
con il sovvertimento di criteri di imparzialità e di disinteresse che devono
presiedere l’attività amministrativa, con il tradimento della fiducia in essi
riposta dagli elettori ingannata dalla prospettazione di nobili ideali….Proprio
a questo tipo di pubblici amministratori disonesti va in massima parte
addebitato il grave pregiudizio alla credibilità delle istituzioni ed il nefasto
effetto di una diseducazione politica generalizzata che sono alla base di tante
deprecabili manifestazioni del deteriorato clima della vita sociale italiana
contemporanea. . ..La presunzione dell’impunità alimenta l’arroganza della
prevaricazione e spegne la fiducia nella possibilità di una legittima reazione,
creando un ulteriore stimolo a delinquere e ponendo dall’altro le premesse
dell’acquiescenza>.
LA STORIA RECENTE DI SAVONA…
Facciamo un balzo avanti. Nel descrivere alcune realtà di ieri, ritroviamo nelle
cronache più attuali scenari ed imprenditori. Di Francesco Filippone,
peraltro non imputato nella “Teardo story”, si sono perse, ricorrendo ad un
detto, le tracce. Quantomeno in vicende pubbliche.
Nella precedente puntata abbiamo ripercorso il ruolo di imprenditori, delle
loro aziende “vittime”, a loro dire, di un sistema distorto. Tra essi abbiamo
citato il gruppo Lombardini.
Ebbene il “gruppo Lombardini” e lo riferiamo come dato di cronaca, lo
ritroviamo descritto nel più eclatante “bubbone” dopo la “Teardo story”. Nel
primo caso emersero responsabilità penali, nel secondo (cioè lo “scandalo
delle aree e della sorte dell’Italsider”, con annessi e connessi) si può soltanto
parlare di responsabilità politiche, di scelte morali inerenti la pubblica
amministrazione, di interessi pubblici che dovrebbero sempre prevalere sul
privato, dell’utilizzo distorto di risorse e denaro pubblico, di ruoli avuti da molti
personaggi pubblici che tuttora ricoprono incarichi a livello regionale,
provinciale, comunale e sono impegnati in politica. Parlamento compreso.
QUEL LIBRO ORFANO DI SMENTITE
Chi non l’avesse ancora fatto (l’invito è rivolto soprattutto agli studenti, ai
giovani, a chi non ha seguito quelle vicende) legga il libro “Il fallimento
perfetto” del giornalista de Il Secolo XIX, Bruno Lugaro. Scorrere quelle
pagine fa venire la pelle d’oca. Non sappiamo come i protagonisti, citati con
nomi e cognomi, abbiamo reagito quanto meno nel loro intimo. Con quale
stato d’animo si sentano più o meno coinvolti in quel “drammatico e
sconcertante racconto”, sequenza di fatti. Di una “gravità estrema” ha parlato
l’avvocato Nanni Russo, ex parlamentare Ds, in un pubblico dibattito.
Sarebbe sbagliato accomunare tutti sullo stesso piano, nello stesso
calderone. Ma non può essere certo l’assenza di un giudizio penale, a
rincuorare i protagonisti principali e secondari. La commistione di interessi
pubblici e privati, la regia e l’abile gestione di istituzioni, associazioni di
categoria (leggi soprattutto il ruolo e gli uomini dell’Unione Industriali di
Savona) dovrebbe spingere ad una seria analisi-riflessione, come un altro
giornalista savonese, Marco Preve, de Il Lavoro-Repubblica, aveva
pubblicamente invocato la stessa sera in cui venne presentato il libro nella
“Sala Rossa” del Comune di Savona.
I vertici della Confindustria nazionale hanno impresso una benefica svolta e
bonifica morale, concreta, nella lotta alle mafie del sud. A Savona nessuno è
colluso con la mafia, ma nella vicenda Italsider, Omsav, Vecchia Darsena,
aree annesse, private e demaniali, con sfruttamento edilizio, acquisizioni e
vendite, piano urbanistico e varianti ad hoc, prepensionamenti e
pensionamenti, trasferimenti di operai alle Ferrovie dello Stato dopo corsi
“professionali”, rappresentano micidiali pallottole alla legalità. Al ruolo del
Comune di Savona, della Provincia e della Regione, dei sindacati, Cgil in
primo piano. Delle cooperative.
E resterà un mistero, forse giustificabile solo dalla sottovalutazione dei fatti,
perché allora di fronte alla girandola di miliardi e società, non fu messa subito
in campo la guardia di Finanza, unico organismo che ha tutti gli strumenti di
penetrazione nei meandri degli affari, delle banche, dei conti correnti, dei
libretti al portatore. Il libro di Lugaro evidenzia “dubbi”, “coincidenze”,
interrogativi, sepolti da una pietra tombale, senza ergersi a giudice.
Le mancate risposte non rendono un servizio alla verità, alla trasparenza, alla
città. Fu la Digos ad occuparsi del caso, archiviato e finito al macero con
impeccabile tempistica, non comune almeno per gli atti e i tempi del tribunale
di Savona.
RUOLO DEL GRUPPO LOMBARDINI
Il ruolo del gruppo Lombardini emerge nel “Consorzio Vecchia Darsena”
costituito nel 1991, con una quota del 33 per cento detenuta da Licio
Claudio Lombardini. E poi da Sci (33 per cento) di Emanuele Romanengo,
dalla Cooperativa edile (11 per cento), con presidente Renzo Pometti e
Domenico Frumento, da Edilcoop (11 per cento) con presidente Giuseppe
Olcese e vice Claudio Sesena, infine l’11 per cento al Consorzio
Cooperativo di Reggio Emilia. Nel 1992 il Consorzio Vecchia Darsena
acquista nuovi soci: l’Ilva gestioni patrimoniali e la Sicma.
C’è il ruolo di Orsa 2000, costituita il 15 luglio 1991, che vede con una quota
del 20 per cento la Lombardini Spa di Licio Claudio Lombardini, il quale
uscirà dalla società nel 1993.
Ai lettori di Trucioli Savonesi offriamo due momenti della “Lombardini story.”
in tempi diversi ed occasioni diverse, che il Secolo XIX ha offerto ai suoi
lettori. Il primo (vedi……) porta la firma di Luciano Corrado dal titolo “Noi
non siamo avvoltoi” – L’amarezza di Lombardini interrogato dal giudice” e che
risale al 4 giugno 1993 (epoca di uscita di scena dalla Vecchia DarsenaOmsav) e precedenti vicende legate ad appalti livello nazionale. Nel
sommario è scritto: <L’imprenditore ha rigettato, contrattaccando, le accuse
di essere “una piovra” che allunga le mani sulla città. E’ stanco di
insinuazioni, accuse e sospetti, sull’imprenditoria privata. Per lui tutto ciò ha
portato alla paralisi di Savona negli ultimi anni>.
Nel libro di Bruno Lugaro, “Il fallimento perfetto”, si parla di un’inchiesta a
Genova per il sottopasso di Caricamento. <Inchiesta che vedrà coinvolto – è
scritto –anche il geometra Licio Claudio Lombardini, imprenditore savonese
nel settore delle grandi opere (autostrade, ferrovie, porti) con ottime
conoscenze nei palazzi della politica romana e titolare della Bombardini
Spa>. E ancora a pagina 60 <…finì sotto inchiesta a metà anni ’90 per una
vicenda di tangenti legate all’allora ministro Carmelo Conte, per il sottopasso
di Caricamento>.
Sempre Il Secolo XIX, traccerà un nuovo ed aggiornato affresco con una
mezza pagina, a colori, del 3 settembre 2006, (vedi…..) dal titolo
“Lombardini, stirpe di imprenditori”, Sottotitolo: “Marcello affianca il
padre Licio Claudio alla guida del gruppo costruzioni con 200
dipendenti>. Sommario: <Il mecenatismo nel dna. Papà e figli promuovono
l’arte e il convivio: <Mamma Caterina ci ha insegnato ad allargare la tavola>.
Il giornale aveva affidato il pregnante e suggestivo reportage, a Rovereto di
Gavi, al “nostro inviato” Antonella Granero. Un ultimo, aggiornato, ritratto
della famiglia Lombardini, degli affari, delle proprietà. Con qualche
eccezione.
Luciano Corrado
Ecco come il periodico Edilizia Ligure, della sezione dell'Unione industriali di Savona,
raffigurava il ruolo dell'allora presidente Iacp, Piero Bovero, neo assessore al Comune di
Vado Ligure
Diciassettesima punta/Cosa scrissero di Teardo i settimanali “big”
ESPRESSO, EUROPEO, PANORAMA
…..QUELLA FOTO COL CARDINALE
In esclusiva per “Trucioli” anche il “dossier Liguria” firmato dall’allora
neo presidente della Regione sul mensile “L’Italia delle regioni”.
Progetti, idee, proposte di Teardo per uscire da: <Questa crisi
attraversa la società>. E ancora: <Sviluppo della portualità, espansione
del terziario avanzato, riqualificazione del tessuto produttivo, sono la
risposta del governo regionale>. E poi le “ricette”di rilancio dei suoi
assessori, della sua squadra in Regione. Tanti documenti-testimonianza
ai più sconosciuti.
di Luciano Corrado
Savona – La diciassettesima puntata della ricostruzione storica del “ciclone
Teardo”, a 25 anni dagli arresti, la dedichiamo interamente a quanto
scrissero, all’epoca, i tre maggiori e più diffusi settimanali di attualità:
L’Espresso, Panorama, Europeo.
In precedenti puntate avevamo riportato articoli di quotidiani e periodici.
I tre settimanali che, subito dopo gli arresti, si occuparono della vicenda
Teardo non dispongono più di quegli arretrati, neppure nel loro archivio
“tecnologico”.
I pezzi disponibili del materiale d’archivio iniziano infatti dal primo gennaio
1985.
Lo scriviamo per rimarcare l’importanza dei documenti che pubblichiamo,
ricavati dagli originali, nella loro completezza, soprattutto per coloro che ci
scrivono e sono impegnati in ricerche storiche o per tesi di laurea.
C’è da aggiungere che quei primi articoli non potevano, ovviamente tenere
conto dell’esito finale della “Teardo story” e coinvolgevano anche imputati
finiti in carcere che sono stati poi assolti. Chi ha seguito le precedenti
puntate ha avuto un’informazione adeguata.
In questa numero di Trucioli riproduciamo anche il primo articolo che il neo
presidente Alberto Teardo scrisse per il periodico a tiratura nazionale
“L’Italia delle regioni”. Fu definito il “Dossier Liguria 1983”. Era il 20 marzo
1983 e Teardo era all’apice della sua brillante carriera, anche se la sua
aspirazione – lui stesso lo dichiarò – era un posto nel governo, iniziando da
sottosegretario o vice ministro.
Il mensile, nel sommario, ricordava gli articoli e le interviste con Alberto
Teardo, Giacomo Gualco, Gustavo Gamalero, Giorgio Lauria, Rinaldo
Magnani, Giuseppe Merlo, Giancarlo Garassino, G.B. Acerbi, Un’edizione
speciale dedicata alla Liguria curata dal giornalista Mauro Boccaccio.
Vedi…. tutte le pagine.
Segue il primo articolo del dopo arresto di Panorama, firmato da Pino
Buongiorno e datato 27 giugno 1983 (la retata fu del 14 giugno). L’allora
settimanale era diretto da Carlo Rognoni che poi diventerà direttore de Il
Secolo XIX. Oggi consigliere alla Rai, in quota Pd, dopo essere stato in
Parlamento per i Ds. Il servizio (vedi le pagine…) era titolato “Mai fidarsi dei
massoni”.
Nella stessa settimana anche L’Espresso si occupò della vicenda. Quattro
pagine (vedi……) corredate di foto (Teardo ripreso con l’allora potente
Gianni De Michelis) scritte dai giornalisti Fabrizio Coisson e Francesco
De Vito. Il titolo: “Avanti Savona”. Direttore era Livio Zanetti.
La settimana dopo (siamo al 2 luglio 1983) ampio servizio su “Europeo”, con
la giornalista Marcella Andreoli. Il titolo: <Troppo comodo squagliarsela a
cavallo di una talpa>. Quattro pagine (vedi…) e una foto da incorniciare. Un
sorridente Alberto Teardo ricevuto dal cardinale Giuseppe Siri, vescovo di
Genova. Ma anche i retroscena con Rino Formica e Michele Fossa. La
storia della P 2 e del pretore Marco Devoto. Direttore responsabile
era Lamberto Sechi, condirettore Claudio Rinaldi, due i redattori capo, tra
cui Lanfranco Vaccari (poi diventerà direttore) che oggi dirige Il Secolo XIX.
Infine, ancora un articolo della prima settimana di luglio de L’Espresso,
scritto da Camillo Arcuri, inviato de Il Giorno, poi caporedattore al
Decimonono. Il titolo: <Quante logge, fratel Teardo?”
Mai prima di allora Savona era finita in prima pagina, in copertina, su tanti
quotidiani, settimanali e riviste italiane, ma anche europee, soprattutto
Svizzera, Germania, Austria. E in televisione.
Un record di citazioni che sarà comunque superato qualche anno dopo con la
Gigliola Guerinoni “story”, la “mantide di Cairo” ed il suo “romanzo” che per
anni hanno fatto notizia e scrivere decine di inviati speciali, giornalisti della
carta stampata e del piccolo schermo, della radio.
Luciano Corrado
CICLONE TEARDO
LA STORIA DI UN’ESTORSIONE:
“CERCASI CANE NERO SMARRITO”
La misteriosa vicenda, sei anni prima degli arresti. Chi fu il regista che
prese di mira Leo Capello? Cronaca di quei giorni
Savona – Questa volta facciamo un gran salto indietro, a prima dell’esordio
ufficiale del “ciclone Teardo”. Una storia che poche persone ricordano,
conoscono. Un retroscena davvero curioso. Gli “estorsori” di tangenti che
diventano vittime di un’estorsione. Con tanto di documentazione giornalistica
che racconta alcuni particolari dell’episodio.
E’ il 10 dicembre 1977, ben quattro anni prima dell’esposto firmato da Renzo
Bailini che diede ufficialmente il via all’indagine a fine ottobre 1981. Sei anni
prima degli arresti (14 giugno 1983).
Il Secolo XIX (vedi ritaglio…) da in esclusiva notizia della “tentata estorsione
ad un noto esponente politico” savonese. Rivela l’esistenza di un annuncio a
pagamento apparso sullo stesso giornale, nella rubrica 5 “smarrimenti”. Ecco
il testo: <Cercasi cane nero, con macchia bianca, smarrito a Savona.
Mancia>.
Inizialmente sembrava che l’obiettivo dell’estorsione fosse Alberto Teardo,
ma il giorno dopo un articolo del collega Gino Pellosio (oggi “decano” alla
redazione di Savona dove ha sempre svolto il lavoro di coordinatore della
redazione sportiva) rivelava che il bersaglio era invece Leo Capello, allora
definito <albergatore, braccio destro del vice presidente della giunta regionale
ed esponente di spicco del Psi>.
Dodici anni dopo, Capello sarà definitivamente condannato in Cassazione a
6 anni di carcere (due condonati) contro gli 11 anni e 6 mesi, 40 milioni di
cauzione per la libertà provvisoria, inflitti in primo grado a Savona. Capello
dagli atti processuali risultò essere il collettore di tangenti, il fedele cassiere
del “clan”, ma per Teardo era invece soltanto il “cassiere del partito”.
Il 27 luglio 2002, come riporta una notizia de La Stampa, a Spotorno, la sede
degli invalidi è stata dedicata al cittadino “benemerito” Capello.
Il giornale, a firma di o.g. (Guglielmo Olivero, collaboratore sportivo)
ricordava che la struttura si trova all’interno dell’ex albergo Palace, accanto
alla biblioteca ed era destinata a diventare punto di riferimento per gli invalidi,
soprattutto per le pratiche amministrative e burocratiche.
Ecco la motivazione che il giornale riportava: <La struttura è dedicata all’ex
presidente del Savona calcio (da cui partì l’inchiesta sulle tangenti n.d.r.) che
a Spotorno è stato uno dei protagonisti dell’attività alberghiera e turistica che
è stata portata poi avanti dalla famiglia. Oggi alla cerimonia interverranno i
parenti e gli amici, oltre alle principali autorità civili e politiche>.
Torniamo al curioso tentativo di estorsione e alle cronache di allora del
Secolo XIX. La somma che si tentava di estorcere, riferiva la
cronaca, dovrebbe aggirarsi intorno ai 60-70 milioni. Poi si seppe che erano
80 milioni (800 milioni ai valori attuali).
Tutto ebbe inizio il 28 settembre 1977 quando venne pubblicato su <
iniziativa di un esponente del Psi Savonese> l’annuncio a pagamento.
Il giornale riferiva che i carabinieri di Savona, ricevuta la denuncia, si erano
subito messi in moto, affidando l’indagine all’allora lanciatissimo nucleo
investigativo del capitano Michele Riccio.
Il giornale si chiedeva chi era il “personaggio” preso di mira e per una cifra da
capogiro per quegli anni. Si osservava che negli ambienti politici si faceva
con insistenza il nome del leader del Psi, Alberto Teardo, vice presidente
della Regione. Forse è utile non rivelare, anche se a distanza di anni, la fonte
di quella notizia e chi fece al cronista il nome di Teardo. C’è un segreto
professionale e almeno tre protagonisti ancora viventi.
Limitiamoci, dunque, a ripetere quanto si scriveva: <Gli inquirenti
smentiscono che si tratti di Teardo limitandosi a confermare l’esistenza di un
tentativo di estorsione nei confronti di una persona molto vicina
all’amministrazione>.
Proseguiamo perché ciò che riserva spesso il lavoro del cronista, visto col
senno del poi, a distanza di anni, è davvero sorprendente. La fonte
giornalista indicava questo scenario: <In un primo tempo sembra che le
indagini abbiano interessato ambienti cosiddetti politici. Poi si è andati ad
indagare tra le organizzazioni criminose contraddistinte da etichette (Br,
Nap)>.
Si tenga conto che Savona usciva, da appena due anni, dalle “bombe” del
1974-’75 e che in più occasioni qualcuno si chiese come mai un esponente
politico di primo piano come era Teardo all’epoca, evitò di fare pubbliche
dichiarazioni su quegli attentati, delegando altri esponenti del partito.
E lo scriviamo mettendo rigorosamente in disparte ogni illazione, ogni
riferimento alla persona, anche se, anni dopo, con l’esplosione dello
scandalo, il giudice Francantonio Granero mosse alcune pedine importanti,
forse nella giusta direzione ( Savona-Toscana) e di cui non si è mai scritto
nulla. Possiamo solo aggiungere (vicenda Teardo a parte) che andato via
Granero, quella parte di dossier “è “sparita”, o non si trova più. C’era
materiale con spunti “interessanti”? Una pista lasciata cadere? Qualcuno si è
mai chiesto il motivo?
Tornando al tentativo di estorsione, al cronista non risultarono altri contatti,
ma non era cosi. Del resto tra l’annuncio e la divulgazione della notizia erano
trascorsi due mesi e mezzo.
Il Secolo XIX, nel primo articolo, riportava: <Chi aveva interesse a colpire
Teardo? Non è un mistero per nessuno e tanto meno per i bene informati che
l’esponente politico non proviene da una famiglia benestante e da anni vive
con lo stipendio del partito prima (da sindacalista era passato alla segreteria
del Psi) e della Regione oggi. Da qui l’idea di una molestia, di un’azione di
disturbo portata avanti con l’intendimento di creare disagio e paura….Per
qualche tempo la casa di Alberto Teardo, ad Albisola, è stata tenuta d’occhio
da agenti in borghese e nei suoi spostamenti soprattutto nella sua casa in
montagna, l’esponente politico è stato “protetto” a distanza>.
L’11 dicembre 1977 nuovo “scoop” del Decimonono, grazie a Gino Pellosio
(vedi servizio….). L’articolo inizia con: <E’ Luigi Capello, membro del
direttivo provinciale socialista, consigliere d’amministrazione dell’ente
ospedaliero San Paolo e presidente dell’Aicas (ente di propaganda sportiva
del Psi), l’esponente politico savonese vittima di una tentata estorsione, di cui
il Secolo XIX ha riportato oggi la notizia in esclusiva>.
Seguito del servizio di Pellosio: <Sul nome di Capello, sposato, una figlia,
albergatore di Spotorno, ex consigliere di amministrazione della Cassa di
Risparmio di Savona ed attuale braccio destro del vice presidente della
giunta regionale Alberto Teardo non ci sono più dubbi>.
Superfluo oppure utile ricordare che Pellosio si occupava di sport, di calcio in
particolare e dunque aveva una fonte privilegiata, sicura, nel dare la notizia.
Infatti scrive anche i particolari: <Fu Capello a ricevere il 9 settembre scorso
la prima delle lettere minatorie nelle quali gli venivano chiesti 80 milioni in
cambio di “tranquillità”, per lui, per la moglie, per la figlia. Fu ancora con
Capello poi – proseguivano le rivelazioni del giornalista - che gli autori del
tentativo di estorsione proseguiranno i contatti, bersagliandolo di telefonate
minatorie poi estese ad altri esponenti del partito socialista>.
Gino Pellosio, in quella circostanza, intervistò Alberto Teardo che disse:
<La vittima della tentata estorsione è un compagno di partito noto per
disponibilità e bontà, ma il vero obiettivo di questa congiura è quello di creare
turbamenti, preoccupazioni d’ordine politico all’interno del partito. Attraverso
l’atto criminale si tendeva, cioè, a suscitare difficoltà anche famigliari ed è
questo l’aspetto più ignobile della vicenda. In un primo tempo abbiamo
davvero temuto che l’estorsione fosse fine a se stessa. Poi, troppi particolari,
ci hanno convinti che l’obiettivo vero era un altro>.
Quale? Diceva ancora Teardo: <E’ una manovra contro il partito e contro me,
non come Alberto Teardo, ma per quanto rappresento in seno al Psi. La
scelta della persona non è stata a mio avviso casuale. Direi che è stata una
scelta studiata, calcolata>.
Pellosio rimarcava che, a precisa domanda, Teardo rispondeva: <Nulla fa
credere e pensare che si tratti di una manovra ordita all’interno del partito>.
Pellosio concludeva il suo pezzo: <Ma il sospetto che questo attacco sia
giunto non da lontano rimane e sembra radicarsi ogni momento di più, a
dispetto delle affermazioni degli esponenti socialisti>.
Conclusione. Riportiamo un brano della pagina 142 dell’ordinana di rinvio a
giudizio dei giudici Granero e Del Gaudio. La singolare tentata estorsione è
dell’ 8 settembre 1977, dagli atti istruttori e processuali risulterà che le prime
tangenti richieste e pagate sono del 1975, con punte di massimo attivismo e
flussi di denaro nel 76-77. Solo coincidenze, oppure quelle fratellanze
massoniche che “tutto vedono, tutto sanno….” Avevano incaricato qualcuno
di orchestrare la prima bozza di offensiva? Il primo avvertimento che
comunque non impedirà al “clan” di proseguire imperterrito? Solo ipotesi.
Anche questo sarà tuttavia motivo di chiarimento nelle ultime puntate,
quando aggiungeremo alcuni tasselli fino ad oggi mancanti nella “Teardo
story”.
Non può tuttavia sfuggire all’attenzione, all’analisi, il passaggio della
sentenza istruttoria che recita: <Quanto all’enorme disponibilità
finanziaria del gruppo facente capo al Teardo, è sufficiente riferire un unico
dato, che per evidenza rappresenta una conferma dell’attività criminosa degli
associati. Infatti dal 1975 al 14 giugno 1983 gli imputati di associazione a
delinquere ….hanno versato sui loro conti correnti e libretti bancari quasi 20
miliardi e precisamente 19 miliardi 690 milioni 569 mila lire, con Leo Capello
che versa più di 3 miliardi, mentre Teardo che fruiva del solo stipendio di
consigliere regionale, versa più di un miliardo>.
