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i marginalia figurati di petrarca
I MARGINALIA FIGURATI DI PETRARCA Alcuni casi studio per una ricostruzione storica Silvia Bottura Scardina Sommario Premessa...................................................................................................................................................... 3 Capitolo 1: I marginalia, definizione e importanza ....................................................................................... 6 1. Definizione dei marginalia ............................................................................................................... 6 2. Spazio fisico dei marginalia ............................................................................................................. 6 3. Problema metodologico di definizione .............................................................................................. 8 4. Strategie elaborate nella classificazione dei marginalia.................................................................. 10 5. Ambito di ricerca: i marginalia figurati .......................................................................................... 15 6. Due tipi di marginalia figurati ........................................................................................................ 15 7. Funzioni dei marginalia figurati ..................................................................................................... 15 8. Metodologia utilizzata .................................................................................................................... 16 9. Rapporto tra lo studioso e i marginalia ........................................................................................... 17 Capitolo 2: Petrarca ................................................................................................................................... 21 1. Storia dell’autore ............................................................................................................................ 21 2. Marginalia petrarcheschi ................................................................................................................ 23 2.1. Maniculae .............................................................................................................................. 23 2.2. Graffe ..................................................................................................................................... 64 2.3. Segni di paragrafo (ianuae)..................................................................................................... 90 Tabella dei marginalia figurati sui codici analizzati ..................................................................................102 Bibliografia ..............................................................................................................................................103 Premessa Il lavoro qui esposto nasce da una riflessione circa le molteplici forme che la scrittura può assumere: vi sono scritture posate o corsive, librarie o documentarie, adatte a un pubblico messaggio o alla lettera privata, decorate o scarne. In questo caso ho voluto analizzare quella forma grafica collocata a metà tra scrittura e disegno: i marginalia, in quanto libera interpretazione di forme grafiche pregresse, sono segni realizzati a fini di lettura o studio, il cui regime d’uso è regolato da un metro personale. L’ intento del lavoro è offrire una panoramica delle forme che i marginalia figurati hanno rivestito nel Basso Medioevo nella persona di Francesco Petrarca, per l’importanza e l’autorevolezza che questi ebbe al tempo. Parlando infatti della “rivoluzione culturale” del Trecento, è noto che l’impulso al cambiamento non proveniva unicamente dall’operoso ed eterogeneo circolo culturale fiorentino, ma anche da personaggi che trovavano altrettanto confortevole collocazione presso Avignone, presso cui il papato si era relegato. Non serve ricordare quale calderone di influenze era la Curia durante la Cattività avignonese: tra gli esponenti di spicco delle nobiltà romana, fiorentina e francese che fecero parte di questo movimento, Petrucci ricorda Landolfo Colonna, canonico di Chartres, de la Mare Convenevole da Prato, maestro di grammatica e retorica di Francesco Petrarca, per fare qualche nome. In questo ambiente di grande recettività, aperto a modelli vecchi e nuovi ebbe parte della propria formazione una delle figure più importanti e accreditate del tempo, Francesco Petrarca. L’abbondanza grafica di Francesco Petrarca nella qualità e quantità di esempi che ha lasciato dietro di sé lo rende uno dei punti cardine dell’analisi paleografica del periodo, il che giustifica la ricchissima bibliografia che l’accompagna: tale fecondità permette di realizzare anche studi monografici che offrano risultati autonomamente soddisfacenti. L’analisi paleografica di Petrarca che ho condotto ha permesso di approfondire in maniera specifica, sebbene non compiuta, i marginalia figurati da lui utilizzati e lascia altresì emergere che questi segni possano essere elaborazioni di elementi grafici precedenti, come si avrà modo di vedere per la manicula o alcune forme decorative della graffa petrarchesca. Il numero di contatti che il poeta fiorentino stabilì durante la sua vita potrebbe permettere a sua volta di stabilire nodi di influenza con altri personaggi di spicco: Giovanni Boccaccio, la famiglia Visconti presso cui fu ospite, e molti altri. Sebbene gli studi sulle grafie petrarchesche siano abbondanti, non si può dire lo stesso circa la critica intorno ai marginalia figurati: scontratami con questa povertà di studi, ho dovuto ricercare in studi paralleli per definire un metodo di studio soddisfacente a un’analisi piuttosto approfondita. Gli unici studi pregressi si riferiscono ai marginalia senza alcuna distinzione sul fatto che possano esse- re scritti o figurati: Stoddard, Saenger, Rosenthal, Barker e Brambilla 1 focalizzano l’attenzione su aspetti diversi che hanno permesso di distinguere gli elementi necessari a un mio metodo. Ho quindi ritenuto indispensabile distinguere in primis il tipo di intervento figurativo, quindi una sintetica descrizione delle caratteristiche fisico-morfologiche dell’intervento figurativo, in secundis gli elementi tipici di un’analisi paleografica: ductus, consistenza del tracciato, numero di tratti e la dimensione del marginalium in millimetri (H/L). In particolare, ho tratto quest’ultima caratteristica dal metodo di descrizione bibliografica (come accade per le marche tipografiche, le filigrane e le contromarche). Più difficile è stabilire un collegamento con le varie influenze grafiche in tal senso, dal momento in cui, come prima accennato, la bibliografia circa questa branca è estremamente limitata e, in quei rari casi, altrettanto generica, quindi non è facile stabilire influenze culturali se non in relazione alle varie manifestazioni artistiche più approfondite (pittoriche, musive, miniate, etc.). Un’ulteriore difficoltà consiste nel far rientrare nell’analisi paleografica elementi che appartengono a canoni artistici, come per quanto riguarda lo stile di un determinato scrivente o meno. I testi cardine sono stati The Handwriting of the Italian Humanists di de la Mare in merito all’elenco dei codici letti, annotati o scritti da Petrarca, confermato dal più recente contributo di Rico, La Biblioteca del Petrarca. Nel lavoro di tesi ho utilizzato in via quasi esclusiva i codici che appartengono alla Biblioteca nazionale di Parigi perché ho potuto visionare per intero quei testi passati tra le mani di Petrarca nell’archivio digitale della biblioteca che rende visibile la maggior parte del proprio patrimonio. L’unico studio pregresso cui mi sono potuta riferire circa i marginalia figurati di Petrarca è quello di Fiorilla, Marginalia figurati nei codici petrarcheschi, che offre un utile scorcio alla materia. Lo studioso mette in luce che esistono circa quattro tipi di intervento di Petrarca ai codici: maniculae, graffe, pochi esempi di cornici a titoli decorate e disegni. I disegni, costituiti da testine, paesaggi e due cagnolini sotto una manicula, sono realizzati soprattutto sul codice Par. Lat. 6802 e uno sul 8082; questi sono analizzati in maniera approfondita nell’ultima sezione del testo di Fiorilla, anche in relazione ad altri studi che vertono per lo più sul problema dell’attribuzione. Il presente lavoro, pur volendo essere un’introduzione a un orizzonte da scoprire quasi per intero, non intende fornire opinioni in merito a problemi paralleli, quali conflitti di attribuzioni di determinati codici a questo o a quel possessore, a uno scrivente o un altro, collocazioni cronologiche incerte, ma utilizzare informazioni certe per cercare di dipanare la complicata matassa degli interventi, 1 P. SAENGER e M. HEINLEN, Incunable Description e P. SAENGER, The Implication of Incunable, R. E. STODDARD, Looking at Mark in Books, B. M. ROSENTHAL, The Rosenthal Collection of Printed Books e S. BRAMBILLA, Caratteristiche culturali e bibliologiche del progetto “Marginalia”, URL: http://www.marginalia.it/convegno/relsimona.php. spesso sovrapposti in tempi diversi, di Petrarca ai codici che leggeva. Un altro elemento che si avrà modo di vedere è anche il fatto che non si stabilisce mai una scansione temporale oggettiva per gli interventi analizzati, in quanto non è possibile stabilire con certezza l’anno in cui un marginalium sia stato realizzato, ma solo una fascia temporale entro cui poterlo collocare, secondo un margine di certezza stabilito dagli studi codicologici e paleografici pregressi. Capitolo 1: I marginalia, definizione e importanza 1. Definizione dei marginalia Marginalia è un termine latino (da margo, -inis = orlo, parte estrema) che sta a designare qualsiasi apporto paratestuale confinato ai margini di un libro. I marginalia prendono corpo da ogni forma di segno e tramite i quali lo studioso, confortato dalla familiarità col simbolo, stabilisce un rapporto con il tomo sulla base delle sue personali necessità. Diversificati secondo le funzioni e influenze culturali, questi simboli assumono una propria specificità nell’autore che se ne serve. 2. Spazio fisico dei marginalia Come accennato, i marginalia “vivono” all’interno dei margini. Dato che l’interesse del presente lavoro si concentra sul periodo basso medievale e in particolare sul Trecento, si offre qualche accenno alla morfologia del libro trecentesco, con particolare attenzione per ciò che concerne l’organizzazione della pagina. In italiano non esiste un vero e proprio termine per definire il complesso delle operazioni che precedono l’organizzazione strutturale della pagina dai punti di vista contenutistico e materiale, tanto che l’espressione “impaginazione” risulta inefficace. La lingua francese, invece, ha partorito la felice espressione mise en page, letteralmente traducibile con “disposizione”, adottata dagli studiosi di codicologia per indicare questa particolare branca. Nelle ricette o prontuari erano insegnati i molti protocolli (giacché ve n’erano diversi) per costruire precise architetture, definire uno specchio di scrittura all’interno della pagina. Fondamentale era il requisito di universalità, o la possibilità di poter seguire le istruzioni in ogni condizione senza essere vincolati a specifici formato o grandezza di pagina. La mentalità medievale era fondata su una visione matematica dell’universo: alla base dell’armonia era un ordine cui l’uomo poteva tendere attraverso uno studio del numero e della geometria. Così matematica era pure la costruzione del libro: lo specchio di scrittura era confinato in un rettangolo (rettangolo del numero d’oro, rettangoli di Pitagora, rettangoli che si ottengono progressivamente prendendo come lato maggiore la diagonale del rettangolo precedente) mentre il resto era lasciato a bianco. L’ampiezza del margine della pagina variava in base alla destinazione d’uso: consistente per il libro dotto o da studio, sottile per il testo meno pretenzioso e più divulgativo. Un libro manoscritto era inoltre un bene di atelier, il prodotto finale di una vera e propria “catena di montaggio” manuale: facendo riferimento al capo dell’atelier, vari scribi variamente specializzati erano coordinati nelle operazioni. Dalla scrittura, alle miniature, alle eventuali eleganti maiuscole ornate, v’era anche chi produceva la pergamena, chi i fascicoli, chi cuciva il libro, chi confezionava la legatura, e così via dicendo. L’intera distribuzione del testo presupponeva inoltre che il capo d’atelier fosse in possesso di una conoscenza impeccabile sia del testo da copiare che della resa su fascicolo per mano di trascrizione e mise en page, senza dimenticare le eventuali decorazioni ed ornamentazioni. Dal momento che la perfezione del prodotto era demandata interamente al capo, che oltre a essere la persona più colta a volte era l’unica che sapesse leggere con efficienza, era pure sua competenza correggere eventuali errori commessi dai copisti durante la faticosa trascrizioni per negligenza o ignoranza. Il libro tardo medievale fu rinnovato non solo nella composizione formale (che corrisponde a quella attuale) ma anche in una riformulazione delle destinazioni d’uso del prodotto sin dalla costruzione della singola pagina. L’antica mise en page non concepiva altri che un testo polifonico, accompagnato ed esaltato dal dotto commentario lievitato in secoli di studio, canonizzato poi dalla trascrizione di quegli autorevoli commenti nelle copie che avevano da venire, quasi fossero essi stessi il testo originale. A volte il testo emergeva da uno sfondo di parole o era stretto dai margini esterni dello stesso, a volte il sistema glossato arrivava addirittura a sfondare lo specchio di scrittura. Il libro prodotto negli scriptoria risentiva di rigide restrizioni fisiche e intellettuali per un uso altrettanto coatto: tra lettore e libro v’era un rapporto frontale in cui quasi ogni forma di dialogo paritario era estinta. Libro e lettere erano posseduti solo da una ristretta élite orgogliosa, così di orgoglio, grandezza e superiorità erano abbigliati libro altomedievali. La ridefinizione delle forme del libro era dettata dalle destinazioni d’uso cui era diretto: una era lo studio scolastico, un’altra l’uso quotidiano. Per il primo caso il riferimento è il libro da banco, di dimensioni importanti, da utilizzarsi con strutture specifiche (legìo, ecc.); per il secondo si parla invece dei libri tascabili, sottratti alla staticità e ai grandi formati delle biblioteche per essere portato ovunque. Sebbene alla base di questa tipologia “di genere” vi fossero non solo ben precise scelte sociali ma anche economiche, lo stesso libro tascabile poteva arricchirsi, usando le parole di Alberto Caldioli, di “considerazioni dell’esperienza personale scaturite nel corso della lettura”, quindi un commentario personale nient’affatto colto. Esisteva pure un filone “reazionario”: più tardi la cultura umanistica tentò di recuperare la propria dimensione culturale, letteraria, costruire un nuovo rapporto con il mondo camminando sul basolato di modelli letterari e librari del mondo antico. Un’esplosione di formati e scritture, modelli linguistici e poetici rielaborati secondo questa nuova dirompente esigenza. Il libro stampato delle tipografie germaniche era un prodotto industriale, al quale si cominciava a sottrarre la veste artistica, artigiana, letteraria: tutte le operazioni antiche di trascrizione, lettura, pignolo controllo erano riassunte nella sola figura del “compositore”; gli altri lavoratori erano operai, uomini di fatica, dal momento che stampare il libro con il torchio era un’azione fisicamente gravo- sa 2. Già da questa sommaria descrizione che non intende insinuarsi nel dettaglio dell’industria libraria tipografica3, si può comprendere come la nascita del libro era affidata numero molto inferiore a quelli che erano impiegati in uno scriptorium, più rapida, sebbene in alcuni casi non meno raffinata. 3. Problema metodologico di definizione Alla base della definizione dei marginalia vi è una complessità di elementi che non permette un’agevole identificazione univoca. In primis è lo studio di questi interventi grafici extratestuali all’interno di una cornice cronologica ben chiara poiché ciascun tipo di intervento è condizionato da relative situazioni geografiche, socio-culturali, economiche che lo rendono unico e specifico. Se, infatti, il periodo di interesse abbracciasse l’area latina del III o IV sec. d.C., si prenderà in esa me il rotolo papiraceo, molto più raramente quaderno di papiro o pergamena 4 e si indagherebbe in merito alle categorie sociali in possesso del libro e sul perché avvertissero la necessità di segnarlo in quella modalità personalissima. Se, invece, si prendesse in esame la produzione di massa del XV secolo, ci si potrebbe domandare se fosse stato realizzato a stampa o come il classico codice manoscritto. Tralasciando un discorso specifico sulle differenze tra libro manoscritto e a stampa per cui si rimanda a trattazioni ben più specifiche, si utilizzano i presupposti prima citati per proseguire l’enumerazione delle difficoltà concettuali alla base della classificazione dei marginalia. Un libro è un prodotto originale, singolo, che possiede una propria storia dal primissimo momento da quando viene scelta la prima pelle per farne una pergamena o della prima risma di carta da tirare a stampa alla scelta del formato e della confezione finale: il volume è fortemente condizionato dalle tecniche di realizzazione che lasciano segni su di esso (richiami, segnature, indicazioni scritte del lavoro da parte del capo d’atelier agli scribi al suo servizio) ed è pure un oggetto che circola e viaggia assieme alla idee di cui è latore, recando anche le “cicatrici” dei lettori che ne intaccano l’originalità per gli scopi personali. 2 A testimonianza della complessità tecnica delle macchine tipografiche, consultare le tavole dall’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert (Arte Tipografica, Pl. I-III, XII, XV); l’illustrazione della più antica officina tipografica è segnalata dal Barbieri e si tratta di una xilografia contenuta in La danse macabre, Lyon, probabilmente attribuibile a Matthias Huss tra il 1499 e il 1500 (GW 7954); per la l’officina tipografica di Conrad Bade, T. de Bèze, Poemata, Paris, 1548. 3 Per maggiori dettagli, consultare l’articolo di Jeanne Veyrin-Forrer, Produrre un libro nel Cinquecento, all’interno di EDOARDO BARBIERI, Guida al libro antico, pp.187-228 e alla nutrita bibliografia ivi segnalata. 4 Marziale in Apopheresis, I, 2, 1-4, scrive nella seconda metà del I sec d.C “Qui tecum cupis esse meos ubiumque libellos/ et comites longae quaeris habere viae,/ hos eme, quos artat brevibus membrana tabellis:/ scrinia da magnis, me manus una capit”, come in altri epigrammi: XIV, 184, 186, 188, 190, 192, nei quali loda la capienza del libellum; si ricorda ancora Quintiliano in Institutio Oratoria, X, 3, 31-32 alla fine del secolo (92 d.C.) “Scribi optime ceris, in quibs facillima est ratio delendi, nisi forte visus infirmior membrana rum potius usum exiget… Relinquendae autem in utrolibet genere contra erunt vacuae tabellae, in quibus libera adiciendi sit excursio”; s. Paolo che , rivoltosi a Timoteo per farsi portare dalla Troade dei libri, formula la precisa richiesta di accludere anche delle membrane quando afferma “μ ”(Timoteus, 4, 13). Per altre citazioni rimando all’opera di M. L. AGATI, Il libro manoscritto, pp. 125-145. L’intervento marginale sul testo, quando è frutto di un lettore che se ne serve a fini di erudizione o studio personale, si concretizza in un’operazione scritta o figurata strettamente personale. Il concetto di marginalia è delimitato, infatti, da un forte individualismo che lega a doppio laccio il lettore al testo. Alcuni segni, soprattutto nel caso in cui siano figurati, sono frutto del gusto personale, autonomo dall’esecutore, che prende corpo nel libro. Isolare tale tipo di individualità è oggetto di riflessione profonda: è necessario dare giocoforza un volto a chiunque si manifesti su un libro o per alcuni interventi è possibile generalizzare, riassumere, sacrificando il singolo al contesto storico che lo ha partorito? Alla base della scelta di un determinato tipo di categorizzazione esiste una linea di cesura tra la cultura del periodo e colui che vi aderisce. Decidere di sbilanciarsi a favore di un discorso di contesto o individuale dipende in larga misura dalla risonanza, l’impatto che la personalità ebbe al tempo in cui ha visse, come nel caso degli studi di H. J. Jackson presso la British Library su alcuni testi risalenti al periodo di Galileo Galilei e sulla metodologia applicata nell’analisi delle scritture5. Nel suo lavoro Jackson afferma che l’attenzione ai marginalia quali elementi di studio storico è assolutamente concreta e applicabile non soltanto per periodi a noi estremamente lontani ma anche più recenti, come fotografie di diverse sfaccettature sociali. Per il presente lavoro ho deciso di adottare una linea individualistica che definisca a tutto tondo l’identità di colui che lesse un testo, lasciandovi sopra una parte di sé quale rappresentante del periodo in cui visse, sia come punto di partenza storico, filologico, ma anche sociologico, in quanto è in grado di definire le personali inclinazioni di quella persona e l’impatto che ebbe al secolo o nei secoli successivi. Incentrando il lavoro unicamente su tre esponenti, pur se d’eccezione, non si cade nel rischio di generalizzare un segno per dare spazio a un altro e di non conformare una classe di segni a una tendenza generalizzata: riprendendo l’esempio dei marginalia rinvenuti nei codici della British Library, lo studio di questi era funzionale unicamente alla contestualizzazione dell’impatto che le idee di Galileo ebbero nel tempo in cui visse, mentre è sacrificata ogni attenzione direttamente rivolta a quei due lettori in quanto individualità con una propria dignità. Un’analisi simile sacrifica quindi le singole storie di questi due uomini per la chiarezza della sola di Galileo e omettendo problematiche trasversali ma non per questo meno importanti: i libri erano dei due lettori o appartenevano a qualcun altro? Se erano stati da loro acquisiti, come ne vennero in possesso? Quale fu l’impressione che ricevettero individualmente dalle idee di Galileo? Un altro problema che questa indagine è trovata ad affrontare è pure la mancanza di una terminologia specifica, cui si è cercato di supplire utilizzando le definizioni che sono state date da coraggiosi pionieri della materia in contributi che solo di recente se ne sono interessati. 5 H. J. JACKSON, Marginalia, p.3: «It is still, however, merely a mental exercise, less vivid to us then the Galileo». 4. Strategie elaborate nella classificazione dei marginalia Gli studiosi che hanno tentato di dipanare la complessa matassa di questa materia tanto informe e indefinita si possono, ai fini del presente studio, restringere a cinque nomi principali: Barkel, Rosenthal, Saenger, Stoddard e Brambilla. Il primo in termini cronologici è Saenger 6, cui si deve il merito di riconoscere la presenza di elementi manoscritti anche nei testi a stampa non nella sola veste di tracce di una postillatura che qui interessa: i vari elementi grafici (prosodia, postura, segni di paragrafo, numerazione dei fogli, titoli correnti, aiuti per lo studio) erano con ogni probabilità realizzati a priori durante la confezione del libro ed erano attribuibili a un revisore piuttosto che un successivo lettore. Il metodo che questi propone è quindi una descrizione tecnica con distinzione per mano soggettiva e riconoscimento delle caratteristiche materiali del supporto e scrittura. Si discosta da questo primo studio Stoddard, la cui analisi abbraccia sia testi a stampa che non 7. Egli analizza soprattutto il contesto dal quale il segno proviene e che definisce genericamente come mark: parla dei marks of manufacture, o le tracce del lavoro di bottega; i marks of provenance, le note di possesso, i segni di commercianti e donatori; i dockets, o le tracce di diritto in merito al codice, come concessioni di stampa, censure, ecc. L’analisi di Stoddard, tuttavia, non è comprensiva degli interventi dei lettori, che invece costituiscono l’interesse principale della trattazione in quanto fonte da cui attingere marginalia. Tutti questi indizi sparsi tra i testi sono sparsi segni della genesi del libro, ma nulla che comprenda la storia successiva. La questione è risolta da Rosenthal con un contributo quasi contemporaneo al più recente di Saenger 8: questi, analizzando le manuscript annotations, si rende conto per primo della complessità dei problemi descrittivi legati ai marginalia sino a quel momento elusi: per questo decide di elaborare descrizioni applicate che tengano conto di più fattori. Il metodo Rosenthal offre infatti informazioni fisiche delle postille (extentandsize) e analizza la scrittura delle stesse (nel caso si tratti di una glossa), evidenziandone in ogni caso le caratteristiche oggettive, come la nomenclature, period, place e language, in grado di corroborare ricerche paleografiche e codicologiche, senza mai dare tuttavia giudizi personali in merito all’una o all’altra mano. Lo strumento acquisisce un valore supplementare dando informazioni anche sul content, il contenuto della nota, lasciando allo studioso la facoltà di avvalersi di questo mezzo analitico, non standardizzabile e non esaustivo, lasciando al singolo eventualmente la possibilità di proporre l’identificazione. 6 P. SAENGER e M. HEINLEN, Incunable Description e P. SAENGER, The Implication of Incunable. 7 R. E. STODDARD, Looking at Mark in Books. 