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DOVE ERAVAMO RIMASTI?
MENSILE N.4 APRILE 2015 € 3,50 fondazione ente™ dello spettacolo Speciale A CHI PIACE MUSICAL 120 ANNI DI CINEMA Il genere più amato dagli americani. Da Minnelli a Pitch Perfect 2 I Lumière e l’Italia muta. Il selvaggio West e le Nouvelles Vagues. Una lunga storia di innovazioni tecnologiche ANTEPRIMA Run All Night, Liam Neeson eroe action per Collet-Serra Tom Hardy nel cult di George Miller. In anteprima a Cannes Poste Italiane SpA - Sped. in Abb. Post. - D.I. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004, n° 46), art. 1, comma 1, DCB Milano NOAH DOVE ERAVAMO RIMASTI? PER VISUALIZZARE I CONTENUTI EXTRA SCARICA L'APP DI AR-CODE E INQUADRA LA COPERTINA O LA LOCANDINA DEL FLIM GRANDI BIOGRAFIE RACCONTI EMOZIONANTI DI VITE CHE HANNO CAMBIATO PER SEMPRE LA STORIA, SU CHILI AD APRILE! Disponibile dal 15 aprile CHILI: la tua videoteca online quando e dove vuoi. Per sempre, senza abbonamento. Disponibile su Smart TV, PC, Tablet e SmartpKone. Compatibile con CKromecast. 5eJistrati Jratuitamente su ZZZ.cKili.tv, avrai subito un ȴlm in omaJJio. © Universal Disponibile dal 29 aprile SMART TV PC TABLET SMARTPHONE S Typewriter Edition Bret Easton Ellis, Los Angeles. rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo Punti di vista Nuova serie - Anno 85 n. 4 aprile 2015 In copertina Tom Hardy in Mad Max: Fury Road Seguici anche su FACEBOOK Cinematografo.it EnteSpettacolo TWITTER @cinematografoIT YOUTUBE EnteSpettacolo Buona la prima DIRETTORE RESPONSABILE Ivan Maffeis Nel suo esordio poteva essere scambiato con una sorta di reportage cronachistico, un’inedita modalità di documentazione, l’alternativa al tempo che dilapida le tracce dell’umana memoria. Iniziava ad avverarsi il sogno non soltanto di fermare l’istante e ²VVDUORVXXQVXSSRUWRPDSHU²QRGLSRWHUORULSURGXUUHQHOVXR divenire: immagini in movimento, per l’appunto. Ma l’arte non è duplicazione dell’esistente. La nuova possibilità narrativa subito se ne rivela costruzione articolata: già nel cinema muto è scuola di creatività espressiva, linguaggio che per molti versi supera la forza della parola. L’introduzione del montaggio vedrà il regista comporre frammenti per giungere a un intero: verosimiglianza e credibilità non impediscono di cogliere che l’opera è altro rispetto a una semplice restituzione delle cose. CAPOREDATTORE Marina Sanna REDAZIONE Gianluca Arnone, Federico Pontiggia, Valerio Sammarco CONTATTI [email protected] ART DIRECTOR Alessandro Palmieri HANNO COLLABORATO Alberto Barbera, Angela Bosetto, Orio Caldiron, Gianluigi Ceccarelli, Andrea Chimento, Alessandro De Simone, Bruno Fornara, Gianfrancesco Iacono, Emanuela Martini, Massimo Monteleone, Franco Montini, Giuliana Muscio, Roberto Nepoti, Mattia Pasquini, Manuela Pinetti, Marco Spagnoli, Chiara Supplizi REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE DI ROMA N. 380 del 25 luglio 1986 Iscrizione al R.O.C. n. 15183 del 21/05/2007 STAMPA 7LSRJUD²D6753UHVV6UO9LD&DUSL Pomezia (RM) Finita di stampare nel mese di marzo 2015 MARKETING E ADVERTISING (XUHND6UO9LD/6RGHULQL0LODQR Tel. 02-83427030 Fax: 02-83427032 Cell. 335-5428.710 e-mail: [email protected] DISTRIBUTORE ESCLUSIVO ME.PE. Milano ABBONAMENTI ABBONAMENTO PER L’ITALIA (10 numeri) 30,00 euro ABBONAMENTO PER L’ESTERO (10 numeri) 110 euro C/C 80950827 - Intestato a Fondazione Ente dello Spettacolo PER ABBONARSI [email protected] Tel. 06.96.519.200 PROPRIETA’ ED EDITORE PRESIDENTE Ivan Maffeis DIRETTORE Antonio Urrata UFFICIO STAMPA XI²FLRVWDPSD#HQWHVSHWWDFRORRUJ &2081,&$=,21((69,/8332 Franco Conta - [email protected] COORDINAMENTO SEGRETERIA Marisa Meoni - [email protected] DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE 9LD$XUHOLD5RPD Tel. 06.96.519.200 - Fax 06.96.519.220 [email protected] Ben Kingsley in Hugo Cabret di Martin Scorsese Dall’esterno all’interno: il cinema moderno ci consegna il ripensamento – e il mescolamento – dei generi; introspezione e sguardo sulla situazione interiore dei personaggi portano a sottolineare la centralità dell’autore, con il suo progetto dalla chiara funzione ideologica ed educativa. *OLDQQLGL²QHVHFRORUHJLVWUDQRLOFDORGHOOH presenze in sala a vantaggio del consumo televisivo. Sul costo delle produzioni non arriva alcun soccorso dalla stanchezza della SURSRVWDFKHVSRVDODVHULDOLWjGL²OPHYHQWL che non si chiudono mai, contenitori ripetitivi di elementi disomogenei. A risalire la china non basta il ricorso alla scorciatoia degli effetti speciali. Il presente parla digitale, rivoluzione che attraversa la produzione, la GLVWULEX]LRQHHODVWHVVDIUXL]LRQHGHO²OP Cambiano tante cose in centovent’anni. O forse nulla, se si accosta il cinema come uno strumento di fascinazione, capace di prendere per mano lo spettatore e di coinvolgerlo in una storia, in valori ed emozioni, in un punto di vista diverso, dove il reale si fa prolungamento di ciò che la pellicola racconta. E, poi, la forza di quel suo consumo non più individuale, ma collettivo… Per discuterne la redazione della Rivista ha chiesto il contributo di ²UPHTXDOL²FDWHFKHQHOORVSHFLDOHGLTXHVWRQXPHURFLDLXWDQR a risalire fotogrammi che raccontano di innovazioni tecnologiche, di luoghi comuni da sfatare, di modelli industriali e culturali, di un futuro alle porte con grandi possibilità d’espressione, che interpellano originalità e spessore di contenuti. A proposito, hai scaricato l’App? Associato all’USPI Unione Stampa - Periodica Italiana Iniziativa realizzata con il contributo della Direzione Generale Cinema - Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 5 nanni moretti domenico procacci rai cinema presentano margherita buy john turturro giulia lazzarini nanni moretti MIA MADRE un film di nanni moretti CON MARGHERITA BUY JOHN TURTURRO GIULIA LAZZARINI NANNI MORETTI BEATRICE MANCINI SOGGETTO GAIA MANZINI NANNI MORETTI VALIA SANTELLA CHIARA VALERIO SCENEGGIATURA NANNI MORETTI FRANCESCO PICCOLO VALIA SANTELLA AIUTO REGISTA CIRO SCOGNAMIGLIO SUONO IN PRESA DIRETTA ALESSANDRO ZANON COSTUMI VALENTINA TAVIANI SCENOGRAFIA PAOLA BIZZARRI MONTAGGIO CLELIO BENEVENTO FOTOGRAFIA ARNALDO CATINARI ORGANIZZATORE GENERALE LUIGI LAGRASTA UNA COPRODUZIONE SACHER FILM - FANDANGO CON RAI CINEMA (ITALIA) LE PACTE - ARTE France Cinéma (FRANCIA) CON LA PARTECIPAZIONE DI CANAL + CINE + ARTE/WDR FILMS BOUTIQUE FILM REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DI EURIMAGES E AIDE AUX CINEMAS DU MONDE IN ASSOCIAZIONE CON FILMS DISTRIBUTION CINEMAGE 8 COFINOVA 10 INDÈFILMS 2 SOFICINEMA 10 PALATINE ETOILE 11 B MEDIA 2012 – BACKUP MEDIA E IN ASSOCIAZIONE CON IFITALIA E FELTRINELLI AI SENSI DELLE NORME SUL TAX CREDIT CON IL SOSTEGNO DELLA REGIONE LAZIO PRODOTTO DA NANNI MORETTI E DOMENICO PROCACCI REGIA NANNI MORETTI DAL 16 APRILE AL CINEMA SOMMARIO APRILE 2015 29 18 Brividi di genere Note su John Carpenter 10 Da Udine a Lecce Uno sguardo sul Far East e sul Festival del Cinema Europeo 12 Corsa notturna Jaume Collet-Serra racconta Run All Night. Il regista ritrova Liam Neeson 16 COVER STORY Bentornato, Max! BUON COMPLEANNO, CINEMA! 16 56 Il guerriero della strada è di nuovo tra noi: George Miller riprende in mano la saga e affida a Tom Hardy le chiavi del suo bolide. 20 Post-apocalittici e integrati: come è sopravvissuto il genere? 24 È sempre musical Arriva Pitch Perfect 2, altro step di un percorso che in America non finisce mai. Da Vincente Minnelli a oggi: ecco perché MAD MAX: FURY ROAD 29 SPECIALE 120 anni di magia 24 30 Una storia tecnologica 32 L’invenzione senza futuro 36 L’Italia che parlò il muto 40 L’età dell’oro 44 Far Far, West 48 Le Nouvelles Vagues 54 Effetto digitale 56 Ritratti Rod Steiger, incredibile cattivo PITCH PERFECT 2 12 ROD STEIGER 77 59,²OPGHOPHVH Recensioni, anteprime, colpi di fulmine 72 Dvd, Blu-ray & Serie Tv L’amore bugiardo e Interstellar. Daredevil su Netflix 78 Borsa del cinema RUN ALL NIGHT 80 Libri DAREDEVIL 82 Colonne sonore aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 7 brividi di genere I FESTIVAL a cura di Massimo Monteleone Agenda del mese: ecco gli appuntamenti da non perdere EAST NOW 1 MIDDLE Località Firenze, Italia Periodo 8-13 aprile Tel. 3389868969 Web middleastnow.it Mail [email protected] Resp. Lisa Chiari, Roberto Ruta SPIRAGLIO – 2 LO FILMFESTIVAL DELLA SALUTE MENTALE Località Roma, Italia Periodo 9-11 aprile Tel. 3935246858 Web ORVSLUDJOLR²OPIHVWLYDORUJ Mail [email protected] Resp. Franco Montini, Federico Russo – 3 RENDEZ-VOUS APPUNTAMENTO CON IL SINFONIE DELLA PAURA John Carpenter, un concentrato di vibrazioni visive e sonore di Giuseppe Gariazzo in dal lungometraggio d’esordio Dark Star, del 1974, John Carpenter ha composto, salvo rare occasioni, la colonna sonora dei VXRL ²OP 1RQ VRUSUHQGH dunque, che recentemente abbia realizzato il suo primo album, Lost Themes, bel concentrato delle ossessioni musicali presenti nella sua ²OPRJUD²D Il regista newyorkese è assente dagli schermi dal 2010, quando uscì The Ward, horror ambientato in un manicomio, viaggio negli antri della follia, nei labirinWL SVLFRORJLFL H ²VLFL GRYH F riappare intatta la tensione creativa di un maestro del genere, dove le geometrie visuali riprendono forma nei corridoi e nelle stanze più segrete di un luogo chiuso. Gli spazi claustrofobici, accentuati proprio dai temi musicali gravi, sono infatti un elemento essenziale di WXWWD O¬RSHUD ²OPLFD GL &DUpenter. Che dopo la fantascienza di Dark Star, realizzò nel 1976 Distretto 13: le brigate della morte, capolavoro a basso budget e altissime vibrazioni visive e sonore utilizzate per descrivere un assedio voodoo in un commissariato di polizia dismesso e per costringere i personaggi in un corpo a FRUSRLQ²QLWRFRQJOLRJJHWti collocati in un set evocante una prigione western. In seguito, Carpenter avrebbe aggiunto numerose, maJQL²FKH YDULD]LRQL UHDOL]]DQGR²OPLQFXLRJQLLQTXDdratura, ogni nota (anche dove la colonna sonora fu composta da altri musicisti, come per La cosa ²UPDWD da Ennio Morricone) sono costruite con minuziosa precisione. Basterebbe un qualsiasi istante di Fog (1980) per rievocare tale intensità. Gli imperdibili Halloween - La notte delle streghe (1978) Carpenter avvia la saga horror con Michael Myers. 8 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 La cosa Il seme della follia (1982) (1994) Capolavoro del cinema della mutazione aliena. Le visioni di uno scrittore. Omaggio a Lovecraft. NUOVO CINEMA FRANCESE Località Roma, Italia Periodo 9-18 aprile Tel. (06) 68601203 Web rendezvouscinema francese.it Mail muriel.peretti@ diplomatie.gouv.fr Resp.9DQHVVD7RQQLQL$OL[ Davonneau DEL CINEMA 4 FESTIVAL EUROPEO Località Lecce, Italia Periodo 13-18 aprile Tel. (0832) 520355 Web festivaldelcinemaeuropeo.com Mail info@festivaldelcinema europeo.com Resp. Alberto La Monica, Cristina Soldano DU REÉL 5 VISIONS FESTIVAL INTERNATIONAL DE CINÉMA Località Nyon, Svizzera Periodo 17-25 aprile Tel. (0041-22) 3654455 Web visionsdureel.ch Mail [email protected] Resp. Luciano Barisone EAST FILM 6 FAR FESTIVAL Località Udine, Italia Periodo 23 aprile - 2 maggio Tel. (0432) 299545 Web IDUHDVW²OPFRP MailIDUHDVW²OP#FHFXGLQHRUJ Resp. Sabrina Baracetti FRANCISCO 7 SAN INTERNATIONAL FILM FESTIVAL Località San Francisco (California), USA Periodo 23 aprile - 7 maggio Tel. (001-415) 5615000 Web sffs.org Mail [email protected] Resp. Noah Cowan © Disney PREMIO OSCAR® 2015 COME MIGLIOR FILM D’ANIMAZIONE SEGUI BAYMAX NELLA NUOVA AVVENTURA DISNEY DA APRILE SU CHILI! CHILI: la tua videoteca online quando e dove vuoi. Per sempre, senza abbonamento. Disponibile su Smart TV, PC, Tablet e Smartphone. Compatibile con Chromecast. ReJistrati Jratuitamente su www.chili.tv, avrai subito un ȴlm in omaJJio. SMART TV PC TABLET SMARTPHONE ANDROID IOS WIN8 www.chili.tv mappamondo Qui e a fianco Women Who Flirt in cartellone al 17° Far East Film Festival. A seguire, Fatih Akin, Bertrand Tavernier e Joe Hisaishi ORGOGLIO EURASIA DAL FAR EAST DEL MOSTRO SACRO JOE HISAISHI ALLA DOPPIETTA BERTRAND TAVERNIER & FATIH AKIN DI LECCE, UN UNICO PASSAPORTO: CINEMA DI LUCA PELLEGRINI 10 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 Dall’Oriente emerge una grande vitalità, in Europa le riflessioni si concentrano sul suo futuro incerto. Due i festival che nel mese di aprile guardano in queste due diverse direzioni. Al Far East, in programma a Udine dal 23 aprile al 2 maggio, sono approdate le più diverse espressioni cinematografiche del Sud Est asiatico. Sabrina Baracetti lo dirige con grande entusiasmo. E ricorda: “All’inizio della nostra avventura asiatica ci siamo domandati in quale altra parte del mondo, oltre all’Italia, il cinema avesse le caratteristiche di grande popolarità. Ci siano rivolti così, per la nostra "Abbiamo vinto il nostro pregiudizio occidentale", dicono a Udine. E giocano la carta Bruce Lee edizione zero, a Hong Kong, perché ci aveva affascinato questo tipo di cinema capace di raggiungere un audience amplissima. Nel corso degli anni si sono modificate tante cose: abbiamo aperto a cinematografie da noi assolutamente sconosciute, come il cinema coreano, che all’epoca stava vivendo un momento magico. E abbiamo vissuto un fenomeno epocale, la crescita esponenziale del cinema cinese: quando siamo partiti le sale in Cina erano soltanto 2.000, oggi sono 35.000”. Film sorprendenti, pubblico giovanissimo. “Abbiamo focalizzato sul cinema asiatico e abbiamo vinto il nostro pregiudizio occidentale. Il fatto che ancora esistiamo dimostra come sia assolutamente comprensibile e le barriere completamente superate”. L’edizione 2015 si apre con la primissima performance italiana del grande compositore giapponese Joe Hisaishi, che dirigerà alcune sue splendide colonne sonore scritte per i capolavori di Hayao Miyazaki e Takeshi Kitano. “Il FEFF è dedicato quest’anno alle mitiche martial arts hongkonghesi con i più grandi successi di quel genere, insieme alla sua icona Bruce Lee. Tra i film in concorso, i coreani The Hidden Card di Kang Hyung-chul e Confession di Lee Do-yoon. Per la prima volta ospitiamo un film cambogiano, The Last Reel, nel quale il regista Kulikar Sotho riflette sulla memoria cinematografica di quel Paese e aspettiamo l’ultima commedia di Pang Ho-cheung, Women Who Flirt, con la super diva Zhou Xun, una divertente e assolutamente irriverente romantic comedy made in China, il primo film completamente cinese del geniale autore di HK”. E mentre l’Europa arranca sotto il peso delle tensioni economiche e politiche, Lecce rinnova la centralità del cinema europeo nel suo programma, disegnato dal Direttore Alberto La Monica. La XVI edizione, dal 13 al 18 aprile, prevede dieci film europei in concorso. “Per scoprire nuovi autori precisa - e offrire una rappresentazione attuale del loro Paese di origine”. Omaggi a due diversi autori: Bertrand Tavernier dalla Francia e Fatih Akin dalla Germania. “Era da anni che speravo di ospitare il primo a Lecce e la scelta mi pare assai azzeccata, dopo che è stato annunciato il suo Leone d’Oro alla Carriera. Akin, turco-tedesco, rappresenta l’anima interculturale dell’Europa di oggi. È un orgoglio portarlo nel Salento, dove girò nel 2002 Solino. La sua sarà una retrospettiva completa”. Il cinema italiano è rappresentato da Milena Vukotic. “Un’attrice che ha lavorato con registi importanti: Buñuel, Fellini, Tarkovsky. Senza dimenticare che è stata la moglie di Fantozzi, personaggio celeberrimo”. Infine, i Premi dedicati a Mario Verdone e Emidio Greco. Apertura con WAX We Are the X del leccese Lorenzo Corvino. “Un film fresco, dignitoso, europeo”. aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 11 anticipazioni TUTTA LA Jaume Collet-Serra al terzo film con Liam Neeson: “Action sì, ma 12 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 NOTTE di Mattia Pasquini quello che conta sono le emozioni”. Ecco Run All Night aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 13 anticipazioni Liam Neeson in Run All Night - Una notte per sopravvivere. Altre scene del film e, in basso, l'attore con Jaume Collet-Serra l terzo film di fila con il Liam Neeson scopertosi eroe action, il regista di Unknown - Senza identità e Non-Stop (ma anche di Orphan), Jaume Collet-Serra, racconta le difficoltà di girare nella Grande Mela, ma anche del suo rapporto ambiguo con il genere e con i limiti che pone. Lo seguiamo nel Queens per le riprese della scena più importante di Run All Night – Una notte per sopravvivere, in uscita il 30 aprile. Di nuovo con Liam Neeson, come nasce questa nuova avventura? Insieme alla Warner Bros. volevamo fare da tempo questo film. C’è voluto un po’ perché ero impegnato nella produzione di Non-Stop, ma poi con Liam ci siamo tuffati direttamente in quella di Run All Night. Siete davvero così uniti? A questo punto c’è completa fiducia. Ma parliamo di uno splendido attore, in grado di recitare qualsiasi cosa. Può imparare una scena di cinque pagine di dialoghi come anche le fasi dell’azione che dobbiamo girare, a me basta puntare la macchina da presa su di lui. E in questo caso, di che cosa si tratta? È un film molto emozionante, diverso dai tanti action A “Al