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i marginalia figurati di petrarca
I MARGINALIA FIGURATI DI PETRARCA
Alcuni casi studio per una ricostruzione storica
Silvia Bottura Scardina
Sommario
Premessa...................................................................................................................................................... 3
Capitolo 1: I marginalia, definizione e importanza ....................................................................................... 6
1.
Definizione dei marginalia ............................................................................................................... 6
2.
Spazio fisico dei marginalia ............................................................................................................. 6
3.
Problema metodologico di definizione .............................................................................................. 8
4.
Strategie elaborate nella classificazione dei marginalia.................................................................. 10
5.
Ambito di ricerca: i marginalia figurati .......................................................................................... 15
6.
Due tipi di marginalia figurati ........................................................................................................ 15
7.
Funzioni dei marginalia figurati ..................................................................................................... 15
8.
Metodologia utilizzata .................................................................................................................... 16
9.
Rapporto tra lo studioso e i marginalia ........................................................................................... 17
Capitolo 2: Petrarca ................................................................................................................................... 21
1.
Storia dell’autore ............................................................................................................................ 21
2.
Marginalia petrarcheschi ................................................................................................................ 23
2.1.
Maniculae .............................................................................................................................. 23
2.2.
Graffe ..................................................................................................................................... 64
2.3.
Segni di paragrafo (ianuae)..................................................................................................... 90
Tabella dei marginalia figurati sui codici analizzati ..................................................................................102
Bibliografia ..............................................................................................................................................103
Premessa
Il lavoro qui esposto nasce da una riflessione circa le molteplici forme che la scrittura può assumere: vi sono scritture posate o corsive, librarie o documentarie, adatte a un pubblico messaggio o
alla lettera privata, decorate o scarne. In questo caso ho voluto analizzare quella forma grafica collocata a metà tra scrittura e disegno: i marginalia, in quanto libera interpretazione di forme grafiche
pregresse, sono segni realizzati a fini di lettura o studio, il cui regime d’uso è regolato da un metro
personale.
L’ intento del lavoro è offrire una panoramica delle forme che i marginalia figurati hanno rivestito nel Basso Medioevo nella persona di Francesco Petrarca, per l’importanza e l’autorevolezza
che questi ebbe al tempo. Parlando infatti della “rivoluzione culturale” del Trecento, è noto che
l’impulso al cambiamento non proveniva unicamente dall’operoso ed eterogeneo circolo culturale
fiorentino, ma anche da personaggi che trovavano altrettanto confortevole collocazione presso Avignone, presso cui il papato si era relegato. Non serve ricordare quale calderone di influenze era la
Curia durante la Cattività avignonese: tra gli esponenti di spicco delle nobiltà romana, fiorentina e
francese che fecero parte di questo movimento, Petrucci ricorda Landolfo Colonna, canonico di
Chartres, de la Mare Convenevole da Prato, maestro di grammatica e retorica di Francesco Petrarca,
per fare qualche nome. In questo ambiente di grande recettività, aperto a modelli vecchi e nuovi ebbe parte della propria formazione una delle figure più importanti e accreditate del tempo, Francesco
Petrarca.
L’abbondanza grafica di Francesco Petrarca nella qualità e quantità di esempi che ha lasciato
dietro di sé lo rende uno dei punti cardine dell’analisi paleografica del periodo, il che giustifica la
ricchissima bibliografia che l’accompagna: tale fecondità permette di realizzare anche studi monografici che offrano risultati autonomamente soddisfacenti. L’analisi paleografica di Petrarca che ho
condotto ha permesso di approfondire in maniera specifica, sebbene non compiuta, i marginalia figurati da lui utilizzati e lascia altresì emergere che questi segni possano essere elaborazioni di elementi grafici precedenti, come si avrà modo di vedere per la manicula o alcune forme decorative
della graffa petrarchesca. Il numero di contatti che il poeta fiorentino stabilì durante la sua vita potrebbe permettere a sua volta di stabilire nodi di influenza con altri personaggi di spicco: Giovanni
Boccaccio, la famiglia Visconti presso cui fu ospite, e molti altri.
Sebbene gli studi sulle grafie petrarchesche siano abbondanti, non si può dire lo stesso circa la
critica intorno ai marginalia figurati: scontratami con questa povertà di studi, ho dovuto ricercare in
studi paralleli per definire un metodo di studio soddisfacente a un’analisi piuttosto approfondita. Gli
unici studi pregressi si riferiscono ai marginalia senza alcuna distinzione sul fatto che possano esse-
re scritti o figurati: Stoddard, Saenger, Rosenthal, Barker e Brambilla 1 focalizzano l’attenzione su
aspetti diversi che hanno permesso di distinguere gli elementi necessari a un mio metodo. Ho quindi
ritenuto indispensabile distinguere in primis il tipo di intervento figurativo, quindi una sintetica descrizione delle caratteristiche fisico-morfologiche dell’intervento figurativo, in secundis gli elementi
tipici di un’analisi paleografica: ductus, consistenza del tracciato, numero di tratti e la dimensione
del marginalium in millimetri (H/L). In particolare, ho tratto quest’ultima caratteristica dal metodo
di descrizione bibliografica (come accade per le marche tipografiche, le filigrane e le contromarche).
Più difficile è stabilire un collegamento con le varie influenze grafiche in tal senso, dal momento
in cui, come prima accennato, la bibliografia circa questa branca è estremamente limitata e, in quei
rari casi, altrettanto generica, quindi non è facile stabilire influenze culturali se non in relazione alle
varie manifestazioni artistiche più approfondite (pittoriche, musive, miniate, etc.). Un’ulteriore difficoltà consiste nel far rientrare nell’analisi paleografica elementi che appartengono a canoni artistici, come per quanto riguarda lo stile di un determinato scrivente o meno.
I testi cardine sono stati The Handwriting of the Italian Humanists di de la Mare in merito
all’elenco dei codici letti, annotati o scritti da Petrarca, confermato dal più recente contributo di Rico, La Biblioteca del Petrarca. Nel lavoro di tesi ho utilizzato in via quasi esclusiva i codici che appartengono alla Biblioteca nazionale di Parigi perché ho potuto visionare per intero quei testi passati
tra le mani di Petrarca nell’archivio digitale della biblioteca che rende visibile la maggior parte del
proprio patrimonio.
L’unico studio pregresso cui mi sono potuta riferire circa i marginalia figurati di Petrarca è quello di Fiorilla, Marginalia figurati nei codici petrarcheschi, che offre un utile scorcio alla materia. Lo
studioso mette in luce che esistono circa quattro tipi di intervento di Petrarca ai codici: maniculae,
graffe, pochi esempi di cornici a titoli decorate e disegni. I disegni, costituiti da testine, paesaggi e
due cagnolini sotto una manicula, sono realizzati soprattutto sul codice Par. Lat. 6802 e uno sul
8082; questi sono analizzati in maniera approfondita nell’ultima sezione del testo di Fiorilla, anche
in relazione ad altri studi che vertono per lo più sul problema dell’attribuzione.
Il presente lavoro, pur volendo essere un’introduzione a un orizzonte da scoprire quasi per intero,
non intende fornire opinioni in merito a problemi paralleli, quali conflitti di attribuzioni di determinati codici a questo o a quel possessore, a uno scrivente o un altro, collocazioni cronologiche incerte, ma utilizzare informazioni certe per cercare di dipanare la complicata matassa degli interventi,
1
P. SAENGER e M. HEINLEN, Incunable Description e P. SAENGER, The Implication of Incunable, R. E.
STODDARD, Looking at Mark in Books, B. M. ROSENTHAL, The Rosenthal Collection of Printed Books e S.
BRAMBILLA,
Caratteristiche
culturali
e
bibliologiche
del
progetto
“Marginalia”,
URL:
http://www.marginalia.it/convegno/relsimona.php.
spesso sovrapposti in tempi diversi, di Petrarca ai codici che leggeva. Un altro elemento che si avrà
modo di vedere è anche il fatto che non si stabilisce mai una scansione temporale oggettiva per gli
interventi analizzati, in quanto non è possibile stabilire con certezza l’anno in cui un marginalium
sia stato realizzato, ma solo una fascia temporale entro cui poterlo collocare, secondo un margine di
certezza stabilito dagli studi codicologici e paleografici pregressi.
Capitolo 1: I marginalia, definizione e importanza
1. Definizione dei marginalia
Marginalia è un termine latino (da margo, -inis = orlo, parte estrema) che sta a designare qualsiasi apporto paratestuale confinato ai margini di un libro. I marginalia prendono corpo da ogni forma di segno e tramite i quali lo studioso, confortato dalla familiarità col simbolo, stabilisce un rapporto con il tomo sulla base delle sue personali necessità. Diversificati secondo le funzioni e influenze culturali, questi simboli assumono una propria specificità nell’autore che se ne serve.
2. Spazio fisico dei marginalia
Come accennato, i marginalia “vivono” all’interno dei margini. Dato che l’interesse del presente
lavoro si concentra sul periodo basso medievale e in particolare sul Trecento, si offre qualche accenno alla morfologia del libro trecentesco, con particolare attenzione per ciò che concerne
l’organizzazione della pagina.
In italiano non esiste un vero e proprio termine per definire il complesso delle operazioni che
precedono l’organizzazione strutturale della pagina dai punti di vista contenutistico e materiale, tanto che l’espressione “impaginazione” risulta inefficace. La lingua francese, invece, ha partorito la
felice espressione mise en page, letteralmente traducibile con “disposizione”, adottata dagli studiosi
di codicologia per indicare questa particolare branca.
Nelle ricette o prontuari erano insegnati i molti protocolli (giacché ve n’erano diversi) per costruire precise architetture, definire uno specchio di scrittura all’interno della pagina. Fondamentale era
il requisito di universalità, o la possibilità di poter seguire le istruzioni in ogni condizione senza essere vincolati a specifici formato o grandezza di pagina.
La mentalità medievale era fondata su una visione matematica dell’universo: alla base
dell’armonia era un ordine cui l’uomo poteva tendere attraverso uno studio del numero e della geometria. Così matematica era pure la costruzione del libro: lo specchio di scrittura era confinato in un
rettangolo (rettangolo del numero d’oro, rettangoli di Pitagora, rettangoli che si ottengono progressivamente prendendo come lato maggiore la diagonale del rettangolo precedente) mentre il resto era
lasciato a bianco. L’ampiezza del margine della pagina variava in base alla destinazione d’uso: consistente per il libro dotto o da studio, sottile per il testo meno pretenzioso e più divulgativo.
Un libro manoscritto era inoltre un bene di atelier, il prodotto finale di una vera e propria “catena
di montaggio” manuale: facendo riferimento al capo dell’atelier, vari scribi variamente specializzati
erano coordinati nelle operazioni. Dalla scrittura, alle miniature, alle eventuali eleganti maiuscole
ornate, v’era anche chi produceva la pergamena, chi i fascicoli, chi cuciva il libro, chi confezionava
la legatura, e così via dicendo. L’intera distribuzione del testo presupponeva inoltre che il capo
d’atelier fosse in possesso di una conoscenza impeccabile sia del testo da copiare che della resa su
fascicolo per mano di trascrizione e mise en page, senza dimenticare le eventuali decorazioni ed ornamentazioni. Dal momento che la perfezione del prodotto era demandata interamente al capo, che
oltre a essere la persona più colta a volte era l’unica che sapesse leggere con efficienza, era pure sua
competenza correggere eventuali errori commessi dai copisti durante la faticosa trascrizioni per negligenza o ignoranza.
Il libro tardo medievale fu rinnovato non solo nella composizione formale (che corrisponde a
quella attuale) ma anche in una riformulazione delle destinazioni d’uso del prodotto sin dalla costruzione della singola pagina. L’antica mise en page non concepiva altri che un testo polifonico,
accompagnato ed esaltato dal dotto commentario lievitato in secoli di studio, canonizzato poi dalla
trascrizione di quegli autorevoli commenti nelle copie che avevano da venire, quasi fossero essi
stessi il testo originale. A volte il testo emergeva da uno sfondo di parole o era stretto dai margini
esterni dello stesso, a volte il sistema glossato arrivava addirittura a sfondare lo specchio di scrittura. Il libro prodotto negli scriptoria risentiva di rigide restrizioni fisiche e intellettuali per un uso altrettanto coatto: tra lettore e libro v’era un rapporto frontale in cui quasi ogni forma di dialogo paritario era estinta. Libro e lettere erano posseduti solo da una ristretta élite orgogliosa, così di orgoglio, grandezza e superiorità erano abbigliati libro altomedievali.
La ridefinizione delle forme del libro era dettata dalle destinazioni d’uso cui era diretto: una era
lo studio scolastico, un’altra l’uso quotidiano. Per il primo caso il riferimento è il libro da banco, di
dimensioni importanti, da utilizzarsi con strutture specifiche (legìo, ecc.); per il secondo si parla invece dei libri tascabili, sottratti alla staticità e ai grandi formati delle biblioteche per essere portato
ovunque. Sebbene alla base di questa tipologia “di genere” vi fossero non solo ben precise scelte
sociali ma anche economiche, lo stesso libro tascabile poteva arricchirsi, usando le parole di Alberto
Caldioli, di “considerazioni dell’esperienza personale scaturite nel corso della lettura”, quindi un
commentario personale nient’affatto colto.
Esisteva pure un filone “reazionario”: più tardi la cultura umanistica tentò di recuperare la propria dimensione culturale, letteraria, costruire un nuovo rapporto con il mondo camminando sul basolato di modelli letterari e librari del mondo antico. Un’esplosione di formati e scritture, modelli
linguistici e poetici rielaborati secondo questa nuova dirompente esigenza.
Il libro stampato delle tipografie germaniche era un prodotto industriale, al quale si cominciava a
sottrarre la veste artistica, artigiana, letteraria: tutte le operazioni antiche di trascrizione, lettura, pignolo controllo erano riassunte nella sola figura del “compositore”; gli altri lavoratori erano operai,
uomini di fatica, dal momento che stampare il libro con il torchio era un’azione fisicamente gravo-
sa 2. Già da questa sommaria descrizione che non intende insinuarsi nel dettaglio dell’industria libraria tipografica3, si può comprendere come la nascita del libro era affidata numero molto inferiore a
quelli che erano impiegati in uno scriptorium, più rapida, sebbene in alcuni casi non meno raffinata.
3. Problema metodologico di definizione
Alla base della definizione dei marginalia vi è una complessità di elementi che non permette
un’agevole identificazione univoca. In primis è lo studio di questi interventi grafici extratestuali
all’interno di una cornice cronologica ben chiara poiché ciascun tipo di intervento è condizionato da
relative situazioni geografiche, socio-culturali, economiche che lo rendono unico e specifico. Se, infatti, il periodo di interesse abbracciasse l’area latina del III o IV sec. d.C., si prenderà in esa me il
rotolo papiraceo, molto più raramente quaderno di papiro o pergamena 4 e si indagherebbe in merito
alle categorie sociali in possesso del libro e sul perché avvertissero la necessità di segnarlo in quella
modalità personalissima. Se, invece, si prendesse in esame la produzione di massa del XV secolo, ci
si potrebbe domandare se fosse stato realizzato a stampa o come il classico codice manoscritto.
Tralasciando un discorso specifico sulle differenze tra libro manoscritto e a stampa per cui si rimanda a trattazioni ben più specifiche, si utilizzano i presupposti prima citati per proseguire
l’enumerazione delle difficoltà concettuali alla base della classificazione dei marginalia. Un libro è
un prodotto originale, singolo, che possiede una propria storia dal primissimo momento da quando
viene scelta la prima pelle per farne una pergamena o della prima risma di carta da tirare a stampa
alla scelta del formato e della confezione finale: il volume è fortemente condizionato dalle tecniche
di realizzazione che lasciano segni su di esso (richiami, segnature, indicazioni scritte del lavoro da
parte del capo d’atelier agli scribi al suo servizio) ed è pure un oggetto che circola e viaggia assieme
alla idee di cui è latore, recando anche le “cicatrici” dei lettori che ne intaccano l’originalità per gli
scopi personali.
2
A testimonianza della complessità tecnica delle macchine tipografiche, consultare le tavole dall’Encyclopédie di
Diderot e D’Alembert (Arte Tipografica, Pl. I-III, XII, XV); l’illustrazione della più antica officina tipografica è
segnalata dal Barbieri e si tratta di una xilografia contenuta in La danse macabre, Lyon, probabilmente attribuibile a
Matthias Huss tra il 1499 e il 1500 (GW 7954); per la l’officina tipografica di Conrad Bade, T. de Bèze, Poemata, Paris,
1548.
3
Per maggiori dettagli, consultare l’articolo di Jeanne Veyrin-Forrer, Produrre un libro nel Cinquecento, all’interno di
EDOARDO BARBIERI, Guida al libro antico, pp.187-228 e alla nutrita bibliografia ivi segnalata.
4
Marziale in Apopheresis, I, 2, 1-4, scrive nella seconda metà del I sec d.C “Qui tecum cupis esse meos ubiumque
libellos/ et comites longae quaeris habere viae,/ hos eme, quos artat brevibus membrana tabellis:/ scrinia da magnis,
me manus una capit”, come in altri epigrammi: XIV, 184, 186, 188, 190, 192, nei quali loda la capienza del libellum; si
ricorda ancora Quintiliano in Institutio Oratoria, X, 3, 31-32 alla fine del secolo (92 d.C.) “Scribi optime ceris, in quibs
facillima est ratio delendi, nisi forte visus infirmior membrana rum potius usum exiget… Relinquendae autem in
utrolibet genere contra erunt vacuae tabellae, in quibus libera adiciendi sit excursio”; s. Paolo che , rivoltosi a Timoteo
per farsi portare dalla Troade dei libri, formula la precisa richiesta di accludere anche delle membrane quando afferma
“μ
”(Timoteus, 4, 13). Per altre citazioni rimando all’opera di M. L. AGATI, Il libro
manoscritto, pp. 125-145.
L’intervento marginale sul testo, quando è frutto di un lettore che se ne serve a fini di erudizione
o studio personale, si concretizza in un’operazione scritta o figurata strettamente personale. Il concetto di marginalia è delimitato, infatti, da un forte individualismo che lega a doppio laccio il lettore
al testo. Alcuni segni, soprattutto nel caso in cui siano figurati, sono frutto del gusto personale, autonomo dall’esecutore, che prende corpo nel libro. Isolare tale tipo di individualità è oggetto di riflessione profonda: è necessario dare giocoforza un volto a chiunque si manifesti su un libro o per
alcuni interventi è possibile generalizzare, riassumere, sacrificando il singolo al contesto storico che
lo ha partorito? Alla base della scelta di un determinato tipo di categorizzazione esiste una linea di
cesura tra la cultura del periodo e colui che vi aderisce.
Decidere di sbilanciarsi a favore di un discorso di contesto o individuale dipende in larga misura
dalla risonanza, l’impatto che la personalità ebbe al tempo in cui ha visse, come nel caso degli studi
di H. J. Jackson presso la British Library su alcuni testi risalenti al periodo di Galileo Galilei e sulla
metodologia applicata nell’analisi delle scritture5. Nel suo lavoro Jackson afferma che l’attenzione
ai marginalia quali elementi di studio storico è assolutamente concreta e applicabile non soltanto
per periodi a noi estremamente lontani ma anche più recenti, come fotografie di diverse sfaccettature sociali.
Per il presente lavoro ho deciso di adottare una linea individualistica che definisca a tutto tondo
l’identità di colui che lesse un testo, lasciandovi sopra una parte di sé quale rappresentante del periodo in cui visse, sia come punto di partenza storico, filologico, ma anche sociologico, in quanto è in
grado di definire le personali inclinazioni di quella persona e l’impatto che ebbe al secolo o nei secoli successivi. Incentrando il lavoro unicamente su tre esponenti, pur se d’eccezione, non si cade
nel rischio di generalizzare un segno per dare spazio a un altro e di non conformare una classe di
segni a una tendenza generalizzata: riprendendo l’esempio dei marginalia rinvenuti nei codici della
British Library, lo studio di questi era funzionale unicamente alla contestualizzazione dell’impatto
che le idee di Galileo ebbero nel tempo in cui visse, mentre è sacrificata ogni attenzione direttamente rivolta a quei due lettori in quanto individualità con una propria dignità. Un’analisi simile sacrifica quindi le singole storie di questi due uomini per la chiarezza della sola di Galileo e omettendo
problematiche trasversali ma non per questo meno importanti: i libri erano dei due lettori o appartenevano a qualcun altro? Se erano stati da loro acquisiti, come ne vennero in possesso? Quale fu
l’impressione che ricevettero individualmente dalle idee di Galileo?
Un altro problema che questa indagine è trovata ad affrontare è pure la mancanza di una terminologia specifica, cui si è cercato di supplire utilizzando le definizioni che sono state date da coraggiosi pionieri della materia in contributi che solo di recente se ne sono interessati.
5
H. J. JACKSON, Marginalia, p.3: «It is still, however, merely a mental exercise, less vivid to us then the Galileo».
4. Strategie elaborate nella classificazione dei marginalia
Gli studiosi che hanno tentato di dipanare la complessa matassa di questa materia tanto informe e
indefinita si possono, ai fini del presente studio, restringere a cinque nomi principali: Barkel, Rosenthal, Saenger, Stoddard e Brambilla.
Il primo in termini cronologici è Saenger 6, cui si deve il merito di riconoscere la presenza di elementi manoscritti anche nei testi a stampa non nella sola veste di tracce di una postillatura che qui
interessa: i vari elementi grafici (prosodia, postura, segni di paragrafo, numerazione dei fogli, titoli
correnti, aiuti per lo studio) erano con ogni probabilità realizzati a priori durante la confezione del
libro ed erano attribuibili a un revisore piuttosto che un successivo lettore. Il metodo che questi propone è quindi una descrizione tecnica con distinzione per mano soggettiva e riconoscimento delle
caratteristiche materiali del supporto e scrittura.
Si discosta da questo primo studio Stoddard, la cui analisi abbraccia sia testi a stampa che non 7.
Egli analizza soprattutto il contesto dal quale il segno proviene e che definisce genericamente come
mark: parla dei marks of manufacture, o le tracce del lavoro di bottega; i marks of provenance, le
note di possesso, i segni di commercianti e donatori; i dockets, o le tracce di diritto in merito al codice, come concessioni di stampa, censure, ecc. L’analisi di Stoddard, tuttavia, non è comprensiva
degli interventi dei lettori, che invece costituiscono l’interesse principale della trattazione in quanto
fonte da cui attingere marginalia. Tutti questi indizi sparsi tra i testi sono sparsi segni della genesi
del libro, ma nulla che comprenda la storia successiva.
La questione è risolta da Rosenthal con un contributo quasi contemporaneo al più recente di Saenger 8: questi, analizzando le manuscript annotations, si rende conto per primo della complessità
dei problemi descrittivi legati ai marginalia sino a quel momento elusi: per questo decide di elaborare descrizioni applicate che tengano conto di più fattori. Il metodo Rosenthal offre infatti informazioni fisiche delle postille (extentandsize) e analizza la scrittura delle stesse (nel caso si tratti di una
glossa), evidenziandone in ogni caso le caratteristiche oggettive, come la nomenclature, period,
place e language, in grado di corroborare ricerche paleografiche e codicologiche, senza mai dare
tuttavia giudizi personali in merito all’una o all’altra mano. Lo strumento acquisisce un valore supplementare dando informazioni anche sul content, il contenuto della nota, lasciando allo studioso la
facoltà di avvalersi di questo mezzo analitico, non standardizzabile e non esaustivo, lasciando al
singolo eventualmente la possibilità di proporre l’identificazione.
6
P. SAENGER e M. HEINLEN, Incunable Description e P. SAENGER, The Implication of Incunable.
7
R. E. STODDARD, Looking at Mark in Books.
8
B. M. ROSENTHAL, The Rosenthal Collection of Printed Books.
L’ultimo contributo è quello poco posteriore di Barker che segue il percorso indicato da Rosenthal. Barker, conscio dei difetti di una terminologia troppo specifica, amplia il metodo appena descritto proponendo un complesso sistema di catalogazione: le categorie indicate sono circa 20 e disposte in ordine decrescente di note, da quelle più fitte a quelle meno presenti. Eliminando ogni
traccia di oggettività, secondo l’opinione di Brambilla, il metodo Barker è così funzionale
all’utilizzo di quello di Rosenthal: questo è infatti complementare al precedente e introduce pure un
inquadramento matematico 9.
Infine, Brambilla. La studiosa dedica un saggio introduttivo al progetto “Marginalia” che si propone la digitalizzazione online delle postille marginali,si inserisce tra Saenger e Stoddard criticando
a entrambi il fatto di non aver elaborato un’analisi che tenesse conto del forte grado di individualità
del materiale difficilmente inquadrabile in una rigida schematizzazione, sia da un punto di vista tecnico che della natura dei marginalia realizzati: Brambilla s’interessa unicamente dei marginalia
tracciati dai lettori, quindi connessi alle attività di lettura e studio. Gli interventi dei lettori sono elaborati sotto il segno di un forte personalismo che sfugge a questi primi tentativi di rigida schematizzazione, così che era necessario elaborare nuove metodologie flessibili.
La categorizzazione da lei proposta è quindi elaborata sulla base di una profonda riflessione su
ciascuno degli studiosi appena citati dei quali isola i pro e i contro: pur se manchevoli, apprezza i
primi due studiosi nei tentativi avanguardistici, mentre riprende il tecnicismo di Rosenthal e la matematicità di Barker.
Nel saggio di presentazione la studiosa sottolinea la necessità di analisi di ogni manoscritto in
quanto esso rappresenta un punto d’incontro di diverse mani e di interessi di partenza differenti:
studiare gli interventi marginali su di un testo significa descrivere i richiami letterari di un singolo
individuo (elemento di cui Rosenthal non aveva dato attenzione).
Brambilla organizza il proprio metodo in cinque tabelle, numerate con lettere alfabetiche. Le tabelle A e B appartengono al filone delle caratteristiche da lui stesso definite “oggettive”, che offrono, rispettivamente, scarne indicazioni codicologiche e paleografiche (strumento di scrittura, colore
dell'inchiostro utilizzato, lingua della glossa, datazione indicativa), e la seconda informazioni
sull'effettiva posizione della glossa, se essa si trova nell'interlinea, corpo del testo, margine, interfolii, carte aggiunte, carte di guardia o risguardi. Brambilla specifica inoltre sin da subito che ciascuna
tipologia di glossa trova generalmente posto in uno spazio diverso: nell'interlinea si troveranno certamente commenti, sinonimi, traduzioni, note strettamente legate all'interpretazione e alla organicità
del testo, ma non commenti esegetici che occhieggiano più o meno imponenti sul margine. Ancora
sui commenti vi possono essere quelli che spaziano in una sola carta, quindi risiedono a margine
9
Quella che Brambilla definisce «registrazione “si/no” della registrazione d’intervento presente nelle postille».
della stessa, o quelli molto più esaustivi per cui si prevede l'aggiunta di una carta a inizio o fine del
testo.
La tabella C dà invece informazioni di tipo quantitativo (quantità e distribuzione) e sulla tipologia dell'intervento. Per le prime due sottocategorie cui corrispondono due sottotabelle definite C1 e
C2, si può parlare di una certa soggettività, in quanto la consistenza della postillatura è relativa alla
quantità totale, a meno che non si definisca da principio un parametro assoluto. Il terzo sottogruppo
C3, quello che definisce la tipologia dell'intervento extratestuale, è parzialmente soggettivo: un
commento può essere definito di collazione, emendamento, disegni o diagrammi a seconda che risponda a determinate caratteristiche formali. Gli unici interventi capaci di generare dubbi su un'effettiva collocazione sono solo i commenti, le note linguistiche o il generico “altro”.
La tabella D descrive la tipologia di rappresentazione del marginalium in esame: nel caso di una
glossa, propone di riportare la trascrizione completa, nel caso di disegni, di registrare i caratteri i ndividuali per identificare la mano, mentre a fianco offre la documentazione fotografica. La difficoltà
già espressa dalla studiosa consiste nella codificazione di commenti estesi, come quelli cui si è accennato precedentemente, per i quali era necessaria l'aggiunta di una carta.
Infine, la tabella E in cui trovano posto la bibliografia di riferimento e osservazioni varie, come
inserti, allegati e altro.
Il difetto di una simile categorizzazione, a mio avviso, sta nel fatto che ha una pretesa di universalità che non prende in giusta considerazione le specificità di un marginalium scritto o disegnato e
che specifica troppo tardi (tabella C) la tipologia dell'intervento. Tanto nell'analisi di una glossa che
di un disegno non sono offerte informazioni più dettagliate sul tipo di scrittura, modulo, ductus (nel
caso di postille), le dimensioni dell'altezza e della larghezza in mm per disegni e diagrammi; né può
supplire completamente a questo difetto di informazione l'immagine, di cui non è detto se rappresenti il marginalium nella dimensione reale o ridotta.
Va certamente riconosciuto alla studiosa che ha partecipato al meritevole progetto di catalogazione il fatto di aver contribuito a coniare uno strumento che rifiuta di riportare riflessioni soggettive sul singolo segno come pure il rapporto che poteva esistere tra lettore e testo, perché elabora, appunto, uno strumento utile ad altri studiosi: si tratta di un mezzo, non di un fine.
Perché risulti più agevole quanto sin qui discusso, si presentano di seguito le tabelle analitiche realizzate dalla stessa Brambilla per presentare il metodo utilizzato dai vari studiosi (Tabella 1) e da lei
stessa (Tabella 2):
Tabella 1
SAENGER
STODDARD



