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I disturbi psichici secondari al cancro

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I disturbi psichici secondari al cancro
I disturbi psichici secondari al cancro
LUIGI GRASSI1,2, MARIA GIULIA NANNI1,2, ROSANGELA CARUSO1,
SILVANA SABATO2, ELENA ROSSI2, BRUNO BIANCOSINO2
La valutazione dei disturbi psichiatrici secondari al cancro rappresenta da oltre
trent’anni una delle aree principali della psiconcologia clinica. Diversi sono i quadri
psicopatologici che, con prevalenza variabile (35-45%), sono diagnosticabili e suddivisibili in quadri psichiatrici classici (ad esempio disturbi dell’adattamento, d’ansia, depressivi) e quadri neuropsichiatrici (ad esempio disturbi cognitivi secondari,
delirium). Diversi problemi sono emersi nell’impiego dei sistemi nosologici più noti
(DSM e ICD), che si sono rivelati limitanti per cogliere alcune manifestazioni (quali
ansia per la salute, demoralizzazione, umore irritabile, alessitimia), identificabili
invece con altri sistemi diagnostici quali i Diagnostic Criteria for Psychosomatic
Research (DCPR). La necessità di monitorare e cogliere il disagio emozionale nei
diversi contesti clinici ha portato allo sviluppo di modalità di screening, quali il
Distress Thermometer, che pure con i limiti di strumenti rapidi o ultrarapidi, hanno
dimostrato sufficienti caratteristiche di sensibilità e specificità. Nell’ambito delle
patologie a marcata componente biologica, i disturbi cognitivi secondari ai trattamenti (chemo-brain) e il delirium rappresentano i più frequenti. La conoscenza dei
fattori di rischio per patologie psichiatriche, e per fenomeni particolarmente significativi quali il suicidio, deve essere parte della formazione, sia delle figure della salute mentale sia dell’area oncologica e palliativistica, superando le barriere che nella
pratica clinica impediscono un’assistenza globale alle persone colpite da patologie
oncologiche.
Parole chiave: cancro, psiconcologia, disturbi psichiatrici, DSM-IV, ICD-10, DCPR.
2:2011; 87-114
RIASSUNTO
NÓOς
di Clinica Psichiatrica, Dipartimento di Discipline Medico-Chirurgiche
della Comunicazione e del Comportamento, Università di Ferrara
2U.O. Clinica Psichiatrica/Emergenza Urgenza, Dipartimento Assistenziale Integrato
di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche, Azienda Sanitaria Locale di Ferrara
CLINICA PSICONCOLOGICA
1Sezione
SUMMARY
Psychiatric disorders related to cancer
Over the last thirty years, the evaluation of psychiatric disorders related to cancer has
been the object of intense research in psycho-oncology. The psychopathological disturbances shown in cancer patients have an average prevalence of 35-45% and may
be classified as “classical” psychiatric disorders (e.g. adjustment, anxiety, depressive
disorders) and “neuropsychiatric” disorders (e.g. cognitive disorders secondary to
treatment, delirium). Several problems have emerged in using the most common
nosological systems, such as ICD and DSM, because of their limits in specificity/sensitivity (e.g. for depression disorders proposals have been suggested to modify DSM
criteria since 1984) and in catching certain clinically significant dimensions (e.g.
health anxiety, demoralization, irritable mood, alexithymia), which can be identified
through other systems, such as the Diagnostic Criteria for Psychosomatic Research
(DCPR). The need to monitor psychosocial morbidity (“caseness”) in cancer in the
several clinical contexts has determined the development of screening tools, such as
the Distress Thermometer, that, in spite of the limits as short and ultra-short instruments, have shown good levels of sensitivity and specificity. Amongst the psychopathological conditions which are strongly related to biological factors, the most
common are cognitive disorders secondary to treatment (chemo-brain) and delirium.
The knowledge of the risk factors for both psychiatric and neuropsychiatric syndromes, including some specific problems, such as suicide, should be part of the
training of health care professionals working in cancer centers, including oncologists,
palliative care physicians, as well as psychologists and psychiatrists. Furthermore, the
barriers that still prevent a global care to cancer patients should be identified and
overcome .
Key words: cancer, psycho-oncology, psychiatric disorders, DSM-IV, ICD-10, DCPR.
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Indirizzo per la corrispondenza: Luigi Grassi, Clinica Psichiatrica Università di Ferrara, Corso Giovecca 203, 44100 – Ferrara, e-mail: [email protected]
NÓOς
I DISTURBI PSICHICI SECONDARI AL CANCRO
L. GRASSI, M. G. NANNI, R. CARUSO,
S. SABATO, E. ROSSI, B. BIANCOSINO
INTRODUZIONE
La definizione e la valutazione attenta della sofferenza psichica secondaria
al cancro, l’analisi delle conseguenze che questa determina sulla persona
ammalata, oltre che sui familiari, e l’impostazione di corretti interventi terapeutici rivestono un ruolo centrale per la psiconcologia e l’oncologia
clinica1.
È evidente che le risposte emozionali e comportamentali ai marcati cambiamenti esistenziali e alle minacce evocate dalla diagnosi di cancro, dal suo
andamento e dai trattamenti assumono valenze molto articolate, esprimendosi in un ventaglio di modalità che solo riduttivisticamente possono essere
definite in termini categoriali, negli estremi di normale-anormale o fisiologico-patologico. Un approccio dimensionale, estremamente più ricco rispetto
alla valutazione delle molteplici componenti che caratterizzano il disagio
della persona e non riducibile al concetto di comorbilità tra diagnosi categoriali, risulta non semplice nel contesto oncologico, vista l’ampia sovrapposizione tra meccanismi biologici, sociali e psicologici2. Ciò peraltro vale
anche per i quadri clinici psichiatrici (o neuropsichiatrici) più strettamente
legati alla biologia della malattia o dei trattamenti, come è il caso delle alterazioni cognitive secondarie a chemioterapia e degli stati confusionali (delirium) ad eziologia multideterminata, assai frequenti nelle persone con cancro. Anche a questo livello, tuttavia, non vanno dimenticate le componenti
personologiche e interpersonali, che implicano la necessità di un approccio
che bilanci l’orientamento categoriale-dimensionale al fine di inquadrare
con strumenti che colgono in maniera sufficientemente specifica e sensibile
la condizione clinica psicologica/psicopatologica e attivare, secondo un
modello integrato, gli interventi più appropriati.