centro del racconto la relazione padre-figlio. Questioni di perdono e comprensione” 14 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 che offre oggi il mercato. Anche perché è incentrato sulla relazione padre-figlio, sul perdono e sulla comprensione. Hai dovuto cambiare qualcosa o era sempre stato questo il focus? Quando sono arrivato lo script era perfetto da un punto di vista delle emozioni, ma forse non c’era tensione nei punti giusti. Per essere un film così asciutto, la gente si fermava e parlava troppo. Di base, le scene sono rimaste all’80% le stesse di quelle che erano in origine, magari riposizionate in diversi punti della vicenda. Abbiamo tolto e aggiunto un paio di cose alla drammatizzazione, specialmente nel secondo atto, tanto per esser sicuri di creare la tensione necessaria. Per farlo ti sei ispirato a qualche altro film di genere? Non faccio mai ricerche su altri film. Ho studiato la mafia di New York e le varie famiglie, cosa è successo negli anni ‘80 e nei primi ‘90, quando quelle gang di fatto si dissolsero a causa di alcuni pentiti. Ma poi ho cercato di creare una linea narrativa credibile su delle basi reali. Continua a divertirti girare film action? Mi piace, ma quello che mi piace di più son sempre i dialoghi. Vedendo il film prendere vita attraverso i personaggi a volte rimango rapito dalla scena e mi dimentico di dare lo stop. Di certo l’action richiede più tempo per la sua preparazione e questo mi rende nervoso. Anche perché spesso puoi fare solo una o due riprese di certe scene. Come è stato in questo caso. È noioso ed eccitante insieme. Una scena molto importante del film è quella dello schianto sul banco dei pegni, avevate un piano B in caso di problemi? È la più importante. E no, non avevamo un piano B. È tutto talmente pianificato che nulla deve andare storto. Abbiamo costruito un intero negozio per la scena e per fortuna è andato tutto liscio. Ma se la macchina avesse colpito uno dei due pilastri che lo sostenevano – e uno lo ha mancato davvero di poco – avremmo dovuto pensare a una alternativa. Probabilmente avrei fatto un primo piano su Liam e avrei risolto tutto! Nessun problema, quindi, durante le riprese? Più che il rumore, nelle riprese nella metro, il difficile è stato girare con la gente comune che veniva fuori dai vagoni e si trovava di fronte Neeson. Ma il problema principale è stato il traffico: New York non aspetta nessuno. © 20th Century Fox GONE GIRL LO SCONVOLGENTE THRILLER DI DAVID FINCHER VI ASPETTA AD APRILE SU CHILI! CHILI: la tua videoteca online quando e dove vuoi. Per sempre, senza abbonamento. Disponibile su Smart TV, PC, Tablet e Smartphone. Compatibile con Chromecast. Registrati gratuitamente su www.chili.tv, avrai subito un ȴlm in omaggio. SMART TV PC TABLET SMARTPHONE COVER STORY 16 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 Dopo 30 anni il western distopico di George Miller è di nuovo tra noi. Lunga vita al Guerriero della strada! Fuori concorso a Cannes MAD MAX RELOADED di Valerio Sammarco aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 17 COVER STORY W E DON’T NEED ANOTHER HERO, cantava Tina Turner. Neanche lei, al tempo Aunty Entity, regina della desertica Bartertown, avrebbe mai immaginato che 30 anni dopo sarebbe tornato Max Rockatansky. Ed è un ritorno, quello di Mad Max, che potrebbe coincidere con l’operazione più iconica dell’intero 2015. “My name is Max. My world is fire. And blood” Fuoco e sangue. Il canovaccio, rispetto alla trilogia originale, non sembra essere troppo mutato. Il “guerriero della strada”, non più Mel Gibson, ma il lanciatissimo Tom Hardy, si ritrova ancora lì dove tutto era iniziato, ormai nel lontano 1979: bastarono sei anni a George Miller per creare una leggenda, scardinare l’immaginario collettivo e gettare oltre l’ostacolo quella visione di western post-apocalittico che disegnò nuove traiettorie, partendo dallo sconfinato outback australiano. Un futuro, quello immaginato da Miller, che oggi sembra addirittura sorpassato per doversi poi com- Quarto episodio o riavvio della saga? Il regista non svela, ma indica: “Il personaggio di Tom Hardy si rifà a quello di Mel Gibson, però è un’altra storia” piere nuovamente: al centro di tutto, ancora una volta, la strada. Fury Road, che Warner Bros. porterà nelle sale a partire dal 14 maggio (con anteprima mondiale al Festival di Cannes), per ammissione dello stesso Miller “è molto vicino a Mad Max 2 (in Italia era Interceptor - Il guerriero della strada, ndr) perché il racconto segue gli avvenimenti di un breve periodo di tempo, solamente alcuni giorni. E poi c’è un lungo inseguimento…”. Deserto e motori, che dai brevi filmati promozionali finora rilasciati sembrano ancora una volta dominare la scena. Caratterizzata dai “soliti” pirati dediti a barbarie di qualsiasi tipo: se nella trilogia originaria la parola chiave era “gasoline”, questa volta la cac- 18 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 Charlize Theron è Furiosa. Sopra Tom Hardy. A sinistra, in alto, Mel Gibson e Tina Turner in Mad Max oltre la sfera del tuono; in basso Mad Max: Fury Road cia è motivata dalla riconquista di qualcosa di molto prezioso sottratto al potente Immortan Joe (Hugh Keays-Byrne). Un gruppo di ribelli, guidato dall’Imperatrice Furiosa (Charlize Theron) riesce a fuggire dalla sua tirannide e Max si ritrova coinvolto con loro nella fuga. I riferimenti al passato del protagonista – almeno nelle brevi note finora fatte trapelare dalla produzione – accennano solamente al fatto che l’uomo, solitario e silenzioso, “cerca pace dopo la perdita della moglie e del figlio all’indomani dello scoppio della guerra”. Ma Max Rockatansky perse i suoi cari all’inizio del primo capitolo della saga: poi che cosa è avvenuto?... Dove eravamo rimasti? La mongolfiera Stuart. A sinistra, in alto e a destra Cattivissimo me 2 L’arcano, anche se non del tutto, lo ha provato a svelare proprio George Miller: “Il Max di oggi è certamente basato sullo stesso personaggio interpretato originariamente da Mel Gibson, un guerriero solitario apparentemente distaccato da quello che accade nel resto del mondo. Ora Tom Hardy reinterpreta a suo modo quel personaggio, e lo fa calandosi in una storia sostanzialmente diversa”. Il sospetto è dunque legittimo: Mad Max: Fury Road (violentissimo, a quanto sembra...) è il quarto capitolo della saga o il suo inaspettato riavvio? Quel che è certo, trent’anni dopo Oltre la sfera del tuono, è che George Miller non ne poteva forse più di maialini coraggiosi (Babe va in città) e pinguini ballerini (Happy Feet 1 & 2) e ha finalmente deciso di tornare al timone del suo bolide cult: lo script, firmato dal regista insieme a Nick Lathouris e Brendan McCarthy, è stato concepito dopo un lunghissimo lavoro che ha prodotto oltre 4.500 tavole di storyboard. Immagini mozzafiato e poche parole: la cifra stilistica della saga è nota, e stavolta le possibilità tecnologiche ne amplificano la portata. A determinare poi la temperatura visiva di questa folle esplosività ci ha pensato il direttore alla fotografia Premio Oscar John Seale (Il paziente inglese), uno che di luci desertiche se ne intende. Perché si fa presto a parlare di scenari postapocalittici, ma una cosa è darne l’idea in metropoli che da un giorno all’altro si ritrovano senza milioni di persone (da 28 giorni dopo a Io sono leggenda, fino a The Road), un’altra è calare storie e personaggi in luoghi spopolati a prescindere: è qui che a suo tempo Miller vinse la sua sfida, su strade infinite in cui sfrecciava la V8 Interceptor del guerriero Max. L’ultimo percorso, lo credevamo tutti, era quello che terminava nel Thunderdome (La sfera del tuono): ci sbagliavamo, come Tina Turner, perché è evidente che ancora oggi, forse più di ieri, abbiamo un disperato bisogno di eroi. aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 19 COVER STORY M AD MAX È UN SOPRAVVISSUTO, sia come personaggio, sia come simbolo del post-apocalittico, genere nato molto prima di lui, ma del quale ha rappresentato l’apogeo. Basti pensare che, senza il secondo capitolo della saga (Interceptor – Il guerriero della strada, 1981), non avremmo avuto il manga Ken il guerriero. Ora riguardo al fatto che Max Rockatansky torna al cinema per la quarta volta (e il suo “collega” Terminator si prepara alla quinta) è il caso di chiedersi: come è messo il post-apocalittico oggi? Balza subito all’occhio la prepotente presenza delle saghe “young adult” (Hunger Games, Divergent, The Maze Runner, ecc), che, forti del doppio successo cinematografico e letterario, sembrano aver spostato il genere verso un pubblico normalmente disinteressato al catastrofismo fantascientifico. Ne consegue una progressiva volontà di ammorbidire le pellicole, sia a livello visivo, sia a livello tematico, con la tendenza di far finire tutto a tarallucci e vino. Altrimenti non si spiegherebbero film come World War Z (2013), in cui l’apocalisse zombie si consuma senza nemmeno una goccia di sangue, o l’obbligo del doppio finale consolatorio (l’eroe prima si sacrifica, ma subito dopo riappare sano e salvo). Dove cercare, quindi, l’angoscia, l’incertezza e l’assenza di regole che seguono una catastrofe globale? Nei fumetti, per esempio, da Le Transperceneige di Jacques Lob e Jean-Marc Rochette (da cui Bong Come è resistito il filone? Dalle saghe “young adult” ai fumetti, tra zombie e misteri inspiegabili di Angela Bosetto 20 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 - E SERIALITÀ Volenti o nolenti, The Walking Dead ancora domina. Ma all’orizzonte… Dove cercare l’angoscia, l’incertezza e l’assenza di regole che seguono una catastrofe globale? [NOW] Nonostante George A. Romero la consideri “una soap opera nella quale, ogni tanto, compare uno zombie o due” e i puristi del fumetto originale le abbiano dichiarato guerra, The Walking Dead (AMC) domina incontrastata il panorama post-apocalittico del piccolo schermo, forte di ascolti in costante crescita e di una sesta stagione già rinnovata. Ma, in caso non attirino i morti viventi (al centro anche di Z Nation, Syfy), quali sono le alternative seriali fantascientifiche, considerando che quest’anno si concluderà Falling Skies (TNT) e che Revolution (NBC) è stata cancellata? Agli adolescenti ci pensa il patinatissimo network The CW con The 100, show basato sull’omonimo romanzo di Kass Morgan, in cui, novantasette anni dopo la guerra nucleare che ha costretto l’umanità a migrare nello spazio, vengono rispediti sulla Terra cento delinquenti minorenni per vedere se il pianeta è ancora abitabile. Per gli appassionati di virus sterminatori continuano Helix (Syfy), The Last Ship (TNT) e The Strain (FX, in cui l’epidemia è di natura vampiresca) ed è iniziato 12 Monkeys (Syfy), adattamento televisivo del film L’esercito delle 12 scimmie (1995). In attesa di Wayward Pines, che verrà trasmessa da Fox a maggio in contemporanea mondiale, la novità più curiosa è una sitcom (sempre della Fox): The Last Man on Earth, scritta e interpretata da Will Forte del Saturday Night Live (in Nebraska era il figlio di Bruce Dern). Forse è proprio vero che una risata ci salverà… anche dopo l’Apocalisse. A.B. aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 21 COVER STORY SULLA CARTA Romanzi come Io sono leggenda e L’ombra dello scorpione non esistono più. A meno che… Purtroppo oggi in Italia i romanzi post-apocalittici non hanno vita facile. Nella maggioranza dei casi vengono pubblicati solo se: a) sono fenomeni editoriali (come la trilogia Silo di Hugh Howey) b) cavalcano la moda globale di epidemie e zombie c) appartengono al filone young adult d) li hanno scritti autori di grido e) sono già stati opzionati per l’adattamento cinematografico o televisivo. Prima di guardare al futuro del genere, però, è meglio conoscerne bene il passato. Assicuratevi quindi che nella vostra libreria non Joon-ho ha tratto Snowpiercer, 2013) a The Walking Dead di Robert Kirkman (ispiratore della serie omonima). E, a proposito di zombie contagiosi, in questo momento anche la narrativa subisce il fascino delle epidemie, declinate però in chiave vampiresca, come dimostra il successo de Il passaggio di Justin Cronin (che diverrà un film diretto da Matt Reeves) o della trilogia 22 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 manchino L’ultimo uomo di Mary Shelley, La macchina del tempo di H.G. Wells, Io sono leggenda di Richard Matheson, La morte dell’erba di John Christopher, L’ultima spiaggia di Nevil Shute, Un cantico per Leibowitz di Walter M. Miller, Addio Babilonia di Pat Frank, Cronache del dopobomba di Philip K. Dick, Il mondo sommerso di J.G. Ballard, L’ombra dello scorpione di Stephen King, Tenebre di Robert McCammon, L’ultimo degli uomini di Margaret Atwood e La strada di Cormac McCarthy. A.B. Nocturna di Guillermo del Toro e Chuck Hogan, su cui si basa la serie tv The Strain. Pure perché, in ambito virale “classico”, cosa si può dire che L’ombra dello scorpione di Stephen King (pronto a sbarcare al cinema) non abbia già detto nel 1978? Esiste, però, una strada alternativa, in cui l’apocalisse non è più lo spunto iniziale, bensì il colpo di scena che spiega In apertura World War Z. In basso Maze Runner, Divergent e Hunger Games l’intero mistero, come nel caso (ATTENZIONE: SPOILER) del già citato Maze Runner o de I misteri di Wayward Pines di Blake Crouch, i cui diritti sono stati subito acquisiti da M. Night Shyamalan per la creazione dell’imminente serie tv. E la domanda non è più “ci salveremo?”, ma “se il mondo fosse già finito a nostra insaputa, sarebbe meglio scoprirlo oppure no?”. tendenze Musical, maestro! Da Vincente Minnelli a Pitch Perfect 2, un genere che si trasforma ma non passa mai di moda. Perché tutti vorrebbero viverci dentro di Alessandro De Simone 24 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 In Usa lo preferiscono addirittura al western. Il suo segreto? Capacità di plasmare i desideri Gene Kelly e Leslie Caron in Un americano a Parigi. A sinistra Wicked e sotto le ragazze di Pitch Perfect aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 25 tendenze U n pittore americano a Parigi si innamora di una bellissima ragazza. Lei si farà chiamare Gigi, lui si perderà nella brughiera per amore di una donna, la stessa che aveva fatto perdere la testa a un grande attore tornato sul palcoscenico in uno spettacolo di varietà. Non è un film, sono quattro, capolavori di Vincente Minnelli, il maestro indiscusso del genere preferito dagli americani, persino più del western. Il musical, ovviamente, che nasce nel momento esatto in cui Al Jolson apre bocca per la prima volta sul grande schermo. Era un cantante di jazz e dopo di lui tanti se ne sono visti, spesso anche grandi ballerini, e mentre i tempi e i gusti del pubblico cambiavano, il musical si adattava, per non abbandonare mai la sua seconda casa. La prima, ovviamente, è il teatro, da lì arriva, e da lontano, dalla tragedia greca agli intermezzi delle opere 26 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 scespiriane, fino all’opera lirica. La forma pura nasce sulle tavole di sordidi vaudeville tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Ventesimo secolo, in quella che ancora oggi è la sua patria. Londra, il West End, e di lì a poco dall’altra parte dell’oceano, Broadway e il cinema, gli anni Trenta di Busby Berkeley e le sue fantasmagoriche scenografie e perfette coreografie, sogni per un paese devastato da Wall Street. Ottant’anni e la storia si ripete, al posto di Ginger e Fred c’è Meryl Streep, dall’isola greca di Mamma Mia! ai boschi minacciosi di Into the Woods, metafora dell’America ferita delle Torri Gemelle e della crisi, vittima e carnefice. Eppure tutto passa, cantando e ballando, persino la discriminazione di genere, come accade alle variegate componenti delle Barden Bellas, la band vocale a cappella di Pitch Perfect, il cui seguito arriverà nelle sale italiane il 21 maggio, sempre protagonista Anna Kendrick, che non fa neanche in tempo a smettere i panni di Cenerentola proprio del film di cui sopra. Vivere in una favola, questo in fondo è sempre stato il musical, anche quando il genere ha preso tutt’altra direzione. L’ultimo classico fu Hello, Dolly!, diretto da Gene Kelly (come dire Maradona che fa un film sul calcio), nell’America della contestazione clamoroso fiasco, poi giustamente celebrato da quell’immane capolavoro di WALL-E. Non era una rivolta nei confronti del genere, solo della sua forma, in un decennio in cui Robert Wise aveva fatto incetta di Oscar con West Side Story e Tutti insieme appassionatamente. A indicare nuove strade ci pensano Bob Fosse, con Sweet Charity, Cabaret e All That Jazz, Norman Jewison, che fa di Gesù una Superstar, e i grandi iconoclasti degli anni Settanta. Brian De Palma inventa l’opera rock con quel capolavoro de Il fantasma del palcoscenico, Ken Russell la vira in acido con Tommy. Gli anni Ottanta sono l’anteprima dell’oggi: Saranno famosi, Flashdance, Footloose, Chorus Line, l’importante è sognare, il successo arriverà. Una filosofia che ancora funziona. Il segreto del musical