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La pizza? Un fenomeno sociale
SPECIALE
Pizza & Birra
SABATO 27 APRILE 2013 | A CURA DI PUBLIEDI
La pizza? Un fenomeno sociale
Ogni anno in Italia se ne consumano 7,6 chili a testa. Il primato
però è degli americani: ne mangiano quasi il doppio, 13 chili
E
cco alcuni numeri che
permettono di considerare il consumo della
pizza in Italia come un fenomeno sociale.
Le cifre dicono che in Italia ci
sono in attività più di 25.000
pizzerie classiche (escluse
quindi quelle al taglio,
d’asporto e a domicilio, che sono altre circa 27.000), con
87.316 addetti lavoratori e un
fatturato annuo complessivo
di 6.950 milioni di euro. Secondo questi dati la pizzeria
classica rappresenta il 40%
della ristorazione italiana.
Se si considera poi l’intera attività sviluppata dal comparto,
tutto l'indotto comprese le pizzerie non classiche e la produzione industriale, il giro d’affari cresce di quasi tre volte, a
16.630 milioni di fatturato annuo. Ma a differenza di come
si può immaginare, gli italiani,
con i loro 7,6 chili all’anno di
consumo di pizza, non sono i
maggiori consumatori di pizza
al mondo: infatti gli americano consumano quasi il doppio
di pizza in un anno (13 chili a
testa).
Gli italiani occupano comunque saldamente il secondo
posto e soprattutto svettano
nettamente nel consumo di
pasta, dove superano ogni altro concorrente mondiale con
27,9 chili di pasta procapite
all’anno.
La pizza è un genere di consumo rilevante nella ristorazione
nazionale italiana e un fenomeno socio-economico tipico
del Bel Paese. Il fenomeno pizza inoltre appare relativamente poco sensibile alla crisi. Infatti tra il 2001 e il 2010 il numero degli esercizi di pizzeria
classica è costantemente aumentato di anno in anno, sia
pure con piccole percentuali di
incremento.
La stessa dinamica si può ritrovare per le pizzerie d’asporto e a domicilio. E’ quindi cresciuta la figura professionale
del pizzaiolo.
Il pizzaiolo è colui che svolge
un'attività di creazione e lavorazione della pizza. Lavorazione della pizza significa impastare, preparare le pallotte,
controllare la lievitazione, il
condimento e la cottura. A ciò
si aggiunge una indispensabile
pulizia personale e dell'ambiente di lavoro, rispettando le
norme igienico-sanitarie. Non
può mancare un’ attività di organizzazione del magazzino
per la conservazione delle materie prime.
L’attività di pizzaiolo può essere svolta come dipendente,
oppure in maniera autono-
ma, anche in una pizzeria
d’asporto.
Ovviamente un pizzaiolo autonomo dovrà provvedere anche
alla gestione dal punto di vista
amministrativo, fiscale e promozionale. Se il pizzaiolo svolge anche il servizio di pizza
d'asporto a domicilio si preoccupa anche di organizzare la
consegna delle pizze a domicilio. Il luogo di lavoro di un pizzaiolo è un ambiente diviso in
due diverse aree: uno spazio
per il pizzaiolo, dotato di forno
e banco, nel quale avviene la
preparazione e la lavorazione
della pizza, e uno spazio distinto destinato ai clienti.
L’orario di lavoro del pizzaiolo
è molto flessibile: il lavoro è
comunque concentrato soprattutto nelle ore serali e nei giorni festivi e prefestivi.
Ma come si diventa pizzaiolo?
Non è necessario nessun titolo
di studio, la professione si può
imparare direttamente in una
pizzeria ma esistono anche
scuole per pizzaioli che gestiscono corsi, comprensivi di
parte pratica e parte teorica. Il
pizzaiolo deve conoscere tutti i
tipi di ingredienti che compongono una pizza, le farine,
l'acqua, il lievito, il sale, ma soprattutto il loro dosaggio, al fine di ottenere un impasto di
qualità e che lieviti nel modo
corretto, considerando tutte le
variabili come il tempo atmosferico e la stagione, oltre che
soddisfare tutte le richieste dei
clienti.
Un pizzaiolo infine deve saper
impastare e manipolare la pizza, conoscere i prodotti utilizzati per il condimento, i loro
abbinamenti, e le tecniche di
cottura a seconda dei vari tipi
di forno, il che comporta inevitabilmente anche la conoscen-
za approfondita delle attrezzature usate.
Dalla pizza alla birra, in particolar modo quella artigianale:
quali sono i consumi degli italiani per quanto riguarda una
delle più dissetanti bevande
mai create dall’uomo?
In un’analisi riportata recentemente da un sito specializzato
(prendendo in esame un campione attendibile di persone)
sull’età in cui si beve maggiormente birra, il 38% degli intervistati appartiene alla fascia
19-30 anni, mentre il 49% a
quella 31-45 anni. Sembrerebbe in atto uno spostamento
verso consumatori più giovani.
Parlando di abitudini di consumo, la spesa maggiore è quella
compresa tra i 10 e i 30 euro,
nella quale si concentravano il
41% degli intervistati. Successivamente il lavoro si concentra
sugli aspetti del «locale perfetto» dove degustare la birra. E’
curioso innanzitutto scoprire
che più della metà dei consumatori apprezza un arredamento «rustico» rispetto ad alternative quali moderno, pub
inglese, irish pub e bavarese.
Molto sorprendente è poi la
percentuale di coloro che vogliono un locale con un’offerta
incentrata sulla birra in modo
esclusivo: potremmo pensare
che è preferibile un pub con
birra e altri alcolici, invece ben
il 43% degli intervistati risponde diversamente. Due
consumatori su tre ritiene che
il publican sia fondamentale
per il successo del locale, mentre tra le sue competenze ritenute più importanti ci sono
nell’ordine la conoscenza del
prodotto, la capacità di spillare a dovere e l’abilità nel divulgare cultura birraria.
Interessante notare come il
15% degli intervistati preferisca una presa ordine esclusivamente al bancone.
Chi crede che l’apprezzamento
di un locale sia direttamente
proporzionale la numero di vie
(spine), dovrebbe ricredersi: il
49% dei consumatori è a favore di un numero compreso tra
5 e 7, contro il 35% di chi preferisce il range 8 – 12 e solo il
9% che opta per oltre 12 vie. v
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