Quanto detto assume rilevanza particolare se si considera che, come in molte
altre aree della medicina, nella pratica clinica oncologica prevale una netta
tendenza alla medicalizzazione dei problemi e alla sottovalutazione del disagio della persona ammalata (o dei suoi familiari). Ciò comporta che un’elevata percentuale dei pazienti che presentano livelli elevati di sofferenza non
acceda – come sarebbe loro diritto – ad appropriate cure psicosociali.
La letteratura sul tema del disagio psichico e della psicopatologia in oncologia è molto vasta e si è modificata gradualmente nel corso del tempo in funzione dell’affinarsi degli strumenti di misura, dei criteri adottati per la valutazione dei singoli quadri psicopatologici e dell’accumularsi delle conoscenze relative all’area psiconcologica clinica3, come approfondiremo in questa
sede. Per ragioni di chiarezza separeremo i quadri psicopatologici “classici”
dalle condizioni a valenza neuropsichiatrica (sindromi psicorganiche in
senso lato, secondo le classificazioni più datate), discutendo i più frequenti
disturbi e analizzando i problemi ancora aperti.
QUADRI PSICHIATRICI “CLASSICI” IN ONCOLOGIA
A partire dalla fine degli anni ’70 la ricerca scientifica di area psicologica e
psichiatrica ha iniziato a verificare in maniera precisa l’entità dell’incidenza
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L’applicazione dei sistemi di classificazione psichiatrica all’ambito oncologico risale ai primi anni ’80 con l’applicazione del DSM-III, e successive
edizioni4,5, e dell’ICD-106.
Il primo e più noto studio multicentrico che ha esaminato attraverso tali strumenti la prevalenza di disturbi psichici in oncologia è rappresentato dal Psychosocial Collaborative Oncology Group (PSYCOG), condotto negli USA
in quattro centri con il coinvolgimento di 215 pazienti con diagnosi recente
di patologia neoplastica seguiti ambulatorialmente e valutati attraverso intervista secondo il DSM-III. In tale ricerca è stato dimostrato che il 47% dei
pazienti presentava sintomi con caratteristiche e intensità soddisfacenti i criteri del DSM-III, in particolare disturbi d’adattamento con aspetti depressivi
puri o misti ansioso-depressivi (25%), depressione maggiore (6%) e disturbi
d’ansia (4%). Diverse altre indagini condotte nel ventennio successivo hanno
riportato risultati fondamentalmente in linea con lo PSYCOG Study7-11,
pur se con alcune variazioni in base al sistema impiegato (DSM vs ICD),
alla popolazione valutata, alla sede di neoplasia, allo stadio e al contesto clinico (ambulatorio vs degenza). Diversi problemi e aree critiche sono tuttavia
emersi a questo riguardo sia in termini di incompletezza dell’approccio diagnostico (ad esempio i disturbi della sessualità che, benché piuttosto frequenti, vengono sicuramente sottostimati rispetto alla reale entità del problema12) e la difficoltà ad applicare in oncologia i criteri categoriali, in particolare per alcuni disturbi (ad esempio disturbi dell’adattamento e depressivi).
I disturbi dell’adattamento rappresentano certamente i quadri più frequentemente riportati in ogni fase della malattia, descrivendo l’insieme delle reazioni emozionali secondarie ai molteplici stressors collegati alle patologie
neoplastiche e coinvolgendo il 20-25% dei pazienti. Esistono tuttavia diversi
problemi a questo riguardo, non solo in oncologia ma nelle patologie mediche nel loro insieme, in particolare la scarsa specificità dei criteri DSM per
la diagnosi di disturbo dell’adattamento, per la vaghezza dei sintomi di tale
disturbo, la debolezza del concetto di stress/risposta normale attesa e l’inconsistenza del criterio temporale (sei mesi), non plausibile nella cronicità
(diacronicità) dello stress nelle persone con patologie mediche croniche e in
particolare con cancro13-15.
I disturbi depressivi si pongono come una delle ulteriori aree di rilievo su cui
NÓOς
ICD-10 e DSM-IV
CLINICA PSICONCOLOGICA
e della prevalenza di sofferenza psichica nelle patologie oncologiche, descrivendone i quadri clinici principali, le dimensioni psicosociali che interferiscono con la qualità della vita e le modalità più utili di assessment per favorire il riconoscimento del disagio. La descrizione di tali quadri può essere
effettuata prendendo in considerazione i dati emersi attraverso l’impiego dei
sistemi nosografici più classici (ad esempio l’International Classification of
Disease - ICD e il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Didsorders DSM), dei sistemi più specificamente rivolti all’identificazione delle dimensioni psicosociali in medicina (ad esempio i Diagnostic Criteria for Psychosomatic Research - DCPR) e di sistemi di screening del disagio psicosociale
(caseness) (ad esempio il Distress Thermometer e altri strumenti di misura).
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S. SABATO, E. ROSSI, B. BIANCOSINO
NÓOς
molta letteratura si è concentrata in psiconcologia. La prevalenza è molto
diversa sulla base degli studi, con percentuali variabili tra il 6% e il 40%16,17.
La depressione maggiore risulta il quadro più studiato, benché diverse indagini indichino anche l’importanza delle forme “minori” di depressione, inclusive delle forme subthreshold e delle forme ansioso-depressive18. Nell’ambito
della depressione maggiore il dibattito relativo ai problemi diagnostici è stato
particolarmente intenso, in funzione nuovamente della limitatezza dell’approccio categoriale. Più specificamente, risulta evidente l’impossibilità di
effettuare una distinzione radicale tra le componenti eziopatogenetiche della
depressione, poiché il criterio di esclusione diagnostica del DSM e dell’ICD,
che stabilisce che una patologia medica o i suoi meccanismi non debbano
essere chiamati in causa nell’insorgenza del disturbo psichico, renderebbe
fondamentalmente impossibile la diagnosi di depressione maggiore in ambito oncologico. Esiste inoltre il problema, subito emerso fin dalle prime applicazioni del DSM-III in oncologia, dei sintomi somatici della depressione (ad
esempio alterazioni dell’appetito, disturbi del sonno, perdita di peso, alterazioni della libido, dolore) che possono essere confusivi rispetto alla diagnosi,
potendo essere collegati sia alla patologia oncologica o ai trattamenti, sia alla
depressione stessa (sintomi somatici della depressione). Diversi autori
hanno, a questo proposito, proposto modifiche più o meno radicali dei criteri
del DSM come riportato in tabella I, suggerendo di sostituire i sintomi somatici con altri di area affettiva o di aggiungere criteri di area affettiva impiegando quelli somatici come conferma diagnostica o, se evidentemente non
causati dalla malattia, di escluderli, a prescindere, dalla lista dei criteri19-21.