Chi poteva essere al corrente di quell’ingente bottino, al punto da ricorrere ad
un’estorsione multimilionaria piuttosto anomala?
La manina e la mente estorsiva non erano poi cosi ingenui e cosi estranei,
lontani da Teardo e Capello, ma all’epoca (settembre 1977) lo scandalo non
solo non era esploso, capo e gregari si sentivano sicuri, impuniti, protetti,
all’interno del loro “bunker” inespugnato.
Nessuno pensava ad un Bailini qualunque che avrebbe firmato un esposto,
ad un cronista che era a sua volta venuto a conoscenza di quel fiume di
denaro sporco. E che aveva saputo a lungo custodire il “segreto”, seguire gli
eventi, i personaggi coinvolti. Attendere.
Chissà se la storia, pur con altri protagonisti e diverse metodologie, si ripete
ai nostri giorni e chi nel “fortino”, dalla plancia, ritiene di sentirsi al sicuro,
intoccabile!
Luciano Corrado
Diciannovesima punta del “ciclone Teardo”
IL MARESCIALLO RACCONTA: <L’AIUTO DEI MIEI CONFIDENTI>
Moretti, per la prima volta, parla di quei giorni con Trucioli Savonesi
Il sottufficiale dei carabinieri in pensione è rimasto 22 anni alla squadra
di polizia giudiziaria. Era stato incaricato di svolgere le prime indagini
dopo l’esposto di Bailini. Parla di come scoprì la “talpa”, dei 21 telefoni
sotto controllo, del nascondiglio dove Leo Capello custodiva la
contabilità segreta del “clan”, del coraggio del colonnello Bozzo, della
task-force dei giudici Granero e Del Gaudio. Infine Moretti ricorda la sua
esperienza in Sicilia, ai tempi del bandito Giuliano, di Pisciotta, Brusca.
Poi a Ventimiglia Alta, seconda Montelepre. A Genova, Torino. Tanti
sacrifici, soddisfazioni, elogi e qualche amarezza
di Luciano Corrado
Savona - Il “ciclone Teardo”. Chi sono gli inquirenti mai comparsi sui giornali
o in tivù ? Operavano dietro le quinte, pur avendo un ruolo delicato nelle
indagini. Le cronache portarono alla ribalta magistrati, giudici, ufficiali con le
stellette. Oppure difensori di imputati e di parti lese. In questa diciannovesima
puntata parleremo di un maresciallo dei carabinieri, Pietro Moretti. Un
servitore dello Stato riservato e rimasto lontano dai riflettori. In pensione dal
luglio 1987, dopo aver comandato, per 22 anni, la squadra di polizia
giudiziaria. Il primo a citarlo, nel febbraio 2007, è stato l’ex generale dei
carabinieri, Nicolò Bozzo, nel libro “Nei secoli fedele allo Stato”. E ancora,
ha “scoperto” il maresciallo Moretti, con un’interessante intervista, Massimo
Macciò autore del libro “Le bombe di Savona- Chi c’era racconta”.
Per la “Teardo story” è stato Pietro Moretti che prese a verbale l’espostodenuncia di Renzo Bailini, con l’avvio formale dell’indagine (ottobre
1981). E’ Moretti che nei due anni precedenti ai primi clamorosi arresti (14
giugno 1983), seguì passo, passo la fase preliminare.
Toccò a lui scoprire, in tribunale, la “talpa”, che passava notizie riservatissime
ad un avvocato. E’ Moretti che “coordinava” i 21 telefoni sotto controllo nella
“sala d’ascolto”, ospitata al piano terra del vecchio tribunale, a palazzo Santa
Chiara. Fu Moretti a vanificare, grazie ad un prezioso informatore, il
nascondiglio-fienile dove il cassiere del “clan”, Leo Capello, custodiva gran
parte della “contabilità segreta”, il libro-mastro della spartizione delle tangenti,
scampato ad una prima perquisizione. Fu un’intuizione di Moretti a sventare
il tentativo di Alberto Teardo di far sparire la “24 ore” al momento
dell’arresto e perquisizione domiciliare. Era Moretti che, in sella ad un
motorino, si spostava da un angolo all’altro di Savona per verificare incontri e
spostamenti dei “pedinati”.
Oggi il maresciallo Moretti ha raggiunto le 77 primavere. Padre di due figli,
quattro nipoti, vive con la moglie, insegnante in pensione, un riposo fitto di
ricordi, aneddoti. Alle sue spalle una montagna di fascicoli, rapporti giudiziari,
interrogatori. La cronaca nera e giudiziaria di un quarto di secolo. Casi risolti
e misteri insoluti.
Non è stato facile convincerlo che era utile, a fini storici, anche la sua
testimonianza. Proprio lui che, in divisa o meglio in borghese per il suo ruolo,
non aveva mai “voluto parlare” con i cronisti che incontrava quasi tutte le
mattine, a palazzo di giustizia o al comando di Corso Ricci. In centinaia di
occasioni arrivava sull’auto dei magistrati: delitti, rapine, interrogatori di
arrestati, inchieste. E’ Moretti che riceva, dai magistrati inquirenti o dai
giudici istruttori, i fascicoli relativi <a indagini e rapporto>. Custodiva,
insomma, molti segreti di una provincia. Ha lavorato quando alla Procura
della Repubblica si sono avvicendati i “procuratori capo” Torres, Tartuffo,
Boccia e Russo.
Maresciallo, nessuno ha mai raccontato le ore immediatamente
precedenti il primo “blitz” antiteardiano…
Moretti: <Dopo quasi due anni di accertamenti, riscontri, acquisizioni,
testimonianze, arrivammo alla vigilia. Com’era abitudine, mi recavo quasi
tutte le mattine nel vecchio tribunale a conferire con Granero e Del Gaudio.
Sapevo che eravamo agli sgoccioli, ma non ero certo io a decidere. Quella
mattina mi dissero che erano pronti, bisognava preparare la retata, senza
farsi scappare nessuno. L’allora comandante del Gruppo di Savona, Nicolò
Bozzo, si era recato a Milano per una riunione di lavoro. Gli telefonai e si
precipitò a Savona...>.
Chi teneva d’occhio Teardo ed amici, allora era presidente della
Regione…
Moretti: <Ricordo come fosse oggi, la vigilia. La sera prima avevano
organizzato una cena elettorale nella trattoria a Madonna del Monte.
L’informatore mi descrisse persino come erano seduti ad un tavolo a ferro di
cavallo. Erano presenti quelli che sarebbero stati arrestati, ma anche altri…>.
Teardo era candidato al Parlamento, si parlava sui giornali, come lui
stesso poi confermò, di un incarico governativo, sottosegretario. Non
“pesava”? Timori?
Moretti: <Dico soltanto che si parlò, come ovvio, delle elezioni. Ricordo che
Del Gaudio era il più determinato, ripeteva “dobbiamo fare il nostro dovere
fino in fondo, nessun rinvio”. In parole povere, lui dell’inchiesta è stato, come
si è già scritto, la “mente”, la “penna”, Granero il “braccio”, un ottimo
organizzatore, coordinatore. Entrambi scrupolosi, meticolosi, riservati>.
Come organizzaste la retata? C’erano rischi di fuga…di talpe…
Moretti: <Con Granero, Del Gaudio e mi pare Giuseppe Stipo in caserma, il
colonnello Bozzo alla scrivania, si organizzò nei dettagli l’operazione arresti e
perquisizioni, mobilitando tutti i comandi della provincia, assegnando compiti
e ruoli…C’era un logistica: dove trasferire i detenuti, provvedere alle
perquisizioni. Un lavorone. Ognuno un compito, una mansione e massima
riservatezza >.
Le intercettazioni telefoniche, non si disponeva ancora della tecnologia
di oggi, vi furono di aiuto?
Moretti: <Granero e Del Gaudio disposero che la sala d’ascolto che era
divisa tra polizia, carabinieri e guardia di Finanza, fosse unificata e
concentrata. Eravamo in tre, 12-14 ore al giorno di lavoro. Io continuavo a
spostarmi in motorino…verificare gli incontri, riferire ai giudici>.
Quale fu la sorpresa, tra le intercettazioni, che più le restò impressa?
Moretti: <Ci sono aspetti delicati di cui non intendo parlare, alcuni sconfinano
anche nella sfera della vita privata. Si è già scritto di una “talpa”, anzi ce ne fu
pure una seconda…Nel primo caso mi occupai personalmente. Tra i 21
telefoni controllati, emerse che tale Panero conversando con tale
Pregliasco disse che avrebbero dovuto incontrarsi in quanto era in
programma un interrogatorio di Teardo…informai subito Del Gaudio e
Granero; avevo un piccolo registratore e feci loro ascoltare… la cosa creò
disagio ed interrogativi perché solo un “addetto ai lavori” poteva essere
informato. Si scoprì che era una segretaria del tribunale, non c’era un
problema di bustarelle, ma di cuore. Aveva una relazione con un giovane
avvocato…>.
Ci furono altre conseguenze? E’ vero che in un caso si finì per
intercettare anche il Quirinale, ai tempi di Pertini?
Moretti: <I giudici parlarono con il colonnello Bozzo e decisero di trasferirsi
nella caserma di Corso Ricci. Devo ammettere che per Bozzo fu una
decisione coraggiosa, perché nel frattempo mi pare che Craxi fosse
diventato presidente del consiglio e in più occasioni fece sentire la sua
voce…Sul Quirinale nessun segreto, ci sono atti pubblici>.
A proposito di aspetti inediti, ricorda come fu sventato il tentativo di
Teardo di disfarsi della “valigetta” contenente materiale, diciamo
“scottante” e poi finito tra gli elementi probatori dell’accusa e delle
motivazioni di condanne?
Moretti: <L’esperienza è stata di aiuto. Nella fase preparatoria si pensò
anche che all’esterno delle abitazioni, dove necessario, dovessero esserci
dei carabinieri. E questo permise di scoprire che Teardo quando sentì il
campanello e chi suonava, ancora in pigiama nascose una valigetta, mi pare
sul terrazzino dei vicini; i carabinieri notarono il maldestro tentativo…>.
E la storia della cassaforte nell’albergo di Leo Capello a Spotorno?
Sorsero parecchi dubbi e dicerie…
Moretti: <Non mi sembra corretto, anche a distanza di anni, lasciare ombre,
illazioni. Si era trattato di una banale dimenticanza, come può accadere in
ogni operazione complessa. Chi si era recato in albergo dovendo pensare
all’incombenza di “prelevare” l’arrestato e operare la perquisizione, una volta
giunti in caserma ammise che la cassaforte non era stata aperta in quanto
non si era trovata la chiave. Alla richiesta se avesse, provveduto a mettere
dei sigilli e che questo non era accaduto, si è tornati a Spotorno, ma la
cassaforte ormai era vuota. Conoscendo bene la zona e grazie ad
informatori, risalimmo all’esistenza di un nascondiglio-pollaio in località Metti,
sulla collina di Spotorno. E la perquisizione diede buoni risultati, si trovò un’
agenda, fogli, tanto materiale utilissimo. Ricordo che Granero mi fece i
complimenti. Quel materiale era il “cacio sui maccheroni”. Impresse
un’ulteriore svolta, oltre a confermare il certosino lavoro della guardia di
Finanza nella banche>.
A proposito, c’era anche Renzo Bailini tra gli informatori più assidui?
Moretti: <Mai avuto rapporti con lui. Ricordo come fosse ieri, la mattina che,
per caso, lo trovai nell’atrio della Procura. Protestava perché, a suo dire, un
precedente esposto era andato perso… lo invitai a seguirmi in caserma e qui
che, secondo il linguaggio burocratico, feci un verbale di ricezione di
denuncia…di lui, del suo passato non sapevo nulla>.
Il maresciallo Moretti ci tiene a ricordare che il suo ruolo è stato quello di un
“lavoro di squadra”. Molti altri, vuole rimarcare, hanno lavorato, operato con
impegno, dedizione, professionalità. E come lui, rimasti nell’ombra. Suoi
colleghi dell’arma, ma soprattutto la Finanza, la polizia. L’unico momento di
svago tra chi non contava orari, né straordinari, erano stati alcuni incontri
conviviali. Momenti di raro relax, in giorni, mesi, in cui Savona era finita alla
ribalta della cronaca nazionale. Con due magistrati, per la prima volta nella
storia savonese, “sotto scorta”, con auto “blindate”, vetri degli uffici corazzati.
Quattro anni dopo gli arresti, Moretti andrà in pensione. Uno dei protagonisti
di quelle pagine destinate alla storia, lasciava il servizio quasi nell’anonimato.
Il suo nome non si trova nelle cronache e nelle pagine di quei giorni. Una sua
abitudine: quando scorgeva i fotografi, faceva in modo di “nascondersi”.
E c’è da scommettere che senza la spinta di quel suo ex ufficiale, con quelle
citazioni nei due libri, Pietro Moretti avrebbe continuato a tacere.
Alle sue spalle una storia avvincente, di uomo in divisa che ha “sacrificato
una vita per servire lo Stato democratico, i cittadini, la legge, la giustizia. Ha
superato anche momenti da dimenticare.
Pietro Moretti è nato a Pareto (Cuneo). Si è arruolato nell’Arma nel 1948.
Undici mesi di scuola allievi a Roma. Poi al battaglione di Palermo. Sei anni
in Sicilia. La prima stazione dei carabinieri dove ha prestato servizio era a
Piano dell’Occhio, una caserma isolata, sulla strada tra Palermo e
Montelepre, il paese di Pisciotta. (<Quando uscivamo a fare la spesa –
ricorda Moretti – dovevamo essere non meno di cinque e sempre armati>).
Poi due anni alla stazione di Cinesi. In quel periodo il giovane carabiniere
Moretti vede il cadavere di Salvatore Giuliano, a Castelvetrano. Era il 1951.
Il bandito fu avvelenato, scaricato morto, fatto segno a colpi d’arma da fuoco
alla schiena, da messinscena.
Moretti presta servizio pochi mesi a San Giuseppe Iato, il paese di Brusca,
nelle “squadriglie”. Ricorda che dopo la morte di Giuliano le squadriglie
(CFRB, comando forze repressione banditesca) al comando del colonnello
Luca, furono ridotte. Ricorda il capitano Perez. Ricorda che tra i confidenti
c’era Pisciotta (cugino di Giuliano) e girava col tesserino dei
carabinieri. Ricorda la rocambolesca fuga dello stesso Pisciotta che non
fidandosi più del CFRB, preferì farsi prendere dalla polizia, in casa. Quel
giorno Moretti partecipava ad un posto di blocco e vide prima arrivare, poi
ripartire l’auto della polizia.
Dalla Sicilia alla Liguria. Alla stazione di Ventimiglia Alta. Ricorda
quell’interminabile viaggio in treno, da Palermo. Obbligo ferreo di indossare la
divisa. Alla stazione di Savona, Moretti, vede salire il controllore.
Controllando il biglietto, le stazioni di partenza e arrivo esclamò: <Lei va a
Montelepre…rimasi stipito..>.
In effetti a Ventimiglia Alta, in quegli anni, erano quasi tutti siciliani. Gente che
cercava di emigrare in Francia e veniva rispedita oltreconfine. Una
delinquenza da far spavento, poco da invidiare a quelle zone dell’isola che
aveva lasciato. La stazione dell’arma era comandata dal maresciallo
Briozzo, valente sottufficiale, originario di Calizzano, vissuto a Diano Marina.
<Un periodo duro, difficile – ricorda Moretti – alle prese con clandestini, ed
almeno due o tre maxi rissa a notte. Molte armi in giro. Con una cinquantina
di delinquenti della zona di Ramacca, Racalmuto, Palma di Montechiaro>.
Quindi due anni in servizio a Noli. <Indossavamo ancora la divisa di tela,
zainetto e moschetto a tracolla, servizio in bicicletta, col caldo e col sudore>.
E’ qui che Moretti conosce la persona che diventerà sua moglie. Fedele
compagna di vita e di traslochi, mamma premurosa.
Da Noli a Finale Ligure, al comando della squadra di polizia giudiziaria, in
pretura c’era il giudice Giuseppe Giordano, poi destinato al tribunale di
Savona e per anni presidente della Commissione tributaria di primo grado.
Dopo un anno e mezzo, a seguito di domanda di matrimonio, Moretti viene
trasferito a Genova, al Nucleo di polizia giudiziaria che aveva giurisdizione
sull’intero territorio ligure. Lo segue la moglie, insegnante di ruolo, al
Turchino. E qui, sorpresa inattesa, col sì al matrimonio nuovo trasferimento,
questa volta a Torino. C’è bisogno dell’esperienza di Moretti e finisce al
Nucleo di polizia giudiziaria, con un arretrato spaventoso. Pile di fascicoli
inevasi sul pavimento.
Aneddoto curioso. Moretti nel nucleo torinese ha tre “superiori”: Troia, Vacca,
Capra. Altro che stalla! Umorismo a parte, lavora sodo, conquista la stima di
tutti. Esaurisce l’arretrato. Lui a Torino, la moglie a Genova. <E’ stata una
donna eccezionale, mi ha sempre aiutato a superare anche i momenti
difficili…>.
Pietro Moretti conquista, con pieno merito, il grado di brigadiere e riesce a
tornare a Genova che definisce <una bellissima città, rispetto a Torino>.
Cinque anni nel capoluogo ligure, poi di nuovo a Savona, nella squadra di
polizia giudiziaria, con competenza a livello provinciale, prendendo il posto
del maresciallo Amico.
A Savona ha vissuto il periodo delle “bombe” del ’74-‘75 (ha seguito a fondo
solo l’attentato al traliccio di Madonna degli Angeli, da qui il suo intervento
raccolto nel libro di Macciò). L’inchiesta su Teardo e tantissime altre vicende,
grandi e piccole, note e meno note. Con l’avvento del procuratore Michele
Russo sorsero problemi. Negli ultimi mesi, fu il comandante del Gruppo,
Massimo Cetola, che preferì spostarlo al Nucleo operativo. <Di Cetola
ricordo incoraggiamenti e solidarietà>.
E’ in quel periodo che Moretti si trova al centro di quella che può essere
definita “disgrazia”. A causa di una lotta intestina, spiacevolissima, per la
cooperativa edilizia dei carabinieri, a Legino.
Moretti nel mirino di un’inchiesta, lotta con tutte le sue forze e non pochi
dispiaceri (<E’ difficile dimenticare il trattamento che ricevetti da Russo, le
sue parole…mi ferirono al punto che un giorno stavo perdendo le staffe
mentre ero nel suo ufficio..>.
Lui che aveva servito la giustizia, la legalità, doveva difendersi da accuse da
“ingiustizia”, bersagliato da esposti. Un’esperienza da dimenticare e che pesa
nei ricordi. <Compresi – ripete – quegli articoli, quei titoli ingenerosi, proprio
sul Secolo XIX, per me erano un vero e proprio colpo al cuore>.
E’ l’ingrato lavoro del cronista. Moretti e non solo, ricorderà le cronache che
coinvolsero lo stesso procuratore Russo qualche anno dopo. Le locandine in
mostra davanti alle edicole. Anche Russo non si stancava di protestare
innocenza e “vittima”, a suo dire, dell’ingiustizia.
E’ sempre lo stesso cronista che oggi raccoglie inedite testimonianze di un
servitore dello Stato entrato, di diritto, nella storia della provincia di Savona.
Moretti <cammina a testa alta>, coltiva in buona salute (un occhio l’aveva
perso in servizio) i suoi hobby: il miele, le api, l’orto, l’operosità.
Lunga vita, caro maresciallo!
Luciano Corrado
Granero
“Ciclone Teardo”/ventesima puntata con documenti “sconosciuti”
Quel“dossier” finito a Pertini
Le lettere di Boccia, di Astengo
La ricostruzione storica di questa puntata porta alla ribalta un capitolo
noto a pochissime persone e che fu solo accennato dai giornali
dell’epoca, in particolare scrisse “Paese Sera” e il collaboratore Ennio
Remondino. Cosa consegnò Renzo Bailini al presidente della
Repubblica, il savonese Sandro Pertini? Come reagì il procuratore della
Repubblica, Boccia, alle notizie della sua iscrizione agli Anysetiers che
il ten.Col. Bozzo definì <presunta loggia massonica>? Cosa scriveva,
all’epoca, il politologo Franco Astengo? Cosa è accaduto fino ad oggi?
di Luciano Corrado
Savona – Ventesima puntata del “ciclone Teardo”, in chiave storica. Ai lettori
proponiamo un documento conosciuto da pochissime persone. E’ il dossier,
citato in alcuni articoli nella fase iniziale delle indagini (in particolare da
Paese Sera di Roma), che Renzo Bailini firmatario dell’esposto-trappola
contro il “clan”, inviò/consegnò (?) al presidente della Repubblica, Sandro
Pertini. Impossibile, per motivi di spazio, riportare le 29 pagine e i 27 allegati.
Ci limiteremo alla sintesi e a riprodurre il “comunicato stampa”, firmato da
Bailini, su carta intestata di un’associazione della quale non si era mai
scritto. (vedi documento….).
L’intestazione: “Associazione Italia agli Italiani”, con sede (allora) e indirizzi.
Nessuno ha mai scritto che tutto ebbe inizio da Albenga e poi fu la volta del
Savona-Calcio.
Scriveva Bailini nel comunicato stampa (allora ignorato perché nessuno
dava credito ad un sconosciuto “presidente generale dell’Associazione Italia
agli Italiani”): <Informo i signori corrispondenti della stampa locale che in
data 18 cm (siamo nel luglio 1981 ndr) ho fatto pervenire al Presidente della
Repubblica, on. Sandro Pertini, un dettagliato rapporto riguardante
l’incredibile situazione politica di Albenga>.
E aggiungeva: <Il “dossier Albenga” composto da 29 pagine dattiloscritte e 27
allegati, consegnato al presidente Pertini, spiega tutti gli avvenimenti che
hanno visto come protagonista la vita amministrativa della città dalle elezioni
comunali dell’8 e 9 giugno 1980 ad oggi. Nel documento vengono elencati i
nomi dell’attuale giunta, dei consiglieri comunali e …basta agli amministratori
comunali corrotti alla guida della Città, giù le mani dalle città…è giunto il
momento, caro Presidente di togliere la Città delle Tre Torri dalle mani di
occulti personaggi…colgo l’occasione, signori corrispondenti della stampa
per respingere le accuse (democristiane) secondo cui mi sono prestato al
“gioco dei comunisti”…>.
Chi ha vissuto quel periodo da cronista locale ritenne di trovarsi di fronte un
esaltato in delirio di esternazioni. Poi si saprà, invece, che Bailini a Milano
aveva rapporti, assai confidenziali, con un paio di big socialisti a livello
nazionale. Nel savonese, dove si erano trasferiti i genitori prendendo in affitto
un esercizio alberghiero, Renzo Bailini, fece conoscenza con alcuni
esponenti della massoneria e per un breve periodo entrò anche in un loggia
di Imperia.
E’ in quell’ambiente che maturò le prime conoscenze del gruppo teardiano –
come abbiamo pubblicato in precedenti puntate – molto presente con buona
parte dei suoi esponenti finiti in carcere in una o più logge massoniche anche
di diversa obbedienza (Palazzo Giustiniani e Piazza del Gesù).
LA COPIA DELL’ESPOSTO
A questo punto vale il caso offrire ai lettori la copia integrale (mai pubblicata)
dell’esposto-denuncia che Bailini firmò nell’ottobre 1981. La prima inviata per
lettera alla Procura della Repubblica andò smarrita. La seconda, come
abbiamo ricordato nella precedente puntata, fu consegnata e “verbalizzata”
dal maresciallo Pietro Moretti della squadra di polizia giudiziaria della
Procura. Esposto indirizzato al sostituto procuratore della Repubblica,
Filippo Maffeo, all’epoca in servizio a Savona (vedi esposto, trattandosi di
fotocopia, gli anni l’hanno “schiarito…).