sta nella sua capacità di plasmarsi sui desideri del pubblico rimanendo fedele a se stesso, quando sembra morto, eccoti spuntare un Dirty Dancing o un Chicago che lo riporta in vita, mentre i cinquantenni di oggi ancora ballano Greased Lightning con la sciatica. D’altronde, essere Grizabella la gatta per il tempo di un ricordo, sconfiggere la gravità come la Strega dell’Ovest (a proposito, Wicked è previsto per il 2016, tranquilli): difficile immaginare qualcosa di meglio. Genere crossmediale, dalla televisione con reality di vario genere e serie come Glee, Nashville e, ai videogiochi, perché Guitar Hero e SingStar altro non sono che variazioni sul tema, il musical è vivo, lotta insieme a noi e arriverà dove nessuno è mai giunto prima: il salto mortale cinematografico. Primi indiziati, Billy Elliot e We Want Sex: da commedie sociali a spettacoli di spaventoso successo nel West End, per tornare poi al cinema in questa forma. Incredibile. Roba da musical. Cyd Charisse in Spettacolo di varietà. A destra Billy Elliot. Pagina accanto, Meryl Streep in Mamma Mia! e Pitch Perfect 2 Quello che conta è sognare, il successo arriverà. Una filosofia che ancora funziona aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 27 bonanniversaire 120 ANNI DI CINEMA Era il 1895 e iniziava un’avventura straordinaria. Ripercorriamola insieme, con l’aiuto di critici, studiosi e direttori di festival Foto per gentile concessione del Museo Nazionale del Cinema di Torino aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 29 bonanniversaire dalle origini a oggi Una storia tecnologica Il sonoro, il colore, il panavision, il 16 mm e il digitale: 120 anni di cinema all’insegna dell’innovazione. To be continued… DI ALBERTO BARBERA I l 28 dicembre 2015 ricorrerà il centoventesimo anniversario della nascita del cinema, che si fa coincidere con la prima proiezione pubblica organizzata dai Fratelli Lumière, al Gran Café del Boulevard des Capucines di Parigi. Ma è possibile raccontare la storia dei primi centoventi anni del cinema in altro modo rispetto a quello tradizionale? Oltre che linguaggio espressivo – come tale, appartenente al dominio della storia dell’arte – l’invenzione del Cinématographe fu anche il prodotto di una tecnica che mise a frutto alcuni secoli di ricerche (a partire almeno dall’invenzione della lanterna magica, alla fine del ‘600), intese a dotare di movimento le immagini statiche. La tecnologia, tuttavia, è per sua natura soggetta a continue, repentine e radicali trasformazioni, destinate ad avere una profonda influenza sulla dimensione linguistica e spettacolare del cinema cui si applicano. Raccontare questa vicenda significa ripercorrere 30 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 un’evoluzione non lineare caratterizzata da salti bruschi, discontinuità repentine, innovazioni narrative e formali, rese possibili dai progressi tecnologici. Le prime tre decadi (dalle origini alla fine degli anni ’20) si possono riassumere nella messa a punto di un paradigma linguistico ed espressivo autonomo che, sfruttando la vocazione sincretica del nuovo mezzo, si appropria degli esiti di altri linguaggi artistici – teatro, letteratura, danza, pittura – per dar vita ad un linguaggio autonomo ed originale. Pur entro i condizionamenti imposti dai limiti tecnici del nuovo mezzo, il cinema raggiungerà negli ultimi anni del muto una maturità espressiva pressoché totale e in se stessa compiuta. L’invenzione del sonoro ne mette radicalmente in discussione i codici narrativi ed espressivi. Dopo alcuni anni di palese regressione a forme di emulazione teatrale, il cinema si av- Hugo Cabret di Martin Scorsese. Accanto Tempi moderni di Charlie Chaplin Le sperimentazioni si susseguono senza sosta. Alcune sono destinate a rimanere, altre no aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 31 bonanniversaire silenzio ai cliché via a conquistare la pienezza di un linguaggio creativo che è alla base della cosiddetta età d’oro del cinema classico (dalla seconda metà degli anni ‘30 alla fine degli anni ’50). Le innovazioni e le sperimentazioni tecniche si susseguono tuttavia senza sosta. Alcune saranno destinate a rimanere per sempre, come l’introduzione graduale del colore (grazie all’invenzione del Technicolor), che sostituisce quasi completamente il bianco e nero dopo un ventennio di sostanziale convivenza. Altre, quali i sistemi Vistavision e CinemaScope (che allarga l’inquadratura con l’uso di lenti anamorfiche) sono destinate a confluire nei più moderni sistemi creati dalla Panavision, che conferiscono all’immagine una dimensione molto più grande che in passato, con l’intento iniziale di far concorrenza alle più ridotte proporzioni dello schermo televisivo. Altre ancora, come i primi tentativi abortiti di dar vita ad immagini tridimensionali con il sistema degli occhialini anaglifici, dovranno attendere il digitale per ottenere risultati destinati a durare nel tempo grazie all’innovativa tecnologia 3D basata su lenti (attive o passive) di adeguata efficacia spettacolare. La diffusione delle tecnologie leggere alla fine degli anni ’50 (il 16 mm, l’invenzione dei registratori di suono portatili Nagra, la maggiore sensibilità delle pellicole) favorisce invece in tutto il mondo la nascita delle cosiddette Nouvelles Vagues che, abbandonati i costosi studi di produzione, consentono ai registi di sconfinare in esterni e di realizzare in ambienti reali storie più prossime alla vita quotidiana delle persone, mettendo a frutto l’innovativa lezione del neorealismo italiano. Ma la rivoluzione più profonda è quella digitale. Avviata sul finire del XX secolo e compiuta nel giro di soli tre lustri ai danni dei sistemi analogici di riproduzione delle immagini, ha determinato una fase di straordinaria sperimentazione legata alla creazione di effetti speciali computerizzati e d’inedite modalità narrative, che stanno radicalmente cambiando il modo di concepire, produrre, distribuire e consumare le immagini cinematografiche. Quello che si sta imponendo è un inedito paradigma destinato a conferire al cinema una rinnovata vitalità, che ci auguriamo destinata a durare per molto tempo ancora. 32 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 L’invenzione La biografia del cinematografo è piena di falsità e pregiudizi. A partire dai Lumière, che non credevano nell’avvenire della propria creatura DI ROBERTO NEPOTI senza futuro Il set di Cleopatra. A destra i fratelli Lumière e Viaggio nella luna di Méliès aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 33 bonanniversaire P silenzio ai cliché er decenni le storie del cinema muto (incluse le migliori) hanno accreditato una serie di pregiudizi che sono diventati sapere comune. Che il cinema muto, innanzitutto, fosse davvero muto: mentre era regolarmente accompagnato dalla musica, che ne costituiva parte integrante. Che fosse in bianco e nero: al contrario era policromatico, dipinto fotogramma per fotogramma o colorato 34 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 con filtri. Che fosse “documentario”: invece il primo film proiettato in pubblico, L’uscita dalle officine Lumière (1895), denotava già una regia. Altro luogo comune (Jean-Luc Godard si divertì poi a ribaltarlo, e non solo per il suo gusto dell’iconoclastia) quello di contrapporre il “documentarismo” dei Lumière alla “finzione” di Méliès. Le stesse storie del cinema si preoccupavano inoltre di assegnare una “prima volta” a ogni cosa: vedi, esempio per tutti, i “primi movimenti di macchina” attribuiti all’italiano La caduta di Troia (1911). Etichette a dir poco discutibili, data l’enorme quantità di materiale filmico andata perduta prima che il cinema si scoprisse una vocazione filologica. Però l’errore più grave sarebbe considerare il cinema “sonoro e parlante” come un’evoluzione del cinema “muto”. Certo, il secondo utilizzò largamente le acquisizioni e le competenze linguistiche del primo, perché fu il cinema delle origini a strutturarsi come un linguaggio. Tuttavia “muto” e “sonoro” non sono solo due periodi, bensì due modalità diverse di concepire e fare cinema. Considerato dai suoi padri, i Lumière, “un’invenzione senza avvenire”, il cinema scoprì molto presto la vocazione a raccontare storie. Non disponendo dello strumento della parola, i film dei primi decenni dovettero o narrare vicende già largamente note al pubblico (non a caso il soggetto più spesso messo in immagini era la vita di Gesù Cristo) o dotarsi di didascalie (che entravano a buon diritto a far parte del testo filmico: vedi l’estetica del lettering nei film espressionisti); ma soprattutto dovettero trovare gli strumenti espressivi per mostrare, o suggerire, quel che la parola si sarebbe limitata a enunciare. È proprio perciò che l’introduzione della parola nel film fu percepita dai maestri dell’epoca (Ejzenštejn, Chaplin...) come una minaccia alla creatività linguistica del cinema; ed è per lo stesso motivo se alcuni, come il genio del comico Buster Keaton, dovettero soccombere al depauperamento espressivo provocato dal sonoro. Il cinema muto fu grande, a volte perfino smisurato: come nei kolossal storici che videro la luce in Italia a pochi anni dalla nascita di quella che Pudovkin chiamò “la settima arte” (Quo Vadis?, Cabiria, che con Maciste/Bartolomeo Pagano inaugurò il divismo cinematografico) e dai quali Hollywood avrebbe tratto lezioni fondamentali. Da quel debutto nel 1895 (occasione in cui, CIÒ CHE È AVVENUTO IN POCO PIÙ DI UN SECOLO NON HA PERFEZIONATO L’ARTE. SEMPLICEMENTE L’HA PERPETUATA secondo un’altra favola accreditata dalle storie del cinema, gli spettatori sarebbero stati presi dal panico all’Arrivo del treno alla stazione di La Ciotat) al cinema bastano meno di trent’anni per diventare un linguaggio completo e ammirevole. Quel che è seguìto nel quasi-secolo successivo non è stato un completamento e meno ancora un perfezionamento. Sonoro o a colori, dotato di schermi panoramici, effetti speciali o 3D (e immaginiamo anche di laser, periodicamente richiamato in causa dai futurologi), consumato nelle sale Imax o sullo schermo di un computer, il cinema (meglio: “i” cinema, muto e sonoro) resta sostanzialmente lo stesso; come resta, in ultima analisi, invariata quella macchina percettiva e affettiva che è il suo spettatore. Il monello di Chaplin. Dall'alto, Tabù di Murnau, il regista Ejzenštejn. Pagina accanto Buster Keaton aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 35 bonanniversaire l’eccellenza perduta L’Italia che parlò il muto Prima che gli americani inventassero lo star system, era il cinema tricolore a conquistare il mondo con i suoi spettacolari colossi storici DI GIULIANA MUSCIO 36 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 D urante il “cinema muto” si sviluppano i modelli industriali e culturali delle cinematografie nazionali, così diversi tra loro da sembrare tali per natura e che seguono invece un percorso storico ben tracciabile. Il cinema americano è frutto di un’imprenditoria avanzata (Edison con il Trust costruito intorno ai suoi brevetti industriali) ma è pensato per un consumo popolare (nelle fiere e poi nei nickelodeon, ovvero negli stanzoni sovraffollati di immigrati, a cinque centesimi a spettacolo), mentre il cinema europeo nasce coi fratelli Lumière, imprenditori moderni che propongono la loro invenzione al caffè, sui Maciste alpino. Sopra Intolerance di Griffith e a sinistra Cabiria di Pastrone aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 37 bonanniversaire l’eccellenza perduta boulevard, per la buona borghesia. In Italia il cinema è hobby costoso di aristocratici oppure investimento di banche improvvide. I quarti di nobiltà del cinema italiano, ancorché altisonanti, creano uno scarto immediato tra il progetto imprenditoriale commerciale e popolare caratteristico del cinema americano e quello borghese con aspirazioni artistiche del cinema europeo (in particolare francese) che spopola anche nei nickelodeon americani, come ha raccontato Richard Abel in Red Rooster Scare, rivelando un primato franco-italiano sul mercato cinematografico mondiale, che la storia – scritta sempre dai vincitori, quindi da Hollywood – ha cancellato. Il primato italiano stabilito nel 1908 con lo spettacolare Gli Ultimi giorni di Pompei dall’Ambrosio, e stabilizzato tra il 1911 e il 1914, coincide con il primo snodo fondamentale nella storia del muto, ovvero il passaggio dai film brevi, di qualche decina di minuti, al lungometraggio. Mentre Cabiria. In alto la diva del muto Lillian Gish. A destra, dall'alto: Gli ultimi giorni di Pompei e una scena di Maciste alpino. In basso la vamp Asta Nielsen 38 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 Griffith girava ancora per la Biograph corti in due bobine, il cinema italiano, incoraggiato dai suoi titolati produttori a mostrare patenti di artisticità, affrontava racconti sempre più complessi, dall’Inferno dantesco al colosso storico, come La Gerusalemme liberata, Quo vadis? (Guazzoni) e Spartacus. Infatti il colosso storico, che oggi associamo alla megalomania hollywoodiana, nasce invece in Italia, in quanto i produttori erano alla ricerca di un prodotto artistico, di qualità visiva e letteraria, che legittimasse la cultura di cui erano portatori e magari divulgasse l’idea di una cultura nazionale, sia figurativamente che ideologicamente fondata sui fasti del passato. La nascita del colosso storico coincide inoltre con la conquista della Libia ovvero con il sogno coloniale e rispolvera i miti della romanità, fasci inclusi, che poi diverranno l’iconografia del fascismo. Caso esemplare Cabiria (Pastrone, 1914) che inventa uno dei più efficaci eroi dello schermo, il I NOSTRI PRODUTTORI VISIVA E LETTERARIA, ERANO ALLA RICERCA DI UN’OPERA ARTISTICA, DI QUALITÀ CHE LEGITTIMASSE LA CULTURA DI CUI ERANO PORTATORI forzuto Maciste, schiavo numida che salva la fanciulla romana rapita dai cattivi cartaginesi (nordafricani). L’iconografia del film si ispira alle scoperte archeologiche dell’epoca e alla loro musealizzazione, oltre ad attingere alla pittura di genere, fiorita intorno agli scavi di Pompei all’interno del movimento simbolista. Le didascalie di Cabiria, firmate dal vate D’Annunzio, hanno una dignità letteraria non provinciale che impressiona gli americani stessi (Anita Loos le studia per scrivere Intolerance per Griffith). Il cinema italiano conta inoltre sulle dive, in un embrionale star system che si sviluppa a partire dal divismo della lirica facendosi però ben presto moderno per l’impatto sul costume e sulla moda. I ricchi aristocratici girano dunque i film muti nelle loro ville, con i loro arredi raffinati, contando sull’appeal delle dive, che spesso sono le loro mogli. Mentre il cinema americano continua ad usare fondali dipinti, il cinema italiano vanta scenografie accurate quanto fastose, oltre a utilizzare spazi reali, dai castelli ai ruderi di varie epoche, sfruttando negli esterni la varietà del paesaggio o pittoreschi spazi urbani (Assunta Spina). Anche i nordici avevano cominciato a sviluppare un loro divismo con la vamp Asta Nielsen e a puntare sul lungometraggio, in film di interesse sociale o psicologico (Ibsen viene adattato prestissimo), mentre i francesi spopolavano con le serie sia avventurose che comiche. Nel frattempo, il cinema americano abbandona la costa Est per trasferirsi nell’assolata California, dove peraltro non sono attivi i sindacati e, con un colpo di mano, muta leadership, con gli imprenditori del Trust scavalcati dagli immigrati, ovvero dai cosiddetti Indipendenti, che diventano il nucleo intorno al quale si sviluppano le majors. In epoca classica danno vita allo Studio System, un monopolio verticale (produzione, distribuzione, esercizio) accompagnato da un sistema di contratti che costituisce la base industriale di un colosso mediatico tuttora dominante. L’altro snodo significativo è infatti la prima guerra mondiale: gli americani invadono gli schermi del pianeta, mentre gli europei, in sofferenza dopo il conflitto, perdono terreno e si identificano con importanti sperimentazioni artistiche (impressionismo, espressionismo sovietico) mentre il cinema italiano arranca perché il nostro movimento artistico autoctono e precoce – il futurismo – non trova adeguata espressione nel cinema. Tra il 1922 e l’avvio del sonoro, la produzione cinematografica italiana si azzera, mentre nelle sale domina incontrastata Hollywood. aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 39 bonanniversaire la lingua universale Gene Kelly in Cantando sotto la pioggia. A destra Bogart e la Bergman in Casablanca e Gloria Swanson in Viale del tramonto L’età dell’oro Arriva il sonoro e Hollywood impone la sua voce al mondo: si codificano i generi, nasce lo star system, il cinema americano diventa “classico” DI ORIO CALDIRON 40 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 a tutto il mondo. Sono soprattutto i generi, con le loro forti scansioni spettacolari e le singolari capacità di assecondare le attese degli spettatori, a svolgere un ruolo determinante in un’epoca in cui anche l’autore più