Impiegando i criteri sostitutivi rispetto al DSM-III classico è stato dimostrato
tuttavia che i due metodi si avvicinano come capacità discriminante all’aumentare dei sintomi (oltre a 5 fino a 9)22. Più recentemente, in uno studio su
oltre 700 pazienti con diagnosi di depressione maggiore per i quali è stato
operato un confronto tra tali diversi approcci, Acheki et al.23 hanno sottolineato che, mettendo in atto le diverse proposte di modifica dei criteri diagnostici, emergono diverse capacità discriminanti e che, attraverso analisi secondo il modello della item response theory, alcuni sintomi risultano maggiormente significativi di altri nel categorizzare il livello di severità di depressione: per una diagnosi di depressione di grado lieve i sintomi “tendenza al
pianto o aspetto generale depressivo nel viso e nella postura del corpo” e
“cupezza e pessimismo” risultano particolarmente discriminanti, per la depressione moderata vengono indicati i sintomi “nessun miglioramento soggettivo nonostante il miglioramento delle condizioni mediche e/o funzionamento ad un livello inferiore rispetto a quanto la condizione medica garantirebbe” e “ritiro sociale o diminuita loquacità”, mentre discriminanti per la
depressione di grado severo si porrebbero i sintomi “non può essere sollevato, non sorride, non vi è risposta alle buone notizie o a situazioni divertenti”.
In maniera piuttosto inaspettata alcuni sintomi classici, quali l’ideazione suicidaria e i sentimenti di inutilità sono risultati scarsamente discriminanti,
mettendo in evidenza la difficoltà di cogliere gli aspetti centrali del nucleo
depressivo in pazienti con cancro. Ciò risulta particolarmente complesso nell’ambito delle cure palliative (cfr. articolo in questo numero), dove la marcata riduzione della performance, la presenza di sintomi di sofferenza somatica
Tabella I. Criteri diagnostici e loro modifica per la depressione maggiore in oncologia.
Criterio A: almeno cinque dei seguenti
sintomi presenti quasi ogni giorno
durante lo stesso periodo di 2 settimane,
come cambiamento rispetto al funzionamento precedente (almeno uno dei sintomi è umore depresso oppure perdita di
interesse e piacere o disperazione e inaiutabilità):
1. umore depresso per la maggior parte
del giorno;
2. marcata diminuzione di interesse o di
piacere per tutte, o quasi tutte, le attività
per la maggior parte del giorno (in particolare perdita di interesse verso le persone);
3. sentimenti di svalutazione (sentimenti
negativi espressi verso di sé e non verso
la situazione) o di colpa eccessivi o
immotivati (sensazione che la malattia sia
una punizione per qualcosa di malfatto);
4. diminuzione delle capacità di concentrarsi e pensare (non collegabili a delirium, demenza, malattia fisica o terapia)
o difficoltà a prendere decisioni;
5. pensieri ricorrenti di morte (non solo
paura di morire), ricorrenti propositi suicidi senza un piano specifico o ideazione
di un piano o tentativo di suicidio (non
semplicemente desiderare di essere
morto per por termine alla sofferenza);
6. significativa perdita o aumento di peso
non legati alla dieta (ad es. più del 5% del
peso in un mese) o diminuzione o
aumento dell’appetito quasi ogni giorno
(non semplicemente spiegabili da malattia fisica, terapia o ospedalizzazione);
7. agitazione o ritardo psicomotorio (non
semplicemente spiegabili come delirium,
demenza, malattia fisica o terapia);
8. insonnia o ipersonnia (non semplicemente spiegabili da malattia fisica, terapia
o ospedalizzazione);
9. pianto e atteggiamento depresso nell’espressione del viso e del corpo, astenia
o perdita di energie (non semplicemente
spiegabili da malattia fisica, terapia o
ospedalizzazione).
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Criterio A: almeno cinque
dei seguenti sintomi presenti quasi ogni giorno
durante lo stesso periodo
di 2 settimane, come cambiamento rispetto al funzionamento precedente
(almeno uno dei sintomi è
umore depresso oppure
perdita di interesse e piacere) (i seguenti sintomi
sostituiscono quelli del
DSM-III):
6. tendenza al pianto o
aspetto generale depressivo nel viso e nella postura
del corpo;
7. ritiro sociale o diminuita
loquacità;
8. cupezza, autocommiserazione o pessimismo;
9. non può essere sollevato, non sorride, non vi è
risposta alle buone notizie
o a situazioni divertenti.
NÓOς
I sintomi sono presi in
considerazione indipendentemente dal fatto che
possano essere o meno
attribuibili a patologia
neoplastica.
Depressione maggiore
Approccio sostitutivo19 Approccio alternativo21
CLINICA PSICONCOLOGICA
Approccio
inclusivo20
Crterio B: i sintomi causano sofferenza
significativa o diminuzione del funzionamento sociale (non legate a malattia o
terapia) [il paziente non partecipa alle
cure mediche, nonostante la capacità di
farlo, non progredisce nonostante il
miglioramento della condizione medica
e/o il suo funzionamento è a un livello
inferiore a quello compatibile con la
malattia].
segue
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Sindrome
da demoralizzazione24
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S. SABATO, E. ROSSI, B. BIANCOSINO
NÓOς
1. Sintomi affettivi di distress esistenziale, inclusi a
disperazione e perdita di significato e propositi per la
vita;
2. atteggiamenti cognitivi di pessimismo, inerzia/
inaiutabilità, senso di intrappolamento, fallimento
personale o mancanza di un futuro che abbia un valore;
3. assenza protratta di spinta o motivazione a reagire
in maniera diversa;
4. elementi associati di alienazione sociale o isolamento e mancanza di supporto;
5. fluttuazione nell’intensità dei sintomi;
6. disturbo depressivo maggiore o altro quadro psichiatrico non è presente come condizione primaria
Cytokine-induced depression
(Sickness Behaviour)25
Umore depresso
Anedonia
Isolamento sociale
Fatigue
Anoressia
Perdita di peso
Disturbi del sonno
Turbe cognitive
Riduzione della libido
Ritardo psicomotorio
Dolore
e la condizione di perdita di prospettiva per il futuro rendono complessa la
diagnosi di depressione26,27.