ROSENTHAL
BARKER
Marks of manufac-
1. Shelfmark;
Author / work;
1. Commentary (in some
ture;
2. Author and title;
Illustration / typography;
cases
Marks of provenan-
3. Support
Manuscript annotations;
interleaved) 46;
ce;
4. Added texts and
1. Extent and size;
2. Students' notes 15;
Marks of use:
codicological details;
2. Handwriting:
3. Non authorial additions

0Reading notes;
5. Decoration;

nomenclature;
15;

Technical notes;
6. Non red reader-

period;
4. Gloss 15;

Gratuitous notes;
marks;

place;
5. Convenience notes 11;
7. Marks of ownership;

language.
6. Translation 10;
4. Dockets;
5. Decoration.
8. Binding description
3. Description:
9. Copy specific prin-

ting
characteristic e-
8. Authorial additions 8;
xamples;
9. Paraphrase as an aid
to comprehension 7;
or assemblage errors

context;
10. Reparation

not exhaustive;
[…]
7. Textual criticism 10;

Provenance;

Condition;

References;
-----------------Reproduction
10. Philological, grammatical
and linguistic notes 6;
11. Replacement of missing
leaves in facsimile 3;
12. Classroom notes
(not dictated) 2;
13. University notes (not
from
lectures) 2;
14. Paraphrase and
commentary 2;
15. Text supplied to printed
commentary and
vice versa 2;
16. Lecture notes 1;
17. Censorship 1;
18. Sermon notes 1;
19. Acting text 1;
20. Law book 1;
Tabella 2
A1. Strumento di scrittura
A2. Inchiostro
A3. Lingua
Lapis;
Bruno chiaro;
Greco;
Penna;
Bruno scuro;
Latino;
Altro.
Nero;
Volgare;
Rosso;
Altro.
Grigio;
Altro.
B. Posizionamento
Interlinea;
Corpo del testo;
Margini:
 interno;
 esterno;
 superiore;
 inferiore;
Interfolii;
Carte aggiunte:
 all'inizio;
 in fine;
Carte di guardia;
Risguardi.
C1. Quantità
C2. Distribuzione
C3. Tipologia
Fitte;
Integralmente postillato;
Collazione;
Limitate;
Postillato limitatamente:
Emendazione;
Rare.
 Alcune sedi;
Commento;
 Scarsamente postillato.
Note linguistiche;
Disegni o diagrammi;
Altro.
D. Trascrizione
Testo;
Fotografia carta;
Postilla.
E. Identificazione del postillatore
Bibliografia;
Osservazioni varie.
A4. Datazione
5. Ambito di ricerca: i marginalia figurati
Sulla base delle riflessioni fin qui maturate, si deve dire che il presente lavoro non intende dare
ragione definitiva di questa immensa mole di problemi finora enumerati, ma solo tentare un approccio, il più definito possibile, su un singolo intervento librario: affreschi di pochi letterati dottissimi
appartenenti all’élite culturale di Firenze: Francesco Petrarca, Giovanni Boccaccio e Coluccio Salutati.
L’indagine da me condotta prende in esame segni già sicuramente attribuiti a ciascuno di essi per
ordinare materia già acquisita ma mai realmente organizzata; nel caso di segni per cui sussiste conflitto di attribuzione riporterò tutte le opinioni più autorevoli sin ora avanzate, attenendomi alla posizione finale del contributo da cui ho avviato l’indagine.
6. Due tipi di marginalia figurati
I maginalia da me isolati in quest'ambito ristretto comprendono due categorie specifiche: figurati
e simbolici.
I primi sono esecuzioni grafiche che riproducono un elemento più o meno reale reinterpretato secondo un'ottica di studio, quindi più o meno soggetto ad astrattismo a seconda delle inclinazioni ed
esigenze del lettore.
I secondi comprendono a loro volta due sottogruppi: il primo è quello dei marginalia singoli, o
dei simboli singolarmente utilizzati, mentre il secondo è quello dei simboli utilizzati in relazione a
una glossa. La differenza tra i sue sta nel significato che il lettore assegna rispettivamente all'uno o
all'altro: nel primo caso il segno simbolico si riempie totalmente di un significato sostenuto direttamente dal testo, nel secondo caso intende accoglie solo una sorta di semi-significato, in quanto ha
funzioni di ricognizione di un certo tipo di glossa rispetto a un altro, o di preminenza che una particolare riflessione ha su tutte le altre.
7. Funzioni dei marginalia figurati
A seconda che il marginalium sia figurato o simbolico, accoglie diverse funzioni: nel primo caso
evidenzia o segna un passo specifico che ha attratto una particolare attenzione del lettore, nel secondo caso accompagna annotazioni solo circa il testo in esame o rimanda ad altri testi efficienti alla comprensione, condizione che si verifica in particolare in testi vagliati da dotti lettori, quali sono
appunto quelli presi in esame nella presente trattazione.
8. Metodologia utilizzata
I marginalia figurati sono dei segni da studiarsi tanto nella propria individualità, quanto nell'essere elementi che concorrono a definire la specificità di un manoscritto rispetto a un altro prodotto
nella medesima officina o dallo stesso copista. La mia ricerca si orienta secondo due categorie parallele: il singolo segno e i manoscritti in cui si trova collocato, motivo per cui è esclusa a priori la
problematica dell'identificazione della mano. Per questo intendo definire sin dall'inizio la singola
tipologia di marginalium preso in esame, se esso sia figurato o simbolico e, in quest'ultimo caso,
singolo o accompagnato da una glossa. Descrivo poi le varie caratteristiche tecniche che riguardano
in primis il singolo segno, quindi l’importanza di quel tipo particolare di intervento sul testo. Dell'aspetto tecnico definisco innanzi tutto le dimensioni dell'altezza e della larghezza in millimetri del
segno, la penna e l'inchiostro utilizzato, il ductus e la consistenza del tracciato.
Nelle premesse si affermava anche l'intenzione di definire il rapporto tra il segno e il testo, quindi si riporta anche la collocazione del segno nella pagina sui margini destro, sinistro, di testa e di
piede e all'interno dell'intero testo. Più che definire la consistenza della postillatura secondo caratteri soggettivi (fitta, discreta, limitata), riporto direttamente il numero totale di segni isolati e la segnatura delle carte interessate. Si tratterebbe, in concreto, della rielaborazione delle tabelle A, B e C
(solo C1 e C2, mentre C3 è specificato sin dall'inizio) già proposte dal Brambilla secondo un'ottica
più oggettiva.
Segue l'analisi paleografica, in cui si da la descrizione morfologica del singolo segno e i mutamenti della singola tipologia negli anni; se presenti, si definiscono anche le contaminazioni con altri
marginalia, soprattutto nel caso in cui avvenga una fusione di funzioni.
Un libro è un prodotto vivo, che ha una sua storia, che passa di mano in mano, quindi è interessante parlare anche delle motivazioni che hanno creato o che hanno contribuito a far nascere la tipologia di marginalia. Queste cause derivano dall'esperienza maturata da questi illustri lettori nell'epoca in cui vivono: nei libri esisteva un filone artistico ricchissimo che prendeva corpo nella tradizione miniata, ma l'ispirazione poteva nascere pure da altri rami dell'arte visiva di cui il lettore aveva partecipato in un periodo più o meno vicino rispetto allo studio, come il campo pittorico, musivo
o architettonico. I vari dotti stabilivano contatti tra loro: per fare un esempio vicino al presente argomento, basti pensare alla relazione più o meno fitta tra Petrarca e Boccaccio, tanto che in un periodo lavorarono sulle stesse carte quindi probabilmente motivi di suggestione potevano anche essere
marginalia tracciati da altri lettori illustri o meno.
9. Rapporto tra lo studioso e i marginalia
Il metodo in uso fino a circa il X – XI secolo per apporre la scrittura era la cosiddetta scriptio
continua, una soluzione grafica in cui le parole costituivano un unico, immenso flusso concettuale
arginato solo dal termine del testo stesso. Le ragioni su cui riposava una simile scelta erano di ordine estetico e tradizionale: sin dalla tarda antichità era questa la modalità di scrittura privilegiata e
che garantiva una continuità di nero sulla riga del supporto di scrittura. Quanto più ci si addentrava
nel Medioevo, tanto più sfumata era la conoscenza del latino, tanto maggiore era la capacità per i
pochi monaci in grado di leggere i testi di comprendere quanto fosse effettivamente scritto: a partire
dai centri insulari, di fondazione insulare e non (Britannia, Irlanda, fondazioni irlandesi o autoctone
nella regione germanica, Italia settentrionale, Svizzera retica), la scriptio continua fu affiancata a
quella che Paul Saenger definisce “divisione canonizzata” 10.
Scegliere una simile soluzione significava rivoluzionare completamente la pratica quale si era
intesa sino a quel momento: l’uso tardo antico era soprattutto di leggere ad alta voce (infatti non
mancano casi di autori che descrivono l’attività silente 11) ma nel Medioevo la pratica viene totalmente riconsiderata sotto un occhio nuovo. Lo stupore che S. Agostino esterna nel vedere Ambr ogio che legge “tacite”, in silenzio12, fa comprendere che l’uso non si era ancora radicato, mentre un
secolo dopo Cassiodoro parlava di due tipi di lettura o lectio: la prima che gli si confà è da lui definita “sedula”, o lettura colta; la seconda è “simplicissime”, o la lettura dei monaci più illetterati.
Armando Petrucci 13 scioglie la complicata questione riassumendo tre tipi di lettura: la prima è la
lectio silenziosa o mentale; la seconda è la ruminatio, o lettura meditativa a bassa voce, la terza è la
lettura pubblica o ad alta voce. Se nei primi due casi l’esercizio avveniva nel privato della propria
cella, il terzo tipo era una vera e propria sopravvivenza della pratica tardo antica adottata durante le
liturgie. Per ritornare alla differenza tra la tacita lectio tardo antica e medievale, il dubbio è sciolto
ancora una volta da Saenger: indagando sugli usi dei monaci cistercensi, lo studioso mette in luce il
fatto che la lettura silenziosa era per questi un momento di meditatio, comprensione interna del testo
per ottenere l’elevazione spirituale passando dal cuore (“affectus cordis”); per estensione, la lettura
silenziosa stessa era sacra. Nel saggio viene messo in luce l’esempio di Ricalmo, priore cistercense
di Shôntal dal 1216 al 1219, costretto dai diavoli a leggere ad alta voce, quindi a non ottenere la
comprensione interna.
10
P. SAENGER, La scrittura e la lettura dei codici nel Basso Medioevo, p.308.
11
HORATIUS, Saturae, V, 68.
12
S. AGOSTINO, Confessiones, IV, 3.
13
A. PETRUCCI, Leggere nel Medioevo, p.7.
Nel XII secolo la situazione cambia radicalmente: la produzione libraria aumenta notevolmente e
l’uso della scrittura individuale si diffonde, anche a uso compositivo. Nel periodo tardo antico la
consuetudine era invece comporre oralmente dettando il testo a uno scriba che redigeva il testo direttamente secondo la scriptio continua; la canonizzazione della divisione, il nuovo rapporto alla
scrittura e alla lettura, invece, ruppero questa tradizione sedimentata: la presenza di terzi nella stesura del testo divenne addirittura motivo di disagio, come nel caso riportato da Saenger 14 di Guibert
de Nogent 15 che nel XII secolo denunciava sofferenza per la presenza del segretario dato che la perdita totale della vista lo aveva impossibilitato a una scrittura autonoma.
La diffusione più capillare dei libri porta anche all’evoluzione della tacita lectio, che non è più la
ruminatio dei monaci cistercensi e anche di alcuni monaci benedettini, ma costituisce un modo rapido di leggere e un modo di studiare inteso come appropriazione e ragionamento sul testo, soprattutto per la cultura scolastica. Il sistema di studio voleva una iniziale lectio o lettura del testo; che si
sollevassero dubbi o quaestiones su quanto letto; una disputatio o discussione che risolvesse le quaestiones precedentemente sorte per una finale determinatio, la presa di posizione sull’argomento. Le
fasi di studio si riducevano quindi a quattro momenti (lectio, quaestio, disputatio, determinatio) per
ottenere un’istruzione consapevole.
Il libro universitario prendeva il nome di “pecia”. Il termine è di origine incerta: forse ispirato da
“petia”, un antichissimo termine celtico, si può tradurre con “pezzo” con cui si definisce un libro
con un proprio ciclo di produzione e canale di commercializzazione. A partire da un exemplar approvato da un’apposita commissione universitaria, il petiarius o commerciante degli stationarii
commissionava la produzione delle pecie a scribi a prestazione. Questi professionisti, laici o meno,
più o meno letterali, realizzavano un libro secondo un metodo moltiplicativo “successivo” 16 per poi
assemblarlo una volta trascritto. Il libro scolastico, infatti, assume una certa importanza non solo
nelle dimensioni, ma anche nelle strutture interne ed esterne al codice: da una parte è la gerarchizzazione del testo, la divisione in paragrafi per renderlo immediatamente intelligibile ed accessibile
(Pietro Lombardo usa espressioni del tipo "statim invenire", "presto habere", "facilius
re"17).
Il testo è scritto per essere letto, ma la lettura porta inevitabilmente alla scrittura, fino a porle su
un piano di parallelismo che si concretizza nei commenti. Le letture sono di due tipi: ancora quella
individuale, oramai privata della ruminatio meditativa, ma intesa come «occupatio per se scrutantis
14
P. SAENGER, cit., p. 316.
15
GUIBERT DE NOGENT, Tropologiae in Osse, Amos ac Lamentationes Jeremiae, PL 156, col. 340: «sola memoria,
sola voce, sine manu, sine oculis».
16
J. P. GUMBERT, L’unitè codocologique, p.
17
Cfr. R. ROUSE-M.ROUSE, Statim invenire.
scripturas»18 e quella pubblica, la lettura del maestro ai discepoli che seguono leggendo individualmente, secondo un’operazione di scambio tra i due.
La lettura si fonda su un sistema scritto, e la scrittura, secondo il sapiente saggio di Walter J.
Ong19 è un artificio dell’ingegno umano: sebbene la parola scritta sia così impregnata di quotidianità da non essere considerata quale mezzo tecnologico, la sua funzione è quella di “aiutare” colui che
ne se ne serve. L’invenzione della parola scritta, in effetti, è una delle ideazioni che più di tutte ha
modificato il modo dell’uomo di rapportarsi alla realtà circostante: una cultura meramente orale è
fondata su una memoria omeostatica o situazionale, quindi saldamente connessa ai fenomeni materialmente empirici piuttosto che astratti. Difficilmente si ricordano pensieri se non in relazione a
questa o a quella occasione, mentre la scrittura ha il preciso scopo di fissare quei figli della mente
altrimenti perduti.
La scrittura ha trasformato profondamente il pensiero umano nel senso che lo ha decontestualizzato dal linguaggio verbale. Al contrario di un discorso parlato, il messaggio di un libro non può essere alterato ed è naturalmente posto in una condizione di assolutezza, quasi di oracolarizzazione:
non è possibile intrattenere un discorso con un libro, in quanto non si può reperire l’autore, soprattutto quando questi sia venuto meno, quindi l’assimilazione è lasciata alla libertà mentale di colui
che legge.
I prodotti grafici dell’uomo sono di tre tipi: la scrittura, i disegni e quelli che Ong definisce aides–mémoire (= aiuti della memoria). La prima si fonda su una serie di tracciati simbolici riempiti
di contenuto e disciplinati da regole grammaticali, i secondi sono delle immagini non canonizzate
da un codice convenzionale, mentre gli aides–mémoire sono riempiti di un codice fissato dalle parole o contesti umani.
Gli aides–mémoire sono precisamente i marginalia figurati, dal momento che fissano alcuni punti e si appoggiano sulla scrittura: di per sé questi ponti tra lettore e libro non hanno significato perché focalizzano l’attenzione dello studioso su quella particolare sezione da non obliare. Non si
dev’essere dimentichi del fatto che la scrittura sia un sistema non naturale che tenta di dare un ordine al caotico verbale spezzando il continuum dell’esperienza; trattandosi di un insieme isolante,
produce fatica. La mente, infatti, è costretta a molteplici sforzi: conferire verbalità alle parole scritte, aggiungere un’enfasi che esse naturalmente non possiedono (l’imperfezione del sistema grafico
sta nell’ambiguità di interpretazione) ed elaborare completamente il contenuto. L’assimilazione è
inoltre sintetica perché seleziona immediatamente ciò che è principalmente importante da ciò che è
a esso funzionale.
18
Cfr. P. SEVERINO POLICA, Libro, lettura, pp.377-378.
19
W. J. ONG, Orality and Literacy, pp. 77-112.
Questi segni grafici, aides–mémoire o marginalia, vivono di una sostanziale dicotomia tra linguaggio verbale e scritto incarnata dal fatto che non sono un linguaggio propriamente scritto, come
prima accennato, ma conducono ad esso. Tali grafismi, collocati a metà tra un sistema di comunicazione primario (orale) e uno secondario (scritto), sono strutturali non della realtà esterna all’uomo,
come invece è in grado di fare la scrittura, ma del testo.
La meta della scrittura è principalmente quella di realizzare un’introspezione che apre la psiche
tanto al mondo esterno perché si estranea ad esso, quanto all’io interiore che produce lo sforzo di
penetrare un pensiero altrui. La comprensione è possibile perché la scrittura si attiene a delle cristalline regole grammaticali, cui la rapida espressione orale si sottrae e talvolta ignora, poiché la scrittura si avvale della cosiddetta “analisi retrospettiva” 20, o la capacità di correggere ciò che è stato scritto, quindi di rappresentare perfettamente ciò che si vuole rendere esplicito.
I marginalia non hanno invece questa funzione, piuttosto quella di tracciare il percorso di sintesi
elaborato dalla mente, così da percorrere in seguito sempre quella via e ampliarla con interventi
successivi. Quest’uso non è proprio del periodo altomedievale o dello studio scolastico: entrambi,
anche se soprattutto il primo, erano intrisi di una profonda oralità sopravvissuta anche nel secondo
periodo. Il metodo di studio della Scolastica di cui prima si è avuto modo di accennare, pur sostenendosi di testi, gravitava quasi totalmente attorno alla disputatio, la discussione tra più punti di vista, per giungere alla determinatio.
Su un’altra linea si pone l’Umanesimo, porta della moderna erudizione fatta su testi: il metodo di
studio presupponeva la lettura e lo studio sui testi, motivo per cui è molto più copiosa la realizzazione di questi segni para-grafici.
20
J. GOODY, The Domestication of the Savage Mind, pp. 49-50.
Capitolo 2: Petrarca
1. Storia dell’autore
1304: Nasce ad Arezzo, da ser Petracco di Parenzo ed Elena Canigiani.
1311: si trasferisce a Pisa insieme con la famiglia.
1312: si trasferisce ad Avignone insieme alla famiglia e a Carprentras riceve i primi
insegnamenti di grammatica sotto la guida del maestro Convenevole da Prato.
1316 – 1320: studia diritto a Montpellier.
1320: si trasferisce a Bologna insieme al fratello Gherardo per seguire i corsi di diritto
all’Università.
1326: si trasferisce nuovamente in Provenza a causa della morte del padre.
1328 – 1329: prende gli ordini minori.
1330: entra come cappellano nella famiglia del cardinale Giovanni Colonna.
1333: compie dei viaggi in Germania e in Francia.
1337: compie il primo viaggio a Roma e successivamente acquista una casa a Valchiusa.
1341: compie il viaggio a Napoli per farsi esaminare dal re Roberto d’Angiò, riceve quindi a
Roma la corona d’alloro e pronuncia la Collatio laureationis. E’ ospite a Parma da Azzo da
Correggio.
1345: fugge da Parma, dove era scoppiata una guerra, e si rifugia a Verona.
1346: si trasferisce a Valchiusa.
1348: muore Laura a causa della peste nera.
1350: a Padova riceva la visita di Boccaccio, il quale gli offre una cattedra presso lo Studio
fiorentino, che però rifiuta.
1353: lascia per sempre la Francia e si trasferisce a Milano, ospite dei Visconti, provocando
grande scontento tra gli amici fiorentini, in particolare Boccaccio.
1354: compie un viaggio a Mantova per incontrare l’imperatore Carlo IV.
1361: compie un viaggio a Parigi a rallegrarsi con il re Giovanni II da poco liberato dalla
prigionia inglese, dopodiché si trasferisce a Padova per sfuggire alla peste dilagante.
1362: si trasferisce a Venezia.
1364: assume il copista ravennate Giovanni Malpaghini.
1369: inizia a costruire una casa ad Arquà, sui colli Euganei, in un terreno donatogli da
Francesco da Carrara, che diverrà il luogo in cui trascorrerà i suoi ultimi anni di vita.
1370: compie il terzo viaggio a Roma, a Ferrara viene colpito da un eccesso di malessere e
quindi è costretto a fermarsi a Padova.
1374: muore ad Arquà nella notte tra il 18 e il 19 luglio 21.
21
E. H. WILKINS, Vita di Petrarca; per ulteriori notizie, cfr. anche G. FERRONI, Storia e testi della letteratura
italiana, pp. 59 – 60.
2. Marginalia petrarcheschi
I marginalia petrarcheschi sono sia figurati che simbolici: nel primo caso si parla di maniculae,
nel secondo caso di graffe e ianuae.
2.1.
Maniculae
2.1.1. Caratteri generici
La manicula è un marginalia figurato che riproduce sinteticamente una piccola mano spesso corredata da polsino e manica (il termine deriva dal latino manus) e che Petrarca usa in maniera sua
peculiare. La mano petrarchesca si trova nell’atto di indicare con l’indice sezione del testo che lo
interessa ed è rappresentata secondo la prospettiva di colui che legge, quindi rivolgendo il dorso
verso l’osservatore; l’unico dito pienamente riconoscibile è l’indice, mentre delle altre, ripiegate sul
palmo, è rappresentata la sola falange. Il numero complessivo delle dita visibili è dato dalla somma
dell’indice con le altre dita flesse, eccettuato il pollice, e il segno termina infine con una manica
sommaria, in alcuni rari casi elaborata più o meno riccamente, talvolta costituita da una doppia linea.
Come qualsiasi aides–mémoire, la sua funzione è di indicare un punto preciso, non un’intera sezione, come invece altri segni.
I caratteri discriminanti di questa manicula peculiare sono i seguenti in ordine di importanza:
 margine lungo cui è posta;
 numero di dita;
 presenza dell’unghia;
 forma della mano;
 foggia della manica.
A seconda che la manicula sia realizzata lungo il margine interno o esterno del foglio, si parla
rispettivamente di alta o di longa, secondo le definizioni da me date. Ho scelto per l’alta questo
termine poiché il marginalium accompagna il testo secondo il senso verticale, parallelamente alla
sua altezza: rappresenta una mano destra il cui indice si sporge sulle altre dita a indicare la sezione
interessata. Viceversa, la longa riproduce una mano sinistra, quindi si svolge in senso perpendicolare allo scritto; l’indice figura in cima alle altre dita piegate.
La ragione alla base di una simile scelta potrebbe essere il tracciato destrogiro che favorisce la
realizzazione della manicula verticale a margine interno del testo, mentre non accade in quella a
margine esterno: l’indice dell’alta punta verso il testo e il segno che descrive l’indice dalla base del
dorso è inizialmente continuo, poi rotto dal tracciato di tutte le dita ripiegate che seguono. Al contrario, il disegno dalla longa, pur partendo ancora dalla base della manica, segue una direzione che
si svolge dall’alto verso il basso, opposta rispetto all’altra.
Attraverso la ricerca qui presentata ho riconosciuto nel numero delle dita un’ulteriore discriminante di questo segno petrarchesco: inizialmente sono quattro, in seguito se ne aggiunge un’altra fino a raggiungere un numero complessivo di cinque. Petrarca non aggiunge il pollice accanto
l’indice, bensì un altro dito oltre il presunto mignolo ripiegato.
Parimenti per l’unghia dell’indice della mano: in un primo tempo assente, ne viene aggiunta una
di forma sintetica quando il segno viene maggiormente particolareggiato.
Questo marginalium è realizzato secondo uno stile mai realistico e soggetto nel tempo a continui
mutamenti: inizialmente curva, la mano assume poi due tipizzazioni specifiche e parallele per l’alta
e per la longa, quindi l’arco del segno si schiaccia gradualmente fino ad appiattirsi del tutto.
I tipi di manica da me individuati che interessano nella stessa misura l’alta e la longa sono quelli
che ho definito come detextualis ed etextualis. La detextualis ha il risvolto aperto, mentre quello
della etextualis è chiuso da uno o più tratti di penna, non rilevanti nel numero di righe che lo
delineano, da ciò che ho potuto appurare attraverso la mia analisi: come si vedrà successivamente,
le due linee sono usate indifferentemente sia nelle prime fasi che in quelle più tarde.
La foggia detextualis può essere semplice o complessa: all’interno del corpus di codici da me
vagliati, la quasi totalità dei casi è costituita dalla forma semplice, quella complessa consta solo
pochi casi tracciati nel Par. Lat. 2201.
La detextualis complessa è una manicula il cui tratto più esterno della foggia si appoggia al testo,
mentre l’altro si allunga sino ad abbracciare l’intera sezione d’interesse. L’attenzione a tale forma
risiede soprattutto nei vezzi decorativi che Petrarca aggiunge al segno ed è di natura artistica
piuttosto che cronologica: da ciò che ho potuto constatare, tale classe di marginalia è stata infatti
tracciata all’incirca in uno stesso periodo.
La detextualis semplice è a tratto orizzontale o verticale, aperta, slanciata o ondulata. La forma
“a tratto orizzontale” è quella di un polsino di manica descritto da un semplice tratto che lo taglia in
direzione del testo (“a tratto orizzontale interno”) o viceversa (“a tratto orizzontale esterno”); gli
ultimi casi (aperta, slanciata o ondulata), non sono altro che differenti interpretazioni di uno stesso
modello evolutosi nel tempo. Da una forma inizialmente aperta, l’aspetto del risvolto della manica è
quindi tratteggiato da due linee curve dirette verso il polso, sino a che i segni che lo costituiscono
sono scossi da deboli ondulazioni terminali.
La foggia della etextualis si esprime secondo varie forme che, tuttavia, appartengono a due
grandi classi: prima è quella del “lembo”, seconda del “calice”. Ho usato l’idea del lembo poiché il
taglio del polsino sembra ricordare un lembo di stoffa che se svasa verso il testo è “a lembo
interno”, altrimenti “a lembo esterno”. I due lembi, “interno” o “esterno”, sono stabiliti in rapporto
al quadro di scrittura, così che la definizione scelta non dipenda dal tipo di margine (interno o
esterno) o dal tipo di manicula (alta o longa), ma dalla sua posizione rispetto al testo che indica: è
per questo che anche possono essere etextualis tanto le altae quanto le longae. Figlie di questa
tipologia sono quella “a spatola”, il cui lembo è chiuso da una linea curva che le conferisce un
aspetto simile proprio a quello di una spatola, e quella “lapidea”, le cui irregolarità ricordano una
roccia.
La foggia “a calice” è descritta da due tratti paralleli tagliati infine da un segno orizzontale della
larghezza della manica o superiore.
Come già la detextualis complessa, anche la etextualis comprende elementi e forme decorate cui
non ancora attribuisco, tuttavia, alcun valore storico-cronologico perché costituiscono singoli
fenomeni decorativi stimolati da momentanee inclinazioni artistiche del poeta.
Dopo aver accennato questi elementi introduttivi alla morfologia del segno, devo anche
segnalare che questo studio non percorre una linea cronologica oggettiva, bensì relativa ai singoli
esempi. Ciascuno di essi è posto in una posizione di precedenza o successione rispetto agli altri
all’interno di determinate fasce cronologiche, determinate sulla base di studi pregressi condotti sui
codici che compongono il corpus da me scelto.
Ho anche già avuto modo di accennare al corpus utilizzato in questa sede: si tratta di una serie di
codici che appartengono al fondo latino della Biblioteca Nazionale di Parigi e che sono collocati in
un arco storico ricostruito dai molti studiosi in tempi lontani e recenti. La storia dei libri che
Petrarca lesse e possedette è indubbiamente complessa e non tento assolutamente di entrare nel
merito; lo scopo che anima questo lavoro è di fare di questi lavori di critica pregressi uno strumento
d’esame per un aspetto della paleografia petrarchesca poco considerato. Il corpus di mia scelta
risolve in maniera piuttosto soddisfacente per le maniculae e gli altri marginalia l’analisi degli anni
’40 e ’50, tuttavia non è altrettanto ricco di esempi degli anni ’60 o ’70, motivo per cui l’ipotesi di
ricostruzione diventa più fragile; invito quindi eventuali fronti di studio a supplire alle mie evidenti
mancanze che si avrà modo di vedere in seguito.
2.1.2. Analisi storico –morfologica
2.1.2.1. Influenze alla manicula petrarchesca
Per questo primo periodo si è preso in esame il codice conservato a Padova, Biblioteca Universitaria 1490. Si tratta di una copia realizzata tra XIII e XIV secolo del De Civitate Dei di S. Agostino
e comprata ad Avignone da Petrarca stesso per 12 fiorini, come si legge dalle note scritte su uno dei
primi fogli del testo22.
La critica intorno al codice è piuttosto difforme: l’appartenenza di esso è assegnata a Petrarca per
la già citata nota di possesso sul f.1, mentre si è incerti sull’effettiva attribuzione delle glosse al
giovane Francesco. In particolare, le similitudini di tracciato e di inchiostro lascerebbero supporre
che il segno riportato in fig. 1 (vedi sotto) sia stato realizzato dallo stesso autore della glossa 23,
secondo la critica non petrarchesca 24, che affianca.
Anche se non realizzata da Petrarca, la manicula della figura sottostante esprime un rilievo in
quanto rappresenterebbe una possibile influenza che il poeta potrebbe aver percepito e
successivamente elaborato secondo la inclinazioni personali. Emergerebbe quindi un quadro ben più
complesso che non intendo risolvere in questa sede, della presenza di più tradizioni grafiche diffuse
non solo in Italia, ma anche Oltralpe: non si deve dimenticare che il codice è stato acquistato ad
Avignone, anche se potrebbe essere stato letto dal giovane Petrarca nel periodo a cavallo tra il
soggiorno a Bologna per gli studi di diritto e la morte del padre Petracco.
Figura 1
Pad. Bibl. Univers. 1490, f.1r
22
Sul f.1 si legge infatti: «Anno Domini Millesimo Trecentesimo vigesimo quarto, mense februario in Avignone, emi
istum librum de civitate Dei ab ex equo utoribus domini cinthii cantaris turanensis pro pretio florinorum duodecimi».
23
Pur non avendo visionato la manicula se non attraverso la riproduzione di A. C. DE LA MARE su Handwriting, Pl. I,
b, p. 27, e non conoscendo quindi né l’effettiva tonalità dell’inchiostro, né dettagli particolari sul tracciato, nel
complesso si può notare che il tratto è uniforme e di medio spessore, sebbene si notino due ispessimenti di colore in
prossimità della base del dorso e del primo dito ripiegato, probabilmente imputabili a una ripresa dello strumento di
scrittura. Il ductus è rapido, anche se il segno è stato realizzato in tre tempi: il primo tratto parte dal dorso per tracciare
l’indice e le altre dita, fino alla fine del dorso; il secondo descrive la linea del polsino che taglia la mano; il terzo la fine
della foggia della manica. Anche se a tre tempi, la manicula presenta un tracciato simile a quello della glossa a fianco
per la consistenza del segno. Questo, più il fatto che ambedue siano corsive, sembrerebbe suggerisce che la fretta
genitrice tanto il marginalium quanto la postilla si radicasse in una necessità momentanea e complementare: l’autore