Il lettore che ha seguito le precedenti puntate potrà rendersi conto quale
livello informativo aveva Bailini e come sia stata l’allora cronaca sportiva de
Il Secolo XIX ad essere, involontariamente, il tassello che permise di far
emergere il filone “finanziamenti-tangenti”.
Renzo Bailini, a conoscenza delle tangenti, aveva gettato l’amo in attesa di
abboccamenti. Cosa che avvenne con Leo Capello e che sfuggi anche a
Camillo Boccia, procuratore della Repubblica, il quale con la sua richiesta di
archiviazione acceleratissima permise al neo capo dell’ufficio istruzione
Antonio Petrella (già allertato) di negare l’archiviazione con la richiesta di
indagini. Un autogol che qualcuno non perdonò proprio a Boccia.
LETTERA DEL PROCURATORE
Quel Camillo Boccia che il 12 giugno 1985 (a due anni dagli arresti del
clan), con una lettera al direttore del Secolo XIX, scriverà: <Ho conosciuto ed
incontrato in alcune manifestazioni pubbliche e meeting culturali Teardo, in
allora presidente della Regione; Abrate, presidente della Provincia, Caviglia,
presidente della Camera di Commercio, nonché gli architetti Gaggero e De
Dominicis>.
Altra cartina di tornasole e della cronache sportive: <Ho conosciuto ed
incontrato alcune volte sulle tribune del Campo sportivo della squadra di
calcio del Savona, Capello Leo, da me poi sentito in merito alla vicenda del
finanziamento alla suddetta squadra. Ricordo di aver conosciuto l’ex sindaco
di Albenga, Testa in occasione di una manifestazione floreale. Degli altri
imputati è possibile che abbia conosciuto l’ex sindaco di Finale Bottino
Lorenzo…
La notizia che io sia iscritto a logge massoniche coperte e o non, è destituita
di qualsiasi fondamento e, pertanto, del tutto fantasiosa. E’ vero invece che
sono iscritto al Club degli Anysetiers che secondo il rapporto dei carabinieri
del ten .col. Nicolò Bozzo, e di cui sono venuto a conoscenza solo in epoca
recente, potrebbe essere una loggia coperta della massoneria. Al riguardo al
presidente del Club (non cita il nome perché il personaggio risulterà poi un
massone ndr) testualmente ho scritto: <Mi rifiuto di pensare che la notizia
possa essere vera, in quest’ultima ipotesi il club avrebbe carpito la mia buona
fede all’atto della mia iscrizione, non avendo mai inteso iscrivermi a logge
massoniche>.
Orbene il rappresentante in Italia del citato ordine degli Anysetiers –
proseguiva la lettera al Secolo XIX di Camillo Boccia – mi ha dato ampie
assicurazioni che detto club non ha nulla di segreto e non è collegato a logge
massoniche coperte o non, comunicandomi che ad esso è iscritto un alto
Ufficiale dei carabinieri, di grado ben più elevato di quello del ten.col.
Bozzo…>.
Per la cronaca aggiungiamo che, purtroppo, molti alti generali dei carabinieri
risulteranno iscritti alla massoneria deviata e non, e persino alla P2 di Licio
Gelli e dove era “tesserato” anche Alberto Teardo, ma lui sostenne di
essere stato ingannato e di non aver mai inteso appartenere ad una loggia
segreta.
Un balzo in avanti. I due tempi: epoca teardiana e post teardiana.
C’è chi sostiene, citando un susseguirsi di avvenimenti e la rete di interessi
creatasi, di persone al potere, che siamo lentamente tornati, pure in provincia
di Savona, ad un decadimento di valori.
Giorgio Bocca ha scritto: <Sono scomparse la decenza e la vergogna, la
ricerca della stima altrui…, il nuovo potere può contare sull’impunità del
denaro…è un caposaldo del sistema>.
LETTERE DI FRANCO ASTENGO
In effetti, a Savona, tra le pochissime persone che almeno ufficialmente
hanno tenuto desta (con ripetuti interventi sulla stampa) la “questione morale”
c’è il politologo Franco Astengo.
Ecco una prima carrellata, da tempo nel dimenticatoio generale, di alcune
sue lettere/interventi sui giornali.
Primo intervento. Scriveva Astengo quando ricopriva la carica di
segretario del Pdup di Savona: <Alcuni giorni fa “il manifesto” ha ospitato
un’aggiornata e dettagliata cronaca degli ultimi avvenimenti relativi al “caso
Teardo” e alla gravissima questione morale che ha investito l’intero tessuto
istituzionale degli enti locali liguri…Dalle vicende liguri emergono alcuni dati
molto precisi: non ci troviamo di fronte ad un comune caso come a Torino. E’
invece emersa la formazione progressiva di un contro-potere organizzato sul
modello della P 2. …Questo contropotere ha occupato le
istituzioni…presidenze di enti….sindaci…installandosi in gangli vitali del
potere e non incontrando
alcuna resistenza da parte delle forze alle quali era storicamente delegata la
gestione amministrativa….
Si è proseguito sul modello di sviluppo fondato sul rapporto “cultura del
cemento/pratica delle tangenti….con una grande concentrazione di capitali
sul territorio, favorendo lottizzazioni, gigantismi, distorsioni clamorose nell’uso
degli strumenti urbanistici…al Pci è toccato innalzare la bandiera della difesa
dell’esistente, sulla base di un industrialismo ormai buono soltanto a
conservare i voti…agli altri sono spettati invece i settori emergenti nei quali si
è dato vita ad una privatizzazione selvaggia, sul quale è fiorito l’impero delle
connessioni tra mafia e politica….> .
“il manifesto” ricordava che, dopo il “caso Teardo”, a Savona, quasi non
c’è stata discussione, se non tutta interna al Pci. Il sindacato non ha detto
parola. …Qui la sinistra governa da sempre, eppure è stata incapace di
discutere, cosi come è stata incapace di proporre una politica economica
alternativa ed un’ innovazione del tessuto produttivo>.
Altro intervento di Astengo sempre su “il manifesto”: <..L’allontanamenton di
Granero e Del Gaudio da Savona appare un episodio inquietante…i due
giudici se ne vanno, ma il loro lavoro non è certamente ultimato (invece tutto
finirà in una bolla di sapone, per merito o demerito di chi? ndr).Fra le pratiche
giacenti ve ne sono almeno due (Astengo non immaginava che la terza
arriverà con le aree Italsider, altra bandiera bianca della resa ndr). Eccole: la
Teardo bis, più estesa e dirompente della precedente se guardiamo alla
quantità di comunicazioni giudiziarie già partite…Per di più è ancora in piedi,
dopo 12 anni, l’inchiesta sugli attentati dinamitardi che colpirono Savona
nell’inverno 1974 ed esistono fondate ipotesi di collegamento, a livello di
cospirazione politica ed esecuzione materiale, con lo stesso gruppo che
malversava sulla cosa pubblica ligure. Le vere ragioni del trasferimento dei
due giudici – proseguiva Astengo - sono da ricercarsi nell’isolamento nel
quale sono stati lasciati dall’intera struttura del tribunale, di fronte all’enorme
mole di lavoro accumulatasi in questi anni, e alla precisa volontà espressa di
portarla avanti si è risposto con l’impossibilità di ottenere l’aiuto…la mia
opinione è di un ritorno di fiamma mai spenta P 2, vero centro motore di tutte
le molte operazioni a delinquere sviluppatesi in Liguria negli ultimi 15
anni….Le forze politiche tacciono o si muovono timidamente, per paura di
rovinare precari equilibri politici. E’ la solita storia. Serve a tutti, in particolare
alla sinistra, governare in discesa con questi personaggi, permettendo loro
non tanto e non solo di curare i propri interessi, ma soprattutto di continuare a
danneggiare gravemente l’economia e la società>.
Per ora ci fermiamo qui, Proseguiremo con la prossima puntata. Savona, la
Liguria, l’altro ieri, ieri, oggi, domani. La non memoria, la non informazione
cancella, deturpa, deforma. Consente persino scambi di ruoli. Da accusatori
ad accusati. Da sconfitti a vincitori, magari con il voto popolare, anche grazie
all’informazione imbavagliata, servile che attacca il carro dove il “padrone di
turno” vuole.
E solo due anni fa Franco Astengo, concedeva al Secolo XIX, un’altra
interessante intervista (vedi…) che riproponiamo. Per non dimenticare.
Luciano Corrado
Ventunesima punta del “ciclone Teardo”/ Un libro da dimenticare
LA “STELLA” DI PALAZZO SISTO?
QUANDO DEL GAUDIO SCRIVEVA…
Storia di Luca Martino, l’assessore che sta conquistando quasi ogni
giorno le prime pagine dei quotidiani locali. Ormai sono lontani i tempi
in cui il giudice che fece arrestare Teardo e soci denunciò di essere
stato preso a botte da padre e figlio che avrebbero sfasciato pure
l’ufficio. Seguì una denuncia per calunnia, poi la pace e due milioni in
opere di bene. A Savona va di moda “dimenticare”, ma tornano in auge,
sui giornali ed in tivù, anche coloro che Del Gaudio definì <un tempo
politicamente alleati di Teardo>. E’ diventato un “lasciapassare”, un
titolo di merito? Il grande “perdono”? La riabilitazione piena?
di Luciano Corrado
Savona – Ventunesima puntata della “Teardo story”, con un nuovo confronto
tra passato e presente. Con “protagonisti” di ieri e di oggi, in primo piano. La
novità dell’affresco è l’assessore al Bilancio e allo Sport del Comune di
Savona, Luca Martino. Per la cronaca, Martino negli ultimi mesi è
l’assessore più presente nelle pagine di cronaca locale de Il Secolo XIX (27
fotografie dall’inizio dell’anno sul quotidiano genovese), un po’ meno sul
concorrente torinese La Stampa. L’assessore più gettonato, forse per le sue
scelte innovative. La persona giusta al posto giusto? Promoter infaticabile
della “buona amministrazione” di palazzo Sisto?
Non vogliamo ergerci a giudici in questa nostra ricostruzione storica.
C’è l’aggiunta di brevi annotazioni, per miglio spiegare gli eventi.
Ricostruzione che vede Luca Martino tra i “personaggi” di un libro ormai
dimenticato, coperto di polvere, di Michele Del Gaudio, il giudice-artefice
con Francantonio Granero, della caduta del “regime” teardiano, colpito
quando il plotone comandava e molti ubbidivano, tacevano, subivano,
giornalisti compresi.
Del resto salire sul carro del più forte, del vincitore, è lo sport praticato non
solo nel mondo dei partiti, ma anche di chi scrive articoli e di chi appare sul
piccolo schermo. Essere “amici” o “giullari” dei potenti di turno gratifica
quantomeno con il premio della “riverenza”, della “considerazione”, della
porta aperta nelle stanze del potere. La storia è zeppa di episodi e meschinità
umane, professionali. Non a caso prolifica la categoria degli “afflitti da
memoria corta”cosi invisi ai “grillini”.
E il giornalista più gettonato del momento come fustigatore, Marco
Travaglio, ci ricorda sul Blog di Beppe Grillo, che <Un paese senza
memoria è destinato a ripetere i propri errori>. O ancora: <Un paese che vive
di menzogne è destinato a non conoscere neppure i propri errori>. Oppure,
sempre Travaglio, <L’Italia è sommersa dalle menzogne e non ha più
memoria…L’informazione di regime è il virus che l’ha ridotta cosi…>.
Cosa ha rappresentato il personaggio pubblico Luca Martino nella storia
Savona degli anni ottanta, quando militava in un partito di sinistra?
Tenuto conto che, all’epoca, Del Gaudio era anche osannato, con agiografi
viventi ed in attività (vedi le interviste ed i ritagli stampa), ci limitiamo a
ricostruire cosa scrisse l’ex giudice, poi parlamentare, ora ignorato dai più e
rigorosamente non citato.
Scriveva Del Gaudio a pagina 126 del libro “Due anni nel Palazzo” di Tullio
Pironti Editore, con prefazione di Franco Astengo, savonese doc e stretto
collaboratore. L’edizione è di dicembre 1996. La dedica: <A tutti i
parlamentari che operano nell’interesse del Paese, riservando a sé solo il
piacere dell’onestà>. E ancora, la citazione di Jovanotti: <Niente e nessuno
al mondo potrà fermarmi dal ragionare>.
Nel capitolo X- Conclusioni, con la cronistoria-sintesi della sua attività, Del
Gaudio ricordava: <Il 18 marzo del ’94 viene presentato a Savona il mio
volumetto sulla Costituzione da Giancarlo Caselli, Alessandro Natta e don
Luigi Ciotti. In sala circa 800 persone, non se ne vedevano tante da anni…Il
10 maggio 1995 viene pubblicata una mia interrogazione sul generale della
Guardia di Finanza, Acciai ( P 2), sul generale Pasini (anche lui massone),
su Ciliberti (numero 2 del Sismi, servizio segreto militare a Bologna). Il 3
maggio Vittorio Sgarbi mi attacca nella rubrica “Sgarbi quotidiani”. Mi
accusa di aver arrestato Alberto Teardo perché mio nemico politico. Lo
querelo il 18 maggio. Il 19 maggio vengono a Savona per trattare di “Stragi,
mafia, tangentopoli”, Gherardo Colombo, Libero Mancuso, Peppino Di
Lello. Ancora una volta – è sempre Del Gaudio che scrive – 7/800 persone
gremiscono la sala. Il 20 maggio presento un’interrogazione parlamentare sui
12 agenti della Cia individuati dal giudice Felice Casson>.
Segue un riferimento, molto particolare, per i protagonisti savonesi. Lasciamo
parlare il libro.
<Il 22 maggio Vittorio Martino e suo figlio Luca mi aggrediscono e sfasciano
l’ufficio di Savona, perché rifiuto di fare una raccomandazione. Chiamo i
carabinieri….Il 27 giugno presento un’interrogazione sulle scorie radioattive.
In questi giorni i Martino mi denunciano per calunnia dicendo che mi sono
inventato tutto. Intanto una fetta del PDS di Savona mi impedisce all’ultimo
momento di tenere un dibattito alla locale Festa dell’Unità con Petrini,
Bodrato, Bonsanti e Garavini sul centrosinistra. Appaiono articoletti sui
giornali locali che evidenziano la diffidenza di una parte del PDS contro di
me, anche a seguito della vicenda Martino. La solidarietà espressami dal
segretario provinciale non è condivisa da alcuni: un tempo politicamente
alleati di Teardo>.
Sarà solo un caso, una semplice coincidenza, ma questi “alcuni”(?),
menzionati da Del Gaudio, li ritroviamo spesso nelle interviste della cronaca
dei nostri giorni, tornati in auge con compiti, mansioni e ruoli vari. Di loro si
ricorda anche una tivù regionale Rai che il fustigatore (solo di giornalisti,
Claudio Scajola) aveva bollato come partigiani, di parte, faziosi, come
raccontò un esemplare articolo de La Stampa-Liguria, ben presto
dimenticato. Nessuno, come accade quasi sempre, ha chiesto conto al
politico Scajola (uomo pubblico) come “andò a finire”, visto che promise di
rivelare l’esito di un’indagine rigorosa sulla partigianeria del servizio pubblico
ligure (Rai).
Michele Del Gaudio, invece, raccontò come si concluse quella storiaccia con
i Martino.
Eccola, sempre ripresa dal libro: <In gennaio 1996 la mia posizione è
archiviata dal Gip di Savona e si procede per calunnia contro Vittorio e Luca
Martino. Il 26 gennaio raggiungiamo un accordo. Ritiro la querela in cambio
di una lettera di scuse ed il versamento di due milioni dei Martino per scopi
sociali. I giornali ne parlano mettendo in evidenza la mia correttezza. La
vicenda Martino era stata strumentalizzata perché stavo diventando troppo
forte…dovevo capitolare… non dovevo essere ricandidato in caso di elezioni.
Il 10 febbraio 1996 un politico pidiessino mi dice “la sera dell’11 ottobre 1995
quando vi è stata la rottura per la tua candidatura a sindaco, siamo venuti lì
con la volontà di costringerti a rompere. E avevi, secondo nostri calcoli e
sondaggi l’80 per cento delle preferenze al primo turno. Io ho obbedito –
conclude Del Gaudio nel suo libro – ma mi accorgo che ho sbagliato>.
I giornali, seppure tra mille difficoltà e contrasti, rivelarono che al centro della
poco esaltante disputa Martino-Del Gaudio c’era un problemino: fare o non
fare il servizio militare per lo Stato democratico.
Michele Del Gaudio è finito nel dimenticatoio, lontano da Savona, per sua
scelta? Luca Martino è diventato una “stella” di Palazzo Sisto, della giunta
“illuminata” del sindaco Federico Berruti, all’epoca delle elezioni appoggiato
con convinzione anche dal gruppo di Franco Orsi che se vuole smentire può
farlo e ne prendano atto in Forza Italia. Luca Martino
è uscito scagionato da una piccola vicenda più recente sulle firme “apocrife”
elettorali. Cose da prima o seconda Repubblica.
Non è tema di oggi giudicare il “governo Berruti”, la ragione di alcune scelte,
chi l’ha spinto a scegliere alcuni uomini (assessori) anziché altri. Un errore è
palese: giullari e smemorati contribuiscono, da sempre, a far perdere la
bussola della storia e del ragionamento razionale persino alle persone più
capaci e preparate come Berruti.
Si pensa troppo ai “padreterni”, si perde il senso, come spesso ricordano
Bocca e Pansa, del pudore, della decenza, della vergogna (in senso politico,
ovviamente). Intanto il “popolino” dimentica in fretta.
Accadeva quando Alberto Teardo era riverito e i suoi colonnelli
comandavano Savona, buona parte della Provincia, una fetta di Liguria. Il
“pensiero Teardo” aveva grandiosi progetti, strategie di lungo respiro. Il
tempo non ha insegnato nulla. Come rimasero lettera morta gli appellidenuncia, scritti e pubblicati, di Franco Astengo. Le sue lucide analisi si
riveleranno quasi una “profezia”. Chiusa a chiave.
Fa copia, seppure tra i due “pensieri” esista un abisso, con quanto ha
dichiarato nel corso di una serata di storia su “massoneria ieri ed oggi” ai
giovani e agli aderenti di reteLilliput e Libera di Savona e provincia,
l’avvocato Renzo Brunetti (vedi altro servizio in questo blog).
E’ la storia di Savona politica, partitica, economica, amministrativa,
giornalistica. Soprattutto affaristica e riverita.
E’ l’evoluzione dei comportamenti (vedi a proposito un eloquente ritaglio de Il
Secolo XIX del 23 febbraio 1994….).
Non serve mettere in “castigo”, ridurre al silenzio i giornalisti ed i politici
scomodi, irriverenti, fare casta, magari organizzare ritorsioni occulte,
avvertimenti in stile mafioso.
Prima o poi c’è sempre qualcuno che parla, ascolta, rivela. Lo accenna anche
un editoriale del direttore de Il Secolo XIX a proposito della vicenda da
squallore accaduta nel porto di Genova in tempi non remoti. Gli accordi –
sottobanco – tra chi “comanda” in Liguria (Burlando-Scajola).
E chi comanda a Savona e decide nel bene o nel male le sorti della città? Dei
giornalisti? Esiste solo l’eccezione di quel giornalista di Repubblica-Lavoro, di
Genova, citato con disprezzo dal direttore Vaccari? Le “gole profonde”
assicurano che non è così. Invitano ad aspettare perché il tempo è
galantuomo. Lo fu con Teardo e soci. La storia dovrebbe perlomeno fare
scuola. Senza rancori.
Luciano Corrado
Franco Astengo
VENTIDUESIMA PUNTATA DEL “CICLONE TEARDO”
I PERSONAGGI MESSI IN VETRINA
DALLA PENNA DI DEL GAUDIO
Tre libri scritti dall’ex giudice di “mani pulite” di Savona. Racchiudono
testimonianze ormai dimenticate. C’è chi è morto e chi è sempre in
auge. Storie di coerenza ed incoerenza, di tradimenti, di solidarietà.
Molti brani di quei libri raccontano verità ed episodi da far riflettere. Le
minacce, gli avvertimenti, le lodi. Del Gaudio parla dei suoi rapporti con
Natta (Pci), di Varaldo (Dc), di Granero, Petrella e… Ricorda gli avvocati
e soprattutto l’eccezionale squadra di ottimi collaboratori senza i quali
….
di Luciano Corrado
Savona – Ventiduesima puntata interamente dedicata alla testimonianza di
Michele Del Gaudio (classe 1952, nato a Torre Annunziata) ricavata da tre
libri di cui è stato l’autore. Il primo, La toga strappata (con prefazione di
Raffaele Bertoni) finito di stampare nel giugno 1992. In copertina la scritta
“L’emarginazione di un giovane magistrato dopo la scoperta del primo
grande intreccio di politici corrotti e tangenti”. Il secondo (gennaio 1994) dal
titolo “Il giudice di Berlino”, con prefazione di Antonino Caponnetto. Il terzo
(dicembre 1996), dal titolo “Due anni nel Palazzo” e prefazione di Franco
Astengo.
Molti giovani non hanno avuto la possibilità di leggerli, di documentarsi su un
periodo che ha “fatto storia”. Inoltre, c’è una tendenza sempre più diffusa di
non far tesoro di esperienze passate. L’Italia ha avuto la “Liberazione”, ma
c’è chi vorrebbe dimenticare. La Liguria, Savona hanno avuto gli “anni di
Teardo”, rinvangare non serve, sapere cosa accadde è utile per non fare di
ogni erba un fascio. Ad ognuno il suo. Meriti e demeriti. Nella cattiva e nella
buona sorte.
Ecco perchè “Trucioli Savonesi” vuole offrire ai lettori, l’album della memoria,
senza filtri o interpretazioni, ma attraverso il racconto, oggi storico, di un
protagonista diretto, quel giudice che firmò ordini di cattura, sentenze,
perquisizioni…. Una ricostruzione con i personaggi più conosciuti e più
“coinvolti”, con ruoli e compiti diversi, nel “ciclone Teardo”. La penna,
all’epoca, è quella di Del Gaudio testimone e scrittore. Riportiamo, dopo il
nome ed il trattino, i passi più salienti scritti da Del Gaudio nei suoi tre libri.
Camillo Arcuri (giornalista già inviato speciale a Il Giorno e poi capo
redattore al Secolo XIX di Genova) – Ho parlato con Camillo Arcuri, verrà
alla presentazione del libro (Il Giudice di Berlino) che organizzerà il Circolo
Calamandrei.
Renzo Bailini (giornalista pubblicista, già corrispondente de Il Lavoro,
firmatario dell’esposto che diede avvio all’inchiesta su Teardo e soci) –
Bailini, un ex massone ed ex socialista di 30 anni che vive a Borghetto S.