Recentemente il gruppo di lavoro European Palliative Care Research Collaborative on Depression (EPCRC) all’interno della European Society of Palliative Care ha sviluppato linee guida e work packages, regolarmente aggiornati, su questo tema28. Diverse alterazioni biologiche (neuro-ormonali, metaboliche e, soprattutto, attivazione del complesso delle citochine pro-infiammatorie) secondarie a chemioterapia, a terapie ormonali o alla stessa malattia
rendono inoltre possibile la comparsa di quadri depressivi, quali la cytokineinduced depression (o sickness behavior) non semplicemente differenziabili
dai quadri depressivi “classici” (cfr. paragrafo più oltre)25. In tabella I sono
indicati i possibili elementi diagnostici differenziali tra tali forme e la
depressione maggiore. Resta infine da chiarire dove si collocano diversi altri
quadri depressivi categoriali presenti nel DSM-IV e nell’ICD-10 quali la
depressione minore, la depressione ricorrente breve e la sindrome ansiosodepressiva; sempre che abbia un senso clinico specifico in oncologia impiegare una classificazione di questo tipo.
Nell’ambito dei disturbi d’ansia, accanto alle fobie specifiche, in particolare
quelle collegate ai noti fenomeni di nausea e vomito anticipatori indotti da
chemioterapia e fondamentalmente sovrapponibili come meccanismo alle
fobie classiche29, notevole interesse ha assunto in oncologia il Disturbo da
Stress Post-Traumatico (PTSD). L’ampliamento dei criteri diagnostici tra
DSM-III/DSM-III-R e DSM-IV ha fatto sì che il PTSD fosse scarsamente
prevalente nelle indagini fino al 1987 e successivamente molto più
riportato30. Tale condizione sembra colpire, secondo alcuni studi, il 15%
delle persone colpite da cancro con percentuali più ridotte, ma sempre significative, in persone guarite dalla malattia o lungo-sopravviventi (almeno 5
anni dalla diagnosi). In uno studio recente su oltre 800 pazienti colpiti da
linfoma di non-Hodgkin e sopravviventi alla malattia 2-44 anni, è stato
dimostrato che benché la prevalenza del PTSD fosse del 7,8%, il 61% delle
persone presentava alcuni dei sintomi di PTSD che interferivano comunque
sulla qualità della vita31. Questi dati sono in linea con alcuni elementi da
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NÓOς
Almeno 1 dei criteri B o C o D31
B. L'evento traumatico viene rivissuto persistentemente in uno (o più) dei seguenti
modi:
1) ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell'evento, che comprendono immagini,
pensieri, o percezioni. Nota: nei bambini piccoli si possono manifestare giochi
ripetitivi in cui vengono espressi temi o aspetti riguardanti il trauma;
2) sogni spiacevoli ricorrenti dell'evento. Nota: nei bambini possono essere presenti sogni spaventosi senza un contenuto riconoscibile;
3) agire o sentire come se l'evento traumatico si stesse ripresentando (ciò include
sensazioni di rivivere l’esperienza, illusioni, allucinazioni ed episodi dissociativi
di flashback, compresi quelli che si manifestano al risveglio o in stato di intossicazione). Nota: nei bambini piccoli possono manifestarsi rappresentazioni ripetitive specifiche del trauma;
4) disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni
che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell'evento traumatico;
5) reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell'evento traumatico.
CLINICA PSICONCOLOGICA
Tabella II. Criteri diagnostici per le forme sottosoglia (subthreshold o incomplete) di
PTSD.
C. Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della
reattività generale (non presenti prima del trauma), come indicato da tre (o più) dei
seguenti elementi:
1) sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma;
2) sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma;
3) incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma;
4) riduzione marcata dell'interesse o della partecipazione ad attività significative;
5) sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri;
6) affettività ridotta (per es. incapacità di provare sentimenti di amore);
7) sentimenti di diminuzione delle prospettive future (per es. aspettarsi di non poter
avere una carriera, un matrimonio, dei figli o una normale durata della vita).
D. Sintomi persistenti di aumentato arousal (non presenti prima del trauma), come
indicato da almeno due dei seguenti elementi:
1) difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno;
2) irritabilità o scoppi di collera;
3) difficoltà a concentrarsi;
4) ipervigilanza;
5) esagerate risposte di allarme.
Criterio A + almeno 4 sintomi tra ri-esperienza, ritiro/perdita di interessi, insonnia,
evitamento30
A. La persona è stata esposta a un evento traumatico nel quale erano presenti
entrambe le caratteristiche seguenti:
1) la persona ha vissuto, ha assistito o si è confrontata con un evento o con eventi
che hanno implicato morte, minaccia di morte, gravi lesioni o minaccia all’integrità fisica propria o di altri;
2) la risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti di impotenza o
di orrore.
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tenere in considerazione rispetto al tema del PTSD nelle patologie oncologiche, quali l’impossibilità a definire criteri qualitativi (stressor esogeno vs
stressor endogeno) e temporali dell’evento stressante (acuzie dello stressor
nel PTSD classico vs tendenza al permanere di eventi stressanti multipli nel
cancro). Ciò ha portato diversi autori a porsi interrogativi sulla correttezza
della diagnosi e sulla necessità di considerare anche i quadri sub-sindromici
di PTSD (tabella II )32,33, la cui importanza risulta notevole nelle persone
affette da cancro34,35.