8 B. M. ROSENTHAL, The Rosenthal Collection of Printed Books. L’ultimo contributo è quello poco posteriore di Barker che segue il percorso indicato da Rosenthal. Barker, conscio dei difetti di una terminologia troppo specifica, amplia il metodo appena descritto proponendo un complesso sistema di catalogazione: le categorie indicate sono circa 20 e disposte in ordine decrescente di note, da quelle più fitte a quelle meno presenti. Eliminando ogni traccia di oggettività, secondo l’opinione di Brambilla, il metodo Barker è così funzionale all’utilizzo di quello di Rosenthal: questo è infatti complementare al precedente e introduce pure un inquadramento matematico 9. Infine, Brambilla. La studiosa dedica un saggio introduttivo al progetto “Marginalia” che si propone la digitalizzazione online delle postille marginali,si inserisce tra Saenger e Stoddard criticando a entrambi il fatto di non aver elaborato un’analisi che tenesse conto del forte grado di individualità del materiale difficilmente inquadrabile in una rigida schematizzazione, sia da un punto di vista tecnico che della natura dei marginalia realizzati: Brambilla s’interessa unicamente dei marginalia tracciati dai lettori, quindi connessi alle attività di lettura e studio. Gli interventi dei lettori sono elaborati sotto il segno di un forte personalismo che sfugge a questi primi tentativi di rigida schematizzazione, così che era necessario elaborare nuove metodologie flessibili. La categorizzazione da lei proposta è quindi elaborata sulla base di una profonda riflessione su ciascuno degli studiosi appena citati dei quali isola i pro e i contro: pur se manchevoli, apprezza i primi due studiosi nei tentativi avanguardistici, mentre riprende il tecnicismo di Rosenthal e la matematicità di Barker. Nel saggio di presentazione la studiosa sottolinea la necessità di analisi di ogni manoscritto in quanto esso rappresenta un punto d’incontro di diverse mani e di interessi di partenza differenti: studiare gli interventi marginali su di un testo significa descrivere i richiami letterari di un singolo individuo (elemento di cui Rosenthal non aveva dato attenzione). Brambilla organizza il proprio metodo in cinque tabelle, numerate con lettere alfabetiche. Le tabelle A e B appartengono al filone delle caratteristiche da lui stesso definite “oggettive”, che offrono, rispettivamente, scarne indicazioni codicologiche e paleografiche (strumento di scrittura, colore dell'inchiostro utilizzato, lingua della glossa, datazione indicativa), e la seconda informazioni sull'effettiva posizione della glossa, se essa si trova nell'interlinea, corpo del testo, margine, interfolii, carte aggiunte, carte di guardia o risguardi. Brambilla specifica inoltre sin da subito che ciascuna tipologia di glossa trova generalmente posto in uno spazio diverso: nell'interlinea si troveranno certamente commenti, sinonimi, traduzioni, note strettamente legate all'interpretazione e alla organicità del testo, ma non commenti esegetici che occhieggiano più o meno imponenti sul margine. Ancora sui commenti vi possono essere quelli che spaziano in una sola carta, quindi risiedono a margine 9 Quella che Brambilla definisce «registrazione “si/no” della registrazione d’intervento presente nelle postille». della stessa, o quelli molto più esaustivi per cui si prevede l'aggiunta di una carta a inizio o fine del testo. La tabella C dà invece informazioni di tipo quantitativo (quantità e distribuzione) e sulla tipologia dell'intervento. Per le prime due sottocategorie cui corrispondono due sottotabelle definite C1 e C2, si può parlare di una certa soggettività, in quanto la consistenza della postillatura è relativa alla quantità totale, a meno che non si definisca da principio un parametro assoluto. Il terzo sottogruppo C3, quello che definisce la tipologia dell'intervento extratestuale, è parzialmente soggettivo: un commento può essere definito di collazione, emendamento, disegni o diagrammi a seconda che risponda a determinate caratteristiche formali. Gli unici interventi capaci di generare dubbi su un'effettiva collocazione sono solo i commenti, le note linguistiche o il generico “altro”. La tabella D descrive la tipologia di rappresentazione del marginalium in esame: nel caso di una glossa, propone di riportare la trascrizione completa, nel caso di disegni, di registrare i caratteri i ndividuali per identificare la mano, mentre a fianco offre la documentazione fotografica. La difficoltà già espressa dalla studiosa consiste nella codificazione di commenti estesi, come quelli cui si è accennato precedentemente, per i quali era necessaria l'aggiunta di una carta. Infine, la tabella E in cui trovano posto la bibliografia di riferimento e osservazioni varie, come inserti, allegati e altro. Il difetto di una simile categorizzazione, a mio avviso, sta nel fatto che ha una pretesa di universalità che non prende in giusta considerazione le specificità di un marginalium scritto o disegnato e che specifica troppo tardi (tabella C) la tipologia dell'intervento. Tanto nell'analisi di una glossa che di un disegno non sono offerte informazioni più dettagliate sul tipo di scrittura, modulo, ductus (nel caso di postille), le dimensioni dell'altezza e della larghezza in mm per disegni e diagrammi; né può supplire completamente a questo difetto di informazione l'immagine, di cui non è detto se rappresenti il marginalium nella dimensione reale o ridotta. Va certamente riconosciuto alla studiosa che ha partecipato al meritevole progetto di catalogazione il fatto di aver contribuito a coniare uno strumento che rifiuta di riportare riflessioni soggettive sul singolo segno come pure il rapporto che poteva esistere tra lettore e testo, perché elabora, appunto, uno strumento utile ad altri studiosi: si tratta di un mezzo, non di un fine. Perché risulti più agevole quanto sin qui discusso, si presentano di seguito le tabelle analitiche realizzate dalla stessa Brambilla per presentare il metodo utilizzato dai vari studiosi (Tabella 1) e da lei stessa (Tabella 2): Tabella 1 SAENGER STODDARD ROSENTHAL BARKER Marks of manufac- 1. Shelfmark; Author / work; 1. Commentary (in some ture; 2. Author and title; Illustration / typography; cases Marks of provenan- 3. Support Manuscript annotations; interleaved) 46; ce; 4. Added texts and 1. Extent and size; 2. Students' notes 15; Marks of use: codicological details; 2. Handwriting: 3. Non authorial additions 0Reading notes; 5. Decoration; nomenclature; 15; Technical notes; 6. Non red reader- period; 4. Gloss 15; Gratuitous notes; marks; place; 5. Convenience notes 11; 7. Marks of ownership; language. 6. Translation 10; 4. Dockets; 5. Decoration. 8. Binding description 3. Description: 9. Copy specific prin- ting characteristic e- 8. Authorial additions 8; xamples; 9. Paraphrase as an aid to comprehension 7; or assemblage errors context; 10. Reparation not exhaustive; […] 7. Textual criticism 10; Provenance; Condition; References; -----------------Reproduction 10. Philological, grammatical and linguistic notes 6; 11. Replacement of missing leaves in facsimile 3; 12. Classroom notes (not dictated) 2; 13. University notes (not from lectures) 2; 14. Paraphrase and commentary 2; 15. Text supplied to printed commentary and vice versa 2; 16. Lecture notes 1; 17. Censorship 1; 18. Sermon notes 1; 19. Acting text 1; 20. Law book 1; Tabella 2 A1. Strumento di scrittura A2. Inchiostro A3. Lingua Lapis; Bruno chiaro; Greco; Penna; Bruno scuro; Latino; Altro. Nero; Volgare; Rosso; Altro. Grigio; Altro. B. Posizionamento Interlinea; Corpo del testo; Margini: interno; esterno; superiore; inferiore; Interfolii; Carte aggiunte: all'inizio; in fine; Carte di guardia; Risguardi. C1. Quantità C2. Distribuzione C3. Tipologia Fitte; Integralmente postillato; Collazione; Limitate; Postillato limitatamente: Emendazione; Rare. Alcune sedi; Commento; Scarsamente postillato. Note linguistiche; Disegni o diagrammi; Altro. D. Trascrizione Testo; Fotografia carta; Postilla. E. Identificazione del postillatore Bibliografia; Osservazioni varie. A4. Datazione 5. Ambito di ricerca: i marginalia figurati Sulla base delle riflessioni fin qui maturate, si deve dire che il presente lavoro non intende dare ragione definitiva di questa immensa mole di problemi finora enumerati, ma solo tentare un approccio, il più definito possibile, su un singolo intervento librario: affreschi di pochi letterati dottissimi appartenenti all’élite culturale di Firenze: Francesco Petrarca, Giovanni Boccaccio e Coluccio Salutati. L’indagine da me condotta prende in esame segni già sicuramente attribuiti a ciascuno di essi per ordinare materia già acquisita ma mai realmente organizzata; nel caso di segni per cui sussiste conflitto di attribuzione riporterò tutte le opinioni più autorevoli sin ora avanzate, attenendomi alla posizione finale del contributo da cui ho avviato l’indagine. 6. Due tipi di marginalia figurati I maginalia da me isolati in quest'ambito ristretto comprendono due categorie specifiche: figurati e simbolici. I primi sono esecuzioni grafiche che riproducono un elemento più o meno reale reinterpretato secondo un'ottica di studio, quindi più o meno soggetto ad astrattismo a seconda delle inclinazioni ed esigenze del lettore. I secondi comprendono a loro volta due sottogruppi: il primo è quello dei marginalia singoli, o dei simboli singolarmente utilizzati, mentre il secondo è quello dei simboli utilizzati in relazione a una glossa. La differenza tra i sue sta nel significato che il lettore assegna rispettivamente all'uno o all'altro: nel primo caso il segno simbolico si riempie totalmente di un significato sostenuto direttamente dal testo, nel secondo caso intende accoglie solo una sorta di semi-significato, in quanto ha funzioni di ricognizione di un certo tipo di glossa rispetto a un altro, o di preminenza che una particolare riflessione ha su tutte le altre. 7. Funzioni dei marginalia figurati A seconda che il marginalium sia figurato o simbolico, accoglie diverse funzioni: nel primo caso evidenzia o segna un passo specifico che ha attratto una particolare attenzione del lettore, nel secondo caso accompagna annotazioni solo circa il testo in esame o rimanda ad altri testi efficienti alla comprensione, condizione che si verifica in particolare in testi vagliati da dotti lettori, quali sono appunto quelli presi in esame nella presente trattazione. 8. Metodologia utilizzata I marginalia figurati sono dei segni da studiarsi tanto nella propria individualità, quanto nell'essere elementi che concorrono a definire la specificità di un manoscritto rispetto a un altro prodotto nella medesima officina o dallo stesso copista. La mia ricerca si orienta secondo due categorie parallele: il singolo segno e i manoscritti in cui si trova collocato, motivo per cui è esclusa a priori la problematica dell'identificazione della mano. Per questo intendo definire sin dall'inizio la singola tipologia di marginalium preso in esame, se esso sia figurato o simbolico e, in quest'ultimo caso, singolo o accompagnato da una glossa. Descrivo poi le varie caratteristiche tecniche che riguardano in primis il singolo segno, quindi l’importanza di quel tipo particolare di intervento sul testo. Dell'aspetto tecnico definisco innanzi tutto le dimensioni dell'altezza e della larghezza in millimetri del segno, la penna e l'inchiostro utilizzato, il ductus e la consistenza del tracciato. Nelle premesse si affermava anche l'intenzione di definire il rapporto tra il segno e il testo, quindi si riporta anche la collocazione del segno nella pagina sui margini destro, sinistro, di testa e di piede e all'interno dell'intero testo. Più che definire la consistenza della postillatura secondo caratteri soggettivi (fitta, discreta, limitata), riporto direttamente il numero totale di segni isolati e la segnatura delle carte interessate. Si tratterebbe, in concreto, della rielaborazione delle tabelle A, B e C (solo C1 e C2, mentre C3 è specificato sin dall'inizio) già proposte dal Brambilla secondo un'ottica più oggettiva. Segue l'analisi paleografica, in cui si da la descrizione morfologica del singolo segno e i mutamenti della singola tipologia negli anni; se presenti, si definiscono anche le contaminazioni con altri marginalia, soprattutto nel caso in cui avvenga una fusione di funzioni. Un libro è un prodotto vivo, che ha una sua storia, che passa di mano in mano, quindi è interessante parlare anche delle motivazioni che hanno creato o che hanno contribuito a far nascere la tipologia di marginalia. Queste cause derivano dall'esperienza maturata da questi illustri lettori nell'epoca in cui vivono: nei libri esisteva un filone artistico ricchissimo che prendeva corpo nella tradizione miniata, ma l'ispirazione poteva nascere pure da altri rami dell'arte visiva di cui il lettore aveva partecipato in un periodo più o meno vicino rispetto allo studio, come il campo pittorico, musivo o architettonico. I vari dotti stabilivano contatti tra loro: per fare un esempio vicino al presente argomento, basti pensare alla relazione più o meno fitta tra Petrarca e Boccaccio, tanto che in un periodo lavorarono sulle stesse carte quindi probabilmente motivi di suggestione potevano anche essere marginalia tracciati da altri lettori illustri o meno. 9. Rapporto tra lo studioso e i marginalia Il metodo in uso fino a circa il X – XI secolo per apporre la scrittura era la cosiddetta scriptio continua, una soluzione grafica in cui le parole costituivano un unico, immenso flusso concettuale arginato solo dal termine del testo stesso. Le ragioni su cui riposava una simile scelta erano di ordine estetico e tradizionale: sin dalla tarda antichità era questa la modalità di scrittura privilegiata e che garantiva una continuità di nero sulla riga del supporto di scrittura. Quanto più ci si addentrava nel Medioevo, tanto più sfumata era la conoscenza del latino, tanto maggiore era la capacità per i pochi monaci in grado di leggere i testi di comprendere quanto fosse effettivamente scritto: a partire dai centri insulari, di fondazione insulare e non (Britannia, Irlanda, fondazioni irlandesi o autoctone nella regione germanica, Italia settentrionale, Svizzera retica), la scriptio continua fu affiancata a quella che Paul Saenger definisce “divisione canonizzata” 10. Scegliere una simile soluzione significava rivoluzionare completamente la pratica quale si era intesa sino a quel momento: l’uso tardo antico era soprattutto di leggere ad alta voce (infatti non mancano casi di autori che descrivono l’attività silente 11) ma nel Medioevo la pratica viene totalmente riconsiderata sotto un occhio nuovo. Lo stupore che S. Agostino esterna nel vedere Ambr ogio che legge “tacite”, in silenzio12, fa comprendere che l’uso non si era ancora radicato, mentre un secolo dopo Cassiodoro parlava di due tipi di lettura o lectio: la prima che gli si confà è da lui definita “sedula”, o lettura colta; la seconda è “simplicissime”, o la lettura dei monaci più illetterati. Armando Petrucci 13 scioglie la complicata questione riassumendo tre tipi di lettura: la prima è la lectio silenziosa o mentale; la seconda è la ruminatio, o lettura meditativa a bassa voce, la terza è la lettura pubblica o ad alta voce. Se nei primi due casi l’esercizio avveniva nel privato della propria cella, il terzo tipo era una vera e propria sopravvivenza della pratica tardo antica adottata durante le liturgie. Per ritornare alla differenza tra la tacita lectio tardo antica e medievale, il dubbio è sciolto ancora una volta da Saenger: indagando sugli usi dei monaci cistercensi, lo studioso mette in luce il fatto che la lettura silenziosa era per questi un momento di meditatio, comprensione interna del testo per ottenere l’elevazione spirituale passando dal cuore (“affectus cordis”); per estensione, la lettura silenziosa stessa era sacra. Nel saggio viene messo in luce l’esempio di Ricalmo, priore cistercense di Shôntal dal 1216 al 1219, costretto dai diavoli a leggere ad alta voce, quindi a non ottenere la comprensione interna. 10 P. SAENGER, La scrittura e la lettura dei codici nel Basso Medioevo, p.308. 11 HORATIUS, Saturae, V, 68. 12 S. AGOSTINO, Confessiones, IV, 3. 13 A. PETRUCCI, Leggere nel Medioevo, p.7. Nel XII secolo la situazione cambia radicalmente: la produzione libraria aumenta notevolmente e l’uso della scrittura individuale si diffonde, anche a uso compositivo. Nel periodo tardo antico la consuetudine era invece comporre oralmente dettando il testo a uno scriba che redigeva il testo direttamente secondo la scriptio continua; la canonizzazione della divisione, il nuovo rapporto alla scrittura e alla lettura, invece, ruppero questa tradizione sedimentata: la presenza di terzi nella stesura del testo divenne addirittura motivo di disagio, come nel caso riportato da Saenger 14 di Guibert de Nogent 15 che nel XII secolo denunciava sofferenza per la presenza del segretario dato che la perdita totale della vista lo aveva impossibilitato a una scrittura autonoma. La diffusione più capillare dei libri porta anche all’evoluzione della tacita lectio, che non è più la ruminatio dei monaci cistercensi e anche di alcuni monaci benedettini, ma costituisce un modo rapido di leggere e un modo di studiare inteso come appropriazione e ragionamento sul testo, soprattutto per la cultura scolastica. Il sistema di studio voleva una iniziale lectio o lettura del testo; che si sollevassero dubbi o quaestiones su quanto letto; una disputatio o discussione che risolvesse le quaestiones precedentemente sorte per una finale determinatio, la presa di posizione sull’argomento. Le fasi di studio si riducevano quindi a quattro momenti (lectio, quaestio, disputatio, determinatio) per ottenere un’istruzione consapevole. Il libro universitario prendeva il nome di “pecia”. Il termine è di origine incerta: forse ispirato da “petia”, un antichissimo termine celtico, si può tradurre con “pezzo” con cui si definisce un libro con un proprio ciclo di produzione e canale di commercializzazione. A partire da un exemplar approvato da un’apposita commissione universitaria, il petiarius o commerciante degli stationarii commissionava la produzione delle pecie a scribi a prestazione. Questi professionisti, laici o meno, più o meno letterali, realizzavano un libro secondo un metodo moltiplicativo “successivo” 16 per poi assemblarlo una volta trascritto. Il libro scolastico, infatti, assume una certa importanza non solo nelle dimensioni, ma anche nelle strutture interne ed esterne al codice: da una parte è la gerarchizzazione del testo, la divisione in paragrafi per renderlo immediatamente intelligibile ed accessibile (Pietro Lombardo usa espressioni del tipo "statim invenire", "presto habere", "facilius re"17). Il testo è scritto per essere letto, ma la lettura porta inevitabilmente alla scrittura, fino a porle su un piano di parallelismo che si concretizza nei commenti. Le letture sono di due tipi: ancora quella individuale, oramai privata della ruminatio meditativa, ma intesa come «occupatio per se scrutantis 14 P. SAENGER, cit., p. 316. 15 GUIBERT DE NOGENT, Tropologiae in Osse, Amos ac Lamentationes Jeremiae, PL 156, col. 340: «sola memoria, sola voce, sine manu, sine oculis». 16 J. P. GUMBERT, L’unitè codocologique, p. 17 Cfr. R. ROUSE-M.ROUSE, Statim invenire. scripturas»18 e quella pubblica, la lettura del maestro ai discepoli che seguono leggendo individualmente, secondo un’operazione di scambio tra i due. La lettura si fonda su un sistema scritto, e la scrittura, secondo il sapiente saggio di Walter J. Ong19 è un artificio dell’ingegno umano: sebbene la parola scritta sia così impregnata di quotidianità da non essere considerata quale mezzo tecnologico, la sua funzione è quella di “aiutare” colui che ne se ne serve. L’invenzione della parola scritta, in effetti, è una delle ideazioni che più di tutte ha modificato il modo dell’uomo di rapportarsi alla realtà circostante: una cultura meramente orale è fondata su una memoria omeostatica o situazionale, quindi saldamente connessa ai fenomeni materialmente empirici piuttosto che astratti. Difficilmente si ricordano pensieri se non in relazione a questa o a quella occasione, mentre la scrittura ha il preciso scopo di fissare quei figli della mente altrimenti perduti. La scrittura ha trasformato profondamente il pensiero umano nel senso che lo ha decontestualizzato dal linguaggio verbale. Al contrario di un discorso parlato, il messaggio di un libro non può essere alterato ed è naturalmente posto in una condizione di assolutezza, quasi di oracolarizzazione: non è possibile intrattenere un discorso con un libro, in quanto non si può reperire l’autore, soprattutto quando questi sia venuto meno, quindi l’assimilazione è lasciata alla libertà mentale di colui che legge. I prodotti grafici dell’uomo sono di tre tipi: la scrittura, i disegni e quelli che Ong definisce aides–mémoire (= aiuti della memoria). La prima si fonda su una serie di tracciati simbolici riempiti di contenuto e disciplinati da regole grammaticali, i secondi sono delle immagini non canonizzate da un codice convenzionale, mentre gli aides–mémoire sono riempiti di un codice fissato dalle parole o contesti umani. Gli aides–mémoire sono precisamente i marginalia figurati, dal momento che fissano alcuni punti e si appoggiano sulla scrittura: di per sé questi ponti tra lettore e libro non hanno significato perché focalizzano l’attenzione dello studioso su quella particolare sezione da non obliare. Non si dev’essere dimentichi del fatto che la scrittura sia un sistema non naturale che tenta di dare un ordine al caotico verbale spezzando il continuum dell’esperienza; trattandosi di un insieme isolante, produce fatica. La mente, infatti, è costretta a molteplici sforzi: conferire verbalità alle parole scritte, aggiungere un’enfasi che esse naturalmente non possiedono (l’imperfezione del sistema grafico sta nell’ambiguità di interpretazione) ed elaborare completamente il contenuto. L’assimilazione è inoltre sintetica perché seleziona immediatamente ciò che è principalmente importante da ciò che è a esso funzionale. 18 Cfr. P. SEVERINO POLICA, Libro, lettura, pp.377-378. 19 W. J. ONG, Orality and Literacy, pp. 77-112. Questi segni grafici, aides–mémoire o marginalia, vivono di una sostanziale dicotomia tra linguaggio verbale e scritto incarnata dal fatto che non sono un linguaggio propriamente scritto, come prima accennato, ma conducono ad esso. Tali grafismi, collocati a metà tra un sistema di comunicazione primario (orale) e uno secondario (scritto), sono strutturali non della realtà esterna all’uomo, come invece è in grado di fare la scrittura, ma del testo. La meta della scrittura è principalmente quella di realizzare un’introspezione che apre la psiche tanto al mondo esterno perché si estranea ad esso, quanto all’io interiore che produce lo sforzo di penetrare un pensiero altrui. La comprensione è possibile perché la scrittura si attiene a delle cristalline regole grammaticali, cui la rapida espressione orale si sottrae e talvolta ignora, poiché la scrittura si avvale della cosiddetta “analisi retrospettiva” 20, o la capacità di correggere ciò che è stato scritto, quindi di rappresentare perfettamente ciò che si vuole rendere esplicito. I marginalia non hanno invece questa funzione, piuttosto quella di tracciare il percorso di sintesi elaborato dalla mente, così da percorrere in seguito sempre quella via e ampliarla con interventi successivi. Quest’uso non è proprio del periodo altomedievale o dello studio scolastico: entrambi, anche se soprattutto il primo, erano intrisi di una profonda oralità sopravvissuta anche nel secondo periodo. Il metodo di studio della Scolastica di cui prima si è avuto modo di accennare, pur sostenendosi di testi, gravitava quasi totalmente attorno alla disputatio, la discussione tra più punti di vista, per giungere alla determinatio. Su un’altra linea si pone l’Umanesimo, porta della moderna erudizione fatta su testi: il metodo di studio presupponeva la lettura e lo studio sui testi, motivo per cui è molto più copiosa la realizzazione di questi segni para-grafici. 20 J. GOODY, The Domestication of the Savage Mind, pp. 49-50. Capitolo 2: Petrarca 1. Storia dell’autore 1304: Nasce ad Arezzo, da ser Petracco di Parenzo ed Elena Canigiani. 1311: si trasferisce a Pisa insieme con la famiglia. 1312: si trasferisce ad Avignone insieme alla famiglia e a Carprentras riceve i primi insegnamenti di grammatica sotto la guida del maestro Convenevole da Prato. 1316 – 1320: studia diritto a Montpellier. 1320: si trasferisce a Bologna insieme al fratello Gherardo per seguire i corsi di diritto all’Università. 1326: si trasferisce nuovamente in Provenza a causa della morte del padre. 1328 – 1329: prende gli ordini minori. 1330: entra come cappellano nella famiglia del cardinale Giovanni Colonna. 1333: compie dei viaggi in Germania e in Francia. 1337: compie il primo viaggio a Roma e successivamente acquista una casa a Valchiusa. 1341: compie il viaggio a Napoli per farsi esaminare dal re Roberto d’Angiò, riceve quindi a Roma la corona d’alloro e pronuncia la Collatio laureationis. E’ ospite a Parma da Azzo da Correggio. 1345: fugge da Parma, dove era scoppiata una guerra, e si rifugia a Verona. 1346: si trasferisce a Valchiusa. 1348: muore Laura a causa della peste nera. 1350: a Padova riceva la visita di Boccaccio, il quale gli offre una cattedra presso lo Studio fiorentino, che però rifiuta. 1353: lascia per sempre la Francia e si trasferisce a Milano, ospite dei Visconti, provocando grande scontento tra gli amici fiorentini, in particolare Boccaccio. 1354: compie un viaggio a Mantova per incontrare l’imperatore Carlo IV. 1361: compie un viaggio a Parigi a rallegrarsi con il re Giovanni II da poco liberato dalla prigionia inglese, dopodiché si trasferisce a Padova per sfuggire alla peste dilagante. 1362: si trasferisce a Venezia. 1364: assume il copista ravennate Giovanni Malpaghini. 1369: inizia a costruire una casa ad Arquà, sui colli Euganei, in un terreno donatogli da Francesco da Carrara, che diverrà il luogo in cui trascorrerà i suoi ultimi anni di vita. 1370: compie il terzo viaggio a Roma, a Ferrara viene colpito da un eccesso di malessere e quindi è costretto a fermarsi a Padova. 1374: muore ad Arquà nella notte tra il 18 e il 19 luglio 21. 21 E. H. WILKINS, Vita di Petrarca; per ulteriori notizie, cfr. anche G. FERRONI, Storia e testi della letteratura italiana, pp. 59 – 60. 2. Marginalia petrarcheschi I marginalia petrarcheschi sono sia figurati che simbolici: nel primo caso si parla di maniculae, nel secondo caso di graffe e ianuae. 