dell’intervento extratestuale avrebbe realizzato la glossa per prima e aver quindi scelto istintivamente la soluzione della
manicula per ancorare la spiegazione al testo.
24
A. C. De la Mare in Handwriting riteneva che la glossa fosse stata realizzata da Petrarca, tanto che nella tavola da cui
ho estratto la figura, collocava intorno al 1325 circa; per la definitiva attribuzione della glossa adiacente alla manicula
sopra riportata e, di conseguenza, probabilmente anche del marginalium figurato, cfr. M. C. BILLANOVICH, Il
vescovo Ildebrandino Conti e il De Civitate dei.
La manicula presa in esame si trova sul margine esterno del codice ed è una mano sinistra a
quattro dita, il cui indice è rigido e non unghiato; l’angolo pone il vertice sulla nocca del dito che
indica ed è molto aperto. La mano è disegnata secondo la prospettiva di un lettore generico di cui
non è dato sapere identità o abitudini: ponendo il caso in cui si tratti dell’autore del segno, questi
potrebbe aver preso a modello la propria mano sinistra perché aduso a indicare con questa o
piuttosto perché destro e la mano sinistra era l’unica libera per indicare. Nel secondo caso, ben più
semplice, la mano disegnata non appartiene all’autore della manicula, ma a una seconda persona
che indica il testo.
Infine, la manica è descritta in maniera sintetica da due rapidi tratti di penna e risalta per
semplicità con cui è realizzata. Anche questo elemento non permette di risolvere ancora i problemi
posti prima circa l’identità o status sociale dell’ideale possessore della manica: l’unico elemento
che si più isolare è un bordino, forse di camicia, che fuoriesce da un polsino per nulla elaborato.
Con questi pochi indizi si potrebbe risalire a possibili individui di qualsiasi estrazione sociale ed
effettivamente nessuno di essi.
Tralasciando quindi questo nebuloso fronte di indagine, l’unico elemento che si deve estrarre
dall’esempio in fig.1 ai fini dell’analisi della manicula petrarchesca è il fatto che questa potrebbe
aver rappresentato un modello per la successiva elaborazione, quindi essere stata considerata,
soprattutto secondo un punto di vista grafico, come una sorte di manicula-tipo, come si può
appurare nel paragrafo successivo.
2.1.2.2.
Primo periodo. Anni ’30
I codici presi in esame per questo periodo sono quattro e tutti appartenenti al fondo manoscritti
della Biblioteca Nazionale di Parigi con segnatura Par. Lat. 1617 25, Par. Lat. 199426, Par. Lat.220127
e il Par. Lat. 6280 28.
Per ragioni storiche l’analisi parte dal terzo, il Par. Lat. 2201, una miscellanea del De Anima di
Cassiodoro e il De vera religione di S. Agostino. In questo codice si trovano molte informazioni
25
Vedi P. DE NOLHAC, Pétrarque, II, p. 207; L. CHIOVENDA, Die Zeincnunen, AB, pp.2 – 5; E. PELLEGRIN, La
Bibliothèque des Visconti et des Sforza, pp. 192 – 193 ; cit., Manuscrits, pp. 270 – 271; A. PETRUCCI, La scrittura, p.
121 n. 18; A. C. DE LA MARE, Handwriting, p. 13, n. 22; M. SIGNORINI, S. Gregorio al Celio.
26
Vedi E. PELLEGRIN, La Bibliothèque, p. 183; G. BILLANOVICH, Nella Biblioteca, pp. 6 – 16 (tavv. 1 – 2); Manuscrits, pp. 31 – 32; E. PELLEGRIN, cit., p. 188; L. B. ULLMAN, Studies, pp. 117 – 137; E. PELLEGRIN, Manuscrits(1), pp. 492 – 493; cit., Manuscrits(2), pp. 274 – 275; A. PETRUCCI, La scrittura, pp. 28, 123 nr. 27, tavv. V-VI.
27
Vedi L. DELISLE, Notice Sur Un Livre Annote Par Petrarque, cap. 7; P. DE NOLHAC, II, pp. 198 – 200, 293 – 296;
28
Cfr. E. PELLEGRIN, La Bibliothèque, p. 98; ID.(2), Manuscrits, p. 281; S. GENTILE, Le postille.
utili sul percorso di formazione di Petrarca, soprattutto per le letture precedenti al 133529 di autori
classici: tra essi figura Ovidio con le sole Metamorfosi30. Sulla guardia del testo Petrarca copiò una
preghiera di sua invenzione 31, qui come in altri codici.
L’acquisizione del Par. Lat. 2201 rappresentò il principio delle peregrinazioni di questo
personaggio inquieto: morto il papa Giovanni XXII nel 1334, Benedetto XII salì al soglio
pontificio. Il nuovo papa, su invito del cardinal Giovanni Colonna, gli assegnò la carica di canonico
di Lambez, dove tuttavia non risedette mai, delegando il compito ad altri. Pur essendo avvezzo a
continui viaggi e cambi d’abito, Petrarca si sentì sempre fiorentino: pur essendo nato ad Arezzo,
tale si firmò nell’atto che lo nominava canonico, come da discendenza paterna.
Ancora negli anni ’30 ed entrambi a Roma furono acquisitati i codici Par. Lat. 1617 e il Par. Lat.
1994: il primo, contenente le Recognitiones di Clemente e le Homiliae in Evangelia di Gregorio
Magno, il 6 marzo 133732; il Par. Lat. 1994 fu comprato a S. Gregorio al Celio 33. A conferma di una
prima fase di studio già verso la fine degli anni ‘30 sono pure le stesse glosse, le quali, secondo
l’analisi di Paola Supino Martini, possono essere ricondotte al medesimo filo corsivo che le
legherebbe a quelle del Par. lat. 2201 e del Virgilio Ambrosiano34.
29
Sulle prime carte (cc 1r-v) è scritta una lunga preghiera, dettagliatamente analizzata da Delisle per primo in Notice
sur un livre annoté par Pétrarque, p. 396 (riporto qui la citazione di de Nolhac) per primo come afferma De Nolhac in
Pétrarque, p.199, datata 1 giugno 1335, quindi il codice è sicuramente posseduto a partire da quella data.
30
Si rifiuta così la testimonianza ripresa da L. Marcozzi, Petrarca, p.60 di Familiares, XXIV, 1, secondo cui
l’erudizione di Petrarca fosse stata introdotta dalle opere elegiache di Orazio.
31
Preghiera del 1 giugno 1335: «Tibi, Deus meus, commendo cogitationes et actus meus, tibi silentium et sermones, tibi
motus et quietem, tibi dies et noctes, tibi somnium et vigilias, tibi risum et lacrimas, tibi spes et desideria, tibi mee
tempus et mortis horam».
32
I due codici furono acquistati durante il soggiorno romano compiutosi tra il gennaio e il luglio del 1337. Tra i due, il
Par. Lat. 1617 in particolare rivela il legame con Landolfo Colonna, esponente di una delle più potenti famiglie baronali
romane, con il quale il giovane Petrarca curò un’attenta edizione di Livio, come è pure testimoniato dalle note appartenenti alle due mani sul Par. Lat. 5690. Recando seco parte della sua biblioteca, nel 1331 Landolfo tornò a Roma per morire qui. Petrarca, legato alla famiglia anche perché capellanus del cardinale Giovanni, nipote del defunto, ebbe quindi
la possibilità di accedere alla sua biblioteca per acquistare insieme questo codice e il Par. Lat. 2540. Per un’analisi più
dettagliata della storia del Par. Lat. 1617 in relazione al viaggio romano, confrontare il contributo di M. SIGNORINI,
San Gregorio al Celio e un codice della biblioteca di Francesco Petrarca.
33
34
Una decina di giorni dopo, da quanto si può leggere dalla nota «emptus Romae, 1337, 16 Martii» scritta sul f. 195v.
P. SUPINO MARTINI, Per una storia della semigotica, p.222, «Spie inequivocabili della consuetudine con il filone
corsivo denotano altresì le testimonianze autografe del Petrarca, datate 1 giugno 1335 e 10 luglio 1338, vergate nel
Cassiodoro Paris. lat. 2201: nella prima, eseguita con penna a punta mozza, è da notare il disegno chiaro delle lettere,
con prevalente omissione delle fusioni di curve contrarie contigue ed altre "caratteristiche influenze corsive evidenti
nella g aperta, nella v iniziale, nella r"; nella seconda, a mio avviso non molto dissimile dalla precedente se non per
l’uso di una g testuale, le aste alte sviluppate, quelle di f ed s tendenti a scendere appena oltre il rigo, l’ansa della s
minuscola ripiegata alla maniera corsiva sulla lettera successiva. Nello stesso solco sembrano rientrare la prima scrittura
di glossa del Virgilio Ambrosiano, recuperato nel 1338, e quelle impiegate per annotare i Parisini latini 1617 e 1994,
acquistati entrambi a Roma nel 1337».
Il Par. Lat. 1617 è un codice realizzato agli inizi del XIV secolo (quindi in un periodo circa
coevo a Petrarca) e contiene una miscellanea di opere religiose di Clemente, Gregorio Magno,
Fulberto Carnatense e S. Geronimo.
Il Par. Lat. 1994 è invece un manoscritto ben più antico, realizzato nel XII secolo e ancora
appartenente al filone delle opere di S. Agostino di cui Petrarca fu così affamato agli inizi della sua
erudizione: si tratta delle Enarrationes in Psalmos CI-CL.
Dopo che sono state date queste generiche informazioni sulla collocazione temporale e storia dei
due manoscritti, si possono passare in rassegna gli esempi di maniculae apposti sui due testi. A
fronte di un Par. Lat. 1994 ricco, il Lat. 1617 della stessa collezione presenta una sola alta relegata
al f.7r da me non attribuita agli anni ‘30 per la discriminante dell’unghia che in esso è presente e a
ragione della quale il segno verrà valutato successivamente.
Il Par. Lat. 1994, come pure il 2201, contiene una molteplicità di maniculae diverse, quindi è
stato postillato amorosamente per lungo tempo.
Risale alla fine degli anni ‘30 l’acquisizione del codice Par. Lat. 6280 , una raccolta fattizia di due
manoscritti del XII secolo legati insieme, le cui carte di guardia sono due documenti datati 1312 e
133735. L’autore degli scritti in esso contenuti è per lo più S. Agostino, quindi suppongo che la
miscellanea sia stata realizzata per mettere insieme questi codici sciolti che Petrarca potrebbe aver
acquisito circa in quel periodo e fatti legare insieme dopo il 1337 proprio ad Avignone, perché
entrambi i documenti con i quali sono state realizzate le guardie hanno quel riferimento geografico.
Ho rinvenuto maniculae che possano essere effettivamente attribuite a Petrarca a partire dagli
anni ’30, e che non agiscano più a livello di mero influsso ma, come si potrà vedere soprattutto in
seguito, i caratteri del segno prendono rapidamente forma: sebbene siano comunque pochi gli
esempi di cui ci si possa avvalere, la pratica di tracciare marginalia, indice di uno studio
consapevole, si fa più frequente. Per questo primo periodo, sono presenti segni realizzati tanto sui
margini interni che su quelli esterni, quindi, pur nelle evidenti differenze, longae e altae del periodo
hanno punti di contatto assimilabili: in ambedue quattro sono le dita, le unghie ancora assenti, la
manica è solo detextualis.
A. Altae
Gli esempi di manicula del periodo isolati nel Par. Lat. 2201 sono tre altae nei ff.19v (fig.2)
(71x5,8 mm) , 24v (fig.3) (19x6,0 mm), 34v (fig.4) (16x7,0 mm).
35
A. C. DE LA MARE, The Handwriting, p.14 «Notes on various dates (some late) include dates 1343, 1355 […]
Chalcidius on Plato, Timaeus; Martianus Capella. Two 12th-centh. MSS bound together. Flyleaves from Avignom docs.
dated on 1312, 1337».
Figura 2
Par. Lat. 2201, f.19v
Figura 3
Par. Lat. 2201, f.24v
Figura 4
Par. Lat. 2201, f.34v
Queste tre maniculae apposte lungo il margine sinistro rimangono in parte sulla soglia dello
specchio di scrittura, in parte lo sfondano nascendo e tornando in esso secondo un moto circolare. Si
può inoltre notare che tutta l’attenzione della mano è concentrata sul dito, esteso in maniera
innaturale: l’astrattismo del segno riduce la gestualità al puntare dell’indice, mentre il resto della
mano è posto in ombra e segue naturalmente il gesto. L’indice della mano destra ha una piegatura
impossibile per una mano reale, e il dito stesso ha una forma a uncino perché attratto
magneticamente dal testo che punta; le altre dita piegate sono molto più corte, molto oblique perché
devono adeguarsi alla linea di forza creata dall’indice, così come il resto del palmo (vedi la linea
rossa che l’attraversa in fig.5).
Figura 5
Par. Lat. 2201, f.24v
B. Longae
Solo una è la longa del Par. Lat. 2201 e si trova sul foglio 28r (fig.6) (17x28 mm):
Figura 6
Par. Lat. 2201, f.28r
Il tracciato del segno è lineare e riprende l’ampiezza dell’angolo del dito nel segno del 1325,
mentre l’ampia manica accoglie nel lembo la nota che segue dietro. La longa del 1325 è realizzata
in tutta probabilità in un tempo solo, mentre nel Par. Lat. 2201 già solo il palmo e il dito sono
realizzati in due tempi, cui seguono quelli delle altre dita piegate e della manica elaborata: traspare
una cura più importante nella realizzazione, minore fretta, una maggiore confidenza con il libro
stesso.
Sul Par. Lat. 1994, invece, troviamo alcune longae a quattro dita senza unghia, detextuales,
relegate al f.37, uno sul recto (fig.7) (16x13 mm) e due sul verso (fig.8 e 9) (12x8,2 mm e 10x5,9
mm). L’inchiostro con il quale sono state apposte è della medesima tonalità e i tratti sono simili:
eccettuata la manicula a f. 37v(2) che disegna un arco fluido, gli altri due signa sono piuttosto
squadrati.
Figura 7
Par. Lat. 1994, f.37r
Figura 8
Par. Lat. 1994, f.37v
Figura 9
Par. Lat. 1994, f.37v (2)
Questi ultimi esempi presentano pure un’evoluzione ulteriore rispetto a quelli prima mostrati del
Par. Lat. 2201: mettendo a confronto la manicula di f.28r (fig.6), si nota che l’angolo descritto tra il
palmo e il dito che indica è molto più ampio negli esempi prima riportati piuttosto che nel 1994.
Dalla fine degli anni ’30 Petrarca abbondò la longa più piatta della prima fase di annotazione
quale quella nel f.1r di Pad., Bibl. Univers. 1490 e nel Par. Lat. 2201, per stringere l’angolo della
mano e rendere il segno sciolto e sicuro. E’ evidente il nuovo agio che avverte nei confronti dei
testi, tanto che si abbandonò a una postillazione ben più fitta rispetto ai periodi precedenti per i
quali si annoverano, come prima detto, ben pochi esempi.
La manicula al f.37v(2) introduce il progressivo allungamento del dito rispetto a quella del
f.37v(3) (fig.10) (13x7,4 mm): la forma generica a volte tondeggiante, a volte ad angolo
pronunciato, residui dell’antico retaggio, non ebbe tuttavia ragione dello stile petrarchesco di questo
e dei periodi successivi.
Figura 10
Par. Lat. 1994, f.37v (3)
Tabella 3
ALTA
LONGA
Numero di dita
4
4
Presenza dell’unghia
-
-
Manica
Detextualis
Detextualis
Fluida, ad arco
Squadrata, ad angolo ottuso molto aperto con vertice
alla base dell’indice corto
L’arco tende ad appiattirsi
Angolo ancora ottuso ma molto più chiuso, dito corto
che tende ad allungarsi
Forma della mano
I metà
II metà
Tabella delle caratteristiche della manicula degli anni ‘30
2.1.2.3.
Terzo periodo. Anni ’40
Infine, l’ambitissimo riconoscimento del lauro offerto contemporaneamente dall’università di
Parigi e di Roma mentre si stava dedicando alla sua opera più amata, l’Africa. Petrarca preferì farsi
cingere la testa di alloro e proclamare poeta vate del suo secolo a Roma, sul Campidoglio, con
solenne cerimonia nell’aprile del 1341. Gli anni ’40 furono un periodo particolarmente vivo e
fecondo per il poeta, non soltanto per l’incoronazione, ma anche per gli incontri avvenuti sotto il
vessillo della poesia (come i tre giorni preliminari all’incoronazione trascorsi a Napoli presso la
corte del re d’Angiò discorrendo di lettere) o gli incarichi affidatigli e che lo portarono un po’ per
tutta l’Italia (Carpi, Ferrara, Mantova, Firenze) e gli fecero conoscere molti nomi illustri (in questo
periodo nacque il sodalizio con Boccaccio e avvenne l’incontro con Cola di Rienzo).
Durante questo decennio fu acquisito il codice Troyes, Bibl. Mun. 552 e studiato il Par. Lat.
2103.
A. Altae
Il numero più frequente di questo tipo di marginalia rispetto al decennio precedente apre la
diversificazione del segno: l’evoluzione accennata alla fine degli anni ’30 prende corpo in un segno
sempre più sicuro e umano, tanto che si aggiunge l’unghia e sono introdotti i primi accenni
decorativi o sperimentali circa le funzioni del segno. Talvolta la manicula batte un colpo secco sul
testo, talora lo accompagna morbidamente per una sezione piuttosto lunga.
Tre sono i periodi corrispondenti a rispettivi stadi evolutivi della manicula nel decennio tracciati
dalle discriminanti dell’ampiezza dell’arco descritto dal dito che indica, la lunghezza dello stesso, la
forma del palmo e l’orientamento dello stesso, la lunghezza delle dita piegate ed elementi accessori
di completamento o decorativi. E’ così possibile individuare una cronologia relativa, mentre è assai
più difficile rilevare una assoluta, come si è già detto in precedenza.
1. Prima alta
Il patrimonio genetico della primissima alta, figlia di prima generazione della manicula degli
anni ’30, eredita il lungo dito ampiamente arcuato di quella sul quale si svolge tutta la tensione del
segno: il palmo poggia in maniera precaria sul dito che tocca il testo, facendo tendere tutto il segno
in una posizione obliqua; le dita piegate sono corte e oblique. La vera differenza consiste nello
sperimentalismo tentato fino a circa la metà del decennio che sfocia talora nella fusione della
manicula con la graffa, pur non raggiungendo l’eleganza di quest’ultima. Si prendano in esame
ancora i codici Par. Lat. 2201, 1994, 6280 a confronto con il Troyes, Bibl. Mun. 552.
Il Par. Lat. 2201, il codice di più antica acquisizione del corpus, presenta quattro esempi sui ff.
31r (fig.11) (38x6,4 mm), 31v (fig.12) (13x5,8 mm), 50v (fig.13) (21x5,8 mm), 53r (fig.14) (59x7
mm):
Figura 11
Par. Lat. 2201, f.31r
Figura 12
Par. Lat. 2201, f.31v
Figura 13
Par. Lat. 2201, f.50v
Figura 14
Par. Lat. 2201, f.53r
Nei segni di figg. 11 e 12 le caratteristiche di questo primissimo periodo sono evidenti: dito
molto arcuato, unghia sull’indice presente, dita piegate oblique che si dispongono sulla linea di
forza creata dall’indice, com’era pure evidenziato nella fig.5 riferita a f.5v. L’unico aspetto in cui i
due esempi differiscono è la manica: nella prima il prolungamento di questa non è minimamente
accentuato, nella seconda è presente e anzi, nettamente delimitato: finalmente avviene il passaggio
dalla tipologia detextualis alla etextualis.
Eccezioni sperimentali sono le maniculae di figg. 11 e 14 (ff.31r e 53r): non utilizzano più segni
di paragrafo per isolare il passo più o meno lungo come nel caso di f.31v in cui divide «Sed cum
omnibus modis medeatur animis"36 Deus pro temporum opportunitatibus, quae mira sapientia eius
ordinantur, de quibus aut non est tractandum37». Nelle due maniculae si utilizza un espediente già
tentato durante gli anni ’30 sul f.19v (fig.2) del prolungamento di un lembo della manica per
delimitare l’intera sezione.
Molto diverse tra loro sono le due soluzioni: in fig.11 la linea che “cade” dalla mano interrompe
una quasi perfetta linearità con un occhiello intermedio, forse un timido tentativo ornamentale, per
interrompersi bruscamente; in fig.14 si nota una riga con tre bombature mediane che fa eco alle
complicate volute caratteristiche delle graffe di cui Petrarca abbonda, il termine nella linea si
nasconde in un pennacchio finale.
Non solo l’attenzione, ma anche il tratto dei due esempi è cambiato: a fronte di una manicula più
sbozzata come nella fig.10, si può notare una progressiva evoluzione compositiva che passa per i
segni delle figure 11 e 12 fino a raggiungere maggiori decisione e armonia nei marginalia delle
fig.13 e 14.
Nel Par. Lat. 1994 appartiene a questa prima fase degli anni ’40 la manicula al f.105v (fig.15)
(20x10 mm), la cui curva dell’indice è stata realizzata in tre tempi, il che le conferisce un aspetto
angoloso, rozzo e frettoloso, mentre la manica si stabilizza nel tipo etextualis.
Figura 15
Par. Lat. 1994, f.105v
36
Inizialmente era scritto “animus”, ma la seconda asta della “u” finale è stata erasa e successivamente sbarrata fino a
lasciarne una sola e farla intendere come una “i”. L’intervento è stato realizzato con il medesimo inchiostro del testo,
quindi suppongo che si tratti di una correzione realizzata da un supervisore alla correzione, forse il capo d’atelier dello
scriptorium che ha generato il codice.
37
S. AGOSTINO, De vera religione, 16, 30: “Ma Dio cura le anime in ogni modo a seconda delle opportunità del
tempo che la sua meravigliosa sapienza ha predisposto, delle quali tuttavia non si deve parlare”.
Infine, per chiudere il discorso su questa prima fase dell’alta degli anni ’40, di portano a modello
gli esempi del Troyes, Bibl. Mun. 552 (fig.16)38 e del Par. Lat. 6280 ff.3r (fig.17) (10x4,0 mm), 35v
(fig.18) (8,0x4,0 mm), 36r (fig.19) (7,0x3,0 mm) e 37r (fig.20) (12x4,5 mm):
Figura 16
Troyes, Bibl. Mun.552, f.305v
Figura 18
Par. Lat. 6280, f.35v
Figura 17
Par. Lat. 6280, f.3r
Figura 19
Par. Lat. 6280, f.36r
Figura 20
Par. Lat. 6280, f.37r
L’esempio di fig.16 aderisce perfettamente al modello iniziale degli anni ’40, tanto che il lungo
indice si ancora al testo, quasi fosse un uncino 39 e la manica è piuttosto caratteristica: la mano
sembra appoggiata su di essa, quasi fosse un calice da cui straborda.
La fig.17 si muove invece su un orizzonte pionieristico: lo schiacciamento dell’arco dell’indice
porta all’indebolimento della linea di forza diretta dallo stesso, con la conseguente emancipazione
delle dita piegate introducono il periodo intermedio; la manica si allinea sul fronte etextualis cui
aderisce pure la manicula di fig.17, con l’aggiunta di un pizzo accennato.
38
Per il codice in questione, non ho trovato una riproduzione completa del manoscritto, quindi mi sono affidata alle
tavole che Fiorilla offre nella sua opera: M. FIORILLA, Marginalia, tav. 12.
39
I segni d’attenzione sono per Petrarca dei veri e propri “uncini della memoria”che feriscono il testo poiché ne alterano
la consistenza originale ma al tempo stesso lo radicano all’esperienza che ne fa il lettore, come si può vedere da un
passo del Secretum, II, p.196: “Quod con intenta tibi ex lectione contigerit, imprime sententiis utilibus (ut incipiens
dixeram) certas notas, quibus velut uncis memoria volentes abire contineas. Hoc equidem presidio consistes immobilis
cum ad versus cetera tum contra animi tristitiam, que umbra velut pestilentissima virtutum semina semina et omnes
ingeniorum fructus enecat.”.
Le figg.19, 20 e 21 (di cui la 20 è stata erasa forse per un successivo ripensamento) hanno
caratteristiche morfologiche, stilistiche e un inchiostro simile: per questo motivo è possibile istituire
un sincronismo delle tre, pur considerando la foggia della manica, importante eccezione.
Lo spostamento dell’asse della manica dall’orizzonte detextualis a quello etextualis offre inoltre
nuove possibilità e variazioni: da questi esempi è stato possibile classificare i due tipi particolari di
manica “a lembo”, interno o esterno, semplice o decorato, e quello “a calice”.
A esemplificazione visiva dei tipi, si osservino le seguenti figure:
Figura 13
Par. Lat. 2201, f. 50v
“lembo interno”
Figura 15
Par. Lat. 1994, f.105v
“lembo esterno”
Figura 17
Par. Lat. 6280, f.3r
“lembo decorato”
Figura 16
Troyes, Bibl. Mun.552, f.305v
“a calice”
2. Seconda alta
Unici esempi da portare per questo sottoperiodo sono quelli presenti nel Par. Lat. 2201 ai ff.
50v(2) (fig.21) (27x14 mm), 9r (fig.22) (23x8,2 mm) e 15v (fig.23) (60x8,2 mm):
Figura 21
Par. Lat. 2201, f.50v (2)
Figura 22
Par. Lat. 2201, f.9r
Figura 23
Par. Lat. 2201, f.15v
Come si può notare, la disposizione delle figure che ho adottato sino a questo momento era stata
operata secondo una logica di consequenzialità del testo che si sposava perfettamente con il
discorso svolto in termini particolaristici, mentre in questo caso ho preferito in via eccezionale di
derogare alla linea generale sino ad ora seguita per far comprendere lo sviluppo del segno dalla
prima alla seconda fase.
La seconda manicula di f.50v in fig.21 presenta ancora una posizione obliqua; il dito è arcuato,
ma più schiacciato rispetto al modello della fase precedente; le dita piegate sono corte e fortemente
oblique perché ancora soggiogate dalla guida dell’indice; la manica è detextualis. La vera particolarità consiste nel dito arcuato che, come nella fase precedente, è ancora importante, sebbene in via si
raddrizzamento. La variazione della curva condiziona a sua volta tutto l’equilibrio del segno che pure si assottiglia; la manica pure ereditata dalla fase precedente è segno di un passaggio non ancora
completamente maturato di questo elemento.
Nuovo respiro nel marginalium di fig.22: la mano viene bilanciata per poggiare su un piano ideale e muta l’assetto intero della struttura, dalle dita che, pur senza allungamento, si raddrizzano; il
segno ha dimensioni maggiori 40. Tuttavia, considerando le proporzioni dei singoli elementi, la lunghezza delle dita piegate non varia: l’impressione di slancio che ne deriva è data unicamente dal fatto che la figura sia diritta. La manica è stavolta etextualis a lembo interno.
L’ultimo segno che passo in rassegna per questo terzo gruppo è quello della fig.23, estremo di
questa serie della serie: la mano è completamente diritta e l’indice si riappropria della forma a uncino in via del tutto eccezionale, mentre le altre dita piegate sono agevolmente indipendenti da esso;
la mano con manica a calice è adagiata sulla base del prolungamento a forma di “C” bombata per
proseguire con una triplice bombatura e interrompersi poi di netto. La scelta di non decorare ulteriormente anche la terminazione della linea, come invece era stato nel f.53r (fig.14), è una scelta
ponderata da un equilibrio di un Petrarca che, pur non avendo particolari attitudini grafiche, non disdegna, anzi, predilige evoluzioni occhiellate come nelle graffe (vedi oltre): questi è un eccellente
scrivente, ma non artista, né pretese mai di esserlo.
Un caso a parte è la manicula del Par. Lat. 1617 (fig.24) (18x6,1 mm), che condivide le caratteristiche di questa “seconda alta”, tuttavia, nel complesso, è molto più compressa lateralmente rispetto
agli altri fin ora riportati.
40
Tuttavia le misure assolute non sono un buon parametro di paragone per introdurre gli sviluppi successivi, in quanto
la dimensione specifica di un singolo marginalium figurato o addirittura di più marginalia sono fortemente condizionati
dalla dimensione fisica del volume e dei margini disponibili: è da preferirsi un discorso comparativo su base proporzionale.
Figura 24
Par. Lat. 1617, f.7r
3. Terza alta
Si conclude quindi il paradigma dell’indice inarcato con un estremo accenno di flessione e accorciamento delle dita piegate mentre la manica continua a non definirsi totalmente detextualis o etextualis, come negli esempi delle seguenti figg.25 (22x8,1 mm), 26 (24x8,1 mm) e 27 (23x10
mm):
Figura 25
Par. Lat. 2201, f.9v (2)
Figura 26
Par. Lat. 2201, f.28r(2)
Figura 27
Par. Lat. 2201, f.46r(2)
La manicula di fig.25 chiude la parentesi del filone della manica decorata (come già in figg.18,
19 e 21), ripreso poi solo in qualche caso sporadico, mentre il segno di fig.26 introduce una nuova
varietà di decorazione detextualis che definisco “a tratto” in cui la manica doppia viene chiusa seccamente da un sottile tracciato orizzontale o verticale; l’indice, perfettamente bilanciato dal resto
della mano, comincia a ispessirsi.
B. Longae
Le maniculae realizzate lungo il margine esterno condividono con l’alta il numero delle dita, la
presenza dell’unghia sull’indice caratteristici degli anni ’40 e che per questo devono essere considerate coeve; a contraddistinguere questa tipologia particolare, invece, sono:
 l’angolo della mano;
 lunghezza e dimensione dell’indice;
 lunghezza delle dita piegate;
 tipo di manica.
Nell’arco di questo terzo periodo lo stile di Petrarca evolve in maniera piuttosto rapida e si assesta su alcune caratteristiche tipiche del periodo precedente, mentre altre volgono a un nuovo cambiamento; ho isolato idealmente due diverse classi di longae per gli anni ’40, cronologicamente susseguenti. In realtà la separazione tra le due non è così netta e rispettivamente non sono altro che una
continuazione delle peculiarità del periodo precedente per la prima, e una variazione di genere da
definirsi più avanti nel tempo per la seconda.
1. Prima longa
Gli esempi utilizzati per delineare le caratteristiche di questa fase sono stati tratti dal Par. Lat.
2301 e sono rappresentati nelle figg.28 (13x16 mm), 29 (16x14 mm) e 30 (16x23 mm):
Figura 28
Par. Lat.2301, f.91r
Figura 29
Par. Lat.2301, f.95r
Figura 30
Par. Lat.2301, f.137r
Nel paragrafo precedente ho accennato all’angolo della mano: si tratta dell’angolo delimitato
dalla linea del dorso e dell’indice che ha vertice nella nocca ideale dello stesso dito (fig.31).
Figura 31
La longa ideale del periodo presenta un indice di media lunghezza e spessore che descrive un
angolo poco ottuso, accentuando la chiusura già avviata durante gli anni ’30. L’indice, inoltre, presenta sulla parte terminale una leggera flessione verso il testo, quasi fosse attirato da esso: è così elegantemente esaltato l’angolo chiuso in un atteggiamento fluido.
Le dita piegate emergono dalla quasi totale anonimia attraverso un aumento di lunghezza; la manica, eccettuando la fig.30, è ancora detextualis: in particolare, il doppio tratto solitamente netto del
bordo dell’abito è vivacizzato da una leggera ondulazione. Il quasi totale astrattismo del poeta si anima di una propria consapevolezza e armonia con il testo: gli aides-mémoire sono segni realizzati
certamente per gerarchizzare il testo secondo una linea di concetto perseguita dallo studioso, ma
dev’essere realizzato in empatia con il lettore che lo traccia. Il rapporto tra Petrarca e i testi che studia sembra muoversi lungo una strada che via via si rivela più agevole, quindi anche i marginalia
che egli realizza esprimono maggiore armonia. A riprova di ciò sta la manica, l’ampio lembo che
nasce dal libro stesso: nella maggior parte dei casi era sintetizzata da un doppio tratto, talvolta seguito da accenni ulteriori di abbigliamento mentre solo uno è l’esempio nel Par. Lat. 2201 (fig.6) in
cui si allargava per contenere al suo interno una postilla, indipendentemente dal fatto che fosse stata
vergata o no da Petrarca; la situazione è invece mutata, nei tre esempi sopra riportati, a favore di un
estensione in ampiezza della manica, probabile segno di acquisiti apertura e agio con gli autori che
studia.
2. Seconda longa
Le evoluzioni che coinvolgono questa seconda fase di longa portano l’angolo della mano a chiudersi ulteriormente fino a diventare a volte retto, mentre l’indice perde la timida flessione per irrigidirsi. Talvolta le dita piegate, descritte da rapidi tocchi di penna curvi, come nella fig.32, conferiscono al segno un accenno a una tensione rivolta all’esterno del testo; altre volte questa deformazione non è presente.
Figura 32
Par. Lat. 2301, f. 12r
Una caratteristica comune del periodo, invece, è la canonizzazione dell’ampiezza dell’arco della
mano che conduce a una progressiva corsivizzazione del ductus: l’arco della mano è realizzato in un
tempo solo, come la prima longa, tuttavia, perso l’iniziale carattere posato, perde pure la peculiare
angolosità per diventare curvo (figg.33 e 34):
Figura 33
Par. Lat. 2103, f.32r
Figura 34
Par. Lat. 2103, f.66v
Non tanto nel Par. Lat. 2103, quanto nel Par. Lat. 1994, la differenza di ductus è evidente (vedi
figg.35, 36, 37):
Figura 35
Par. Lat. 1994, f. 36v
Figura 36
Par. Lat. 1994, f.141r
La manica continua a essere una detextualis aperta.
Figura 37
Par. Lat. 1994, f.150v
Tabella 4
ALTA
LONGA
Numero di dita
4
4
Presenza dell’unghia
Si
Si
I periodo:
Detextualis:
 semplice;
 composita.
Etextualis:


lembo interno;
lembo esterno:
 semplice;
 decorato.
 a calice.
I periodo
Detextualis aperta
Pochissime etextualis
Manica
II periodo
Tipologie del periodo precedente.
II periodo
III periodo
Tipologie del periodo precedente
Detextualis semplice:


Forma della mano
a tratto orizzontale;
a tratto verticale.
I periodo
I periodo
Curva e obliqua
II periodo
Angolosa; angolo poco ottuso; indice di media
lunghezza e spessore, tendenza a una lieve flessione finale verso il testo; dita piegate di lunghezza media e ductus posato
Intermedia tra I e III periodo
II periodo
III periodo
Curva; angolo quasi retto; indice rigido, perdita
della tendenza; dita piegate di lunghezza intermedia, a volte corte rivolte verso il testo; ductus corsiveggiante
Curva e diritta
Tabella delle caratteristiche della manicula degli anni ‘40
2.1.2.4.
Quarto periodo. Anni ’50
Il quinto decennio del Trecento è ricco di cambiamenti: la semplice manicula subisce
un’evoluzione grafica che la trasforma in un segno completamente diverso dal precedente. Questi
cambiamenti riguardano la forma complessiva tramite l’indice, il dorso, l’unghia e il numero delle
dita, che passa da quattro a cinque. In effetti, ritengo che il cambiamento trainante di questa classe
di marginalia sia proprio il passaggio dalla manicula a quattro dita, che definirò innanzi “Tipo I”, a
quella a cinque dita, o “Tipo II”.
L’esame di questo secondo tipo considera quale modello di riferimento il Tipo I, dal momento
che gli sviluppi del Tipo II sono, come intuibile, fortemente condizionati dal primo.
I codici che si analizzano tanto per il Tipo I che per il Tipo II appartengono tutti al fondo latino
della collezione parigina: il Par. Lat. 1757, ancora il 1994 e 2201, il 5816, 6802, 7720.
Per dare qualche rapido cenno sulla storia di questi codici al fine di collocarli cronologicamente,
si può dire che il Par. Lat. 175741 è una miscellanea di testi religiosi copiata da Petrarca dal 1353 fino al 1355 circa, nel periodo in cui era questi è ospite a Milano presso i Visconti su invito diretto di
Giovanni. Partendo per Milano nel giugno del 1353, Petrarca chiude definitivamente la parentesi
provenzale e avvia la quella nuova italiana. Il codice contiene il De vocatione omnium gentium di
Prospero d’Aquitania, l’Epistula ad Demetriadem de vera humilitate, l’Epistola extra collectionem
14, Vercellensi ecclesia e il De excessu fratris (Satyri) di Ambrogio.
Il Par. Lat. 5816 è un codice che contiene i Monumenta Historiae Augusti, un testo che ebbe particolare fortuna a Padova presso i preumanisti e che Petrarca conobbe relativamente tardi, quando
ormai il suo antigrafo (il Vat. Lat. 899, un codice del IX secolo) si trovava a Verona sin dall’inizio
del Trecento; qui il poeta lo lesse e lo fece copiare, acquisendo il Par. Lat. 5816.
Il Par. Lat. 680242 è un codice del XIII secolo comprato a Mantova il 6 giugno del 1350, come si
può leggere dalla nota “emptus Mantue 1350 jul(ii)” apposta sul foglio 277v, di cui poi entrò in
possesso Boccaccio e che contiene il Naturalis Historia di Plinio.
Il Par. Lat. 7720 è un codice del XIV secolo le cui carte sono per la quasi totalità palinsesti di
documenti italiani riutilizzati per realizzare questo codice. Il libro, contenente l’“Institutio oratoria”
di Quintiliano, fa parte del corpus donato a Petrarca da Lapo di Castiglionchio intorno al 1350.
Il Par. Lat. 808243 è una miscellanea realizzata nel XIII secolo che contiene scritti di Claudiano
particolarmente cari a Petrarca. Ricco di marginalia e glosse, questo codice fa parte del corpus di
testi fattigli dono da Boccaccio, quindi posteriore al 1350.
41
Cfr. G. MAZZATINTI, Inventario, I, pp. 120, 123-124; P. DE NOLHAC, Pétrarque, II, pp. 203-204; E.
PELLEGRIN, La bibliothèque, pp. 191 nr. 526 (1426 A 526), p. 306 nr. 387 (1459 B 387); ID.(2), Manuscrits, pp. 271272; A. PETRUCCI, La scrittura, p. 122 nr. 20; F. SANTIROSI, Le postille del Petrarca ad Ambrogio.
42
S. CIPOLLA, Le 'mani' di Petrarca, pp. 109-156.
2.1.2.4.1. Tipo I
A. Altae
1.
Prima fase
I codici più antichi di questo periodo sono i Par. Lat. 1994 e 2201 di cui si è già avuto modo di
parlare: Petrarca si trova nel periodo in cui l’interesse nei confronti della letteratura teologica è più
forte, perciò i codici letti ch legge con maggiori assiduità e interesse sono proprio quelli di contenuto religioso. Le forme della manicula del decennio precedente sono direttamente legate alle numerose evoluzioni della manicula degli anni ’50.
La morte dell’alta del Tipo I è fissata intorno alla seconda metà del decennio circa, mentre è assolutamente certo che essa non sopravviva al periodo successivo: il Par. Lat. 5150, entrato nella biblioteca petrarchesca intorno 1360 per motivazioni che verranno in seguito specificate, è il codice di
riferimento per il prossimo paragrafo e non presenta alcuna manicula a quattro dita.
Una volta che sono stati generalmente delimitati i confini temporali del Tipo I, si definiscono
quindi le discriminanti per la classificazione dei vari esempi, le caratteristiche di base delle altae e
delle longae, quindi l’unghia, la manica, la forma della mano.
Il primo segno che apre il decennio appartiene a un codice già postillato durante i due decenni
precedenti, il Par. Lat. 2201, ed è vergato sul f.11r (fig.38) (50x3,5 mm). Si tratta di una delle cinque maniculae composite caratteristiche del codice, in parte concentrate intorno alla seconda decina
di fogli (ff. 19v – fig.2, 31r – fig.12, 53r – fig.15, 15v – fig.24) che corrispondono alla sezione finale del “De anima” di Cassiodoro e parte del “De vera religione” di S. Agostino.
Figura 38
Par. Lat. 2201, f.11r
Sia questa che la manicula di f.46r (2) (fig.27), con cui si è chiuso il discorso sull’alta precedente, sono segni dritti, con indice di media lunghezza, spesso e unghiato; l’unica differenza sta nel
43
L. CHINES, Per Petrarca e Claudiano.
prolungamento della manica detextualis con una tripla bombatura intermedia che calca il segno del
f.15v (fig.24). Tra i due segni non esistono grandi differenze effettive se non che sono manoscritti,
quindi ognuno di essi è un unicum mai perfettamente riproducibile: i marginalia sono frutto non solo di una mano che disegna, ma anche di una testa che pensa e che, di conseguenza, impone i propri
moti sul tracciato.
I caratteri della mano disegnata sono ancora incerti: l’indice a volte si raddrizza completamente
(fig.38) (22x6,1 mm), talvolta assume una curva finale (fig.39) (18x5,2 mm), per tornare infine sottile e curvo; la manica è a volte detextualis, a volte etextualis (a lembo esterno con prolungamento
finale a filo come nella fig. 40).
Figura 39
Par. Lat. 2201, f.9v
Figura 40
Par. Lat. 2201, f.10r
L’unica certezza è che comincia ad emergere un nuovo elemento della mano, sino a quel momento ignorato o camuffato in una innaturale curvatura dell’indice: la piegatura della nocca prossima all’indice. Il nuovo angolo emerge timidamente nell’esempio sul f.10r (fig.40) per essere più
fermamente sviluppato sui ff.10v (fig.41) (15x5,2 mm) e 13v (fig.42) (13x4,4 mm); la struttura finale è quella della manicula realizzata sul f.25v (fig.43) (14x5,2 mm).
Figura 41
Par. Lat. 2201, f.10v
Figura 42
Par. Lat. 2201, f.13v
Figura 43
Par. Lat. 2201, f.25v
Si nota che l’equilibrio faticosamente raggiunto con l’annullamento della linea di forza
dell’indice rispetto alle dita piegate, conseguentemente oblique, viene nuovamente incrinato dalla
nocca che emerge. La manica della mano continua invece a vacillare tra il tipo etextualis a lembo
esterno (fig.41) o interno (fig.42) e detextualis semplice (fig.43) o aperto (fig.39).
Il punto d’arrivo di questa fitta postillatura entro la prima metà degli anni ’50 è riassunto dalla
manicula realizzata sul f.46r (fig.44) (17x5,2 mm): l’indice è ancora coronato dall’unghia, quasi
completamente raddrizzato e in parte irrigidito su uno spessore medio, sebbene la lunghezza del dito sia ancora piuttosto importante; le dita piegate sono ancora di dimensione media, piuttosto bombate; il segno troneggia su una piccola manica etextualis a calice.
Figura 44
Par. Lat. 2201, f.46r
Le successive maniculae del Par. Lat. 1757 sono piuttosto simili a quelle del 2201; in particolare,
l’esempio sul f.27v (fig.45) (12x8,6 mm) si può collocare poco oltre quello in fig.43 per lo sviluppo
ulteriore della nocca dell’indice e la riorganizzazione dell’equilibrio della mano, che corrisponde a
quello definitivo dell’alta del periodo. A colpire è anche la manica, una detextualis mai vista sino
ad ora, ma che ha in questo periodo un discreto successo e che ho definito “slanciata”.
Figura 45
Par. Lat. 1757, f.27v
Questo segno è particolarmente indicativo soprattutto come guida cronologica: il Par. Lat. 1757
fu vergato dal 1353 e fu probabilmente completato intorno al 1355, quindi si assume il 1355 come
limite post quem per i marginalia vergati in esso. Il limite temporale che offre quest’ultima manicula, punto d’arrivo degli esempi precedenti, colloca tutti gli altri esempi del Par. Lat. 2201 prima di
esso, quindi lungo la prima metà degli anni ’50.
I caratteri dell’alta del Tipo I ci sono ormai tutti e attendono solo di essere maturati: l’indice torna a sporgersi, decentrando il baricentro del segno, le dita piegate tornano ancora ad essere oblique
(fig.46) (16x10 mm). Lo sviluppo diverrà compiuto appieno all’interno della seconda metà del decennio, come si può vedere dal confronto con la successiva manicula di f.44v del Par. Lat. 5816
(fig.64). Incuriosisce che in quasi tutte le maniculae analizzate fino ad ora non ci sia alcuna traccia
di corsivizzazione: i cambiamenti del segno potrebbero essere quindi imputabili non a mutazioni
involontarie di tracciato, piuttosto a una decisione assunta consapevolmente dal poeta, forse nella
ricerca di un segno più adeguato a se stesso, uomo in continuo cambiamento.
Figura 46
Par. Lat. 2103, f.84v
2.
Figura 64
Par. Lat. 5816, f.44v
Seconda fase
Lo sviluppo successivo del marginalium è condotto dalla piegatura della mano sulla nocca
dell’indice: quanto più essa emerge, tanto più il dito assume una posizione obliqua e tanto più le altre si adeguano al movimento, come si può vedere dalla manicula del f.24r (fig.47) (12x15 mm), alla quale sono assimilabili quelle più tarde dei ff.36v sul Par. Lat. 2201 (fig.48) (18x16 mm), 151r
sul 1994 (fig.49) (12x14 mm) e 1v sul 7720 (fig.50) (11x13 mm):
Figura 47
Par. Lat. 2103, f.24r
Figura 48
Par. Lat. 2201, f.36v
Figura 49
Par. Lat. 1994, f.151r
Figura 50
Par. Lat.7720,f.1v
Il segno di fig. 47 è tuttavia più angoloso rispetto a quello di fig.46: l’indice e le dita piegate
s’irrigidiscono totalmente, la manica detextualis torna a essere molto ampia, sebbene non debba accogliere alcuna postilla o marginalia.
Il punto d’arrivo di questa seconda fase si colloca successivamente al febbraio del 1356 (limite
post quem posto dal codice Par. Lat. 5816 da cui è tratta la manicula in fig.51), probabilmente nel
pieno della seconda metà del decennio: l’angolosità della mano è canonizzata, le dita stazionano su
dimensioni corte e spesse.
Figura 51
Par. Lat. 5816, f.97v
B. Longae
Il numero delle longae del Tipo I per questo decennio non è tanto consistente quando quello delle altae, motivo per cui non è necessario organizzare il discorso in più di una fase.
Le discriminanti di riferimento sono ancora una volta la lunghezza dell’indice, delle dita piegate,
spessore del segno, angolo e inclinazione della mano, nonché, in pochi casi, anche della forma
dell’unghia. Date queste premesse, è subito evidente il fatto che questo tipo di manicula si presenta
con una discreta soluzione di continuità rispetto agli esempi del paragrafo precedente: in primis
l’angolo della mano avvicina il segno agli anni ’40 piuttosto che a una fase così tarda, secondo
l’esempio che ho collocato nella fascia alta del periodo osservabile sul f.112r del Par. Lat. 2103
(fig.52) (7,9x17 mm). La figura dimostra che l’inclinazione manifesta un ritorno al vecchio segno
(fig.28), anche se tracciato, caratteristiche morfologiche, inchiostro, sono mutati.
Figura 28
Par. Lat.2301, f.91r
Figura 52
Par. Lat. 2103, f.112r
Questa manicula ha un ductus posato, mentre l’unica longa accolta dal Par. Lat. 1994 ha caratteristiche simili, tuttavia ha un tracciato corsivo (fig.53) (14x18 mm):
Figura 53
Par. Lat. 1994, f.88v
L’angolazione della mano tende ad appiattirsi sempre di più fino a scomparire quasi del tutto,
come nelle figg.54 (5,5x18 mm) e 55 (3,7x14 mm); oppure il segno mantiene comunque una leggera inclinazione, (fig. 56) (6,4x11 mm). Un’altra peculiarità sia delle altae, sia delle longae (anche se
maggiormente le longae riportate nella pagina successiva) del Par. Lat. 1757 è l’unghia di forma
appuntita che deroga alla normale tonda.
Le maniculae delle figg. 54 e 55 sono state eseguite quasi contemporaneamente tra loro, con ogni probabilità: la forte convergenza delle caratteristiche morfologiche del segno, il tratto e la tonalità dell’inchiostro distanziano questi segni da quello della fig.56, che è da ritenersi precedente. Tra
i primi due esempi e quello di fig.56 esiste infatti una discreta differenza di inclinazione a favore
dell’ultimo; secondo quanto prima detto, la mano del Par. Lat. 5816 dovrebbe essere collocata in
un’altezza cronologia più antica rispetto agli altri due esempi, tuttavia, l’assenza dell’unghia che si
nota dal 1356 circa già nell’alta (vedi sopra) m’induce a pensare per l’ultima a una collocazione ancora successiva.
Figura 54
Par. Lat. 1757, f.5r (2)
Figura 55
Par. Lat. 1757, f.5v
Figura 56
Par. Lat. 5816, f.107v
2.1.2.4.2. Tipo II
A. Altae
Altae del Tipo II cominciano a comparire solo intorno alla metà degli anni ’50: il primo esempio
è una manicula tracciata sul Par. Lat. 1757, f.25v (fig.57) (15x8,6 mm). Le caratteristiche morfologiche del segno unghiato lo accostano a quello realizzato durante il decennio precedente sul Par.
Lat. 6280, f.3r (fig.18), che probabilmente suscitava ancora interesse in Petrarca, se condizionava la
realizzazione di aides-mémoire successivi al nucleo principale.
Figura 57
Par. Lat. 1757, f. 25v
Figura 18
Par. Lat. 6280, f.3r
Pur traendo la sua ragion d’essere dal segno di riferimento, la manicula del Lat. 1757 denuncia
nell’equilibrio della mano e nella manica una metamorfosi: dalla fig.57 emerge ancora la detextualis
“slanciata”, mentre dalla fig.58 emerge la nuova etextualis “lapidea”.
Figura 58
Par. Lat. 7720, f.89 (4)
Le caratteristiche morfologiche del segno del f.54r (fig.59) (16x12mm) sul Lat. 2103 sono invece poco più tarde, ma non pienamente appartenenti alla seconda metà del decennio: la mano mantiene generalmente lo stesso baricentro, l’indice è più lungo e sottile, mentre le altre dita, l’ultima
soprattutto, sono realizzate un po’ alla rinfusa, velocemente e senza un criterio preciso. Il ductus del
segno è quindi molto corsivo, tuttavia le caratteristiche fisiche permettono comunque la collazione
con il segno sul foglio 24r del Tipo I realizzata sullo stesso codice (fig.47), quindi presumerne la
contemporaneità:
Figura 59
Par. Lat. 2103, f.54r
Figura 47
Par. Lat. 2103, f.24r
Le evoluzioni del Tipo II derivano da quelle del Tipo I: come nella classe precedente le variazioni dell’alta tendevano a mettere sempre più in evidenza la piegatura della mano in corrispondenza
della nocca dell’indice, così accade anche nel gruppo ora analizzato. La mutazione parallela della
manicula è evidenziata dal secondo segno analizzato per il Lat. 2103 sul foglio 30v (fig.60) messo a
confronto con quello del f.1v del Par. Lat. 7720 (fig.50): e come questa è databile alla metà del decennio circa, così si può datare quella della fig.58.
Figura 60
Par. Lat. 2103, f.30v
Figura 50
Par. Lat. 7720, f.1v
Nella seconda metà del decennio l’assestamento della mano da una forma curva a una ancora
angolosa è seguito da quello dell’indice che torna ad accorciarsi e ispessirsi, mentre si conservano
l’unghia, le dita piegate piuttosto bombate e una manica detextualis meno slanciata. Dall’analisi del
Par. Lat. 5816 e del 7720 colpisce soprattutto il numero molto più alto rispetto a tutti i periodi precedenti di maniculae, suddivisibili in quattro gruppi in ragione dell’inclinazione della mano (da obliqua a diritta) e della piegatura dell’indice (da tonda ad angolosa):

Gruppo 1: (7720) f.14r (fig.61);

Gruppo 2: (7720) ff.91r, 91r (2) (fig.62), 91v, 100r, 101v 82), 104v (3), 109v, 110r, 115v;