geniale deve fare i conti con le regole dell’azienda e nessuno può infischiarsene dei risultati del box office. Il genere più nuovo è il musical che senza il sonoro non ci sarebbe neppure. S’impongono le composizioni geometriche dei balletti e le spericolate angolazioni S ospeso tra muto e sonoro, melodramma e musical, risultato e progetto, Il cantante di jazz (1927) di Alan Crosland, il primo talkie, sembra fatto apposta per incarnare la svolta della fine degli anni venti destinata a cambiare il corso del cinema. Nessuna delle grandi case se l’era sentita di investire su sistemi pioneristici considerati toppo costosi. Soltanto la Warner Bros. in piena crisi decide che le conviene rischiare. La scommessa è quasi un salto nel vuoto se Sam Warner, uno dei titolari, per lo stress muore d’infarto il giorno prima della prima. Il successo della storica proiezione del 6 ottobre 1927 al Warners’ Theatre convince anche i più scettici. La storia del giovane ebreo Jakie Rabinowitz, il figlio del cantante di sinagoga che scappa di casa per sfondare a Broadway, commuove quasi come un rito di passaggio il pubblico segnato dai grandi flussi migratori delle più diverse etnie. Non importa che i dialoghi siano pochissimi e ancora molte le didascalie. La perfetta sincronizzazione della musica decreta il trionfo del film. Soprattutto quando Al Jolson inginocchiato, le braccia protese verso gli spettatori, canta My Mammy il pubblico impazzisce. Naturalmente non ci si può aspettare che la rivoluzione tecnica corrisponda subito alla rivoluzione estetica. Soltanto nei decenni successivi – i mitici trenta e quaranta – il cinema americano raggiunge la maturità, in bilico tra autore e artigianato, routine e trasgressione, prototipo e serie. Il cuore del sistema, anzi dello Studio System, è la codificazione dei generi che si vengono definendo nella stagione d’oro della fabbrica dei sogni. La macchina hollywoodiana raggiunge il massimo della popolarità e conquista in modo irreversibile il pubblico americano e internazionale, imponendo miti di consolazione e modelli di comportamento della macchina da presa di Busby Berkeley, ma quando nella magia del bianco e nero irrompono Fred Astaire e Ginger Rogers abbiamo l’impressione di entrare nello spazio privilegiato del mito. Nella sala del Casinò di Venezia, Fred invita a ballare guancia a guancia la riluttante Ginger. Cheek to Cheek è il momento clou di Cappello a cilindro (1935) di Mark Sandrich, uno dei musical più belli degli anni trenta che sull’onda delle melodie di Irving Berlin riesce a LA FABBRICA DEI SOGNI RAGGIUNGE IL MASSIMO DELLA POPOLARITÀ IMPONENDO MITI DI CONSOLAZIONE E COMPORTAMENTO aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 41 bonanniversaire la lingua universale trasformare in musica e danza la stereotipata artificiosità della trama. Se l’erotismo del musical è di solito astratto, qui la passione s’impone sull’eleganza formale anche attraverso la sensualità dei passi. Nel crescendo della melodia sembra di assistere a una scena di seduzione. La commedia sofisticata è il genere che beneficia maggiormente della conquista della parola, ma anche le lacrime del melodramma hanno assolutamente bisogno delle dichiarazioni verbali, delle confessioni del cuore. Se il mappamondo dell’inizio di Casablanca (1942) di Michael Curtiz gira fino a inquadrare Parigi e poi Lisbona, centro dell’imbarco per l’America, i meno fortunati aspettano Una delle memorabili performance di Fred Astaire in Sua altezza si sposa di Stanley Donen 42 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 i visti per potersene andare. Solo alla fine si capisce che il sacrificio di Humphrey Bogart corrisponde alla necessità dell’intervento americano nella seconda guerra mondiale. “È un colpo di cannone o è il mio cuore che batte?”, si chiede Ingrid Bergman. Nonostante il richiamo struggente di As Time Goes By, nel rapporto tra pubblico e privato prevale l’urgenza del momento storico che risolve le difficoltà sentimentali del melodramma, uno dei maggiori di tutti i tempi. Il cinema americano degli anni cinquanta torna a più riprese sul proprio passato, s’interroga sul passaggio epocale dal muto al sonoro. Viale del tramonto (1950) di Billy Wilder mette in scena Gloria Swanson, la revenante che vive nella casa-museo dove cerca di rinascere cannibalizzando lo sceneggiatore William Holden. Solenne come un rito funebre, lascia sospeso il giudizio sul presente. Cantando sotto la pioggia (1952) di Stanley Donen rivisita il luogo del delitto, la storica prima dell’autunno 1927 in cui tutto è cominciato. Animato dall’energetico vitalismo di Gene Kelly, guarda con ironia al parlato degli inizi per vedere meglio nel futuro. Racconta il decollo del sonoro, ma allude all’arrivo della televisione che già comincia a sottrarre spettatori alle sale e nel giro di qualche anno segnerà la crisi di Hollywood e di una stagione irripetibile del cinema. Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali LA GRANDE CONVENTION D E L L’ I N D U S T R I A C I N E M A T O G R A F I C A 5A EDIZIONE G I O R N AT E E S T I V E D I C I N E M A • Le presentazioni dei listini e le convention delle società di distribuzione PA L A Z ZO D E I C O N G R E S S I - R I C C I O N E • Le novità tecnologiche, i prodotti e i servizi per l’industria cinematografica nell’area espositiva del Trade Show • Le anteprime, i trailer e le anticipazioni dei film in uscita • I workshop e i convegni formativi • Le premiazioni, gli eventi speciali e una sezione speciale per il pubblico • Gli incontri con i protagonisti del cinema italiano e... tanto altro! 30 GIUGNO - 3 LUGLIO 2015 ISCRIVITI ENTRO IL 19 APRILE E L’ACCREDITO È SCONTATO FINO AL 50% PRENOTA IL TUO STAND ENTRO IL 30 APRILE PER SCONTI ED AGEVOLAZIONI www.cinegiornate.it UNA PRODUZIONE DI SEGRETERIA ESPOSITIVA bonanniversaire senza frontiere Far, Far West Da Ford al nuovo Tarantino, l’epopea di cowboy, pionieri e indiani ha sempre avuto bisogno di spazio e di lontani orizzonti. Per questo è stato inventato il CinemaScope DI BRUNO FORNARA 44 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 Qui e accanto Marilyn Monroe in La magnifica preda ’ L antidigitale Quentin Tarantino sta girando in 70 mm il western The Hateful Eight, ambientato in Wyoming, terra di western, nei primi anni dopo la guerra civile, epoca di western, con otto cacciatori di taglie che si rifugiano in un piccolo emporio durante una tempesta di neve, tipica situazione da western di montagna, e vivono una vicenda di tradimenti, noto tema western che ci porterà a chiederci se riusciranno a sopravvivere, domanda molto western. Il western ha sempre amato i lontani orizzonti, le mandrie di mucche, le cavalcate dei fuorilegge in fuga, l’avanzare ordinato dei cavalleggeri in doppia fila. Ha prediletto deserti, praterie e montagne nelle larghe inquadrature in CinemaScope che aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 45 bonanniversaire senza frontiere disanamorfizzavano (!) l’immagine deformata sulla pellicola proiettandola nelle proporzioni di 2,35 a 1 (fino anche a 2,55 e 2,66). Per questo Tarantino usa il glorioso – lui dice “breathtaking”, che toglie il respiro – CinemaScope in 70 mm perché il western ha bisogno di spazio, nel fotogramma e sullo schermo. Il western sta dalla parte della wilderness. Anche quando la vicenda si svolge tra l’ufficio dello sceriffo e il saloon (Un dollaro d’onore), il mondo al naturale è pur sempre là fuori, appena oltre l’ultima casa della cittadina. Compiti dell’uomo americano sono stati l’avanzamento della frontiera mobile verso l’Ovest e la trasformazione del deserto e della wilderness in giardino. Ma il western è della wilderness che ha sempre bisogno, è lì che la natura si mostra e l’uomo può muoversi senza confini o può rimpiangere di non poterlo più fare. Nel Cavaliere della valle solitaria di George Stevens, Shane (Alan Ladd) arriva alla casa del colono Joe Starrett (Van Heflin). Gli chiedono dove stia andando. Lui risponde da westerner senza confini: “Vado a Nord...”. Ecco: il genere ha bisogno di spazi simbolici e iperbolici, terre promesse, giardini dell’Eden, luoghi dove valgono solo i punti cardinali. Lo sfondo naturale sta dietro all’azione ma le dà il senso di una produzione simbolica che trasforma in protagonista l’uomo a cavallo, lo sceriffo con la stella, il colono sul carro in cerca di una fertile valle. Poi, quando il western si fa autunnale, lo sfondo naturale diventa nostalgia struggente, paradiso perduto, rammarico e consapevolezza. Lo scope sa esaltare questo spazio nella sua obiettività e nella sua vocazione emotiva ed emblematica. Il primo film in scope è La tunica di Henry Koster, del 1953. L’anno successivo arrivano i primi western nel nuovo formato. In La magnifica preda, titolo originale River of No Return, lo scope è usato al di sotto delle possibilità. C’è qualche bella inquadratura di paesaggio, ma in questo unico western di IL WESTERN STA DALLA PARTE DELLA WILDERNESS : È LÌ CHE LA NATURA SI MOSTRA E L’UOMO PUÒ MUOVERSI SENZA CONFINI 46 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 John Wayne in L'uomo che uccise Liberty Valance. Sopra Sentieri selvaggi e Gary Cooper in Vera Cruz Otto Preminger, che segue Robert Mitchum e Marilyn Monroe su una zattera lungo le rapide di un vorticoso fiume, molte sequenze furono girate in studio con l’uso del trasparente e con i collaboratori del regista che gettavano, dal fuoricampo, secchiate d’acqua sulla coppia e sul figlio di lui. Anche nel chiuso melodramma La lancia che uccide di Edward Dmytryk lo scope non può essere usato al meglio. È in Vera Cruz di Robert Aldrich, con Ernest Laszlo direttore della fotografia, che lo scope risplende per tutto il viaggio con la carrozza e con l’oro, trova vigoria nelle scene di battaglia, rende sfolgorante il sorriso di Burt Lancaster. Ugualmente utile è lo scope in Giorno maledetto di John Sturges con Spencer Tracy, in originale Bad Day at Black Rock (1955). Film stringato e teso, con una decisa intonazione di civile moralità, con lo scope che, nella fotografia di William C. Mellor, fa dello spoglio paesaggio una presenza autorevole e drammatica. Interessante è seguire il percorso di alcuni grandi registi. Anthony Mann gira - tra il 1954 e il 1955 - il picaresco Terra lontana senza scope, che invece usa al meglio per i paesaggi del New Mexico di L’uomo di Laramie e per L’ultima frontiera, così come la fotografia di Ernest Haller contribuisce all’ottimo risultato di Dove la terra scotta (1958). John Ford è più diffidente: non usa lo scope in uno dei suoi più alti risultati, Sentieri selvaggi (1956), e neppure nei successivi Soldati a cavallo (1959), I dannati e gli eroi (1960) e Cavalcarono insieme (1961). Nel mastodontico e plurale La conquista del West (1962) gira invece in Cinerama quel tragico, piccolo episodio sulla battaglia di Shiloh. Poi lascia lo scope per L’uomo che uccise Liberty Valance, sempre del 1962, memorabile riflessione sul tema wilderness/legge/democrazia, e non usa lo scope neppure nel suo western indiano di viaggio e di paesaggi Il grande sentiero (1964), in originale Cheyenne Autumn. È già arrivato l’autunno. Sam Peckinpah ha già filmato in scope, nel 1962, in Sfida nell’Alta Sierra, il romantico e malinconico duello finale con il sole al tramonto sui suoi attempati e stanchi eroi, l’idealista Joel Mc Crea e il pragmatico Randolph Scott. Un duello sotto lo sguardo di un amorevole CinemaScope è – forse – meno doloroso. Dall'alto Burt Lancaster e Gary Cooper in Vera Cruz, Quentin Tarantino, James Stewart e Debbie Reynolds nella Conquista del West aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 47 bonanniversaire l’ondata europea Nel 1959, con I quattrocento colpi, nasce il movimento artistico che avrebbe cambiato per sempre la settima arte. Dalla Francia agli Stati Uniti DI EMANUELA MARTINI Le Nouvelles Vagues 48 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 I ‘‘ l film di domani mi appare ancora più personale di un romanzo, individuale e autobiografico come una confessione o un diario intimo. I giovani cineasti si esprimeranno in prima persona e ci racconteranno vicende da loro vissute: potrà essere la storia del loro primo amore o dell’ultimo, della loro presa di coscienza politica, un racconto di viaggio, una malattia, il loro servizio militare, il loro matrimonio, le loro ultime vacanze, e questo piacerà quasi per forza, perché sarà vero e nuovo. Il film di domani non sarà realizzato da funzionari della macchina da presa, ma da artisti per i quali girare un film è un’avventura formidabile ed esaltante. Il film di domani sarà un atto d’amore”. Lo scriveva, nel 1957 su “Arts”, un critico venticinquenne molto agguerrito, già regista di alcuni cortometraggi: François Truffaut, che nel 1959, con I quattrocento colpi (premio alla regia al Festival di Cannes, che fu scosso anche dallo “scandalo” di Hiroshima mon amour di Alain Resnais), avrebbe ufficialmente inaugurato la Nouvelle Vague, il più meditato e denso dei tanti movimenti che cambiarono la faccia del cinema tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Settanta. I giovani cineasti francesi erano tanti, erano bravi, erano stati critici militanti (soprattutto sui “Cahiers du cinéma”, fondati nel 1950 da André Bazin, teorico della “politique des auteurs”), conoscevano il cinema del passato (che scoprivano alla Cinémathèque Française di Henri Langlois, luogo di dibattiti infiniti) e difendevano i loro numerosi amori, la durezza e la velocità del cinema americano di genere, la purezza e la profondità di maestri dallo spirito indipendente. Si chiamavano Truffaut, Resnais, Jean-Luc Godard, Claude Chabrol, Jacques Rivette, Eric Rohmer, Agnès Varda, Chris Marker, teorizzavano le possibilità infinite offerte da un cinema più “leggero” e arioso, girato a costo contenuto, talvolta in 16 mm, spesso all’aperto e a luce naturale, sconvolgevano i canoni espressivi tradizionali (dal montaggio all’angolo delle riprese), osavano quell’imperfezione che avevano visto balenare in certi film come segno di rottura rispetto all’immobile reiterazione dell’odiato “cinema di papà”, costruito a tavolino negli studi. aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 49 bonanniversaire l’ondata europea François Truffaut sul set del Ragazzo selvaggio. Sotto un giovane Jean-Luc Godard. E nella pagina precedente una scena di Jules et Jim e ancora Truffaut 50 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 In realtà, i giovani della Nouvelle Vague avevano colto e organizzato in un discorso critico e operativo sistematico gli spunti che trapelavano in tutto il mondo da qualche anno, a partire dal neorealismo italiano e soprattutto dall’opera di Roberto Rossellini, che nel 1945 aveva girato Roma città aperta senza soldi, con tre tipi diversi di pellicola (spesso di scarto), molti attori non professionisti, per strada. Era la realtà della guerra che invadeva sgranata lo schermo. Ed era stata la realtà di Coney Island e Brooklyn che avevano cercato, nel 1953, Morris Engel, Ruth Orkin e Ray Ashley, con una macchina da presa 35 mm leggera, a spalla, inventata dall’amico fotografo di guerra Charles Woodruff. Nasce Il piccolo fuggitivo, modello non solo per Truffaut e Godard, ma anche per tutti i “movimenti” che si succedono nel cinema americano, dal solitario esplosivo debutto di John Cassavetes, nel 1959, con Ombre (girato a New York con 15.000 dollari, in 16 mm, poi gonfiato in 35), alle esperienze del New American Cinema Group di Jonas Mekas, Shirley Clarke, Robert Frank, Stan Brakhage, Gregory Markopoulos e gli altri (fino a Andy Warhol), sospesi tra la rivendicazione di una libertà espressiva e distributiva alternativa alla macchina hollywoodiana e il richiamo alle avanguardie storiche europee. Lo stile è diretto, la gente è vera, le storie si liberano delle imposizioni di sceneggiature di ferro, si colgono l’attimo, gli umori che cambiano, l’insofferenza quotidiana, il primo insorgere della politica come Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg in Fino all'ultimo respiro. Sotto Anna Magnani elemento fondante della vita di ciascuno (e questa, per il cittadino americano, è una svolta radicale). Ed era stata la realtà di una Londra proletaria e suburbana o di una domenica in un parco divertimenti popolare che avevano raccontato fin dall’inizio degli anni Cinquanta i giovani cineasti e critici britannici raggruppati intorno alla rivista “Sequence” (fondata a Oxford nel 1946), nella quale fu coniata l’espressione Free Cinema, per indicare i film caratterizzati dall’uso personale ed espressivo del mezzo. Il gruppo, formato da Lindsay Anderson, Karel Reisz, Tony Richardson, esce allo scoperto all’inizio di febbraio del 1956, con un programma di cortometraggi presentato al National Film Theatre, nel quale definiscono i loro film liberi, “una sfida all’ortodossia”, cui seguiranno altri cinque programmi, che comprendono anche i primi lavori degli svizzeri Alain Tanner e Claude Goretta, di Truffaut, Chabrol, Polanski e Borowczyk, fino al 1959, anno