2.1. Maniculae 2.1.1. Caratteri generici La manicula è un marginalia figurato che riproduce sinteticamente una piccola mano spesso corredata da polsino e manica (il termine deriva dal latino manus) e che Petrarca usa in maniera sua peculiare. La mano petrarchesca si trova nell’atto di indicare con l’indice sezione del testo che lo interessa ed è rappresentata secondo la prospettiva di colui che legge, quindi rivolgendo il dorso verso l’osservatore; l’unico dito pienamente riconoscibile è l’indice, mentre delle altre, ripiegate sul palmo, è rappresentata la sola falange. Il numero complessivo delle dita visibili è dato dalla somma dell’indice con le altre dita flesse, eccettuato il pollice, e il segno termina infine con una manica sommaria, in alcuni rari casi elaborata più o meno riccamente, talvolta costituita da una doppia linea. Come qualsiasi aides–mémoire, la sua funzione è di indicare un punto preciso, non un’intera sezione, come invece altri segni. I caratteri discriminanti di questa manicula peculiare sono i seguenti in ordine di importanza: margine lungo cui è posta; numero di dita; presenza dell’unghia; forma della mano; foggia della manica. A seconda che la manicula sia realizzata lungo il margine interno o esterno del foglio, si parla rispettivamente di alta o di longa, secondo le definizioni da me date. Ho scelto per l’alta questo termine poiché il marginalium accompagna il testo secondo il senso verticale, parallelamente alla sua altezza: rappresenta una mano destra il cui indice si sporge sulle altre dita a indicare la sezione interessata. Viceversa, la longa riproduce una mano sinistra, quindi si svolge in senso perpendicolare allo scritto; l’indice figura in cima alle altre dita piegate. La ragione alla base di una simile scelta potrebbe essere il tracciato destrogiro che favorisce la realizzazione della manicula verticale a margine interno del testo, mentre non accade in quella a margine esterno: l’indice dell’alta punta verso il testo e il segno che descrive l’indice dalla base del dorso è inizialmente continuo, poi rotto dal tracciato di tutte le dita ripiegate che seguono. Al contrario, il disegno dalla longa, pur partendo ancora dalla base della manica, segue una direzione che si svolge dall’alto verso il basso, opposta rispetto all’altra. Attraverso la ricerca qui presentata ho riconosciuto nel numero delle dita un’ulteriore discriminante di questo segno petrarchesco: inizialmente sono quattro, in seguito se ne aggiunge un’altra fino a raggiungere un numero complessivo di cinque. Petrarca non aggiunge il pollice accanto l’indice, bensì un altro dito oltre il presunto mignolo ripiegato. Parimenti per l’unghia dell’indice della mano: in un primo tempo assente, ne viene aggiunta una di forma sintetica quando il segno viene maggiormente particolareggiato. Questo marginalium è realizzato secondo uno stile mai realistico e soggetto nel tempo a continui mutamenti: inizialmente curva, la mano assume poi due tipizzazioni specifiche e parallele per l’alta e per la longa, quindi l’arco del segno si schiaccia gradualmente fino ad appiattirsi del tutto. I tipi di manica da me individuati che interessano nella stessa misura l’alta e la longa sono quelli che ho definito come detextualis ed etextualis. La detextualis ha il risvolto aperto, mentre quello della etextualis è chiuso da uno o più tratti di penna, non rilevanti nel numero di righe che lo delineano, da ciò che ho potuto appurare attraverso la mia analisi: come si vedrà successivamente, le due linee sono usate indifferentemente sia nelle prime fasi che in quelle più tarde. La foggia detextualis può essere semplice o complessa: all’interno del corpus di codici da me vagliati, la quasi totalità dei casi è costituita dalla forma semplice, quella complessa consta solo pochi casi tracciati nel Par. Lat. 2201. La detextualis complessa è una manicula il cui tratto più esterno della foggia si appoggia al testo, mentre l’altro si allunga sino ad abbracciare l’intera sezione d’interesse. L’attenzione a tale forma risiede soprattutto nei vezzi decorativi che Petrarca aggiunge al segno ed è di natura artistica piuttosto che cronologica: da ciò che ho potuto constatare, tale classe di marginalia è stata infatti tracciata all’incirca in uno stesso periodo. La detextualis semplice è a tratto orizzontale o verticale, aperta, slanciata o ondulata. La forma “a tratto orizzontale” è quella di un polsino di manica descritto da un semplice tratto che lo taglia in direzione del testo (“a tratto orizzontale interno”) o viceversa (“a tratto orizzontale esterno”); gli ultimi casi (aperta, slanciata o ondulata), non sono altro che differenti interpretazioni di uno stesso modello evolutosi nel tempo. Da una forma inizialmente aperta, l’aspetto del risvolto della manica è quindi tratteggiato da due linee curve dirette verso il polso, sino a che i segni che lo costituiscono sono scossi da deboli ondulazioni terminali. La foggia della etextualis si esprime secondo varie forme che, tuttavia, appartengono a due grandi classi: prima è quella del “lembo”, seconda del “calice”. Ho usato l’idea del lembo poiché il taglio del polsino sembra ricordare un lembo di stoffa che se svasa verso il testo è “a lembo interno”, altrimenti “a lembo esterno”. I due lembi, “interno” o “esterno”, sono stabiliti in rapporto al quadro di scrittura, così che la definizione scelta non dipenda dal tipo di margine (interno o esterno) o dal tipo di manicula (alta o longa), ma dalla sua posizione rispetto al testo che indica: è per questo che anche possono essere etextualis tanto le altae quanto le longae. Figlie di questa tipologia sono quella “a spatola”, il cui lembo è chiuso da una linea curva che le conferisce un aspetto simile proprio a quello di una spatola, e quella “lapidea”, le cui irregolarità ricordano una roccia. La foggia “a calice” è descritta da due tratti paralleli tagliati infine da un segno orizzontale della larghezza della manica o superiore. Come già la detextualis complessa, anche la etextualis comprende elementi e forme decorate cui non ancora attribuisco, tuttavia, alcun valore storico-cronologico perché costituiscono singoli fenomeni decorativi stimolati da momentanee inclinazioni artistiche del poeta. Dopo aver accennato questi elementi introduttivi alla morfologia del segno, devo anche segnalare che questo studio non percorre una linea cronologica oggettiva, bensì relativa ai singoli esempi. Ciascuno di essi è posto in una posizione di precedenza o successione rispetto agli altri all’interno di determinate fasce cronologiche, determinate sulla base di studi pregressi condotti sui codici che compongono il corpus da me scelto. Ho anche già avuto modo di accennare al corpus utilizzato in questa sede: si tratta di una serie di codici che appartengono al fondo latino della Biblioteca Nazionale di Parigi e che sono collocati in un arco storico ricostruito dai molti studiosi in tempi lontani e recenti. La storia dei libri che Petrarca lesse e possedette è indubbiamente complessa e non tento assolutamente di entrare nel merito; lo scopo che anima questo lavoro è di fare di questi lavori di critica pregressi uno strumento d’esame per un aspetto della paleografia petrarchesca poco considerato. Il corpus di mia scelta risolve in maniera piuttosto soddisfacente per le maniculae e gli altri marginalia l’analisi degli anni ’40 e ’50, tuttavia non è altrettanto ricco di esempi degli anni ’60 o ’70, motivo per cui l’ipotesi di ricostruzione diventa più fragile; invito quindi eventuali fronti di studio a supplire alle mie evidenti mancanze che si avrà modo di vedere in seguito. 2.1.2. Analisi storico –morfologica 2.1.2.1. Influenze alla manicula petrarchesca Per questo primo periodo si è preso in esame il codice conservato a Padova, Biblioteca Universitaria 1490. Si tratta di una copia realizzata tra XIII e XIV secolo del De Civitate Dei di S. Agostino e comprata ad Avignone da Petrarca stesso per 12 fiorini, come si legge dalle note scritte su uno dei primi fogli del testo22. La critica intorno al codice è piuttosto difforme: l’appartenenza di esso è assegnata a Petrarca per la già citata nota di possesso sul f.1, mentre si è incerti sull’effettiva attribuzione delle glosse al giovane Francesco. In particolare, le similitudini di tracciato e di inchiostro lascerebbero supporre che il segno riportato in fig. 1 (vedi sotto) sia stato realizzato dallo stesso autore della glossa 23, secondo la critica non petrarchesca 24, che affianca. Anche se non realizzata da Petrarca, la manicula della figura sottostante esprime un rilievo in quanto rappresenterebbe una possibile influenza che il poeta potrebbe aver percepito e successivamente elaborato secondo la inclinazioni personali. Emergerebbe quindi un quadro ben più complesso che non intendo risolvere in questa sede, della presenza di più tradizioni grafiche diffuse non solo in Italia, ma anche Oltralpe: non si deve dimenticare che il codice è stato acquistato ad Avignone, anche se potrebbe essere stato letto dal giovane Petrarca nel periodo a cavallo tra il soggiorno a Bologna per gli studi di diritto e la morte del padre Petracco. Figura 1 Pad. Bibl. Univers. 1490, f.1r 22 Sul f.1 si legge infatti: «Anno Domini Millesimo Trecentesimo vigesimo quarto, mense februario in Avignone, emi istum librum de civitate Dei ab ex equo utoribus domini cinthii cantaris turanensis pro pretio florinorum duodecimi». 23 Pur non avendo visionato la manicula se non attraverso la riproduzione di A. C. DE LA MARE su Handwriting, Pl. I, b, p. 27, e non conoscendo quindi né l’effettiva tonalità dell’inchiostro, né dettagli particolari sul tracciato, nel complesso si può notare che il tratto è uniforme e di medio spessore, sebbene si notino due ispessimenti di colore in prossimità della base del dorso e del primo dito ripiegato, probabilmente imputabili a una ripresa dello strumento di scrittura. Il ductus è rapido, anche se il segno è stato realizzato in tre tempi: il primo tratto parte dal dorso per tracciare l’indice e le altre dita, fino alla fine del dorso; il secondo descrive la linea del polsino che taglia la mano; il terzo la fine della foggia della manica. Anche se a tre tempi, la manicula presenta un tracciato simile a quello della glossa a fianco per la consistenza del segno. Questo, più il fatto che ambedue siano corsive, sembrerebbe suggerisce che la fretta genitrice tanto il marginalium quanto la postilla si radicasse in una necessità momentanea e complementare: l’autore dell’intervento extratestuale avrebbe realizzato la glossa per prima e aver quindi scelto istintivamente la soluzione della manicula per ancorare la spiegazione al testo. 24 A. C. De la Mare in Handwriting riteneva che la glossa fosse stata realizzata da Petrarca, tanto che nella tavola da cui ho estratto la figura, collocava intorno al 1325 circa; per la definitiva attribuzione della glossa adiacente alla manicula sopra riportata e, di conseguenza, probabilmente anche del marginalium figurato, cfr. M. C. BILLANOVICH, Il vescovo Ildebrandino Conti e il De Civitate dei. La manicula presa in esame si trova sul margine esterno del codice ed è una mano sinistra a quattro dita, il cui indice è rigido e non unghiato; l’angolo pone il vertice sulla nocca del dito che indica ed è molto aperto. La mano è disegnata secondo la prospettiva di un lettore generico di cui non è dato sapere identità o abitudini: ponendo il caso in cui si tratti dell’autore del segno, questi potrebbe aver preso a modello la propria mano sinistra perché aduso a indicare con questa o piuttosto perché destro e la mano sinistra era l’unica libera per indicare. Nel secondo caso, ben più semplice, la mano disegnata non appartiene all’autore della manicula, ma a una seconda persona che indica il testo. Infine, la manica è descritta in maniera sintetica da due rapidi tratti di penna e risalta per semplicità con cui è realizzata. Anche questo elemento non permette di risolvere ancora i problemi posti prima circa l’identità o status sociale dell’ideale possessore della manica: l’unico elemento che si più isolare è un bordino, forse di camicia, che fuoriesce da un polsino per nulla elaborato. Con questi pochi indizi si potrebbe risalire a possibili individui di qualsiasi estrazione sociale ed effettivamente nessuno di essi. Tralasciando quindi questo nebuloso fronte di indagine, l’unico elemento che si deve estrarre dall’esempio in fig.1 ai fini dell’analisi della manicula petrarchesca è il fatto che questa potrebbe aver rappresentato un modello per la successiva elaborazione, quindi essere stata considerata, soprattutto secondo un punto di vista grafico, come una sorte di manicula-tipo, come si può appurare nel paragrafo successivo. 2.1.2.2. Primo periodo. Anni ’30 I codici presi in esame per questo periodo sono quattro e tutti appartenenti al fondo manoscritti della Biblioteca Nazionale di Parigi con segnatura Par. Lat. 1617 25, Par. Lat. 199426, Par. Lat.220127 e il Par. Lat. 6280 28. Per ragioni storiche l’analisi parte dal terzo, il Par. Lat. 2201, una miscellanea del De Anima di Cassiodoro e il De vera religione di S. Agostino. In questo codice si trovano molte informazioni 25 Vedi P. DE NOLHAC, Pétrarque, II, p. 207; L. CHIOVENDA, Die Zeincnunen, AB, pp.2 – 5; E. PELLEGRIN, La Bibliothèque des Visconti et des Sforza, pp. 192 – 193 ; cit., Manuscrits, pp. 270 – 271; A. PETRUCCI, La scrittura, p. 121 n. 18; A. C. DE LA MARE, Handwriting, p. 13, n. 22; M. SIGNORINI, S. Gregorio al Celio. 26 Vedi E. PELLEGRIN, La Bibliothèque, p. 183; G. BILLANOVICH, Nella Biblioteca, pp. 6 – 16 (tavv. 1 – 2); Manuscrits, pp. 31 – 32; E. PELLEGRIN, cit., p. 188; L. B. ULLMAN, Studies, pp. 117 – 137; E. PELLEGRIN, Manuscrits(1), pp. 492 – 493; cit., Manuscrits(2), pp. 274 – 275; A. PETRUCCI, La scrittura, pp. 28, 123 nr. 27, tavv. V-VI. 27 Vedi L. DELISLE, Notice Sur Un Livre Annote Par Petrarque, cap. 7; P. DE NOLHAC, II, pp. 198 – 200, 293 – 296; 28 Cfr. E. PELLEGRIN, La Bibliothèque, p. 98; ID.(2), Manuscrits, p. 281; S. GENTILE, Le postille. utili sul percorso di formazione di Petrarca, soprattutto per le letture precedenti al 133529 di autori classici: tra essi figura Ovidio con le sole Metamorfosi30. Sulla guardia del testo Petrarca copiò una preghiera di sua invenzione 31, qui come in altri codici. L’acquisizione del Par. Lat. 2201 rappresentò il principio delle peregrinazioni di questo personaggio inquieto: morto il papa Giovanni XXII nel 1334, Benedetto XII salì al soglio pontificio. Il nuovo papa, su invito del cardinal Giovanni Colonna, gli assegnò la carica di canonico di Lambez, dove tuttavia non risedette mai, delegando il compito ad altri. Pur essendo avvezzo a continui viaggi e cambi d’abito, Petrarca si sentì sempre fiorentino: pur essendo nato ad Arezzo, tale si firmò nell’atto che lo nominava canonico, come da discendenza paterna. Ancora negli anni ’30 ed entrambi a Roma furono acquisitati i codici Par. Lat. 1617 e il Par. Lat. 1994: il primo, contenente le Recognitiones di Clemente e le Homiliae in Evangelia di Gregorio Magno, il 6 marzo 133732; il Par. Lat. 1994 fu comprato a S. Gregorio al Celio 33. A conferma di una prima fase di studio già verso la fine degli anni ‘30 sono pure le stesse glosse, le quali, secondo l’analisi di Paola Supino Martini, possono essere ricondotte al medesimo filo corsivo che le legherebbe a quelle del Par. lat. 2201 e del Virgilio Ambrosiano34. 29 Sulle prime carte (cc 1r-v) è scritta una lunga preghiera, dettagliatamente analizzata da Delisle per primo in Notice sur un livre annoté par Pétrarque, p. 396 (riporto qui la citazione di de Nolhac) per primo come afferma De Nolhac in Pétrarque, p.199, datata 1 giugno 1335, quindi il codice è sicuramente posseduto a partire da quella data. 30 Si rifiuta così la testimonianza ripresa da L. Marcozzi, Petrarca, p.60 di Familiares, XXIV, 1, secondo cui l’erudizione di Petrarca fosse stata introdotta dalle opere elegiache di Orazio. 31 Preghiera del 1 giugno 1335: «Tibi, Deus meus, commendo cogitationes et actus meus, tibi silentium et sermones, tibi motus et quietem, tibi dies et noctes, tibi somnium et vigilias, tibi risum et lacrimas, tibi spes et desideria, tibi mee tempus et mortis horam». 32 I due codici furono acquistati durante il soggiorno romano compiutosi tra il gennaio e il luglio del 1337. Tra i due, il Par. Lat. 1617 in particolare rivela il legame con Landolfo Colonna, esponente di una delle più potenti famiglie baronali romane, con il quale il giovane Petrarca curò un’attenta edizione di Livio, come è pure testimoniato dalle note appartenenti alle due mani sul Par. Lat. 5690. Recando seco parte della sua biblioteca, nel 1331 Landolfo tornò a Roma per morire qui. Petrarca, legato alla famiglia anche perché capellanus del cardinale Giovanni, nipote del defunto, ebbe quindi la possibilità di accedere alla sua biblioteca per acquistare insieme questo codice e il Par. Lat. 2540. Per un’analisi più dettagliata della storia del Par. Lat. 1617 in relazione al viaggio romano, confrontare il contributo di M. SIGNORINI, San Gregorio al Celio e un codice della biblioteca di Francesco Petrarca. 33 34 Una decina di giorni dopo, da quanto si può leggere dalla nota «emptus Romae, 1337, 16 Martii» scritta sul f. 195v. P. SUPINO MARTINI, Per una storia della semigotica, p.222, «Spie inequivocabili della consuetudine con il filone corsivo denotano altresì le testimonianze autografe del Petrarca, datate 1 giugno 1335 e 10 luglio 1338, vergate nel Cassiodoro Paris. lat. 2201: nella prima, eseguita con penna a punta mozza, è da notare il disegno chiaro delle lettere, con prevalente omissione delle fusioni di curve contrarie contigue ed altre "caratteristiche influenze corsive evidenti nella g aperta, nella v iniziale, nella r"; nella seconda, a mio avviso non molto dissimile dalla precedente se non per l’uso di una g testuale, le aste alte sviluppate, quelle di f ed s tendenti a scendere appena oltre il rigo, l’ansa della s minuscola ripiegata alla maniera corsiva sulla lettera successiva. Nello stesso solco sembrano rientrare la prima scrittura di glossa del Virgilio Ambrosiano, recuperato nel 1338, e quelle impiegate per annotare i Parisini latini 1617 e 1994, acquistati entrambi a Roma nel 1337». Il Par. Lat. 1617 è un codice realizzato agli inizi del XIV secolo (quindi in un periodo circa coevo a Petrarca) e contiene una miscellanea di opere religiose di Clemente, Gregorio Magno, Fulberto Carnatense e S. Geronimo. Il Par. Lat. 1994 è invece un manoscritto ben più antico, realizzato nel XII secolo e ancora appartenente al filone delle opere di S. Agostino di cui Petrarca fu così affamato agli inizi della sua erudizione: si tratta delle Enarrationes in Psalmos CI-CL. Dopo che sono state date queste generiche informazioni sulla collocazione temporale e storia dei due manoscritti, si possono passare in rassegna gli esempi di maniculae apposti sui due testi. A fronte di un Par. Lat. 1994 ricco, il Lat. 1617 della stessa collezione presenta una sola alta relegata al f.7r da me non attribuita agli anni ‘30 per la discriminante dell’unghia che in esso è presente e a ragione della quale il segno verrà valutato successivamente. Il Par. Lat. 1994, come pure il 2201, contiene una molteplicità di maniculae diverse, quindi è stato postillato amorosamente per lungo tempo. Risale alla fine degli anni ‘30 l’acquisizione del codice Par. Lat. 6280 , una raccolta fattizia di due manoscritti del XII secolo legati insieme, le cui carte di guardia sono due documenti datati 1312 e 133735. L’autore degli scritti in esso contenuti è per lo più S. Agostino, quindi suppongo che la miscellanea sia stata realizzata per mettere insieme questi codici sciolti che Petrarca potrebbe aver acquisito circa in quel periodo e fatti legare insieme dopo il 1337 proprio ad Avignone, perché entrambi i documenti con i quali sono state realizzate le guardie hanno quel riferimento geografico. Ho rinvenuto maniculae che possano essere effettivamente attribuite a Petrarca a partire dagli anni ’30, e che non agiscano più a livello di mero influsso ma, come si potrà vedere soprattutto in seguito, i caratteri del segno prendono rapidamente forma: sebbene siano comunque pochi gli esempi di cui ci si possa avvalere, la pratica di tracciare marginalia, indice di uno studio consapevole, si fa più frequente. Per questo primo periodo, sono presenti segni realizzati tanto sui margini interni che su quelli esterni, quindi, pur nelle evidenti differenze, longae e altae del periodo hanno punti di contatto assimilabili: in ambedue quattro sono le dita, le unghie ancora assenti, la manica è solo detextualis. A. Altae Gli esempi di manicula del periodo isolati nel Par. Lat. 2201 sono tre altae nei ff.19v (fig.2) (71x5,8 mm) , 24v (fig.3) (19x6,0 mm), 34v (fig.4) (16x7,0 mm). 35 A. C. DE LA MARE, The Handwriting, p.14 «Notes on various dates (some late) include dates 1343, 1355 […] Chalcidius on Plato, Timaeus; Martianus Capella. Two 12th-centh. MSS bound together. Flyleaves from Avignom docs. dated on 1312, 1337». Figura 2 Par. Lat. 2201, f.19v Figura 3 Par. Lat. 2201, f.24v Figura 4 Par. Lat. 2201, f.34v Queste tre maniculae apposte lungo il margine sinistro rimangono in parte sulla soglia dello specchio di scrittura, in parte lo sfondano nascendo e tornando in esso secondo un moto circolare. Si può inoltre notare che tutta l’attenzione della mano è concentrata sul dito, esteso in maniera innaturale: l’astrattismo del segno riduce la gestualità al puntare dell’indice, mentre il resto della mano è posto in ombra e segue naturalmente il gesto. L’indice della mano destra ha una piegatura impossibile per una mano reale, e il dito stesso ha una forma a uncino perché attratto magneticamente dal testo che punta; le altre dita piegate sono molto più corte, molto oblique perché devono adeguarsi alla linea di forza creata dall’indice, così come il resto del palmo (vedi la linea rossa che l’attraversa in fig.5). Figura 5 Par. Lat. 2201, f.24v B. Longae Solo una è la longa del Par. Lat. 2201 e si trova sul foglio 28r (fig.6) (17x28 mm): Figura 6 Par. Lat. 2201, f.28r Il tracciato del segno è lineare e riprende l’ampiezza dell’angolo del dito nel segno del 1325, mentre l’ampia manica accoglie nel lembo la nota che segue dietro. La longa del 1325 è realizzata in tutta probabilità in un tempo solo, mentre nel Par. Lat. 2201 già solo il palmo e il dito sono realizzati in due tempi, cui seguono quelli delle altre dita piegate e della manica elaborata: traspare una cura più importante nella realizzazione, minore fretta, una maggiore confidenza con il libro stesso. Sul Par. Lat. 1994, invece, troviamo alcune longae a quattro dita senza unghia, detextuales, relegate al f.37, uno sul recto (fig.7) (16x13 mm) e due sul verso (fig.8 e 9) (12x8,2 mm e 10x5,9 mm). L’inchiostro con il quale sono state apposte è della medesima tonalità e i tratti sono simili: eccettuata la manicula a f. 37v(2) che disegna un arco fluido, gli altri due signa sono piuttosto squadrati. Figura 7 Par. Lat. 1994, f.37r Figura 8 Par. Lat. 1994, f.37v Figura 9 Par. Lat. 1994, f.37v (2) Questi ultimi esempi presentano pure un’evoluzione ulteriore rispetto a quelli prima mostrati del Par. Lat. 2201: mettendo a confronto la manicula di f.28r (fig.6), si nota che l’angolo descritto tra il palmo e il dito che indica è molto più ampio negli esempi prima riportati piuttosto che nel 1994. Dalla fine degli anni ’30 Petrarca abbondò la longa più piatta della prima fase di annotazione quale quella nel f.1r di Pad., Bibl. Univers. 1490 e nel Par. Lat. 2201, per stringere l’angolo della mano e rendere il segno sciolto e sicuro. E’ evidente il nuovo agio che avverte nei confronti dei testi, tanto che si abbandonò a una postillazione ben più fitta rispetto ai periodi precedenti per i quali si annoverano, come prima detto, ben pochi esempi. La manicula al f.37v(2) introduce il progressivo allungamento del dito rispetto a quella del f.37v(3) (fig.10) (13x7,4 mm): la forma generica a volte tondeggiante, a volte ad angolo pronunciato, residui dell’antico retaggio, non ebbe tuttavia ragione dello stile petrarchesco di questo e dei periodi successivi. Figura 10 Par. Lat. 1994, f.37v (3) Tabella 3 ALTA LONGA Numero di dita 4 4 Presenza dell’unghia - - Manica Detextualis Detextualis Fluida, ad arco Squadrata, ad angolo ottuso molto aperto con vertice alla base dell’indice corto L’arco tende ad appiattirsi Angolo ancora ottuso ma molto più chiuso, dito corto che tende ad allungarsi Forma della mano I metà II metà Tabella delle caratteristiche della manicula degli anni ‘30 2.1.2.3. Terzo periodo. Anni ’40 Infine, l’ambitissimo riconoscimento del lauro offerto contemporaneamente dall’università di Parigi e di Roma mentre si stava dedicando alla sua opera più amata, l’Africa. Petrarca preferì farsi cingere la testa di alloro e proclamare poeta vate del suo secolo a Roma, sul Campidoglio, con solenne cerimonia nell’aprile del 1341. Gli anni ’40 furono un periodo particolarmente vivo e fecondo per il poeta, non soltanto per l’incoronazione, ma anche per gli incontri avvenuti sotto il vessillo della poesia (come i tre giorni preliminari all’incoronazione trascorsi a Napoli presso la corte del re d’Angiò discorrendo di lettere) o gli incarichi affidatigli e che lo portarono un po’ per tutta l’Italia (Carpi, Ferrara, Mantova, Firenze) e gli fecero conoscere molti nomi illustri (in questo periodo nacque il sodalizio con Boccaccio e avvenne l’incontro con Cola di Rienzo). Durante questo decennio fu acquisito il codice Troyes, Bibl. Mun. 552 e studiato il Par. Lat. 2103. A. Altae Il numero più frequente di questo tipo di marginalia rispetto al decennio precedente apre la diversificazione del segno: l’evoluzione accennata alla fine degli anni ’30 prende corpo in un segno sempre più sicuro e umano, tanto che si aggiunge l’unghia e sono introdotti i primi accenni decorativi o sperimentali circa le funzioni del segno. Talvolta la manicula batte un colpo secco sul testo, talora lo accompagna morbidamente per una sezione piuttosto lunga. Tre sono i periodi corrispondenti a rispettivi stadi evolutivi della manicula nel decennio tracciati dalle discriminanti dell’ampiezza dell’arco descritto dal dito che indica, la lunghezza dello stesso, la forma del palmo e l’orientamento dello stesso, la lunghezza delle dita piegate ed elementi accessori di completamento o decorativi. E’ così possibile individuare una cronologia relativa, mentre è assai più difficile rilevare una assoluta, come si è già detto in precedenza. 