Spirito…invia una lettera a Pertini…da sempre nume tutelare dei socialisti
della Riviera di Ponente. Bailini gli scrive: <Caro Presidente, in Liguria c’è
gente che fa affari sotto il simbolo del Psi, e giù una sfilza di nomi, di indirizzi,
di cariche. Il 17 ottobre, siamo nel 1981, scrive al procuratore capo di
Savona, Camillo Boccia….il suo esposto viene smarrito. Peccato. Contiene i
nomi di Teardo, di Leo Capello, presidente del Savona Calcio e di altri
socialisti. Nell’esposto Bailini scriveva “Sono a sua completa disposizione
per fornirle le prove di quanto affermo.” Dieci giorni dopo il nostro Maigret
ritorna alla carica. Fotocopia l’esposto andato smarrito e lo invia, per
raccomandata con ricevuta di ritorno al sostituto procuratore Maffeo che lo
passa al suo capo Boccia….che non chiama Bailini, non apre le indagini,
ma chiede a Leo Capello di fare una capatina nel suo ufficio per sapere
come sono arrivate alcune decine di milioni al Savona Calcio…Capello non
sembra aver problemi a spiegare l’origine del finanziamento, il procuratore
Boccia gli crede sulla parola e decide l’archiviazione dell’esposto. E’ il 4
novembre 1981. Il giudice Del Gaudio sbalordito e chiama a testimoniare
Renzo Bailini. “Lei ha promesso di fornire le prove di quanto scrive, mi
racconti.” Avevo un po’ di paura, racconta Bailini, perché mi ero accorto che
se avessi detto qualcosa di non vero sarei finito in galera….Del Gaudio mi
ammonì più volte “stia attento, sta facendo grossi nomi, è sicuro? Ha le
prove?
Mario Berrino (già contitolare con i fratelli del celebre Caffè Roma di Alassio
e noto pittore) – Ho affrontato il mio primo processo importante. Il sequestro
del pittore Mario Berrino. Due armadi di documenti. Penso di essermela
cavata abbastanza bene, anche se la decisione è stata sofferta e coraggiosa.
Ho assolto gli imputati ed ho ritenuto che il sequestro non c’è mai stato. La
Corte d’appello ha confermato l’assoluzione degli imputati, anche se non è
stata d’accordo sulla simulazione del reato. La mia sentenza ha fatto
scalpore. I giornali ne hanno parlato per giorni…Ho ricevuto anche questa
lettera “Non è ancora ora di smetterla con questo martirio del buon Berrino?
Vi faremo un culo come le ceste, merdoni, a voi e ai vostri familiari. Stronzi
venduti dai comunisti. Il tubo di Ferro (Vincenzo Ferro, all’epoca giudice del
tribunale di Savona), lo stronzo di Del Gaudio e gli altri corrotti. Vi faremo
mangiare la Isidoro allo spiedo. Passerete in otto minuti il male che avete
fatto a Berrino in otto anni. Bologna sarà niente in confronto. Bastardi,
vigliacchi, venduti, porci, pederasti!>
Sarà una coincidenza, un caso, ma una lettera quasi simile, anzi col
tempo diventeranno (tre), la riceve anche il giornalista Luciano Corrado
che per Il Secolo XIX si occupò del “giallo Berrino”.
Camillo Boccia (magistrato e già procuratore capo a Savona)- Un signore
distinto che ama frequentare i club ed i politici, censurato dal Consiglio
superiore della Magistratura e trasferito d’ufficio…Il 14 novembre 1994 sono
convocato a Milano per l’udienza preliminare per una querela di cui non
sapevo nulla, sporta contro di me da Boccia….che chiese di archiviare il
processo Teardo, di cui era amico e nella stessa loggia secondo il colonnello
dei carabinieri Nicolò Bozzo…
Aldo Capasso (poeta) – L’altra sera siamo stati ad Altare, ove hanno
assegnato la cittadinanza onoraria al professor Aldo Capasso, poeta e
letterato di livello internazionale che abbiamo avuto l’onore di conoscere
insieme con la moglie Fiorette, poetessa della Guadalupa. Il professore ha
più di settant’anni, Fiorette dieci-quindici di meno, ma sono innamorati. Lui la
chiama “fata”. Lei lo cura come un bambino e spesso vede per lui, ormai
quasi cieco..
Paolo Caviglia (già parlamentare del Psi e presidente della Camera di
Commericio, oggi vice sindaco di Savona) – Un attimo prima di finir dentro
anche lui, proclama al Teatro Chiabrera: “I compagni arrestati sono dei
prigionieri politici”. Poi ci accusa di far catturare polemiche.
Il prof. Giuliano Vassalli, avvocato insigne, il 23 dicembre 1985, ha scritto a
Del Gaudio: ”….Non posso nasconderLe che il caso Caviglia, arrestato,
dopo qualche tempo dalla sua famigerata frase, per una imputazione
generica poi caduta dopo molta lunga detenzione, mi continua a fare
impressione….>
Francantonio Granero (giudice) – Erano passate solo poche ore quando
alcuni magistrati amici telefonarono a Granero…per avvisare che da Roma
erano partite le prime bordate…Bettino Craxi in persona aveva tuonato
contro i mandati di cattura, emessi a soli 12 giorni dalle elezioni politiche.
“Sarà difficile ai magistrati spiegare le ragioni dell’urgenza….” E ancora:
“Con i giudici poi faremo i conti”. Ed il sottosegretario socialista alla Giustizia
aggiungeva “I clamorosi fatti di Savona appaiono come un’azione connotata
di politicismo di bottega, una strenna elettorale in cui sono invischiati
certamente personaggi locali e forze nazionali. L’arresto di Teardo ed i suoi è
una smaccata turbativa elettorale..”
Granero anche lui giovane, 43 anni non ancora compiuti, da 15 in
magistratura, aspetto deciso e fiuto da buon inquisitore. Granero intuì che
l’inchiesta era molto delicata…ritenne perciò opportuno non lasciare da solo il
suo collega… voleva di mostrare che l’indagine non veniva condotta dal
magistrato Tizio o Caio, ma dall’Ufficio istruzione di Savona.
Antonio Petrella è stato sostituito da Francantonio Granero, anche lui
onesto, un uomo tutto d’un pezzo, dedito ai fatti più che alle parole, anche se
un po’ spigoloso di carattere…lui un uomo di azione, io di riflessione.
Tra le intimidazioni politiche a seguito dell’inchiesta Teardo c’è quella che
Granero è di Comunione e Liberazione e gli arresti sarebbero avvenuti il
giorno dopo un comizio di De Mita a Savona.
…Granero concede a pochi di abbreviargli confidenzialmente il nome al più
consueto Franco. Viene considerato un duro, un uomo che gioca a carte
coperte: lo sanno bene gli imputati e gli avvocati che si sono trovati di fronte
alle sue contestazioni puntuali, a volte sibilline, ma sempre mirate. E lo sanno
anche i cronisti che su quell’inchiesta cercano notizie….
Del resto Granero la società savonese, la frequenta soltanto per lavoro. Vive
a Borgio Verezzi con la moglie e due figli, un maschio e una femmina. E’
quest’ultima, la figlia maggiore, la sola traccia “politica” di una famiglia che
conduce una vita molto ritirata: la ragazza si era candidata in quel centro
rivierasco nelle file della Democrazia Cristiana…Granero viene considerato
comunemente un giudice non ideologizzato: quando da ambienti socialisti si
cercò di etichettarlo come appartenente a Comunione e Liberazione, smentì
categoricamente. Nessun avallo alla teoria del complotto antisocialista
sostenuto da Craxi dopo i primi arresti sta in piedi…
Dante Lanfranconi (vescovo) – Il vescovo di Savona, monsignor
Lanfranconi, mi ha voluto conoscere. E’ stato un pomeriggio da ricordare.
Abbiamo suonato al citofono, hanno aperto, e alla sommità della bellissima
scala di marmo del Vescovado c’era un sacerdote alto, giovane, imponente.
Era lui il vescovo, vestito semplicemente, con giacca e pantaloni scuri e il
collarino sacerdotale. Ci ha condotti in una bellissima sala. Ci siamo seduti
ed abbiamo parlato per due ore. Un dialogo interessantissimo, che mi ha
avvicinato ancora di più a Dio, quel Dio come forza del bene, in cui credo
ormai da anni. Ci ha addirittura servito delle bibite fresche. Fresche come le
nostre parole. Ah, se tutti i vescovi fossero come lui! L’ho sentito pastore e
cittadino, pronto ad impegnarsi nel sociale; non solo a preparare la vita
eterna, ma anche a rendere questa vita più umana. Sensibilissimo al tema
della legalità…
Filippo Maffeo (giudice) – Non so se ti ho parlato di Filippo Maffeo, un
ragazzo preparato ed onesto, con cui spesso mi sono consigliato. Senza di
lui il processo Teardo non si sarebbe mai fatto. Con grande umiltà si è
sobbarcato tutto il carico di lavoro dell’ufficio ed in particolare la gestione dei
detenuti, pur di consentirci di lavorare a tempo pieno sullo scandalo delle
tangenti. Grazie Filippo.
Bruno Marengo (già sindaco di Savona ed attuale sindaco di Spotorno) - Un
caro amico di Savona, Bruno Marengo. Ho passato con lui e con la moglie
Ornella l’inizio dell’anno. Sono venuti a trovarmi a Torre ed abbiamo girato i
posti più belli del mondo; da Sorrento a Capri, Positano, Amalfi, Ravello, gli
scavi di Pompei, la villa Oplonti. E quanto ci siamo divertiti. Sono riuscito a far
prendere a Bruno il pullman senza biglietto, a farlo infilare nell’aliscafo senza
posti prenotati. Mi è ritornata la goliardia…Bruno si è divertito molto a vedere
tante macchine con targhe settentrionali, guidate da napoletani
veraci….Bruno mi è stato sempre vicino in questi ultimi anni, con i suoi
consigli, la sua solidarietà, il suo affetto. E’ il suo animo che mi piace tanto.
Ogni volta che lo vedo o lo sento è un’iniezione di entusiasmo. Mi ha scritto
…nonostante le avversità, le difficoltà e le amarezze che hai incontrato come
uomo e come magistrato. Hai reso evidente a tutti, con una denuncia lucida e
coraggiosa, quell’intreccio di interessi illeciti tra mondo politico, mondo degli
affari e massoneria, che ha portato alle gravi vicende che hanno scosso la
Liguria agli inizi degli anni Ottanta.
Alessandro Natta (già segretario generale del Pci) – Questa estate ho
conosciuto Alessandro Natta, l’ultimo segretario del Partito comunista
italiano. E’ un uomo di purezza disarmante. Ha un senso dello Stato e delle
Istituzioni che secondo me gli uomini di governo non hanno. Ha una
preparazione storica e letteraria imponente. Abbandonata la politica, sta
studiando dal punto di vista storico la figura di Menotti Serrati e da quello
letterario Sibilla Aleramo. Ed è una miniera di fatti e circostanze della vita
politica italiana. Ci ha raccontato di quando Berlinguer, durante il terrorismo,
propose a Moro di far difendere l’Emilia Romagna dai militanti comunisti, più
che dalle Forze dell’Ordine. “Li ci pensiamo noi, contro i criminali delle
Brigate Rosse” disse al leader democristiano…Sempre Berlinguer un giorno
gli passò un bigliettino, in cui proponeva Cossutta come ministro dell’Interno
e lui ministro della Cultura. Ci ha anche detto dello stupore suo e di
Berlinguer quando, nel giugno 1983, lessero sul giornale che avevamo
arrestato con Teardo anche Franco Gregorio, segretario-maggiordomo di
Pertini, allontanato nel 1981 dal Quirinale perché il suo nome comparve negli
elenchi della P2. In realtà il presidente Pertini aveva affidato, prima dello
scandalo massonico, proprio a Gregorio il compito di organizzare alcuni
incontri riservati fra lui, Berlinguer e Natta.
Natta il 4 novembre 1991, mi ha scritto da Imperia. Caro Del Gaudio….io ho
solo cercato nella mia attività politica di fare il mio dovere, cominciando dalla
coerenza… tra le idee professate e il comportamento. Credo che questa
regola, tra le più ardue da seguire, sia la base essenziale dall’agire
correttamente e anche dello stare in pace con la propria
coscienza. Naturalmente nemmeno questo codice di moralità politica (ma
anche personale e civile) può mettermi al riparo dagli abbagli, dagli errori, dai
mancamenti. E di sbagli io riconosco di averne fatti molti. Ma ciò che non mi
è piaciuto e non mi piace, per ciò che riguarda tanti della mia parte, è il
passaggio dalla presunzione di essere sempre nella verità (per
provvidenzialità storica) all’umiliante autoflagellazione per avere sbagliato
sempre…Sono stato recentemente a Genova, come relatore, assieme a
Bobbio, Taviani, in un convegno su Ferruccio Parri. Mi auguro di
incontrarla nuovamente, con la sua signora, la prossima estate al Melogno…
Un’altra lettera di Natta del 7 giugno 1992. Caro Del Gaudio… poi sono
venute le amarezze di Milano. Ancora una volta non una sorpresa, perché
era ben chiaro che i Teardo non erano solo a Savona, e che in un mare tanto
inquinato si guastano i pesci sani, tanto più se l’essere “diversi” e cioè corretti
e seri, viene considerato un errore e una colpa. Ho letto ieri la sua intervista
sulla Stampa, Sono d’accordo. Non bisogna mollare, non transigere, essere
coerenti con le proprie idee….
Luigi Pennone (poeta) – Abbiamo conosciuto un poeta futurista, Luigi
Pennone, che è un grande declamatore di poesie; ha una memoria di ferro.
Spesso organizziamo delle serate poetiche nella nostra casetta di Albisola.
Pennone recita versi e noi e altri amici ascoltiamo attenti. E’ un vero
arricchimento. Ogni serata è dedicata a un poeta.
Antonio Petrella (giudice) – Del Gaudio affiancò per un brevissimo periodo
il suo superiore di allora, Antonio Petrella, finito sotto procedimento
disciplinare, voluto dal ministero della Giustizia e assolto dal Consiglio
superiore della Magistratura. Petrella era stato in precedenza un po’ cattivo
con il procuratore Boccia. Nella sua ordinanza di rinvio a giudizio sulle
Bombe di Savona (ne scoppiarono 11 tra il 1974 e ’75), Petrella accusò di
inerzia la Procura della Repubblica, i servizi segreti, la polizia. Sandro
Pertini lo venne a sapere e chiese di incontrarlo. Pertini, di quel che accade
a Savona e dintorni, ha sempre voluto sapere tutto.
Per fortuna il dirigente è Tonino Petrella, un collega onesto, preparato,
democratico nella gestione dell’ufficio, simpaticissimo; un vero maestro e
fratello maggiore. E’ sempre pronto a consigliarmi e a sostenermi nei
momenti di sconforto. Mi responsabilizza poco alla volta.
Quando arrivò l’esposto di Bailini, ragionando con Petrella mi mise in
guardia dai rischi…quella poteva essere una calunnia se non provata, anche
se aggiunse che Teardo era un uomo politico molto chiacchierato, un
rampante, potente e senza scrupoli. Ti potresti scottare, mi dice, ma io non ti
lascio solo, ti affianco nelle indagini, anche se le decisioni le dovrai prendere
tu, magari con il mio consiglio, se vuoi>. Che capo ufficio! Mi sembra più un
amico che un capo. E’ una persona veramente perbene…In quei giorni di
avvio dell’indagine succedono cose strane…ci sono difficile indigini
bancarie…l’unico punto di riferimento sicuro è Tonino Petrella. …più vado
avanti e più mi rendo conto che Bailini qualcosa di vero lo aveva
detto…alcuni testi, in particolare De Dominicis e Locci sono minacciosi,
vorrebbero quasi imporre le regole del gioco….sono costretto ad arrestarli
per qualche ora, poi li libero…Sono tutti del Psi danno milioni in contanti e li
rianno in contanti.
Tonino Petrella era già al tribunale civile e mi telefona “Michele, guarda che
ho ricevuto una telefonata minatoria. Una voce maschile mi ha detto che, se
Teardo viene arrestato prima delle elezioni, tu e i miei figli farete una brutta
fine. Sono preoccupato. Ma agisci con giustizia>.
Maurizio Picozzi – Guido Gatti - Emilio Gatti – Alberto Landolfi (giudici) –
Non solo il Consiglio giudiziario di Genova e il Consiglio Superiore della
Magistratura hanno respinto la mia impugnazione per l’assegnazione al civile,
ma ho scoperto che quasi certamente la motivazione ufficiale del rigetto è
una dichiarazione rilasciata al presidente Guido Gatti dai giudici
istruttori Picozzi ed Emilio Gatti, i quali hanno sostenuto che non era
necessario un terzo giudice all’Ufficio istruzione, perché loro da soli ce la
facevano benissimo. Ma come! Non ho mai visto dei giudici che rifiutano un
altro giudice, dicendo che il lavoro è poco e non c’è bisogno di coprire gli
organici. E poi Alberto Landolfi, sostituto, mi aveva detto proprio in quel
periodo che Picozzi aveva scritto una lettera al Procuratore della Repubblica
Russo per invitarlo a trasmettere all’Ufficio istruzione il minor numero di
fascicoli possibili, perché lui e Gatti erano sommersi dal lavoro. La cosa non
mi quadra. Penso che dovranno rispondere alle autorità competenti di questa
loro presa di posizione. Appena starò meglio metterò nero su bianco.
Il Secolo XIX è stato l’unico giornale che ha attaccato duramente Guido
Gatti, con articoli di Luciano Corrado, per le sue implicazioni nel processo
Teardo...
Se Guido Gatti agisce per ripicca, non lo so, come non so se sia ricattato da
Capello, come sostiene il giornalista Luciano Corrado del Secolo XIX, che
me lo dava per certo già nella primavera del 1985…o se invece sia inserito in
un certo tipo di logica massonica, come afferma Grandis…
Carlo Trivelloni (avvocato e consigliere comunale)- Trivelloni, una delle
poche figure di galantuomo, che sta venendo fuori dall’inchiesta. Ha avuto il
coraggio di accusare pubblicamente e giudiziariamente Teardo, ha citato
nomi e fatti. Ha stigmatizzato i rapporti amichevoli tra il procuratore della
Repubblica Boccia e il Presidente della Regione Teardo, ora in manette. Ho
saputo che qualcuno lo chiama “il terzo giudice istruttore”. Ciò non è
vero….è un’inchiesta con continue minacce ed intimidazioni come quella che
avrei comprato un attico…con soldi….grazie al Pci….secondo la denuncia di
un massone….
Franco Varaldo (senatore della Repubblica) – Franco Varaldo, oggi
deceduto, era un esponente del mondo cattolico più impegnato, vicino alle
posizioni di possibile collaborazione e apertura politica dettate da Aldo Moro,
antimassone, fortemente critico, come testimoniano i suoi scritti raccolti in un
libro e sul settimanale diocesano Il Letimbro, contro ogni trasformazione della
politica in politica degli affari, della speculazione, del trasformismo, in
qualsiasi partito siano annidati, Dc compresa. Varaldo, nella stagione delle
bombe, venne colpito per primo. Forse l’attentato a Varaldo, in quel 1974,
aveva il significato di avvertire, colpire, intimidire chi ieri come oggi tenta la
strada del cambiamento e della pulizia morale. Terrorismo. Mafia, poteri
occulti: ieri come oggi la santa alleanza funzionava e funziona. ..Varaldo era
un cattolico pulito, serio….A Savona, non a caso, ci fu un convegno contro la
politica di solidarietà nazionale. Varaldo, rispetto all’entourage Dc dominante
era un isolato. Savona non a caso rivelò le commistioni malaffare, politica,
P2, logge coperte col caso Teardo. Anche li lasciato addormentare e finire
dopo la partenza dei giudici Granero e Del Gaudio.
Carlo Zanelli (sindaco) - Non a caso O.P. di Pecorelli attaccò Pertini e
Savona, l’allora sindaco socialista Carlo Zanelli “reo” di avere preso
posizioni sulla vicenda degli attentati sulla scia di Pertini. Zanelli fu uno dei
socialisti ad esporsi maggiormente. Lo stroncarono dicendo che voleva
strumentalizzare i fatti in chiave di candidatura politica al Senato e alla
Camera, posti in seguito occupati da elementi legati al gruppo dominante del
Psi savonese di Alberto Teardo.
Del Gaudio, invece, ha “dimenticato” anche gli attacchi di O.P. di Pecorelli al
Secolo XIX per le cronache giudiziarie di quel periodo, ovvero legate al lavoro
svolto dal dottor Antonio Petrella, ad una sua intervista, alle sue conclusioni.
Marcello Zinola (giornalista) – Ti allego, cara Lu, l’intervista che ho concesso
a Marcello Zinola del Secolo XIX. In confidenza ti dico, che il vero principale
motivo, che ha portato me a Genova e Francantonio a Roma, è l’impossibilità
di far fronte ad un carico di lavoro enorme, che ci impediva di curare
l’istruttoria della Teardo Bis. Con Guido Gatti che ci richiamava
continuamente a sbrigare i procedimenti contro ignoti. “se ne sono accumulati
troppi e la gente attende>. Si preoccupava degli ignoti più che degli stralci
delle tangenti.
Ha scritto Zinola: Del Gaudio lascia Savona dopo aver condotto altre
inchieste (sequestro Berrino, Acna, stralcio del sequestro Domini Geloso)
importanti. …..A Savona, dice Del Gaudio, ho dedicato cinque anni del mio
lavoro e della mia vita. Senza retorica e senza falsa modestia debbo dire che
mi spiace lasciare la città come luogo di lavoro. Ho imparato ad amare e
conoscere i savonesi, soprattutto la gente comune, onesta,
laboriosa…Lasciare un’inchiesta con 58 imputati (la Teardo Bis) non è un po’
come lasciare la spugna e dare ragione a chi sostiene che, inquisito Teardo
e decapitato il Psi, tutto si sarebbe fermato?….Del Gaudio spiega che
l’Ufficio Istruzione del tribunale ha assunto un carico di lavoro
ordinario davvero esorbitante, sproporzionato rispetto alle forze dei
magistrati e collaboratori….A ciò si aggiunga che un solo fascicolo della
Teardo bis ha superato 200 mila pagine. In tale situazione i giudici istruttori
si sono ridotti da tre a due….
Zinola chiede a Del Gaudio e osserva che una sola forza politica, la Sinistra
indipendente, ha preso posizione sull’autotrasferimento suo e del dottor
Granero. Solo i giornali hanno dato voce alla vostra decisione. Anche
l’Associazione magistrati non è intervenuta….
Del Gaudio risponde, tra l’altro…..Penso che Savona abbia perso con il
collega Granero, per giudizio diffuso anche extra savonese, uno dei migliori
giudici a livello nazionale, perché ha saputo coniugare con grande
professionalità l’attività istruttoria con l’informatica…
Ancora Zinola…. Da qualche anno a questa parte (scandalo Friuli con il
giudice Acquarone, le bombe di Savona con i giudici Frisani prima e
Petrella poi) tutte le inchieste scomode su Savona si scontrano con la
convergenza di interessi contraria alla loro realizzazione. Ma che succede a
Savona? Del Gaudio risponde: E’ un quesito dirompente….
Zinola: il palazzo di giustizia che lascia e il suo contenuto, cioè la giustizia, in
che condizioni si trova?
Del Gaudio: <La situazione degli uffici giudiziari è precaria per carenza di
mezzi, strutture, magistrati e personale ausiliario. Ci sono ritardi nell’adozione
di provvedimenti, con conseguenti disagi per i cittadini.
Zinola chiede: tornerebbe a Savona?….
Del Gaudio: Intanto comincio a sentire una certa emarginazione tra i
colleghi. Vincenzo Ferro mi attacca pubblicamente in assemblea,
accusandomi di protagonismo per l’intervista concessa a Zinola…..Altro che
protagonismo. Solo Giovanni Zerilli mi è vicino con le sue parole di conforto
e di incoraggiamento. E una cartolina di Franco Becchino con la scritta:
<Questa veduta autunnale è venata di malinconia, come la tua partenza dal
nostro tribunale di Savona>.