Gruppo 3: (5816) ff.75v (fig.63), 99v;

Gruppo 4: (5816) ff.44v (fig.64), 45v, 53v (2), (7720) 72v, 87v, 90v, 101v (3).
Figura 61
Par. Lat. 7720, f.14r
Figura 62
Par. Lat. 7720, f.91r (2)
Figura 63
Par. Lat. 5816, f.75v
Figura 64
Par. Lat. 5816, f.44v
B. Longae
A differenza delle altae, le longae non si formano integralmente durante gli anni ’50, poiché alcuni accenni più o meno timidi si possono far risalire alla metà del decennio precedente circa (Par.
Lat. 2103 e 1194). Già in precedenza si è avuto modo di dire che le evoluzioni del Tipo II corrono
di pari passo con quelle del primo, quindi i riferimenti cronologici si attingono proprio da quanto
detto in precedenza. All’interno del corpus di codici da me presi in esame, la prima manicula a cinque dita è stata rintracciata proprio all’interno del 2103, sul f.54r (2) che presenta dita più lunghe
rispetto al 1994.
Figura 65
Par. Lat. 2103, f.54r (2)
Il dito è lungo, sottile, flesso, come gli esempi di cui si è avuto modo di parlare in precedenza; i
mutamenti successivi sono i medesimi della longa del Tipo I: l’indice perde la flessione finale per
irrigidirsi, quindi si accorcia (fig.67) e aumenta leggermente di spessore (fig.68); l’angolo si riduce
gradualmente (fig.69).
Figura 66
Par. Lat. 2103, f.67r(2)
Figura 67
Par. Lat. 1994, f.178v
Figura 68
Par. Lat. 1994 f.73v
Le caratteristiche appena descritte sono mantenute ancora per buona parte della prima metà degli
anni ’50, come si può vedere nelle maniculae del codice Par. Lat. 7720 (figg.69 e 70):
Figura 69
Par. Lat. 7720, f.88r
Figura 70
Par. Lat. 7720, f.89r
Il codice 7720 della collezione parigina è fittamente postillato, quindi il numero importante di
maniculae vergate su di esso viene in aiuto per chiarire i passaggi che trasformano il segno uscente
dal decennio precedente nella tipologia tipica del nuovo decennio. La piegatura della mano si riduce
gradualmente e perde angolosità per assottigliarsi (fig.71):
Figura 71
Par. Lat. 7720,f.3r
Già dalla metà e a proseguire per tutta la seconda parte del decennio la mano ha appiattito quasi
completamente l’angolo di piegatura, ma mantiene una leggera inclinazione, variabile a seconda del
rapporto tra mano e margine. L’indice ha perso ulteriormente spessore (fig.72), mentre in alcuni casi arriva ad allungarsi notevolmente (fig.73), pur essendo generalmente mantenuta la lunghezza degli esempi delle figg.66, 67 e 68. Solo in alcuni casi l’unghia non è presente, ma l’esiguo numero di
casi non lascia supporre una scelta precisa, così ipotizzo una casualità, poiché l’assenza dell’unghia
non è canonizzata nel decennio successivo.
Figura 72
Par. Lat. 1757, f.1v
Figura 73
Par. Lat. 1757, f.40r
I mutamenti della longa della classe del periodo non devono essere analizzati solo da un punto di
vista morfologico, poiché le variazioni del segno sono le stesso del parallelo Tipo I, ma anche stilistico delle scelte operate nella loro realizzazione: le poche figure apposte evidenziano che il motivo
alla base della genesi di questo Tipo II è la corsivizzazione del segno, giacché il quinto dito è perfettamente equilibrato dalle altre: la scelta stilistica di Petrarca è assunta consapevolmente. Anche lo
stile adottato in alcuni codici assume talora alcune particolarità che lo isolano dagli altri: non tanto
nel corpus degli anni ’40 (1994, 2103), quanto dagli anni’50 (dall’inizio 7720 e 6802, 1757 verso la
metà del decennio, all’ultimo 5816, fatto copiare nella seconda metà del decennio e i precedenti
2201 e 6280).
Le poche maniculae del 1994 sono state realizzate in due periodi, a giudicare dalle caratteristiche
morfologiche: il più antico è ascrivibile ala seconda metà degli anni ’40 (esempi sui ff.37v (2),
121r, 152r), mentre quelle più tarde si fanno risalire agli anni ’50. Lo spessore medio delle dita è
medio-spesso, in particolare l’indice che si assottiglia solo in prossimità dell’unghia, mentre le altre
dita conferiscono al segno un aspetto generalmente “bombato”, un po’ rozzo, senza alcuna finalità
decorativa, forse dovuta al ductus corsiveggiante (fig.74):
Figura 74
Par. Lat. 1994, f.73v
Le maniculae del Tipo II sono realizzate sui ff.37r (2) 73v, 121r, 150r* 44, 150r (2)*, 152r, 168v,
178v, 180v, 180v(2), 180v(3), 180v(4), 180v(5).
Anche sul codice 2103 le mani sono poche, vergate per un numero limitato di fogli in periodi diversi (un esempio appartiene addirittura alla seconda metà degli anni ’50 45), con ductus altrettanto
difforme: talora posato e di consistenza filiforme (fig.75), a volte corsivo e tremolante (fig.76).
Figura 75
Par. Lat. 2103, f.54r (2)
Figura 76
Par. Lat. 2103, f.90r
Le maniculae del Tipo II sono realizzate sui ff.54r (2), 67r, 67r(2), 67r(3), 84r, 90r, 104r del Par.
Lat. 2103.
44
Le maniculae con asterisco sono senza unghia.
45
Cfr. f.84r con i codici 2201, f.92v(2) 5816, 6802.
Pure difforme nelle caratteristiche morfologiche è il consistente gruppo del 7720, di cui alcune
maniculae sono collocabili agli inizi, altre durante la prima e altre nella seconda metà degli anni
’50. Le dita sono generalmente sottili e terminano con l’unghia tondeggiante, la manica detextualis
secondo una variante della tipologia “ondulata” (fig.77): slanciata e a ondulazione finale del lembo,
è realizzata con rapidi tocchi di penna. Questa variante, introdotta in questo periodo, viene pure usata, in un caso, sulla manica etextualis (fig.78), la variante “a spatola” (fig.79) è derivata dal “lembo
interno”, sebbene la fine della manica sia chiusa da un tratto curvo e non più retto; ambedue sono
adottate anche in altri codici durante il decennio.
Figura 77
Par. Lat. 7720, f.88r
Figura 78
Par. Lat. 7720, f. 89r(2)
Figura 79
Par. Lat. 7720, f.119r
Le maniculae del Tipo II sono realizzate sui ff.3r, 3v, 3v (3), 4v, 14r (2), 78r, 80r, 85r, 88r, 89r,
89r (2),, 89r (3), 90v, 90v (2), 90v (4), 91v, 97r, 100r (2), 101r, 101 v, 102r, 104v, 104v (2). 112r,
114r, 114r (2), 115r, 116r, 119r.
Il successivo è uno dei codici più particolari nello stile: come tutti i codici acquisiti durante gli
anni ’50, il 1757 è consistentemente postillato in un periodo limitato a pochi anni: il tracciato,
l’inchiostro, il ductus lascerebbero supporre una certa contemporaneità tra i vari esempi. Le maniculae qui prese in esame sono tutte molto sottili, posare e di tracciato filiforme; al contrario di tutti
gli altri codici, le unghie sono nella maggior parte dei casi appuntite e rendono perfettamente l’idea
di “uncini della memoria” 46, mentre le maniche sono variamente decorate: nei primi fogli del codice
viene scurito il lembo di abito più esterno con tratti obliqui di penna (fig.80), in alcuni casi (ff.2v, 3r
e 3v) si accenna a una doppia manica squadrata (fig.81) che non verrà più ripresa successivamente,
mentre in altri la realizzazione delle etextuales è vivacizzata delle pieghe dell’abito (figg.82 e 83).
Figura 80
Par. Lat. 1757, f.2r (2)
46
Vedi nota 18.
Figura 81
Par. Lat. 1757, f.3r
Figura 82
Par. Lat. 1757, f.13r
Figura 83
Par. Lat. 1757, f.56r
Le maniculae del Tipo II sono realizzate sui ff.1v, 2r, 2r (2), 2v, 3r, 3v, 4r, 5r, 6r, 6v, 7v, 11r,
13r, 19v, 20r, 20r (2), 22v, 25r, 31r, 39r, 40r, 43v, 45v, 46v, 49v, 50r, 56r, 57r, 57r (2), 57v.
E’ possibile fare un discorso unico per quanto riguarda i codici 2201 (fig.84) , 6280 (fig.85) e
6802 (fig.86), dato che le caratteristiche stilistiche sono molto vicine tra loro: in tutti e tre i codici la
mano presenta una lieve piegatura lungo la nocca della mano e il disegno parte da uno spessore
consistente per terminare in un indice sottilissimo coronato da un’unghia tonda; la manica è una detextualis molto slanciata con sbuffi finali. Il segno, pur essendo rozzo, non presenta ductus corsivo,
e gli esempi disseminati nei vari codici sono troppo simili perché giustifichino questa somiglianza
con un semplice comunione di tracciato.
Figura 84
Par. Lat. 2201, f.33r
Figura 85
Par. Lat. 6280, f.29v
Figura 86
Par. Lat. 6802, f. 54v
Ancora per quanto riguarda l’ultimo codice, la manicula tracciata sul foglio 270r rappresenta un
unicum (fig.87): è infatti l’unica mano vista dalla prospettiva del palmo piuttosto che quella del dorso, quindi cui si vedano le dita piegate e le rispettive unghie. La manica è un esemplare unico: il
polso sembra fasciato da una maglia a rete circondata da foglie di viticcio; intorno al polso, segni
che non sono ben riuscita ad identificare, forse il prosieguo dell’abito sotto e una decorazione a giglio alla destra della mano. Pur in questa tipizzazione unica, il pollice non è ancora accennato, anzi,
l’unico dito realmente preso in considerazione è il pollice. Sebbene le caratteristiche di questo segno particolare non mi hanno suggerito una petrarchesche, Fiorilla lo attribuisca invece al poeta 47.
47
M. FIORILLA, Marginalia, p.26.
Figura 87
Par. Lat. 6802, f.270r
Per il 2201 le maniculae del Tipo II sono realizzate sui ff.33r, 33r (2), 33r (3), 42r; per il 6280
sul f.29v; per il 6802 gli esempi che ho ricavato dal contributo di Fiorilla sono sui ff.54v e 270r.
Infine, l’ultimo nutrito insieme di marginalia a forma di mano del decennio appartiene al codice
5816. La mano è molto lunga pure in questo caso, tuttavia perde anche l’ultimo accenno di angolazione per realizzare un segno dal dorso di medio spessore che si restringe raggiungendo le dita,
l’indice in particolare. Le particolari dita piegate sono notevolmente lunghe e segnano a fondo la
mano, mentre la manica si riduce a delle semplici detextuales (fig.88).
Figura 88
Par. Lat. 5816, f.57r
Solo una presenta una manica più decorata, una etextualis che accoglie complicate volute di
stoffa che la accostano più una mano che nasce da un fiore, piuttosto che da un vestito, che prosegue lo sperimentalismo già avviato sul 7720 (fig.89).
Figura 89
Par. Lat. 5816, f.16v
Le maniculae del Tipo II sono realizzate sui ff.7v, 7v (2), 11r, 14v, 14v (2), 16v, 24v, 25v, 26v,
27r, 39r, 44r, 49v, 52v, 53v, 57v, 58v, 61v, 68r*, 92r*, 92r (2), 98v, 109r.
Tabella 5
ALTA
LONGA
Tipo I
Numero di dita
4
4
Presenza dell’unghia
Si
Si
Detextualis:
Manica




a lembo interno;
a lembo esterno;
aperta;
slanciata.
Detextualis ed etextualis
etextualis.
1° periodo
Forma della mano
Indice appiattito, mano raddrizzata, emerge la
piega della mano
L’angolo si appiattisce, le dita si assottigliano, la mano dritta s’inclina secondo le esigenze.
Tabella 6
Tipo II
Numero di dita
5
5
Presenza dell’unghia
Si
Si
Detextualis:
 a tratto verticale
 slanciata;
Detextualis;
Manica
 ondulata.
etextualis:

Etextualis:
lapidea.
 a spatola;
 a doppia manica;
 decorate varie.
Forma della mano
Come il Tipo I
Tabella delle caratteristiche della manicula degli anni ‘40
Come il Tipo I
2.1.2.5.
Quinto periodo. Maniculae tarde
La ricca postillatura del decennio precedente non ebbe seguito in quelli successivi: il numero di
esemplari che si possono far risalire agli anni ’60 o ’70 sono pochissimi. L’unico codice sicuramente annotato da Petrarca tra gli anni ’50 e gli anni ’60 48 è il Par. Lat. 231849, realizzato in Italia durante l’XI secolo e contente i “Synonima” di Isidoro, da cui ho estratto la manicula in fig.90:
Figura 90
Par. Lat. 2318, f.44r
Da quest’unico esempio sulla casistica analizzata, posso trarre solo conclusioni stilistiche molto
generiche circa la morfologia del segno: sebbene quest’unica manicula presenti quattro dita ed indice non unghiato, non sono in grado di affermare con sicurezza che il modello per gli ultimi due decenni di vita di Petrarca si presenti con forti soluzioni di continuità rispetto al periodo anteriore.
Come già affermato in precedenza, è necessario operare studi su un corpus petrarchesco ben più
ampio per risolvere appieno la trattazione storico-morfologica del segno.
2.1.3.
Rapporto tra Petrarca e le maniculae
Il primissimo segno analizzato e che risale al 1325 circa, secondo l’interpretazione di De La Mare, è
la prima pietra su cui poggia uno studio la cui precipua importanza non insiste sull’identificazione
della mano di colui che indica, quanto sul fatto che esso stesso costituisca uno dei possibili nodi di
influenza grafica. Tra gli scritti di Petrarca non vi sono infatti indizi o tracce che lascino attribuire le
maniculae a questo o quel personaggio o al poeta stesso: l’unica soluzione possibile è infine
considerare il segno come evocazione di un modello generico di particolari risvolti psicologici.
La manicula è un marginalium: prima ancora di comprendere quale sia il fine per cui Petrarca ne
facesse uso, si deve inquadrare la sua percezione dell’intervento sul testo, soprattutto
dell’annotazione. In effetti, si potrebbe scorgere un indizio nel seguente passo del Secretum:
«Quod con intenta tibi ex lectione contigerit, imprime sententiis utilibus (ut incipiens dixeram)
certas notas, quibus velut uncis memoria volentes abire contineas. Hoc equidem presidio consistes
48
49
A. C. DE LA MARE, Handwriting, p. 15, nr. 28.
E. PELLEGRIN, La Bibliothèque, p. 107; ID.(2), Manuscrits p. 275-276, tav. XII (c. 35r).
immobilis cum ad versus cetera tum contra animi tristitiam, que umbra velut pestilentissima
virtutum semina semina et omnes ingeniorum fructus enecat» 50
La conoscenza sembrerebbe quasi costituita da numerosi frammenti, come tasselli di un mosaico
da allineare ed ordinare in una faticosa operazione di deduzione ed induzione, per realizzare infine
un’immagine intelligibile. Conscio della facile volatilità della memoria umana, Petrarca propone a
sé stesso di ricorrere a uno stratagemma per fissare la memoria: trascrivere delle sententiae, delle
frasi interpretative brevi o lunghe. La ragion d’essere delle postille e dei marginalia trova radice
nella necessità di allargare quanto più possibile questi memoriae loci e al contempo organizzarli
gerarchicamente: i risultati di uno studio senza alcuna disciplina sono gli stessi di una totale
mancanza di apprendimento. Basti parlare di Temistocle, di cui il poeta legge in Cicerone 51 e che
viene citato nei Rerum memorandarum52: l’ateniese ricorda ogni cosa veduta o ascoltata, possiede
una mente straordinariamente recettiva, sebbene non disciplinata. Questa fecondità prodigiosa,
tuttavia, è vissuta come causa di fatica e sofferenza più che di gratitudine, poiché il dono lo porta ad
avere la mente continuamente stipata di immagini.
Secondo quest’interpretazione, si potrebbe dire questo tipo di interventi segnali quasi una strada
alla memoria che il poeta elegge a via principale per i successivi viaggi ad essa. L’idea che la mente
fosse organizzata in spazi, settori, memoriae loci non è solo di Petrarca: lo spazio mentale come
patrimonio di cui avere cura era pure di molti studiosi pure posteriori al poeta 53 . L’ateniese
Temistocle è l’esempio che il poeta addita come estremo negativo: pur possedendo moltissime
“stanze mentali”, egli non è in grado di gestirle, quindi non può accedere liberamente ad esse.
50
F. PETRARCA, Secretum, II, p.196;
51
M. T. CICERONE, De oratore, II, 74, 299 – 300, p. 410, «Ita apud Graecos fertur incredibili quadam magnitudine
consili atque ingeni Atheniensis ille fuisse Themistocles; ad quem quidam doctus homo atque in primis eruditus
accessisse dicitur eique artem memoriae, quae tum primum proferebatur, pollicitus esse se traditurum; cum ille
quaesisset quidnam illa ars efficere posset, dixisse illum doctorem, ut omnia meminisset; et ei Themistoclem
respondisse gratius sibi illum esse facturum, si se oblivisci quae vellet quam si meminisse docuisset. […] cum quidem ei
fuerit optabilius oblivisci posse potius quod meminisse nollet quam quod semel audisset vidissetve meminisse».
52
F. PETRARCA, Rerum Memorandarum, II, 9, 3, «Visa quidem auditaque omnia memorie herebant, et idcirco non
tam novis sarcinis urgere quam turba rerum innumerabilium pregravatum pectus exhonerare cupiebat».
53
L. DOLCE, Dialogo, pp. 39 – 43, «D’intorno al numero [scil. dei luoghi di memoria], non altrimenti di quello che
hanno fatto gli altri moderni, che in ciò hanno buona openione, non solo è mio parere che se ne abbiano a ordinar
dugento, o cinquecento, o di altro certo diterminato numero, ma che faccia mistiero di assaissimi; in guisa che,
facendosi bisogno ricordarci di molte cose, abbiamo a porre in molti luoghi molte imagini: come fanno gli scrittori che,
avendo a fare una lunga scrittura, prendono un maggior foglio di carta o, quando un foglio non basti, vi aggiungono
molti fogli. E chi molto legge, è mistiero che volga diversi volumi. Ecco lo esempio di Seneca. Il quale non avrebbe
potuto recitar due mila versi (sì come egli scrive di se stesso, e di Porzio Latrone nel proemio delle Declamazioni) se
egli non fosse stato aiutato dalla moltitudine de i luoghi. E di qui il beato Tomaso di Aquino ci conforta ad aver molti
luoghi. Il quale fu seguito da alcuni belli intelletti, che furono dopo lui et a questi tempi: come dal Petrarca, da Pietro da
Ravenna, da Giovanni [di] Michele, da Matheolo Veronese (altrimenti Perugino, come piace ad alcuni), da Sibuto, da
Chirio, e da molti altri che non volsero in ciò accostarsi a Cicerone».
L’intento del poeta è chiaro: moltiplicare gli spazi della mente e favorire l’accesso ad essi. Da
qui si comprende finalmente il ruolo che i segni di attenzione rivestono in qualità di strumento
organizzativo dei memoriae loci. Petrarca non manca di sottolineare le fatiche che pure si annidano
dietro questa mirabile e altrettanto rilevante opera: nel passo sopra citato gli interventi al testo sono
descritti come un uncino, altrove come “aculei” 54 . Come segnala Torre 55 , i marginalia, questi
interventi extratestuali, agiscono sia a livello mentale poiché intaccano la struttura originaria dei
pensieri fino a costituirne una nuova, ma anche a livello fisico per il loro agire sul testo stesso,
alterandone la consistenza originale.
E’ noto l’amore che Petrarca nutriva nei confronti dei libri, sia che fossero oggetti di squisita
fattura o prodotti ben più modesti, come osserva Rico, benché potessero offrirgli insegnamento56:
«Petrarca non poteva non venerare il libro come oggetto quand’era di limpida calligrafia, in buona
pergamena e, possibilmente, riccamente adornato, come il monumentale Virgilio dell’Ambrosiana
che egli fece illustrare a Simone Martini. Ma non disdegnava neppure un codice in cattive
condizioni [...], se aveva qualcosa da insegnargli».
Un amore che talvolta si spinge al limite della malattia 57 ma mai al collezionismo più puro:
Petrarca non accumulò una delle biblioteche private più ampie dell’epoca per il puro gusto del
possedere, che anzi disprezzava58. Il libro è per il poeta un oggetto di cui avere cura, tanto che,
quando in cambio di un buon rifugio dalla peste e dalla guerra che minacciavano di dilaniare
Padova, offrì al Maggior Consiglio della Serenissima quella vasta biblioteca sapientemente
accumulata sin da giovanissimo, imponendo quale rigida condizione che il lascito non venisse mai
smembrato e che trovasse anch’esso dimora stabile ed accogliente a Venezia59. La cura che il poeta
versa nei libri lo porta talvolta ad una vera e propria personalizzazione del testo perché evocano le
voci degli autori con cui intrattiene alla pari un dialogo intenso: basti pensare a quando condivide
54
F. PETRARCA, Rerum Memorandum, II, 35, 3, p.67, «Si quidem et veteres comici, ut Cicero ait, ‘cum illi
maledicerent – quod tunc Athenis fieri licebat –, leporem’tamen melle dulciorem in labris eius ‘habitasse dixerunt,
tantamque in eo vim fuisse ut in eorum mentibus qui illum audissent quasi aculeos quosdam relinqueret».
55
A. TORRE, Fra un virtuoso oblio e una memoria divina, p.13, «Le immagini dell’uncino e dell’aculeo esprimono
dunque con efficacia tanto la dimensione fisica di segno inciso propria della glossa (un segno che interviene sulla
pagina manoscritta per estrapolarne lacerti testuali da evidenziare all’attenzione generale), quanto la funzione ritentiva
espletata dalla facoltà memoriale: le res memorandae possono infatti essere conservate integre a lungo solo se riescono
ad ancorarsi con forza alla mente segnandola in profondità, ovvero potenziando con la reazione psicofisica che ogni
immagine di memoria suscita (metaforicamente, la ferita dell’uncino nella memoria-mente-carta) la capacità del ricordo
di penetrare a fondo nella mente umana.».
56
F. RICO, La Biblioteca di Petrarca, p.229.
57
Riporto la citazione di F. Rico in La Biblioteca del Petrarca, p. 229, di F. PETRARCA, Familiares, III, 18: «Sono
dominato da una passione insaziabile […]. Non mi sazio mai dei libri. Eppure, ne ho più del bisogno; ma accade dei
libri come delle altre cose: il riuscire a fare danaro è sprone all’avarizia».
58
F. PETRARCA, Familiares, cit.: «danno un piacere muto e superficiale». Anche in questo caso ho attinto la citazione
dello stesso passo di Petrarca da F. Rico.
59
Vedi atti della seduta del Gran Consiglio veneziano del 4 settembre 1362.
con Cicerone i piaceri dell’otium presso Valchiusa60, o risponde ad Apuleio che anche lui amava il
mare61.
Tornando ai marginalia, si troverebbe finalmente la giustificazione alla violenza dell’intervento
sul testo proprio nella devozione che Petrarca rivolge ad essi: egli ama i libri perché hanno qualcosa
da insegnargli. Chiose, glosse, interventi figurativi, preghiere scritte sulle guardie e sui margini non
sono altro che colorite risposte alle affermazioni degli autori.
Il caso delle manicula è tuttavia ben più complesso: pur rientrando pienamente all’interno della
parabola colloquiale con il testo, si deve aggiungere che, nondimeno, si tratta di un intervento
figurativo, con tutte le implicazioni del caso. Come mette in luce Maria Cecilia Bertolani 62 sulle
base delle riflessioni degli storici d’arte Venturi e Longhi, Petrarca possiede una propria estetica che
lo induce a rifuggire qualsiasi forma di ambiguità che generi incomprensione o polivalenza di
significato: il poeta non arriva mai a servirsi dell’allegoria, prediletta invece da Dante.
La sua è anche un’estetica che rifiuta gli eccessi della scrittura gotica che non apprezza per
pesantezza e mancanza di ariosità 63 : suo è il bisogno di codificare un linguaggio personale e
autentico per la lettura e lo studio, ma non arriva ad elaborare nuove soluzioni. Egli preferisce
piuttosto muoversi su elementi a lui precedenti, forse tradizioni, forse omaggi a singoli studiosi con
cui si rapporta, ma resta il fatto che non crei nulla di nuovo, né che tenti di realizzare interventi
puramente disegnativi 64.
Dopo aver compreso che il poeta non realizza altrimenti interventi disegnativi, torna ancor più
vivo l’interrogativo circa la manicula: perché la scelta della mano? Ancora una volta nei suoi scritti
non v’è traccia delle ragioni alla base di questa soluzione, quindi occorre procedere per deduzione.
Il marginalium della mano poteva essere un segno diffuso, da quanto si è potuto arguire
dall’esempio sul codice di Padova comprato nel 1325, tuttavia Petrarca ne avrebbe scelto l’adozione
60
F. PETRARCA, Familiares, XII, 8, 4, (a Lapo di Castiglionchio, 1 aprile 1352), p.475, «Delectari itaque michi visus
est Cicero et cupide mecum esse».
61
«Michi», risponde infatti Petrarca, come segnala F. Rico, cit.
62
M. C. BERTOLANI MARIA, Dall’immagine all’icona, p.184, «Tuttavia, se Petrarca non può forse essere
considerato un critico figurativo o uno storico della letteratura (opposto una volta di più con eccessiva facilità a Dante
che, con il “ridon le carte” di Oderisi, fonda, sono parole di Longhi, «la nostra critica d’arte»), non per questo si può
sostenere che il poeta “non intendeva quella lingua”. Era anzi un linguaggio, quello dell’arte e più in generale delle
immagini, che Petrarca intendeva bene, ma di cui diffidava, con quelle ambivalenze e negazioni che sono a loro volta il
segno di un’attrazione e di una comprensione ».
63
F. PETRARCA, Familiares, XXIII, 1: «quas tu olim illius manu scriptas […] aspicias, non vaga quidem ac luxurianti
litera (qualis est scriptorum seu verius pictorum nostri temporis, longe oculos mulcens, prope autem afficiens ac
fatigans, quasi ad alium quam ad legendum sit inventa, et non, ut grammaticorum princeps Priscianus ait, litera quasi
legitera dicta sit), sed alia quadam castigata et clara seque ultro oculos ingerente, in qua nichil ortographicum, nichil
omnino grammatice artis amissum dicas».
64
Nella biblioteca petrarchesca si rilevano interventi figurativi solo sul Laur. 66, I, Par. Lat. 6802 e 8082, sui quali
esiste una panoramica piuttosto dibattuta all’interno; per saperne di più, cfr. M. FIORILLA, Marginalia;
in virtù di una certo pragmatismo. Riproducendo una mano, il segno dà infatti corpo all’esigenza di
segnalare un passo di un testo al pari di quanto potrebbe fare un maestro, un altro studioso, lo stesso
lettore che viene in soccorso a sé. L’unico altro elemento su cui ci si possa basare, a questo punto, è
il numero di esempi che ho constatato nel corpus: ammettendo la parzialità dell’indagine, condotta
per il periodo che va dagli anni ’30 agli anni ’60 circa con una scelta limitata rispetto al totale dei
codici che furono posseduti e letti dal poeta, ho potuto constatare che il periodo più fecondo è
quello ascritto tra gli anni ’40 e la fine degli anni ’50, quando Petrarca aveva già raggiunto il
proprio acme e si trasferisce più frequentemente. Questi pochi elementi passati al vaglio potrebbero
far concludere, ancora per via puramente ipotetica, che la manicula non sia altro che l’incarnazione
della voce del poeta e degli autori con cui Petrarca entra in contatto contemporaneamente, in un
dialogo che, nel tempo, è sempre più consapevole di sé.
Lo spazio tra Petrarca e il testo diminuisce ed è inversamente proporzionale al contatto che il
poeta stabilisce con il mondo esterno: a poco a poco questi si rifugia in una ricerca sempre più
interiore, per rifiutare il mondo esterno. L’otium presso Valchiusa, il rifugio che questo locus
amoenus rappresenta per il poeta ne è segnale.
2.2. Graffe
2.2.1. Caratteri generali
Citando Fiorilla, cui si deve il merito di aver realizzato il primo contributo sui marginalia figurati, sebbene limitato al solo Petrarca, si può dire che “il segno di graffa più usato da Petrarca in margine ai suoi codici ha la forma di un “fiorellino”, costituito da due, tre o quattro puntini seguiti da
un tratto discendente dritto o variamente ondulato” 65. In nota Fiorilla aggiunge che il tipo di graffa
non è unico: Petrarca non fu il solo a servirsene, dacché molti altri studiosi nel Tre e Quattrocento la
riprodussero, alcune volte nel preciso intento di imitare il segno del poeta.
L’affermazione sintetica dello studioso non esaurisce tuttavia la complessità del segno della graffa petrarchesca: analizziamone quindi le evoluzioni 66. Per calcare ancora la suggestiva affermazione
dello studioso, le definizioni del segno che seguiranno associano idealmente la graffa a un fiorellino.
Lo studioso ha posto dinanzi in evidenza i due principali elementi della graffa: la “corona di petali” e il gambo su cui essa poggia. Il segno è tracciato indifferentemente sui margini destro o sinistro e generalmente non si discosta troppo dal testo (massimo 10 mm) 67. Gli elementi della graffa
petrarchesca che ho riconosciuto sono la corona, il calice, il gambo, la radice. La corona, come si è
già detto, è l’insieme di due, tre o quattro punti usati a rappresentare i petali di questo fiore ideale
che poggia sul calice. Il calice è poi unito al gambo che termina nella radice.
Le discriminanti di questo segno petrarchesco sono le seguenti:
1. tratto;
2. tipo di gambo;
3. lunghezza del gambo;
4. decorazione;
5. inizio e fine;
6. numero di petali;
7. disposizione dei petali.
Il tratto descrive tanto la consistenza del tracciato (sottile, medio, spesso, uniforme o contrastato), quanto il modo in cui sia condotto lo strumento di scrittura (ductus). Nel primo caso, si conside-
65
M. FIORILLA, Marginalia, p. 23; in particolare, rimando alla nota 3.
66
Il corpus di codici di cui mi sono avvalsa per l’analisi della graffa appartiene al fondo latino della collezione parigina:
sono i manoscritti con segnatura 1617, 1757, 1994, 2013, 2201, 2318, 2923, 4846, 5150, 5816, 6280, 6802, 7720, 7748,
9711 e il Troyes, Bibl. Mun. 552.
67
Tranne in alcuni casi (come nel Par. Lat. 1994, f.107v).
ra lo spessore in dipendenza della penna utilizzata, nel secondo della velocità con cui è tracciata la
graffa.
Rispetto alla corona di petali, la seconda caratteristica definisce invece il movimento che il gambo segue dalla radice al corona: se la radice si trova in basso, il fiore si sviluppa verso l’alto, la corona si trova all’estremità superiore, motivo per cui l’ho definito sursum; viceversa, il segno si sviluppa capovolto e prende il nome di deorsum. Il fusto può essere singolo o doppio, se possiede rispettivamente un gambo o due, come nota pure Fiorilla 68. Nel caso in cui la graffa sia doppia, il secondo gambo è aggiunto al di sopra della corona di fiori e non si parla più di direzione del segno.
La graffa pone in evidenza passi brevi se copre una o due righe, medi per tre, passi ampi nel caso di quattro o più. La lunghezza della graffa è una discriminante per il rapporto con cui essa si pone rispetto alla manicula: la prima è inizialmente delineata con l’intento di segnalare passi estesi, sia
singolarmente che in rapporto a una postilla; la seconda una sola riga, il più delle volte senza invece
accompagnare un intervento scritto. Come si vedrà successivamente, nel tempo l’uso della graffa è
tanto consolidato tra le abitudini grafiche del poeta, da segnalare anche poche righe, come prima si
è avuto modo di accennare, assumendo anch’essa il compito di segnalare una parola, un passo breve, come già la manicula.
Soprattutto se lunghe, le graffe offrono occasione di essere variamente decorate tramite bombature, occhiellature, o ambedue, o, come si avrà modo di vedere, in qualche caso sporadico con ondine. L’ondulazione del segno può essere particolarmente accentuata o meno all’inizio (corona), alla
fine del fusto (radice) o in entrambi i casi. A seconda della minore o maggiore vivacità di ondulazione, vi sono i corone “ondulati” o “frastagliati”: la frastagliatura, in particolare, si identifica in un
elemento iniziale a s.
Inoltre, come suggerisce felicemente la definizione di Fiorilla, sebbene il più delle volte la corona della graffa sia costituita da tre petali, sovente si incontrano esempi a due o a quattro.
Nel caso in cui i petali siano tre, sono organizzati secondo uno schema triangolare con vertice rivolto verso l’altro (surgens flos) o verso il basso (sopita flos). La scelta nella definizione delle due
situazioni nasce da un motivo temporale: nel primo caso, la sensazione visiva che ho ricevuto era
quella di un bocciolo pronto a schiudersi, nel secondo di un fiore in attesa del riposo.
Tra tutte, la prima discriminante è quella più tipicamente paleografica, poiché si occupa di caratteristiche tecniche e materiali, quali il modo e il tipo di strumento scrittorio utilizzato (a punta mozza o fina) che condizionano fortemente l’effetto grafico finale. Oltre alle naturali implicazioni sociali di un certo tracciato o tipo di penna utilizzata, una simile informazione costituisce pure un indizio
68
M. FIORILLA, op. cit., p.25: «Verso la metà degli anni ’50 e in età ancor più avanzata, la graffa petrarchesca sembra
caratterizzarsi soprattutto per la presenza di un tratto superiore, in aggiunta a quello inferiore, terminante spesso a forma
di uncino, con o senza uno svolazzo tondeggiante ulteriore».
tecnico che permette di accostare una determinata graffa a una postilla o altri marginalia figurati:
ecco quindi la possibilità di stabilire una consequenzialità temporale tra i vari interventi grafici e il
rapporto che esiste tra essi, quindi il metodo grafico di studio di Petrarca.
Le tre caratteristiche seguenti (lunghezza, decorazione, inizio e fine del gambo) sono di natura
strettamente morfologico-figurativa e presuppongono un’analisi accurata del gambo, che si è detto
essere una delle due costituenti principali della graffa assieme alla corona di petali, esaminata separatamente per ultime. La direzione del gambo e la disposizione della corona di petali non sono indipendenti tra loro: come si vedrà successivamente, dopo una serie di evoluzioni, il fusto deorsum sarà naturalmente completato da una corona sopita, mentre la disposizione surgens diventa naturale
per un orientamento sursum del gambo.
Da quanto si è potuto constatare, la graffa è un marginalium molto dissimile dalla manicula. La
distanza tra le due non si esaurisce nelle sole differenze morfologiche, ma anche nella maggiore copiosità della prima rispetto alla seconda. Questo fa sì che ogni manicula sia un unicum e giustifichi
uno studio caso per caso; il numero più consistente delle graffe impone, invece, un’analisi statistica
per tipologie in cui alcuni segni sono elevati a modelli generici.
Ancora, come si è accennato all’inizio, la graffa non è un segno vincolato allo spazio in cui è
tracciata come è invece la manicula: questi marginalia disegnati sul margine destro non differiscono morfologicamente da quelli realizzati a sinistra del testo. Tra le caratteristiche prima enumerate,
non figura quindi l’apposizione sul margine destro o sinistro.
Esaminiamo quindi le trasformazioni morfologiche della graffa nei vari decenni delle letture petrarchesche.
2.2.2. Analisi storico –morfologica
2.2.2.1. Primo periodo. Anni ’30
In mancanza di riferimenti visivi anteriori, inizio il mio percorso sull’evoluzione della graffa alla
metà degli anni ’30 tramite i codici appartenenti al fondo latino della Biblioteca Nazionale di Parigi
con segnatura 1617, 1994, 2201 e 6280 di cui si è già avuto modo di parlare (vedi par. 2.1.2.2.).
Il tracciato filiforme, in alcuni casi quasi impercettibile, descrive un gambo rozzo e diritto, mentre emerge con maggiore evidenza la corona surgens (fig.91): i puntini che costituiscono i petali sono perfettamente tondi, realizzati con un solo tratto di penna. Il fatto che il risultato non sia infine
un triangolo di brevi tratti orizzontali o verticali dice che probabilmente il marginalium non sia
tracciato in tutta fretta, bensì sia realizzato da una mano posata che segue un disegno preciso. Il rozzo aspetto finale di questa prima, lunga graffa troverebbe una prima giustificazione del ductus rozzo
e frettoloso nelle scarse capacità grafiche del giovane poeta, una seconda nella minore attenzione ai
tratti decorativi dei marginalia come parte integrante dei suoi libri.
Figura 91
Par. Lat. 2201, f.10r(4)
Il fatto che la graffa del periodo sia realizzata senza alcun intento o fine decorativo comprende il
fatto che per questo primo decennio non si possano constatare complementi ornamentali; l’iniziale
poca dimestichezza di Petrarca con uno studio grafico chiarisce il motivo dell’esiguo numero di segni che si rinvengono per il periodo.
Già verso la fine del decennio la graffa sursum sorgens è vivacizzata da tremule ondulazioni
(fig.92) ed è usata per coprire a margine tratti di testo medi o lunghi. Non sono invece utilizzati segni più corti per il già accennato conflitto tra la graffa breve e la manicula.
Figura 92
Par. Lat. 2201, f.36v
Dalla fig.92 emerge un ductus ben più corsivo rispetto a quello della fig.91: da quanto appare altrove (figg.93 e 94), l’ondulazione potrebbe essere imputabile tanto a una variazione poi canonizzata, quanto a una scelta legata a un luogo specifico.
Figura 93
Par. Lat. 6280, f.31r
Figura 94
Par. Lat. 1617, f.65v
L’elemento ambiguo è il tipo di penna utilizzato da Petrarca, se esso fosse a punta mozza o fina.
Il tracciato del fusto sottile anche nei tratti obliqui è simile ai segni di paragrafo (vedi segno cerchiato in rosso nella fig.95) all’interno del testo da lui realizzati ad apertura delle postille (vedi il
par.5), così come il tipo di inchiostro utilizzato. Questi elementi potrebbero porre queste graffe in
un rapporto di contemporaneità con le attigue glosse realizzate con lo strumento a punta mozza e
avvalorare l’ipotesi dell’uso dello strumento a punta sottile.
Figura 91
Par. Lat. 2201, f.10r(4)
Figura 95
Par. Lat. 2201, f.10r(4)
Come mette in luce Paola Supino Martini 69, Petrarca stabilisce un collegamento tra i coevi modelli usuali e documentari a sua disposizione e quelli librari antichi fino a sviluppare una personalissima scrittura che sostituisse la “pesante” gotica; l’intervento della studiosa fa altresì emergere che
il primo tipo, soprattutto, utilizzava lo strumento a punta sottile. Tra le scritture usuali, la mercantesca era una delle più diffuse e, sebbene la Supino Martini non confronti direttamente la scrittura di
Petrarca con questa grafia povera, è pur vero che si trattava di una realtà diffusa in un periodo in
cui, soprattutto a Firenze, si verificava un incremento della produzione scritta. Conseguenza di questa apertura grafica potrebbe essere stata la contaminazione in altri contesti di scrittura di alcune abitudini, come la variazione di formato, l’uso del libro tascabile, ma anche l’impiego di altri strumenti di scrittura, quale appunto la penna a punta sottile.
Nell’elegante scrittura di glossa Petrarca utilizza invece un modello contrastato, distante dal tratto filiforme delle graffe: il poeta scriveva con una penna specificatamente deputata per questo tipo
69
P. SUPINO MARTINI, Per una storia della semigotica, pp. 1-2: «Una ricerca che vado conducendo da qualche
tempo mi ha indotto a fissare l’attenzione su scritture librarie attestate almeno fin dai primi anni del Trecento e
assimilabili alla semigotica del Petrarca: esse procedono, a mio avviso, da quel filone di usuali e documentarie (la
minuscola diplomatica) – strettamente collegate con la libraria, posate e tracciate per lo più con penna a punta sottile e
rigida –, da cui era altresì partito il processo di formazione della corsiva e della sua espressione posata e formale, la
cancelleresca. Le scritture di queste testimonianze, di cui offrirò qualche esempio qui appresso, non possono
considerarsi, per così dire, di tessuto gotico, perché non rispondono al ritmo coesivo e serrato di pochi elementi
ripetitivi sapientemente combinati nelle lettere e nelle parole e presentano, invece, un disegno chiaro e disteso delle
singole lettere, sia che risultino vergate con penna a punta sottile e rigida, com’è più frequente, sia con penna a punta
mozza».
di interventi extratestuali che non comprendevano la glossatura o variava impugnava lo strumento
di scrittura a punta fina per ottenere il tratto sottile?
Tanti gli elementi a favore o contro l’una o altra ipotesi.
Per quanto riguarda la prima, si nota che la graffa non è l’unico marginalium ad essere originariamente delineato con una consistenza esile: pure la manicula ha un tratto non contrastato. Inoltre il
mutamento di tratto che si osserva alla fine del decennio è tanto netto da lasciare spazio a un’ipotesi
simile. Di contro, in questi stessi esempi v’è un leggerissimo accenno di chiaroscuro che non giustificherebbe totalmente l’impiego di uno strumento a punta rigida, ma piuttosto un diverso modo di
condurre la penna sul foglio.
Sia che Petrarca fosse munito nelle fasi del suo studio di più penne, sia che ne utilizzasse variamente una sola, le prospettive sarebbero comunque interessanti; non intendo tuttavia risolvere il
problema in questa trattazione e invito ben più qualificati studiosi a svolgere possibili studi in questa direzione.
Tornando alle evoluzioni della graffa degli anni ’30, verso la fine del decennio circa si colloca il
graduale passaggio dal tratto sottile a quello contrastato poc’anzi accennato. Dopo un periodo di coesistenza delle due graffe di cui troviamo traccia nei Par. Lat. 2201 (fig.96) e 6280 (fig.97), il tratto
prevalente divenne infine quello contrastato: nei codici postillati a partire dagli anni ’40 non c’è più
alcuna traccia della graffa sottile.
Figura 96
Par. Lat. 2201, f.10r (4)
Figura 97
Par. Lat. 6280, f.31r
Tabella 7
Tratto
Secco
Tipo di gambo
Inizialmente diritto, poi leggermente ondulato
Lunghezza del gambo
Media o lunga
Decorazione
-
Inizio e fine
-
Numero di petali
3
Tipo di petali
Surgens
Tabella delle caratteristiche della graffa degli anni ‘30
2.2.2.2. Secondo periodo. Anni ’40
Le variazioni che si verificano in questo decennio interessano soprattutto il tratto, come già si è
accennato, e il gambo. Sia che Petrarca abbia abbandonato un primitivo strumento di scrittura a
punta fina, sia che abbia operato un cambio di mano, la consistenza del tracciato assume un evidente contrasto, soprattutto all’inizio del gambo per scomparire in una radice diritta e molto sottile o a
coda. Anche l’ondulazione del gambo, solo accennata alla fine degli anni ’30, è sviluppata a partire
da una corona che apre obliquamente il fusto per chiuderlo morbidamente 70. Il numero di petali non
differisce del decennio precedente, quindi le trasformazioni interessano soprattutto il gambo.
L’analisi di questo decennio insiste ancora sui Par. Lat. 1617, 1994, 2201, 6802, già esaminati
nel paragrafo precedente, cui si aggiungono i 2103, 2923 e 7748.
Già alla fine degli anni ’30 si è osservata una tremula ondulazione del fusto e, sia che si trattasse
di una tendenza, che di una scelta precisa, la curva comincia a scuotere la sezione centrale del gambo in una morbida onda (fig.98).
Figura 98
Par. Lat. 2201, f.10r(3)
70
L’attribuzione dell’andamento sinuoso del segno è affermata anche da Fiorilla in Marginalia, pp.23-24: «Il tipo con
tratto serpeggiante sembrerebbe caratteristico di una fase di postillatura alta, collocabile tra la fine degli anni ‘ 30 e la
fine degli anni ’40». In particolare, Fiorilla riferisce l’analisi alle note stratificare sul Par. Lat. 2193, il Virgilio
Ambrosiano, l’Orazio Morgan e il Cicerone di Troyes. Riferisce ancora a questo periodo anche la graffa riportata
successivamente alla fig.109, perfettamente in linea con le caratteristiche morfologiche da me isolate per il periodo.
La graffa arriva talvolta ad accorciarsi, coprendo una breve zona di testo pari a due righe di testo,
raramente una. Come si è già avuto modo di dire, sino a questo momento la graffa era stata un segno lungo: l’introduzione di questa “graffa breve” pone non pochi problemi circa la definizione
delle differenze funzionali tra essa e la manicula che tenterò di risolvere in seguito.
Per tornare all’analisi morfologica, lo sviluppo della graffa breve e si quella media o lunga è differente: se la prima non subisce particolari metamorfosi, in quanto la brevità del segno lascia ben poco spazio a virtuosismi di tracciato, il marginalium medio o lungo è ben più ricco di ornamenti. Attraverso l’analisi dei manoscritti ho notato che la graffa non esiste unicamente nella forma “floreale”, ma anche in semplici fusti o la sola corona di petali. Analizziamo quindi le tipologie.
A. Graffa breve
La graffa breve delle origini è piuttosto convessa: l’oscillazione del fusto di questo primo modello origina dal corona a tratto contrastato per terminare infine in una radice secca e filiforme
(fig.99). Durante il decennio l’ondulazione scivola lentamente verso la radice, con uno svolazzo
rivolto verso sinistra, indipendentemente dal margine sul quale è realizzato il marginalium
(fig.100).
Figura 99
Par. Lat. 2201, f.9r (2)
Figura 100
Par. Lat. 1994, f.96v(2)
Come si è potuto constatare già nel caso della manicula, durante il decennio anche la graffa accoglie semi di una specificità morfologica non ancora pienamente manifesta per forme grafiche differenziate: trattasi del brevissimo tratto diritto che ne bilancia il baricentro, sviluppato poi in un corona rapidamente frastagliato, o lo svolazzo finale, accenno della successiva radice a “coda”. Il quasi impercettibile accenno verticale di penna conferisce stabilità e al tempo stesso contrasta l’ampia
curva del fusto, sino ad annullare l’originale effetto obliquo (fig.99); la sottile radice è delineata da
una mano manierata che eccede talora in occhiellature (fig.101).
Dopo la seconda metà del decennio, si afferma la forma frastagliata del corona, mentre la radice
si chiude con una morbida linea 71 e il resto del gambo si raddrizza, da quanto ho potuto constatare
nelle poche graffe disperse per il Par. Lat. 2923 (fig.102). I petali che costituiscono la corona sono
perlopiù tre, anche se in qualche caso se ne riscontrano quattro, disposti a rombo (fig.103).
71
Il riferimento cronologico è il Par. Lat. 2923, annotato per la maggior parte del tempo in Italia tra l’aprile del 1344 e il
febbraio del 1349. De Nolhac, in Pétrarque et l’humanisme, p.289, analizza i finali ff.178v e 179r sui quali sono
annotate le successioni dello studio per stabilire cinque periodi di intervento sul testo : 1. dal 21 aprile al 23 agosto del
1344 ; 2. Dal 21 al 28 luglio 1345 ; 3. Dal 30 maggio 1348 a l 26 febbraio 1349 ; 5. Dal 7 maggio al 2 agosto 1349.
Figura 101
Par. Lat. 1994, f.96v(3)
Figura 102
Par. Lat. 2923, f.16r(7)
Figura 103
Par. Lat. 2923, f.16r(4)
B. Graffe media e lunga
Le graffe media e lunga percorrono le stesse mutazioni della breve: inizialmente anch’esse presentano il corona obliquo (fig.104), quindi bilanciato (fig.105) e poi diritto con corona frastagliato e
radice a coda (fig.106), il numero dei petali varia da due (fig.107) a quattro (fig.108), soprattutto
nella seconda metà degli anni ’40. La vera particolarità di queste consiste nella libertà creativa che
lasciano a un amante della penna quale è Petrarca: la maggiore lunghezza del fusto spinge a un più
naturale movimento rispetto a quanto può consentire un segno breve. La conclusione più naturale di
questa tendenza è una decorazione a volte quasi barocca dei gambi, in qualche caso delle radici.
Figura 104
Par. Lat. 1994, f.9r(2)
Figura 105
Par. Lat. 6802, f.48v
Figura 106
Par. Lat. 2923, f.44v
Figura 107
Parl. Lat. 6280, f.65v
Figura 108
Par. Lat. 6280, f.38r(3)
Le figg.104 e 105 hanno un’ondulazione semplice, tuttavia molti altri casi, soprattutto di graffe
molto lunghe, sono vivacizzati da frastagliature (fig.109)72, occhiellature prima singole (fig.109) e
poi multiple (fig.110), raramente da cerchi (fig.111), o più ricche decorazioni intermedie (fig.113).
Solo in un caso ho riscontrato un intervento fitomorfo sulla radice (fig.114) che sembrerebbe richiamare sinteticamente un mazzo di betonica o di altea. Nasce agli inizi del decennio ma è sviluppato in quelli successivi, un ulteriore elemento ornamentale che trova ancora nella graffa lunga terreno fertile, quello a “bombatura” intermedia 73. I rigonfiamenti sono organizzati in uno o più gruppi
72
E’ particolarmente accentuata l’unica graffa del f. 15v sul codice Par. Lat. 7749, postillato nel quarto o nel quinto
decennio del Trecento. L’altezza cronologica che attribuisco a quest’unico esempio è circa la fine del primo: la presenza
della forte ondulazione intermedia non si registra più durante gli anni ’50, tuttavia il corona realizzato con un rapido e
agitato tratto di penna appartiene al tardo decennio.
73
Fiorilla in Marginalia, p.25, nota 18, chiama invece questa decorazione poco frequente “a conchiglie” e la segnala sui
ff.113r e 122v del Par. Lat. 7720 in cui stabilisce un collegamento tra i temi trattati da Quintiliano e i Familiarium, I 9,
ivi, VI 4 e ivi, XVI 9.
il cui numero oscilla tra tre e quattro e sono tracciati in un unico tempo; se multiple, le bombature
sono alternate regolarmente al tratteggio diritto del gambo (fig.115).
Inoltre, nella seconda metà del decennio, comincia ad apparire la “secatura”74 già nel Par. Lat.
292375 ed interessa soprattutto le graffe medie: si tratta di un doppio tratto tracciato perpendicolarmente al fusto a tagliarlo (fig.116). Essi sono realizzati secondo un ordine di lunghezza del gambo e
nell’interlinea tra una riga e l’altra, per non sbilanciare ulteriormente il bianco della pagina. Il motivo per cui è stata realizzata quest’aggiunta potrebbe consistere nel maggiore peso che la nota aveva
per Petrarca, anche se, come mostra anche Fiorilla76, non tutti i numerosi passi segnati dai marginalia hanno avuto fortuna presso la sua memoria poetica.
Figura 109
Par. Lat. 1617, f.21r
Figura 110
Par. Lat. 1617, f.9r
Figura 111
Par. Lat. 1994, f.23r(5)
Figura 112
Par. Lat. 1617, f.2v
74
Il termine deriva dal latino “secatus”, dal verbo “secare”. La scelta è ricaduta su questo termine perché l’impressione che ne ho ricevuto era quella di un taglio violento del gambo del flos.
75
76
Essa appare già nel Par. Lat. 2923, per il quale v. supra nota 45.
M. FIORILLA, Marginalia, p. 27: «Alcuni dei passi messi in risalto dai segni di attenzione trovano riscontro in opere
di Petrarca. E’ probabile però che anche altri dei luoghi qui scelti per esemplificare le diverse tipologie di graffe e
maniculae abbiano influenzato la composizione di pagine petrarchesche. Naturalmente non sempre questo avviene.
Come hanno notato i numerosi contributi alle annotazioni petrarchesche dalla seconda metà dell’Ottocento a oggi, solo
una parte dei luoghi su cui l’attenzione di Petrarca si è soffermata durante la lettura sembrerebbe in effetti aver agito
sulla sua memoria poetica e, all’inverso, vi hanno agito passi che non ha postillato. Soprattutto nei casi in cui le fonti
sono dissimulate e riparafrasate da Petrarca attraverso complicate operazioni di riscrittura, dai segni di attenzione che si
possono ricavare preziose indicazioni per individuarle o confermarle».
Figura 113
Par. Lat. 1994, f.102r
Figura 114
Par. Lat. 1994, f.104v(2)
Figura 115
Par. Lat. 6280, f.39v
Figura 116
Par. Lat. 2923, f.16r
C. Gambi ornati
I gambi o fusti ornati, ma privi della corona di petali, sono una delle varianti alla graffa a fusto
lungo nate in questo periodo. Le tipologie decorative percorrono la stessa linea evolutiva delle gra ffe sursum surgens a fusto medio e lungo, quindi tra i primi tipi di decorazioni si trovano rozze occhiellature (fig.117), date dall’esperienza che Petrarca viene via via maturando nella pratica della
scrittura, e solo in un secondo momento compaiono le prime bombature.
Figura 117
Par. Lat. 2201, f.19r
L’introduzione dell’uso del motivo a bombatura è probabilmente avvenuto già a cavallo della fine degli anni ’30 e l’inizio degli anni ’40, secondo l’esempio isolato per questo periodo, che si trova
sul f.19r del Par. Lat. 2201 (fig.118). Il tratto sottile e omogeneo, la doppia occhiellatura rozza e oblunga avvicinano il piccolo fusto alle graffe della fine degli anni ’30 dotata di bombatura singola;
il segno è tracciato con tutta probabilità in un tempo solo e così da lasciare spazio alle primitive occhiellature che lo vivacizzano. Successivamente il numero delle bombature aumentò a tre, mentre la
forma generica della graffa ad asta accolse una maggiore morbidezza di tracciato come pure contemporaneamente la variante “fiorita” (fig.119). Confrontando le figg.118 e 119 si nota pure che
questo segno si compone in maniera specifica che si stabilizza per tutta la durata del decennio: motivo iniziale a bombatura e occhiello prossimo alla radice. A prova di ciò, si riportano gli esempi
rintracciati sul Par. Lat. 1994 (fig.120), e ancora sul 2201 (fig.121): in particolare, la graffa di
fig.120 potrebbe essere collocata più o meno intorno alla metà degli anni ’40 per l’accenno di coda
caratteristico della graffa breve (vedi fig.100) e per il tratto più sicuro e contrastato, mentre quella di
fig.119 apparterrebbe alla piena seconda metà per l’andamento molto più diritto e la vicinanza al
modello del decennio successivo (vedi segg.).
Figura 118
Par. Lat. 2201, f.19r(3)
Figura 119
Par. Lat. 6280, f.41r(3)
Figura 120
Par. Lat. 1994, f.96v(4)
Figura 121
Par. Lat. 2201, f.9r
L’origine del motivo a bombatura è tuttavia incerto; l’analisi di altre fonti lascia però emergere
che in un periodo più o meno contemporaneo non se ne servisse il solo Petrarca. Alcuni degli atti
datati al 1359 di compravendita di schiavi del notaio Benedetto Bianco, prete e scrivano del consolato veneziano presso l’Ufficio della Tana a Venezia, in cui vi è la registrazione di un acquisto da
Domenico da Firenze, mercante specializzato nella tratta di schiave provenienti dall’Oriente, si notano gli stessi motivi a bombatura utilizzati per raggruppare gli acquisti (fig.122). Il documento
proviene da Venezia e in un periodo ben più basso rispetto alle graffe prese ad esame, quindi probabilmente si tratta di un segno piuttosto in voga nella consuetudine documentaria o usuale 77.
Figura 122
Compravendite di schiave alla Tana, 1359. Venezia, Archivio di Stato, registro del notaio Benedetto Bianco [registro 7].
77
La notizia è stata tratta dal catalogo della mostra “Sulle vie della Seta. Antichi sentieri tra Oriente e Occidente”
Roma, Palazzo delle Esposizioni ottobre 2012-marzo 2013 , p.152-155.
In definitiva, l’origine della decorazione potrebbe non essere attribuita a Petrarca, quanto piuttosto a una possibile influenza del mondo della miniature: queste bombature ricorderebbero le ricchissime bordure della tradizione gotica diffusissima Oltralpe e conosciuta dall’Italia settentrionale.
D. Corone semplici
Nel Par. Lat. 2923 si riscontra anche la presenza di gruppi di tre (fig.123) o talvolta quattro petali
(fig.124) isolati da una qualsivoglia forma di gambo, altrettanto particolare quanto quella sino ad
ora analizzata. L’altezza temporale del segno è quindi perfettamente collocabile per il manoscritto a
tutta la seconda metà del decennio e la funzione è incerta: non è utilizzato in complemento ad altri
marginalia, né ha la funzione di richiamo o di collegamento a postille. Mentre nel manoscritto non
si trova alcuna manicula, questa semplice forma di graffa è ciò che più vi si avvicina.
Figura 123
Par. Lat. 2923, f.73v(2)
Figura 124
Par. Lat. 2923, f.78v
Tabella 8
Tratto
Tipo di gambo
Contrastato
Inizio: leggermente ondulato;
Metà: frastagliato;
Fine: raddrizzato.
Lunghezza del gambo
Decorazione
Corta, media o lunga.