1. Prima alta Il patrimonio genetico della primissima alta, figlia di prima generazione della manicula degli anni ’30, eredita il lungo dito ampiamente arcuato di quella sul quale si svolge tutta la tensione del segno: il palmo poggia in maniera precaria sul dito che tocca il testo, facendo tendere tutto il segno in una posizione obliqua; le dita piegate sono corte e oblique. La vera differenza consiste nello sperimentalismo tentato fino a circa la metà del decennio che sfocia talora nella fusione della manicula con la graffa, pur non raggiungendo l’eleganza di quest’ultima. Si prendano in esame ancora i codici Par. Lat. 2201, 1994, 6280 a confronto con il Troyes, Bibl. Mun. 552. Il Par. Lat. 2201, il codice di più antica acquisizione del corpus, presenta quattro esempi sui ff. 31r (fig.11) (38x6,4 mm), 31v (fig.12) (13x5,8 mm), 50v (fig.13) (21x5,8 mm), 53r (fig.14) (59x7 mm): Figura 11 Par. Lat. 2201, f.31r Figura 12 Par. Lat. 2201, f.31v Figura 13 Par. Lat. 2201, f.50v Figura 14 Par. Lat. 2201, f.53r Nei segni di figg. 11 e 12 le caratteristiche di questo primissimo periodo sono evidenti: dito molto arcuato, unghia sull’indice presente, dita piegate oblique che si dispongono sulla linea di forza creata dall’indice, com’era pure evidenziato nella fig.5 riferita a f.5v. L’unico aspetto in cui i due esempi differiscono è la manica: nella prima il prolungamento di questa non è minimamente accentuato, nella seconda è presente e anzi, nettamente delimitato: finalmente avviene il passaggio dalla tipologia detextualis alla etextualis. Eccezioni sperimentali sono le maniculae di figg. 11 e 14 (ff.31r e 53r): non utilizzano più segni di paragrafo per isolare il passo più o meno lungo come nel caso di f.31v in cui divide «Sed cum omnibus modis medeatur animis"36 Deus pro temporum opportunitatibus, quae mira sapientia eius ordinantur, de quibus aut non est tractandum37». Nelle due maniculae si utilizza un espediente già tentato durante gli anni ’30 sul f.19v (fig.2) del prolungamento di un lembo della manica per delimitare l’intera sezione. Molto diverse tra loro sono le due soluzioni: in fig.11 la linea che “cade” dalla mano interrompe una quasi perfetta linearità con un occhiello intermedio, forse un timido tentativo ornamentale, per interrompersi bruscamente; in fig.14 si nota una riga con tre bombature mediane che fa eco alle complicate volute caratteristiche delle graffe di cui Petrarca abbonda, il termine nella linea si nasconde in un pennacchio finale. Non solo l’attenzione, ma anche il tratto dei due esempi è cambiato: a fronte di una manicula più sbozzata come nella fig.10, si può notare una progressiva evoluzione compositiva che passa per i segni delle figure 11 e 12 fino a raggiungere maggiori decisione e armonia nei marginalia delle fig.13 e 14. Nel Par. Lat. 1994 appartiene a questa prima fase degli anni ’40 la manicula al f.105v (fig.15) (20x10 mm), la cui curva dell’indice è stata realizzata in tre tempi, il che le conferisce un aspetto angoloso, rozzo e frettoloso, mentre la manica si stabilizza nel tipo etextualis. Figura 15 Par. Lat. 1994, f.105v 36 Inizialmente era scritto “animus”, ma la seconda asta della “u” finale è stata erasa e successivamente sbarrata fino a lasciarne una sola e farla intendere come una “i”. L’intervento è stato realizzato con il medesimo inchiostro del testo, quindi suppongo che si tratti di una correzione realizzata da un supervisore alla correzione, forse il capo d’atelier dello scriptorium che ha generato il codice. 37 S. AGOSTINO, De vera religione, 16, 30: “Ma Dio cura le anime in ogni modo a seconda delle opportunità del tempo che la sua meravigliosa sapienza ha predisposto, delle quali tuttavia non si deve parlare”. Infine, per chiudere il discorso su questa prima fase dell’alta degli anni ’40, di portano a modello gli esempi del Troyes, Bibl. Mun. 552 (fig.16)38 e del Par. Lat. 6280 ff.3r (fig.17) (10x4,0 mm), 35v (fig.18) (8,0x4,0 mm), 36r (fig.19) (7,0x3,0 mm) e 37r (fig.20) (12x4,5 mm): Figura 16 Troyes, Bibl. Mun.552, f.305v Figura 18 Par. Lat. 6280, f.35v Figura 17 Par. Lat. 6280, f.3r Figura 19 Par. Lat. 6280, f.36r Figura 20 Par. Lat. 6280, f.37r L’esempio di fig.16 aderisce perfettamente al modello iniziale degli anni ’40, tanto che il lungo indice si ancora al testo, quasi fosse un uncino 39 e la manica è piuttosto caratteristica: la mano sembra appoggiata su di essa, quasi fosse un calice da cui straborda. La fig.17 si muove invece su un orizzonte pionieristico: lo schiacciamento dell’arco dell’indice porta all’indebolimento della linea di forza diretta dallo stesso, con la conseguente emancipazione delle dita piegate introducono il periodo intermedio; la manica si allinea sul fronte etextualis cui aderisce pure la manicula di fig.17, con l’aggiunta di un pizzo accennato. 38 Per il codice in questione, non ho trovato una riproduzione completa del manoscritto, quindi mi sono affidata alle tavole che Fiorilla offre nella sua opera: M. FIORILLA, Marginalia, tav. 12. 39 I segni d’attenzione sono per Petrarca dei veri e propri “uncini della memoria”che feriscono il testo poiché ne alterano la consistenza originale ma al tempo stesso lo radicano all’esperienza che ne fa il lettore, come si può vedere da un passo del Secretum, II, p.196: “Quod con intenta tibi ex lectione contigerit, imprime sententiis utilibus (ut incipiens dixeram) certas notas, quibus velut uncis memoria volentes abire contineas. Hoc equidem presidio consistes immobilis cum ad versus cetera tum contra animi tristitiam, que umbra velut pestilentissima virtutum semina semina et omnes ingeniorum fructus enecat.”. Le figg.19, 20 e 21 (di cui la 20 è stata erasa forse per un successivo ripensamento) hanno caratteristiche morfologiche, stilistiche e un inchiostro simile: per questo motivo è possibile istituire un sincronismo delle tre, pur considerando la foggia della manica, importante eccezione. Lo spostamento dell’asse della manica dall’orizzonte detextualis a quello etextualis offre inoltre nuove possibilità e variazioni: da questi esempi è stato possibile classificare i due tipi particolari di manica “a lembo”, interno o esterno, semplice o decorato, e quello “a calice”. A esemplificazione visiva dei tipi, si osservino le seguenti figure: Figura 13 Par. Lat. 2201, f. 50v “lembo interno” Figura 15 Par. Lat. 1994, f.105v “lembo esterno” Figura 17 Par. Lat. 6280, f.3r “lembo decorato” Figura 16 Troyes, Bibl. Mun.552, f.305v “a calice” 2. Seconda alta Unici esempi da portare per questo sottoperiodo sono quelli presenti nel Par. Lat. 2201 ai ff. 50v(2) (fig.21) (27x14 mm), 9r (fig.22) (23x8,2 mm) e 15v (fig.23) (60x8,2 mm): Figura 21 Par. Lat. 2201, f.50v (2) Figura 22 Par. Lat. 2201, f.9r Figura 23 Par. Lat. 2201, f.15v Come si può notare, la disposizione delle figure che ho adottato sino a questo momento era stata operata secondo una logica di consequenzialità del testo che si sposava perfettamente con il discorso svolto in termini particolaristici, mentre in questo caso ho preferito in via eccezionale di derogare alla linea generale sino ad ora seguita per far comprendere lo sviluppo del segno dalla prima alla seconda fase. La seconda manicula di f.50v in fig.21 presenta ancora una posizione obliqua; il dito è arcuato, ma più schiacciato rispetto al modello della fase precedente; le dita piegate sono corte e fortemente oblique perché ancora soggiogate dalla guida dell’indice; la manica è detextualis. La vera particolarità consiste nel dito arcuato che, come nella fase precedente, è ancora importante, sebbene in via si raddrizzamento. La variazione della curva condiziona a sua volta tutto l’equilibrio del segno che pure si assottiglia; la manica pure ereditata dalla fase precedente è segno di un passaggio non ancora completamente maturato di questo elemento. Nuovo respiro nel marginalium di fig.22: la mano viene bilanciata per poggiare su un piano ideale e muta l’assetto intero della struttura, dalle dita che, pur senza allungamento, si raddrizzano; il segno ha dimensioni maggiori 40. Tuttavia, considerando le proporzioni dei singoli elementi, la lunghezza delle dita piegate non varia: l’impressione di slancio che ne deriva è data unicamente dal fatto che la figura sia diritta. La manica è stavolta etextualis a lembo interno. L’ultimo segno che passo in rassegna per questo terzo gruppo è quello della fig.23, estremo di questa serie della serie: la mano è completamente diritta e l’indice si riappropria della forma a uncino in via del tutto eccezionale, mentre le altre dita piegate sono agevolmente indipendenti da esso; la mano con manica a calice è adagiata sulla base del prolungamento a forma di “C” bombata per proseguire con una triplice bombatura e interrompersi poi di netto. La scelta di non decorare ulteriormente anche la terminazione della linea, come invece era stato nel f.53r (fig.14), è una scelta ponderata da un equilibrio di un Petrarca che, pur non avendo particolari attitudini grafiche, non disdegna, anzi, predilige evoluzioni occhiellate come nelle graffe (vedi oltre): questi è un eccellente scrivente, ma non artista, né pretese mai di esserlo. Un caso a parte è la manicula del Par. Lat. 1617 (fig.24) (18x6,1 mm), che condivide le caratteristiche di questa “seconda alta”, tuttavia, nel complesso, è molto più compressa lateralmente rispetto agli altri fin ora riportati. 40 Tuttavia le misure assolute non sono un buon parametro di paragone per introdurre gli sviluppi successivi, in quanto la dimensione specifica di un singolo marginalium figurato o addirittura di più marginalia sono fortemente condizionati dalla dimensione fisica del volume e dei margini disponibili: è da preferirsi un discorso comparativo su base proporzionale. Figura 24 Par. Lat. 1617, f.7r 3. Terza alta Si conclude quindi il paradigma dell’indice inarcato con un estremo accenno di flessione e accorciamento delle dita piegate mentre la manica continua a non definirsi totalmente detextualis o etextualis, come negli esempi delle seguenti figg.25 (22x8,1 mm), 26 (24x8,1 mm) e 27 (23x10 mm): Figura 25 Par. Lat. 2201, f.9v (2) Figura 26 Par. Lat. 2201, f.28r(2) Figura 27 Par. Lat. 2201, f.46r(2) La manicula di fig.25 chiude la parentesi del filone della manica decorata (come già in figg.18, 19 e 21), ripreso poi solo in qualche caso sporadico, mentre il segno di fig.26 introduce una nuova varietà di decorazione detextualis che definisco “a tratto” in cui la manica doppia viene chiusa seccamente da un sottile tracciato orizzontale o verticale; l’indice, perfettamente bilanciato dal resto della mano, comincia a ispessirsi. B. Longae Le maniculae realizzate lungo il margine esterno condividono con l’alta il numero delle dita, la presenza dell’unghia sull’indice caratteristici degli anni ’40 e che per questo devono essere considerate coeve; a contraddistinguere questa tipologia particolare, invece, sono: l’angolo della mano; lunghezza e dimensione dell’indice; lunghezza delle dita piegate; tipo di manica. Nell’arco di questo terzo periodo lo stile di Petrarca evolve in maniera piuttosto rapida e si assesta su alcune caratteristiche tipiche del periodo precedente, mentre altre volgono a un nuovo cambiamento; ho isolato idealmente due diverse classi di longae per gli anni ’40, cronologicamente susseguenti. In realtà la separazione tra le due non è così netta e rispettivamente non sono altro che una continuazione delle peculiarità del periodo precedente per la prima, e una variazione di genere da definirsi più avanti nel tempo per la seconda. 1. Prima longa Gli esempi utilizzati per delineare le caratteristiche di questa fase sono stati tratti dal Par. Lat. 2301 e sono rappresentati nelle figg.28 (13x16 mm), 29 (16x14 mm) e 30 (16x23 mm): Figura 28 Par. Lat.2301, f.91r Figura 29 Par. Lat.2301, f.95r Figura 30 Par. Lat.2301, f.137r Nel paragrafo precedente ho accennato all’angolo della mano: si tratta dell’angolo delimitato dalla linea del dorso e dell’indice che ha vertice nella nocca ideale dello stesso dito (fig.31). Figura 31 La longa ideale del periodo presenta un indice di media lunghezza e spessore che descrive un angolo poco ottuso, accentuando la chiusura già avviata durante gli anni ’30. L’indice, inoltre, presenta sulla parte terminale una leggera flessione verso il testo, quasi fosse attirato da esso: è così elegantemente esaltato l’angolo chiuso in un atteggiamento fluido. Le dita piegate emergono dalla quasi totale anonimia attraverso un aumento di lunghezza; la manica, eccettuando la fig.30, è ancora detextualis: in particolare, il doppio tratto solitamente netto del bordo dell’abito è vivacizzato da una leggera ondulazione. Il quasi totale astrattismo del poeta si anima di una propria consapevolezza e armonia con il testo: gli aides-mémoire sono segni realizzati certamente per gerarchizzare il testo secondo una linea di concetto perseguita dallo studioso, ma dev’essere realizzato in empatia con il lettore che lo traccia. Il rapporto tra Petrarca e i testi che studia sembra muoversi lungo una strada che via via si rivela più agevole, quindi anche i marginalia che egli realizza esprimono maggiore armonia. A riprova di ciò sta la manica, l’ampio lembo che nasce dal libro stesso: nella maggior parte dei casi era sintetizzata da un doppio tratto, talvolta seguito da accenni ulteriori di abbigliamento mentre solo uno è l’esempio nel Par. Lat. 2201 (fig.6) in cui si allargava per contenere al suo interno una postilla, indipendentemente dal fatto che fosse stata vergata o no da Petrarca; la situazione è invece mutata, nei tre esempi sopra riportati, a favore di un estensione in ampiezza della manica, probabile segno di acquisiti apertura e agio con gli autori che studia. 2. Seconda longa Le evoluzioni che coinvolgono questa seconda fase di longa portano l’angolo della mano a chiudersi ulteriormente fino a diventare a volte retto, mentre l’indice perde la timida flessione per irrigidirsi. Talvolta le dita piegate, descritte da rapidi tocchi di penna curvi, come nella fig.32, conferiscono al segno un accenno a una tensione rivolta all’esterno del testo; altre volte questa deformazione non è presente. Figura 32 Par. Lat. 2301, f. 12r Una caratteristica comune del periodo, invece, è la canonizzazione dell’ampiezza dell’arco della mano che conduce a una progressiva corsivizzazione del ductus: l’arco della mano è realizzato in un tempo solo, come la prima longa, tuttavia, perso l’iniziale carattere posato, perde pure la peculiare angolosità per diventare curvo (figg.33 e 34): Figura 33 Par. Lat. 2103, f.32r Figura 34 Par. Lat. 2103, f.66v Non tanto nel Par. Lat. 2103, quanto nel Par. Lat. 1994, la differenza di ductus è evidente (vedi figg.35, 36, 37): Figura 35 Par. Lat. 1994, f. 36v Figura 36 Par. Lat. 1994, f.141r La manica continua a essere una detextualis aperta. Figura 37 Par. Lat. 1994, f.150v Tabella 4 ALTA LONGA Numero di dita 4 4 Presenza dell’unghia Si Si I periodo: Detextualis: semplice; composita. Etextualis: lembo interno; lembo esterno: semplice; decorato. a calice. I periodo Detextualis aperta Pochissime etextualis Manica II periodo Tipologie del periodo precedente. II periodo III periodo Tipologie del periodo precedente Detextualis semplice: Forma della mano a tratto orizzontale; a tratto verticale. I periodo I periodo Curva e obliqua II periodo Angolosa; angolo poco ottuso; indice di media lunghezza e spessore, tendenza a una lieve flessione finale verso il testo; dita piegate di lunghezza media e ductus posato Intermedia tra I e III periodo II periodo III periodo Curva; angolo quasi retto; indice rigido, perdita della tendenza; dita piegate di lunghezza intermedia, a volte corte rivolte verso il testo; ductus corsiveggiante Curva e diritta Tabella delle caratteristiche della manicula degli anni ‘40 2.1.2.4. Quarto periodo. Anni ’50 Il quinto decennio del Trecento è ricco di cambiamenti: la semplice manicula subisce un’evoluzione grafica che la trasforma in un segno completamente diverso dal precedente. Questi cambiamenti riguardano la forma complessiva tramite l’indice, il dorso, l’unghia e il numero delle dita, che passa da quattro a cinque. In effetti, ritengo che il cambiamento trainante di questa classe di marginalia sia proprio il passaggio dalla manicula a quattro dita, che definirò innanzi “Tipo I”, a quella a cinque dita, o “Tipo II”. L’esame di questo secondo tipo considera quale modello di riferimento il Tipo I, dal momento che gli sviluppi del Tipo II sono, come intuibile, fortemente condizionati dal primo. I codici che si analizzano tanto per il Tipo I che per il Tipo II appartengono tutti al fondo latino della collezione parigina: il Par. Lat. 1757, ancora il 1994 e 2201, il 5816, 6802, 7720. Per dare qualche rapido cenno sulla storia di questi codici al fine di collocarli cronologicamente, si può dire che il Par. Lat. 175741 è una miscellanea di testi religiosi copiata da Petrarca dal 1353 fino al 1355 circa, nel periodo in cui era questi è ospite a Milano presso i Visconti su invito diretto di Giovanni. Partendo per Milano nel giugno del 1353, Petrarca chiude definitivamente la parentesi provenzale e avvia la quella nuova italiana. Il codice contiene il De vocatione omnium gentium di Prospero d’Aquitania, l’Epistula ad Demetriadem de vera humilitate, l’Epistola extra collectionem 14, Vercellensi ecclesia e il De excessu fratris (Satyri) di Ambrogio. Il Par. Lat. 5816 è un codice che contiene i Monumenta Historiae Augusti, un testo che ebbe particolare fortuna a Padova presso i preumanisti e che Petrarca conobbe relativamente tardi, quando ormai il suo antigrafo (il Vat. Lat. 899, un codice del IX secolo) si trovava a Verona sin dall’inizio del Trecento; qui il poeta lo lesse e lo fece copiare, acquisendo il Par. Lat. 5816. Il Par. Lat. 680242 è un codice del XIII secolo comprato a Mantova il 6 giugno del 1350, come si può leggere dalla nota “emptus Mantue 1350 jul(ii)” apposta sul foglio 277v, di cui poi entrò in possesso Boccaccio e che contiene il Naturalis Historia di Plinio. Il Par. Lat. 7720 è un codice del XIV secolo le cui carte sono per la quasi totalità palinsesti di documenti italiani riutilizzati per realizzare questo codice. Il libro, contenente l’“Institutio oratoria” di Quintiliano, fa parte del corpus donato a Petrarca da Lapo di Castiglionchio intorno al 1350. Il Par. Lat. 808243 è una miscellanea realizzata nel XIII secolo che contiene scritti di Claudiano particolarmente cari a Petrarca. Ricco di marginalia e glosse, questo codice fa parte del corpus di testi fattigli dono da Boccaccio, quindi posteriore al 1350. 41 Cfr. G. MAZZATINTI, Inventario, I, pp. 120, 123-124; P. DE NOLHAC, Pétrarque, II, pp. 203-204; E. PELLEGRIN, La bibliothèque, pp. 191 nr. 526 (1426 A 526), p. 306 nr. 387 (1459 B 387); ID.(2), Manuscrits, pp. 271272; A. PETRUCCI, La scrittura, p. 122 nr. 20; F. SANTIROSI, Le postille del Petrarca ad Ambrogio. 42 S. CIPOLLA, Le 'mani' di Petrarca, pp. 109-156. 2.1.2.4.1. Tipo I A. Altae 1. Prima fase I codici più antichi di questo periodo sono i Par. Lat. 1994 e 2201 di cui si è già avuto modo di parlare: Petrarca si trova nel periodo in cui l’interesse nei confronti della letteratura teologica è più forte, perciò i codici letti ch legge con maggiori assiduità e interesse sono proprio quelli di contenuto religioso. Le forme della manicula del decennio precedente sono direttamente legate alle numerose evoluzioni della manicula degli anni ’50. La morte dell’alta del Tipo I è fissata intorno alla seconda metà del decennio circa, mentre è assolutamente certo che essa non sopravviva al periodo successivo: il Par. Lat. 5150, entrato nella biblioteca petrarchesca intorno 1360 per motivazioni che verranno in seguito specificate, è il codice di riferimento per il prossimo paragrafo e non presenta alcuna manicula a quattro dita. Una volta che sono stati generalmente delimitati i confini temporali del Tipo I, si definiscono quindi le discriminanti per la classificazione dei vari esempi, le caratteristiche di base delle altae e delle longae, quindi l’unghia, la manica, la forma della mano. Il primo segno che apre il decennio appartiene a un codice già postillato durante i due decenni precedenti, il Par. Lat. 2201, ed è vergato sul f.11r (fig.38) (50x3,5 mm). Si tratta di una delle cinque maniculae composite caratteristiche del codice, in parte concentrate intorno alla seconda decina di fogli (ff. 19v – fig.2, 31r – fig.12, 53r – fig.15, 15v – fig.24) che corrispondono alla sezione finale del “De anima” di Cassiodoro e parte del “De vera religione” di S. Agostino. Figura 38 Par. Lat. 2201, f.11r Sia questa che la manicula di f.46r (2) (fig.27), con cui si è chiuso il discorso sull’alta precedente, sono segni dritti, con indice di media lunghezza, spesso e unghiato; l’unica differenza sta nel 43 L. CHINES, Per Petrarca e Claudiano. prolungamento della manica detextualis con una tripla bombatura intermedia che calca il segno del f.15v (fig.24). Tra i due segni non esistono grandi differenze effettive se non che sono manoscritti, quindi ognuno di essi è un unicum mai perfettamente riproducibile: i marginalia sono frutto non solo di una mano che disegna, ma anche di una testa che pensa e che, di conseguenza, impone i propri moti sul tracciato. I caratteri della mano disegnata sono ancora incerti: l’indice a volte si raddrizza completamente (fig.38) (22x6,1 mm), talvolta assume una curva finale (fig.39) (18x5,2 mm), per tornare infine sottile e curvo; la manica è a volte detextualis, a volte etextualis (a lembo esterno con prolungamento finale a filo come nella fig. 40). Figura 39 Par. Lat. 2201, f.9v Figura 40 Par. Lat. 2201, f.10r L’unica certezza è che comincia ad emergere un nuovo elemento della mano, sino a quel momento ignorato o camuffato in una innaturale curvatura dell’indice: la piegatura della nocca prossima all’indice. Il nuovo angolo emerge timidamente nell’esempio sul f.10r (fig.40) per essere più fermamente sviluppato sui ff.10v (fig.41) (15x5,2 mm) e 13v (fig.42) (13x4,4 mm); la struttura finale è quella della manicula realizzata sul f.25v (fig.43) (14x5,2 mm). Figura 41 Par. Lat. 2201, f.10v Figura 42 Par. Lat. 2201, f.13v Figura 43 Par. Lat. 2201, f.25v Si nota che l’equilibrio faticosamente raggiunto con l’annullamento della linea di forza dell’indice rispetto alle dita piegate, conseguentemente oblique, viene nuovamente incrinato dalla nocca che emerge. La manica della mano continua invece a vacillare tra il tipo etextualis a lembo esterno (fig.41) o interno (fig.42) e detextualis semplice (fig.43) o aperto (fig.39). Il punto d’arrivo di questa fitta postillatura entro la prima metà degli anni ’50 è riassunto dalla manicula realizzata sul f.46r (fig.44) (17x5,2 mm): l’indice è ancora coronato dall’unghia, quasi completamente raddrizzato e in parte irrigidito su uno spessore medio, sebbene la lunghezza del dito sia ancora piuttosto importante; le dita piegate sono ancora di dimensione media, piuttosto bombate; il segno troneggia su una piccola manica etextualis a calice. Figura 44 Par. Lat. 2201, f.46r Le successive maniculae del Par. Lat. 1757 sono piuttosto simili a quelle del 2201; in particolare, l’esempio sul f.27v (fig.45) (12x8,6 mm) si può collocare poco oltre quello in fig.43 per lo sviluppo ulteriore della nocca dell’indice e la riorganizzazione dell’equilibrio della mano, che corrisponde a quello definitivo dell’alta del periodo. A colpire è anche la manica, una detextualis mai vista sino ad ora, ma che ha in questo periodo un discreto successo e che ho definito “slanciata”. Figura 45 Par. Lat. 1757, f.27v Questo segno è particolarmente indicativo soprattutto come guida cronologica: il Par. Lat. 1757 fu vergato dal 1353 e fu probabilmente completato intorno al 1355, quindi si assume il 1355 come limite post quem per i marginalia vergati in esso. Il limite temporale che offre quest’ultima manicula, punto d’arrivo degli esempi precedenti, colloca tutti gli altri esempi del Par. Lat. 2201 prima di esso, quindi lungo la prima metà degli anni ’50. I caratteri dell’alta del Tipo I ci sono ormai tutti e attendono solo di essere maturati: l’indice torna a sporgersi, decentrando il baricentro del segno, le dita piegate tornano ancora ad essere oblique (fig.46) (16x10 mm). Lo sviluppo diverrà compiuto appieno all’interno della seconda metà del decennio, come si può vedere dal confronto con la successiva manicula di f.44v del Par. Lat. 5816 (fig.64). Incuriosisce che in quasi tutte le maniculae analizzate fino ad ora non ci sia alcuna traccia di corsivizzazione: i cambiamenti del segno potrebbero essere quindi imputabili non a mutazioni involontarie di tracciato, piuttosto a una decisione assunta consapevolmente dal poeta, forse nella ricerca di un segno più adeguato a se stesso, uomo in continuo cambiamento. Figura 46 Par. Lat. 2103, f.84v 2. Figura 64 Par. Lat. 5816, f.44v Seconda fase Lo sviluppo successivo del marginalium è condotto dalla piegatura della mano sulla nocca dell’indice: quanto più essa emerge, tanto più il dito assume una posizione obliqua e tanto più le altre si adeguano al movimento, come si può vedere dalla manicula del f.24r (fig.47) (12x15 mm), alla quale sono assimilabili quelle più tarde dei ff.36v sul Par. Lat. 2201 (fig.48) (18x16 mm), 151r sul 1994 (fig.49) (12x14 mm) e 1v sul 7720 (fig.50) (11x13 mm): Figura 47 Par. Lat. 2103, f.24r Figura 48 Par. Lat. 2201, f.36v Figura 49 Par. Lat. 1994, f.151r Figura 50 Par. Lat.7720,f.1v Il segno di fig. 47 è tuttavia più angoloso rispetto a quello di fig.46: l’indice e le dita piegate s’irrigidiscono totalmente, la manica detextualis torna a essere molto ampia, sebbene non debba accogliere alcuna postilla o marginalia. Il punto d’arrivo di questa seconda fase si colloca successivamente al febbraio del 1356 (limite post quem posto dal codice Par. Lat. 5816 da cui è tratta la manicula in fig.51), probabilmente nel pieno della seconda metà del decennio: l’angolosità della mano è canonizzata, le dita stazionano su dimensioni corte e spesse. Figura 51 Par. Lat. 5816, f.97v B. Longae Il numero delle longae del Tipo I per questo decennio non è tanto consistente quando quello delle altae, motivo per cui non è necessario organizzare il discorso in più di una fase. Le discriminanti di riferimento sono ancora una volta la lunghezza dell’indice, delle dita piegate, spessore del segno, angolo e inclinazione della mano, nonché, in pochi casi, anche della forma dell’unghia. Date queste premesse, è subito evidente il fatto che questo tipo di manicula si presenta con una discreta soluzione di continuità rispetto agli esempi del paragrafo precedente: in primis l’angolo della mano avvicina il segno agli anni ’40 piuttosto che a una fase così tarda, secondo l’esempio che ho collocato nella fascia alta del periodo osservabile sul f.112r del Par. Lat. 2103 (fig.52) (7,9x17 mm). La figura dimostra che l’inclinazione manifesta un ritorno al vecchio segno (fig.28), anche se tracciato, caratteristiche morfologiche, inchiostro, sono mutati. Figura 28 Par. Lat.2301, f.91r Figura 52 Par. Lat. 2103, f.112r Questa manicula ha un ductus posato, mentre l’unica longa accolta dal Par. Lat. 1994 ha caratteristiche simili, tuttavia ha un tracciato corsivo (fig.53) (14x18 mm): Figura 53 Par. Lat. 1994, f.88v L’angolazione della mano tende ad appiattirsi sempre di più fino a scomparire quasi del tutto, come nelle figg.54 (5,5x18 mm) e 55 (3,7x14 mm); oppure il segno mantiene comunque una leggera inclinazione, (fig. 56) (6,4x11 mm). Un’altra peculiarità sia delle altae, sia delle longae (anche se maggiormente le longae riportate nella pagina successiva) del Par. Lat. 1757 è l’unghia di forma appuntita che deroga alla normale tonda. Le maniculae delle figg. 54 e 55 sono state eseguite quasi contemporaneamente tra loro, con ogni probabilità: la forte convergenza delle caratteristiche morfologiche del segno, il tratto e la tonalità dell’inchiostro distanziano questi segni da quello della fig.56, che è da ritenersi precedente. Tra i primi due esempi e quello di fig.56 esiste infatti una discreta differenza di inclinazione a favore dell’ultimo; secondo quanto prima detto, la mano del Par. Lat. 5816 dovrebbe essere collocata in un’altezza cronologia più antica rispetto agli altri due esempi, tuttavia, l’assenza dell’unghia che si nota dal 1356 circa già