Mario Sossi - Ieri mattina verso le 10 mi arriva una telefonata del presidente
del tribunale Guido Gatti per preannunciare una telefonata del procuratore
generale di Genova….Non ho nemmeno il tempo di riflettere che squilla il
telefono: “Sono Mario Sossi, ti telefono a nome del procuratore generale
Boselli, come va il processo Teardo? Sai è candidato al parlamento e le
elezioni sono a giugno, sarebbe opportuno concludere l’inchiesta in modo da
consentire a Teardo di parteciparvi….”. Rimango sbigottito…Granero decide
di affiancarmi, il presidente Gatti torna alla carica: “Ma quel Capello che
impressione ti ha fatto? A me tutti dicono che è una brava persona”:
Alberto Teardo – Teardo l’ho conosciuto l’altro giorno. Non l’ho convocato a
palazzo di giustizia attraverso la polizia giudiziaria come gli altri imputati. Gli
ho telefonato ed abbiamo concordato un appuntamento. Poi dicono che li
voglio perseguitare! Nell’interrogatorio di Teardo mi hanno colpito due cose:
tremava come una foglia, ma rispondeva alle domande con intelligenza e
sicurezza. Era emozionato. Ma in pochi secondi inventava balle, che altri
avrebbero partorito in due o tre ore di riflessione: ed ad un primo superficiale
esame apparivano anche credibili…Anche lui è stato cortese. L’unico agitato
era il suo difensore, l’avvocato Romanelli.
I COLLABORATORI – L’inchiesta, l’indagine… se non ci fosse stata a
Savona la combinata presenza di tante persone perbene…. Il colonnello dei
carabinieri Bozzo, il generale della Guardia di Finanza, Biscaglia, il questore
Sgarra. E poi la base: Travisi, Troisi, Pasquinelli, Previ, Mandati, Chiazzo,
Piedalumpo, Moretti, Rimicci, Lombardelli, Corrado, Reina…Ma anche
Alfonsina, Filomena, Clara, Armanda.
I DIFENSORI -..-. Quello che più mi ha impressionato è Vittorio Chiusano,
abbiamo passato insieme oltre 40 ore di interrogatorio a Teardo. L’ultimo è
durato due giorni consecutivi, con l’intervallo per la notte. Il maresciallo
Travisi, per l’emozione, non è riuscito a prendere sonno la notte prima.
..Chiusano un avvocato corretto e preparato. ..seguiva soprattutto l’accusa di
associazione mafiosa…sui singoli reati, con tante prove raccolte, non
interveniva…
Poi Marcello Gallo, Failla, Guastavino, Signorile, Di Maggio. Quello che
mi ha profondamente deluso è l’avvocato Calabria. Ad ogni arresto si
presentava lui come difensore, già prima che l’imputato lo nominasse.
...arrivò al punto di passare a Capello un foglietto con annotazioni ed il nome
di un legale….un’altra volta mentre Capello sta confessando la contabilità
segreta del clan, scoperta in un fienile a Spotorno, l’avvocato Calabria
esclama “signor giudice ma non vede che Capello si sente male, sta
male….da quel giorno Capello non ha più voluto rispondere alle domande
dei giudici.
Luciano Corrado
Ciclone Teardo”, 23° puntata con dieci allegati-sorpresa
I “CAMERIERI” SI RAVVEDANO: I NOSTRI EROI TRIONFANO
Un posto da ministro? Ecco cosa scriveva Paolo Lingua. I finanziamenti
al Pci? Un documento di architetti. Poi la storia dell’operazione
“Artigiani Vadesi”. Chi riuscì ad isolare Michele Del Gaudio, tra gli
stessi comunisti savonesi? Le critiche a “Trucioli”: <Basta, la storia di
Teardo e dei suoi uomini non interessa più a nessuno, ne parlate solo
voi. Siete rimasti quattro gatti, ignorati da tutti>. Basta non fare la fine
del topo!
di Luciano Corrado
Luca Martino
Savona – Nella rivisitazione della “Teardo story”- può accadere di essere
dileggiati, ma non querelati. Perché? Per deridere, schernire, disprezzare la
ricostruzione storica di fatti.
Un lavoro-testimonianza affidato ad atti giudiziari-processuali o articoli di
giornali, interviste a protagonisti, documenti inediti, che “Trucioli Savonesi”
sta mettendo insieme; una complessa ricostruzione per un futuro libro.
Per non dimenticare! E con una dedica particolare agli smemorati. Sono
parecchi.
Finora a “Trucioli” non è mai giunta una smentita, una rettifica. Alle spalle 22
puntate, senza pretese e senza pifferai.
Non sono mancate, invece, le segnalazioni di lettori che asseriscono di aver
ascoltato, più o meno “pubblicamente” e in circostanze diverse, personaggi
del mondo della politica, degli affari e del giornalismo. Il loro leit-motiv?
“Trucioli” lo leggono quattro gatti, per il ciclone Teardo “miscela” notizie reali,
con notizie fantasiose, prive di riscontri. E soprattutto non interessano più a
nessuno. La prova? Mai letto una riga sul Secolo XIX, La
Stampa, Repubblica-Il Lavoro, mai una citazione alle radio locali. Ignorati e
derisi…Ce ne abbastanza?
E non solo, segnalano sempre i “quattro gatti” di lettori che c’è chi parla
persino episodi inventati. Come quello di Alberto Teardo, finito in manette
pochi giorni prima di essere diventato potenziale ministro in pectore del
governo Craxi (Trucioli Savonesi, in base a documenti del processo, ha
scritto di “un posto sicuro da sottosegretario”…). Circostanze riferite pure da
diverse pubblicazioni a livello nazionale e da interviste allo stesso ex
presidente della Regione.
E la novita? Possiamo documentare che quella notizia non è contenuta
soltanto negli atti della “Teardo uno” (la Teardo- bis è naufragata), ma era
stata “autorevolmente anticipata” dalla cronaca de La Stampa, a pagina 20,
del 26 maggio 1983, a meno di venti giorni dagli arresti che sconvolsero la
Liguria.
La firma è “autorevole”, di un giornalista-scrittore, ieri come oggi in auge,
Paolo Lingua (classe 1943). Ecco il brano più significativo (leggi tutto
l’articolo allegato… con molti altri nomi interessanti dello scenario ligure):
<…Teardo era reduce da un incontro a Roma con il segretario del Psi,
Bettino Craxi, con il quale ha messo a punto l’azione combinata con il
capolista del Psi in Liguria, Ugo Intini, che correrà assieme a Teardo. Se i
socialisti entreranno al governo, dopo le elezioni sembra che Teardo, come
già avvenuto per Aniasi a Milano e Lagorio, ex presidente della Toscana,
sia destinato ad un incarico ministeriale, come leader ligure del partito…>.
Paolo Lingua è sempre stato considerato un giornalista introdotto negli
ambienti politici liguri, con fama di studioso. Fu il primo cronista ad anticipare
l’incontro Teardo-Craxi. A disegnare le caselle…
Un giornalista di successo, già a fine anni settanta. Un suo libro “Assessore
di denari” conquistò una buona platea (vedi…una pubblicità della Rusconi
del 15 giugno 1976 ).
Tra le sue documentazioni storiche, l’articolo scritto, sempre su La Stampa,
del 4 novembre 1990, dal titolo “L’arma segreta, i cannoni dell’Ansaldo”.
Ovvero un “revival” storico (vedi…..) della famiglia Perrone, proprietaria del
quotidiano Il Secolo XIX.
Un altro “spaccato” di Paolo Lingua, forse di spessore meno esaltante, la
pagina 216 del libro “L’Italia della vergogna” – capitolo “Su il cappuccio!”.
Contiene un elenco di affiliati alla loggia massonica R.L. Camea-O. di Santa
Margherita Ligure e al Comitato Logge della Camea d’Italia, dove oltre a
Lingua, compaiono i giornalisti liguri Filiberto Dani e Raimondo Lagostena
(vedi…..). Dopo una breve “tappa” al Decimono, settore Regione,
Lagostena è diventato tra i più affermati imprenditori televisivi liguri con il
Gruppo Profit e che si avvale di un altro “big” del giornalismo ligure, Mario
Bottaro, ex staff di direzione al Secolo XIX ed ex inviato speciale con
parecchi articoli sul “caso Teardo”.
Paolo Lingua, direttore di Tele Nord, era stato tra i testi citati dalla parte
civile Alberto Teardo e Leo Capello, nel processo contro Il Secolo XIX, il
suo direttore responsabile dell’epoca, Tommaso Giglio ed il redattore di
giudiziaria Luciano Corrado che il 14 novembre 1981 (poco meno di due
anni prima dell’esplosione delle manette) rivelò in solitudine l’esistenza dei
primi atti dell’indagine dell’allora potente presidente della Regione, al punto di
ricusare (per la storia dell’iscrizione alla P2 nel 1981-‘82) il pretore Marco
Devoto, denunciare successivamente il prefetto di Savona (revoca dopo la
condanna della patente). E soprattutto mobilitare l’armata giornali e
giornalisti-fedeli.
Teardo si ritenne diffamato per la notizia della sua abitazione “perquisita”! (fu
perquisita ai coindagati, non a lui); Capello, invece, si sentì leso della propria
onorabilità perché la notizia della comunicazione giudiziaria fu pubblicata dal
Secolo XIX, il giorno prima dell’iscrizione sul registro della Procura della
Repubblica.
Paolo Lingua, coltivando il suo nobile impegno di “ambasciatore”-esperto
della cucina ligure, è stato di recente ospite ad Albenga per una “cena”
dell’Accademia italiana della cucina. (vedi fotonotizia de La Stampa del 4
maggio 2008, pagina 69). Tra i presenti il popolare giornalista-gastronomo
Silvietto Torre di Borghetto S. Spirito e già in servizio all’Ufficio stampa del
ministero degli Interni, in Alto Adige.
“Trucioli Savonesi” era, invece, tra i “testimoni” del V2-day a Torino, come
documenta Il Sole-24 Ore, col titolo “Grillo: giornalisti camerieri” (vedi…..).
Pur non condividendo alcune tesi, la battaglia del comico genovese
sull’informazione in Italia è in gran parte da sottoscrivere.
Un altro aspetto, al centro degli strali dei “dileggiatori” della ricostruzione
storica di “Trucioli Savonesi” è il ruolo avuto dal Pci savonese all’epoca di
Teardo e per quanto ha scritto il giudice Michele Del Gaudio, a proposito
della posizione di alcuni esponenti del partito che…”erano diventati miei
avversari ed oppositori interni….”, come documentato in una precedente
puntata.
Ai fini storici, senza peraltro voler sposare alcuna pista accusatoria,
pubblichiamo uno delle migliaia di documenti che facevano parte della
Teardo-bis.
Aggiungiamo: chi visse da cronisti quel periodo si era sentito ripetere decine
di volte, soprattutto dai difensori di imputati, che l’inchiesta con la sola
esclusione di Pierluigi Bovio (ex sindaco, poi assolto di Borghetto S, Spirito)
non era penetrata nel santuario dei finanziamenti occulti del partito-azienda
delle (allora) Botteghe Oscure, con decine di funzionari. impiegati, di
pubblicazioni, in quella che era la spaziosa sede di via Paleocapa, a Savona.
Un tentativo (di indagare) fatto successivamente dal procuratore della
Repubblica, Renato Acquarone, ebbe quasi un effetto boomerang, come
documenteremo quando sarà la volta di ricostruire la “giustizia story” di
Savona, con atti e documenti del Consiglio Superiore della Magistratura,
udienze civili e penali, memorie difensive, davanti ai giudici di Milano e
Genova dove si sono svolti processi, vertenze e scontri senza esclusione di
colpi tra gli stessi magistrati che erano in servizio a Savona.
Agli atti della “Teardo bis” ed uno dei temi di questa puntata, un documento
che (vedi…..) ha per titolo “…Comune di Savona…pervenuto da alcuni
architetti”. Pubblichiamo le prime cinque pagine, escludendo gli allegati che
contengono nomi e cognomi, l’importo delle opere, progettisti e direzione
lavori. Tra gli allegati, aspetto curioso, tutte le assicurazioni che aveva
contratto al 30 ottobre 1989, la Asl 7/-Savona.
Si parla di finanziamenti al Pci, prima e dopo l’era Teardo. Di incarichi
professionali, progetti, piani regolatori. Insomma molto di quanto ruota attorno
ai centri di potere, decisionali e di spesa pubblica.
Nulla si è accertato, anche perché un conto sono le trasversalità politiche, i
“favori”, le consulenze ad personam, un conto è l’illecito penale e fino a prova
contraria, nessuna delle persone chiamate in causa è stato giudicato. Anzi, in
qualche caso, come per gli architetti Moras, Galliano e altri, c’era il sospetto
che, in certe circostanze, fossero finiti per mirino di forze oscure
(massoniche?). E’ quanto sosteneva, ad esempio, l’avvocato Angelo
Luciano Germano che fece condannare uno dei detrattori di Moras, un
geometra cuneese (Maurizio Quagliolo), ben introdotto a Savona nel settore
immobiliare. Altri motivi, forse, li conoscono gli interessati.
Un altro documento dello storia savonese, finito nella “Teardo-bis) ha il titolo
…“accertamenti della Guardia di Finanza-SV n.525/ u.g. del 29 ottobre 1990”.
Il dossier è finito nel “calderone” della dimenticata “Teardo-bis” (vedi…..).
Il 16 dicembre 1993, inoltre, Il Secolo XIX, ha pubblicato l’articolo “Affare da 4
miliardi”. Nell’occhiello: <Intrecci societari e fortunate operazioni immobiliari
nell’inchiesta sui conti del Pci> (vedi….).
Pagine da archivio storico, che possono caso mai aiutare – visto col senno
dei poi – a completare il mosaico degli interrogativi rimasti orfani di risposte.
Lo riproponeva, tra l’altro, con un servizio in cronaca nazionale Il Secolo XIX
dell’11 ottobre 1986, a firma di Marcello Zinola (vedi….).
Del Gaudio non era ancora diventato parlamentare della sinistra
“progressista”(Pds), non si era ancora dimesso dalla magistratura. Molti atti
della Teardo-bis, con 58 imputati e 200 mila pagine, erano sconosciuti,
segreti. Magari era una bolla di sapone, un castello accusatorio di carta,
inutili perdite di tempo per la giustizia – come sosteva qualche magistrato
dell’epoca -, al massimo vicende e fatti da prescrizione.
Chiedeva Zinola a Del Gaudio: <L’autotrasferimento dei giudici del “caso
Teardo” non ha trovato, nel savonese (fatta eccezione per una interrogazione
della sinistra indipendente, presentata alla Camera), echi particolari: né
politici, né l’associazione dei magistrati, quantomeno a livello ufficiale, ne
hanno parlato. Un segno di isolamento per lei e gli altri inquirenti dell’Ufficio
istruzione?>
Ci fu una risposta di “maniera” del giudice Del Gaudio.
La risposta vera arriverà con gli anni? Diciamo che oggi vanno di moda i
“silenzi”, meglio se tombali o le esaltazioni a suon di articoli di stampa e foto.
Esponenti pubblici e affari, meglio se a base di mattone e occupazione
“militare” di enti, di sottogoverno distribuito anche ad esponenti di una
massoneria in grande attività.
Anzi, Trucioli Savonesi ha raccontato come a trionfare sia proprio chi era
passato alla storia per vicende da “dimenticare”. Come cambiano i tempi!
Come cambiano le tribune da cui esibirsi!
Luciano Corrad
Del Gaudio e il giornalista Carlini
Teardo: <Le mie opere di bene…>
I nomi che non avete mai letto
Portare rispetto ai fatti e considerarli nel loro contesto. Con questo
obiettivo ecco la nuova puntata (24) di “Trucioli Savonesi” con sei
pagine di domande e risposte. Da una parte il giudice Del Gaudio ed il
maresciallo Travisi, dall’altra il “presidente Teardo”, con gli avvocati
Chiusano e Romanelli. Tema: il contenuto, spesso cifrato, di “pizzini”,
agende, foglietti e tanti nomi, cifre, somme, riferimenti. Da Teobaldo
Rossigno, a Nino Gaggero, da Abrate a Sangalli, da Manca a Santi, da
“don Peppino” alla conoscenza dei fratelli Scajola, da Bottino a
Vignaroli, a Magliotto, ad Allosia, ai Ghigliazza, a Lombardini….e
persino i soldi di un funerale di …
di Luciano Corrado
Savona – <Ho sempre lavorato in Regione non meno di 12 ore al giorno ed
ho trascurato tutto il resto, dalla famiglia, alla vita di società, agli svaghi, a
tutto quello che non fosse politica…e posso dire di aver fatto tanti favori, a
tutti indipendentemente dal colore politico e non ho mai chiesto contropartite
non solo in denaro, ma nemmeno in termini di voto alle elezioni>.
Sono le ore 17 del 13 dicembre 1983 quando, il brigadiere Roberto Travisi
ed il suo vice, Vincenzo Micillo, sottoscrivono davanti al giudice istruttore
Michele Del Gaudio, le sei pagine dattiloscritte del verbale di interrogatorio
dell’imputato-detenuto Alberto Teardo. Uno dei sei interrogatori, presenti i
difensori Vittorio Chiusano di Torino e Silvio Romanelli di Genova. In
precedenti puntate abbiamo già raccontato domande e risposte, accuse e
“verità”. Conferme e dinieghi. Silenzi, non ricordo, o ricostruzioni a volte
vaghe, a volte minuziose. La storia reale di cosa rappresenti un’istruttoria
penale. Proseguiamo con l’obiettivo di portare rispetto ai fatti, considerandoli
in quel contesto.
La puntata, numero 24, descrive un Teardo sempre più alle corde perché,
nel frattempo, erano state scoperte nel fienile di Spotorno, i “pizzini”,
l’“agenda rossa”, il “registro” della contabilità occulta, foglietti, appunti, sigle,
cifre. Nel verbale si parla di Teo Rossigno, Nino Gaggero, Leo Capello,
Domenico Abrate, Gianfranco Sangalli, dell’onorevole Enrico Manca, dei
fratelli Claudio e Alessandro Scajola, uno era parlamentare Dc, l’altro
sindaco Dc di Imperia, di Antonio Canepa ed Ermidio Santi. Entrambi
socialisti. Ed altre persone assai conosciute nel panorama pubblico.
Teardo: Conosco Teo Rossigno e senza dubbio l’ho segnalato in qualche
occasione, anzi, più volte, per fargli ottenere incarichi professionali presso
Enti pubblici, nel senso che facevo presente agli amministratori, che
dovevano conferire incarichi professionali, di tener conto di certi
professionisti, tra cui appunto Rossigno, ovviamente valutate le capacità…
Del Gaudio: A chi segnalava il nome, i nomi dei professionisti?
Teardo: Per Rossigno, può darsi che l’abbia segnalato a Nino Gaggero,
senza assolutamente accordarmi di ricevere un terzo dell’onorario percepito
e nel caso dell’Iacp versarlo a Lorenzo Bottino. Sicuramente non sono stato
io a dire a Rossigno e a Savio di pagare…se il Gaggero ha fatto certe
richieste, è stata una sua iniziativa, senza avermene assolutamente parlato.
Un’utile e doverosa parentesi su questo fronte. L’ingegner Nino Gaggero
(del quale pubblicheremo nelle prossime puntate interrogatori e memorie
difensive) il 5 marzo 1984 davanti al giudice Del Gaudio - alla macchina da
scrivere c’era il maresciallo dei carabinieri Luciano Lombardelli che abita in
Valbormida - difeso dall’ottimo Tito Signorile, disse a proposito del ruolo
dell’architetto Rossigno nell’inchiesta Teardo: <Con Rossigno avevo
rapporti professionali e al di fuori del lavoro, seppure superficiali.
Contrariamente a me, Rossigno conosceva bene Teardo… una sera riuscii
ad avere a cena a casa mia Teardo e la moglie, proprio grazie
all’interessamento di Rossigno che si fermò a cena. Per le case popolari di
località Calvisio, a Finale, i professionisti incaricati erano Rossigno e
Edoardo Savio. Ricordo che fui avvicinato da Rossigno, mi disse che a
causa della sua salute ed in particolare della vista, non era in grado di fare il
lavoro da solo, voleva avvalersi di….ma il nome del sindaco Bottino venne
fuori solo al momento del pagamento di onorari, fu Rossigno a farlo, ma io
non ne volli sapere perché Bottino col progetto non c’entrava; eravamo in
tre ad aver lavorato e non il Bottino….nego quanto ha dichiarato ai giudici
Rossigno in merito alla spartizione ed al versamento di somme al gruppo
Teardo….comprese le dichiarazioni di Edoardo Savio e Giovanni
Cerisola…posso solo confermare che il nome del geometra Vignaroli mi fu
fatto da Rossigno come buon disegnatore, suo allievo….nego di aver fatto
capire a Rossigno e a Savio che se non accettavano di versare…. non
avrebbero più lavorato allo Iacp che oggi mi si dice fosse l’ente più corrotto
della Provincia di Savona….>.
Riprendiamo con l’interrogatorio ad Alberto Teardo.
Del Gaudio: Chi si rivolgeva a lei per raccomandare i professionisti….
Teardo: Voglio anche precisare che ho addirittura raccomandato
professionisti legati ad altri partiti, scandalizzando i miei compagni di partito.
Aggiungo che se ho fatto favori a qualcuno, e ne ho fatti tanti, non solo non
ho chiesto contropartite in denaro, ma nemmeno in termini di voto alle
elezioni. Tanto è vero che non posseggo assolutamente schedari, che molti
politici hanno delle persone aiutate.
Del Gaudio: le sottopongo questi 4 foglietti, sequestrati il 17 novembre 1983
nella perquisizione ad Alberto Pesce di Spotorno. Il coimputato Leo Capello
ha dichiarato di essere stato lui a scriverli….
Teardo: Capello era l’amministratore provinciale del Psi per elezione
congressuale ed anche della corrente che faceva capo, a livello ligure, alla
mia persona. Capello aveva autonomia di gestione e mi consta che in alcune
occasioni abbia addirittura fatto dei prestiti al partito, molto spesso mai
restituiti. Capello era autonomo nella raccolta dei finanziamenti, ma ritengo
che non abbia mai ricevuto soldi in modo illecito. Per questo mi sorprende
molto leggere questi appunti, compreso un finanziamento di due milioni e
mezzo alla sinistra del Psi per il congresso (siamo a fine anni ’70 e
corrispondevano a non meno di una trentina di milioni di oggi ndr). Anche
perché la sinistra mi ha sempre fatto una guerra molto dura, sia in sede
locale, sia nazionale….
Del Gaudio: Cosa può dirci delle parole “Abrat” e “Sangal”, con
accanto cifre l’una il doppio dell’altra…
Teardo: La cosa mi sorprende molto perché, se è vero che Capello dava dei
soldi ad Abrate e Sangalli ed operava spartizioni che risultano dagli appunti
rammostrati ciò non mi risulta assolutamente.
Del Gaudio: Lei era dunque all’oscuro delle dazioni di denaro….
Teardo: Ero talmente preso e quasi inebriato dalla politica che non mi
occupavo assolutamente dei problemi finanziari, che lasciavo gestire
completamente a Capello, anche perché era lui l’amministratore.
Del Gaudio: Dunque Capello versava ad Abrate e Sangalli, a sua
insaputa…
Teardo: Quanto ad Abrate sapevo innanzitutto che è una persona onesta,
perbene e tale veniva considerata da tutti.So anche dei buoni rapporti con
Capello, entrambi sono albergatori a Spotorno. Mi sembra davvero strano
che figuri il suo nome in questi appunti. Non solo perché è una persona
specchiata, ma anche perché è un esponente della Democrazia Cristiana e
non del Psi.
Del Gaudio: In questo biglietto è scritto “Prestito Alber di 100”, sotto la
scritta “percentuale trattenuta Lombard”…
Teardo: E’ possibile che una persona identificata con la sigla “Lombard”
(Lombardini ndr) abbia fatto un prestito al Psi di 100 milioni che poi dovevano
essere restituiti. La parola “Alber” significa semplicemente Psi o la nostra
corrente. In federazione avevano il vizio di indicare con la parola Teardo o
anche Alberto il partito o la corrente. Aggiungo che in più occasioni Capello
ricorreva a prestiti per sostenere le spese e far fronte ai deficit.