in cui il Free Cinema passa al lungometraggio, con I giovani arrabbiati di Richardson. Girati per lo più in 16 mm, spesso prodotti dal British Film Insitute, O Dreamland ed Every Day Except Christmas di Anderson, Momma Don’t Allow di Reisz e Richardson, Together di Lorenza Mazzetti, Siamo i ragazzi di Lambeth di Reisz modificano radicalmente l’immagine di sé che l’Inghilterra ha dato negli ultimi anni: i giovani, i teddy boys, i locali notturni periferici, le marce contro il nucleare, il “popolo” inglese, diventano i soggetti della nuova narrazione che mette il cinema alla pari con la storia di un paese il cui assetto culturale e politico si sta letteralmente ribaltando (l’Impero è caduto con la crisi di Suez del ‘56, in letteratura e teatro sono esplosi gli “angry young men”, gli immigrati rivendicano i loro diritti, di lì a poco arriveranno i Beatles, i Rolling Stones e la minigonna di Mary Quant). Il 1956 è un anno chiave anche per un’altra vasta parte d’Europa: si tiene infatti in quell’anno il XX Congresso del Partito TUTTI SONO ALLA RICERCA DI UN MONDO NUOVO E DI UN MODO DIVERSO DI ESPRIMERE LE LORO EMOZIONI Comunista Sovietico, nel quale il segretario Nikita Kruscev annuncia la destalinizzazione e l’inizio del “disgelo”. Per quanto contraddittorio (proprio nel ‘56 l’Urss invade l’Ungheria), è un periodo segnato dalle fibrillazioni del rinnovamento: in Polonia, esordiscono Andrzej Munk, Wojciech Has, Jerzy Kawalerowicz, Andrzej Wajda e, negli anni Sessanta, Roman Polanski e Jerzy Skolimowski; in Cecoslovacchia nasce la Nova Vlná (la nuova ondata), con Milos Forman, Vera Chytilová, Jirí Menzel; in Ungheria si affermano Miklós Jancsó, István Gaál, András Kovács, István Szabó. Toni, stili, linguaggi differenti, dalla vena surrealista dei cecoslovacchi e di Polanski e Skolimowski alle potenti metafore di Jancsó e Has al pessimismo romantico di Wajda: ma tutti questi autori sono comunque alla bonanniversaire l’ondata europea ricerca di un mondo nuovo e, soprattutto, di un modo diverso di esprimere le loro emozioni e la loro insofferenza rispetto a culture e stili di vita che non li rappresentano più. In Italia, la famiglia esplode con I pugni in tasca di Marco Bellocchio, gli ideali si incrinano con Prima della rivoluzione di Bernardo Bertolucci, i sottoproletari impongono la loro disarmonia con Accattone di Pier Paolo Pasolini. In Spagna, Carlos Saura racconta il franchismo morente con La caccia. In Brasile l’estetica della fame di Glauber Rocha e Ruy Guerra, tra simbolismo e realismo, impone il Cinema Nõvo, mentre in Argentina, in Bolivia, a Cuba, Fernando Solanas e Octavio Getino (La hora de los hornos), Jorge Sanjinés (Revolución), Tomás Gutiérrez Alea (Memorie del sottosviluppo) raccontano tra documentario e ballata la storia e le condizioni miserevoli dei loro paesi. Il 28 febbraio del 1962, ventisei cineasti tedeschi (tra i quali Alexander Kluge ed Edgar Reitz) firmano un breve testo che dice: “Anche in Germania il cortometraggio è diventato la scuola e il campo di sperimentazione per i film. Noi dichiariamo di voler creare il nuovo film tedesco a soggetto. Questo cinema ha bisogno di nuove libertà: deve essere liberato dalle convenzioni, dalla commercializzazione, dalle tutele finanziarie. Abbiamo idee concrete, sul piano intellettuale, estetico ed economico. Insieme siamo pronti a sopportare i rischi economici. Il vecchio cinema è morto, crediamo in quello nuovo”. È il “Manifesto di Oberhausen”, l’avvio per la rinascita del cinema tedesco, che si prolunga fino agli anni Ottanta con il lavoro di Herzog, Fassbinder, Schroeter, Wenders. È l’ultimo dei grandi movimenti di rinnovamento, insieme alla New Hollywood che, dalla metà degli anni Sessanta per circa un decennio, stravolge le regole, i miti, i volti del cinema americano, ancora una volta “alleggerendo”, rubando alla strada, alla vita, ai sogni, alle inquiete esperienze di una generazione inquieta che, quasi contraddittoriamente, si ritrova poi (con Spielberg, Lucas, Scorsese, Coppola, Cimino, De Palma, e con i due grandi maestri più “maturi”, Robert Altman e Sam Peckinpah) a rifondare Hollywood. Tutti loro, come ha detto Godard, si erano trovati “all’ora giusta”. Dall'alto, Ombre di John Cassavetes, Pier Paolo Pasolini, Jean-Pierre Leaud nel Vergine di Skolimowski, Roman Polanski, I pugni in tasca e una scena di Prima della rivoluzione 52 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 Elio Germano Palomar e Rai Cinema presentano il giovane favoloso un film di Mario Martone “Un film bellissimo, uno dei più straordinari e originali di Martone, una storia che ne contiene molte altre” La Repubblica “Elio Germano in un’intensa prova d’attore” Corriere della Sera “Grazie Martone per questo Leopardi” La Stampa IN VENDITA IN DVD E BLU-RAY DISC DAL 16 APRILE PER VISUALIZZARE I CONTENUTI EXTRA DEL FILM SCARICA L'APP DI AR-CODE E INQUADRA L'IMMAGINE bonanniversaire oltre lo schermo Effetto digitale Il computer ha cambiato la natura dell’immagine, l’industria del film e le modalità di fruizione. Ma la vera rivoluzione è ancora di là da venire DI GIANLUCA ARNONE C he le immagini potessero essere catturate da un fascio di elettroni è una scoperta che dobbiamo a un elettricista, Philo Farnsworth. Era il 1921 e l’uomo sarebbe morto prima di vederne l’applicazione sul campo. Le immagini animate vengono tracciate nel 1967, mentre per i primi test sul digitale bisogna aspettare Il mondo dei robot di Michael Crichton (1973). Nel 1977 George Lucas sperimenta in Guerre stellari l’introduzione di immagini di sintesi su pellicola. Nel 1979, per Star Trek 2, viene formata la primissima squadra di computer graphics. Con Terminator 2 (1991), James Cameron ne sviluppa le potenzialità 54 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 creative. La rivoluzione del digitale è soft. La sua storia non travolge la storia del cinema, ma l’accompagna, in punta di piedi. A differenza del sonoro, istituisce un nuovo paradigma visivo senza fretta né clamori. Ora che è sotto gli occhi di tutti, si ha il sospetto che non ci abbia ancora fatto vedere tutto. Dal punto di vista estetico, certamente. L’industria finora ha optato per una sperimentazione al ribasso. Nonostante lo sforzo di pionieri quali Spielberg, Zemeckis, Cameron, gli effetti speciali del digitale sono stati usati soprattutto per rafforzare l’impressione di realtà delle immagini. Il primato dell’occhio e l’eredità del realismo hanno fatto sì che le nuove immagini generate e assemblate al computer finissero semplicemente per sostituire quelle vecchie “impresse” su pellicola. Suscitano certamente ammirazione i dinosauri ricreati digitalmente da Spielberg in Jurassic Park (1993) o i vichinghi di Zemeckis in Beowulf (2007), vero e proprio salto in avanti delle performance motroniche (è la tecnologica che consente di trasdurre le azioni di attori in carne e ossa nei loro omologhi virtuali). Tuttavia, è un salto evolutivo che avviene IN FUTURO, SECONDO ALCUNI, IL CINEMA RIUSCIRÀ A SIMULARE IL MODO IN CUI NOI VEDIAMO CON IL CERVELLO nel recinto protetto del cinema istituzionale, laddove il digitale non supera ma “assiste” il vecchio film analogico: gli impresta il nome, gli regala l’effetto, ne taglia i costi. Un tempo sarebbero stati impiegati robot e macchinari ingombranti, make-up, costumi e scenografie. Oggi il digitale ricrea ex novo tutto questo, risparmiando su materiali e maestranze. Si spinge più in là Cameron, che con Avatar dimostra come sia possibile coniugare tradizione mitopoietica e immaginazione creativa offrendo un’esperienza immersiva (il 3D) senza precedenti. Ma è un maestro come Kurosawa a mostrarci in Sogni (1990) l’implicita vocazione della computer grafica a trattare il fotogramma come un dipinto e l’inquadratura come un quadro. L’immagine digitale, non riferendosi più a qualcosa che gli sta davanti (il pro-filmico) o la travalica (il fuoricampo), è fondamentalmente auto-genetica e autoreferenziale, come la tela che il pittore va riempiendo. “La coloritura di un pixel – scrive Antonio Costa ne Il cinema e le arti figurative – è più vicina alla stesura di una campitura di colore di quanto non lo sia la ripresa cinematografica d’un paesaggio”. Il che ci riporta anche al cinema delle origini dove i fotogrammi venivano dipinti a mano. Inoltre, rispetto agli automatismi del procedimento analogico (la ripresa con la mdp), l’autore di un’immagine digitale è più responsabile delle sue creazioni. Peccato che questa responsabilità sia stata spesso appaltata dagli studios in funzione del massimo realismo ottico o della riconoscibilità del brand (esiste un preciso figurativismo Disney, Pixar o DreamWorks). Se non altro la dicotomia analogico/digitale ha nutrito tutta una generazione di cineasti – i postmoderni à la Tarantino – che ha giocato apertamente con i meccanismi veritativi del film e ha ridato linfa a un filone, la fantascienza, che sembrava essersi eclissato con la guerra fredda: i vari Matrix, eXistenZ, Minority Report sono popolati di doppi, cyborg, simulacri, che riflettono la confusione di biologico e artificiale. Più feconde e promettenti sono però le ricadute socioeconomiche della digitalizzazione, dalla convergenza trans-mediale che fa viaggiare il film da un supporto all’altro, alla disponibilità di tutta una serie di dispositivi di “ripresa” leggeri, economici e facili da usare, che costituiscono oggi una risorsa fondamentale per filmaker e autori “off”. Infine, c’è tutto un mondo accademico che ha ripreso a ragionare sul cinema da quando il digitale ne ha cambiato i connotati: se da un lato la scomparsa del “mondo vero” nella fantasmagoria dell’algoritmo ha ridato fiato ai cantori del catastrofismo – quelli che l’immagine digitale è diabolica – dall’altro ha suscitato sforzi di immaginazione fino a ieri impensabili. Studiosi come Weibel, Manovich, De Rubeis o Zeki, ancorano la riflessione sul digitale ai recenti studi sui meccanismi “neuronali” della visione, ipotizzando uno scenario in cui il cinema del futuro sarà in grado di simulare il modo in cui vediamo non con gli occhi, ma con il cervello. Blade Runner. Sopra Beowulf, a sinistra Avatar e un artwork di Terminator aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 55 RITRATTI di Orio Caldiron Tra i più iconici “cattivi” del grande schermo, Steiger. È stato Napoleone, Mussolini, Al Capone. E non solo See you later, Rod 56 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 S In apertura Rod Steiger nel ritratto di Marco Letizia. Sopra in L'uomo illustrato di Jack Smight e la figura tarchiata, il collo taurino, l’aspetto rude sembravano destinarlo ai ruoli di fianco e non a quelli dei protagonisti di bell’aspetto, Rod Steiger è riuscito a diventare uno dei più riconoscibili cattivi del cinema americano, incarnando con la sua prepotente fisicità il peggior cinismo del “secolo breve” in una galleria di duri incorreggibili, dal serial killer psicopatico al terrorista spietato, senza contare Napoleone e Mussolini. Nasce a Westhampton nello Stato di New York il 14 aprile 1925 da una coppia di attori di vaudeville che presto si lasciano. Dopo un’infanzia difficile, a quindici anni scappa di casa per arruolarsi in marina, combattendo nel Pacifico. Nel dopoguerra si stabilisce a New York, dove lavora presso l’associazione reduci e frequenta vari corsi di recitazione. Ma è l’Actors Studio di Lee Strasberg a incidere profondamente sul giovane appassionato di teatro che sarà segnato per sempre dai manierismi del Metodo. Si fa notare in Fronte del porto (1954) dove è il corrotto fratello maggiore di Marlon Brando. Non meno sgradevoli l’inquisitore che in Corte marziale (1955) si accanisce contro l’idealismo di Gary Cooper. O l’odioso produttore de Il grande coltello (1955) che ricatta Jack Palance, il divo ad alto tasso alcolico. O l’ambiguo organizzatore di boxe de Il colosso d’argilla (1956) che si scontra con il giornalista Humphrey Bogart alla sua ultima apparizione. Sempre sopra le righe ma memorabile è anche il suo debordante Al Capone (1959), di cui si ricorderà Robert De Niro ne Gli intoccabili di quasi trent’anni dopo. Negli anni sessanta è proverbiale la performance adrenalinica del costruttore Nottola in corsa per il posto di assessore ne Le mani sulla città (1963), vibrante requisitoria contro la speculazione edilizia di Napoli firmata Francesco Rosi. Nevroticamente incisiva è anche l’interpretazione di Sol Nazerman, l’usuraio dell’Upper East Side newyorkese di L’uomo del banco dei pegni (1964) che sfoga sui poveracci del quartiere l’odio accumulato nel lager nazista. Ma soltanto il rude sceriffo di provincia, bigotto e razzista di La calda notte dell’ispettore Tibbs (1967) – il thriller in cui indaga con Sidney Poitier su un caso di omicidio nel profondo Sud – gli fa guadagnare l’Oscar come miglior protagonista. Non si contano gli aneddoti sul suo carattere polemico. Si dice che sul set di Waterloo (1970), indispettito perché gli facevano pochi primi piani, si sia presentato vestito solo dalla cinta in su, mentre dalla vita in giù era in mutande, per costringere il regista a inquadrarlo almeno a mezza figura. Nonostante la grave crisi depressiva, negli ultimi decenni appare in un gran numero di titoli. Ma è poco più di un caratterista. Quando in Mars Attacks! (1996) impersona il generale schiacciato dal piede dell’ambasciatore marziano, la carriera del grande istrione è ormai alle spalle. Si è sposato cinque volte e ha avuto due figli, Anna e Michael. Muore a Los Angeles il 9 luglio 2002. Sulla sua lapide aveva deciso che fosse scritto: “See you later”. aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 57 I TOP 5 60 al Cinema OTTIMO BUONO SUFFICIENTE MEDIOCRE SCARSO Wild 63 62 White God 68 Il padre 65 Ritorno al Marigold Hotel Short Skin 64 69 Tomorrowland Samba 66 The Fighters 67 Ex Machina 60 Wild 62 White God 62 L’ultimo lupo 63 Short Skin 64 Samba 65 Ritorno al Marigold Hotel 65 Into the Woods 66 Black Sea 66 The Fighters 67 Ex Machina 68 Humandroid 68 Il padre 69 Preview Il racconto dei racconti Il ragazzo della porta accanto La giovinezza The Gunman Leviathan Tomorrowland aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 59 i film del mese Un’Eneide al femminile, in cui la protagonista metaforicamente porta la madre sulle spalle 60 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 WILD Reese Witherspoon cammina verso una seconda vita. E taglia il traguardo grazie al bel biopic di Vallée In sala Regia Jean-Marc Vallée Con Reese Witherspoon, Laura Dern Genere Drammatico (120’) L a carriera di un attore può essere strana dopo un Oscar. Come quella di Reese Witherspoon, fidanzatina d’America dopo La rivincita delle bionde, vincitrice della statuetta per il ruolo della moglie di Johnny Cash in Walk the Line. Da allora, film sbagliati e una vita privata burrascosa. Non è un caso, quindi, che Miss Witherspoon sia rimasta folgorata dalla storia di Cheryl Strayed, ragazza destinata a un brillante futuro che dopo un’infanzia travagliata viene travolta dall’improvvisa morte della madre. Seguirà una discesa agli inferi da cui cercherà di risalire con un lungo percorso, nel vero senso della parola, interiore e fisico. Quasi duemila miglia, per l’esattezza, sulla meravigliosa Pacific Crest Trail, dal confine con il Messico alla frontiera canadese. Wild è la storia di questo viaggio, di cui si è innamorato per primo Nick Hornby che ha tratto la sceneggiatura dal libro biografico della Strayed e che ha poi trovato la dura Reese come compagna di viaggio. Diretto da JeanMarc Vallée, regista esperto nell’ammorbidire il cuore degli spettatori, senza dimenticare di scuoterli quando necessario, e specializzato nel regalare ruoli da Oscar (Matthew McConaughey e Jared Leto per Dallas Buyers Club), Wild va oltre il mero prodotto hollywoodiano. Il suo pregio è la sensibilità con cui è tratteggiato il rapporto madre-figlia, vero motore della storia, scritto con partecipazione da Hornby che definisce due figure tormentate senza farne cliché. La splendida madre Laura Dern è una donna che ha sofferto e che cerca una rivincita che non arriverà. La figlia Cheryl/Reese ha l’autodistruzione nel DNA e raccoglie l’eredità interrotta per salvarsi. Più che un Into the Wild al femminile, viene in mente lo straordinario Stories We Tell di Sarah Polley, in cui la famiglia viene tratteggiata come entità misteriosa tanto quanto i rapporti che la tengono insieme. Il viaggio, epico nell’accezione più classica del termine, parte da qui, un’Eneide in cui la protagonista porta la genitrice sulle spalle, non solo metaforicamente, fino alla meta finale, un luogo dello spirito da dove ricominciare. Non si tratta di una geniale intuizione narrativa: in fondo tutte le storie hanno radici lontane e si evolvono con le necessarie variazioni sul tema, ed è questa una formula che si può applicare alla vita stessa, che vale sempre la pena di essere raccontata, felice o dolorosa, noiosa o spericolata. La Witherspoon cammina, lo fa con dignità e soprattutto umiltà, qualità da tempo dimenticata, mette il film nel suo