nell’alta (vedi sopra) m’induce a pensare per l’ultima a una collocazione ancora successiva. Figura 54 Par. Lat. 1757, f.5r (2) Figura 55 Par. Lat. 1757, f.5v Figura 56 Par. Lat. 5816, f.107v 2.1.2.4.2. Tipo II A. Altae Altae del Tipo II cominciano a comparire solo intorno alla metà degli anni ’50: il primo esempio è una manicula tracciata sul Par. Lat. 1757, f.25v (fig.57) (15x8,6 mm). Le caratteristiche morfologiche del segno unghiato lo accostano a quello realizzato durante il decennio precedente sul Par. Lat. 6280, f.3r (fig.18), che probabilmente suscitava ancora interesse in Petrarca, se condizionava la realizzazione di aides-mémoire successivi al nucleo principale. Figura 57 Par. Lat. 1757, f. 25v Figura 18 Par. Lat. 6280, f.3r Pur traendo la sua ragion d’essere dal segno di riferimento, la manicula del Lat. 1757 denuncia nell’equilibrio della mano e nella manica una metamorfosi: dalla fig.57 emerge ancora la detextualis “slanciata”, mentre dalla fig.58 emerge la nuova etextualis “lapidea”. Figura 58 Par. Lat. 7720, f.89 (4) Le caratteristiche morfologiche del segno del f.54r (fig.59) (16x12mm) sul Lat. 2103 sono invece poco più tarde, ma non pienamente appartenenti alla seconda metà del decennio: la mano mantiene generalmente lo stesso baricentro, l’indice è più lungo e sottile, mentre le altre dita, l’ultima soprattutto, sono realizzate un po’ alla rinfusa, velocemente e senza un criterio preciso. Il ductus del segno è quindi molto corsivo, tuttavia le caratteristiche fisiche permettono comunque la collazione con il segno sul foglio 24r del Tipo I realizzata sullo stesso codice (fig.47), quindi presumerne la contemporaneità: Figura 59 Par. Lat. 2103, f.54r Figura 47 Par. Lat. 2103, f.24r Le evoluzioni del Tipo II derivano da quelle del Tipo I: come nella classe precedente le variazioni dell’alta tendevano a mettere sempre più in evidenza la piegatura della mano in corrispondenza della nocca dell’indice, così accade anche nel gruppo ora analizzato. La mutazione parallela della manicula è evidenziata dal secondo segno analizzato per il Lat. 2103 sul foglio 30v (fig.60) messo a confronto con quello del f.1v del Par. Lat. 7720 (fig.50): e come questa è databile alla metà del decennio circa, così si può datare quella della fig.58. Figura 60 Par. Lat. 2103, f.30v Figura 50 Par. Lat. 7720, f.1v Nella seconda metà del decennio l’assestamento della mano da una forma curva a una ancora angolosa è seguito da quello dell’indice che torna ad accorciarsi e ispessirsi, mentre si conservano l’unghia, le dita piegate piuttosto bombate e una manica detextualis meno slanciata. Dall’analisi del Par. Lat. 5816 e del 7720 colpisce soprattutto il numero molto più alto rispetto a tutti i periodi precedenti di maniculae, suddivisibili in quattro gruppi in ragione dell’inclinazione della mano (da obliqua a diritta) e della piegatura dell’indice (da tonda ad angolosa): Gruppo 1: (7720) f.14r (fig.61); Gruppo 2: (7720) ff.91r, 91r (2) (fig.62), 91v, 100r, 101v 82), 104v (3), 109v, 110r, 115v; Gruppo 3: (5816) ff.75v (fig.63), 99v; Gruppo 4: (5816) ff.44v (fig.64), 45v, 53v (2), (7720) 72v, 87v, 90v, 101v (3). Figura 61 Par. Lat. 7720, f.14r Figura 62 Par. Lat. 7720, f.91r (2) Figura 63 Par. Lat. 5816, f.75v Figura 64 Par. Lat. 5816, f.44v B. Longae A differenza delle altae, le longae non si formano integralmente durante gli anni ’50, poiché alcuni accenni più o meno timidi si possono far risalire alla metà del decennio precedente circa (Par. Lat. 2103 e 1194). Già in precedenza si è avuto modo di dire che le evoluzioni del Tipo II corrono di pari passo con quelle del primo, quindi i riferimenti cronologici si attingono proprio da quanto detto in precedenza. All’interno del corpus di codici da me presi in esame, la prima manicula a cinque dita è stata rintracciata proprio all’interno del 2103, sul f.54r (2) che presenta dita più lunghe rispetto al 1994. Figura 65 Par. Lat. 2103, f.54r (2) Il dito è lungo, sottile, flesso, come gli esempi di cui si è avuto modo di parlare in precedenza; i mutamenti successivi sono i medesimi della longa del Tipo I: l’indice perde la flessione finale per irrigidirsi, quindi si accorcia (fig.67) e aumenta leggermente di spessore (fig.68); l’angolo si riduce gradualmente (fig.69). Figura 66 Par. Lat. 2103, f.67r(2) Figura 67 Par. Lat. 1994, f.178v Figura 68 Par. Lat. 1994 f.73v Le caratteristiche appena descritte sono mantenute ancora per buona parte della prima metà degli anni ’50, come si può vedere nelle maniculae del codice Par. Lat. 7720 (figg.69 e 70): Figura 69 Par. Lat. 7720, f.88r Figura 70 Par. Lat. 7720, f.89r Il codice 7720 della collezione parigina è fittamente postillato, quindi il numero importante di maniculae vergate su di esso viene in aiuto per chiarire i passaggi che trasformano il segno uscente dal decennio precedente nella tipologia tipica del nuovo decennio. La piegatura della mano si riduce gradualmente e perde angolosità per assottigliarsi (fig.71): Figura 71 Par. Lat. 7720,f.3r Già dalla metà e a proseguire per tutta la seconda parte del decennio la mano ha appiattito quasi completamente l’angolo di piegatura, ma mantiene una leggera inclinazione, variabile a seconda del rapporto tra mano e margine. L’indice ha perso ulteriormente spessore (fig.72), mentre in alcuni casi arriva ad allungarsi notevolmente (fig.73), pur essendo generalmente mantenuta la lunghezza degli esempi delle figg.66, 67 e 68. Solo in alcuni casi l’unghia non è presente, ma l’esiguo numero di casi non lascia supporre una scelta precisa, così ipotizzo una casualità, poiché l’assenza dell’unghia non è canonizzata nel decennio successivo. Figura 72 Par. Lat. 1757, f.1v Figura 73 Par. Lat. 1757, f.40r I mutamenti della longa della classe del periodo non devono essere analizzati solo da un punto di vista morfologico, poiché le variazioni del segno sono le stesso del parallelo Tipo I, ma anche stilistico delle scelte operate nella loro realizzazione: le poche figure apposte evidenziano che il motivo alla base della genesi di questo Tipo II è la corsivizzazione del segno, giacché il quinto dito è perfettamente equilibrato dalle altre: la scelta stilistica di Petrarca è assunta consapevolmente. Anche lo stile adottato in alcuni codici assume talora alcune particolarità che lo isolano dagli altri: non tanto nel corpus degli anni ’40 (1994, 2103), quanto dagli anni’50 (dall’inizio 7720 e 6802, 1757 verso la metà del decennio, all’ultimo 5816, fatto copiare nella seconda metà del decennio e i precedenti 2201 e 6280). Le poche maniculae del 1994 sono state realizzate in due periodi, a giudicare dalle caratteristiche morfologiche: il più antico è ascrivibile ala seconda metà degli anni ’40 (esempi sui ff.37v (2), 121r, 152r), mentre quelle più tarde si fanno risalire agli anni ’50. Lo spessore medio delle dita è medio-spesso, in particolare l’indice che si assottiglia solo in prossimità dell’unghia, mentre le altre dita conferiscono al segno un aspetto generalmente “bombato”, un po’ rozzo, senza alcuna finalità decorativa, forse dovuta al ductus corsiveggiante (fig.74): Figura 74 Par. Lat. 1994, f.73v Le maniculae del Tipo II sono realizzate sui ff.37r (2) 73v, 121r, 150r* 44, 150r (2)*, 152r, 168v, 178v, 180v, 180v(2), 180v(3), 180v(4), 180v(5). Anche sul codice 2103 le mani sono poche, vergate per un numero limitato di fogli in periodi diversi (un esempio appartiene addirittura alla seconda metà degli anni ’50 45), con ductus altrettanto difforme: talora posato e di consistenza filiforme (fig.75), a volte corsivo e tremolante (fig.76). Figura 75 Par. Lat. 2103, f.54r (2) Figura 76 Par. Lat. 2103, f.90r Le maniculae del Tipo II sono realizzate sui ff.54r (2), 67r, 67r(2), 67r(3), 84r, 90r, 104r del Par. Lat. 2103. 44 Le maniculae con asterisco sono senza unghia. 45 Cfr. f.84r con i codici 2201, f.92v(2) 5816, 6802. Pure difforme nelle caratteristiche morfologiche è il consistente gruppo del 7720, di cui alcune maniculae sono collocabili agli inizi, altre durante la prima e altre nella seconda metà degli anni ’50. Le dita sono generalmente sottili e terminano con l’unghia tondeggiante, la manica detextualis secondo una variante della tipologia “ondulata” (fig.77): slanciata e a ondulazione finale del lembo, è realizzata con rapidi tocchi di penna. Questa variante, introdotta in questo periodo, viene pure usata, in un caso, sulla manica etextualis (fig.78), la variante “a spatola” (fig.79) è derivata dal “lembo interno”, sebbene la fine della manica sia chiusa da un tratto curvo e non più retto; ambedue sono adottate anche in altri codici durante il decennio. Figura 77 Par. Lat. 7720, f.88r Figura 78 Par. Lat. 7720, f. 89r(2) Figura 79 Par. Lat. 7720, f.119r Le maniculae del Tipo II sono realizzate sui ff.3r, 3v, 3v (3), 4v, 14r (2), 78r, 80r, 85r, 88r, 89r, 89r (2),, 89r (3), 90v, 90v (2), 90v (4), 91v, 97r, 100r (2), 101r, 101 v, 102r, 104v, 104v (2). 112r, 114r, 114r (2), 115r, 116r, 119r. Il successivo è uno dei codici più particolari nello stile: come tutti i codici acquisiti durante gli anni ’50, il 1757 è consistentemente postillato in un periodo limitato a pochi anni: il tracciato, l’inchiostro, il ductus lascerebbero supporre una certa contemporaneità tra i vari esempi. Le maniculae qui prese in esame sono tutte molto sottili, posare e di tracciato filiforme; al contrario di tutti gli altri codici, le unghie sono nella maggior parte dei casi appuntite e rendono perfettamente l’idea di “uncini della memoria” 46, mentre le maniche sono variamente decorate: nei primi fogli del codice viene scurito il lembo di abito più esterno con tratti obliqui di penna (fig.80), in alcuni casi (ff.2v, 3r e 3v) si accenna a una doppia manica squadrata (fig.81) che non verrà più ripresa successivamente, mentre in altri la realizzazione delle etextuales è vivacizzata delle pieghe dell’abito (figg.82 e 83). Figura 80 Par. Lat. 1757, f.2r (2) 46 Vedi nota 18. Figura 81 Par. Lat. 1757, f.3r Figura 82 Par. Lat. 1757, f.13r Figura 83 Par. Lat. 1757, f.56r Le maniculae del Tipo II sono realizzate sui ff.1v, 2r, 2r (2), 2v, 3r, 3v, 4r, 5r, 6r, 6v, 7v, 11r, 13r, 19v, 20r, 20r (2), 22v, 25r, 31r, 39r, 40r, 43v, 45v, 46v, 49v, 50r, 56r, 57r, 57r (2), 57v. E’ possibile fare un discorso unico per quanto riguarda i codici 2201 (fig.84) , 6280 (fig.85) e 6802 (fig.86), dato che le caratteristiche stilistiche sono molto vicine tra loro: in tutti e tre i codici la mano presenta una lieve piegatura lungo la nocca della mano e il disegno parte da uno spessore consistente per terminare in un indice sottilissimo coronato da un’unghia tonda; la manica è una detextualis molto slanciata con sbuffi finali. Il segno, pur essendo rozzo, non presenta ductus corsivo, e gli esempi disseminati nei vari codici sono troppo simili perché giustifichino questa somiglianza con un semplice comunione di tracciato. Figura 84 Par. Lat. 2201, f.33r Figura 85 Par. Lat. 6280, f.29v Figura 86 Par. Lat. 6802, f. 54v Ancora per quanto riguarda l’ultimo codice, la manicula tracciata sul foglio 270r rappresenta un unicum (fig.87): è infatti l’unica mano vista dalla prospettiva del palmo piuttosto che quella del dorso, quindi cui si vedano le dita piegate e le rispettive unghie. La manica è un esemplare unico: il polso sembra fasciato da una maglia a rete circondata da foglie di viticcio; intorno al polso, segni che non sono ben riuscita ad identificare, forse il prosieguo dell’abito sotto e una decorazione a giglio alla destra della mano. Pur in questa tipizzazione unica, il pollice non è ancora accennato, anzi, l’unico dito realmente preso in considerazione è il pollice. Sebbene le caratteristiche di questo segno particolare non mi hanno suggerito una petrarchesche, Fiorilla lo attribuisca invece al poeta 47. 47 M. FIORILLA, Marginalia, p.26. Figura 87 Par. Lat. 6802, f.270r Per il 2201 le maniculae del Tipo II sono realizzate sui ff.33r, 33r (2), 33r (3), 42r; per il 6280 sul f.29v; per il 6802 gli esempi che ho ricavato dal contributo di Fiorilla sono sui ff.54v e 270r. Infine, l’ultimo nutrito insieme di marginalia a forma di mano del decennio appartiene al codice 5816. La mano è molto lunga pure in questo caso, tuttavia perde anche l’ultimo accenno di angolazione per realizzare un segno dal dorso di medio spessore che si restringe raggiungendo le dita, l’indice in particolare. Le particolari dita piegate sono notevolmente lunghe e segnano a fondo la mano, mentre la manica si riduce a delle semplici detextuales (fig.88). Figura 88 Par. Lat. 5816, f.57r Solo una presenta una manica più decorata, una etextualis che accoglie complicate volute di stoffa che la accostano più una mano che nasce da un fiore, piuttosto che da un vestito, che prosegue lo sperimentalismo già avviato sul 7720 (fig.89). Figura 89 Par. Lat. 5816, f.16v Le maniculae del Tipo II sono realizzate sui ff.7v, 7v (2), 11r, 14v, 14v (2), 16v, 24v, 25v, 26v, 27r, 39r, 44r, 49v, 52v, 53v, 57v, 58v, 61v, 68r*, 92r*, 92r (2), 98v, 109r. Tabella 5 ALTA LONGA Tipo I Numero di dita 4 4 Presenza dell’unghia Si Si Detextualis: Manica a lembo interno; a lembo esterno; aperta; slanciata. Detextualis ed etextualis etextualis. 1° periodo Forma della mano Indice appiattito, mano raddrizzata, emerge la piega della mano L’angolo si appiattisce, le dita si assottigliano, la mano dritta s’inclina secondo le esigenze. Tabella 6 Tipo II Numero di dita 5 5 Presenza dell’unghia Si Si Detextualis: a tratto verticale slanciata; Detextualis; Manica ondulata. etextualis: Etextualis: lapidea. a spatola; a doppia manica; decorate varie. Forma della mano Come il Tipo I Tabella delle caratteristiche della manicula degli anni ‘40 Come il Tipo I 2.1.2.5. Quinto periodo. Maniculae tarde La ricca postillatura del decennio precedente non ebbe seguito in quelli successivi: il numero di esemplari che si possono far risalire agli anni ’60 o ’70 sono pochissimi. L’unico codice sicuramente annotato da Petrarca tra gli anni ’50 e gli anni ’60 48 è il Par. Lat. 231849, realizzato in Italia durante l’XI secolo e contente i “Synonima” di Isidoro, da cui ho estratto la manicula in fig.90: Figura 90 Par. Lat. 2318, f.44r Da quest’unico esempio sulla casistica analizzata, posso trarre solo conclusioni stilistiche molto generiche circa la morfologia del segno: sebbene quest’unica manicula presenti quattro dita ed indice non unghiato, non sono in grado di affermare con sicurezza che il modello per gli ultimi due decenni di vita di Petrarca si presenti con forti soluzioni di continuità rispetto al periodo anteriore. Come già affermato in precedenza, è necessario operare studi su un corpus petrarchesco ben più ampio per risolvere appieno la trattazione storico-morfologica del segno. 2.1.3. Rapporto tra Petrarca e le maniculae Il primissimo segno analizzato e che risale al 1325 circa, secondo l’interpretazione di De La Mare, è la prima pietra su cui poggia uno studio la cui precipua importanza non insiste sull’identificazione della mano di colui che indica, quanto sul fatto che esso stesso costituisca uno dei possibili nodi di influenza grafica. Tra gli scritti di Petrarca non vi sono infatti indizi o tracce che lascino attribuire le maniculae a questo o quel personaggio o al poeta stesso: l’unica soluzione possibile è infine considerare il segno come evocazione di un modello generico di particolari risvolti psicologici. La manicula è un marginalium: prima ancora di comprendere quale sia il fine per cui Petrarca ne facesse uso, si deve inquadrare la sua percezione dell’intervento sul testo, soprattutto dell’annotazione. In effetti, si potrebbe scorgere un indizio nel seguente passo del Secretum: «Quod con intenta tibi ex lectione contigerit, imprime sententiis utilibus (ut incipiens dixeram) certas notas, quibus velut uncis memoria volentes abire contineas. Hoc equidem presidio consistes 48 49 A. C. DE LA MARE, Handwriting, p. 15, nr. 28. E. PELLEGRIN, La Bibliothèque, p. 107; ID.(2), Manuscrits p. 275-276, tav. XII (c. 35r). immobilis cum ad versus cetera tum contra animi tristitiam, que umbra velut pestilentissima virtutum semina semina et omnes ingeniorum fructus enecat» 50 La conoscenza sembrerebbe quasi costituita da numerosi frammenti, come tasselli di un mosaico da allineare ed ordinare in una faticosa operazione di deduzione ed induzione, per realizzare infine un’immagine intelligibile. Conscio della facile volatilità della memoria umana, Petrarca propone a sé stesso di ricorrere a uno stratagemma per fissare la memoria: trascrivere delle sententiae, delle frasi interpretative brevi o lunghe. La ragion d’essere delle postille e dei marginalia trova radice nella necessità di allargare quanto più possibile questi memoriae loci e al contempo organizzarli gerarchicamente: i risultati di uno studio senza alcuna disciplina sono gli stessi di una totale mancanza di apprendimento. Basti parlare di Temistocle, di cui il poeta legge in Cicerone 51 e che viene citato nei Rerum memorandarum52: l’ateniese ricorda ogni cosa veduta o ascoltata, possiede una mente straordinariamente recettiva, sebbene non disciplinata. Questa fecondità prodigiosa, tuttavia, è vissuta come causa di fatica e sofferenza più che di gratitudine, poiché il dono lo porta ad avere la mente continuamente stipata di immagini. Secondo quest’interpretazione, si potrebbe dire questo tipo di interventi segnali quasi una strada alla memoria che il poeta elegge a via principale per i successivi viaggi ad essa. L’idea che la mente fosse organizzata in spazi, settori, memoriae loci non è solo di Petrarca: lo spazio mentale come patrimonio di cui avere cura era pure di molti studiosi pure posteriori al poeta 53 . L’ateniese Temistocle è l’esempio che il poeta addita come estremo negativo: pur possedendo moltissime “stanze mentali”, egli non è in grado di gestirle, quindi non può accedere liberamente ad esse. 50 F. PETRARCA, Secretum, II, p.196; 51 M. T. CICERONE, De oratore, II, 74, 299 – 300, p. 410, «Ita apud Graecos fertur incredibili quadam magnitudine consili atque ingeni Atheniensis ille fuisse Themistocles; ad quem quidam doctus homo atque in primis eruditus accessisse dicitur eique artem memoriae, quae tum primum proferebatur, pollicitus esse se traditurum; cum ille quaesisset quidnam illa ars efficere posset, dixisse illum doctorem, ut omnia meminisset; et ei Themistoclem respondisse gratius sibi illum esse facturum, si se oblivisci quae vellet quam si meminisse docuisset. […] cum quidem ei fuerit optabilius oblivisci posse potius quod meminisse nollet quam quod semel audisset vidissetve meminisse». 52 F. PETRARCA, Rerum Memorandarum, II, 9, 3, «Visa quidem auditaque omnia memorie herebant, et idcirco non tam novis sarcinis urgere quam turba rerum innumerabilium pregravatum pectus exhonerare cupiebat». 53 L. DOLCE, Dialogo, pp. 39 – 43, «D’intorno al numero [scil. dei luoghi di memoria], non altrimenti di quello che hanno fatto gli altri moderni, che in ciò hanno buona openione, non solo è mio parere che se ne abbiano a ordinar dugento, o cinquecento, o di altro certo diterminato numero, ma che faccia mistiero di assaissimi; in guisa che, facendosi bisogno ricordarci di molte cose, abbiamo a porre in molti luoghi molte imagini: come fanno gli scrittori che, avendo a fare una lunga scrittura, prendono un maggior foglio di carta o, quando un foglio non basti, vi aggiungono molti fogli. E chi molto legge, è mistiero che volga diversi volumi. Ecco lo esempio di Seneca. Il quale non avrebbe potuto recitar due mila versi (sì come egli scrive di se stesso, e di Porzio Latrone nel proemio delle Declamazioni) se egli non fosse stato aiutato dalla moltitudine de i luoghi. E di qui il beato Tomaso di Aquino ci conforta ad aver molti luoghi. Il quale fu seguito da alcuni belli intelletti, che furono dopo lui et a questi tempi: come dal Petrarca, da Pietro da Ravenna, da Giovanni [di] Michele, da Matheolo Veronese (altrimenti Perugino, come piace ad alcuni), da Sibuto, da Chirio, e da molti altri che non volsero in ciò accostarsi a Cicerone». L’intento del poeta è chiaro: moltiplicare gli spazi della mente e favorire l’accesso ad essi. Da qui si comprende finalmente il ruolo che i segni di attenzione rivestono in qualità di strumento organizzativo dei memoriae loci. Petrarca non manca di sottolineare le fatiche che pure si annidano dietro questa mirabile e altrettanto rilevante opera: nel passo sopra citato gli interventi al testo sono descritti come un uncino, altrove come “aculei” 54 . Come segnala Torre 55 , i marginalia, questi interventi extratestuali, agiscono sia a livello mentale poiché intaccano la struttura originaria dei pensieri fino a costituirne una nuova, ma anche a livello fisico per il loro agire sul testo stesso, alterandone la consistenza originale. E’ noto l’amore che Petrarca nutriva nei confronti dei libri, sia che fossero oggetti di squisita fattura o prodotti ben più modesti, come osserva Rico, benché potessero offrirgli insegnamento56: «Petrarca non poteva non venerare il libro come oggetto quand’era di limpida calligrafia, in buona pergamena e, possibilmente, riccamente adornato, come il monumentale Virgilio dell’Ambrosiana che egli fece illustrare a Simone Martini. Ma non disdegnava neppure un codice in cattive condizioni [...], se aveva qualcosa da insegnargli». Un amore che talvolta si spinge al limite della malattia 57 ma mai al collezionismo più puro: Petrarca non accumulò una delle biblioteche private più ampie dell’epoca per il puro gusto del possedere, che anzi disprezzava58. Il libro è per il poeta un oggetto di cui avere cura, tanto che, quando in cambio di un buon rifugio dalla peste e dalla guerra che minacciavano di dilaniare Padova, offrì al Maggior Consiglio della Serenissima quella vasta biblioteca sapientemente accumulata sin da giovanissimo, imponendo quale rigida condizione che il lascito non venisse mai smembrato e che trovasse anch’esso dimora stabile ed accogliente a Venezia59. La cura che il poeta versa nei libri lo porta talvolta ad una vera e propria personalizzazione del testo perché evocano le voci degli autori con cui intrattiene alla pari un dialogo intenso: basti pensare a quando condivide 54 F. PETRARCA, Rerum Memorandum, II, 35, 3, p.67, «Si quidem et veteres comici, ut Cicero ait, ‘cum illi maledicerent – quod tunc Athenis fieri licebat –, leporem’tamen melle dulciorem in labris eius ‘habitasse dixerunt, tantamque in eo vim fuisse ut in eorum mentibus qui illum audissent quasi aculeos quosdam relinqueret». 55 A. TORRE, Fra un virtuoso oblio e una memoria divina, p.13, «Le immagini dell’uncino e dell’aculeo esprimono dunque con efficacia tanto la dimensione fisica di segno inciso propria della glossa (un segno che interviene sulla pagina manoscritta per estrapolarne lacerti testuali da evidenziare all’attenzione generale), quanto la funzione ritentiva espletata dalla facoltà memoriale: le res memorandae possono infatti essere conservate integre a lungo solo se riescono ad ancorarsi con forza alla mente segnandola in profondità, ovvero potenziando con la reazione psicofisica che ogni immagine di memoria suscita (metaforicamente, la ferita dell’uncino nella memoria-mente-carta) la capacità del ricordo di penetrare a fondo nella mente umana.». 56 F. RICO, La Biblioteca di Petrarca, p.229. 57 Riporto la citazione di F. Rico in La Biblioteca del Petrarca, p. 229, di F. PETRARCA, Familiares, III, 18: «Sono dominato da una passione insaziabile […]. Non mi sazio mai dei libri. Eppure, ne ho più del bisogno; ma accade dei libri come delle altre cose: il riuscire a fare danaro è sprone all’avarizia». 58 F. PETRARCA, Familiares, cit.: «danno un piacere muto e superficiale». Anche in questo caso ho attinto la citazione dello stesso passo di Petrarca da F. Rico. 59 Vedi atti della seduta del Gran Consiglio veneziano del 4 settembre 1362. con Cicerone i piaceri dell’otium presso Valchiusa60, o risponde ad Apuleio che anche lui amava il mare61. Tornando ai marginalia, si troverebbe finalmente la giustificazione alla violenza dell’intervento sul testo proprio nella devozione che Petrarca rivolge ad essi: egli ama i libri perché hanno qualcosa da insegnargli. Chiose, glosse, interventi figurativi, preghiere scritte sulle guardie e sui margini non sono altro che colorite risposte alle affermazioni degli autori. Il caso delle manicula è tuttavia ben più complesso: pur rientrando pienamente all’interno della parabola colloquiale con il testo, si deve aggiungere che, nondimeno, si tratta di un intervento figurativo, con tutte le implicazioni del caso. Come mette in luce Maria Cecilia Bertolani 62 sulle base delle riflessioni degli storici d’arte Venturi e Longhi, Petrarca possiede una propria estetica che lo induce a rifuggire qualsiasi forma di ambiguità che generi incomprensione o polivalenza di significato: il poeta non arriva mai a servirsi dell’allegoria, prediletta invece da Dante. La sua è anche un’estetica che rifiuta gli eccessi della scrittura gotica che non apprezza per pesantezza e mancanza di ariosità 63 : suo è il bisogno di codificare un linguaggio personale e autentico per la lettura e lo studio, ma non arriva ad elaborare nuove soluzioni. Egli preferisce piuttosto muoversi su elementi a lui precedenti, forse tradizioni, forse omaggi a singoli studiosi con cui si rapporta, ma resta il fatto che non crei nulla di nuovo, né che tenti di realizzare interventi puramente disegnativi 64. Dopo aver compreso che il poeta non realizza altrimenti interventi disegnativi, torna ancor più vivo l’interrogativo circa la manicula: perché la scelta della mano? Ancora una volta nei suoi scritti non v’è traccia delle ragioni alla base di questa soluzione, quindi occorre procedere per deduzione. Il marginalium della mano poteva essere un segno diffuso, da quanto si è potuto arguire dall’esempio sul codice di Padova comprato nel 1325, tuttavia Petrarca ne avrebbe scelto l’adozione 60 F. PETRARCA, Familiares, XII, 8, 4, (a Lapo di Castiglionchio, 1 aprile 1352), p.475, «Delectari itaque michi visus est Cicero et cupide mecum esse». 61 «Michi», risponde infatti Petrarca, come segnala F. Rico, cit. 62 M. C. BERTOLANI MARIA, Dall’immagine all’icona, p.184, «Tuttavia, se Petrarca non può forse essere considerato un critico figurativo o uno storico della letteratura (opposto una volta di più con eccessiva facilità a Dante che, con il “ridon le carte” di Oderisi, fonda, sono parole di Longhi, «la nostra critica d’arte»), non per questo si può sostenere che il poeta “non intendeva quella lingua”. Era anzi un linguaggio, quello dell’arte e più in generale delle immagini, che Petrarca intendeva bene, ma di cui diffidava, con quelle ambivalenze e negazioni che sono a loro volta il segno di un’attrazione e di una comprensione ». 