Occhiellata;
a tondini;
secata;
varia.
Inizio e fine
Verso la fine del decennio accenno di corona e di coda
Numero di petali
Rari 2, 3 e talvolta 4
Tipo di petali
Surgens
Tipo di graffa



Con gambo;
gambo ornato;
corona di fiori.
Tabella delle caratteristiche della graffa degli anni ‘40
2.2.2.3. Terzo periodo. Anni ’50
Gli anni ’50 furono il periodo più fecondo della lettura petrarchesca, quando oramai il poeta aveva affermato la propria posizione letteraria tanto da essere eletto “poeta vate”. Ci si rende conto del
peso che Petrarca aveva acquisito nel mondo delle lettere grazie alle rappresentazioni che si trovano
qua e là per l’Italia: incoronato di lauro, nel ciclo di affreschi di Benozzo Gozzoli a Montefalco si
trova accanto a Dante e Giotto.
I codici esaminati per il decennio sono i Par. Lat. 1617, 1757, 1994, 2103, 2201, 2318, 5690,
5816, 6280, 7720, 7748 e il Troyes, Bibl. Mun. 552, la maggior parte dei quali sono già stati abbondantemente discussi a proposito delle maniculae, ma finora non si è ancora avuto modo di parlare
del Par. Lat. 5690. Si tratta di un codice comprato ad Avignone nel 1351, secondo la nota sul foglio
36778, tuttavia, grazie a un’analisi condotta alla lampada UV 79, si è anche scoperto che nel 1365 era
già sotto la proprietà di Bartolomeo Papazzurri, vescovo di Teano.
Durante gli anni ’40 Petrarca aveva gettato le basi per realizzare un segno che poteva constare di
varie tipologie: la sursum surgens, abbondantemente analizzata fino ad ora, a gambo ornato, ma anche la deorsum sopita e la graffa doppia. Analizziamole una per una.
A. Sursum surgens
Durante la seconda metà degli anni ’40 il gambo del segno era stato raddrizzato, mentre
l’ondulazione si era spostata al corona e si avevano i primi accenni di coda. Tracce di questo passaggio si trovano nel Par. Lat. 2201 in esempi quali le graffe sui ff. 18r (fig.123), , 25v (fig.124) e
28r (fig.125) e nel Par. Lat. 1617 sul f.21r (fig.126) in cui la corona, pur essendo evidentemente frastagliato, ha un tratto incerto.
Figura 123
Par. Lat. 2201, f.18r
Figura 124
Par. Lat. 2201, f.25v(3)
Figura 125
Par. Lat. 2201, f.28r(2)
Figura 126
Par. Lat. 1617, f.21r(3)
Forse complice la celerità di ductus, incertezza emerge pure nel fatto che Petrarca non si cura di
terminare efficacemente il segno: la radice rimane un sottile tratto di penna o un accenno di svolazzo, fino a che si sviluppa in una vera e propria coda diritta (fig.127) o con occhiellature (fig.128).
Con tutta probabilità, l’uso di una radice o l’altra è indifferente e dettato unicamente dalle esigenze
78
79
“ Emptus Avinione 1351, diu tamen ante possessus”, A. C. DE LA MARE, Handwriting, p. 14, nr. 32.
Non c’è traccia di Bartolomeo Papazzurri nelle fonti di base e solo recentemente la figura è oggetto di una timida ricerca che è nata proprio dai petrarchisti, in particolare G. BILLANOVICH, La tradizione del testo, I/1, pp. 192-200,
207-08, Tav. XVI.2. Per altre informazioni, cfr. P. DE NOLHAC, Pètrarque, I 113, II 14-35, 273-277; E. PELLEGRIN(2), Manuscrits, pp. 279-280.
della pagina o dalle inclinazioni momentanee: non si tratta infatti di un’appendice, di un complemento al segno che lo allontana completamente dall’insieme delle altre graffe e tale per cui possa
sottolineare una particolarità del testo ch’egli ha in animo di segnalare a sé stesso, ma di un semplice “vezzo di penna” dettato da una più consapevole perizia grafica e più empatico con il poeta stesso.
Il gambo era stato affatto raddrizzato nel caso della graffa breve, mentre nei segni lunghi continuavano a esistere ancora delle pur fragili resistenze: nel Par. Lat. 5690 numerosi sono gli esempi di
graffa media o lunga con un minimo di ondulazione non perfettamente disciplinata, probabilmente
collocabili agli inizi degli anni ’50 (figg.129 e 130), secondo gli studi approfonditi di de Nolhac 80 e
Billanovich81. Il Par. Lat. 5690 è una raccolta di tre testi, di cui il terzo e più consistente sono i libri
I, III e IV dell’opera storiografica Ab urbe condita di Tito Livio, che Petrarca aveva già avuto modo
di leggere e di commentare ampiamente durante il periodo avignonese, cui è riconducibile l’acme
della sua attività filologica. Il codice apparteneva originariamente alla biblioteca di Landolfo Colonna, ma fu ampiamente letto e commentato anche dal giovane Petrarca, che si inserisce così in
una già avviata cornice di riflessione critica cui aggiunge solo ulteriori riflessioni stilistiche, morali
e storiche sull’opera di Livio 82. Petrarca si appropria in seguito del testo per continuare coprirlo di
postille e marginalia, tra cui anche graffe. Interessante è il contributo della Crevatin 83 incentrato
sullo studio filologico delle postille e sulle reciproche differenze determinate dal diverso approccio
al testo dei due studiosi: da esso emerge che gli interventi operati da Landolfo Colonna avessero lo
scopo di segnalare il materiale necessario al riempimento del suo Breviarium Historiarum84, mentre
Petrarca ne ricaverebbe piuttosto un motivo di riflessione personale.
Figura 127
Par. Lat. 7720, f.8r
80
Figura 128
Par. Lat. 7720, f.2r(6)
Figura 129
Par. Lat. 5690, f.184v(3)
Figura 130
Par. Lat. 5690, f.214v(3)
P. DE NOLHAC, Pétrarque, II, cap. VI, pp. 1-33.
81
G. BILLANOVICH, La tradizione, p.164. Le segnalazioni di Nolhac e Billanovich sono state ricavate dal contributo
di G. CREVATIN, Leggere Tito Livio, p. 67, cui rimando per una più completa analisi filologica delle note.
82
Per i rapporti tra Petrarca e Landolfo Colonna, riporto la segnalazione di Petrucci in La scrittura di Francesco
Petrarca, p.37, nota 2 di G. BILLANOVICH, Il Petrarca e i classici, in Petrarca e il petrarchismo, pp.153-158 e ID.,
Dal Livio di Raterio, pp. 141-143.
83
84
G.CREVATIN, vedi supra.
G. CREVATIN, cit., p. 68: «Buona parte delle note di Landolfo hanno l’evidente funzione di memorabilia; con tutta
probabilità si tratta di appunti ad uso della propria compilazione storica, il Breviarium historiarum: puntigliosamente
Landolfo segna sui margini del suo Livio i nomi dei consoli e ne registra il numero d’ordine del consolato; segna la successione delle guerre combattute dai Romani coi popoli confinanti.»
La corona a due petali costella ancora la prima metà del decennio (soprattutto il Par. Lat. 7720)
(fig.131) e si estingue completamente nella seconda metà dello stesso, dal momento che non ve ne
sono nei Par. Lat. 2318 e 5816; la tipologia a quattro petali è presente solo nel Par. Lat. 2103, nei
ff.137-139 (fig.132 e 133).
Solo uno è il caso di deorsum surgens, che ritengo tuttavia casuale per la totale mancanza di
successori, e si trova all’interno del Par. Lat.5816, sul f.101r (fig.134).
Figura 131
Par. Lat. 7720, f.4r(3)
Figura 132
Par. Lat. 2103, f.138r
Figura 133
Par. Lat. 2103, f.139r
Figura 134
Par. Lat. 5816, f.101r
Anche in questo periodo sono utilizzate le sugens decorate, senza tuttavia incontrare, a parte rara
eccezione (vedi fig.133), esempi innovativi o interessanti: la secatura viene più copiosamente utilizzata soprattutto fino alla metà del decennio. Ne abbondano infatti i Par. Lat. 1994, 2103, 1757 e
7720, mentre sono assenti o quasi nei 2318 e 5816, le cui graffe presentano caratteristiche morfologiche piuttosto uniformi (figg.135, 136, 137, 138). Tra i codici elencati, un caso particolare è
rappresentato dal Par. Lat. 7720, in cui sono frequenti graffe tagliate perpendicolarmente alla lunghezza da un solo tratto sottile (figg.139, 140, 141).
Figura 135
Par. Lat. 1757, f.23r
Figura 136
Par. Lat. 1994, f.180r
Figura 137
Par. Lat. 2103, f.10v
Figura 138
Par. Lat. 7720, f.65r
Figura 139
Par. Lat. 7720, f.85v(4)
Figura 140
Par. Lat. 7720, f.93r(3)
Figura 141
Par. Lat. 7720, f.97r(4)
B. Deorsum sopita
Ricordo che, come detto sopra, la deorsum sopita è una tipologia in cui l’asta del gambo scende
dall’alto verso la corona di fiori triangolare a punta rivolta in basso; è inoltre un segno corto, dato
che in ogni caso da me rilevato l’asta era in grado di coprire due, massimo tre righe. Petrarca comincia a tracciare sopitae a partire dalla seconda metà del quinto decennio circa: gli esempi che osserviamo sul Par. Lat. 1757 sono morfologicamente simili a quelli sul 7720 e sul 5816, motivo per
cui si potrebbe supporre una loro contemporaneità. La sursum surgens è la tipologia più diffusa perché la prima di cui Petrarca si serve; l’uso della deorsum potrebbe forse trovare una fase intermedia
nella tipologia a due petali che abbonda nel Par. Lat. 2329, mentre vi sono pochi casi di sursum su
un gambo orientato verso il basso85, viceversa nessuno. Gli unici passaggi possibili sono una fusione delle graffe a due o a tre petali e una maggiore facilità di realizzazione del segno, soprattutto
lungo i margini esterni. La sopita esiste quasi sempre nella tipologia deorsum, come la surgens quasi esclusivamente nella forma sursum: per questo motivo per riferirmi all’una o all’altra userò semplicemente sopita o surgens.
La prima sopita ricalcava il modello ideale della coeva surgens breve: corona frastagliato, radice
tonda e gambo diritto (fig.142), quindi l’ondulazione si sposta verso la radice, con conseguente raddrizzamento della corona che si chiude in un elegante doppio svolazzo (fig.143).
La prima evoluzione di questa graffa ha una corona di tre o quattro petali (fig.144), in accordo
con le graffe dei fogli che precedono o seguono immediatamente.
A quel punto Petrarca conferisce alla radice una fisionomia frastagliata, come già il corona della
surgens.
Figura 142
Par. Lat. 7720, f.100r(5)
85
Figura 143
Par. Lat. 1757, f.6v(6)
Figura 144
Par. Lat. 7720, f.107v
Si nota a tal proposito un solo in un esempio, forse casuale, sul Par. Lat. 2201, f.35r.
C. Graffa doppia
«Verso la metà degli anni ’50 e in età ancora più avanzata, la graffa petrarchesca sembra caratterizzarsi soprattutto per presenza di un tratto superiore, in aggiunta a quello inferiore, terminante
spesso a forma di uncino, con o senza uno svolazzo tondeggiante ulteriore» 86, così Fiorilla descrive
la doppia graffa che abbonda nei codici postillati dal poeta. Sebbene lo sviluppo della tipologia si
avvii, appunto, intorno alla metà degli anni ’50, come indicato dallo studioso, esistono dei precedenti collocabili nel Troyes, Bibl. Mun. 552 (fig.145)87, in cui la graffa doppia ha una corona a due
petali e la primissima aggiunta del tratto superiore. L’acquisizione del codice secondo de Nolhac
sarebbe avvenuta intorno al 134488, mentre Petrucci 89 sostiene che il codice sia stato letto nel 1349 e
annotato intorno al 1355; anche Fiorilla colloca la prima fase di lettura intorno alla prima metà degli
anni ’4090.
Esistono pure altri esempi di graffa a due petali che sono totalmente distanti dall’esempio del
Troyes, Bibl. Mun. 552, come quello sul f.9v del Par. Lat. 1994 (fig.146), le cui caratteristiche morfologiche appartengono alla prima, forse seconda metà degli anni ’40: il fusto inferiore è ondulato
per l’intera lunghezza, quello superiore presenta uno svolazzo finale con accenno di coda.
Tra le graffe del Troyes Bibl. Mun. 552 e il Par. Lat. 1994 si potrebbe quindi definire archetipo
la secondare dare ragione alla posizione di Petrucci.
Figura 145
Troyes, Bibl. Mun. 552, f.206v
Figura 146
Par. Lat. 1994, f.9v
Diffusissima è invece la graffa doppia a tre petali nella tipologia surgens (fig.147), usata probabilmente già dalla prima metà degli anni ’50: i codici vergati a cavallo del quarto e quinto decennio
del Trecento presentano già questa tipologia, come nei Par. Lat.1617 e 1994, mentre quelli acquisiti
nella seconda metà del periodo presentano pure la tipologia sopita (fig.148). Non esistono differenze strutturali tra l’una e l’altra scelta, tanto che in un codice sono usate indifferentemente in un peri86
M. FIORILLA, Marginalia, p.25.
87
Segnalo la graffa in fig.138 sulla base della Tav.12 in Fiorilla, op. cit.
88
P. DE NOLHAC, Versailles, pp.369-388.
89
A. PETRUCCI, La scrittura.
90
In merito alla posizione di De Nolhac e Fiorilla, cfr. G. BILLANOVICH, Petrarca e Cicerone, p.106 e ID., Quattro
libri, pp. 255-256, riportate da Fiorilla a conferma della sua analisi.
odo più o meno contemporaneo (figg.149, 150, 151, 152), e i fusti superiore ed inferiore sono realizzati alla medesima maniera delle coeve sursum e deorsum. Non avvenne poi una scelta definitiva
tra l’una e l’altra tipologia, dato che continuarono ad essere usate parallelamente sia la surgens che
la sopita ancora negli anni ‘60.
Figura 147
Par. Lat. 7720, f.3r(2)
Figura 150
Par. Lat. 2318, f.46r
Figura 148
Par. Lat. 1617, f.78r(4)
Figura 151
Par. Lat. 2328, f.14r
Figura 149
Par. Lat. 5816, f.5r
Figura 152
Par. Lat. 2318, f.39r
Infine, esistono pure esempi di graffe a quattro petali da collocarsi ancora in parallelo con le
sursum: troviamo due esempi sul Par. Lat. 1617 (ff.78r e 201r), un solo esempio sul f.184v del
1994, uno sul f.94v del 2103, cinque esempi sul 1757 (ff.12v, 14v, 21r, 22r, 24r), mentre sono ben
più abbondanti nei 5690, 5816, 7720.
D. Gambo ornato
Anche nel quinto decennio del Trecento Petrarca fece scarso uso del gambo ornato e sempre secondo modi più semplici e meno ricchi: l’asta bombata e solo in casi sporadici si qualche gambo
semplice con ondulazione frastagliata iniziale e finale.
Il motivo bombato realizzato agli inizi degli anni ’50 era lo stesso del decennio precedente: sia
che la graffa fosse stata tracciata lungo il margine destro che su quello sinistro, coda iniziale rivolta
a destra e finale a sinistra, triplo motivo bombato o “a conchiglia”, secondo la definizione di Fiorilla, e resto del gambo diritto; l’unica innovazione consiste nel fatto che l’uso modulare del motivo a
tripla bombatura aumenta, così che la lunghezza dell’asta viene interrotta due volte (fig.153 e cfr.
con fig.121), mentre a volte la radice è vivacizzata da svolazzi (figg.154 e 155). Solo sul f.62r del
Par. Lat. 2103 (fig.156) si osserva un altro tipo di gambo ornato, mentre non se ne incontrano affatto sul Par. Lat. 1757, 2318 e 5816, motivo per cui si può forse supporre che non ne abbia più tracciati durante la seconda metà del decennio.
Figura 153
Par. Lat. 7720, f.119r(2)
Figura 154
Par. Lat. 7720, f.113r(4)
Figura 155
Par. Lat. 7720, f.117r
Figura 121
Par. Lat. 2201, f.9r
Figura 156
Par. Lat. 2103, f.62r
Nel Par. Lat. 5690 contiamo una gran quantità di gambi ornati, più di settecento, tutti riconducibili a due sole tipologie: la prima è quella delle graffe con bombatura multipla alternata a un motivo
a ondine utilizzato in maniera modulare, mente radice e corona sono “a bandiera” (fig.157); la seconda, estremamente ristretta, è formata da esempi di più rozzo e semplice tracciato, con accenni di
coda presso corona e radice e una o due triple bombature intermedie (fig.158).
Tra i due, solo la seconda delle tipologie ha un vero e proprio rapporto con la sequenza evolutiva
delineata sino a questo momento: le caratteristiche morfologiche sono in effetti molto simili a quelle
del 7720, tracciato in tutta probabilità agli inizi degli anni ’50 circa (cfr. fig.153), mentre per la prima non si hanno veri e propri paralleli, soprattutto per quel che concerne il motivo a bombatura superiore alle tre insenature e il motivo a ondine. In tal senso, gli unici accostamenti possibili sono costituiti, per la decorazione a insenature multiple la graffa già riportata in fig.156 e per le ondine
quella realizzata sul f.95r del Par. Lat. 7720 (fig.157).
Figura 157
Par. Lat. 5690, f.1v
Figura 153
Par. Lat. 7720, f.119r(2)
Figura 158
Par. Lat. 5690, f.53v(4)
Figura 156
Par. Lat. 2103, f.62r
Figura 157
Par. Lat. 7720, f.95r
Peraltro, il primo gruppo, eloquentemente rappresentato dall’esempio della fig.157, sembrerebbe essere tracciato da altra mano da quella di Petrarca, forse in un periodo precedente. Secondo le
ricostruzioni storiche e filologiche, il precedente possessore del Par. Lat. 5690, Landolfo Colonna,
ne aveva riempiti i margini di segni utili alla sua personale necessità di ricerca; su di essa si era poi
stratificata l’opera esegetica di Petrarca. La mano che vergò le numerose graffe disperse nel codice,
quindi, potrebbe essere proprio quella di Landolfo Colonna, e aver offerto motivo di ispirazione
nell’elaborazione della decorazione petrarchesca, attestata già negli anni ’40.
L’attribuzione delle graffe del primo gruppo del Par. Lat. 5690 non rende più complicato lo
scioglimento dei dubbi intorno a questa decorazione, ma ne opera piuttosto una semplificazione: già
con l’atto di compravendita di Benedetto Bianco era emerso un uso più o meno diffuso e contemporaneo del motivo. Non si può trovarne quindi una genesi nella sola “corte” accogliente degli Sforza
a Milano, presso la quale Petrarca fu ospite a partire dalla prima metà del quinto decennio, o nella
confortante valle di Valchiusa, né in Landolfo Colonna stesso, cronologicamente precedente al poe-
ta. In un discorso strettamente legato al solo Petrarca, si potrebbe concludere che egli avesse percepito quest’influenza “di tendenza”, ma che l’esempio grafico di Landolfo possa aver costituito un
principio scatenante nell’adozione di questo tipo decorativo come una sorta di tributo personale al
maestro ed amico.
E. Catena di graffe
Un’altra particolarità dei primi anni ’50 sono le “catene di graffe” costituite da varie unità di
gambi brevi e medi interrotti regolarmente dalla corona di “petali”: le ondulazioni iniziali, il tratto
verticale diritto lasciano supporre che si tratti di una soluzione adottata solo in pochi casi nei Par.
Lat. 1617 (fig.159), 1757 (fig.160), 1994 (fig.161) e che già nella seconda metà del decennio non
ebbe più seguito (nel Par. Lat. 2318 e 5816 sono assenti).
Figura 159
Par. Lat. 1617, f.115r
Figura 161
Par. Lat. 1994, f.39v(2)
Figura 160
Par. Lat. 1757, f.12v(2)
Tabella 9
Tratto
Contrastato
Gambo
Diritto
Decorazione


Corona
Coda
Bombata;
Secata.
Frastagliato


Semplice;
occhiellata.
Numero di petali
3
Tipo
Sursum surgens
Lunghezza



Breve;
media;
lunga.
Tabelle delle caratteristiche della sursum surgens degli anni ‘50
Tabella 10
Tratto
Contrastato
Gambo
Diritto
Decorazione
-
Corona
Inizialmente assente, poi ondulato, infine di nuovo assente
Coda
Inizialmente accennata, viene poi sviluppata con un ampio
svolazzo che si trasforma in frastagliatura
Numero di petali
3o4
Tipo
Deorsum sopita
Lunghezza
Breve
Tabelle delle caratteristiche della deorsum sopita degli anni ‘50
2.2.2.4. Quarto periodo. Graffe tarde
Al pari delle maniculae, le graffe petrarchesche tracciate tra gli anni ’60 e ’70 furono ben poche,
da quel che ho ricavare dall’altrettanto esiguo numero di codici esaminati per il periodo in esame (i
precedenti Par. Lat. 2318, 5690, 5816 e quelli acquisiti a partire dagli anni ’60, i Par. Lat. 4846 e
5150).
Ecco alcune brevi informazioni sui codici fino ad ora mai analizzati, dai quali ho tratto alcuni esempi più tardi: il Par. Lat. 484691 è un codice sul quale ho trovato solo scarne informazioni: realizzato in Inghilterra nel XIII secolo, su di esso sono state vergate note attribuite a un periodo non meglio specificato92 che si deve far risalire probabilmente già alla prima metà degli anni ’60, a giudicare dalla morfologia delle graffe realizzate su di esso (vedi sgg.).
Fu probabilmente Boccaccio che nel 1361 fece dono a Petrarca del Par. Lat. 5150 non di persona93 (secondo l’ipotesi di Billanovich 94), tuttavia la nota che registrava l’evento è stata tagliata via
quando il codice fu rifilato per essere nuovamente legato sotto Luigi XVIII e salvata da Van Praet
nel 181395.
In realtà non ci sono grandi innovazioni da attribuire a questo periodo: le peculiarità del segno
sono già state tutte trovate e sviluppate, così Petrarca si abbandona a una corsivizzazione o sintetizzazione degli elementi:
91
Cfr. E. PELLEGRIN, La Bibliothèque, p. 157; ID.(2), Manuscrits, p.278.
92
A. C. DE LA MARE, Handwriting, p.14, nr. 30.
93
ID., cit., p. 14, nr. 31.
94
G. BILLANOVICH, I primi umanisti, pp. 17-24.
95
M. FIORILLA, Marginalia, pp. 35-36.

per la sursus surgens si può dire che i tratti rapidi di penna a inizio del segno
diminuscono (fig.162), fino a scomparire del tutto (fig.163), mentre la coda si raddrizza
per essere totalmente annullata in alcuni casi (fig.164);
Figura 162
Par. Lat. 5150, f.64r(2)

Figura 163
Par. Lat. 4846, f.38v
Figura 164
Par. Lat. 5816, f.107r(2)
la deorsum sopita perde l’eleganza dello svolazzo alla radice per ridursi a mera
frastagliatura (fig.165) e mantiene qualche esempio a 4 petali (fig.166);
Figura 165
Par. Lat. 5150, f.68r