Del Gaudio: Qui c’è la scritta “Funerale papà Mirella 700”…
Teardo: Senza dubbio si tratta delle spese per il funerale di papà di mia
moglie Mirella, anticipate da Capello con i fondi comuni e da me restituiti.
Del Gaudio: e… il nome di Amandola….
Teardo: Era funzionario del Psi e prendeva uno stipendio. Non so se
prendeva anche un altro stipendio da Capello per il partito o per la corrente.
Del Gaudio: Su questo biglietto c’è l’indicazione di “ingegnere…ore 01,
stazione di Albisola, 20 milioni…”.
Teardo: Mai avuto questa somma, era troppo alta. Altre volte avevo ricevuto
soldi da Capello destinati ai responsabili delle sedi locali del partito….non so
se le somme in questione si riferiscono al Savona Calcio e rappresentino i
69 milioni dati alla squadra nell’aprile-maggio 1981….Possono aggiungere
che molti simpatizzanti davano delle oblazioni per me personalmente e non
per il partito….
Del Gaudio: …c’è Riccardo Borgo, c’è “Angelo 1100”, “tessere Scaccia”
200…
Teardo: Posso solo parlare di Borgo in quanto è funzionario del Psi ed è
sindaco di Bergeggi. Ritengo che i soldi indicati rappresentino lo
stipendio….Cerdini penso sia il segretario provinciale della Uil…Edo
Castrovisi è una persona amica di Spotorno che fa politica. “Peppino” non
so chi sia (verrà successivamente individuato come Peppino Marcianò di
Vallecrosia e di cui abbiamo scritto ndr). Mauro Allosia era presidente della
Usl di Savona….Con Enrico Manca per un certo tempo ho avuto dei
collegamenti politici…Mauro Testa è il sindaco di Albenga.
Del Gaudio: Qui c’è la scritta “Siccard Ghigliaz”…
Teardo: Mai avuti i 58 milioni indicati…come provenienti da Gigliazza…
Sangallino dovrebbe essere il figlio di Gianfranco Sangalli a nome
Massimo. …Fiumara è uno del partito. …Badano dovrebbe essere il
sindaco di Varazze…Maiotto (cosi è scritto sul verbale ndr) potrebbe essere
Armando Magliotto, capogruppo consiliare comunista alla Regione
Liguria…ma sono sorpreso perché mai saputo che il Capello ha dato soldi o
fatto dei regali al Magliotto quale esponente del Pci….
Del Gaudio: le rimmostro questi biglietti, queste buste, foglietti, ci sono cifre
come 22.500, più 7, più 100, Rogano 5, Prov.53, gli stessi dati sono riportati
con la scritta “Alb”…
Teardo: La persona nelle sigle sono io, ma mai ricevuto o dato queste
somme. Rogano…potrebbe essere un consulente della Regione, ma mi
sembra strano, ha studio a Genova e Bologna, si interessa di Trasporti e
ferrovie.
Del Gaudio: In questo quaderno rosso, fascicolo 31, n. 19, al foglio 9 retro e
10 ci sono somme…accanto alla scritta Box Savona e Pepp..
Teardo: Non so cosa significano. …non ho mai ricevuto le somme indicate
da Capello, né ricevute da altri. Scaiol. Potrebbe essere, anzi non so chi
possa essere, io di Scajola conosco il Deputato Democristiano e suo fratello
Sindaco di Imperia con i quali ho avuto rapporti politici, mai rapporti
economici e credo nemmeno Capello…Non so chi sia “Nann” (poi si rivelerà
Nanni Patrone di Pietra Ligure, allora comproprietario di Teletrill e
interessato ad un’operazione edilizia in provincia di La Spezia e di cui
abbiamo scritto in precedenti puntate ndr)…Non so se si tratti di Antonio
Canepa, ora defunto, deputato socialista, non so se si tratti dell’ex deputato
socialista Ermidio Santi….mi sembra strano possano aver dato somme al
mio gruppo, in quanto eravamo su fronti opposti….quanto al foglio 17
potrebbe essere l’architetto Teo Rossigno….in quanto all’ingegnere…negli
appunti rammostrati…non se se sia Vittorio Orlandi….>.
Per completezza di informazione, forse è utile pubblicare due dei quattro
articoli, i più significativi pubblicati da Il Secolo XIX (vedi…) e La Stampa, il 7
dicembre 2007 (vedi….), a ricordo della scomparsa di Teo Rossigno. Ogni
lettore può trarre le sue conseguenze, riflessioni. Non è passato un secolo.
Non serve infierire, ma la storia non può essere scritta deformando,
annientando la memoria.
Il Decimonono ha arricchito il suo pezzo-ricordo con una dichiarazione,
succinta, di Angelo Vaccarezza, sindaco di Loano, coordinatore provinciale
di Forza Italia (ha preso di fatto il posto dell’avvocato Enrico Nan anche se il
predecessore era Ico Mozzoni) che il caso vuole, assieme al papà, già
consigliere comunale, ha conosciuto un capitolo della Teardo story. C’è lo
spaccato che riguarda proprio di “Teletrill”, del suo trasferimento da Ceriale
a Savona, delle società di uno dei soci, Nanni Patrone.
Ci sono altri atti, i verbali-parlanti degli interrogatori di Rossigno, compresi i
suoi rapporti a Loano con la pubblica amministrazione. Oltre ad uno stralcio
della “Teardo bis”.
Giustissimo ricordare le persone che si stimano, ma a volte un po’ di <buon
gusto, non guasta>, ragioni di opportunità, sensibilità, soprattutto quando si
rappresenta, per le istituzioni democratiche, un paese, Loano, i suoi abitanti.
Luciano Corrado
Raccontiamo (puntata n. 25) cosa accadde sulle prime pagine di giornali e tv
TEARDO QUERELA NANNI MORETTI
DA 17 ANNI E’ CALATO IL SILENZIO
Nessuno ha più scritto come finì la denuncia nei confronti di un
personaggio da sempre scomodo. Forse “Striscia la notizia”, in prima
linea a sbeffeggiare il “Nanni” nazionale, potrebbe riservarci delle
sorprese. Colpa del “portaborse” e del suo strepitoso successo, con
Silvio Orlando, Stefano Rulli (premiato con il David di Donatello),
Sandro Petraglia e la Sacher Film di Angelo Barbagallo. Dopo “La
Piovra”. E’ ora di “rinfrescare” la memoria, ai senza memoria, patologia
molto diffusa?
Renato Acquarone
Savona – Da mesi tra i “bersagli” prediletti di “Striscia la notizia”
dell’albenganese-alassino Antonio Ricci. Le natiche sono diventate il
“simbolo” di un Nanni Moretti, da sbeffeggiare, ad opera del programma
meno berlusconiano delle tre tv di “cavalier-patron” Silvio Berlusconi.
Ma guarda chi si rivede in questa puntata del “ciclone Teardo”! Quel Nanni
Moretti, proprio lui, attore e regista romano di successo, primo bersaglio,
dopo un paio di giornalisti liguri, delle querele-facili di Alberto Teardo. Reato
ipotizzato: diffamazione.
Anni di cronaca, dimenticati, sconosciuti a quanto pare perfino agli archivi
della popolare trasmissione televisiva di prima serata di canale 5. Eppure
nessuno ha mai saputo “come è andata a finire”, direbbe la brava Milena
Gabanelli .
Si trattò di una vicenda che fece (carta canta!) grande scalpore e finì su molte
prime pagine, in radio e tv.
Il Secolo XIX, con Nicola Stella, già a capo della redazione di Savona e oggi
a Genova (edizione on line), diede in anteprima la notizia e il “buco”: <E
Teardo querela Nanni Moretti>. Occhiello: <La citazione nel “Portaborse”
sgradita all’ex presidente della Regione>. (vedi articolo….).
Esordiva Stella: <Daniele Luchetti, regista de “Il Portaborse”, almeno
stavolta potrà essere contento dell’attribuzione della patria potestà del film a
Nanni Moretti. Si risparmierà una querela. Moretti è infatti il bersaglio
dell’unica causa per diffamazione (la prima, nel 1981, quando ancora era
potentissimo presidente della Regione fu riservata al direttore de Il Secolo
XIX di allora, Tommaso Giglio e al cronista di giudiziaria di Savona,
Luciano Corrado n.d.r.) intentata da Alberto Teardo….>.
Motivo della querela? Stella: <…ha ritenuto il film lesivo della propria
reputazione ed allegando, per dimostrarlo, un lungo dossier con articoli di
giornali e recensioni….Moretti è il produttore e l’attore cooprotagonista del
film, insieme a Silvio Orlando, il bravissimo interprete nella parte del
portaborse>.
E ancora, dall’articolo di Nicola Stella: <Teardo, condannato con sentenza
passata in giudicato per la tangenti story che lo portò in carcere nel 1983, è
l’unico uomo politico autentico che viene citato per nome e cognome nel
film….Nonostante la condanna a 7 anni e 10 mesi, l’ex presidente della
Regione Liguria ha probabilmente qualche appiglio legale per intentare
causa. La pratica tenuta riservata dalla Procura della Repubblica di
Savona…”Il portaborse” è stato in Italia l’evento cinematografico dell’anno…
Ancora nei giorni scorsi, al festival di Locarno, il film, proiettato davanti a
6500 persone delle nazionalità più disparate ha avuto un successo
incredibile>.
Il giorno dopo, vigilia di Ferragosto, la notizia viene ripresa sulle cronache
nazionali di tutti i quotidiani. La Stampa (14 agosto) titola: <Teardo contro “il
portaborse”>. Occhiello: <L’ex presidente della giunta ligure querela Moretti:il
suo film mi diffama>. Sommario: <Condannato per un caso di tangenti ora
vuol chiedere i danni al registra>.
Nell’articolo (vedi…) è scritto, tra l’altro: <Evidentemente, Sandro Petraglia
e Stefano Rulli, che hanno scritto il copione de “Il portaborse” (sono gli
stessi de “La Piovra”) conoscevano gli atti giudiziari della vicenda Teardo>.
Poi la frase di Teardo: <E’ diffamatorio ed ha contribuito a gettare nuovi
pesanti giudizi sul mio passato politico e sulla mia persona>. Sempre La
Stampa: <La querela è stata tenuta riservata per alcuni mesi dalla
magistratura savonese che tuttora non fornisce particolari…non si sa a
quanto ammonti la richiesta di risarcimento danni>.
Commentava Moretti su La Stampa: <Non capisco perché Alberto Teardo si
sia risentito. Il mio film non ha inteso criminalizzare una persona singola, ma
soltanto evidenziare un certo modo di far politica…>.
Stesso giorno La Repubblica titolava: <E “Il portaborse” finisce in tribunale>.
<Teardo querela Moretti> (vedi….). Nel servizio a firma di Rossella Lugli del
giornale fondato da Eugenio Scalfari c’è un passaggio interessante: <Nel
processo d’appello-bis (quattro furono infatti i gradi di giudizio, Savona,
Genova, Roma in cassazione, quindi ritorno a Genova ad altra sezione della
Corte d’appello nd.r) l’accusa, sostenuta dal sostituto procuratore generale
Aldo Ghiara e ribadita dall’avvocato Umberto Garaventa per conto della
Provincia di Savona parte civile, non lesinò bordate micidiali verso il banco
degli imputati. “Il clan Teardo – ha detto Ghiara – rappresentò un esempio
tipico di quelle “piccole mafie” che, sfruttando il potere derivante dalle cariche
pubbliche, sconvolgono la vita del nostro paese e nel loro insieme, quanto a
provocare guasti, stanno senza sforzo alla pari delle organizzazioni della
“grande mafia”>.
Sempre Rossella Lugli su Repubblica: < Ma i giudici della Corte d’appello
di Genova non si lasciarono convincere e, il 18 dicembre 1990, per la terza e
definitiva volta sentenziarono l’insussistenza dell’associazione mafiosa. Vale
a dire il “clan Teardo” deve passare alla storia “solo” con l’etichetta di
associazione per delinquere e non è consentita nessuna allusione a mafie,
cupole, piovre e via dicendo. Chissà se questo dettaglio avrà o meno peso
nella vertenza innescata dalla querela di Teardo contro Nanni Moretti…>.
Pochi giorni dopo Maricla Tagliaferri su Il Secolo XIX, da Roma, scrive:
<…Daniele Luchetti cade dalle nuvole. Non capisco la motivazione della
querela….il racconto del film si svolge nel 1989, le battute si riferiscono alla
sentenza della Cassazione che risale a quell’anno. Quindi le notizie che
diamo sono autentiche…>. <Dello stesso aviso Stefano Rulli che per la
sceneggiatura scritta insieme a Sandro Petraglia, ha ricevuto il David di
Donatello. …>. <Abbiamo usato anche altri nomi veri, di città e giornali. Quel
che riguarda Teardo è assolutamente vero. La diffamazione si ha quando si
danno notizie sbagliate. Il punto di forza del ricordo di Teardo pare sia nel
fatto che nel film viene citata con esattezza l’entità delle tangenti percepite,
19 miliardi che compare solo nell’atto di rinvio a giudizio e non
successivamente. Come facevano gli sceneggiatori a conoscerla? Rulli dice
“se e quando saremo chiamati in causa, risponderemo nelle sedi
competenti…per ora aspettiamo di capire meglio cosa vuole quel
signore….irreperibile invece Moretti chiuso nel dolore della recentissima
perdita del padre Luigi…E’ Moretti l’unico obiettivo di Teardo anche se il film
porta la firma di altre persone e la casa di produzione stessa, la Sacher Film,
fa capo ad Angelo Barbagallo.
La Gazzetta del Lunedì del 19 agosto a tutta pagina: <Bustarelle per 19
miliardi e Teardo denuncia>. <L’ex presidente della giunta regionale da
grande accusato ad accusatore>.
Il 20 agosto Il Secolo XIX, a firma di Luciano Corrado, rivela altre novità: <Il
procuratore della Repubblica vuole interrogare Teardo e Moretti prima di
trasmettere gli atti al Gip…e questo perché l’ex presidente….non si è limitato
a fare il nome di Moretti, ma ha esteso la richiesta di giustizia a quanti
hanno collaborato nella diffamazione….in altre parole il regista Luchetti, gli
autori della sceneggiatura Rulli e Petraglia, il capo della Sacher Film,
Barbagallo….>. Inoltre. <In effetti gli atti dell’inchiesta non hanno mai
attribuito a Teardo uno specifico giro d’affari di 19 miliardi. E’ semmai la
somma, si tratta esattamente di 19 miliardi 690 milioni 569 mila lire,
contabilizzata dagli inquirenti, ma nell’ambito dell’intera inchiesta che
coinvolgeva nella fase iniziale 22 imputati…>.
Il 5 novembre 1991, prima pagina del Secolo XIX, la notizia che <Moretti si
presenta questa mattina dal procuratore Michele Russo per difendersi
dall’accusa di diffamazione….dopo aver affidato la sua difesa all’avvocato
Giovanni Salvarezza di Genova che dice “Non c’è diffamazione che possa
danneggiare Teardo più di quanto abbia fatto la sentenza di condanna
passata in giudicato. E poi il giudice attribuisce a Moretti, nell’ordine di
comparizione, ruoli ed attribuzioni di altri. Moretti è soltanto attore,
coproduttore e basta!>
Mercoledì, 6 novembre 1991, La Stampa, con il cronista di giudiziaria di
Savona, Bruno Balbo, apre pagina 10 della cronaca nazionale con: <Il
portaborse non va processato>. <Nanni Moretti al giudice di Savona….>.
Sommario: <Non è mia la frase sulla tangente>. <E il magistrato gli ha dato
ragione>.
Nell’articolo viene rivelato che davanti al procuratore della Repubblica,
Michele Russo, per tre quarti d’ora Nanni Moretti ha spiegato la sua linea di
difesa che può essere cosi sintetizzata: non ho pronunciato la frase
incriminata, non mi posso essere attribuite responsabilità perché non sono il
produttore, né il distributore del film e non ho scritto dialoghi e
sceneggiatura. Balbo rimarcava: <Da parte di Moretti non una parola con i
giornalisti. Per tre volte ha respinto obiettivi e telecamere, chiudendo la porta
della sala d’aspetto dell’ufficio del procuratore Russo. Silenzio ermetico del
suo difensore Dario Bozzelli di Roma, mentre Giovanni Salvarezza di
Genova si è scusato dicendo di non poter parlare. Dovete capirci>.
Mentre è lo stesso procuratore della Repubblica a precisare subito dopo: <La
versione dei fatti fornita da Nanni Moretti mi induce a ritenere che non
doveva essere tirato in ballo per questa vicenda. Sono decisamente in
contrasto con il contenuto della querela di Teardo e i rapporti dei carabinieri.
Se le cose stanno cosi, il disappunto dell’attore per essere stato convocato a
Savona, è giustificato>.
Ieri non si è discusso del contenuto del film (il vice segretario nazionale del
Psi, Di Donato l’ha liquidato con tre parole “Mi fa vomitare”), ma di
responsabilità a seguito di querela. E il procuratore Russo ha lasciato
intendere che eventualmente potrebbero essere attribuite ad altri, non al
Moretti>.
Già, come è andata a finire quella “querela” che aveva “messo in croce
Moretti” (sbattuto in prima pagina come lo fu Teardo i giorni dell’arresto e
della condanna) e mobilitato i cronisti per quattro mesi?
Con i potenti mezzi di “Striscia la notizia” e dei suoi finora insuperabili
“cronisti”, “inviati”, qualcuno scoprirà il “finale”? Sarà, a dir poco, molto
curioso. Forse la verità potrebbe fare davvero male, anche se ormai fa parte
della storia passata di questo nostro paese di ricco di “nani”, ballerine e
maggiordomi.
Luciano Corrado
Nota: su La Repubblica del 18 maggio 2008, Maria Pia Fusco, da
Cannes, ha scritto: <…Nanni Moretti è a Cannes. Ci sono star come
Woody Allen e Penelope Cruz, Steven Spielberg e Harrison Ford, ma la
sua presenza attira comunque l’attenzione dei media e non solo
italiani…e Moretti malgrado l’iniziale ritrosia e la consueta sfiducia nei
giornalisti “che in genere riportano quello che scrivono le agenzie”, alla
fine concede la prima esternazione dopo le elezioni…”Dopo tutto quello
che ho detto e fatto su Berlusconi, dopo “Il Caimano” non so cosa dire
di più…con questa destra non credo che possa cambiare qualcosa dal
punto di vista politico, culturale, etico, istituzionale. Con un Berlusconi
che ogni volta che ha perso le elezioni ha parlato di brogli…è avvilente
che per 5 volte un candidato si è presentato con almeno tre tv dalla sua
parte, senza parlare dei legami in Rai come emerso dalla intercettazioni
telefoniche>
Puntata n. 26- La storia di Nicola Guerci che decise di collaborare
FU L’UNICO “PENTITO” A CONFESSARE
DEI 42 IMPUTATI DELLA “TEARDO 1”
Come venivano “gestiti” gli appalti e le revisioni prezzi allo Iacp
Pubblichiamo alcuni verbali di interrogatorio di Guerci che dopo
l’arresto, difeso da Antonio Di Maggio, preferì vuotare il sacco.
<Consegnai 14 milioni al presidente Borghi e me ne restituì tre e
mezzo>. E ancora, il contratto delle case popolari di via Milano, a
Savona, non recava neppure la firma dell’impresa aggiudicataria,
Filippone, che vinse a trattativa privata, ma senza averne i titoli. Io
accettavo 300 mila lire a revisione prezzi>. <Le decisioni politiche per le
scelte a Lusignano d’Albenga. Testa era sindaco, Magliotto presidente
in Regione>. I documenti “segreti” di Nino Gaggero spariti dall’armadio
chiuso a chiave
Il Maresciallo Travisi
SAVONA – E’ stato l’unico imputato, finito sotto processo, ad avere scelto il
“pentimento” e la collaborazione. Era un imputato minore. In questa nuova
puntata (26) del “ciclone Teardo” raccontiamo attraverso le pagine
dell’interrogatorio di Nicola Guerci, geometra allora in servizio allo Iacp, il
primo presente il giudice Michele Del Gaudio, assistito dal brigadiere Bruno
Morena, il secondo con Francantonio Granero e il brigadiere Gesuino Seu.
Difensore l’avvocato Antonio Di Maggio. Era il 6 e 21 marzo 1984.
Guerci: <Confermo di aver consegnato a Marcello Borghi, prima dieci
milioni, poi quattro milioni, con dazione da parte di Borghi a me, prima di tre
milioni e poi di un milione e 300 mila lire>.
Del Gaudio: Come si arrivò a questa spartizione…..?
Guerci: <Nel luglio 1981 (gli arresti sono del giugno, ’83, i primi articoli del
Secolo XIX dell’ottobre 1981 n.d.r.) qualche giorno dopo l’aggiudicazione
dell’appalto da parte del geometra Stefano Cutino di Borghetto S. Spirito o
Bissano, Marcello Borghi mi convocò nel suo ufficio di presidenza dell’Iacp
e mi disse che Cutino aveva vinto l’appalto e di vedere se si riusciva a fargli
versare una somma di denaro a titolo di tangente in quanto nel caso positivo
ci sarebbe stato qualcosa anche per me. Dal discorso del Borghi…ho capito
che lui avrebbe dato una mano al Cutino ed anch’io gliela avrei dovuta dare
nell’accelerare gli stati di avanzamento lavori. Io non conoscevo Cutino e
stavo pensando come avvicinarlo per fargli il discorso del Borghi.
Qualche giorno dopo venne nel mio ufficio il geometra Lorenzo Tortarolo
per le sue questioni. Alla fine pensai di parlargli del Cutino e gli chiesi di
contattarlo lui. Gli chiesi che avrebbe potuto dire a Cutino che se dava una
somma di denaro, avrebbe potuto farsi un ambiente amico all’Iacp, in
particolare dargli una mano per la questione del direttore dei lavori, di cui
Cutino si lamentava.
Tortarolo parlò con Cutino e verso la fine di agosto quest’ultimo si presentò
nel mio ufficio con dieci milioni in banconote da 100 mila lire. Circa 10 giorni
dopo consegnai il denaro al Borghi che mi diede 3 milioni e mi chiese come
era andata….>
Del Gaudio: cosa può ancora dirci del comportamento di Borghi come
presidente……
Guerci: <….sapevo, ancora prima della storia di Cutino, che Borghi
prendeva le tangenti per gli appalti dell’Iacp, anche se non avevo dati certi.
Sia perché vedevo che le imprese che si diceva che pagavano le tangenti,
avevano un ambiente amico. Sia perché avevo capito che l’appalto vinto dal
Cutino, doveva essere aggiudicato a Tortarolo che quel giorno li vinse tutti,
con l’eccezione, appunto.
Granero: ha idea di chi possa aver fatto sparire le schede segrete dell’Iacp in
merito agli appalti aggiudicati all’epoca della presidente dell’architetto Nino
Gaggero?
Guerci: <No, e poi l’ufficio non era munito di cassaforte ed i documenti più
importanti venivano conservati in un armadio metallico, tipo Olivetti, le cui
chiavi erano detenute dall’ex direttore Lugli, successivamente da Mauro
Testa e dalla signora Govoni. Anzi, ritengo che dopo le dimissioni del Lugli,
l’armadio sia stato messo a disposizione della Govoni perché era lei che
doveva avere a disposizione i documenti per fare i verbali>.
Granero: Non ricorda altro sulla sorte dell’armadio…
Guerci: <Ora ricordo meglio, l’armadio fu forzato da qualcuno e da allora si
decise di comprare la cassaforte. Non so chi lo forzò e se si fece denuncia.