63 F. PETRARCA, Familiares, XXIII, 1: «quas tu olim illius manu scriptas […] aspicias, non vaga quidem ac luxurianti litera (qualis est scriptorum seu verius pictorum nostri temporis, longe oculos mulcens, prope autem afficiens ac fatigans, quasi ad alium quam ad legendum sit inventa, et non, ut grammaticorum princeps Priscianus ait, litera quasi legitera dicta sit), sed alia quadam castigata et clara seque ultro oculos ingerente, in qua nichil ortographicum, nichil omnino grammatice artis amissum dicas». 64 Nella biblioteca petrarchesca si rilevano interventi figurativi solo sul Laur. 66, I, Par. Lat. 6802 e 8082, sui quali esiste una panoramica piuttosto dibattuta all’interno; per saperne di più, cfr. M. FIORILLA, Marginalia; in virtù di una certo pragmatismo. Riproducendo una mano, il segno dà infatti corpo all’esigenza di segnalare un passo di un testo al pari di quanto potrebbe fare un maestro, un altro studioso, lo stesso lettore che viene in soccorso a sé. L’unico altro elemento su cui ci si possa basare, a questo punto, è il numero di esempi che ho constatato nel corpus: ammettendo la parzialità dell’indagine, condotta per il periodo che va dagli anni ’30 agli anni ’60 circa con una scelta limitata rispetto al totale dei codici che furono posseduti e letti dal poeta, ho potuto constatare che il periodo più fecondo è quello ascritto tra gli anni ’40 e la fine degli anni ’50, quando Petrarca aveva già raggiunto il proprio acme e si trasferisce più frequentemente. Questi pochi elementi passati al vaglio potrebbero far concludere, ancora per via puramente ipotetica, che la manicula non sia altro che l’incarnazione della voce del poeta e degli autori con cui Petrarca entra in contatto contemporaneamente, in un dialogo che, nel tempo, è sempre più consapevole di sé. Lo spazio tra Petrarca e il testo diminuisce ed è inversamente proporzionale al contatto che il poeta stabilisce con il mondo esterno: a poco a poco questi si rifugia in una ricerca sempre più interiore, per rifiutare il mondo esterno. L’otium presso Valchiusa, il rifugio che questo locus amoenus rappresenta per il poeta ne è segnale. 2.2. Graffe 2.2.1. Caratteri generali Citando Fiorilla, cui si deve il merito di aver realizzato il primo contributo sui marginalia figurati, sebbene limitato al solo Petrarca, si può dire che “il segno di graffa più usato da Petrarca in margine ai suoi codici ha la forma di un “fiorellino”, costituito da due, tre o quattro puntini seguiti da un tratto discendente dritto o variamente ondulato” 65. In nota Fiorilla aggiunge che il tipo di graffa non è unico: Petrarca non fu il solo a servirsene, dacché molti altri studiosi nel Tre e Quattrocento la riprodussero, alcune volte nel preciso intento di imitare il segno del poeta. L’affermazione sintetica dello studioso non esaurisce tuttavia la complessità del segno della graffa petrarchesca: analizziamone quindi le evoluzioni 66. Per calcare ancora la suggestiva affermazione dello studioso, le definizioni del segno che seguiranno associano idealmente la graffa a un fiorellino. Lo studioso ha posto dinanzi in evidenza i due principali elementi della graffa: la “corona di petali” e il gambo su cui essa poggia. Il segno è tracciato indifferentemente sui margini destro o sinistro e generalmente non si discosta troppo dal testo (massimo 10 mm) 67. Gli elementi della graffa petrarchesca che ho riconosciuto sono la corona, il calice, il gambo, la radice. La corona, come si è già detto, è l’insieme di due, tre o quattro punti usati a rappresentare i petali di questo fiore ideale che poggia sul calice. Il calice è poi unito al gambo che termina nella radice. Le discriminanti di questo segno petrarchesco sono le seguenti: 1. tratto; 2. tipo di gambo; 3. lunghezza del gambo; 4. decorazione; 5. inizio e fine; 6. numero di petali; 7. disposizione dei petali. Il tratto descrive tanto la consistenza del tracciato (sottile, medio, spesso, uniforme o contrastato), quanto il modo in cui sia condotto lo strumento di scrittura (ductus). Nel primo caso, si conside- 65 M. FIORILLA, Marginalia, p. 23; in particolare, rimando alla nota 3. 66 Il corpus di codici di cui mi sono avvalsa per l’analisi della graffa appartiene al fondo latino della collezione parigina: sono i manoscritti con segnatura 1617, 1757, 1994, 2013, 2201, 2318, 2923, 4846, 5150, 5816, 6280, 6802, 7720, 7748, 9711 e il Troyes, Bibl. Mun. 552. 67 Tranne in alcuni casi (come nel Par. Lat. 1994, f.107v). ra lo spessore in dipendenza della penna utilizzata, nel secondo della velocità con cui è tracciata la graffa. Rispetto alla corona di petali, la seconda caratteristica definisce invece il movimento che il gambo segue dalla radice al corona: se la radice si trova in basso, il fiore si sviluppa verso l’alto, la corona si trova all’estremità superiore, motivo per cui l’ho definito sursum; viceversa, il segno si sviluppa capovolto e prende il nome di deorsum. Il fusto può essere singolo o doppio, se possiede rispettivamente un gambo o due, come nota pure Fiorilla 68. Nel caso in cui la graffa sia doppia, il secondo gambo è aggiunto al di sopra della corona di fiori e non si parla più di direzione del segno. La graffa pone in evidenza passi brevi se copre una o due righe, medi per tre, passi ampi nel caso di quattro o più. La lunghezza della graffa è una discriminante per il rapporto con cui essa si pone rispetto alla manicula: la prima è inizialmente delineata con l’intento di segnalare passi estesi, sia singolarmente che in rapporto a una postilla; la seconda una sola riga, il più delle volte senza invece accompagnare un intervento scritto. Come si vedrà successivamente, nel tempo l’uso della graffa è tanto consolidato tra le abitudini grafiche del poeta, da segnalare anche poche righe, come prima si è avuto modo di accennare, assumendo anch’essa il compito di segnalare una parola, un passo breve, come già la manicula. Soprattutto se lunghe, le graffe offrono occasione di essere variamente decorate tramite bombature, occhiellature, o ambedue, o, come si avrà modo di vedere, in qualche caso sporadico con ondine. L’ondulazione del segno può essere particolarmente accentuata o meno all’inizio (corona), alla fine del fusto (radice) o in entrambi i casi. A seconda della minore o maggiore vivacità di ondulazione, vi sono i corone “ondulati” o “frastagliati”: la frastagliatura, in particolare, si identifica in un elemento iniziale a s. Inoltre, come suggerisce felicemente la definizione di Fiorilla, sebbene il più delle volte la corona della graffa sia costituita da tre petali, sovente si incontrano esempi a due o a quattro. Nel caso in cui i petali siano tre, sono organizzati secondo uno schema triangolare con vertice rivolto verso l’altro (surgens flos) o verso il basso (sopita flos). La scelta nella definizione delle due situazioni nasce da un motivo temporale: nel primo caso, la sensazione visiva che ho ricevuto era quella di un bocciolo pronto a schiudersi, nel secondo di un fiore in attesa del riposo. Tra tutte, la prima discriminante è quella più tipicamente paleografica, poiché si occupa di caratteristiche tecniche e materiali, quali il modo e il tipo di strumento scrittorio utilizzato (a punta mozza o fina) che condizionano fortemente l’effetto grafico finale. Oltre alle naturali implicazioni sociali di un certo tracciato o tipo di penna utilizzata, una simile informazione costituisce pure un indizio 68 M. FIORILLA, op. cit., p.25: «Verso la metà degli anni ’50 e in età ancor più avanzata, la graffa petrarchesca sembra caratterizzarsi soprattutto per la presenza di un tratto superiore, in aggiunta a quello inferiore, terminante spesso a forma di uncino, con o senza uno svolazzo tondeggiante ulteriore». tecnico che permette di accostare una determinata graffa a una postilla o altri marginalia figurati: ecco quindi la possibilità di stabilire una consequenzialità temporale tra i vari interventi grafici e il rapporto che esiste tra essi, quindi il metodo grafico di studio di Petrarca. Le tre caratteristiche seguenti (lunghezza, decorazione, inizio e fine del gambo) sono di natura strettamente morfologico-figurativa e presuppongono un’analisi accurata del gambo, che si è detto essere una delle due costituenti principali della graffa assieme alla corona di petali, esaminata separatamente per ultime. La direzione del gambo e la disposizione della corona di petali non sono indipendenti tra loro: come si vedrà successivamente, dopo una serie di evoluzioni, il fusto deorsum sarà naturalmente completato da una corona sopita, mentre la disposizione surgens diventa naturale per un orientamento sursum del gambo. Da quanto si è potuto constatare, la graffa è un marginalium molto dissimile dalla manicula. La distanza tra le due non si esaurisce nelle sole differenze morfologiche, ma anche nella maggiore copiosità della prima rispetto alla seconda. Questo fa sì che ogni manicula sia un unicum e giustifichi uno studio caso per caso; il numero più consistente delle graffe impone, invece, un’analisi statistica per tipologie in cui alcuni segni sono elevati a modelli generici. Ancora, come si è accennato all’inizio, la graffa non è un segno vincolato allo spazio in cui è tracciata come è invece la manicula: questi marginalia disegnati sul margine destro non differiscono morfologicamente da quelli realizzati a sinistra del testo. Tra le caratteristiche prima enumerate, non figura quindi l’apposizione sul margine destro o sinistro. Esaminiamo quindi le trasformazioni morfologiche della graffa nei vari decenni delle letture petrarchesche. 2.2.2. Analisi storico –morfologica 2.2.2.1. Primo periodo. Anni ’30 In mancanza di riferimenti visivi anteriori, inizio il mio percorso sull’evoluzione della graffa alla metà degli anni ’30 tramite i codici appartenenti al fondo latino della Biblioteca Nazionale di Parigi con segnatura 1617, 1994, 2201 e 6280 di cui si è già avuto modo di parlare (vedi par. 2.1.2.2.). Il tracciato filiforme, in alcuni casi quasi impercettibile, descrive un gambo rozzo e diritto, mentre emerge con maggiore evidenza la corona surgens (fig.91): i puntini che costituiscono i petali sono perfettamente tondi, realizzati con un solo tratto di penna. Il fatto che il risultato non sia infine un triangolo di brevi tratti orizzontali o verticali dice che probabilmente il marginalium non sia tracciato in tutta fretta, bensì sia realizzato da una mano posata che segue un disegno preciso. Il rozzo aspetto finale di questa prima, lunga graffa troverebbe una prima giustificazione del ductus rozzo e frettoloso nelle scarse capacità grafiche del giovane poeta, una seconda nella minore attenzione ai tratti decorativi dei marginalia come parte integrante dei suoi libri. Figura 91 Par. Lat. 2201, f.10r(4) Il fatto che la graffa del periodo sia realizzata senza alcun intento o fine decorativo comprende il fatto che per questo primo decennio non si possano constatare complementi ornamentali; l’iniziale poca dimestichezza di Petrarca con uno studio grafico chiarisce il motivo dell’esiguo numero di segni che si rinvengono per il periodo. Già verso la fine del decennio la graffa sursum sorgens è vivacizzata da tremule ondulazioni (fig.92) ed è usata per coprire a margine tratti di testo medi o lunghi. Non sono invece utilizzati segni più corti per il già accennato conflitto tra la graffa breve e la manicula. Figura 92 Par. Lat. 2201, f.36v Dalla fig.92 emerge un ductus ben più corsivo rispetto a quello della fig.91: da quanto appare altrove (figg.93 e 94), l’ondulazione potrebbe essere imputabile tanto a una variazione poi canonizzata, quanto a una scelta legata a un luogo specifico. Figura 93 Par. Lat. 6280, f.31r Figura 94 Par. Lat. 1617, f.65v L’elemento ambiguo è il tipo di penna utilizzato da Petrarca, se esso fosse a punta mozza o fina. Il tracciato del fusto sottile anche nei tratti obliqui è simile ai segni di paragrafo (vedi segno cerchiato in rosso nella fig.95) all’interno del testo da lui realizzati ad apertura delle postille (vedi il par.5), così come il tipo di inchiostro utilizzato. Questi elementi potrebbero porre queste graffe in un rapporto di contemporaneità con le attigue glosse realizzate con lo strumento a punta mozza e avvalorare l’ipotesi dell’uso dello strumento a punta sottile. Figura 91 Par. Lat. 2201, f.10r(4) Figura 95 Par. Lat. 2201, f.10r(4) Come mette in luce Paola Supino Martini 69, Petrarca stabilisce un collegamento tra i coevi modelli usuali e documentari a sua disposizione e quelli librari antichi fino a sviluppare una personalissima scrittura che sostituisse la “pesante” gotica; l’intervento della studiosa fa altresì emergere che il primo tipo, soprattutto, utilizzava lo strumento a punta sottile. Tra le scritture usuali, la mercantesca era una delle più diffuse e, sebbene la Supino Martini non confronti direttamente la scrittura di Petrarca con questa grafia povera, è pur vero che si trattava di una realtà diffusa in un periodo in cui, soprattutto a Firenze, si verificava un incremento della produzione scritta. Conseguenza di questa apertura grafica potrebbe essere stata la contaminazione in altri contesti di scrittura di alcune abitudini, come la variazione di formato, l’uso del libro tascabile, ma anche l’impiego di altri strumenti di scrittura, quale appunto la penna a punta sottile. Nell’elegante scrittura di glossa Petrarca utilizza invece un modello contrastato, distante dal tratto filiforme delle graffe: il poeta scriveva con una penna specificatamente deputata per questo tipo 69 P. SUPINO MARTINI, Per una storia della semigotica, pp. 1-2: «Una ricerca che vado conducendo da qualche tempo mi ha indotto a fissare l’attenzione su scritture librarie attestate almeno fin dai primi anni del Trecento e assimilabili alla semigotica del Petrarca: esse procedono, a mio avviso, da quel filone di usuali e documentarie (la minuscola diplomatica) – strettamente collegate con la libraria, posate e tracciate per lo più con penna a punta sottile e rigida –, da cui era altresì partito il processo di formazione della corsiva e della sua espressione posata e formale, la cancelleresca. Le scritture di queste testimonianze, di cui offrirò qualche esempio qui appresso, non possono considerarsi, per così dire, di tessuto gotico, perché non rispondono al ritmo coesivo e serrato di pochi elementi ripetitivi sapientemente combinati nelle lettere e nelle parole e presentano, invece, un disegno chiaro e disteso delle singole lettere, sia che risultino vergate con penna a punta sottile e rigida, com’è più frequente, sia con penna a punta mozza». di interventi extratestuali che non comprendevano la glossatura o variava impugnava lo strumento di scrittura a punta fina per ottenere il tratto sottile? Tanti gli elementi a favore o contro l’una o altra ipotesi. Per quanto riguarda la prima, si nota che la graffa non è l’unico marginalium ad essere originariamente delineato con una consistenza esile: pure la manicula ha un tratto non contrastato. Inoltre il mutamento di tratto che si osserva alla fine del decennio è tanto netto da lasciare spazio a un’ipotesi simile. Di contro, in questi stessi esempi v’è un leggerissimo accenno di chiaroscuro che non giustificherebbe totalmente l’impiego di uno strumento a punta rigida, ma piuttosto un diverso modo di condurre la penna sul foglio. Sia che Petrarca fosse munito nelle fasi del suo studio di più penne, sia che ne utilizzasse variamente una sola, le prospettive sarebbero comunque interessanti; non intendo tuttavia risolvere il problema in questa trattazione e invito ben più qualificati studiosi a svolgere possibili studi in questa direzione. Tornando alle evoluzioni della graffa degli anni ’30, verso la fine del decennio circa si colloca il graduale passaggio dal tratto sottile a quello contrastato poc’anzi accennato. Dopo un periodo di coesistenza delle due graffe di cui troviamo traccia nei Par. Lat. 2201 (fig.96) e 6280 (fig.97), il tratto prevalente divenne infine quello contrastato: nei codici postillati a partire dagli anni ’40 non c’è più alcuna traccia della graffa sottile. Figura 96 Par. Lat. 2201, f.10r (4) Figura 97 Par. Lat. 6280, f.31r Tabella 7 Tratto Secco Tipo di gambo Inizialmente diritto, poi leggermente ondulato Lunghezza del gambo Media o lunga Decorazione - Inizio e fine - Numero di petali 3 Tipo di petali Surgens Tabella delle caratteristiche della graffa degli anni ‘30 2.2.2.2. Secondo periodo. Anni ’40 Le variazioni che si verificano in questo decennio interessano soprattutto il tratto, come già si è accennato, e il gambo. Sia che Petrarca abbia abbandonato un primitivo strumento di scrittura a punta fina, sia che abbia operato un cambio di mano, la consistenza del tracciato assume un evidente contrasto, soprattutto all’inizio del gambo per scomparire in una radice diritta e molto sottile o a coda. Anche l’ondulazione del gambo, solo accennata alla fine degli anni ’30, è sviluppata a partire da una corona che apre obliquamente il fusto per chiuderlo morbidamente 70. Il numero di petali non differisce del decennio precedente, quindi le trasformazioni interessano soprattutto il gambo. L’analisi di questo decennio insiste ancora sui Par. Lat. 1617, 1994, 2201, 6802, già esaminati nel paragrafo precedente, cui si aggiungono i 2103, 2923 e 7748. Già alla fine degli anni ’30 si è osservata una tremula ondulazione del fusto e, sia che si trattasse di una tendenza, che di una scelta precisa, la curva comincia a scuotere la sezione centrale del gambo in una morbida onda (fig.98). Figura 98 Par. Lat. 2201, f.10r(3) 70 L’attribuzione dell’andamento sinuoso del segno è affermata anche da Fiorilla in Marginalia, pp.23-24: «Il tipo con tratto serpeggiante sembrerebbe caratteristico di una fase di postillatura alta, collocabile tra la fine degli anni ‘ 30 e la fine degli anni ’40». In particolare, Fiorilla riferisce l’analisi alle note stratificare sul Par. Lat. 2193, il Virgilio Ambrosiano, l’Orazio Morgan e il Cicerone di Troyes. Riferisce ancora a questo periodo anche la graffa riportata successivamente alla fig.109, perfettamente in linea con le caratteristiche morfologiche da me isolate per il periodo. La graffa arriva talvolta ad accorciarsi, coprendo una breve zona di testo pari a due righe di testo, raramente una. Come si è già avuto modo di dire, sino a questo momento la graffa era stata un segno lungo: l’introduzione di questa “graffa breve” pone non pochi problemi circa la definizione delle differenze funzionali tra essa e la manicula che tenterò di risolvere in seguito. Per tornare all’analisi morfologica, lo sviluppo della graffa breve e si quella media o lunga è differente: se la prima non subisce particolari metamorfosi, in quanto la brevità del segno lascia ben poco spazio a virtuosismi di tracciato, il marginalium medio o lungo è ben più ricco di ornamenti. Attraverso l’analisi dei manoscritti ho notato che la graffa non esiste unicamente nella forma “floreale”, ma anche in semplici fusti o la sola corona di petali. Analizziamo quindi le tipologie. A. Graffa breve La graffa breve delle origini è piuttosto convessa: l’oscillazione del fusto di questo primo modello origina dal corona a tratto contrastato per terminare infine in una radice secca e filiforme (fig.99). Durante il decennio l’ondulazione scivola lentamente verso la radice, con uno svolazzo rivolto verso sinistra, indipendentemente dal margine sul quale è realizzato il marginalium (fig.100). Figura 99 Par. Lat. 2201, f.9r (2) Figura 100 Par. Lat. 1994, f.96v(2) Come si è potuto constatare già nel caso della manicula, durante il decennio anche la graffa accoglie semi di una specificità morfologica non ancora pienamente manifesta per forme grafiche differenziate: trattasi del brevissimo tratto diritto che ne bilancia il baricentro, sviluppato poi in un corona rapidamente frastagliato, o lo svolazzo finale, accenno della successiva radice a “coda”. Il quasi impercettibile accenno verticale di penna conferisce stabilità e al tempo stesso contrasta l’ampia curva del fusto, sino ad annullare l’originale effetto obliquo (fig.99); la sottile radice è delineata da una mano manierata che eccede talora in occhiellature (fig.101). Dopo la seconda metà del decennio, si afferma la forma frastagliata del corona, mentre la radice si chiude con una morbida linea 71 e il resto del gambo si raddrizza, da quanto ho potuto constatare nelle poche graffe disperse per il Par. Lat. 2923 (fig.102). I petali che costituiscono la corona sono perlopiù tre, anche se in qualche caso se ne riscontrano quattro, disposti a rombo (fig.103). 71 Il riferimento cronologico è il Par. Lat. 2923, annotato per la maggior parte del tempo in Italia tra l’aprile del 1344 e il febbraio del 1349. De Nolhac, in Pétrarque et l’humanisme, p.289, analizza i finali ff.178v e 179r sui quali sono annotate le successioni dello studio per stabilire cinque periodi di intervento sul testo : 1. dal 21 aprile al 23 agosto del 1344 ; 2. Dal 21 al 28 luglio 1345 ; 3. Dal 30 maggio 1348 a l 26 febbraio 1349 ; 5. Dal 7 maggio al 2 agosto 1349. Figura 101 Par. Lat. 1994, f.96v(3) Figura 102 Par. Lat. 2923, f.16r(7) Figura 103 Par. Lat. 2923, f.16r(4) B. Graffe media e lunga Le graffe media e lunga percorrono le stesse mutazioni della breve: inizialmente anch’esse presentano il corona obliquo (fig.104), quindi bilanciato (fig.105) e poi diritto con corona frastagliato e radice a coda (fig.106), il numero dei petali varia da due (fig.107) a quattro (fig.108), soprattutto nella seconda metà degli anni ’40. La vera particolarità di queste consiste nella libertà creativa che lasciano a un amante della penna quale è Petrarca: la maggiore lunghezza del fusto spinge a un più naturale movimento rispetto a quanto può consentire un segno breve. La conclusione più naturale di questa tendenza è una decorazione a volte quasi barocca dei gambi, in qualche caso delle radici. Figura 104 Par. Lat. 1994, f.9r(2) Figura 105 Par. Lat. 6802, f.48v Figura 106 Par. Lat. 2923, f.44v Figura 107 Parl. Lat. 6280, f.65v Figura 108 Par. Lat. 6280, f.38r(3) Le figg.104 e 105 hanno un’ondulazione semplice, tuttavia molti altri casi, soprattutto di graffe molto lunghe, sono vivacizzati da frastagliature (fig.109)72, occhiellature prima singole (fig.109) e poi multiple (fig.110), raramente da cerchi (fig.111), o più ricche decorazioni intermedie (fig.113). Solo in un caso ho riscontrato un intervento fitomorfo sulla radice (fig.114) che sembrerebbe richiamare sinteticamente un mazzo di betonica o di altea. Nasce agli inizi del decennio ma è sviluppato in quelli successivi, un ulteriore elemento ornamentale che trova ancora nella graffa lunga terreno fertile, quello a “bombatura” intermedia 73. I rigonfiamenti sono organizzati in uno o più gruppi 72 E’ particolarmente accentuata l’unica graffa del f. 15v sul codice Par. Lat. 7749, postillato nel quarto o nel quinto decennio del Trecento. L’altezza cronologica che attribuisco a quest’unico esempio è circa la fine del primo: la presenza della forte ondulazione intermedia non si registra più durante gli anni ’50, tuttavia il corona realizzato con un rapido e agitato tratto di penna appartiene al tardo decennio. 73 Fiorilla in Marginalia, p.25, nota 18, chiama invece questa decorazione poco frequente “a conchiglie” e la segnala sui ff.113r e 122v del Par. Lat. 7720 in cui stabilisce un collegamento tra i temi trattati da Quintiliano e i Familiarium, I 9, ivi, VI 4 e ivi, XVI 9. il cui numero oscilla tra tre e quattro e sono tracciati in un unico tempo; se multiple, le bombature sono alternate regolarmente al tratteggio diritto del gambo (fig.115). Inoltre, nella seconda metà del decennio, comincia ad apparire la “secatura”74 già nel Par. Lat. 292375 ed interessa soprattutto le graffe medie: si tratta di un doppio tratto tracciato perpendicolarmente al fusto a tagliarlo (fig.116). Essi sono realizzati secondo un ordine di lunghezza del gambo e nell’interlinea tra una riga e l’altra, per non sbilanciare ulteriormente il bianco della pagina. Il motivo per cui è stata realizzata quest’aggiunta potrebbe consistere nel maggiore peso che la nota aveva per Petrarca, anche se, come mostra anche Fiorilla76, non tutti i numerosi passi segnati dai marginalia hanno avuto fortuna presso la sua memoria poetica. Figura 109 Par. Lat. 1617, f.21r Figura 110 Par. Lat. 1617, f.9r Figura 111 Par. Lat. 1994, f.23r(5) Figura 112 Par. Lat. 1617, f.2v 74 Il termine deriva dal latino “secatus”, dal verbo “secare”. La scelta è ricaduta su questo termine perché l’impressione che ne ho ricevuto era quella di un taglio violento del gambo del flos. 75 76 Essa appare già nel Par. Lat. 2923, per il quale v. supra nota 45. M. FIORILLA, Marginalia, p. 27: «Alcuni dei passi messi in risalto dai segni di attenzione trovano riscontro in opere di Petrarca. E’ probabile però che anche altri dei luoghi qui scelti per esemplificare le diverse tipologie di graffe e maniculae abbiano influenzato la composizione di pagine petrarchesche. Naturalmente non sempre questo avviene. Come hanno notato i numerosi contributi alle annotazioni petrarchesche dalla seconda metà dell’Ottocento a oggi, solo una parte dei luoghi su cui l’attenzione di Petrarca si è soffermata durante la lettura sembrerebbe in effetti aver agito sulla sua memoria poetica e, all’inverso, vi hanno agito passi che non ha postillato. Soprattutto nei casi in cui le fonti sono dissimulate e riparafrasate da Petrarca attraverso complicate operazioni di riscrittura, dai segni di attenzione che si possono ricavare preziose indicazioni per individuarle o confermarle». Figura 113 Par. Lat. 1994, f.102r Figura 114 Par. Lat. 1994, f.104v(2) Figura 115 Par. Lat. 6280, f.39v Figura 116 Par. Lat. 2923, f.16r C. Gambi ornati I gambi o fusti ornati, ma privi della corona di petali, sono una delle varianti alla graffa a fusto lungo nate in questo periodo. Le tipologie decorative percorrono la stessa linea evolutiva delle gra ffe sursum surgens a fusto medio e lungo, quindi tra i primi tipi di decorazioni si trovano rozze occhiellature (fig.117), date dall’esperienza che Petrarca viene via via maturando nella pratica della scrittura, e solo in un secondo momento compaiono le prime bombature. Figura 117 Par. Lat. 2201, f.19r L’introduzione dell’uso del motivo a bombatura è probabilmente avvenuto già a cavallo della fine degli anni ’30 e l’inizio degli anni ’40, secondo l’esempio isolato per questo periodo, che si trova sul f.19r del Par. Lat. 2201 (fig.118). Il tratto sottile e omogeneo, la doppia occhiellatura rozza e oblunga avvicinano il piccolo fusto alle graffe della fine degli anni ’30 dotata di bombatura singola; il segno è tracciato con tutta probabilità in un tempo solo e così da lasciare spazio alle primitive occhiellature che lo vivacizzano. Successivamente il numero delle bombature aumentò a tre, mentre la forma generica della graffa ad asta accolse una maggiore morbidezza di tracciato come pure contemporaneamente la variante “fiorita” (fig.119). Confrontando le figg.118 e 119 si nota pure che questo segno si compone in maniera specifica che si stabilizza per tutta la durata del decennio: motivo iniziale a bombatura e occhiello prossimo alla radice. A prova di ciò, si riportano gli esempi rintracciati sul Par. Lat. 1994 (fig.120), e ancora sul 2201 (fig.121): in particolare, la graffa di fig.120 potrebbe essere collocata più o meno intorno alla metà degli anni ’40 per l’accenno di coda caratteristico della graffa breve (vedi fig.100) e per il tratto più sicuro e contrastato, mentre quella di fig.119 apparterrebbe alla piena seconda metà per l’andamento molto più diritto e la vicinanza al modello del decennio successivo (vedi segg.). Figura 118 Par. Lat. 2201, f.19r(3) Figura 119 Par. Lat. 6280, f.41r(3) Figura 120 Par. Lat. 1994, f.96v(4) Figura 121 Par. Lat. 2201, f.9r L’origine del motivo a bombatura è tuttavia incerto; l’analisi di altre fonti lascia però emergere che in un periodo più o meno contemporaneo non se ne servisse il solo Petrarca. Alcuni degli atti datati al 1359 di compravendita di schiavi del notaio Benedetto Bianco, prete e scrivano del consolato veneziano presso l’Ufficio della Tana a Venezia, in cui vi è la registrazione di un acquisto da Domenico da Firenze, mercante specializzato nella tratta di schiave provenienti dall’Oriente, si notano gli stessi motivi a bombatura utilizzati per raggruppare gli acquisti (fig.122). Il documento proviene da Venezia e in un periodo ben più basso rispetto alle graffe prese ad esame, quindi probabilmente si tratta di un segno piuttosto in voga nella consuetudine documentaria o usuale 77. Figura 122 Compravendite di schiave alla Tana, 1359. Venezia, Archivio di Stato, registro del notaio Benedetto Bianco [registro 7]. 