Un’ampia letteratura si è infine concentra sui disturbi della sessualità come
area estremamente importante in oncologia, ma, come detto, molto sottovalutata nella pratica clinica benché coinvolga il 25-40% dei pazienti12. Diversi
studi hanno riportato come le patologie oncologiche della mammella, dell’ovaio e dell’utero si accompagnino a diminuzione o perdita del desiderio sessuale, alterazioni della risposta genitale femminile (diminuzione o perdita
della lubrificazione) e del raggiungimento dell’orgasmo, vaginismo e dispareunia36. D’altra parte, nel sesso maschile, altri studi hanno indicato come i
tumori del testicolo e della prostata abbiano conseguenze importanti sulla
sessualità, in particolare evitamento della sessualità e ansia da prestazione,
eiaculazione precoce, disturbi dell’erezione e inibizione dell’orgasmo. Sono
infine riportati problemi della sessualità anche a seguito di patologie neoplastiche che, indipendentemente dal sesso, hanno effetti estremamente negativi
sulla vita sessuale quali i tumori della testa-collo, della vescica o del colonretto. Diversi elementi svolgono un ruolo molteplice nel determinare tali difficoltà, tra cui le alterazioni dell’immagine corporea, gli effetti della chemioterapia e della radioterapia a livello generale e dell’apparato genitale, la perdita di peso, le stomie (ad esempio urostomia, colostomia), le conseguenze
della chirurgia e l’incontinenza37. L’applicazione, in questo contesto delicato
e specifico, del DSM o del’ICD risulta da molto tempo poco utile con necessità di strumenti più specifici e in grado di investigare in maniera corretta i
problemi dei pazienti e delle coppie e di cogliere i livelli di disagio38-42.
Da quanto esposto risulta chiaro dunque che l’applicazione di strumenti standardizzati quali il DSM e l’ICD in oncologia ha permesso di chiarire come la
popolazione colpita da patologie oncologiche presenti disturbi significativi
che devono essere valutati attentamente. Tuttavia sono emersi anche problemi da tenere in considerazione, tra cui il fatto che la malattia può determinare conseguenze a lungo termine, che anche le persone guarite dal cancro
mantengono un livello di sofferenza psichica, che, in chi sopravvive a una
malattia diagnosticata in età infantile, le sequele psicosociali sono assai
diverse (cfr. anche articolo in questo numero), che specifici problemi emergono nella fase avanzata e terminale di malattia, in cui la compromissione
delle condizioni somatiche comporta maggiori difficoltà diagnostiche, e che,
ancora, alcune dimensioni di sofferenza psicosociale – quali la demoralizzazione, l’ansia per la salute, la repressione emozionale – non vengono colte
dal DSM e dall’ICD o lo sono solo parzialmente e in maniera inconsistente
in paragrafi eterogenei e vaghi (ad esempio Codice V e “altre condizioni che
possono essere degne di attenzione clinica” nel DSM, “fattori che influenzano lo stato di salute e il rapporto con il sistema sanitario” - codice Z00-Z99
nell’ICD)43,44.
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NÓOς
Un tentativo di chiarificazione a questo ultimo proposito è stato effettuato
con l’introduzione di criteri per quadri diagnostici aggiuntivi o sostitutivi del
DSM definiti Diagnostic Criteria for Psychosomatic Research (DCPR)45. I
DCPR rappresentano indubbiamente un settore di interesse per l’area medica
per la possibilità di approfondire aspetti qualitativamente significativi del
disagio psicologico (tabella III) con dati estremamente interessanti relativi al
fatto che alcuni disturbi categorizzabili con il DSM, quali la depressione
maggiore o i disturbi dell’adattamento, non necessariamente comprendono e
corrispondono ad alcune dimensioni di sofferenza colte dai DCPR, quali la
demoralizzazione, l’ansia per la salute e l’irritabilità46.
In ambito oncologico, atteggiamenti e stili di percezione dello stato di salute
che rientrano nella nozione di comportamento anomalo di malattia (abnormal illness behaviour) – quali l’inibizione affettiva, la convinzione di malattia nonostante la rassicurazione medica, gli attriti nei rapporti interpersonali,
l’incapacità di cogliere il ruolo dei fattori psicologici nella percezione dei
propri sintomi – possono essere correlati a stati depressivi, ma non necessariamente rispondono ai criteri diagnostici del DSM o dell’ICD47-49. Inoltre,
uno stile di coping maladattivo, come la hopelessness-helplessness e la
anxious preoccupation, è collegato ad altre dimensioni psicosociali, tra cui
scarso supporto sociale e variabili personologiche di tipo external locus of
control, indipendentemente da una diagnosi psichiatrica formale50. Più
recentemente, Grassi et al.51, attraverso una valutazione congiunta con l’impiego del DSM-IV e dei DCPR in oncologia, hanno messo in evidenza come,
rispetto a 44,5% dei pazienti con una diagnosi DSM-IV (disturbi di adattamento 28% e disturbi dell’ umore 10,3%), il 71,2% degli stessi presentasse
CLINICA PSICONCOLOGICA
Diagnostic Criteria for Psychosomatic Research (DCPR)
Tabella III. I dodici quadri sindromici dimensionali dei Diagnostic Criteria for
Psychosomatic Research (DCPR).
Ansia per la salute
Nosofobia
Tanatofobia
Negazione di malattia
Sintomi somatici funzionali secondari a disturbo psichiatrico
Somatizzazione persistente
Sintomi di conversione
Reazione da anniversario
Comportamento tipo A
Umore irritabile
Demoralizzazione
Alessitimia
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S. SABATO, E. ROSSI, B. BIANCOSINO
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sintomi per almeno una sindrome DCPR (in particolare ansia per la salute:
37,7%; demoralizzazione: 28,8%; alexithymia: 26%; irritabilità: 11,6%).
Una sovrapposizione tra i due sistemi DSM-IV e DCPR è stata possibile sole
per il 39% dei pazienti e tra coloro che non hanno ricevuto una diagnosi psichiatrica DSM-IV (55,5%), il 58% ha ricevuto una diagnosi DCPR (39,2%
del campione totale). In un diverso studio in donne ammalate di cancro della
mammella, gli stessi autori52 hanno dimostrato che il 38,1% delle pazienti
presentava sintomi che rispondevano ai criteri di almeno una sindrome DCPR
e un ulteriore 28,6% a più di una sindrome DCPR. Tali quadri dimensionali si
sono correlati a livelli di tristezza più elevati, maggior numero di sintomi fisici, maggior senso di malessere generale, minori attività nel tempo libero e
minori legami interpersonali, maggiori preoccupazioni e paure rispetto alla
malattia, maggiori livelli di “anxious preoccupation” e di “hopelessness”.