Figura 166
Par. Lat. 5150, f.53r
la graffa doppia segue i mutamenti paralleli della sursus surgens e della deorsum sopita,
mantenendo pochissimi esempi a due petali (fig.167) e più numerosi a quattro (fig.168);
Figura 167
Par. Lat. 5150, f.41v
Figura 168
Par. Lat. 5150, f.44r

ancora sono usate, seppur in pochi casi, catene di graffe, con caratteristiche analoghe alle
coeve sursum surgens (figg.169 e 170).
Figura 169
Par. Lat. 5150, f.3v
Figura 170
Par. Lat. 5150, f.40v(2)
2.2.3. Rapporto tra Petrarca e le graffe
Tutta la carriera letteraria di Petrarca fu caratterizzata da vari momenti di erudizione stratificatisi
l’uno sull’altro e che trovarono radici nelle sue vicende biografiche: il primo interesse fu per la letteratura classica, soprattutto opere di dialettica e storiografia romana; quindi cominciò a leggere anche autori che trattano di teologia, tra cui spicca su tutti il nome di S. Agostino. In particolare gli
anni ’50, in cui vennero elaborati il Secretum e il De vita solitaria, sembrerebbero dedicati alla ricerca della verità che è solo in Dio. L’isolamento diventerebbe una condizione di proficuo rifugio
per dedicarsi all’elaborazione letteraria: avrebbe senso quindi la celebrazione di Valchiusa quale locus amoenus. Petrarca è anche un personaggio che viaggiò moltissimo: Bologna, Avignone, Parma,
Verona, Valchiusa, di nuovo Avignone, Milano, Mantova. Pur se in continuo movimento, il poeta
continuò ad esercitare la propria vocazione e a manifestare la sua caratteristica accidia 96, che lo
spinse verso un mondo interiore fatto di parole scritte e per il quale elabora un personale sistema di
segni.
La gerarchia dei segni petrarcheschi è costituita da due gruppi, maniculae e graffe, di cui si è avuto modo di parlare in abbondanza sino a questo momento. Si possono anche evidenziare in essi
alcuni elementi significativi: a partire dagli anni ’40 è elaborata una graffa breve in potenziale conflitto con le funzioni della manicula, perché sia l’una che l’altra indicano dei passi brevi, delle sen-
96
Petrarca mette in bocca a S. Agostino nel Secretum, II le seguenti parole che riassumono la sua visione: «Sei
posseduto da una funesta malattia dell'animo, che i moderni hanno chiamato accidia, gli antichi aegritudo»
tentiae97. Ci si domanda di conseguenza quali siano le differenze tra un gruppo di marginalia e
l’altro: quando usa Petrarca le maniculae e quando le graffe?
La prima osservazione è di ordine temporale: la manicula è un segno piuttosto elaborato, dal
momento in cui la sua realizzazione, a prescindere dal grado di raffinatezza e corsivizzazione che
Petrarca profonde in questo o quel segno, richiede un certo grado di accuratezza. La graffa è invece
un segno sintetico, realizzabile con pochi e semplici tratti e che richiede, di conseguenza, un impegno grafico di livello molto inferiore.
Il secondo elemento da mettere in luce è la maggiore ampiezza d’uso della graffa a discapito
della “speciale” manicula e che la rende un segno più comune. Si potrebbe quindi supporre che
questo marginalium usato più diffusamente fosse tracciato in maniera più spontanea e istintiva, quasi fosse un appunto, rispetto alla manicula che richiedeva invece una profondità molto maggiore.
Due sarebbero quindi i livelli di lettura di Petrarca rilevabili dalla gerarchizzazione dei marginalia:

la “prima” lettura in cui si accoglie il primo approccio del lettore al testo e che ne genera
le prime forme d’impressione;

la lettura “creativa” in cui il lettore accoglie il senso profondo del testo per elaborarlo in
senso critico, stabilendo ponti con altri pensieri paralleli nel tempo o nel concetto.
Le graffe sarebbero figlie dirette del primo dei due approcci in relazione al testo, mentre le più
elaborate maniculae,che talvolta accolgono in sé postille o massime 98, apparterrebbero a questo secondo livello.
Per tornare al fatidico periodo a cavallo degli anni ’40 e ‘50, è ancora in questi anni che si ravvisa la maggiore elaborazione di segni e la loro definizione, dove si collocano le evoluzioni della sopita e della graffa doppia.
Le differenze rispetto al basilare modello della surgens non si basano sulla differenza di margine,
in quanto le prime e le sopitae sono tracciate indifferentemente tanto a margine destro che sinistro,
talvolta molto ravvicinate tra loro. Potrebbe essere più probabile che, a partire da questo periodo, il
fusto sia usato a indicare le premesse del concetto importante enucleato nella sententia, espressa
dalla corona di petali.
La motivazione potrebbe essere coinvolgerebbe tanto la sopita che la bis. Per rispondere più propriamente a questo quesito bisognerebbe entrare più nel merito del rapporto tra segno e porzione di
testo coinvolta, lavoro che per il momento esula da questa ricerca.
97
M.FIORILLA, Marginalia, p.26: «Frequenti nei codici petrarcheschi anche le maniculae con l’indice puntato che
segnalano un genere una sententia del testo».
98
In tal senso M. Fiorilla segnala le maniculae sul f.54r del Par. Lat. 2103, ff. 40r e 54r del Par. Lat. 6802, f.62v del
Par. Lat. 8082 in Marginalia, p.26.
2.3. Segni di paragrafo (ianuae)
2.3.1. Caratteri generali
La parola latina ianua ha il significato di “porta di casa”: è il nome che ho scelto per designare
l’ultima classe di interventi grafici marginali di Petrarca, i segni di paragrafo. Si tratta di semi
parentesi quadre realizzate ad apertura delle postille marginali, siano esse commenti estesi, nomi o
semplici abbreviazioni.
I segni di paragrafo, o ianuae, coprono la postilla a partire dall’angolo superiore o inferiore: nel
primo caso si parla di ianua superior, nel secondo di ianua inferior. In alcuni casi una postilla, costituita da una frase, un inciso direttamente riferito al testo fa sì che una ianua inferior si allunghi al
di sotto della nota per comprenderla da entrambi i lati e si definisce a “doppio battente” (mentre
quella semplice è “a battente singolo”), e arriva talvolta a costituire una vera e propria cornice. Ho
scelto di utilizzare il concetto della porta perché la nota così realizzata è un canale d’ingresso diretto
molto più esplicito, rispetto ai marginalia figurati esaminati precedentemente, per comprendere la
metodologia di studio o il canale di pensiero seguito da Petrarca.
Analizziamo quindi la loro successione evolutiva.
2.3.2. Analisi storico-morfologica
2.3.2.1. Ianua superior
2.3.2.1.1.
Anni ‘30
Nella forma più primitiva, quale appare nei codici99 acquisiti durante gli anni ’30, la ianua aveva
la forma di una “C”con prolungamento superiore che copriva la postilla (fig.171 nella pagina seguente). La primissima struttura è direttamente ricavata dal segno di paragrafo, reso nei secoli precedenti con un iniziale angolo retto, poi elaborato nel Medioevo per ottenere la “C” a doppia asta
interna e la doppia “S”, simile al moderno segno di paragrafo 100. A interessare la presente trattazione è soprattutto il primo modello, diffuso in tutta Europa già nel XIV secolo.
Il tratto curvo superiore della ianua arriva a coprire le prime due o tre lettere della glossa; inizialmente orizzontale, tende in seguito leggermente verso l’alto, come nella fig. 171.
99
Il corpus esaminato è ancora quello preso in considerazione nell’analisi delle maniculae e delle graffe. L’unica
differenza rispetto al paragrafo precedente sta nell’inclusione di esempi tratti dal Par. Lat. 6802, manoscritto che però
non ho potuto tuttavia visionare integralmente se non nelle riproduzioni che Fiorilla offre nel suo Marginalia. I primi
codici che ho preso a riferimento sono quindi i Par. Lat. 2201, 1617 e 1994, secondo un ordine cronologico.
100
B. BISCHOFF, Paleografia Latina, sez. B, III, p.243.
Figura 171
Par. Lat. 2201, f.9r(2)
Questo primissimo segno ha tratto contrastato e doppia asta interna, coerentemente a quello
dell’allora comune cultura gotica; già verso l’esaurimento del decennio gli subentra, tuttavia, la
successiva forma a “S” di cui vi sono molti esempi nei Par. Lat. 1617 e 1994 (fig.172 e 173). La
collocazione cronologica di quest’ultima forma troverebbe fondamento sia nella data d’acquisizione
dei due codici che nelle caratteristiche paleografiche della scrittura che accompagnano: si tratta di
un’elegante minuscola di glossa elaborata a seguito dell’incontro tra Petrarca e Landolfo Colonna101; la datazione delle glosse è altresì confermata anche da de la Mare102. Petrucci 103 conferma la
collocazione alla seconda metà degli anni ’30 di questa forma del segno di paragrafo, enumerando i
codici appena citati e con essi il Virgilio Ambrosiano, glossato immediatamente dopo il suo recupero, avvenuto nell’arco del 1338.
Figura 172
Par. Lat. 1617, f.1r(2)
Figura 173
Par. Lat. 1994, f.1v(3)
Le ianuae a forma di “S” sono molto più diritte rispetto al corrispettivo modello a “C” di cui
conservano la tendenza formale: permane il tratto superiore allungato sulla postilla e tendente verso
l’alto, con svolazzi a bandiera iniziali e finali. Nel tempo il segno tende a rimpicciolirsi, come dimostra la fig.173.
Pur prediligendo in ambito librario le forme di paragrafo a “C” e a “S”, la forma del segno petrarchesco è piuttosto diritto e talvolta angoloso, come nella fig. 172: si tratta di ben più di una tendenza, dato che Petrarca accoglie la forma classica ad angolo retto in alcune sezioni limitanee del
101
A. PETRUCCI, Breve storia, p. 164: “ La scrittura di glossa del Petrarca raggiunse eccezionali livelli di eleganza e
armonia soltanto dopo il contatto con l’ambiente avignonese e la conoscenza della scrittura di glossa di Landolfo
Colonna, cui quella petrarchesca è molto vicina già tra il 1337 e il 1340 e che raggiunse il più alto livello
nell’annotazione per la morte di Laura”.
102
Basti confrontare la tavola I (d) di DE LA MARE in Handwriting.: nella didascalia la studiosa conferma che la
scrittura è collocabile intorno alla fine degli anni ’30.
103
A. PETRUCCI, La scrittura, Tav. pieghevole tra le pp. 56 e 57.
codice, come nell’elenco finale dei testi da lui prediletti sul Par. Lat. 2201104. Probabilmente realizzato intorno ai primi degli anni ’30, ciascun nome in esso è incorniciato dal segno quadro, il che potrebbe far pensare a una netta distinzione tra il più comune segno a “S” e quello a forma di angolo
retto come due nodi della cultura grafica che differentemente percepiti dal poeta: il primo, esteticamente più armonioso, si trovava perfettamente a proprio agio sui margini e negli interlinei; il secondo, più rozzo e corsivo, trovava presumibilmente più consona dimora nelle parti dei codici destinate
agli appunti, rivolte al solo Petrarca, in cui potevano anche esistere maggiori libertà grafiche. Petrucci stesso mette in evidenza questa reverenza e timore nei confronti dell’impaginazione delle
glosse, tanto da supporre che il poeta le avesse prima scritte a parte, su un foglio sciolto, e solo successivamente integrate ai margini del codice 105.
Le glosse isolate si riferiscono per lo più a note di interpretazione del testo; pochi sono i casi, a
partire dalla fine del decennio, in cui il poeta utilizza sistemi di citazione scolastici, che pure conosceva perfettamente per la pratica che aveva avuto con essi nel periodo della formazione bolognese.
Tra questi, vi la citazione detta “allegationis” di “auctores”, nata in ambito giuridico, ma utilizzata
anche in contesti diversi 106, quali la Bibbia 107, citazioni bibliche ricorrenti nei trattati filosofici e teologici, sermoni108.
2.3.2.1.2.
Anni ‘40
Durante la metà del secolo 109 il segno a “S” continua la sua contrazione sino a che il tratto superiore non è riassunto in un semplice svolazzo finale (fig.174), mentre il tratto è ancora contrastato.
Nel Par. Lat. 2923 si possono tuttavia isolare tre forme: la prima è quella della ianua di cui si è parlato sino ad ora (il modello a “S”), il secondo è a tracciato sottile (fig.175), mentre la terza è costituita da un semplice puntino e segno a “C” sottile (fig.176).
104
L’elenco è realizzato sul foglio 58v ed è indicato dal lemma: “Libri mei Peculiares. Ad reliquos non transfuga sed
explorator transire soleo”. La lista è organizzata per generi: “Marci Tullii”, “Rhetorica”, “Moralia”, “Seneca”,
“Historia”, “Exempla”, “Poetae”, “Grammatici”, “Dialectica”. Venne aggiunta sotto una seconda lista successiva cui si
aggiunge S. Agostino, mentre il canone dei poeti non mutò, tanto che si nota la nota:“de poetis dicitur ut supra”.
105
A. PETRUCCI, La scrittura, p.41, nota 4.
106
Cfr. G.CENCETTI, Lineamenti, p.452.
107
Petrucci ha riscontrato l’uso diffuso nei Vat. Lat. 107 e Cors. 1156 (41 F 20), presso l’Accademia Nazionale dei
Lincei di Roma, due codici biblici di origine francese del XII secolo, come descrive in La scrittura, p.55, nota 5.
108
109
Cfr. A. PETRUCCI, op. cit., p.56, nota 1.
L’altezza cronologica dell’effettivo passaggio al segno “ridotto” è data dall’altezza cronologica del codice di
riferimento, il Par. Lat. 2923.
Figura 174
Par. Lat. 2923, f.12r(2)
Figura 175
Par. Lat. 2923, f.15v(2)
Figura 176
Par. Lat. 2923, f.48v(2)
Tanto la seconda, quanto la terza forma sono realizzate con tratteggio filiforme, così come la
maggior parte degli interventi extratestuali di Petrarca. Il modello che deriva direttamente dal segno
di paragrafo a “S” contrastata è il secondo che ne riprende la forma, mentre il terzo è una mera
semplificazione di quello a “C”, in evidente via di esaurimento, tanto che l’unico esempio è quello
riportato sopra in fig.176. Da queste premesse si può comprendere che la tendenza da registrarsi per
l’evoluzione della ianua superior è l’acquisizione del tratto sottile in via definitiva.
Suppongo per la seconda e la terza forma una contemporaneità, dato che entrambi costituiscono
le premesse alle evoluzioni del decennio successivo lungo due binari paralleli, il primo dei quali a
maturare è quello tratto dal modello a “C” in quella che ho definito ianua vaporosa (fig.177). Ho
definito ianua vaporosa quel segno di paragrafo costituito da un puntino sormontato dalla forma a
“C”, come una colonna di fumo che si sprigiona dal puntino del segno. La sua genesi potrebbe trovarsi nella fusione del segno di paragrafo e il punto che si poneva ad apertura e chiusura delle allegazioni, sistema, come prima detto, particolarmente in voga all’epoca, di cui si ha un esempio nella
fig.178.
La destinazione d’uso di queste ianuae non è perfettamente definita nella tipologia: il primo modello è utilizzato per stabilire confronti tra autori e personaggi cui Petrarca fosse aduso (nel f.12 sono citati “Origenus” e “Augustus”), mentre il secondo è generalmente usato per accompagnare le
chiose esplicative al testo.
2.3.2.1.3.
Anni ’50
Nella prima metà degli anni ’50, cui risale l’acquisizione del Par. Lat. 7720, viene elaborata
l’accennata ianua vaporosa (fig.177), che si affianca al segno a “S”, di forma sempre più angolosa.
Ho definito vaporosa quel segno di paragrafo costituito da un puntino sormontato dalla forma a
“C”, come una colonna di fumo che si sprigiona dal puntino del segno, La genesi della vaporosa
potrebbe trovarsi nella fusione del segno di paragrafo e il punto che si poneva ad apertura e chiusura
delle allegazioni, sistema, come prima detto, particolarmente in voga all’epoca, di cui si ha un esempio nella fig.178.
Figura 177
Par. Lat. 2923, f.73r(2)
Figura 178
Par. Lat. 2201, f.10r(3)
Rimane incerta la differenza d’uso delle forme appena riportate tra note esplicative e di confronto tra autori: nel Par. Lat. 7720 la vaporosa viene usata in maniera quasi esclusiva e per questo evolve nella parte terminale, con una morbida ondulazione finale (fig.179); solo in un caso, sul f. 3v,
Petrarca usa un’elaborata forma a “S” con doppia asta interna.
Figura 179
Par. Lat. 7720, f.101r(6)
Durante questa seconda metà viene invece maturata la ianua a ferro incuso, così definita per il
fatto che mi suggeriva la trama in ferro battuto di una porta (fig.180), ed è probabilmente elaborata
sull’ancora vivo segno a “S” (fig.181), che muta verso la fine del decennio per assumere l’aspetto
definitivo, commisto al segno di paragrafo quadro (fig.182).
Si consolida sempre di più l’abitudine all’esegesi durante la seconda metà del decennio, in cui
colloco gli esempi dei Par. Lat. 1757, 2103, 2318, 5690 110 e 5816, come pure il 7720, in cui coesistono la vaporosa e la ferro incuso. In questo codice in particolare, in cui era inizialmente usata solo
la vaporosa, sembrerebbe essere poi accennata una qualche specializzazione di questa nelle glosse
di rimando ad altri autori e la ferro incuso in quelle interpretative, ma si tratta di un debole confronto che cade di fronte all’analisi degli altri manoscritti del periodo.
Figura 180
Par. Lat. 7720, f.14r (4)
110
Figura 181
Par. Lat. 7720, f.1r(2)
Figura 182
Par. Lat. 5690, f.126r
Per il Par. Lat. 2103 e 5690 cfr. datazione cronologica di A. PETRUCCI, La scrittura, tav. pieghevole tra le pp.56 e
57.
L’uso sempre più consistente del commentare è comunque un fatto oggettivo, dato anche
l’ampio numero di glosse che si riscontrano per i codici sopra citati (278 per il Par. Lat. 1757, 595
per il 7720, 390 per il 5816), chiaro indice di un’intensa attività letteraria oramai consapevole: Petrarca avrebbe oramai abbattuto ogni resistenza di fronte all’intervento diretto sul libro. Non solo il
numero, ma anche la consistenza di ogni singola nota varia sensibilmente: non più lunghe ed esplicative, ma semplici osservazioni che talvolta si riducono, come detto sopra, al riferimento di singoli
nomi, titoli o parole. In questi codici può accadere di riscontrare serie di postille di singoli nomi incolonnate ai margini e in cui ciascuno di essi sia evidenziato da una ianua (fig.183). Quella di
Petrarca potrebbe essere dunque una pratica automatica, una sempreverde tendenza a sottolineare in
un testo qualsiasi parola sia immediatamente d’aiuto: il poeta poteva usare di annotare il nome o
l’abbreviazione o la frase a margine e recintarla immediatamente nel testo. L’automatismo di gesti
dettati da uno studio incentrato unicamente sul testo scritto potrebbe essere la conferma della mutata
lettura del Trecento rispetto ai secoli passati di cui si parlava nel Cap.1: ecco spiegate le colonne
disordinate di postille brevi incolonnate l’una sull’altra.
Figura 183
Par. Lat. 2151, f.143r
Una ragione che potrebbe aver indotto il poeta a usare una forma di ianua rispetto a un’altra potrebbe essere l’armonia nell’impaginazione: soprattutto nel Par. Lat. 1757 ho notato che i pochi esempi di chiosa “ a grappolo” 111 sono evidenziati dalla vaporosa, viene altrimenti usata in modo
quasi esclusivo la forma a ferro incuso. L’uso della vaporosa non appesantisce infatti la glossa, ma
ne esalta la forma a grappolo; viceversa, nel caso in cui Petrarca avesse preferito la ferro incuso,
l’estetica ne avrebbe sofferto (fig.184).
111
Ne ho trovati anche nel Par. Lat. 1757 e sul 7720, oltre a quello in fig.184 del 7748; Petrucci ne segnala alcuni sul
Par. Lat. 6802, in La scrittura, p.49 e Tav. XVI.
Figura 184
Par. Lat. 7748, f.168r(2)
Ancora la ianua accoglie piccole postille e raramente interventi ben più importanti. Pure al segno
si cominciano ad aggiungere segni di complemento, come un sottile tracciato verticale di penna che
allunga l’estensione del commento, quasi ad ampliare la portata del segno ed incarnando le funzioni
della graffa. E in effetti alcune volte le ianuae con prolungamento sono poste in prossimità di una
graffa (o la graffa è tracciata per catturare più efficacemente l’attenzione futura del lettore su quel
passo particolare), come nella fig.185. Segnalo inoltre nel Par. Lat. 1757 l’uso di frecce sotto alcuni
commenti come nella fig.186 per evidenziarli sopra altri per importanza, di cui tuttavia non sono in
grado di stabilire l’abitudine per mancanza di riscontri paralleli o successivi in altri codici.
Figura 185
Par. Lat. 1757, f.54r
2.3.2.1.4.
Figura 186
Par. Lat. 1757, f.9r(2)
Anni ’60 e ‘70
Per tutto l’arco degli anni’60 e ’70 Petrarca opera una vera e propria selezione tra la vaporosa e
la ferro incuso a favore di quest’ultima: gli esempi datati al periodo appartengono ancora al Par.
Lat. 5690 e ai 5150, 6802 e al Troyes, ms. 552 112. L’unico elemento rilevante è il numero di bombature realizzate sul lato verticale del segno che aumenta nel tempo: nella tavola pieghevole riportata
112
Anche se non ne possiedo alcun esempio, segnalo pure il Troyes, ms. 552 di cui ho già avuto di parlare a proposito
delle maniculae e delle graffe, secondo Petrucci, La scrittura, Tav. pieghevole (vedi nota 90).
da Petrucci ne La scrittura di Francesco Petrarca vi sono delle riproduzioni degli interventi usati
dal poeta per glossare. Tra questi, le forme a ferro incuso con due (fig.187) o tre bombature
(fig.188) sono collocate tra il 1356 e il 1365, nel 1370 e il 1374 mutano in una lunga serie di ondulazioni a s, ancora disposte lungo il lato verticale del segno.
Figura 187
Par. Lat. 5150, f.3r
Figura 188
Par. Lat. 5150, f.3v
Infine, si affermano e si sviluppano ancora in questo periodo il ritorno alla forma a “C” filiforme (fig.189) e della ferro incuso con ornamentazione totalmente spostata sull’angolo (fig.190).
Figura 189
Par. Lat. 5150, f.67v(2)
Figura 190
Par. Lat. 5150, f.122r
2.3.3. Ianua inferior
La ianua inferior è una variante del segno utilizzato in maniera piuttosto sporadica che s’insinua
a partire dal periodo a cavallo tra gli anni ’30 e ’40 circa, quando il passaggio al tratto sottile è già
avvenuto: i primi esempi si affacciano sui Par. Lat. 2103 e 6280. La forma in cui esiste inizialmente
è a cornice, usata soprattutto per ragioni di spazio e comprensibilità: la penuria di margini sul 6280,
soprattutto, imponeva una soluzione per mantenere ben distinte le glosse dal resto del testo
(fig.191).
Figura 191
Par. Lat. 6280, f.2r(3)
Con uno stacco temporale piuttosto forte, negli anni ’50 il segno viene ripreso per le note al Par.
Lat. 5690, in cui le cornici sono realizzate dal prolungamento della vaporosa. In questo caso, le
motivazioni alla base del segno sono molto diverse rispetto da quelle precedenti: i margini spaziosi
sono riempiti da numerose aggiunte nel corso del tempo anche molto diverse tra loro.
A volte alcune cornici sono evidenziate da frecce, come già accennato per il Par. Lat. 1757
(figg.192 e 193).
Figura 192
Par. Lat. 1757, f.4r(2)
Figura 193
Par. Lat. 1757, f.8r(4)
Spiccano soprattutto sul Par. Lat. 5690 le cornici sui ff.300r (fig.194) e 321r (fig.195) per la particolare morfologia: la prima ha una forma a triplice monticello, la seconda a gradoni. Non si tratta
di un caso unico: Fiorilla afferma che già de Nolhac aveva ravvisati esempi tra i notabilia al Par.
Lat. 6802113, in riferimento a nomi di luoghi ed elementi geografici: monti e promontori, in particolare montagne, di cui riporta alcuni esempi (figg.196 e 197)114. I monti rappresentati hanno strutture
anche molto diverse tra loro: a tre cime di forma arrotondata o a punta aguzza. Fiorilla giustifica le
differenze con la necessità del poeta di stabilire già a livello visivo una distinzione tra nomi di luoghi umanizzati o meno, come fiumi, paesi, altro, per orientarsi più agevolmente all’interno
dell’opera pliniana, o come afferma lo studioso, per creare una “schedatura visiva, insomma, in assenza di indici” 115. La figura del monte è comunque importante per Petrarca, dal parallelismo che
lo studioso scorge ancora nello stesso codice tra le note relative alla salita al Monte Emo di Filippo
V e quella di Petrarca al Monte Ventoso, documentata al 1336 e i risvolti che il viaggio ha avuto
nella vita del poeta 116.
Si spiega così anche la forma a gradoni prima accennata, che potrebbe quindi distinguere visivamente sul f.8r (fig.191) un nome probabile di città: Corvax117.
113
Per le ianuae nel Par. Lat. 6802 che seguono le figure riprodotte sono quelle offerte da Fiorilla in Marginalia.
114
Riporto testualmente le note cui si riferisce Fiorilla in Marginalia, p.28: Carmelus, Album, Libanus, Antibanulus,
Bargilus.
115
M. FIORILLA, op. cit., p.28.
116
Per la critica alla salita di Petrarca al Monte Ventoso secondo un’ottica storico-letteraria, cfr. G. BILLANOVICH,
Petrarca e il Ventoso, R. M. DURLING, Petrarca, il Ventoso.
117
Corvax significa “corvo”, e il corvo, assai raro nell’araldica, è il simbolo della città di Corvara, in provincia di
Pescara. A conclusione del tredicesimo libro dei Familiarium compare una lettera indirizzata a Francesco Monachi
(XIII, 12), abate di Corvara, suo ammiratore, in risposta a informazioni sull’opera Africa. Incerto il motivo per cui sia
stato apposto il nome: Petrarca voleva rimanda a uno scambio di opinioni con l’abate o indicare il nome della città?
Figura 194
Par. Lat. 5690, f.300r(5)
Figura 196
Par. Lat. 6280, f.40r
Figura 195
Par. Lat. 5690,f.321r
Figura 197
Par. Lat. 6280, f.64v
Le ianuae assumono anche altre forme: nel Par. Lat. 7720, in cui vi sono le chiose “impilate” di
cui si è avuto modo di accennare prima, si nota che alla fine di una sequenza (fig.198) o in una posizione intermedia (fig.199) ne viene talora tracciata un’inferior a battente singolo o doppio.
L’opinione che mi sono costruita è che Petrarca tracciasse un simile segno per distinguere in maniera forte una particolare chiosa dalle altre o per determinare un gruppo che costituiva un’unità logica,
come nel caso del gruppo delle note impilate; nei pochi casi in cui il segno si trova in una posizione
intermedia, lo si potrebbe giustificare con l’immediatezza e spontaneità già accennati con cui Petrarca tracciava il segno: potrebbe essere ricorso a un simile stratagemma ad esempio per chiudere
mentalmente un passaggio su cui il poeta aveva fissato l’attenzione di studio, dato anche il consistente numero di citazioni annesse come in fig.199.
Figura 198
Par. Lat. 7720, f.5v(10)
Figura 199
Par. Lat. 7720, f.4v(6)
2.3.4. Rapporto tra Petrarca e i segni di paragrafo
Come si è avuto modo di dire sino ad ora, le ianuae sono legate esclusivamente alle glosse,
quindi dipendono strettamente da esse e non posseggono, al contrario di altri segni, una propria indipendenza formale. Analizzare questa classe di marginalia porta necessariamente a porre attenzione all’intervento extratestuale che apre: non si può quindi non notare che, nel tempo, il numero delle
note assume una consistenza sempre maggiore, come pure una diversificazione. Si è parlato infatti
della differenza tra note esplicative e di rimando ad altri autori, che comporta solo una parziale influenza sulla morfologia delle ianuae che le accompagnano.
L’elemento strettamente paleografico che interessa le ianuae è la variazione di tratto che già si
era notata in merito alle graffe, e che era stata risolta con il dubbio di fondo per cui il passaggio
questa volta da un tratto chiaroscurato a uno sottile o filiforme fosse giustificato dal cambiamento
dello strumento scrittorio. Il passaggio così netto in questa sede sembrerebbe dare fondatezza piuttosto a questa possibilità, il che lascerebbe comprendere come per Petrarca lettura e studio fossero
due attività ben distinte: probabilmente egli leggeva ovunque (dati anche i continui viaggi che lo interessano), mentre lo studio era probabilmente realizzato in un luogo specificatamente deputato e
poteva richiedere ben precisi strumenti di scrittura.
Sia che Petrarca utilizzasse un tipo di penna per scrivere la glossa vera e propria e un’altra per alterazioni diverse all’originale candore del codice, sia che fosse sempre la stessa, è comunque evidente dalla variazione di tratto avvenuta tra gli anni ’30 e ’40 che viene operata una distinzione
concettuale tra marginalia figurati e non: il tratto chiaroscurato e posato del primo periodo, da come
si può notare dalle prime ianuae che riprendono i segni di paragrafo a “C” o a “S”, suggerisco che
alla base della realizzazione del commento vi dovesse essere una certa cura, un’attenzione non indifferenti, forse una naturale resistenza all’alterazione del libro, come si evince in alcuni scritti, tanto che nel Secretum Petrarca (vedi par. 2.1.3 di cui supra), come abbiamo visto in merito ai marginalia, parla di uncis della memoria. L’uncino incide sia nella mente che nella fisicità del libro, dal
momento che corrisponde a un’alterazione dell’originalità.
Infine questa naturale posatezza del segno si adagia su una maggiore confidenza tra Petrarca e il
libro, tanto da accogliere cenni di spontaneità e immediatezza nelle colonne di glosse nel Par. Lat.
7720: il dialogo che il poeta stabilisce con gli autori dei testi che legge è vivace, inteso nel senso più
letterale della parola, in quanto vivifica, risveglia un Cicerone, o un Seneca per parlare direttamente
con loro. Nell’epistola a Lapo di Castiglionchio 118, infatti, Petrarca afferma che Cicerone si trattiene
con piacere presso la sua dimora a Valchiusa.
118
Lettera a Lapo di Castiglionchio, F. PETRARCA, Familiarium, XII, 8,4, “Delectari itaque michi visus est Cicero et
cupide mecum esse”.
Il dialogo diretto giustifica i sempre più numerosi interventi, insieme alla cultura dello studio
scritto che si era venuto affermando nel Medioevo (vedi Cap.1, par.9).
Non si deve comunque dimenticare che il discorso sui segni di paragrafo o ianuae è ben più
complesso rispetto a quello sulle maniculae o graffe, dal momento in cui questo segno vive in perfetta simbiosi con la glossa che introduce, motivo per cui un’analisi approfondita si deve condurre
anche sotto un profilo filologico e non solo paleografico, che non si intende affrontare in questa
trattazione.
Tabella dei marginalia figurati sui codici analizzati
Codice
Manicula
Graffa
Segno di paragrafo
Ianua superior
Ianua inferior
Par. Lat. 1617
x
x
X
x
Par. Lat. 1757
x
x
x
x
Par. Lat. 1994
x
x
x
Par. Lat. 2103
x
x
x
Par. Lat. 2151
x
x
Par. Lat. 2201
x
x
x
Par. Lat. 2318
x
x
x
Par. Lat. 2923
x
x
Par. Lat. 4846
x
x
Par. Lat. 5150
x
x
Par. Lat. 5690
x
x
x
Par. Lat. 5816
x
x
x
x
Par. Lat. 6280
x
x
x
x
Par. Lat. 6802
x
x
x
Par. Lat. 7720
x
x
x
x
x
Par. Lat. 7748
Par. Lat. 8082
x
Par. Lat. 9711
Troyes, ms. 552
x
x
x
X
x
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