77 La notizia è stata tratta dal catalogo della mostra “Sulle vie della Seta. Antichi sentieri tra Oriente e Occidente” Roma, Palazzo delle Esposizioni ottobre 2012-marzo 2013 , p.152-155. In definitiva, l’origine della decorazione potrebbe non essere attribuita a Petrarca, quanto piuttosto a una possibile influenza del mondo della miniature: queste bombature ricorderebbero le ricchissime bordure della tradizione gotica diffusissima Oltralpe e conosciuta dall’Italia settentrionale. D. Corone semplici Nel Par. Lat. 2923 si riscontra anche la presenza di gruppi di tre (fig.123) o talvolta quattro petali (fig.124) isolati da una qualsivoglia forma di gambo, altrettanto particolare quanto quella sino ad ora analizzata. L’altezza temporale del segno è quindi perfettamente collocabile per il manoscritto a tutta la seconda metà del decennio e la funzione è incerta: non è utilizzato in complemento ad altri marginalia, né ha la funzione di richiamo o di collegamento a postille. Mentre nel manoscritto non si trova alcuna manicula, questa semplice forma di graffa è ciò che più vi si avvicina. Figura 123 Par. Lat. 2923, f.73v(2) Figura 124 Par. Lat. 2923, f.78v Tabella 8 Tratto Tipo di gambo Contrastato Inizio: leggermente ondulato; Metà: frastagliato; Fine: raddrizzato. Lunghezza del gambo Decorazione Corta, media o lunga. Occhiellata; a tondini; secata; varia. Inizio e fine Verso la fine del decennio accenno di corona e di coda Numero di petali Rari 2, 3 e talvolta 4 Tipo di petali Surgens Tipo di graffa Con gambo; gambo ornato; corona di fiori. Tabella delle caratteristiche della graffa degli anni ‘40 2.2.2.3. Terzo periodo. Anni ’50 Gli anni ’50 furono il periodo più fecondo della lettura petrarchesca, quando oramai il poeta aveva affermato la propria posizione letteraria tanto da essere eletto “poeta vate”. Ci si rende conto del peso che Petrarca aveva acquisito nel mondo delle lettere grazie alle rappresentazioni che si trovano qua e là per l’Italia: incoronato di lauro, nel ciclo di affreschi di Benozzo Gozzoli a Montefalco si trova accanto a Dante e Giotto. I codici esaminati per il decennio sono i Par. Lat. 1617, 1757, 1994, 2103, 2201, 2318, 5690, 5816, 6280, 7720, 7748 e il Troyes, Bibl. Mun. 552, la maggior parte dei quali sono già stati abbondantemente discussi a proposito delle maniculae, ma finora non si è ancora avuto modo di parlare del Par. Lat. 5690. Si tratta di un codice comprato ad Avignone nel 1351, secondo la nota sul foglio 36778, tuttavia, grazie a un’analisi condotta alla lampada UV 79, si è anche scoperto che nel 1365 era già sotto la proprietà di Bartolomeo Papazzurri, vescovo di Teano. Durante gli anni ’40 Petrarca aveva gettato le basi per realizzare un segno che poteva constare di varie tipologie: la sursum surgens, abbondantemente analizzata fino ad ora, a gambo ornato, ma anche la deorsum sopita e la graffa doppia. Analizziamole una per una. A. Sursum surgens Durante la seconda metà degli anni ’40 il gambo del segno era stato raddrizzato, mentre l’ondulazione si era spostata al corona e si avevano i primi accenni di coda. Tracce di questo passaggio si trovano nel Par. Lat. 2201 in esempi quali le graffe sui ff. 18r (fig.123), , 25v (fig.124) e 28r (fig.125) e nel Par. Lat. 1617 sul f.21r (fig.126) in cui la corona, pur essendo evidentemente frastagliato, ha un tratto incerto. Figura 123 Par. Lat. 2201, f.18r Figura 124 Par. Lat. 2201, f.25v(3) Figura 125 Par. Lat. 2201, f.28r(2) Figura 126 Par. Lat. 1617, f.21r(3) Forse complice la celerità di ductus, incertezza emerge pure nel fatto che Petrarca non si cura di terminare efficacemente il segno: la radice rimane un sottile tratto di penna o un accenno di svolazzo, fino a che si sviluppa in una vera e propria coda diritta (fig.127) o con occhiellature (fig.128). Con tutta probabilità, l’uso di una radice o l’altra è indifferente e dettato unicamente dalle esigenze 78 79 “ Emptus Avinione 1351, diu tamen ante possessus”, A. C. DE LA MARE, Handwriting, p. 14, nr. 32. Non c’è traccia di Bartolomeo Papazzurri nelle fonti di base e solo recentemente la figura è oggetto di una timida ricerca che è nata proprio dai petrarchisti, in particolare G. BILLANOVICH, La tradizione del testo, I/1, pp. 192-200, 207-08, Tav. XVI.2. Per altre informazioni, cfr. P. DE NOLHAC, Pètrarque, I 113, II 14-35, 273-277; E. PELLEGRIN(2), Manuscrits, pp. 279-280. della pagina o dalle inclinazioni momentanee: non si tratta infatti di un’appendice, di un complemento al segno che lo allontana completamente dall’insieme delle altre graffe e tale per cui possa sottolineare una particolarità del testo ch’egli ha in animo di segnalare a sé stesso, ma di un semplice “vezzo di penna” dettato da una più consapevole perizia grafica e più empatico con il poeta stesso. Il gambo era stato affatto raddrizzato nel caso della graffa breve, mentre nei segni lunghi continuavano a esistere ancora delle pur fragili resistenze: nel Par. Lat. 5690 numerosi sono gli esempi di graffa media o lunga con un minimo di ondulazione non perfettamente disciplinata, probabilmente collocabili agli inizi degli anni ’50 (figg.129 e 130), secondo gli studi approfonditi di de Nolhac 80 e Billanovich81. Il Par. Lat. 5690 è una raccolta di tre testi, di cui il terzo e più consistente sono i libri I, III e IV dell’opera storiografica Ab urbe condita di Tito Livio, che Petrarca aveva già avuto modo di leggere e di commentare ampiamente durante il periodo avignonese, cui è riconducibile l’acme della sua attività filologica. Il codice apparteneva originariamente alla biblioteca di Landolfo Colonna, ma fu ampiamente letto e commentato anche dal giovane Petrarca, che si inserisce così in una già avviata cornice di riflessione critica cui aggiunge solo ulteriori riflessioni stilistiche, morali e storiche sull’opera di Livio 82. Petrarca si appropria in seguito del testo per continuare coprirlo di postille e marginalia, tra cui anche graffe. Interessante è il contributo della Crevatin 83 incentrato sullo studio filologico delle postille e sulle reciproche differenze determinate dal diverso approccio al testo dei due studiosi: da esso emerge che gli interventi operati da Landolfo Colonna avessero lo scopo di segnalare il materiale necessario al riempimento del suo Breviarium Historiarum84, mentre Petrarca ne ricaverebbe piuttosto un motivo di riflessione personale. Figura 127 Par. Lat. 7720, f.8r 80 Figura 128 Par. Lat. 7720, f.2r(6) Figura 129 Par. Lat. 5690, f.184v(3) Figura 130 Par. Lat. 5690, f.214v(3) P. DE NOLHAC, Pétrarque, II, cap. VI, pp. 1-33. 81 G. BILLANOVICH, La tradizione, p.164. Le segnalazioni di Nolhac e Billanovich sono state ricavate dal contributo di G. CREVATIN, Leggere Tito Livio, p. 67, cui rimando per una più completa analisi filologica delle note. 82 Per i rapporti tra Petrarca e Landolfo Colonna, riporto la segnalazione di Petrucci in La scrittura di Francesco Petrarca, p.37, nota 2 di G. BILLANOVICH, Il Petrarca e i classici, in Petrarca e il petrarchismo, pp.153-158 e ID., Dal Livio di Raterio, pp. 141-143. 83 84 G.CREVATIN, vedi supra. G. CREVATIN, cit., p. 68: «Buona parte delle note di Landolfo hanno l’evidente funzione di memorabilia; con tutta probabilità si tratta di appunti ad uso della propria compilazione storica, il Breviarium historiarum: puntigliosamente Landolfo segna sui margini del suo Livio i nomi dei consoli e ne registra il numero d’ordine del consolato; segna la successione delle guerre combattute dai Romani coi popoli confinanti.» La corona a due petali costella ancora la prima metà del decennio (soprattutto il Par. Lat. 7720) (fig.131) e si estingue completamente nella seconda metà dello stesso, dal momento che non ve ne sono nei Par. Lat. 2318 e 5816; la tipologia a quattro petali è presente solo nel Par. Lat. 2103, nei ff.137-139 (fig.132 e 133). Solo uno è il caso di deorsum surgens, che ritengo tuttavia casuale per la totale mancanza di successori, e si trova all’interno del Par. Lat.5816, sul f.101r (fig.134). Figura 131 Par. Lat. 7720, f.4r(3) Figura 132 Par. Lat. 2103, f.138r Figura 133 Par. Lat. 2103, f.139r Figura 134 Par. Lat. 5816, f.101r Anche in questo periodo sono utilizzate le sugens decorate, senza tuttavia incontrare, a parte rara eccezione (vedi fig.133), esempi innovativi o interessanti: la secatura viene più copiosamente utilizzata soprattutto fino alla metà del decennio. Ne abbondano infatti i Par. Lat. 1994, 2103, 1757 e 7720, mentre sono assenti o quasi nei 2318 e 5816, le cui graffe presentano caratteristiche morfologiche piuttosto uniformi (figg.135, 136, 137, 138). Tra i codici elencati, un caso particolare è rappresentato dal Par. Lat. 7720, in cui sono frequenti graffe tagliate perpendicolarmente alla lunghezza da un solo tratto sottile (figg.139, 140, 141). Figura 135 Par. Lat. 1757, f.23r Figura 136 Par. Lat. 1994, f.180r Figura 137 Par. Lat. 2103, f.10v Figura 138 Par. Lat. 7720, f.65r Figura 139 Par. Lat. 7720, f.85v(4) Figura 140 Par. Lat. 7720, f.93r(3) Figura 141 Par. Lat. 7720, f.97r(4) B. Deorsum sopita Ricordo che, come detto sopra, la deorsum sopita è una tipologia in cui l’asta del gambo scende dall’alto verso la corona di fiori triangolare a punta rivolta in basso; è inoltre un segno corto, dato che in ogni caso da me rilevato l’asta era in grado di coprire due, massimo tre righe. Petrarca comincia a tracciare sopitae a partire dalla seconda metà del quinto decennio circa: gli esempi che osserviamo sul Par. Lat. 1757 sono morfologicamente simili a quelli sul 7720 e sul 5816, motivo per cui si potrebbe supporre una loro contemporaneità. La sursum surgens è la tipologia più diffusa perché la prima di cui Petrarca si serve; l’uso della deorsum potrebbe forse trovare una fase intermedia nella tipologia a due petali che abbonda nel Par. Lat. 2329, mentre vi sono pochi casi di sursum su un gambo orientato verso il basso85, viceversa nessuno. Gli unici passaggi possibili sono una fusione delle graffe a due o a tre petali e una maggiore facilità di realizzazione del segno, soprattutto lungo i margini esterni. La sopita esiste quasi sempre nella tipologia deorsum, come la surgens quasi esclusivamente nella forma sursum: per questo motivo per riferirmi all’una o all’altra userò semplicemente sopita o surgens. La prima sopita ricalcava il modello ideale della coeva surgens breve: corona frastagliato, radice tonda e gambo diritto (fig.142), quindi l’ondulazione si sposta verso la radice, con conseguente raddrizzamento della corona che si chiude in un elegante doppio svolazzo (fig.143). La prima evoluzione di questa graffa ha una corona di tre o quattro petali (fig.144), in accordo con le graffe dei fogli che precedono o seguono immediatamente. A quel punto Petrarca conferisce alla radice una fisionomia frastagliata, come già il corona della surgens. Figura 142 Par. Lat. 7720, f.100r(5) 85 Figura 143 Par. Lat. 1757, f.6v(6) Figura 144 Par. Lat. 7720, f.107v Si nota a tal proposito un solo in un esempio, forse casuale, sul Par. Lat. 2201, f.35r. C. Graffa doppia «Verso la metà degli anni ’50 e in età ancora più avanzata, la graffa petrarchesca sembra caratterizzarsi soprattutto per presenza di un tratto superiore, in aggiunta a quello inferiore, terminante spesso a forma di uncino, con o senza uno svolazzo tondeggiante ulteriore» 86, così Fiorilla descrive la doppia graffa che abbonda nei codici postillati dal poeta. Sebbene lo sviluppo della tipologia si avvii, appunto, intorno alla metà degli anni ’50, come indicato dallo studioso, esistono dei precedenti collocabili nel Troyes, Bibl. Mun. 552 (fig.145)87, in cui la graffa doppia ha una corona a due petali e la primissima aggiunta del tratto superiore. L’acquisizione del codice secondo de Nolhac sarebbe avvenuta intorno al 134488, mentre Petrucci 89 sostiene che il codice sia stato letto nel 1349 e annotato intorno al 1355; anche Fiorilla colloca la prima fase di lettura intorno alla prima metà degli anni ’4090. Esistono pure altri esempi di graffa a due petali che sono totalmente distanti dall’esempio del Troyes, Bibl. Mun. 552, come quello sul f.9v del Par. Lat. 1994 (fig.146), le cui caratteristiche morfologiche appartengono alla prima, forse seconda metà degli anni ’40: il fusto inferiore è ondulato per l’intera lunghezza, quello superiore presenta uno svolazzo finale con accenno di coda. Tra le graffe del Troyes Bibl. Mun. 552 e il Par. Lat. 1994 si potrebbe quindi definire archetipo la secondare dare ragione alla posizione di Petrucci. Figura 145 Troyes, Bibl. Mun. 552, f.206v Figura 146 Par. Lat. 1994, f.9v Diffusissima è invece la graffa doppia a tre petali nella tipologia surgens (fig.147), usata probabilmente già dalla prima metà degli anni ’50: i codici vergati a cavallo del quarto e quinto decennio del Trecento presentano già questa tipologia, come nei Par. Lat.1617 e 1994, mentre quelli acquisiti nella seconda metà del periodo presentano pure la tipologia sopita (fig.148). Non esistono differenze strutturali tra l’una e l’altra scelta, tanto che in un codice sono usate indifferentemente in un peri86 M. FIORILLA, Marginalia, p.25. 87 Segnalo la graffa in fig.138 sulla base della Tav.12 in Fiorilla, op. cit. 88 P. DE NOLHAC, Versailles, pp.369-388. 89 A. PETRUCCI, La scrittura. 90 In merito alla posizione di De Nolhac e Fiorilla, cfr. G. BILLANOVICH, Petrarca e Cicerone, p.106 e ID., Quattro libri, pp. 255-256, riportate da Fiorilla a conferma della sua analisi. odo più o meno contemporaneo (figg.149, 150, 151, 152), e i fusti superiore ed inferiore sono realizzati alla medesima maniera delle coeve sursum e deorsum. Non avvenne poi una scelta definitiva tra l’una e l’altra tipologia, dato che continuarono ad essere usate parallelamente sia la surgens che la sopita ancora negli anni ‘60. Figura 147 Par. Lat. 7720, f.3r(2) Figura 150 Par. Lat. 2318, f.46r Figura 148 Par. Lat. 1617, f.78r(4) Figura 151 Par. Lat. 2328, f.14r Figura 149 Par. Lat. 5816, f.5r Figura 152 Par. Lat. 2318, f.39r Infine, esistono pure esempi di graffe a quattro petali da collocarsi ancora in parallelo con le sursum: troviamo due esempi sul Par. Lat. 1617 (ff.78r e 201r), un solo esempio sul f.184v del 1994, uno sul f.94v del 2103, cinque esempi sul 1757 (ff.12v, 14v, 21r, 22r, 24r), mentre sono ben più abbondanti nei 5690, 5816, 7720. D. Gambo ornato Anche nel quinto decennio del Trecento Petrarca fece scarso uso del gambo ornato e sempre secondo modi più semplici e meno ricchi: l’asta bombata e solo in casi sporadici si qualche gambo semplice con ondulazione frastagliata iniziale e finale. Il motivo bombato realizzato agli inizi degli anni ’50 era lo stesso del decennio precedente: sia che la graffa fosse stata tracciata lungo il margine destro che su quello sinistro, coda iniziale rivolta a destra e finale a sinistra, triplo motivo bombato o “a conchiglia”, secondo la definizione di Fiorilla, e resto del gambo diritto; l’unica innovazione consiste nel fatto che l’uso modulare del motivo a tripla bombatura aumenta, così che la lunghezza dell’asta viene interrotta due volte (fig.153 e cfr. con fig.121), mentre a volte la radice è vivacizzata da svolazzi (figg.154 e 155). Solo sul f.62r del Par. Lat. 2103 (fig.156) si osserva un altro tipo di gambo ornato, mentre non se ne incontrano affatto sul Par. Lat. 1757, 2318 e 5816, motivo per cui si può forse supporre che non ne abbia più tracciati durante la seconda metà del decennio. Figura 153 Par. Lat. 7720, f.119r(2) Figura 154 Par. Lat. 7720, f.113r(4) Figura 155 Par. Lat. 7720, f.117r Figura 121 Par. Lat. 2201, f.9r Figura 156 Par. Lat. 2103, f.62r Nel Par. Lat. 5690 contiamo una gran quantità di gambi ornati, più di settecento, tutti riconducibili a due sole tipologie: la prima è quella delle graffe con bombatura multipla alternata a un motivo a ondine utilizzato in maniera modulare, mente radice e corona sono “a bandiera” (fig.157); la seconda, estremamente ristretta, è formata da esempi di più rozzo e semplice tracciato, con accenni di coda presso corona e radice e una o due triple bombature intermedie (fig.158). Tra i due, solo la seconda delle tipologie ha un vero e proprio rapporto con la sequenza evolutiva delineata sino a questo momento: le caratteristiche morfologiche sono in effetti molto simili a quelle del 7720, tracciato in tutta probabilità agli inizi degli anni ’50 circa (cfr. fig.153), mentre per la prima non si hanno veri e propri paralleli, soprattutto per quel che concerne il motivo a bombatura superiore alle tre insenature e il motivo a ondine. In tal senso, gli unici accostamenti possibili sono costituiti, per la decorazione a insenature multiple la graffa già riportata in fig.156 e per le ondine quella realizzata sul f.95r del Par. Lat. 7720 (fig.157). Figura 157 Par. Lat. 5690, f.1v Figura 153 Par. Lat. 7720, f.119r(2) Figura 158 Par. Lat. 5690, f.53v(4) Figura 156 Par. Lat. 2103, f.62r Figura 157 Par. Lat. 7720, f.95r Peraltro, il primo gruppo, eloquentemente rappresentato dall’esempio della fig.157, sembrerebbe essere tracciato da altra mano da quella di Petrarca, forse in un periodo precedente. Secondo le ricostruzioni storiche e filologiche, il precedente possessore del Par. Lat. 5690, Landolfo Colonna, ne aveva riempiti i margini di segni utili alla sua personale necessità di ricerca; su di essa si era poi stratificata l’opera esegetica di Petrarca. La mano che vergò le numerose graffe disperse nel codice, quindi, potrebbe essere proprio quella di Landolfo Colonna, e aver offerto motivo di ispirazione nell’elaborazione della decorazione petrarchesca, attestata già negli anni ’40. L’attribuzione delle graffe del primo gruppo del Par. Lat. 5690 non rende più complicato lo scioglimento dei dubbi intorno a questa decorazione, ma ne opera piuttosto una semplificazione: già con l’atto di compravendita di Benedetto Bianco era emerso un uso più o meno diffuso e contemporaneo del motivo. Non si può trovarne quindi una genesi nella sola “corte” accogliente degli Sforza a Milano, presso la quale Petrarca fu ospite a partire dalla prima metà del quinto decennio, o nella confortante valle di Valchiusa, né in Landolfo Colonna stesso, cronologicamente precedente al poe- ta. In un discorso strettamente legato al solo Petrarca, si potrebbe concludere che egli avesse percepito quest’influenza “di tendenza”, ma che l’esempio grafico di Landolfo possa aver costituito un principio scatenante nell’adozione di questo tipo decorativo come una sorta di tributo personale al maestro ed amico. E. Catena di graffe Un’altra particolarità dei primi anni ’50 sono le “catene di graffe” costituite da varie unità di gambi brevi e medi interrotti regolarmente dalla corona di “petali”: le ondulazioni iniziali, il tratto verticale diritto lasciano supporre che si tratti di una soluzione adottata solo in pochi casi nei Par. Lat. 1617 (fig.159), 1757 (fig.160), 1994 (fig.161) e che già nella seconda metà del decennio non ebbe più seguito (nel Par. Lat. 2318 e 5816 sono assenti). Figura 159 Par. Lat. 1617, f.115r Figura 161 Par. Lat. 1994, f.39v(2) Figura 160 Par. Lat. 1757, f.12v(2) Tabella 9 Tratto Contrastato Gambo Diritto Decorazione Corona Coda Bombata; Secata. Frastagliato Semplice; occhiellata. Numero di petali 3 Tipo Sursum surgens Lunghezza Breve; media; lunga. Tabelle delle caratteristiche della sursum surgens degli anni ‘50 Tabella 10 Tratto Contrastato Gambo Diritto Decorazione - Corona Inizialmente assente, poi ondulato, infine di nuovo assente Coda Inizialmente accennata, viene poi sviluppata con un ampio svolazzo che si trasforma in frastagliatura Numero di petali 3o4 Tipo Deorsum sopita Lunghezza Breve Tabelle delle caratteristiche della deorsum sopita degli anni ‘50 2.2.2.4. Quarto periodo. Graffe tarde Al pari delle maniculae, le graffe petrarchesche tracciate tra gli anni ’60 e ’70 furono ben poche, da quel che ho ricavare dall’altrettanto esiguo numero di codici esaminati per il periodo in esame (i precedenti Par. Lat. 2318, 5690, 5816 e quelli acquisiti a partire dagli anni ’60, i Par. Lat. 4846 e 5150). Ecco alcune brevi informazioni sui codici fino ad ora mai analizzati, dai quali ho tratto alcuni esempi più tardi: il Par. Lat. 484691 è un codice sul quale ho trovato solo scarne informazioni: realizzato in Inghilterra nel XIII secolo, su di esso sono state vergate note attribuite a un periodo non meglio specificato92 che si deve far risalire probabilmente già alla prima metà degli anni ’60, a giudicare dalla morfologia delle graffe realizzate su di esso (vedi sgg.). Fu probabilmente Boccaccio che nel 1361 fece dono a Petrarca del Par. Lat. 5150 non di persona93 (secondo l’ipotesi di Billanovich 94), tuttavia la nota che registrava l’evento è stata tagliata via quando il codice fu rifilato per essere nuovamente legato sotto Luigi XVIII e salvata da Van Praet nel 181395. In realtà non ci sono grandi innovazioni da attribuire a questo periodo: le peculiarità del segno sono già state tutte trovate e sviluppate, così Petrarca si abbandona a una corsivizzazione o sintetizzazione degli elementi: 91 Cfr. E. PELLEGRIN, La Bibliothèque, p. 157; ID.(2), Manuscrits, p.278. 92 A. C. DE LA MARE, Handwriting, p.14, nr. 30. 93 ID., cit., p. 14, nr. 31. 94 G. BILLANOVICH, I primi umanisti, pp. 17-24. 95 M. FIORILLA, Marginalia, pp. 35-36. per la sursus surgens si può dire che i tratti rapidi di penna a inizio del segno diminuscono (fig.162), fino a scomparire del tutto (fig.163), mentre la coda si raddrizza per essere totalmente annullata in alcuni casi (fig.164); Figura 162 Par. Lat. 5150, f.64r(2) Figura 163 Par. Lat. 4846, f.38v Figura 164 Par. Lat. 5816, f.107r(2) la deorsum sopita perde l’eleganza dello svolazzo alla radice per ridursi a mera frastagliatura (fig.165) e mantiene qualche esempio a 4 petali (fig.166); Figura 165 Par. Lat. 5150, f.68r Figura 166 Par. Lat. 5150, f.53r la graffa doppia segue i mutamenti paralleli della sursus surgens e della deorsum sopita, mantenendo pochissimi esempi a due petali (fig.167) e più numerosi a quattro (fig.168); Figura 167 Par. Lat. 5150, f.41v Figura 168 Par. Lat. 5150, f.44r ancora sono usate, seppur in pochi casi, catene di graffe, con caratteristiche analoghe alle coeve sursum surgens (figg.169 e 170). Figura 169 Par. Lat. 5150, f.3v Figura 170 Par. Lat. 5150, f.40v(2) 2.2.3. Rapporto tra Petrarca e le graffe Tutta la carriera letteraria di Petrarca fu caratterizzata da vari momenti di erudizione stratificatisi l’uno sull’altro e che trovarono radici nelle sue vicende biografiche: il primo interesse fu per la letteratura classica, soprattutto opere di dialettica e storiografia romana; quindi cominciò a leggere anche autori che trattano di teologia, tra cui spicca su tutti il nome di S. Agostino. In particolare gli anni ’50, in cui vennero elaborati il Secretum e il De vita solitaria, sembrerebbero dedicati alla ricerca della verità che è solo in Dio. L’isolamento diventerebbe una condizione di proficuo rifugio per dedicarsi all’elaborazione letteraria: avrebbe senso quindi la celebrazione di Valchiusa quale locus amoenus. Petrarca è anche un personaggio che viaggiò moltissimo: Bologna, Avignone, Parma, Verona, Valchiusa, di nuovo Avignone, Milano, Mantova. Pur se in continuo movimento, il poeta continuò ad esercitare la propria vocazione e a manifestare la sua caratteristica accidia 96, che lo spinse verso un mondo interiore fatto di parole scritte e per il quale elabora un personale sistema di segni. La gerarchia dei segni petrarcheschi è costituita da due gruppi, maniculae e graffe, di cui si è avuto modo di parlare in abbondanza sino a questo momento. Si possono anche evidenziare in essi alcuni elementi significativi: a partire dagli anni ’40 è elaborata una graffa breve in potenziale conflitto con le funzioni della manicula, perché sia l’una che l’altra indicano dei passi brevi, delle sen- 96 Petrarca mette in bocca a S. Agostino nel Secretum, II le seguenti parole che riassumono la sua visione: «Sei posseduto da una funesta malattia dell'animo, che i moderni hanno chiamato accidia, gli antichi aegritudo» tentiae97. Ci si domanda di conseguenza quali siano le differenze tra un gruppo di marginalia e l’altro: quando usa Petrarca le maniculae e quando le graffe? La prima osservazione è di ordine temporale: la manicula è un segno piuttosto elaborato, dal momento in cui la sua realizzazione, a prescindere dal grado di raffinatezza e corsivizzazione che Petrarca profonde in questo o quel segno, richiede un certo grado di accuratezza. La graffa è invece un segno sintetico, realizzabile con pochi e semplici tratti e che richiede, di conseguenza, un impegno grafico di livello molto inferiore. Il secondo elemento da mettere in luce è la maggiore ampiezza d’uso della graffa a discapito della “speciale” manicula e che la rende un segno più comune. Si potrebbe quindi supporre che questo marginalium usato più diffusamente fosse tracciato in maniera più spontanea e istintiva, quasi fosse un appunto, rispetto alla manicula che richiedeva invece una profondità molto maggiore. Due sarebbero quindi i livelli di lettura di Petrarca rilevabili dalla gerarchizzazione dei marginalia: la “prima” lettura in cui si accoglie il primo approccio del lettore al testo e che ne genera le prime forme d’impressione; la lettura “creativa” in cui il lettore accoglie il senso profondo del testo per elaborarlo in senso critico, stabilendo ponti con altri pensieri paralleli nel tempo o nel concetto. Le graffe sarebbero figlie dirette del primo dei due approcci in relazione al testo, mentre le più elaborate maniculae,che talvolta accolgono in sé postille o massime 98, apparterrebbero a questo secondo livello. Per tornare al fatidico periodo a cavallo degli anni ’40 e ‘50, è ancora in questi anni che si ravvisa la maggiore elaborazione di segni e la loro definizione, dove si collocano le evoluzioni della sopita e della graffa doppia. Le differenze rispetto al basilare modello della surgens non si basano sulla differenza di margine, in quanto le prime e le sopitae sono tracciate indifferentemente tanto a margine destro che sinistro, talvolta molto ravvicinate tra loro. Potrebbe essere più probabile che, a partire da questo periodo, il fusto sia usato a indicare le premesse del concetto importante enucleato nella sententia, espressa dalla corona di petali. La motivazione potrebbe essere coinvolgerebbe tanto la sopita che la bis. Per rispondere più propriamente a questo quesito bisognerebbe entrare più nel merito del rapporto tra segno e porzione di testo coinvolta, lavoro che per il momento esula da questa ricerca. 