La dimensione (o sindrome) della demoralizzazione in particolare è stata
approfondita nella sua espressione clinica in ambito oncologico e medico in
senso lato negli ultimi anni53, come condizione non obbligatoriamente associata alla depressione maggiore24,54, non coincidente con le depressioni
sotto-soglia e caratterizzata per la presenza di alcuni sintomi/dimensioni
core55,56. I sintomi proposti per la diagnosi di demoralizzazione sono riportati in tabella I.
Ciò quindi implica che l’approccio categoriale dei sistemi nosologici psichiatrici non solo deve prevedere alcune modifiche nei criteri diagnostici ma,
vista la loro scarsa specificità e sensibilità in oncologia, va affiancata a sistemi maggiormente espressivi della variegata fenomenologia della sofferenza
che pure ha un’importanza marcata nel modulare la qualità della vita delle
persone colpite da cancro.
Distress
Come meglio approfondito in questo numero (cfr. articolo di Annunziata e
Muzzati), a partire dalla fine degli anni ’90 un panel multidisiciplinare di
psichiatri, oncologi, psicologi, infermieri, assistenti sociali e figure pastorali, all’interno del National Comprehensive Cancer Network (NCCN www.nccn.org), ha considerato prioritario mettere a punto le linee guida per
l’assessment e la gestione del distress nelle persone affette da cancro (intendendo con il termine di distress più che una diagnosi specifica di disturbo
psichiatrico secondo un modello categoriale, una condizione posta su un
continuum che va da normali sentimenti di vulnerabilità, tristezza e paura a
problemi disabilitanti come depressione, ansia, panico, isolamento sociale e
crisi esistenziale e spirituale57-60). Lo sviluppo e l’applicazione di due semplici strumenti, il Distress Thermometer (DT) e la Problem List (PL) (assessment dei possibili problemi che la persona può avere nelle aree della vita
quotidiana, emozionale, spirituale e fisica), hanno permesso di evidenziare
che il 40-45% dei pazienti circa presenta livelli di distress indicativi di una
necessità di valutazione psicologica/psichiatrica e/o di interventi specifici61.
Il DT-PL è da allora entrato nell’ambito degli strumenti di screening da inserire in maniera routinaria e continuativa all’interno della cartella clinica nei
contesti oncologici (ambulatori, day hospital, reparti) e delle politiche sanita96
2:2011; 87-114
NÓOς
Il problema del suicidio in oncologia
CLINICA PSICONCOLOGICA
rie61 (cfr. paragrafo su screening). Diversi altri modelli sono stati proposti
per l’identificazione generale di distress, sia partendo da una cornice concettuale centrata sul modello stress-coping e cogliendo gli eventuali aspetti
maladattivi di quest’ultimo (ad esempio presenza di componenti di hopelessness-helplessness e anxious preoccupation), sia considerando in maniera
sovradeterminata items o dimensioni multiple presi da strumenti diversi (ad
esempio items di area depressiva, ansiosa, somatoforme) per garantire che i
sintomi di sofferenza del paziente siano colti in maniera specifica62,63.
Tali aspetti hanno un ruolo importante in oncologia poiché l’applicazione di
interviste psichiatriche e psicosociali complesse (DSM o DCPR) non è sempre possibile per la complessità delle interviste stesse e per il tempo necessario alla loro somministrazione, mentre interviste brevi e focalizzate o strumenti semplici e informativi possono essere inseriti più facilmente nei protocolli di valutazione regolare ad ogni visita permettendo al personale oncologico di monitorare, anche se ad un livello di base, le dimensioni psicosociali.
Ciò può riguardare anche uno dei problemi molto temuti in oncologia: il
rischio di suicidio.
Un problema piuttosto rilevante quando si discute della sofferenza psichica
nelle persone con cancro e che merita una trattazione specifica è infatti dato
dal tema del suicidio, per il quale la letteratura psiconcologica è piuttosto
ampia64,65. In particolare la correlazione tra suicidio e depressione66 e il rapporto tra ideazione suicidaria, richiesta di eutanasia o suicidio assistito nelle
fasi avanzate di malattia67 rappresenta una delle aree più investigate da molti
anni.
Superando il comune pregiudizio, specie tra i medici non psichiatri, secondo cui la rivelazione della diagnosi di cancro possa condurre di per sé ad atti
autolesivi, i pensieri relativi alla propria morte e al procurarsi la morte si
attivano frequentemente nelle persone colpite da malattie a minaccia ed è
ovviamente importante differenziare tali pensieri dall’ideazione suicidaria
in senso più specifico. Quest’ultima risulta presente nel 5-10% circa delle
persone affette da cancro, indipendentemente dalla sede diagnostica e dallo
stadio. In un recente studio di quasi tremila pazienti, Walker et al.68 hanno
verificato come il 7,8% presentasse ideazione suicidaria (item 9 del Patient
Health Questionnaire - PHQ) e come questa fosse correlata a distress emozionale, elevati livelli di dolore e, in misura minore, età anziana. Nelle fasi
avanzate di malattia diverse indagini hanno segnalato come tale ideazione,
espressa spesso come desiderio di morte anticipata, sia presente in una percentuale compresa tra il 9% e il 17%69. Uno studio più recente70 condotto
su 326 pazienti in fase avanzata di malattia ha indicato un marcato desiderio
di morte anticipata in una percentuale più bassa (2%), ma ha confermato
un’associazione tra tale desiderio e alcuni parametri specifici, in particolare
sentimenti di disperazione, sintomi depressivi, sintomi di sofferenza fisica
(dolore, difficoltà respiratorie, fatigue) e riduzione della performance, scarsa spiritualità, ridotto supporto sociale e perdita dell’autostima, come molti
altri studi hanno indicato in questi anni71-74. In persone adulte colpite da
97
I DISTURBI PSICHICI SECONDARI AL CANCRO
L. GRASSI, M. G. NANNI, R. CARUSO,
S. SABATO, E. ROSSI, B. BIANCOSINO
NÓOς
cancro in età giovanile e lungo-sopravviventi, Recklitis et al.75 hanno sottolineato come l’ideazione suicidaria fosse di circa il 13%, mentre più recentemente gli stessi autori76, in uno studio controllato su 9126 lungo-sopravviventi a cancro sviluppato in età evolutiva e 2968 fratelli reclutati nel
Childhood Cancer Survivor Study, hanno dimostrato come l’ideazione suicidaria sia più elevata nelle persone reduci dal cancro (7,8% vs 4,6%) e
come tale ideazione sia indipendente da età, età alla diagnosi, sesso, tipo di
terapia antineoplastica, ricorrenza di malattia, tempo dalla diagnosi, neoplasie secondarie e associata invece a neoplasia del SNC, depressione e riduzione della percezione di salute, incluse presenza di una condizione di cronicità, dolore e povero stato di salute globale. L’ideazione suicidaria è più
elevata nelle persone affette da cancro e da quadri depressivi conclamati,
dove l’aspetto relativo a porre termine alla propria esistenza risulta presente
nel 50% dei casi77.