capiente zaino e non spreca la fatidica seconda occasione che prima o poi a tutti si presenta. Citando il Tom Hanks di Salvate il soldato Ryan, adesso se la deve meritare. ALESSANDRO DE SIMONE aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 61 i film del mese WHITE GOD Cani contro uomini: parabola che abbaia ma non morde canile per essere abbattuto. Fugge di nuovo, stavolta alla testa di 300 esemplari tosti come spartani: parte la caccia all’uomo. Vincitore dell’ultimo Un Certain Regard, White God – Sinfonia per Hagen ha un valore politico che oltrepassa i propri meriti artistici. Il messaggio è smaccato, l’ambasciatore manicheo, la busta che porta ha i contrassegni del thriller, ma un ritmo da passeggiata domenicale e una suspense da picnic in pineta. Un po’ Gli uccelli e un po’ Torna a casa Lassie! – senza però la tensione drammaturgica dell’uno né la spensierata leggerezza dell’altro – White God storpia ovviamente il White Dog di Samuel Fuller (1982), in cui un pastore svizzero bianco azzannava persone di colore senza neppure abbaiare. In questo caso invece, il film abbaia ma non morde mai. GIANLUCA ARNONE PER DENUNCIARE il razzismo di ritorno nella natia Ungheria, Kornél Mundruczó riesuma il vecchio apologo orwelliano. Siamo a Budapest, una nuova legge vieta il possesso di cani “non di razza” e a farne le spese è un meticcio, Hagen, metà Labrador e metà Shar Pei. Abbandonato dai suoi padroni, il cane finisce nelle grinfie di un sadico che lo addestra alla violenza per usarlo nei combattimenti clandestini. Scappa, viene catturato e portato in un In uscita Regia Kornél Mundruczó Con Zsófia Psotta, Sándor Zsótér Genere Drammatico (119’) L’ULTIMO LUPO Favola ecologista nella Mongolia “dei cinesi”: ben tornato Annaud! In sala Regia Jean-Jacques Annaud Con Shaofeng Feng, Shawn Dou Genere Avventura (118’) JEAN-JACQUES ANNAUD non è un regista dotato, ma se si tratta di adattare bestseller, dirigere bestie feroci e girare in luoghi impervi e lontani, porterà a casa il risultato. L’ultimo lupo, tratto dal romanzo di Jiang Rong, arriva per lui al momento giusto: dopo un periodo d’appannamento culminato nel flop de Il principe del deserto, Estremo Oriente (dove aveva girato L’amante e Sette anni in Tibet) e creature selvagge confermano di avere sul nostro un 62 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 potere taumaturgico. Il lupo della Mongolia gioca qui il ruolo che fu de L’orso e dei Due fratelli tigrotti, ovvero quello di cuore simbolico dello scontro tra natura e cultura. Anche questa è una favola ecologica che mostra come l’equilibrio del mondo venga messo in pericolo non dagli animali - che uccidono solo per istinto - ma dalla cattiveria degli uomini. Periodo e ambientazione - siamo nel 1967, nel pieno della Rivoluzione culturale di Mao e dell’oppressione a danno delle comunità nomadi della Mongolia aggiungono qualche nota di “colore” a un impianto narrativo che, pur con qualche asprezza, resta spettacolare, ingenuo e sentimentale. A un film costato ai cinesi la bellezza di 40 milioni di dollari non si poteva onestamente chiedere di più. GIANLUCA ARNONE SHORT SKIN Opera prima targata Biennale College: dramma trattato con la giusta ironia Anteprima Regia Duccio Chiarini Con Matteo Creatini, Francesca Agostini Genere Commedia (83’) NON CAPITA SPESSO, almeno negli ultimi anni, di imbattersi in un film italiano capace di trattare con delicatezza tematiche coraggiose senza scadere nella retorica più bieca. Se, per di più, pensiamo al novero delle opere prime, ottenere un tale risultato sembra ormai impossibile. In questo (piccolo) miracolo è riuscito Duccio Chiarini, già documentarista radiofonico e cinematografico, con la sua opera prima Short Skin. E i rischi di certo non mancavano, visti i tormenti che vive il protagonista Edoardo, diciassettenne pisano sofferente di una fimosi al pene che gli impedisce la masturbazione e lo rende insicuro e impacciato con le ragazze. Mentre tutti intorno a lui sembrano parlare solo di sesso, Edoardo si rinchiude sempre più nel suo microcosmo solitario e infelice. Una nuova amica conosciuta per caso e un risvegliato interesse da parte della ragazza dei suoi sogni lo porteranno, però, a uscire dal guscio che si è creato e ad affrontare le proprie paure. Figlio del progetto Biennale Cinema College, Short Skin riesce nel difficile compito di far ridere con garbo e di trattare un argomento drammatico con un buon equilibrio di ironia e seriosità. Al centro della pellicola c’è indubbiamente il percorso (simbolico) di crescita del protagonista, ma a colpire è anche la cura con cui sono scritti i tanti personaggi di contorno, familiari di Edoardo e non. Nessun elemento risulta fuori luogo ed è proprio l’incisivo disegno d’insieme il pregio principale di un lungometraggio che racconta con forza l’universo adolescenziale, e quelle paure che, in modi diversi, sono toccate, toccano o toccheranno ciascuno di noi. Se non è difficile rimanere coinvolti dalla storia di Edoardo, il merito va anche a una discreta estetica visiva, acerba solo a tratti, e in grado di dare un ulteriore valore alla pellicola. Curioso che, durante la visione, più volte si perdano le coordinate di trovarsi di fronte a un prodotto italiano: Short Skin sembra infatti un film indie statunitense, di quelli che si vedono al Sundance e che poi hanno successo in diverse altre kermesse internazionali. ANDREA CHIMENTO A colpire è la cura con cui sono scritti i personaggi di contorno aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 63 i film del mese SAMBA Dopo Quasi amici una commedia “clandestina” e romantica per Nakache e Toledano Anteprima Regia E. Toledano, O. Nakache Con Omar Sy, Charlotte Gainsbourg Genere Commedia (116’) UN IMMIGRATO SENEGALESE, in cerca di permesso di soggiorno, una donna in carriera con il morale spezzato dal troppo stress da lavoro. Si può immaginare qualcosa di più lontano? Eppure nella Parigi di Samba si incontrano e si innamorano. È la nuova scommessa di Eric Toledano e Olivier Nakache che – tre anni dopo la commedia evento Quasi amici – spiazzano il pubblico con una commedia romantica, ma dai profondi toni di riflessione sociale. All’origine c’è un romanzo, Samba pour la France, scritto dalla scrittrice\regista Delphine Coulin (autrice con la sorella di 17 ragazze). Grazie alla complicità di Omar Sy, ancora una volta 64 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 protagonista come in Quasi amici, ci aggiriamo con ironia in centri di accoglienza, uscite di sicurezza di infimi ristoranti, uffici per la richiesta di permessi. E ci si ritrova a sorridere (con un pizzico di amarezza) di burocrazia e fughe dalla polizia, con Samba, il protagonista, che cerca un lavoro per trovare un’identità nella società francese, nascondendo la propria. In una Parigi “clandestina”, dove spesso i protagonisti (Omar Sy ma anche il compagno di sventure Tahar Rahim) sono costretti a correre, in fuga da una società che ne sfrutta il lavoro ma fa finta di non vederli. A questo intreccio del film – decisamente il più riuscito – si affianca la commedia romantica, nella quale entra in gioco la nevrotica Charlotte Gainsbourg, il cui equilibrio è messo a rischio proprio dal troppo lavoro e che decide – in modo impacciato e insicuro – di dedicarsi al volontariato per superare le sue crisi di ansia. Una storia d’amore tutta giocata sulla forza dei sentimenti, capaci di azzerare le differenze sociali tra i due. Una sorta di favola, nella quale finalmente vediamo la Gainsbourg in un ruolo leggero (non a caso ne recuperiamo sorriso e bellezza), mentre Omar Sy si conferma attore capace di spiazzare lo spettatore. Resta il dubbio che forse un pizzico di coraggio in più avrebbe reso più graffiante il ritratto di una Parigi impermeabile a quel che accade nelle sue strade. MIRIAM MAUTI Charlotte Gainsbourg finalmente “leggera”: sorriso e bellezza RITORNO AL MARIGOLD HOTEL Torna la Villa Arzilla dei mostri sacri. Piacevole quantomeno l’idea di base a rendere il tutto interessante, del Ritorno al Marigold Hotel non si sentiva il bisogno. John Madden, regista tanto fortunato quanto sopravvalutato, punta questa volta sulla beata gioventù, Dev Patel e Tina Desai, mettendo al centro della storia i preparativi del loro colorato e danzerino matrimonio indiano, cercando di fare di questa celebrazione del futuro una metafora della vita che non finisce a settant’anni. Non ci riesce, e il film procede per episodi slegati e poco interessanti. Restano gli attori, per fortuna, affiancati da un Richard Gere in vacanza premio e con un bel cameo di David Strathairn, attore straordinario che con più spazio avrebbe dato molto a un sequel che certo non si può considerare memorabile. ALESSANDRO DE SIMONE MAGGIE SMITH, Bill Nighy, Judi Dench. Difficile trovare un concentrato maggiore di classe e talento, senza il quale la storia del Marigold Hotel non avrebbe avuto un minimo di interesse già dal primo episodio, figuriamoci per un sequel. Ma il cinema, ogni tanto, non è fatto solo di supereroi e sfumature di colori, e vedere questi attempati interpreti ricordare al mondo cosa voglia dire l’arte della recitazione è un piacere raro. Ma se nel primo film c’era Anteprima Regia John Madden Con Bill Nighy, Maggie Smith Genere Commedia (122’) INTO THE WOODS Favole canterine si incontrano, ma convincono poco. Non basta il cast In sala Regia Rob Marshall Con Meryl Streep, Anna Kendrick Genere Fantasy (125’) IMMAGINATE CENERENTOLA, Jack e i suoi fagioli magici, Raperonzolo e Cappuccetto Rosso che si incontrano al bar e cominciano a cantare. Into the Woods funziona più o meno così. Tratto da uno dei maggiori successi di Broadway degli ultimi vent’anni, questa nuova incursione dell’esperto Rob Marshall nel musical non fa purtroppo dimenticare le brutture di Nine, ma questa volta non è colpa sua. Il premio Oscar per Chicago dirige bene un cast eccellente che sembra però davvero sperduto nel bosco. Colpa di una storia che non trova una direzione, se non quella che proprio Marshall gli offre, costruendo il film come un 11 settembre delle fiabe. Purtroppo la terribile partitura e il libretto ridondante lasciano poco scampo, e le parti migliori sono quelle dal taglio più ironico, su tutte il magnifico duetto dei principi azzurri “Agony” con un Chris Pine da applausi. Non basta, per una volta, neanche la strepitosa Meryl Streep, a salvare un film che per un pubblico non addestrato è ostico e noioso. Peccato, perché la bella confezione, impreziosita dai sontuosi costumi di Colleen Atwood e le belle interpretazioni di Anna Kendrick, James Corden ed Emily Blunt, avrebbe meritato di più. ALESSANDRO DE SIMONE aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 65 i film del mese BLACK SEA Macdonald negli abissi. Salvo Jude Law NON SONO MOLTI i documentaristi che affrontano il cinema di finzione con la stessa qualità con cui approcciano le storie di vita. Esempio recentissimo è James Marsh, di cui ricordiamo gli eccezionali Man on Wire e Project Nim, mentre ben poco docu-fiction alpinistica La morte sospesa. Black Sea ne è il contraltare sottomarino, storia di marinai disoccupati che si trasformano in mercenari per recuperare un carico prezioso affondato nelle profondità oceaniche. Atmosfere claustrofobiche, introspezione umana e thriller, gli ingredienti c’erano tutti, ma manca paradossalmente l’elemento che contraddistingue il documentarista. Black Sea è un film freddo, il sottomarino un formicaio attraverso cui osservare le interazioni dei personaggi. Latitano empatia e ritmo, difetto di cui soffrivano anche le precedenti opere di finzione del cineasta scozzese. Resta l’ennesima bella prova d’attore di Jude Law, che migliora di pari passo alla stempiatura. entusiasmo suscitano Doppio gioco e La teoria del tutto, opere piuttosto convenzionali. Lo stesso accade a Kevin Macdonald, produzione documentaria d’eccellenza, come Un giorno a settembre, sulla strage delle Olimpiadi di Monaco del 1972, o alla ALESSANDRO DE SIMONE d’addestramento militare e prove di sopravvivenza nel bosco. Esperienze di gioco e disagio, nell’urgenza di una stagione che brucia (metaforicamente, letteralmente), vogliosa di frutti, tremenda e lieve come pioggia di cenere. I nipoti della Nouvelle Vague hanno l’ansia dei nonni ma non le bandiere dietro cui camuffarla. Le istituzioni – famiglia, scuola, esercito – hanno fallito, i ribelli però sono finiti prima. Ragazzi che non vogliono più sapere per cosa lottare, ma come e fino a quando. Baldanzosi e ingenui, arroganti e fragili. Pronti alla guerra, impreparati all’amore. Disposti a provare di tutto, eccetto il rischio di “provare” qualcosa. Che vivranno solo arrendendosi alla vita. Catartico. In uscita Regia Kevin Macdonald Con Jude Law, Jodie Whittaker Genere Avventura (114’) THE FIGHTERS Originali senza il bisogno di essere nuovi: sono i teenager di Cailley In uscita Regia Thomas Cailley Con Adèle Haenel, Kévin Azaïs Genere Commedia (98’) INIZIA CON UNA MORTE e finisce con una rinascita, The Fighters, film pluripremiato alla Quinzaine e ai César. Un ragazzo e una ragazza, crisi da età di passaggio, scoperta dei sentimenti, crescita. Nuovo? No, ma quanta freschezza, a dimostrazione che se le storie sono finite, il piacere di reinventarle è invece inesauribile. Il bell’esordio di Cailley inanella situazioni inedite e dialoghi paradossali nel più classico dei canovacci: la liason tra l’esile Arnaud e la spigolosa Madeleine si dipana tra beach wrestilng, campi 66 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 GIANLUCA ARNONE EX MACHINA Lo sceneggiatore di Danny Boyle esordisce alla regia con uno sci-fi maieutico In uscita Regia Alex Garland Con Domhnall Gleeson, Oscar Isaac Genere Fantascienza (108’) IL CINEMA È FATTO DI STORIE, senza una buona idea non si può fare un buon film. Alex Garland ne ha avute alcune, quasi sempre frustrate dal regista con cui ha lavorato di più, il caro vecchio Danny Boyle. Escludendo 28 giorni dopo e la prima metà di Sunshine, il Premio Oscar di The Millionaire ha sempre avuto una straordinaria abilità a demolire le sceneggiature che gli sono capitate tra le mani. Bene ha fatto, quindi, il bravo scrittore inglese a intraprendere la via della regia, con una storia dalle molte sfaccettature morali, proprio come piace a lui. Un giovane programmatore vince la possibilità di passare una settimana con il geniale fondatore della sua azienda. Nel corso di questi sette giorni dovrà testare l’ultima creazione del suo capo: un’intelligenza artificiale autocosciente, con le fattezze di una bellissima ragazza. Garland entra nel recinto di un affascinante sottogenere fantastico, quello del rapporto uomomacchina, e lo allarga a dismisura, ponendo in Ex Machina una serie di interrogativi etici e morali enormi a cui non vuole certamente dare delle risposte, semmai offrire degli strumenti essenziali per la costruzione di un dibattito. Film dal necessario impianto teatrale, l’opera prima dell’autore di The Beach ha nei dialoghi il punto di forza. Giochi di logica e digressioni filosofiche che lo scrittore porta a livelli terreni, rendendoli il motore del film, creando con intelligenza il serrato ritmo narrativo proprio attraverso l’evoluzione del complesso ragionamento affrontato dai due protagonisti. Un’opera dialettica e maieutica, gestita con grande bravura dai due protagonisti, Domhnall Gleeson e Oscar Isaac, quest’ultimo davvero eccezionale nei panni del genio ambiguo e tormentato. Tra loro la bellissima Alicia Vikander, robot con un cuore e un’anima. Forse. Ma quello che resta impresso di Ex Machina è l’interrogativo che scienza, cinema e letteratura si pongono da anni, e a cui prima o poi bisognerà dare una risposta: gli androidi sognano pecore elettriche? ALESSANDRO DE SIMONE La domanda è la solita: gli androidi sognano pecore elettriche? aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 67 i film del mese HUMANDROID Blomkamp sempre più lontano dai fasti di District 9 SI GRIDÒ AL MIRACOLO quando Neill Blomkamp esordì con District 9. Fantascienza sociale anticapitalista politicamente scorretta per un film abbastanza originale per cui l’entusiasmo fu forse eccessivo. Una parziale conferma la offre Elysium, riprogrammato dal suo creatore (Dev Patel) per dargli un’intelligenza artificiale e una coscienza. Andrà a finire nelle mani di una scalcagnata banda criminale che diventerà la sua famiglia disfunzionale. Blomkamp mette troppa carne al fuoco e perde spesso le redini di un film slegato, dai molti buchi narrativi e dalle idee confuse. Humandroid è un grosso passo indietro rispetto alle opere precedenti e poco possono gli attori, nonostante un buon Hugh Jackman in versione villain e i sorprendenti Ninja e Yolandi, coppia musicale sudafricana che nei panni dei criminali genitori sono la cosa migliore del film. Speriamo che l’annunciato nuovo Alien ci consegni un talento fino a ora solo accennato. interessante ma molto già visto, e Humandroid è la prova definitiva. Strano incrocio tra RoboCop e Corto circuito, il terzo lungometraggio del regista sudafricano