Non so, dunque, quali documenti sparirono>.
Granero: ..e sul fronte della Regione…..
Guerci: <…forse parte dei documenti è stata anche trasmessa in Regione, a
seguito di specifica richiesta. Era l’Ufficio dei lavori pubblici, ora per l’edilizia
residenziale e sociale, situato in via Brigate Partigiane 2. Erano stati richiesti
tutti gli appalti del dicembre 1974 e 1975>.
Granero: cosa può dirci degli appalti dell’impresa Pessina…
Guerci: <Circolavano chiacchere all’Iacp, ma io non ho ricevuto tangenti, né
avuto confidenze dirette. A nessuna di queste imprese ho fatto favori, né
sulla qualità del lavoro, né sulle perizie, né sulla revisione prezzi.
E’ vero che nei nostri uffici si parlò di un subappalto illegittimo da parte
dell’impresa Beretta, per lavori aggiudicati, per Albissola, all’Alce di Antonio
Mirgovi e Rolando Ambrogi. Gli accertamenti su questi subappalti furono
curati direttamente dalla presidenza. Alla fine si disse che tutto era a posto e
Beretta aveva semplicemente fornito mano d’opera>.
Granero: …e l’appalto di via Milano, a Savona…..
Guerci: <Ricevo lettura della relazione del 10 dicembre 1983….della
questura di Savona e allegato rapporto del 4 gennaio 1984 a firma del
commissario di P.S. Mario Lucidi. Prendo atto che dalla relazione risulta
che la giunta regionale non avrebbe rilasciato il benestare a trattativa
privata….prendo atto che l’impresa Filippone di Ceriale si è aggiudicata
l’appalto a trattativa privata per un importo di 970 milioni….dunque ammetto
che l’impresa si è aggiudicata senza averne titolo l’appalto in questione e per
difetto anche di iscrizione all’albo delle imprese>.
Granero: eppure alcuni lavori esclusi, risultano inseriti subito dopo…
Guerci: <…il capitolato d’appalto faceva schifo, ma ciò non significa che si
fecero manovre illecite per favorire Filippone a scapito di altri…
Granero: ci parli dei rapporti con Filippone….
Guerci: <Non erano rapporti diversi da quelli d’ufficio. Io incontravo
Filippone almeno una volta in settimana, inoltre i lavori di via Milano, a
Savona, furono causa di un contenzioso continuo con l’impresa, con gli
inquilini, la direzione lavori. Da qui i contatti continui con
l’impresario….prendo atto e lettura che anche il secondo lotto dei lavori fu
affidato a trattativa privata e che l’impresa non sottoscrisse neppure il
secondo contratto>.
Granero: un ente pubblico, l’Iacp, affidava appalti senza neppure
preoccuparsi che fossero sottoscritti….è gravissimo…
Guerci: <Io sapevo bene che il contratto di via Milano non esisteva, cosi
come era accaduto spesso in altri casi. Continuavo a sollecitare il dottor
Mauro Testa ed il presidente, insieme alla signora Govoni, ma le risposte
erano sempre evasive e tranquillizzanti>.
Granero: ci parli dell’intervento dell’Iacp a Lusignano d’Albenga…
Guerci: <Era un appalto per le case dei braccianti agricoli, il finanziamento
riguardava la costruzione di tipo agricolo e cioè si sarebbero dovuto costruire
quelle casette unifamiliari e bifamigliari o a schiera, ma sempre con
determinate caratteristiche per braccianti agricoli, con relativi accessori, tipo
magazzino, conigliera… Risultò invece che tutti i destinatari superavano il
limite di reddito per aver diritto all’assegnazione e cosi in sede politica si
decise di costruire un edificio tradizionale….>.
Granero: Con chi teneva i contatti in sede politica….
Guerci: <Con il sindaco di Albenga, dottor Testa e mi incontrai anche con un
funzionario, il dottor Bogliolo. All’epoca Presidente della giunta regionale mi
pare fosse Armando Magliotto. Comunque, a mio avviso, l’operazione si
concluse nella correttezza, seppure con una serie di correzioni….>.
Granero: ci spieghi il meccanismo della revisione prezzi, almeno quelli che
lei ha seguito personalmente…
Guerci: <Non mi ricordo quante revisioni siano state fatte a favore di
Filippone (le polizze assicurative erano curate da un’agenzia di Albenga di
cui erano soci Mauro Testa e Euro Bruno, di cui abbiamo già scritto in
precedenti puntate n.d.r.), ammetto di aver calcolato io stesso una o più
revisioni a favore del Filippone riscuotendo dallo stesso, per ognuna, il
compenso di 300 mila lire. Analogo compenso l’ho ricevuto anche per una o
due revisioni per conto dell’impresa Pessina>.
Luciano Corrado
Il giudizio politico sull’allora presidente della Provincia di Savona
E TEARDO DISSE…. < ABBASSO GARASSINI>
L’intervista fu rilasciata nove anni fa, ma è ricca di realtà e messaggi
Con la puntata (27) ricostruiamo la storia contenuta in una pagina che
l’Arcobaleno – settimanale della Riviera Ligure riservò all’ex presidente
della Regione. A proposito, come è finita la richiesta danni della
Provincia davanti alla Corte dei Conti? Chi è andato ad occupare quei
posti di potere di cui parlava un “dotto” ex presidente della Regione
Liguria? Perché il democristiano Garassini finì nel mirino di Teardo?
Trucioli riporta alla luce documenti dimenticati, ma oggi tornati
d’attualità. Del tipo dove è finito il “tesoretto”. Inoltre, l'inedita sorte di
un'intervista all'ex leader "maximo" del Psi savonese che non è mai
stata pubblicata sul Secolo XIX.
di Luciano Corrado
Savona – Un’altra intervista “storica” ad Alberto Teardo, dopo
quelle pubblicate in precedenti puntate. E’ tra gli “ultimi pensieri” pubblici che
si conoscono, in quanto a divulgazione, dell’ex presidente della Regione
Liguria. A Franco Manzitti, ex inviato de Il Secolo XIX, oggi capo dell’edizione
ligure di Repubblica (con l’inserto Il Lavoro), il 24 novembre 1987, Teardo
aveva annunciato: <Con la politica ho chiuso> (vedi….). Ma ecco un altro
“verbo” di Teardo che risale a nove anni fa, ad opera del savonese Daniele
Vivaldo, sulle pagine del settimanale “Arcobaleno”.
In realtà, Teardo, essendo perpetuamente interdetto dai pubblici uffici, dopo
la condanna definitiva, non può occupare cariche con responsabilità
istituzionale. Né in enti pubblici. Tuttavia ha continuato a navigare, grazie ad
un amico, da un piccolo ufficio nell’ambito del porto di Savona.
Possiamo anche ricordare, per la prima volta, che AAlberto Teardo aveva
reso noto al suo “entourage” di aver concesso (non molto tempo fa)
un’intervista al giornalista Bruno Lugaro quando prestava servizio alla
redazione del Secolo XIX di Savona, ma di aver appreso che la direzione del
giornale l’aveva bloccata (l’intervista), in quanto “troppo piatta”./i> Forse
sarebbe stato davvero arduo ipotizzare domande e risposte all’attacco, col
suo consenso.
DDel tipo: può, signor Teardo, finalmente rivelarci, visto che tutto è ormai
prescritto, dove e come ha nascosto il suo “tesoretto” che i giudici non sono
riusciti a trovare (l’unico suo conto corrente, sequestrato, era di un paio di
milioni)? Puo’, finalmente, rendere noto chi erano <quei compagni del Pci che
nonostante….sono riusciti a farla franca…a restare fuori da approfondite
indagini>. E ancora <i>chi erano quei big politici del suo partito, a Roma, che
ricevettero soldi e lei non volle mai tradire?>. Infine: <Con quanti segreti, mai
svelati, o riservati a pochissimi, rimasti fuori dalle carte processuali, un
domani, speriamo lontano, si accinge a lasciare, come i comuni mortali, la
vita terrena?>.
Infine: è una bufala, la confidenza dell’ex questore-piduista infiltrato (cosi si
definì), Arrigo Molinari, che al cronista confidò di rapporti con emissari dei
servizi segreti israeliani, venuti a Savona (l’indiscrezione fu pubblicata, a suo
tempo, da Bruno Balbo su La Stampa). E che, lo stesso cronista (non
Balbo), allertato da Molinari, con una visita in redazione, non si presentò ad
un appuntamento, sempre con gli stessi emissari, che gli sarebbe potuto
costare la vita?
Torniamo all’intervista a Teardo, tema della puntata (n.27), sempre da
iscrivere al nostro obiettivo: documentare una fase storica della vita ligure e
savonese senza prosopopea. Raccontare i “fatti”.
E’ stato Daniele Vivaldo (sulle pagine di Internet lo troviamo oggi nell’elenco
dei giornalisti sportivi e come documenta “Trucioli” autore di un servizio per
L’Eco- Il giornale di Savona e provincia, sull’Expo 2006).
Vivaldo su un’intera pagina dell’ “Arcobaleno” – settimanale della
Riviera Ligure (riporta la testatina), fece un’intervista esclusiva al signor
Teardo, cittadino comune (vedi….), in cui l’obiettivo principale da
“colpire” era l’allora presidente della Provincia, avvocato Alessandro
Garassini, figlio dell’ex sindaco di Loano (tra i più amati), maestro Elio
Garassini, una famiglia di democristiani da sempre, originaria di
Toirano. La sorella Elisabetta, pure avvocato, è consigliere comunale di
opposizione e sconfitta a candidato sindaco da Angelo Vaccarezza
(capo partito di Forza Italia nell’intera provincia).
Teardo era stato invitato a rispondere ad una serie di dure prese di
posizione di Alessandro Garassini contro il “rifiorire del teardismo a
Savona e non solo”. Eravamo all’aprile del 1999.
Il titolo-risposta, rivolto a Garassini, con parole di Teardo: <E’ politicamente
immaturo e sprovveduto>. <Lo afferma Alberto Teardo rispondendo alle
accuse mosse dall’attuale presidente della Provincia>.
I fatti documentano che Garassini (ricostruiremo la sua storia politicoamministrativa attraverso “carta canta”, ovvero gli articoli delle edizioni dei
giornali locali e dell’editoria locale) ha perso in politica, è finito in disgrazia per
una serie di cause e concause, ma con un filone comune come i fatti obiettivi
descriveranno. Avrà fatto errori – questo è un giudizio – ma ben altra sorte ha
avuto, invece, chi aveva scelto altre strade, più vicine a quel mondo degli
affari e degli interessi trasversali che gravitava e gravita tuttora nella realtà
politico-amministrativa savonese e di una buona fetta della nostra Liguria.
Ed eccovi, se volete, una lezione dello “stile Teardo”, nell’attaccare o nel
rispondere a chi lo avversava pubblicamente, senza nascondersi dietro il
“ditino” o nell’anonimato.
Teardo: <Il presidente della Provincia Garassini, tra l’altro, si è rivelato
persona tutt’altro che incline al buon gusto e tanto meno alla
correttezza politica….uno che ricorre all’espediente della denigrazione e
aggressione …non aveva alcun motivo di chiamarmi in causa anche
perché non lo conosco, non ho mai avuto alcun rapporto, né sono un
suo antagonista politico o elettorale….il livello della cultura politica e la
qualità di non pochi candidati alle elezioni… aspiranti ad occupare
posizioni di privilegio e potere politico, espressi da quei settori della
partitocrazia locale, arrogante e becera, quanto inetta e priva di idee….,
si comprende il tentativo di inquinare il corretto svolgimento del
confronto elettorale con l’introduzione di argomenti fuorvianti, impropri
e moralmente censurabili…>.
Parole di fuoco, in parte di un uomo coraggioso, se non fosse che non fa
nomi e cognomi, non indica quali siano le “posizioni di potere e di privilegio”
(chi le occupava e chi le occupa oggi?) Non dice se considera quelle che lui
definisce “figuracce di Garassini”, l’allusione all’onesta di pubblico
amministratore. Fa per caso parte, secondo Teardo, della politica del
“mangia, mangia” (leggi corruzione) che, non molto tempo fa, lo stesso
Garassini ha denunciato con estrema chiarezza (pur senza fare nomi) dalle
colonne de Il Secolo XIX, nella pagina “opinioni&commenti” e di Trucioli
Savonesi? Garassini, secondo Teardo, è un “miracolato”, alla stregua di
altri politici-amministratori pubblici o di enti che contano e danno il vero
potere?
I giudizi, almeno storici, lasciamoli alla “documentazione”, all’archivio.
E si perché il giornalista Vivaldo, pur senza essere troppo irriverente e
magari non necessariamente documentato, una domanda scomoda l’ha fatta.
Chiede: <Signor Teardo, tra i rilievi che le muove Garassini vi è anche il
fatto dei soldi che deve alla Provincia…>.
Si tratta dei danni che risalgono all’epoca dello scandalo; tra l’altro la
Provincia di Savona, con l’allora difensore Umberto Garaventa, fu la sola a
rimanere in giudizio, come parte civile, anche nel quarto processo che si
svolse ad una nuova sezione della Corte d’appello di Genova, in quanto
restava in ballo, dopo la pronuncia della Cassazione, con rinvio, il 415 bis,
cioè l’accusa banda mafiosa (caduta in tutti i tre gradi di giudizio).
Gli imputati furono scagionati, grazie ad una serie di circostanze
contraddittorie, spiegate assai bene da Michele Del Gaudio in un suo libro,
dimenticato (nel caso specifico) da un mondo dell’informazione in gran parte
senza memoria storica, distratto e meglio se ossequioso.
Teardo rispose a proposito di quei soldi…: <Per chi conosce i fatti e le
vicende giudiziarie che mi hanno coinvolto, e sulle quali mi auguro che prima
o poi si faccia piena luce, …..sarebbe stato doveroso precisare da parte di
Garassini le vicende che l’hanno determinata>.
Quali siano, Teardo non lo spiega, né l’intervistatore lo chiarisce.
Riprende Teardo con un giudizio tranciante: <Correttezza e buon gusto
avrebbero dovuto, infatti, consigliare di stendere un velo di silenzio su una
decisione, a dir poco stupefacente, emessa dalla Corte dei Conti, con la
quale ha inteso coinvolgermi nel pagamento dei danni su illeciti, notoriamente
mai commessi, e per i quali il sottoscritto è del tutto estraneo…>.
Per la cronaca i coimputati principali degli episodi-reato di cui la Provincia
aveva chiesto il risarcimento danni materiali e morali, spese, interessi legali,
erano il presidente Domenico Abrate e il vice-assessore, Gianfranco
Sangalli. Teardo, dunque, su chi scaricava le responsabilità visto che <io
sono del tutto estraneo>?
E non sappiamo se, nel proseguo dell’intervista, quando Alberto Teardo
parla del <modello di crescita dei settori partanti dell’economia savonese, con
l’inserimento di nuove energie e di una classe dirigente capace di
programmare, sostenere e gestire il processo di rinnovamento, in grado di
assicurare più alti qualità di vita ai savonesi, con traguardi di prosperità per le
popolazioni>, intendesse la “classe” che comanda alla Camera di Commercio
(Grasso-Scajola), all’ente Porto (Canavese e soci), all’Acts (Marson-Piazza
del Gesù), alle Opere sociali (Ramello-Cooperarci), soprattutto alla Carisa
(Bartolini-Scajola), alla Carige (Berneschi-Scajola) I due forzieri del
credito che come lo stesso Bartolini ha ammesso, hanno finanziato e sono
orgogliosi di finanziare tutte le maggiori operazioni di edilizia privata di
Savona e Provincia. Crescent (ex Italsider) compreso
E solo Iddio sa i guasti (come accade nella rapalizzazzione degli anni
sessanta) che uniti ad una scellerata politica del territorio e dell’unico
patrimonio (la natura), provocano e provocheranno. A partire dal turismo che
non potrà mai convivere con “cemento selvaggio”, il caos da sovraffollamento
e la “strage di alberghi” condannati dagli altissimi guadagni (immorali e
anticristiani) della speculazione immobiliare.
Intanto si continua a sbandierare la prossima apertura (avviene da una
decina d’anni) di nuovi alberghi. A ieri sono già 64-67 quelli annunciati su Il
Secolo XIX e La Stampa, tra Andora e Varazze, ma l’unica nuova costruzione
alberghiera è operante a Savona, nel porto, grazie all’imprenditore Orsero e
all’ente porto, con la gestione - e questo è la prima volta che accade nella
storia alberghiera di Savona – di una multinazionale spagnola. Che non ha
comprato l’immobile, l’ha preso in affitto ed è già qualcosa.
Per il resto “solo” chiacchere, in attesa che apra, seppure con tre anni di
ritardo e rinvii il Grand Hotel di Alassio, ristrutturato dopo 40 anni di attesa e
l’impegno del sindaco Marco Melgrati. Le tappe e storia del Grand Hotel,
con un documento inedito dell’avvocato Granata che fu assessore (chi prese
una provvigione?) diventerà un’altra delle avventure di questa provincia, da
documentare, a puntate. Come l’aeroporto di Villanova d’Albenga. Con
centinaia di articoli, molti opera di sfacciata “disinformazione” e conflitti di
interesse. Per merito di chi? Scanso ad equivoci, Teardo non c’entra. C’è un
altro “giro”, di walzer, di promesse disattese. Di rilancio rinviato. Di soldi
pubblici ingoiati.
Luciano Corrado
ESCLUSIVA- Intervista (senza rete) a Michele Del Gaudio, ex giudice
VENTI DOMANDE E RISPOSTE
AD UN “TESTIMONE ECCELLENTE”
L’ultima pagina, mai scritta, della lunga stagione del teardismo
Perché la “Teardo bis” si concluse con un fallimento? Si indagò
davvero a fondo sui rapporti Pci-mondo degli affari, degli appalti, degli
incarichi professionali? Perché i filoni nazionali dell’inchiesta (Craxi-De
Michelis) si arenarono? E cosa può dire della “pista IacorossiAndreotti”, mai resa nota? Ci furono pure arresti che il “giudice
ragazzino” oggi, col senno del poi, non firmerebbe? Come ha vissuto,
dal suo osservatorio, l’evolversi della giustizia, della legalità, in
provincia di Savona? Chi è rimasto tra gli amici veri?
di Luciano Corrado
SAVONA – Trucioli Savonesi ha incontrato, a Savona, Michele Del Gaudio,
l’ex giudice titolare dell’inchiesta più clamorosa e discussa della storia
savonese.
A quando risale la sua ultima visita “pubblica” a Savona?
Del Gaudio – Lo scorso anno, nel mese di maggio. Ero invitato ad un
dibattito-conferenza all’Istituto d’arte. Il tema riguardava la stagione delle
“Bombe di Savona”. In quell’occasione c’era l’assessore provinciale Carla
Siri. Ho rivisto con piacere il giornalista Marcello Zinola ed altri carissimi
amici come Vladimiro Noberasco, Bruno Marengo, Davide Pesce,
Marinella ed Emanuele Varaldo, Franco Astengo, l’ex collega Giovanni
Zerilli tra i migliori amici e tra le persone che mi sono state più vicine nei
momenti difficili. Non posso non citare Gennaro Avolio, Giuseppe Iovino e
Marisa Petrella, vedova del compianto collega Tonino Petrella.
Non vedo da 6-7 anni Francantonio Granero, ma è colpa mia. Per un
periodo mi sono chiuso in…poi i libri, gli impegni scolastici, editoriali. Spero di
rivederlo proprio in questi giorni, non voglio più trascurare gli amici veri…
Lei è stato un “personaggio” pubblico, possiamo aprire un piccolo
varco nella sua vita privata?
Del Gaudio – Nessun segreto, volentieri. Qui a Savona vive la mia prima
moglie, Luciana, che è rimasta, direi, la migliore amica. Dopo ho conosciuto
quella che è diventata mia moglie, Maria con la quale stiamo crescendo un
figlio meraviglioso, Luca di 11 anni e mezzo. Luciana e Maria si conoscono
e si stimano. Vivo con Maria a Torre Annunziata; dedico tre giorni in
settimana alla scuola…tre giorni al sociale…
Luciana si è risposata con Vittorio Frascherelli, giudice stimatissimo.
Dottor Del Gaudio, cosa non rifarebbe da giudice “ragazzino”, titolare
dell’inchiesta su Teardo e C, che ha precorso la grande stagione di
“mani pulite”, quella che scosse il savonese, la Liguria e l’Italia, con
molti arresti “eccellenti”?
Col senno del poi avrei arrestato qualche persona in meno. Ricordo però che
all’epoca non c’era la “cultura diffusa” degli arresti domiciliari, di tutte quelle
garanzie propagatesi negli anni…Direi che la scelta era tra il carcere o
restare in libertà. Ed il contesto su cui indagavamo faceva emergere fatti da
grave allarme sociale…si pensi agli attentati ai cantieri di aziende che
pagavano tangenti.
Possiamo azzardare un nome, Paolo Caviglia, ex deputato, ex
presidente della Camera di Commercio, oggi vice sindaco di Savona,
visto l’esito finale, assolto, con un piccolo dubbio per un reato minore..,
era proprio necessario sbatterlo in carcere (prima in Sardegna, in un
penitenziario di massima sicurezza, poi a Sanremo), con esperienze
umane che lasciano davvero il segno ?…
Per rispetto di chi, con me, firmò quei provvedimenti, cioé il Pm. Giuseppe
Stipo e il capo ufficio Granero, preferirei non rispondere.
E l’accusa, non confermata, dell’associazione mafiosa a carico dei
maggiori imputati?
Su questo punto non ho dubbi, incertezze. L’associazione mafiosa c’era tutta,
proprio tutta. Accadde che la procura generale di Genova non fece appello e
su questo capitolo, assai delicato, rimando a quanto ho scritto in un mio libro.
Ricordo che tutto si giocò su “intimidazione” ed “omertà”. LaCorte di
Cassazione concluse che sussista l’omertà, non l’intimidazione. La nuova
sezione della Corte d’appello sentenziò che esisteva l’intimidazione…La
motivazione della Suprema Corte di Cassazione
che sancì una serie di condanne definitive la scrisse Alfredo Carlo Moro,
fratello dello statista Aldo Moro, ucciso dalle brigate rosse…
Ha più avuto occasione di incontrarlo? Di parlargli?
Ho avuto la fortuna e la possibilità di avvicinarlo subito dopo la lettura
della sentenza. Il Secolo XIX mi aveva inviato a Roma, a seguire il
processo. Non l’ho mai scritto per rispetto e non solo…Il giudice Moro,
mentre a tarda sera si allontanava dal “palazzaccio”, ad una mia
domanda rispose che il maxi fascicolo processuale l’aveva ricevuto
solo pochi giorni prima del dibattimento e quando gli confidai che
alcuni legali savonesi, in via riservata, era stati “allertati” di
un’assoluzione, rispose “non mi stupisco”. Poi si seppe che in camera
di consiglio lo “scontro” fu aspro. Il presidente del collegio fu l’ago
della bilancia. Seppi anche che il giudice relatore Moro…
Alfredo Carlo Moro non l’ho incontrato, apprendo per la prima volta questi
particolari. Non mi stupisco…
In quegli anni, la prima emergenza di Savona era la diffusa corruzione
nell’amministrazione pubblica, una tangentopoli micidiale soprattutto
tra pubblici ufficiali eletti dai cittadini…il malaffare aveva preso il
sopravvento in diversi strati della politica per arricchimento personale.