Sul piano del comportamento suicidario in senso più stretto e del suicido
portato a termine, molti studi sono stati condotti in senso longitudinale o
catamnestico negli ultimi trent’anni, dimostrando come le persone colpite da
cancro siano più esposte a rischio di suicidio rispetto alla popolazione generale, con un’incidenza almeno doppia78-83. Studi condotti in quasi 350.000
pazienti con cancro della prostata hanno dimostrato che nei primissimi mesi
dalla diagnosi i pazienti presentano un rischio maggiore rispetto alla popolazione generale84, mentre uno studio su oltre 700.000 donne con cancro della
mammella ha indicato come anche a distanza di anni dalla diagnosi il rischio
di suicidio sia da 1,5 a 2 volte superiore rispetto alla popolazione generale, in
particolare per le donne in stadio avanzato di malattia85. Dati più recenti,
relativi a studi condotti su centinaia di migliaia di pazienti con cancro e su
oltre un milione di pazienti, indicano come alcuni fattori, tra cui soprattutto
la sede di neoplasia (pancreas, polmone, testa-collo), il sesso maschile, l’età
avanzata e il periodo dalla diagnosi (primi cinque anni) si accompagnino a
un rischio assai maggiore di ideazione suicidaria (80-100/100.000 abitanti/anno) stimato essere fino a dieci volte più elevato rispetto alla popolazione
generale86-89.
I quadri depressivi sono evidentemente un ulteriore e importante fattore di
rischio per suicidio, come dimostrato in studi di confronto tra diagnosi psichiatriche e suicidio in pazienti con cancro90. In una recente indagine condotta su oltre 35.000 pazienti con cancro del pancreas (dove la prevalenza di
depressione è compresa tra il 30% e il 70%) l’incidenza di suicidio è risultata
essere di 135,4/100.000/anno; all’incirca undici volte più elevata rispetto alla
popolazione generale91. Fondamentale risulta quindi sul piano clinico la
conoscenza dei fattori che aumentano il rischio di suicidio in oncologia,
come riportato in tabella IV.
QUADRI NEUROPSICHIATRICI
Accanto ai disturbi dell’umore, d’ansia e dell’adattamento e alle diverse
dimensioni di sofferenza psicologica descritte, grande rilievo hanno in oncologia i disturbi dell’area cognitiva, comprendenti fondamentalmente le
98
Tabella IV. Fattori di rischio di suicidio nel paziente con cancro92.
• Cancro del pancreas, testa/collo e polmone (spesso associato ad abuso di alcool)
• Stadio avanzato di malattia
• Prognosi infausta
• Dolore intrattabile o non adeguatamente trattato
• Sintomi somatici ad alto impatto psicologico (ad es. perdita dell’autonomia, perdita delle funzioni intestinali o vescicali, gravi amputazioni, paraplegia, incapacità ad
alimentarsi e fatica severa)
2:2011; 87-114
Fattori specifici
NÓOς
• Anamnesi familiare positiva per suicidio
• Anamnesi psichiatrica remota positiva per episodi depressivi e tentativi di suicidio
• Diagnosi psichiatrica attuale
depressione maggiore
disturbi di personalità
abuso di sostanze
eventi stressanti recenti a carattere di perdita (ad es. lutti, perdite reali e simboliche);
mancanza di supporti sociali
CLINICA PSICONCOLOGICA
Fattori generali
espressioni di indebolimento cognitivo secondario ai trattamenti e gli stati
confusionali acuti o delirium.
Per quanto riguarda i disturbi cognitivi secondari ai trattamenti, molta letteratura negli ultimi anni ha descritto come la chemioterapia, e soprattutto la
combinazione di chemioterapia e radioterapia, possano comportare alterazioni di alcune funzioni, quali memoria, attenzione, concentrazione, apprendimento, calcolo, percezione visuo-spaziale. Benché rispetto a tali quadri,
variamente definiti come disturbi cognitivi indotti da chemioterapia o
chemo-brain/chemo-fog, non vi sia accordo tra gli autori93-95, è chiaro che
l’assessment delle funzioni cognitive assume un ruolo rilevante in oncologia.
Talora alcune manifestazioni possono assumere una fenomenologia variabile
poiché le funzioni cognitive e intellettive possono essere colpite in modo e in
grado diverso. Si possono associare infatti disturbi non cognitivi, come la
perdita del controllo emozionale, le modificazioni del comportamento e della
personalità, i disturbi del movimento, della postura e della coordinazione.
Altre possibili condizioni di sofferenza cognitiva, di vario grado sino ad arrivare alla demenza, possono essere date da patologie primitive (ad esempio
tumori cerebrali primitivi) nonché da esiti sul SNC dei trattamenti96. Nei
tumori dei lobi frontali le alterazioni mentali sono molto frequenti e comprendono riduzione dell’attività, calo dell’attenzione, deficit della memoria
di fissazione, disinibizione delle condotte istintive, turbe dell’umore e stato
euforico che si sviluppa su un fondo di apatia e di indifferenza. Nei tumori
della regione mesodiencefalica le alterazioni dello stato mentale sono incostanti, ma a volte precoci e ben definite e comprendono turbe della coscienza, sindrome di Korsakoff per i tumori del terzo ventricolo, ipotalamici e del
99
I DISTURBI PSICHICI SECONDARI AL CANCRO
L. GRASSI, M. G. NANNI, R. CARUSO,
S. SABATO, E. ROSSI, B. BIANCOSINO
NÓOς
trigono, e demenza talamica. Anche la presenza di lesioni metastatiche può
favorire disturbi psicopatologici soprattutto con alterazioni della memoria
associate a modificazioni della personalità. I sintomi derivanti dal deficit
selettivo di alcune funzioni cognitive sono rappresentati da afasia, alessia,
acalculia, agnosia, aprassia, amnesia e alterazioni del tono dell’umore, di
solito in senso depressivo. L’incidenza della demenza in pazienti sottoposti a
radioterapia su tutto l’encefalo per il trattamento di metastasi cerebrali è stimata del 2-5%. I sintomi possono comparire da alcuni mesi a molti anni
dopo il trattamento radioterapico ed esprimono un lento, progressivo e irreversibile calo delle funzioni cognitive. Si associano un ritardo psicomotorio e
una marcia aprassica. In tutte queste situazioni, la valutazione mira a definire
l’integrità o l’entità del deficit delle funzioni intellettive e le eventuali alterazioni affettive attraverso un’anamnesi standardizzata, un appropriato esame
obiettivo neurologico e dello stato mentale tramite prove neuropsicologiche
formalizzate e da indagini strumentali (ad esempio EEG, TAC, RMN,
PET)97.