è una favola cyberpunk in cui un robot della polizia di Johannesburg viene ALESSANDRO DE SIMONE attraverso il ricorso sistematico a metafore, figure emblematiche e scene madri, finisce per sottrarre all’operazione il necessario calore umano. Vittime e carnefici non hanno rilievo, la drammaturgia si avvoltola su se stessa e anche la struttura transfrontaliera del suo cinema cede stavolta a un esotismo posticcio. Come tutti i progetti ambiziosi, Il padre confida troppo nel disegno sottovalutando il processo, il tratto e la matita. Anche i momenti più riusciti come la scoperta del cinematografo da parte dei sopravvissuti armeni (si proietta Il monello) - appaiono estemporanei, e la buona colonna sonora – mix di rock e canti tradizionali – non basta a scuotere un film sprovvisto di autentiche vibrazioni. In uscita Regia Neill Blomkamp Con Sharlto Copley, Hugh Jackman Genere Fantascienza (120’) IL PADRE Debole apologo sul male con il genocidio armeno sullo sfondo In uscita Regia Fatih Akin Con Tahar Rahim, Simon Abkarian Genere Drammatico (138’) IL CALVARIO GLOBALE di un padre partito alla ricerca delle due figlie sopravvissute al genocidio armeno. Dalla Turchia al Libano, da Cuba agli States: Fatih Akin costruisce attorno a un protagonista muto come Charlot, inerme e inespressivo (un Tahar Rahim sottotono) un’implacabile geografia della sventura. Il tema del “Male in assoluto” (per ammissione del regista di origini turche) ha come svolgimento lo svuotamento sistematico della cornice storica del film e una messa in scena stilizzata che, passando 68 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 GIANLUCA ARNONE i film del mese preview a cura di Manuela Pinetti IL RACCONTO DEI RACCONTI IL RAGAZZO DELLA LA GIOVINEZZA PORTA ACCANTO LIBERAMENTE ispirato a Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, raccolta di cinquanta fiabe in lingua napoletana della prima metà del XVII secolo, Il racconto dei racconti è senz’altro uno dei film più attesi della stagione (passaggio sicuro a Cannes). Per il suo ottavo lungometraggio, Garrone sceglie un fantasy ambizioso e sanguinario, girato in lingua inglese in meravigliosi castelli, giardini e ville sparsi per l’Italia. QUANTO POSSIAMO DIRE di conoscere chi vive accanto a noi? Claire (Jennifer Lopez), insegnante fresca di separazione, ha una brevissima liaison con l’aitante, nuovissimo, giovanissimo – è coetaneo del figlio – vicino di casa Noah (Ryan Guzman, già visto in un paio di Step Up). Il ragazzo diventa ben presto onnipresente nella vita di Claire, trasformandosi nel suo peggior incubo. Dal regista del primo Fast and Furious. Regia Matteo Garrone Con Salma Hayek, Vincent Cassel Regia Rob Cohen Con Jennifer Lopez, Ryan Guzman FRED, direttore d’orchestra ormai in disarmo, è in vacanza sulle Alpi con l’amico Mick, regista cinematografico tutt’ora molto attivo, ma anche inevitabilmente stanco. Entrambi ottantenni si ritrovano, tra una sauna e l’altra, a discorrere su cosa aspettarsi dalla vita e dal futuro, ora che il tempo a disposizione si riduce sempre più. Primo film di Paolo Sorrentino – anche lui probabilmente a Cannes – dopo l’Oscar per La grande bellezza. Regia Paolo Sorrentino Con Michael Caine, Harvey Keitel THE GUNMAN LEVIATHAN TOMORROWLAND “MI PIACE PIERRE MOREL”. Questa l’asciutta spiegazione di Sean Penn riguardo il suo esordio nell’action movie, il primo della sua lunga carriera. E per Morel, già regista di Banlieue 13 e Io vi troverò, l’attore due volte Premio Oscar ha rivestito il ruolo di Jim Terrier, un ex soldato delle forze speciali in fuga dai suoi assassini per mezza Europa. Tratto dal romanzo Posizione di tiro di Jean-Patrick Manchette. IL FILM è ambientato in una cittadina costiera che affaccia sul Mare di Barents, nella Russia dei giorni nostri, eppure si respirano antiche atmosfere bibliche. Protagonista è Kolja (Aleksei Serebryakov), un ex militare che si lancia in una lotta impari dopo aver subito un’ingiustizia da Vadim (Roman Madyanov), politico potente e corrotto. Miglior Sceneggiatura a Cannes 2014 e Golden Globe (Miglior Film Straniero). TOMORROWLAND è in pericolo, e la prescelta per salvarlo è Casey (Britt Robertson), ragazzina dal carattere burrascoso e curiosità vivace. Tomorrowland è un parco tematico della Disney realmente esistente, che nel film è allo stesso tempo anche ingresso - e copertura - verso un mondo fantastico in cui vigono leggi incredibili. Nel cast anche George Clooney e Hugh Laurie. Scritto, diretto e prodotto da Brad Bird. Regia Pierre Morel Con Sean Penn, Javier Bardem Regia Andrei Zvyagintsev Con V. Vdovichenkov, E. Lyadova Regia Brad Bird Con George Clooney, Britt Robertson aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 69 Dvd /// Blu-ray /// SerieTv /// Borsa del cinema /// Libri /// Colonne sonore TELE DA NON PERDERE L’amore bugiardo di David Fincher e cofanetti da collezione A CURA DI VALERIO SAMMARCO La classe dei classici The Hobbit Trilogy Film in orbita Worldwide Social Surfing Strani incontri IN QUESTO NUMERO Grandi registi da “rileggere”, attori sovraesposti, star da ingaggiare in base ai follower e musiche da viaggio Interstellar Il kolossal sci-fi di Nolan in alta definizione aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 71 73 75 76 77 79 81 TELECOMANDO /// Dvd e Blu-ray ///----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- È disponibile dal 9 aprile, in Bluray e Dvd, L’amore bugiardo di David Fincher. Tratto dall’omonimo bestseller di Gillian Flynn – anche sceneggiatrice dell’adattamento cinematografico – il film porta alla luce i segreti di un matrimonio. Quello tra Nick Dunne (Ben Affleck) e Amy (Rosamund Pike). Proprio quest’ultima, il giorno del quinto anniversario di nozze, scompare misteriosamente: sotto la costante pressione della polizia e dei media, il felice ritratto di famiglia di Nick inizia a sgretolarsi. In poco tempo le sue bugie, gli inganni e gli strani comportamenti portano tutti a farsi la stessa domanda: è stato Nick Dunne a uccidere sua moglie? Candidato a 4 Golden Globe e nominato all’Oscar per l’interpretazione di Rosamund Pike, L’amore bugiardo è un insolito thriller, per certi versi disturbante: David Fincher utilizza con maestria i classici requisiti del genere, plasmandoli però attraverso la lente del circo mediatico e delle conseguenti derive sulla “costruzione” dell’opinione pubblica. A suo modo inquietante, da non perdere. Negli extra il commento audio del regista. DISTR. 20TH CENTURY FOX H. E. L’amore bugiardo Gone Girl Anche in Blu-ray il thriller di Fincher. Dal romanzo di Gillian Flynn 72 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 ------------------------------------------------------------------------------------------------- Laclasse deiclassici a cura di Bruno Fornara Primo amore La lunga scena che occupa la seconda parte del film è indimenticabile. Detto questo, si può aggiungere che il titolo originale è il nome della protagonista, Alice Adams, una fulgida Katharine Hepburn, che cerca, nella sua piccola città, di salire qualche gradino della rigida piramide sociale, lei figlia di una madre triste e di un padre invalido, decisa a tutto pur di mettere la testa fuori da una miseria così pesante che non le consente di comprarsi un piccolo bouquet per andare a una festa, tanto da farle raccogliere solo qualche violetta in un’aiuola dove è proibito prendere i fiori. Al party, snobbata da tutti, è notata dal ricco e molto umano Fred MacMurray che, in quella scena indimenticabile, è a cena in casa di lei. E qui succede di tutto e si ride di gusto: la minestra è orribile, i cavoletti sono puzzolenti, il gelato si squaglia, la corpulenta cameriera nera (Hattie McDaniel), ingaggiata per l’occasione, fa un disastro dopo l’altro e la crestina le va di traverso sugli occhi... Commedia memorabile. Di George Stevens Con K. Hepburn, F. MacMurray Genere Commedia (Usa, 1935) Distr. Terminal Video aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 73 /// Dvd & Blu-ray ///-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- TELECOMANDO Hunger Games - Il Canto della Rivolta: Parte 1 Interstellar Arriva il 15 aprile, in Blu-ray e Dvd, il primo episodio dell’ultimo capitolo della saga tratta dai romanzi di Suzanne Collins. Katniss (Jennifer Lawrence) è custodita nel Distretto 13 dopo aver annientato i giochi per sempre. Sotto la guida della Presidente Coin (Julianne Moore) e i consigli dei suoi fidati amici, Katniss si prepara alla battaglia finale, per salvare Peeta (Josh Hutcherson) e un intero Paese incoraggiato dalla sua forza. Numerosi gli extra, tra i quali il making of del film, un omaggio al compianto Philip Seymour Hoffman, le scene eliminate e il video musicale del tema portante, Yellow Flicker Beat, cantato da Lorde. DISTR. UNIVERSAL PICTURES H.E. Magic in the Moonlight Disponibile in Bluray e Dvd la nuova commedia di Woody Allen, che dopo Blue Jasmine ci porta stavolta negli anni ’20, in Costa Azzurra, dove un famoso illusionista (Colin Firth) e una giovane sensitiva (Emma Stone) sono chiamati ad affrontare una serie di disavventure: scopriranno le prove di un mondo al di là delle leggi della fisica, o cadranno sotto l’influenza di una chimica terrena? Commedia romantica dall’inconfondibile tocco alleniano, il film esplora i regni della mente e del cuore. Negli extra l’approfondimento “Behind the Magic” e le immagini della Premiere di Los Angeles. DISTR. WARNER BROS. H.E. 74 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 S iamo d’accordo: Christopher Nolan non è Stanley Kubrick, come Interstellar non è 2001: Odissea nello spazio. Resta il fatto che ogni film del regista di Memento e Inception, nonché artefice della gloriosa trilogia su Batman, andrebbe visto: l’occasione si presenta con l’arrivo in homevideo di questo kolossal sci-fi, preferibilmente da recuperare in Blu-ray. Ambientato in un futuro non lontano, il film ipotizza la prossima fine del pianeta Terra. Una squadra di esploratori intraprende un viaggio nella galassia per sco- prire se gli uomini potranno avere un futuro tra le stelle. Interpretato da Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain e Michael Caine, Interstellar è arricchito da numerosi extra, tra i quali “The Science of Interstellar”, “Plotting An Interstellar Journey - Progettare un viaggio interstellare”, “Shooting In Iceland: Miller’s Planet/Mann’s Planet – Creazione di due mondi completamente diversi in un solo paese” e molti altri ancora. DISTR. WARNER BROS. H.E. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ Mad Max Collection La trilogia originale, aspettando il nuovo corso The Hobbit Trilogy Un Natale stupefacente In concomitanza con l’uscita homevideo (22 aprile) dell’ultimo capitolo de Lo Hobbit (La battaglia delle cinque armate), è disponibile un cofanetto comprendente tutta la trilogia della saga firmata da Peter Jackson. La collezione – in formato Blu-ray, Blu-Ray 3D e Dvd – include Un viaggio inaspettato, La desolazione di Smaug e il già citato ultimo episodio. Inoltre nei cofanetti Bluray e Blu-Ray 3D è incluso l’esclusivo Diario di Bilbo, oltre ai contenuti speciali già presenti su ogni singolo disco, come “Nuova Zelanda: Casa della Terra di Mezzo - Parte 3”, “ll reclutamento delle cinque armate”, “Una saga in sei parti” e altri ancora. A suo modo rivoluzionario, il cinepanettone diretto per la prima volta da Volfango De Biasi arriva in homevideo (Blu-ray e Dvd) dall’8 aprile. Rivoluzionario, perché dopo anni di struttura a episodi, il film natalizio targato Filmauro ritrova l’unicità di una singola storia. Basata ovviamente sulla coralità e sulla verve di Lillo & Greg, stavolta nei panni di zio Remo e zio Oscar, improvvisamente costretti a prendersi cura del nipotino di 8 anni... Nel cast anche Ambra Angiolini, Paola Minaccioni, Paolo Calabresi, Francesco Montanari e Riccardo De Filippis. Backstage, speciale e papere negli extra. DISTR. WARNER BROS. H.E. Disponibile per la prima volta in Blu-ray (e nuovamente in Dvd), la trilogia originale di Mad Max, la saga postapocalittica di George Miller (vedi pagina 16) interpretata da Mel Gibson. In attesa del nuovo, spettacolare Fury Road (nelle sale dal 14 maggio), riviviamo le gesta di Max Rockatansky: Interceptor, Interceptor - Il guerriero della strada e Mad Max - Oltre la sfera del tuono ci riportano ai duelli e agli inseguimenti su automobili e potenti motociclette rombanti e sfreccianti che prendono vita nella cornice di un paesaggio australiano fatto di strade asfaltate infinite e terreni aridi da togliere il fiato. Dalla V8 Interceptor a “We Don’t Need Another Hero!” cantata da Tina Turner: il cammino di Mad Max – personaggio che portò alla ribalta un giovanissimo Mel Gibson – è appena (ri)cominciato… DISTR. WARNER BROS. H.E. DISTR. FILMAURO WINTER IS COMING MARATONA GAME OF THRONES Il trono di spade In cofanetto le prime quattro stagioni della serie HBO. Countdown verso il 12 aprile Ci siamo. Il 12 aprile parte la quinta stagione della serie evento targata HBO. Per prepararsi al meglio, Warner Home Video propone un imperdibile cofanetto da collezione (Blu-ray e Dvd) contenente le stagioni 1-4 del Trono di Spade, con tutti i contenuti speciali finora rilasciati. Strumento indispensabile per chi, ancora lontano dal mondo creato da George R.R. Martin (Le cronache del ghiaccio e del fuoco), volesse iniziare da zero il suo percorso. Per tutti gli altri, invece, segnaliamo il cofanetto singolo della quarta stagione (disponibile anche questo dal 1° aprile, in Bluray e Dvd): i Lannister mantengono saldo il controllo sul Trono di Spade. Ma riusciranno a preservare i loro interessi sotto le continue, numerose minacce? Mentre un imperturbabile Stannis Baratheon continua la ricostituzione della sua armata alla Roccia del Drago, un pericolo più imminente giunge da Sud quando Oberyn Martell, la “Vipera Rossa di Dorne”, carico di odio verso i Lannister, arriva ad Approdo del Re per le nozze di Joffrey… DISTR. WARNER BROS. H.E. La teoria del tutto Disponibile dal 29 aprile, in Blu-ray e Dvd, il commovente film di James Marsh tratto da Travelling to Infinity: My Life with Stephen di Jane Wilde Hawking, biografia sul marito Stephen Hawking, fisico britannico tra i più famosi al mondo, affetto da atrofia muscolare progressiva. Candidato a 5 Premi Oscar, con Eddie Redmayne premiato per la migliore interpretazione maschile, il film ripercorre le tappe più significative della vita di Hawking, partendo dal 1963: brillante laureando in Fisica all’Università di Cambridge, Stephen si innamora di Jane (Felicity Jones), con la quale nascerà una storia d’amore destinata a durare (e a cambiare) nel tempo. DISTR. UNIVERSAL PICTURES H.E. aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 75 TELECOMANDO /// Serie Tv ///--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Murder in the First [CANALE 324 DEL DIGITALE TERRESTRE] Dal 23 aprile, la serie poliziesca creata da Steven Bochco ed Eric Lodal A rriva su Premium Crime (dal 23 aprile, ogni giovedì) Murder in the First, detective drama targato TNT e creato da Steven Bochco ed Eric Lodal. Un unico caso da risolvere nell’arco di 10 puntate. San Francisco. Il dipartimento di polizia della città si ritrova a dover investigare su due omicidi che apparentemente non sembrano avere nessun legame tra filminorbita 76 loro. Le indagini vengono affidate agli ispettori Terry English (Taye Diggs) – detective della sezione omicidi che affronta con passione e dedizione il suo lavoro, alle prese nella vita privata con la dolorosa malattia della moglie – e Hildy Mulligan (Kathleen Robertson), madre single dal carattere forte e risoluto. Analizzando il caso i due poliziotti scoprono che le vittime hanno un parti- colare che li lega: entrambi conoscevano Erich Blunt (Tom Felton), facoltoso e giovane talento della tecnologia, all’apice del successo nella Silicon Valley. Durante le indagini verrà fuori anche il nome di Chris Walton (Charles Baker): uno spacciatore con molti precedenti che si trovava nei pressi della scena del crimine e che verrà sospettato di essere un esecutore al soldo di Blunt. a cura di Federico Pontiggia Al Pacino Greta Garbo Fast Cars Studio Universal Studio Universal Studio Universal Buon 75° compleanno! Ogni martedì (21.15), si festeggia con Serpico e Donnie Brasco, giorni da cani e maledette domeniche… Ogni lunedì (21.15), torna la Divina che si ritirò da Hollywood 70 anni fa: poker di film, da Anna Karenina a Grand Hotel. Ogni venerdì (231.15) Giancarlo Fisichella, pilota di Formula 1, accende i motori e scatena i cavalli, da Bullitt a Interceptor. rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- WORLDWIDE Nel segno della Marvel Indici d’ascolto, censura? Nessun problema: ci pensa Netflix. Che ospita il “diavolo custode” di Frank Miller a cura di Angela Bosetto Happyish L’irriverente umorista Shalom Auslander scrisse questa sitcom satirica per il compianto Philip Seymour Hoffman, che però riuscì a girare solo il pilot prima della tragica scomparsa. Il difficile compito di sostituirlo nel ruolo di Thom Payne (uomo di mezza