97 M.FIORILLA, Marginalia, p.26: «Frequenti nei codici petrarcheschi anche le maniculae con l’indice puntato che segnalano un genere una sententia del testo». 98 In tal senso M. Fiorilla segnala le maniculae sul f.54r del Par. Lat. 2103, ff. 40r e 54r del Par. Lat. 6802, f.62v del Par. Lat. 8082 in Marginalia, p.26. 2.3. Segni di paragrafo (ianuae) 2.3.1. Caratteri generali La parola latina ianua ha il significato di “porta di casa”: è il nome che ho scelto per designare l’ultima classe di interventi grafici marginali di Petrarca, i segni di paragrafo. Si tratta di semi parentesi quadre realizzate ad apertura delle postille marginali, siano esse commenti estesi, nomi o semplici abbreviazioni. I segni di paragrafo, o ianuae, coprono la postilla a partire dall’angolo superiore o inferiore: nel primo caso si parla di ianua superior, nel secondo di ianua inferior. In alcuni casi una postilla, costituita da una frase, un inciso direttamente riferito al testo fa sì che una ianua inferior si allunghi al di sotto della nota per comprenderla da entrambi i lati e si definisce a “doppio battente” (mentre quella semplice è “a battente singolo”), e arriva talvolta a costituire una vera e propria cornice. Ho scelto di utilizzare il concetto della porta perché la nota così realizzata è un canale d’ingresso diretto molto più esplicito, rispetto ai marginalia figurati esaminati precedentemente, per comprendere la metodologia di studio o il canale di pensiero seguito da Petrarca. Analizziamo quindi la loro successione evolutiva. 2.3.2. Analisi storico-morfologica 2.3.2.1. Ianua superior 2.3.2.1.1. Anni ‘30 Nella forma più primitiva, quale appare nei codici99 acquisiti durante gli anni ’30, la ianua aveva la forma di una “C”con prolungamento superiore che copriva la postilla (fig.171 nella pagina seguente). La primissima struttura è direttamente ricavata dal segno di paragrafo, reso nei secoli precedenti con un iniziale angolo retto, poi elaborato nel Medioevo per ottenere la “C” a doppia asta interna e la doppia “S”, simile al moderno segno di paragrafo 100. A interessare la presente trattazione è soprattutto il primo modello, diffuso in tutta Europa già nel XIV secolo. Il tratto curvo superiore della ianua arriva a coprire le prime due o tre lettere della glossa; inizialmente orizzontale, tende in seguito leggermente verso l’alto, come nella fig. 171. 99 Il corpus esaminato è ancora quello preso in considerazione nell’analisi delle maniculae e delle graffe. L’unica differenza rispetto al paragrafo precedente sta nell’inclusione di esempi tratti dal Par. Lat. 6802, manoscritto che però non ho potuto tuttavia visionare integralmente se non nelle riproduzioni che Fiorilla offre nel suo Marginalia. I primi codici che ho preso a riferimento sono quindi i Par. Lat. 2201, 1617 e 1994, secondo un ordine cronologico. 100 B. BISCHOFF, Paleografia Latina, sez. B, III, p.243. Figura 171 Par. Lat. 2201, f.9r(2) Questo primissimo segno ha tratto contrastato e doppia asta interna, coerentemente a quello dell’allora comune cultura gotica; già verso l’esaurimento del decennio gli subentra, tuttavia, la successiva forma a “S” di cui vi sono molti esempi nei Par. Lat. 1617 e 1994 (fig.172 e 173). La collocazione cronologica di quest’ultima forma troverebbe fondamento sia nella data d’acquisizione dei due codici che nelle caratteristiche paleografiche della scrittura che accompagnano: si tratta di un’elegante minuscola di glossa elaborata a seguito dell’incontro tra Petrarca e Landolfo Colonna101; la datazione delle glosse è altresì confermata anche da de la Mare102. Petrucci 103 conferma la collocazione alla seconda metà degli anni ’30 di questa forma del segno di paragrafo, enumerando i codici appena citati e con essi il Virgilio Ambrosiano, glossato immediatamente dopo il suo recupero, avvenuto nell’arco del 1338. Figura 172 Par. Lat. 1617, f.1r(2) Figura 173 Par. Lat. 1994, f.1v(3) Le ianuae a forma di “S” sono molto più diritte rispetto al corrispettivo modello a “C” di cui conservano la tendenza formale: permane il tratto superiore allungato sulla postilla e tendente verso l’alto, con svolazzi a bandiera iniziali e finali. Nel tempo il segno tende a rimpicciolirsi, come dimostra la fig.173. Pur prediligendo in ambito librario le forme di paragrafo a “C” e a “S”, la forma del segno petrarchesco è piuttosto diritto e talvolta angoloso, come nella fig. 172: si tratta di ben più di una tendenza, dato che Petrarca accoglie la forma classica ad angolo retto in alcune sezioni limitanee del 101 A. PETRUCCI, Breve storia, p. 164: “ La scrittura di glossa del Petrarca raggiunse eccezionali livelli di eleganza e armonia soltanto dopo il contatto con l’ambiente avignonese e la conoscenza della scrittura di glossa di Landolfo Colonna, cui quella petrarchesca è molto vicina già tra il 1337 e il 1340 e che raggiunse il più alto livello nell’annotazione per la morte di Laura”. 102 Basti confrontare la tavola I (d) di DE LA MARE in Handwriting.: nella didascalia la studiosa conferma che la scrittura è collocabile intorno alla fine degli anni ’30. 103 A. PETRUCCI, La scrittura, Tav. pieghevole tra le pp. 56 e 57. codice, come nell’elenco finale dei testi da lui prediletti sul Par. Lat. 2201104. Probabilmente realizzato intorno ai primi degli anni ’30, ciascun nome in esso è incorniciato dal segno quadro, il che potrebbe far pensare a una netta distinzione tra il più comune segno a “S” e quello a forma di angolo retto come due nodi della cultura grafica che differentemente percepiti dal poeta: il primo, esteticamente più armonioso, si trovava perfettamente a proprio agio sui margini e negli interlinei; il secondo, più rozzo e corsivo, trovava presumibilmente più consona dimora nelle parti dei codici destinate agli appunti, rivolte al solo Petrarca, in cui potevano anche esistere maggiori libertà grafiche. Petrucci stesso mette in evidenza questa reverenza e timore nei confronti dell’impaginazione delle glosse, tanto da supporre che il poeta le avesse prima scritte a parte, su un foglio sciolto, e solo successivamente integrate ai margini del codice 105. Le glosse isolate si riferiscono per lo più a note di interpretazione del testo; pochi sono i casi, a partire dalla fine del decennio, in cui il poeta utilizza sistemi di citazione scolastici, che pure conosceva perfettamente per la pratica che aveva avuto con essi nel periodo della formazione bolognese. Tra questi, vi la citazione detta “allegationis” di “auctores”, nata in ambito giuridico, ma utilizzata anche in contesti diversi 106, quali la Bibbia 107, citazioni bibliche ricorrenti nei trattati filosofici e teologici, sermoni108. 2.3.2.1.2. Anni ‘40 Durante la metà del secolo 109 il segno a “S” continua la sua contrazione sino a che il tratto superiore non è riassunto in un semplice svolazzo finale (fig.174), mentre il tratto è ancora contrastato. Nel Par. Lat. 2923 si possono tuttavia isolare tre forme: la prima è quella della ianua di cui si è parlato sino ad ora (il modello a “S”), il secondo è a tracciato sottile (fig.175), mentre la terza è costituita da un semplice puntino e segno a “C” sottile (fig.176). 104 L’elenco è realizzato sul foglio 58v ed è indicato dal lemma: “Libri mei Peculiares. Ad reliquos non transfuga sed explorator transire soleo”. La lista è organizzata per generi: “Marci Tullii”, “Rhetorica”, “Moralia”, “Seneca”, “Historia”, “Exempla”, “Poetae”, “Grammatici”, “Dialectica”. Venne aggiunta sotto una seconda lista successiva cui si aggiunge S. Agostino, mentre il canone dei poeti non mutò, tanto che si nota la nota:“de poetis dicitur ut supra”. 105 A. PETRUCCI, La scrittura, p.41, nota 4. 106 Cfr. G.CENCETTI, Lineamenti, p.452. 107 Petrucci ha riscontrato l’uso diffuso nei Vat. Lat. 107 e Cors. 1156 (41 F 20), presso l’Accademia Nazionale dei Lincei di Roma, due codici biblici di origine francese del XII secolo, come descrive in La scrittura, p.55, nota 5. 108 109 Cfr. A. PETRUCCI, op. cit., p.56, nota 1. L’altezza cronologica dell’effettivo passaggio al segno “ridotto” è data dall’altezza cronologica del codice di riferimento, il Par. Lat. 2923. Figura 174 Par. Lat. 2923, f.12r(2) Figura 175 Par. Lat. 2923, f.15v(2) Figura 176 Par. Lat. 2923, f.48v(2) Tanto la seconda, quanto la terza forma sono realizzate con tratteggio filiforme, così come la maggior parte degli interventi extratestuali di Petrarca. Il modello che deriva direttamente dal segno di paragrafo a “S” contrastata è il secondo che ne riprende la forma, mentre il terzo è una mera semplificazione di quello a “C”, in evidente via di esaurimento, tanto che l’unico esempio è quello riportato sopra in fig.176. Da queste premesse si può comprendere che la tendenza da registrarsi per l’evoluzione della ianua superior è l’acquisizione del tratto sottile in via definitiva. Suppongo per la seconda e la terza forma una contemporaneità, dato che entrambi costituiscono le premesse alle evoluzioni del decennio successivo lungo due binari paralleli, il primo dei quali a maturare è quello tratto dal modello a “C” in quella che ho definito ianua vaporosa (fig.177). Ho definito ianua vaporosa quel segno di paragrafo costituito da un puntino sormontato dalla forma a “C”, come una colonna di fumo che si sprigiona dal puntino del segno. La sua genesi potrebbe trovarsi nella fusione del segno di paragrafo e il punto che si poneva ad apertura e chiusura delle allegazioni, sistema, come prima detto, particolarmente in voga all’epoca, di cui si ha un esempio nella fig.178. La destinazione d’uso di queste ianuae non è perfettamente definita nella tipologia: il primo modello è utilizzato per stabilire confronti tra autori e personaggi cui Petrarca fosse aduso (nel f.12 sono citati “Origenus” e “Augustus”), mentre il secondo è generalmente usato per accompagnare le chiose esplicative al testo. 2.3.2.1.3. Anni ’50 Nella prima metà degli anni ’50, cui risale l’acquisizione del Par. Lat. 7720, viene elaborata l’accennata ianua vaporosa (fig.177), che si affianca al segno a “S”, di forma sempre più angolosa. Ho definito vaporosa quel segno di paragrafo costituito da un puntino sormontato dalla forma a “C”, come una colonna di fumo che si sprigiona dal puntino del segno, La genesi della vaporosa potrebbe trovarsi nella fusione del segno di paragrafo e il punto che si poneva ad apertura e chiusura delle allegazioni, sistema, come prima detto, particolarmente in voga all’epoca, di cui si ha un esempio nella fig.178. Figura 177 Par. Lat. 2923, f.73r(2) Figura 178 Par. Lat. 2201, f.10r(3) Rimane incerta la differenza d’uso delle forme appena riportate tra note esplicative e di confronto tra autori: nel Par. Lat. 7720 la vaporosa viene usata in maniera quasi esclusiva e per questo evolve nella parte terminale, con una morbida ondulazione finale (fig.179); solo in un caso, sul f. 3v, Petrarca usa un’elaborata forma a “S” con doppia asta interna. Figura 179 Par. Lat. 7720, f.101r(6) Durante questa seconda metà viene invece maturata la ianua a ferro incuso, così definita per il fatto che mi suggeriva la trama in ferro battuto di una porta (fig.180), ed è probabilmente elaborata sull’ancora vivo segno a “S” (fig.181), che muta verso la fine del decennio per assumere l’aspetto definitivo, commisto al segno di paragrafo quadro (fig.182). Si consolida sempre di più l’abitudine all’esegesi durante la seconda metà del decennio, in cui colloco gli esempi dei Par. Lat. 1757, 2103, 2318, 5690 110 e 5816, come pure il 7720, in cui coesistono la vaporosa e la ferro incuso. In questo codice in particolare, in cui era inizialmente usata solo la vaporosa, sembrerebbe essere poi accennata una qualche specializzazione di questa nelle glosse di rimando ad altri autori e la ferro incuso in quelle interpretative, ma si tratta di un debole confronto che cade di fronte all’analisi degli altri manoscritti del periodo. Figura 180 Par. Lat. 7720, f.14r (4) 110 Figura 181 Par. Lat. 7720, f.1r(2) Figura 182 Par. Lat. 5690, f.126r Per il Par. Lat. 2103 e 5690 cfr. datazione cronologica di A. PETRUCCI, La scrittura, tav. pieghevole tra le pp.56 e 57. L’uso sempre più consistente del commentare è comunque un fatto oggettivo, dato anche l’ampio numero di glosse che si riscontrano per i codici sopra citati (278 per il Par. Lat. 1757, 595 per il 7720, 390 per il 5816), chiaro indice di un’intensa attività letteraria oramai consapevole: Petrarca avrebbe oramai abbattuto ogni resistenza di fronte all’intervento diretto sul libro. Non solo il numero, ma anche la consistenza di ogni singola nota varia sensibilmente: non più lunghe ed esplicative, ma semplici osservazioni che talvolta si riducono, come detto sopra, al riferimento di singoli nomi, titoli o parole. In questi codici può accadere di riscontrare serie di postille di singoli nomi incolonnate ai margini e in cui ciascuno di essi sia evidenziato da una ianua (fig.183). Quella di Petrarca potrebbe essere dunque una pratica automatica, una sempreverde tendenza a sottolineare in un testo qualsiasi parola sia immediatamente d’aiuto: il poeta poteva usare di annotare il nome o l’abbreviazione o la frase a margine e recintarla immediatamente nel testo. L’automatismo di gesti dettati da uno studio incentrato unicamente sul testo scritto potrebbe essere la conferma della mutata lettura del Trecento rispetto ai secoli passati di cui si parlava nel Cap.1: ecco spiegate le colonne disordinate di postille brevi incolonnate l’una sull’altra. Figura 183 Par. Lat. 2151, f.143r Una ragione che potrebbe aver indotto il poeta a usare una forma di ianua rispetto a un’altra potrebbe essere l’armonia nell’impaginazione: soprattutto nel Par. Lat. 1757 ho notato che i pochi esempi di chiosa “ a grappolo” 111 sono evidenziati dalla vaporosa, viene altrimenti usata in modo quasi esclusivo la forma a ferro incuso. L’uso della vaporosa non appesantisce infatti la glossa, ma ne esalta la forma a grappolo; viceversa, nel caso in cui Petrarca avesse preferito la ferro incuso, l’estetica ne avrebbe sofferto (fig.184). 111 Ne ho trovati anche nel Par. Lat. 1757 e sul 7720, oltre a quello in fig.184 del 7748; Petrucci ne segnala alcuni sul Par. Lat. 6802, in La scrittura, p.49 e Tav. XVI. Figura 184 Par. Lat. 7748, f.168r(2) Ancora la ianua accoglie piccole postille e raramente interventi ben più importanti. Pure al segno si cominciano ad aggiungere segni di complemento, come un sottile tracciato verticale di penna che allunga l’estensione del commento, quasi ad ampliare la portata del segno ed incarnando le funzioni della graffa. E in effetti alcune volte le ianuae con prolungamento sono poste in prossimità di una graffa (o la graffa è tracciata per catturare più efficacemente l’attenzione futura del lettore su quel passo particolare), come nella fig.185. Segnalo inoltre nel Par. Lat. 1757 l’uso di frecce sotto alcuni commenti come nella fig.186 per evidenziarli sopra altri per importanza, di cui tuttavia non sono in grado di stabilire l’abitudine per mancanza di riscontri paralleli o successivi in altri codici. Figura 185 Par. Lat. 1757, f.54r 2.3.2.1.4. Figura 186 Par. Lat. 1757, f.9r(2) Anni ’60 e ‘70 Per tutto l’arco degli anni’60 e ’70 Petrarca opera una vera e propria selezione tra la vaporosa e la ferro incuso a favore di quest’ultima: gli esempi datati al periodo appartengono ancora al Par. Lat. 5690 e ai 5150, 6802 e al Troyes, ms. 552 112. L’unico elemento rilevante è il numero di bombature realizzate sul lato verticale del segno che aumenta nel tempo: nella tavola pieghevole riportata 112 Anche se non ne possiedo alcun esempio, segnalo pure il Troyes, ms. 552 di cui ho già avuto di parlare a proposito delle maniculae e delle graffe, secondo Petrucci, La scrittura, Tav. pieghevole (vedi nota 90). da Petrucci ne La scrittura di Francesco Petrarca vi sono delle riproduzioni degli interventi usati dal poeta per glossare. Tra questi, le forme a ferro incuso con due (fig.187) o tre bombature (fig.188) sono collocate tra il 1356 e il 1365, nel 1370 e il 1374 mutano in una lunga serie di ondulazioni a s, ancora disposte lungo il lato verticale del segno. Figura 187 Par. Lat. 5150, f.3r Figura 188 Par. Lat. 5150, f.3v Infine, si affermano e si sviluppano ancora in questo periodo il ritorno alla forma a “C” filiforme (fig.189) e della ferro incuso con ornamentazione totalmente spostata sull’angolo (fig.190). Figura 189 Par. Lat. 5150, f.67v(2) Figura 190 Par. Lat. 5150, f.122r 2.3.3. Ianua inferior La ianua inferior è una variante del segno utilizzato in maniera piuttosto sporadica che s’insinua a partire dal periodo a cavallo tra gli anni ’30 e ’40 circa, quando il passaggio al tratto sottile è già avvenuto: i primi esempi si affacciano sui Par. Lat. 2103 e 6280. La forma in cui esiste inizialmente è a cornice, usata soprattutto per ragioni di spazio e comprensibilità: la penuria di margini sul 6280, soprattutto, imponeva una soluzione per mantenere ben distinte le glosse dal resto del testo (fig.191). Figura 191 Par. Lat. 6280, f.2r(3) Con uno stacco temporale piuttosto forte, negli anni ’50 il segno viene ripreso per le note al Par. Lat. 5690, in cui le cornici sono realizzate dal prolungamento della vaporosa. In questo caso, le motivazioni alla base del segno sono molto diverse rispetto da quelle precedenti: i margini spaziosi sono riempiti da numerose aggiunte nel corso del tempo anche molto diverse tra loro. A volte alcune cornici sono evidenziate da frecce, come già accennato per il Par. Lat. 1757 (figg.192 e 193). Figura 192 Par. Lat. 1757, f.4r(2) Figura 193 Par. Lat. 1757, f.8r(4) Spiccano soprattutto sul Par. Lat. 5690 le cornici sui ff.300r (fig.194) e 321r (fig.195) per la particolare morfologia: la prima ha una forma a triplice monticello, la seconda a gradoni. Non si tratta di un caso unico: Fiorilla afferma che già de Nolhac aveva ravvisati esempi tra i notabilia al Par. Lat. 6802113, in riferimento a nomi di luoghi ed elementi geografici: monti e promontori, in particolare montagne, di cui riporta alcuni esempi (figg.196 e 197)114. I monti rappresentati hanno strutture anche molto diverse tra loro: a tre cime di forma arrotondata o a punta aguzza. Fiorilla giustifica le differenze con la necessità del poeta di stabilire già a livello visivo una distinzione tra nomi di luoghi umanizzati o meno, come fiumi, paesi, altro, per orientarsi più agevolmente all’interno dell’opera pliniana, o come afferma lo studioso, per creare una “schedatura visiva, insomma, in assenza di indici” 115. La figura del monte è comunque importante per Petrarca, dal parallelismo che lo studioso scorge ancora nello stesso codice tra le note relative alla salita al Monte Emo di Filippo V e quella di Petrarca al Monte Ventoso, documentata al 1336 e i risvolti che il viaggio ha avuto nella vita del poeta 116. Si spiega così anche la forma a gradoni prima accennata, che potrebbe quindi distinguere visivamente sul f.8r (fig.191) un nome probabile di città: Corvax117. 113 Per le ianuae nel Par. Lat. 6802 che seguono le figure riprodotte sono quelle offerte da Fiorilla in Marginalia. 114 Riporto testualmente le note cui si riferisce Fiorilla in Marginalia, p.28: Carmelus, Album, Libanus, Antibanulus, Bargilus. 115 M. FIORILLA, op. cit., p.28. 116 Per la critica alla salita di Petrarca al Monte Ventoso secondo un’ottica storico-letteraria, cfr. G. BILLANOVICH, Petrarca e il Ventoso, R. M. DURLING, Petrarca, il Ventoso. 117 Corvax significa “corvo”, e il corvo, assai raro nell’araldica, è il simbolo della città di Corvara, in provincia di Pescara. A conclusione del tredicesimo libro dei Familiarium compare una lettera indirizzata a Francesco Monachi (XIII, 12), abate di Corvara, suo ammiratore, in risposta a informazioni sull’opera Africa. Incerto il motivo per cui sia stato apposto il nome: Petrarca voleva rimanda a uno scambio di opinioni con l’abate o indicare il nome della città? Figura 194 Par. Lat. 5690, f.300r(5) Figura 196 Par. Lat. 6280, f.40r Figura 195 Par. Lat. 5690,f.321r Figura 197 Par. Lat. 6280, f.64v Le ianuae assumono anche altre forme: nel Par. Lat. 7720, in cui vi sono le chiose “impilate” di cui si è avuto modo di accennare prima, si nota che alla fine di una sequenza (fig.198) o in una posizione intermedia (fig.199) ne viene talora tracciata un’inferior a battente singolo o doppio. L’opinione che mi sono costruita è che Petrarca tracciasse un simile segno per distinguere in maniera forte una particolare chiosa dalle altre o per determinare un gruppo che costituiva un’unità logica, come nel caso del gruppo delle note impilate; nei pochi casi in cui il segno si trova in una posizione intermedia, lo si potrebbe giustificare con l’immediatezza e spontaneità già accennati con cui Petrarca tracciava il segno: potrebbe essere ricorso a un simile stratagemma ad esempio per chiudere mentalmente un passaggio su cui il poeta aveva fissato l’attenzione di studio, dato anche il consistente numero di citazioni annesse come in fig.199. Figura 198 Par. Lat. 7720, f.5v(10) Figura 199 Par. Lat. 7720, f.4v(6) 2.3.4. Rapporto tra Petrarca e i segni di paragrafo Come si è avuto modo di dire sino ad ora, le ianuae sono legate esclusivamente alle glosse, quindi dipendono strettamente da esse e non posseggono, al contrario di altri segni, una propria indipendenza formale. Analizzare questa classe di marginalia porta necessariamente a porre attenzione all’intervento extratestuale che apre: non si può quindi non notare che, nel tempo, il numero delle note assume una consistenza sempre maggiore, come pure una diversificazione. Si è parlato infatti della differenza tra note esplicative e di rimando ad altri autori, che comporta solo una parziale influenza sulla morfologia delle ianuae che le accompagnano. L’elemento strettamente paleografico che interessa le ianuae è la variazione di tratto che già si era notata in merito alle graffe, e che era stata risolta con il dubbio di fondo per cui il passaggio questa volta da un tratto chiaroscurato a uno sottile o filiforme fosse giustificato dal cambiamento dello strumento scrittorio. Il passaggio così netto in questa sede sembrerebbe dare fondatezza piuttosto a questa possibilità, il che lascerebbe comprendere come per Petrarca lettura e studio fossero due attività ben distinte: probabilmente egli leggeva ovunque (dati anche i continui viaggi che lo interessano), mentre lo studio era probabilmente realizzato in un luogo specificatamente deputato e poteva richiedere ben precisi strumenti di scrittura. Sia che Petrarca utilizzasse un tipo di penna per scrivere la glossa vera e propria e un’altra per alterazioni diverse all’originale candore del codice, sia che fosse sempre la stessa, è comunque evidente dalla variazione di tratto avvenuta tra gli anni ’30 e ’40 che viene operata una distinzione concettuale tra marginalia figurati e non: il tratto chiaroscurato e posato del primo periodo, da come si può notare dalle prime ianuae che riprendono i segni di paragrafo a “C” o a “S”, suggerisco che alla base della realizzazione del commento vi dovesse essere una certa cura, un’attenzione non indifferenti, forse una naturale resistenza all’alterazione del libro, come si evince in alcuni scritti, tanto che nel Secretum Petrarca (vedi par. 2.1.3 di cui supra), come abbiamo visto in merito ai marginalia, parla di uncis della memoria. L’uncino incide sia nella mente che nella fisicità del libro, dal momento che corrisponde a un’alterazione dell’originalità. Infine questa naturale posatezza del segno si adagia su una maggiore confidenza tra Petrarca e il libro, tanto da accogliere cenni di spontaneità e immediatezza nelle colonne di glosse nel Par. Lat. 7720: il dialogo che il poeta stabilisce con gli autori dei testi che legge è vivace, inteso nel senso più letterale della parola, in quanto vivifica, risveglia un Cicerone, o un Seneca per parlare direttamente con loro. Nell’epistola a Lapo di Castiglionchio 118, infatti, Petrarca afferma che Cicerone si trattiene con piacere presso la sua dimora a Valchiusa. 118 Lettera a Lapo di Castiglionchio, F. PETRARCA, Familiarium, XII, 8,4, “Delectari itaque michi visus est Cicero et cupide mecum esse”. Il dialogo diretto giustifica i sempre più numerosi interventi, insieme alla cultura dello studio scritto che si era venuto affermando nel Medioevo (vedi Cap.1, par.9). Non si deve comunque dimenticare che il discorso sui segni di paragrafo o ianuae è ben più complesso rispetto a quello sulle maniculae o graffe, dal momento in cui questo segno vive in perfetta simbiosi con la glossa che introduce, motivo per cui un’analisi approfondita si deve condurre anche sotto un profilo filologico e non solo paleografico, che non si intende affrontare in questa trattazione. Tabella dei marginalia figurati sui codici analizzati Codice Manicula Graffa Segno di paragrafo Ianua superior Ianua inferior Par. Lat. 1617 x x X x Par. Lat. 1757 x x x x Par. Lat. 1994 x x x Par. Lat. 2103 x x x Par. Lat. 2151 x x Par. Lat. 2201 x x x Par. Lat. 2318 x x x Par. Lat. 2923 x x Par. Lat. 4846 x x Par. Lat. 5150 x x Par. Lat. 5690 x x x Par. Lat. 5816 x x x x Par. Lat. 6280 x x x x Par. Lat. 6802 x x x Par. Lat. 7720 x x x x x Par. Lat. 7748 Par. Lat. 8082 x Par. Lat. 9711 Troyes, ms. 552 x x x X x Bibliografia M. L. AGATI, Il libro manoscritto. 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