Miliardi. Ci volle uno sconosciuto Renzo Bailini che non era certo un
Mario Chiesa di Milano… per far esplodere la pentola, il grande
bubbone. Possiamo sapere se ha avuto, diciamo “echi”, di quale sia
oggi lo stato di salute della politica savonese? Di certi contesti negli
affari immobiliari? Ha letto cosa sta accadendo a Genova, seppure
siano quisquiglie da mini-mazzette, da nani della politica? Ad
interpretare alcune vicende savonesi, certe scelte, i burattini, i direttori
d’orchestra. Ecco, “a volte ritornano”…
Non entro nel merito, non dispongo di elementi conoscitivi. Diciamo che il
virus di Savona è il forte individualismo che porta a privilegiare l’interesse
individuale, di gruppo ristretto e di affari, trasferito nella politica, con le
immancabili eccezioni ovviamente. Forse si è ricostituita, come allora, una
ragnatela che la fa un po’ da padrona. Si antepone i propri affari alla
solidarietà, ad esempio, a quelli che dovrebbero essere i superiori interessi
collettivi. E su quest’ultimo aspetto la malattia è molto diffusa in Italia.
La cosiddetta Teardo-bis, con decine di imputati, finita in una “bolla di
sapone” per dirla in linguaggio popolare.., Che idea si è fatto? Era
veramente “aria fritta”, con reati in via di prescrizione…Può finalmente
rivelarci quali erano le piste indiziarie che portavano a Craxi, De
Michelis, ma anche Andreotti di cui non si è mai parlato?
Spero di non essere frainteso. Qui possiamo solo parlare di attività indiziaria.
C’erano sicuramente elementi e mi pare di averlo scritto, per seguire le
“piste” di Craxi e De Michelis. Il sodale, l’anello di congiunzione era Mach di
Palmstein, negli anni latitante come lo fu lo stesso Craxi… Bisognava,
naturalmente, scavare, approfondire. Ripeto, era un problema indiziario. Per
Giulio Andreotti, e forse ne parlo per la prima volta…esisteva il filone della
Iacorossi (gestione calore di edifici pubblici). Fonti riservate, dunque
meritevoli di essere verificate, indicavano la pista Andreotti. Mi spiego,
l’azienda era sponsorizzata…Quelli erano i filoni nazionali che lasciammo in
eredità ai successori.
A livello locale, savonese, c’era l’ira di Teardo e di alcuni amici, perché
il Pci restò escluso, con la sola eccezione del sindaco di Borghetto S.
Spirito, Pierluigi Bovio, arrestato e poi assolto con formula piena,
neppure l’insufficienza di prove…
C’era materiale, per approfondire all’epoca, elementi indiziari per la
partecipazione di uomini del Pci in alcune vicende. Ricordo, ad esempio,
Antonio Mirgovi. Ci furono degli avvisi di garanzia. Lavoravamo, con
l’esordio della Teardo-bis, sugli anelli di congiunzione tra politica ed affari
anche nel Pci. Era solo un’ipotesi e non fummo certamente né io, né
Granero a rinunciare.
Chi rinunciò, allora…?
Lo ripeto per quanti non seguirono quelle vicende. Io e Granero lasciammo
Savona in segno di protesta…. Fummo lasciati quasi soli ed era facile
intuirne le ragioni…Ricordo, con rammarico, che il giovane collega Emilio
Gatti prese assai male quel nostro abbandono. Sul piano umano posso
capirlo. Confermo, invece, che sono rimasto deluso dal collega Maurizio
Picozzi. Ricordo che, con Granero, ci eravamo recati, mi pare a Chiavari,
dove prestava servizio, per esortarlo a trasferirsi a Savona. Disse di no, poi
cambiò tutto. Ci ripensò. Non sono mai riuscito a spiegarmi…Non sappiamo
se sul piano giudiziario la Teardo-bis avrebbe dato altri risultati, occorreva
dedicarci tempo ed energie, non so francamente cosa sia stato fatto in
questo senso. Parto, comunque, dalla perfetta buona fede di Picozzi ed
Emilio Gatti. Anche se resto del parere che un’attività investigativa
approfondita andava fatta. Ripeto, i filoni nazionali portavano a Craxi-De
Michelis-Andreotti.
Lasciata Savona, quali echi ha avuto negli anni sullo stato di “salute”
del palazzo di giustizia…sono accadute tante cose, in fretta
dimenticate…Oggi c’è molta attesa, speranza, per il ritorno di Granero.
Rimasi molto turbato, sotto il profilo umano, dallo scontro PicozziAcquarone. Per me quest’ultimo era un maestro…Sono sincero, non ho
nemmeno capito bene l’origine vera…si è arrivati a perquisizioni quasi
reciproche. Due persone perbene…Posso dire che spero nella conferma
della notizia del ritorno a Savona di Granero?
E i suoi rapporti, da ex parlamentare, con quello che fu il gruppo
dirigente del Pci savonese…?
Direi ottimi, sia livello nazionale, sia provinciale. Ricordo, con stima Carlo
Giacobbe, Sergio Tartarolo, Maura Camoirano. Non ho avuto occasione di
conoscere Claudio Burlando, Carlo Ruggeri, Massimo Zunino…
E gli avvocati che più ha stimato?
Ricordo l’ottimo rapporto con Renzo Ratti, Tito Signorile, Giuseppe
Aglietto. Antonio Di Maggio era il più “collaborativo”…Ricordo il compianto
Vittorio Chiusano che tornai ad incontrare quando ero in Corte d’appello a
Salerno. Mi venne incontro, abbracciandomi. Era stato uno dei difensori di
Teardo. Mi rivolse parole che non si dimenticano, fui felice ed onorato…
In genere con i legali del processo c’era un rapporto di correttezza, con
qualche rara eccezione.
E con i sindacati savonesi…?
In riferimento alla mia attività parlamentare, ovviamente. Nella prima fase
ricordo che furono piuttosto tesi. Lo spiego, da giudice del lavoro avevo avuto
esperienze in cui il sindacato parteggiava oltre ogni limite ragionevole per
troppe persone che avrebbero dovuto essere espulse prima di tutto proprio
dal sindacato.
Un passo indietro, da cronisti si ebbe notizia che, all’epoca degli arresti
di Teardo, ci furono tensioni con la Procura generale di Genova. E non
solo per Teardo, ma anche nella vicenda del pittore Mario Berrino di
Alassio che lei ha seguito…
Spero che Granero non me ne voglia, se ammetto che mi recai dall’allora
procuratore generale Boselli (non mi sembra corretto coinvolgere ora altri
colleghi) per informarlo degli arresti e lui chiese di essere sempre informato
preventivamente. Cosa che, tuttavia, io non feci.
Per Berrino non so nulla, se non per sentito dire. Le mie conclusioni, nella
vicenda che lo riguardava, lo adirarono, ma feci con grande scrupolo il mio
dovere, a prescindere da…e proseguendo l’ottimo lavoro di Vincenzo Ferro.
Come vive un ex magistrato a Napoli e dintorni? La giustizia esiste,
funziona..?
Malissimo, a livello sociale vivo da depresso, a livello individuale sono felice.
Sulla giustizia bisogna distinguere. La Procura antimafia con l’amico Franco
Roberti è eccezionale, lavorano moltissimo e bene. I problemi della giustizia
napoletana, secondo la mia visuale, sono a monte. Vedo insomma una
magistratura superiore, non intesa come casta, ad altri gangli dello stato,
delle istituzioni. Conosco i colleghi dell’antimafia che operano a Santa Maria
Capua Vetere, anch’essi persone di valore, animati da grande impegno.
Dove vorrebbe vivere, qual è la sua città ideale?
Non ho dubbi, Savona. Qui ho trovato e trovo molti valori, stimoli veri. Ad
iniziare dalla cultura.
I blog Uomini Liberi e Trucioli Savonesi hanno portato alla ribalta, di
recente, il risalto che i due più diffusi quotidiani locali, assegnavano da
mesi all’assessore comunale di Savona, del Pd, Luca Martino. Il Secolo
XIX, in piena campagna elettorale, ha pubblicato sulla prima pagina di
Savona la foto “solitaria” di Luca Martino mentre presentava il ministro
Giovanna Melandri, a palazzo Sisto. Come spiega, dalla sua visuale,
quelle scelte martellanti, per un compagno di partito che lo aggredì, gli
semidistrusse l’ufficio perché lei non fece nulla, pare, per evitargli la
“naia”? Lei lo denunciò...Seguì una dichiarazione di scuse.
Oggi appare come uno schiaffo, a chi? Un messaggio? Oppure è
questione di buon senso, buon gusto, opportunità?
Non discuto il ruolo dei giornali, dico che da parlamentare savonese il punto
di svolta, per quanto mi riguardò, fu proprio quella triste vicenda. Fui
rimproverato dai potentati locali del partito; non avrei dovuto arrivare alla
denuncia penale verso i Martino, padre e figlio. Avrei dovuto affrontare il
caso il “sede politica” e non giudiziaria. Ho letto, l’articolo di Uomini Liberi
sull’assessore Luca Martino, ma si è taciuta la condanna-patteggiata ad un
anno e qualche mese di reclusione"per calunnia" . Patteggiamento non
significa assoluzione, ma riconoscimento…
Nel Comune di Savona c’era anche il precedente di quell’assessore alla
polizia urbana, si proprio alla polizia urbana, finito in arresto dopo un
esproprio “proletario” a Loano, con percosse al maresciallo dei
carabinieri Giuseppe Pantè. Chi lo volle proprio in quel ruolo?
Promosso…
Di quella vicenda non so nulla, non ero più a Savona.
Sono le 18, le sedie della saletta della libreria Ubik sono già tutte occupate
per la presentazione del libro di Del Gaudio. Arriva, per un fulmineo saluto, il
sostituto procuratore “storico” di Savona, Alberto Landolfi: <Non posso
fermarmi, il lavoro mi aspetta, siamo oberati…sapessi!>. Del Gaudio:
<…..Grazie, grazie, spero di vederti ancora, coraggio>. Abbracci.
Luciano Corrado
Teardo story (puntata 28°): un memoriale mai pubblicato
L’IMPUTATO SICCARDI SCRIVEVA:
IN PROVINCIA NON PASSAVA UN CHIODO
Il giochino, tra imprese, dei ribassi e spartizione di appalti
C’è un documento autofrago che racconta la confessione-verità di un
“collettore di tangenti”, Roberto Siccardi. Fu il secondo imputato a fare
qualche ammissione utile all’accusa e descrivere come un “trust” di 5-6
imprese si spartivano i lavori di bitumazione delle strade, dei ponti,
delle frane, nel ponente ligure. Siccardi voleva difendersi, ma aveva
accennato pure ad una “pista romana” che con la Teardo-bis fu
abbandonata dai successori di Granero e Del Gaudio
di Luciano Corrado
Savona – Dei 23 imputati finiti in appello a Genova del maxi-processo
Teardo, ci siamo già occupati, due settimane fa, di Nicola Guerci, geometra
all’Iacp, ora Arte, nel frattempo deceduto, unico “reo confesso”, oggi si
direbbe “pentito” che ha pure risarcito i danni.
In questa “tappa- story” ci occuperemo di Roberto Siccardi, pure deceduto,
che fu il secondo imputato a fare poche, seppure lacunose, ammissioni. Ma
soprattutto a spiegare cosa accadeva negli appalti e nei rapporti tra
l’Amministrazione Provinciale di Savona e il “cartello” delle maggiori
imprese, dei maggiori imprenditori che si aggiudicavano le gare pubbliche. In
che modo, con quali aumenti e a beneficio di chi.
Vogliamo ricordare che in questa altalenante ricostruzione dei “tempi di
Teardo”, abbiamo evitato di dar voce al contenuto delle intercettazioni
telefoniche che pure ci furono, oggi tanto discusse, sia perché come spesso
accade interpretazioni e trascrizioni lasciano aditi a dubbi, ma anche errori.
Sia perché ci siamo ripromessi di non entrare nella sfera e nella vita privata
degli imputati, delle loro famiglie. Una scelta che, forse, farà mancare alcuni
spaccati, da vita privata/pubblica, di quella storia che scosse la Liguria e
l’Italia. Nessuna ce l’ha vietato, è una libera scelta.
Chi era Roberto Siccardi, classe 1930, nato a Finale, con residenza a Pietra
Ligure e quale il suo ruolo?
Anziché dare la parola alla pubblica accusa, ai giudici inquirenti, lasciamo la
descrizione alla Corte d’appello di Genova che nel luglio 1988, scriveva per
mano del “relatore” del collegio giudicante, Francesco Rossini.
<La condotta di Roberto Siccardi si distingue per raffinata scaltrezza e
ambiguità indicativa di una ben radicata vocazione per la vita parassitaria.
Dichiarato fallito, l’imputato troverà nel gruppo Teardo l’habitat naturale
per sperimentare la propria prevaricazione ai danni delle persone che poteva
avvicinare più facilmente. Era ideatore e programmatore dello sfruttamento
intensivo delle risorse economiche dell’impresa Ghigliazza. Il ruolo
organizzativo svolto dal Siccardi nel settore del procacciamento dei fondi a
beneficio dell’associazione sembra pacificamente acclamato>.
IL MEMORIALE SCRITTO DA SICCARDI
Trucioli Savonesi, con l’obiettivo di arricchire la conoscenza di quel periodo,
offre ai lettori il memoriale “inedito”, allegato agli atti processuali e mai
divulgato, che lo stesso Roberto Siccardi scrisse, quasi a tappe, due anni
dopo il suo arresto avvenuto il 14 giugno 1983 (giorno della prima retata) e
tornato in libertà per decorrenza dei termini il 16 agosto 1985.
Il testo, non integrale, delle quattro paginette scritte a mano.
<Il Ghigliazza entra nel giro fortunato per una mia intuizione come da mio
verbale del 13 dicembre 1983. Piersanto Ghigliazza, al giudice Granero il
13 dicembre 1983, rappresenta la situazione…lamentando di non essere mai
stato invitato alle gare d’appalto della Provincia di Savona. Si rivolse al
sottoscritto per cercare di vincerne qualcuna. Anzi, il Ghigliazza afferma
qualcosa di più e cioè che il sottoscritto, su sua richiesta, gli suggerì la
percentuale di ribasso da indicare, con la quale si aggiudicò finalmente
l’appalto.
Ma in quella occasione fu il Ghigliazza a rivolgersi al sottoscritto e non il
contrario e che per sua volontà ed interesse cercò di entrare nel giro degli
appaltatori cosiddetti fortunati. Ed è stato lo stesso Ghigliazza a spiegarlo
nella sua deposizione a Granero….
Eccola: <Ho già spiegato che tra le imprese interessate ci suddividevamo gli
appalti in relazione alla zona in cui ognuno operava, senza darci fastidio l’un
l’altro.
In pratica ci mettavamo d’accordo tra noi sull’offerta da fare in relazione al
tipo di gara e tutti rispettavano i patti.
Era molto facile perché eravamo in 5 o 6, tutti eravamo d’accordo, non c’era
problema.>.
Si domanda Roberto Siccardi nel memoriale: <Allora è stato il sottoscritto a
promuovere questi incontri ed a stringere questi patti tra le imprese? E’
questo il comportamento di chi sostiene di essere stato concusso? O non
piuttosto di chi ha trovato una chiave che apre molte porte, a cominciare da
Ghigliazza, poi Bogliolo ed altre ancora, attraverso le quali vincere gli
appalti della Provincia a “prezzo bloccato”.
UN RIFERIMENTO A INTERESSI “ROMANI”
<I ribassi che mediamente andavano dal 12 al 30 per cento venivano, invece,
aggiudicati a queste imprese con percentuali di ribassi irrisorie, tipo lo 0,76,
massimo 3 per cento. Predisponendo un’idonea programmazione con altre
imprese sia di tipo territoriale che di opportunità contingenti, in una visione
non solo provinciale, ma interprovinciale e con riferimenti, non soltanto
Savonesi, ma anche romani> (sic!)
<CARI GIUDICI, ATTENTI ALLA TESI DEGLI IMPRESARI>
Roberto Siccardi, a questo punto, aggiungeva: <I giudici istruttori non
essendo né operatori economici, né tecnici edili, prendono per buone le
giustificazioni del teste Ghigliazza, evidentemente preoccupato per le pesanti
parole sfuggitegli circa gli accordi tra imprese. Accordi che erano necessari
perché trattandosi soprattutto di lavori di bitumazione, questo bitume va
necessariamente trasportato caldo, perciò bisognava prendere i lavori dove
le imprese avevano gli impianti ed era una garanzia per le amministrazioni.
I MIEI COIMPUTATI SAPEVANO QUASI TUTTO
<I miei coimputati dicevano di non conoscere niente di niente, e qualche
imputato penso diceva il vero. Ma qualcun altro negava anche cose di
un’evidenza sorprendente, evidentemente con il preciso intendo di
salvaguardare l’immagine del Psi, bersagliato da una campagna stampa, che
trova a mio modo di vedere una sua giustificazione….conosco assai bene la
geografia imprenditoriale della nostra provincia…dall’età di 17 anni lavoro in
questo campo…posso affermare, documentare che l’asserito vittimismo di
Ghigliazza, fatto proprio dai giudici istruttori, non regge ad un’attenta e
geografica distribuzione delle imprese nella zona>.
I NOMI DELLE IMPRESE INTERESSATE AGLI APPALTI
Siccardi scrive ancora di suo pugno: <Erano l’impresa Damonte, Bogliolo,
Farinazzo, Fratelli Rossello, poi un’impresa con impianti a Borghetto
Santo Spirito-Toirano, fallita per mancanza di lavoro, quindi la
Ghigliazza che da sola, per attrezzatura, produzione di pietrisco avrebbe
potuto abbattere i costi dei lavori, ma anche l’altra grande impresa, sempre a
nome Ghigliazza…, oltre a quelle che avevano impianti a Savona e in Val
Bormida.
CHI ERA IL VERO BURATTINAIO?
Siccardi: <Credo che ora appaia chiaro chi era il “burattinaio” che tirava le
fila (e non per persone singole , ma di gruppo economico nel suo
complesso). Era aiutato da uno staff dirigenziale di notevole livello e dove i
geometri del par mio (ma anche dei testi Piero Nan e Franco) potevano
giocare un ruolo assai modesto, sia per esperienza, insufficiente, sia per
effettivo livello professionale.
E’ da sfatare la leggenda di un Ghigliazza succube di Siccardi, sprovveduto,
timoroso, impaurito, circonvenuto da oscure trame truffaldine e ricattatorie.
Non è certo un caso che il Ghigliazza ammette, in una delle sue tante
deposizioni, che l’amicizia con il sottoscritto ebbe a cessare con il mio
arresto>.
SE IN PROVINCIA NON SI PAGAVA
NON PASSAVA NEANCHE UN CHIODO
Il Siccardi-memoriale: <Il Ghigliazza Piersanto afferma nel suo
interrogatorio del 20 giugno 1983, seconda pagina, che se non si pagava ”in
Provincia non passava neanche un chiodo”, e che ciò era pubblico e
notorio e lo sapevano anche le pietre. Ma si rivolse a Siccardi affinché si
potesse superare l’ostacolo? Aggiunge Siccardi <tutte le imprese erano
d’accordo, naturalmente quelle del pool. E non si trattava di imprese
artigianali, ma talune erano anche di respiro nazionale. E ciascuna rispettava
i patti ed era facile vincere l’appalto, essendoci questo tacito accordo tra
colleghi…L’amicizia con Ghigliazza veniva da lontano. Infine emerge che
Ghigliazza si rifiuto di avere rapporti con Dossetti
Considerato rompiscatole e prepotente>.
<QUAL ERA IL MIO VERO RUOLO NELL’AMBITO APPALTI-IMPRESE>.
Siccardi, conclude cosi il memoriale: <Tutto quanto scritto sta a significare
che il sottoscritto fece da “trait d’union” tra il Ghigliazza e l’organizzazione
politica su richiesta del Ghigliazza stesso che non voleva trattare col
Dossetti, ma tale circostanza fa emergere il fatto che tutti i suoi colleghi
impresari conoscevano e giudicavano il Dossetti, con cui evidentemente
avevano avuto rapporti. Ciò dimostra che il sottoscritto Siccardi fui un
occasionale tramite e forse anche scomodo per l’organizzazione politica, tra
due parti. Scelto comunque dal Ghigliazza. Emerge altresì che le imprese
costituitesi in trust per l’occasione, perseguivano filoni differenziati, nei quali
comunque non si trovava il Siccardi>.
CHI COMANDAVA IN PROVINCIA?
DA ABRATE A SANGALLI
Come abbiamo fatto per Siccardi una rapida sintesi di cosa significavano gli
appalti provinciali, con i rispettivi presunti ruoli, dell’allora presidente
Domenico Abrate e Gianfranco Sangalli.
Ecco il giudizio, sintetico, del relatore della sentenza, in Corte d’appello, dopo
la condanna del tribunale di Savona.
Domenico Abrate, classe 1936, nato a Torino, con residenza a Spotorno,
arrestato il 29 novembre 1983 scarcerato il 9 agosto 1985 per decorrenza dei
termini. E’ scritto: <Il suo ruolo partecipativo nell’associazione criminosa non
può essere messo in discussione. Il contributo dato dall’Abrate risulta
accertato, avendo anche acconsentito la più ampia autonomia al dinamico
assessore Sangalli scherzosamente denominato “vecchiaccio maledetto” e
“mio padrone”. Abrate, come Sangalli, era nel libro paga tenuto da Capello.
Ha dimostrato poi cieca fiducia, anziché cautela, come vice presidente
dell’Iacp, a persone legate indissolubilmente a chi influenzava negativamente
l’attività dell’ente, il più corrotto della provincia>.
Gianfranco Sangalli, classe 1927, nato a Cairo Montenotte, qui residente,
arrestato il 14 luglio 1983, scarcerato il 16 agosto 1985 per decorrenza dei
termini di carcerazione preventiva. E’ scritto, tra l’altro, nella motivazione:
<Sangalli è un elemento fondamentale di raccordo nel triste organigramma
associativo, il suo collocamento alla guida dell’assessorato alla Viabilità della
Provincia, per lunghi anni, permetteva al clan un sicuro e costante controllo
degli appalti, la sapiente manovra degli inviti a poche imprese>.
Vale la pena riepilogare che il fulcro dell’appello fu che la “piovra” savonese
non “era di stampo mafioso”, come invece sostenevano i giudici istruttori
Granero e Del Gaudio , nonché l’ufficio del pubblico ministero, prima
Giuseppe Stipo, poi Michele Russo, in udienza.
Aspetto che invece veniva contestato nelle udienze e nelle memorie difensive
dagli avvocati Chiusano, Signorile, Gallo, Salvarezza, Guastavano,
Chirò, Calabria, Coniglio, Cavallo, De Luca, Finocchio, Mazzitelli,
impegnati con successo a scongiurare che vincesse la tesi della “banda
mafiosa”, che oltre all’accusa era portava avanti dai legali di parte civile, tra
cui Romano Raimondo, Cesare Manzitti, Francesco Di Nitto, Umberto
Garaventa.
Ha scritto nella motivazione il giudice Rossini: <Il ricorso da parte degli
attuali imputati al metodo dell’attentato dinamitardo ai danni dei cantieri e
degli strumenti di lavoro delle imprese, avente l’inequivocabile significato del
tipico avvertimento mafioso, non è stato comprovato né riguardo
all’esplosione del 29 aprile, al ponte sul Letimbro, ai danni dell’impresa
Damonte, a Savona, né alle distruzioni e agli incendi verificatisi ai danni di
altre imprese operanti in Liguria ed attribuiti all’azione di ignoti>.
Come ha ricordato l’ex giudice Michele Del Gaudio nell’intervista a Trucioli
pubblicata la settimana scorso, tutto alla fine si giocò sui termini “omertà” ed
“intimidazione”, con un evidente contrasto tra le sentenze d’appello e di
Cassazione, ma soprattutto il mancato ricorso finale della procura generale
della Repubblica di Genova. Questa è storia, questa è la giustizia italiana.
Nel bene e nel male.
Luciano Corrado
FINE
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