età in crisi esistenziale e lavorativa, che riflette sulla ricerca della felicità) spetta dunque all’inglese Steve Coogan, candidato all’Oscar per la sceneggiatura di Philomena (2013) e al debutto seriale su una rete americana come la Showtime. Wolf Hall Daredevil Fino a pochi anni fa, l’idea di trasformare un fumetto in serie tv live action senza sottostare al target del canale ospitante sembrava impossibile. Oggi, invece, basta ignorare le reti tradizionali e rivolgersi a Netflix (il servizio online a pagamento che permette di scaricare subito l’intera stagione): nessun limite, nessuno stress da ascolti e, soprattutto, nessuna censura. Logico che la furba Marvel abbia subito stretto un accordo per ben cinque show. Si comincia il 10 aprile con Daredevil, il “diavolo custode” trasformato da Frank Miller in uno dei personaggi più cupi della Casa delle Idee. Nei panni del supereroe cieco troviamo Charlie Cox, mentre il ruolo della sua nemesi Kingpin tocca a Vincent D’Onofrio. Al pensiero che la serie possa somigliare al film del 2003… facciamo le corna! Dopo l’esordio in patria a gennaio, la miniserie BBC tratta dai romanzi storici di Hilary Mantel (Wolf Hall e Anna Bolena, una questione di famiglia, entrambi vincitori del Booker Prize) sbarca negli USA grazie alla PBS. Sei puntate, dirette da Peter Kosminsky (Cime tempestose, 1992) e scritte da Peter Straughan (La talpa, 2011), per raccontare l’ascesa del machiavellico Thomas Cromwell (Mark Rylance), da politico di umili origini a conte di Essex e primo ministro di Enrico VIII (Damian Lewis). aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 77 TELECOMANDO /// Borsa del cinema ///----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- ATTORI ALLO SBADIGLIO Da Raoul Bova a Papaleo, passando per Ambra Angiolini e Marco Giallini: è la girandola dei soliti noti di Franco Montini Raoul Bova e Luca Argentero in Fratelli unici di Alessio Maria Federici I n questi giorni è nei cinema, protagonista de La scelta di Michele Placido, e presto lo vedremo in Torno indietro e cambio vita di Carlo Vanzina, senza contare che nel corso di questa stagione era già apparso, sempre nel ruolo principale, anche in Sei mai stata sulla luna? di Paolo Genovese; Scusate se esisto! di Riccardo Milani; Fratelli unici di Alessio Maria Federici. Ma il caso di Raoul Bova, che nell’ultimo anno e mezzo ha girato anche Buongiorno papà di Edoardo Leo e Indovina chi viene a Natale? di Fausto Brizzi, non rappresenta 78 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 un’eccezione, bensì l’esasperazione di un fenomeno ormai diffuso nel cinema italiano che tende ad affidare i film sempre agli stessi volti. Lo dimostrano le filmografie di Riccardo Scamarcio, che, pur spaziando in generi diversi, ha girato 6 film in meno di due anni; di Marco Giallini che, da Tutti contro tutti a Se Dio vuole (di prossima uscita), è stato coinvolto in 7 film; 6 film per Rocco Papaleo, 5 per Claudio Bisio. Con ritmi intensi sul fronte femminile hanno lavorato Ambra Angiolini, anche lei impegnata accanto a Bova ne La scelta e protagonista di 6 film solo nell’ultimo periodo o Anna Foglietta, 3 film in questa stagione – Confusi e felici, Noi e la Giulia, La prima volta (di mia figlia) – ed altri 2 in quella precedente. A favorire questo fenomeno è anche la tendenza della commedia italiana ad imbastire storie sempre più corali: una volta c’erano i mattatori, negli anni sessanta Sordi, Gassman, Manfredi, Tognazzi; poi Celentano, Pozzetto, Montesano e Villaggio; successivamente Verdone, Benigni, Troisi, Nuti. Oggi invece si punta sul lavoro di squa- ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Surfing dra, che offre più occasioni e più opportunità al gruppo dei volti di moda. Intendiamoci, gli attori utilizzati in queste ultime più recenti stagioni sono tutti ottimi professionisti che meritano la popolarità e il successo conquistati. Anzi, per alcuni di essi, vedi Bisio, Papaleo e Giallini, la consacrazione è arrivata perfino con colpevole ritardo. Tuttavia l’impressione è che questo sfruttamento intensivo di un ristretto numero di interpreti non sia utile né ai diretti interessati, né al cinema italiano. Si produce un effetto saturazione che accorcia le carriere e rischia la ripetitività. In proposito si può citare il caso di Alessandro Gassman, che è molto cresciuto ed è diventato uno splendido attore, tanto da risultare l’interprete più convincente dei vari film a cui partecipa, ma l’avvocato rampante del film I nostri ragazzi di Ivano De Matteo e l’immobiliarista spumeggiante de Il nome del figlio di Francesca Archibugi sono davvero, e non certo per colpa dell’interprete, due personaggi troppo simili, analoghi, destinati all’effetto fotocopia. Quanto al cinema italiano in genere, lo sfruttamento degli stessi volti produce una lievitazione degli ingaggi e dei compensi per gli attori e, come per i calciatori, è tutto da verificare se in alcuni casi valga la pena di spendere certe cifre: il ritorno in termini di incasso giustifica i soldi impegnati? Anche perché il cinema italiano è ricco di bravissimi attori poco noti e per nulla inflazionati: basterebbe solo avere un po’ di curiosità e di perseveranza nel ricercarli. L’esempio recente di Anime nere di Francesco Munzi, ottimo film corale caratterizzato da una serie di convincenti performance d’attore, affidate a volti quasi sconosciuti, ne è palese e concreta dimostrazione. Marco Spagnoli La presenza digitale Sei brava/o? Conta fino ad un certo punto: quanti follower hai? n direttore casting di grande esperienza ha ammesso che oltre al talento, alla bravura, al fisico e alla bellezza, a contare per la scelta di un ruolo sono anche i follower dell’attore e dell’attrice su Twitter, Facebook, Instagram e Pinterest. La cosiddetta ‘presenza’, quindi, non è soltanto quella che si può avere davanti alla macchina da presa, ma anche quella digitale. Anche se i direttori casting ribadiscono che il talento resta (e meno male) la prima motivazione per essere scelti per un ruolo. Soltanto che, a parità di qualità artistiche, la presenza di follower e del cosiddetto ‘buzz’ social fa senza dubbio la differenza, spingendo l’ago della scelta verso chi è più riconoscibile sui Social Media rispetto a chi, invece, è magari un U interprete più introverso e, forse, perfino ‘serio’. Il perché è presto detto: se una volta il fascino e il carisma di un interprete destavano l’attenzione del pubblico verso un film o una fiction, oggi questi si traducono in numeri facili da contare e tradurre in un incasso potenziale in termini di audience. Questo, almeno, è quello che vogliono sempre più i produttori che possono avere nuovi elementi su cui riflettere per il lancio dei loro film. Basti pensare che alcuni attori, da soli, raggiungono più persone delle televisioni di alcune nazioni europee. Vin Diesel ha 90 milioni di follower su Facebook, mentre Will Smith supera i 76 milioni. Su Twitter, il conduttore degli Oscar Neil Patrick Harris raggiunge i 14 milioni. Basti pensare che un regista di culto come David Lynch ha ‘solo’ due milioni e mezzo di seguaci. Dunque, un attore o un’attrice che comunicano direttamente con i loro fan, possono rivelarsi un asset importante per una produzione di medio livello, perché tramite i loro post possono influenzare le vendite dei biglietti o l’auditel del pubblico davanti al teleschermo. È innegabile, poi, che il fenomeno si stia espandendo anche in Italia: l’attore e regista Edoardo Leo è stato molto presente con la sua attività social già durante la finalizzazione del suo ultimo film, Noi e la Giulia. Leo ha 14.400 follower su Twitter, il coprotagonista Luca Argentero circa 492.000, Stefano Fresi 2.398. Numeri che contano e che anche domani nel nostro paese potrebbero arrivare a ‘fare la differenza’. Lo sfruttamento intensivo non è utile né ai diretti interessati, né al cinema italiano aprile 2015 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 79 /// Libri ///------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ TELECOMANDO La versione di... Stanley Kubrick Non ho risposte semplici. Il genio del cinema si racconta Nel 1971 John Hofsess chiese a Kubrick: “Ha mai letto un critico che le abbia fatto capire qualcosa di nuovo dei suoi film?” “No”, rispose lui, “sono molto pochi i critici che lavorano con attenzione e con sufficiente serietà. È assurdo vedere un film una volta sola e poi scriverne la recensione”. A fornirci la sua versione di un’intera carriera ecco la raccolta di interviste curata dall’amico Gene D. Phillips, il cui titolo deriva dalla replica del regista alle parole di Tim Cahill di “Rolling Stone” (“Lei crea emozioni forti, ma si rifiuta di darci risposte semplici”). Da leggere insieme a I mondi di Kubrick. Cinema, estetica, filosofia di Roberto Lasagna (Mimesis) per confrontare l’autoanalisi con l’approccio filosofico. (Minimum Fax, Pagg. 290, € 16,00) Cineasti da studiare Kubrick, Godard, Welles e Schoedsack: ancora non era stato scritto tutto ANGELA BOSETTO Jean-Luc è per sempre Alberto Scandola L’immagine e il nulla: l’ultimo Godard Il Godard lontano dagli anni Sessanta e dalla necessità dell’eversione, e della militanza; il Godard che dai primi anni ‘80 esula dalla narrazione filmica, sempre pretestuosa, in favore dei rimandi extracinematografici e di 80 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 una sempre maggiore autonomia dell’immagine. Da Si salvi chi può - la vita fino a Adieu au langage, la destrutturazione del mezzo cinematografico passa dagli iperproduttivi anni ‘80 di Prénom Carmen, Je vous salue, Marie e King Lear, centrale nel porre (letteralmente) il suo autore in scena a domandarsi una volta ancora cos’è un’immagine, fino agli ultimi film, dove la riproduzione della realtà ha ceduto il passo alla natura e alla metafora, tra ricordo e oblio, visibile e invisibile. (Kaplan, pagg. 276, € 20) GIANLUIGI CECCARELLI Il potere di Orson Nuccio Lodato, Francesca Brignoli Orson Welles. Quarto potere Ricordando l’uscita di Quarto potere (Citizen Kane, 1941), Simone de Beauvoir scrisse ne La forza delle cose: “Si raccontavano mirabilia di Hollywood. Un giovane genio di ventisette anni, Orson Welles, aveva rivoluziona- to il cinema”. Nonostante il regista considerasse il suo capolavoro una commedia (“nel senso che fa da parodia a simboli tragici”), ancora oggi l’idea di avvicinarsi a Quarto potere intimidisce. Questa minuziosa analisi, accompagnata da 40 giudizi critici d’essai, capitanati da quelli di Erich von Stroheim (“Superbo!”) e di Jorge Luis Borges (“Geniale nel senso più cupo e oscuro del termine”), spiega perché, a dispetto di chi lo ritiene “pietrificato nella storia”, la modernità di questo film resta dirompente. (Lindau, Pagg. 160, € 16,50) ANGELA BOSETTO -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Stanley Kubrick sul set di Orizzonti di gloria lotta libera, reporter e viaggiatore, ma soprattutto regista capace di passare con naturalezza dal natural drama al disaster peplum realizzando cult movies come Il dottor Cyclops, La pericolosa partita o King Kong. Attraverso diversi saggi, il libro ricompone l’immaginario del cineasta, un “Nuovo Cinema Barnum” in cui i protagonisti, freaks alla deriva, naufraghi della vita, “topi da laboratorio” da analizzare in vitro, trovano un nuovo equilibrio trasformandosi in icone. (Edizioni Il Foglio, Pagg. 240, € 16,00) CHIARA SUPPLIZI Va, pensiero Sergio Miceli e Marco Capra (a cura di) Verdi & Wagner nel cinema e nei media Non solo King Kong Mario Gerosa (a cura di) Il cinema di Ernest B. Schoedsack È difficile raccontare Ernest B. Schoedsack e la sua avventurosa vita da romanzo. Operaio nei cantieri stradali, autista della Croce Rossa nei territori di guerra, operatore alla macchina sul set di von Stroheim, esperto di “Io non posso ascoltare troppo Wagner, lo sai” affermava Woody Allen in Misterioso omicidio a Manhattan “sento già l’impulso ad occupare la Polonia!” Per non parlare di Apocalypse Now, dove il colonnello Kilgore faceva suonare La Cavalcata delle Valchirie per accompagnare gli attacchi aerei. Dal canto suo, Verdi non provoca simili “effetti collaterali”, ma non è meno importante per l’immaginario cinematografico: basti solo pensare ai mille diversi usi della Traviata, da Visconti a Pretty Woman. Per capire come i vari media hanno interagito con le loro opere, ecco la pubblicazione degli atti del convegno svoltosi alla Casa della Musica di Parma nel 2013, in occasione del bicentenario dei due grandi. (Marsilio, Pagg. 128, € 15,00) ANGELA BOSETTO Strani incontri Gattopardo Tre grandi scrittori per altrettante dive: Anita Ekberg, Brigitte Bardot e Claudia Cardinale di Angela Bosetto Cosa accade quando le dive incontrano i grandi letterati del Novecento? Può succedere che, sull’onda de La dolce vita, Salvatore Quasimodo conduca Anita Ekberg alla scoperta delle meraviglie barocche di Noto, parlando di sogni, arte, amore e bellezza: l’italiano ancora approssimativo dell’attrice consacrata da “Fellino” (così lo chiama lei) crea un curioso contrasto con la forbitezza linguistica del poeta, che rimane però folgorato dai “colori botticelliani della sua immagine fisica”. O che, nel 1962, Alberto Moravia provochi con arguzia (e una punta di malizia) Claudia Cardinale sul suo ruolo di consapevole oggetto del desiderio, in un continuo rimbalzo fra pubblico e privato, ragione e sentimento, apparenza e sostanza. Ma l’incontro può anche essere metaforico e indurre a riflessioni d’altro tipo, come quelle di Simone de Beauvoir, la quale, nel 1959, difende la “scandalosa” B.B., sostenendo che la pubblica morale si sente minacciata in quanto “il suo erotismo non è magico, ma aggressivo; nel gioco dell’amore, ella è ugualmente cacciatrice e preda; il maschio è oggetto come a sua volta lei per lui. È questo che ferisce l’orgoglio maschile […] la naturalezza di Brigitte Anita Ekberg. Dialogo e fotografie Brigitte Bardot. Dialogo e fotografie Claudia Cardinale. Dialogo e fotografie Bardot sembra loro più perversa di tutte le sofisticazioni”. Speriamo che a questi volumetti, testimoni di una fervida stagione culturale e arricchiti dal relativo apparato iconografico, ne seguano presto altri. TELECOMANDO /// Colonne sonore ///-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- STELLE NEL BOSCO Beh, se non la bravura tout court, di certo la fama non si discute: l’ugola di Into the Woods è d’oro, per il cachet e, in molti casi, per la stella sulla Walk of Fame degli interpreti chiamati a trasporre sul grande schermo il musical di Broadway. Bacchetta a Paul Gemignani, già direttore d’orchestra dello stage show, la colonna sonora è firmata dal compositore Stephen Sondheim, mentre le voci eccellenti sono, tra gli altri, di Johnny Depp, Emily Blunt, Meryl Streep, Anna Kendrick, Chris Pine. Che dite, un ensemble più da Emmy che da Oscar? F.P. BORN TO BE... COSA IMPIEGARE per la playlist che in Wild accompagna una giovane vagabonda in cerca di un senso alla propria esistenza nelle terre selvagge dell’America? Il folk appare una scelta quasi obbligata. Magari contaminato con il rock dei 70’s, così immutabile ed eterno, come la natura circostante. Il prodotto è ammiccante, quasi ossequioso, ma sa uscire dal seminato ripescando dal serbatoio della memoria collettiva il McCartney del periodo Wings (Let’Em In), la voce unica di Billy Swan, le stupende Shangri-Las, il merseybeat degli Hollies che è sempre una sicurezza, a fronte di scelte forse più scontate come la Suzanne coheniana, i Simon & Garfunkel di El Condor Pasa (ottimo invece il ripescaggio di Homeward Bound), lo Springsteen della ben nota Tougher Than the Rest. Molto ben riuscito l’accostamento con un cantautorato di ultima generazione, ci sono nomi molto interessanti: il duo svedese First Aid Kit regala emozioni, il country lo-fi di Dusted ed Eric D. Johnson è un’idea non banale. Mentre Glory Box dei Portishead, brano simbolo della stagione triphop di Bristol, rivela impietoso il lento scorrere del tempo per chi, nel 1994, aveva vent’anni. Quel tempo ancora tutto da scorrere per il piccolo Evan O’Toole, che presta la voce per la breve, conclusiva Red River Valley. GIANLUIGI CECCARELLI 82 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo aprile 2015 THIRD PERSON Ma voi ve lo immaginate Moby a spartire qualcosa con Gigi D’Alessio? Eppure, succede, complice Paul Haggis: se Moby firma The Only Thing, Gigi risponde con Chiaro, Cronaca d’amore e Sarai, in coppia con Anna Tatangelo. No F.P. comment. FABER IN SARDEGNA Faber in Sardegna, il bel doc di Gianfranco Cabiddu, è la storia del rapporto fra un uomo e la terra: che quell’uomo fosse uno dei più grandi cantautori del XX secolo non è essenziale all’archetipo. Un Faber sorprendente, appassionato coltivatore di ulivi e allevatore, inesauribile cercatore di suggestioni, parlava il gallurese meglio dei galluresi stessi. E poi, c’è la musica, che sopravvive alle speculazioni, alle facili strumentalizzazioni, alle mode. La musica e la terra. Del resto, “dai diamanti non nasce niente, dal letame G.I. nascono i fior”.