Il delirium, infine, è un quadro assai importante e comune nelle fasi avanzate
di malattia su cui la letteratura si è molto concentrata negli ultimi anni (cfr.
altro articolo in questo numero), come tema estremamente importante della
psichiatria in medicina palliativa98,99. Il delirium è caratterizzato da un’alterazione acuta delle funzioni cognitive e del livello di vigilanza e ha una prevalenza variabile dal 10% all’80%, presente in particolare negli ultimi giorni
di vita (delirium terminale).
Sul piano fenomenologico-clinico, la forma ipoattiva-rallentata (riduzione
del livello di coscienza o letargia) è più frequente di quanto non si pensi,
benché la maggior parte dei quadri sia di tipo iperattivo-agitato (alterazioni
marcate del comportamento, ricca “produzione” sintomatologica associata a
disturbi della percezione e del pensiero) e misto. Anche per i quadri di delirium, per quanto definito in maniera piuttosto chiara dal sistema categoriale,
l’approccio diagnostico necessita di un’integrazione tra approfondimento
delle variabili eziopatogenetiche (raccolta attenta dell’anamnesi, oncologica
e non, revisione della cartella clinica, incontro con i familiari, liaison con
medici e infermieri di riferimento) e quelle cliniche (modalità di insorgenza
del delirium, esame obiettivo generale e neurologico, valutazione specifica
dello stato mentale e di coscienza, monitoraggio nel tempo).
Di largo impiego sono gli strumenti per la valutazione delle funzioni cognitive, sia di ordine generale (ad esempio Mini-Mental Status Examination, test
dell’orologio, test della scrittura di una frase) sia specifici per il delirium (ad
esempio Memorial Delirium Assessment Scale – MDAS; Delirium Rating
Scale/DRS-Revised-98)99.
FATTORI EZIOPATOGENETICI E ASSOCIATI AI DISTURBI PSICHICI
IN ONCOLOGIA
I fattori implicati nel rischio di sviluppo di disturbi psichici nelle persone
colpite da cancro sono riassunti in tabella V e, per ragioni di chiarezza, sintetizzati in base al quadro clinico e separati in variabili di ordine biologico,
100
Tabella V. Fattori di rischio per morbilità psichiatrica nei pazienti con patologie
neoplastiche92.
• Storia di disturbi psicologici o psichiatrici (inclusi disturbi di personalità o abuso
di sostanze)
• Scarse capacità di difesa agli eventi
• Elevata tendenza alla repressione delle emozioni
• Tendenza al pessimismo, alla rinuncia e alla percezione di scarso controllo sugli
eventi
2:2011; 87-114
Fattori psicologici individuali
NÓOς
• Presenza di sintomi fisici invalidanti (ad es. dolore, astenia, nausea e vomito continuo)
• Povertà di funzionamento e di performance
• Fase avanzata di malattia
• Terapie mediche aggressive
• Sede di malattia (ad es. maggior rischio in carcinoma polmonare a piccole cellule,
carcinoma del pancreas)
CLINICA PSICONCOLOGICA
Fattori biologici
Fattori psicosociali
• Incidenza di eventi stressanti concomitanti
• Scarsa possibilità di ricevere sostegno a livello interpersonale intimo (difficoltà
familiari, problemi coniugali)
• Scarsa possibilità di ricevere sostegno a livello interpersonale allargato (amici,
figure di riferimento, comunità, associazioni, servizi, lavoro)
• Basso livello socio-economico
psicologico e sociale.
Fattori biologici
Le variabili legate alla malattia rappresentano i primi fattori biologici da considerare rispetto allo sviluppo di quadri psicopatologici. È stato già indicato
come alcune sedi di malattia, in particolare testa-collo, colon, pancreas e polmone, si associano maggiormente a disturbi depressivi e a distress rispetto
alle altre. Lo stadio è inoltre importante poiché le fasi avanzate di malattia si
accompagnano ad un maggiore rischio di stati depressivi e confusionali100.
Come detto, le terapie impiegate per la cura del cancro svolgono inoltre un
ruolo significativo; in particolare: chemioterapici, antibiotici, altri agenti
antineoplastici (ad esempio interferone, ormoni e steroidi), nonché farmaci
antalgici, possono associarsi a diversi quadri psicopatologici, tra cui depressione, delirium e stati disforici.
Rispetto al problema delle depressione e di altri sintomi comportamentali
in oncologia, diversi studi hanno cercato di verificare il ruolo predittivo di
variabili biologiche, in particolare della neuroimmunomodulazione101,102.
101
I DISTURBI PSICHICI SECONDARI AL CANCRO
L. GRASSI, M. G. NANNI, R. CARUSO,
S. SABATO, E. ROSSI, B. BIANCOSINO
NÓOς
Alcuni dati sembrano indicare che la condizione depressiva si associa a
elevate concentrazioni plasmatiche di IL-6 (5 volte superiore rispetto a
pazienti con cancro non depressi), a più elevati livelli ematici di cortisolo e
a un alterato funzionamento dell’asse ipotalamico-pituitario-surrenale
(HPA) con ridotta variazione diurna del cortisolo103. Altri autori non hanno
tuttavia confermato in maniera costante tale ipotesi104. I dati più recenti
sembrerebbero inoltre indicare che l’associazione tra depressione e fattori
citochinici e cortisolo è presente nelle forme depressive a spiccata componete vegetativa ma non nelle forme a spiccata componente affettiva105. Va
inoltre considerata la più generale condizione, non presente esclusivamente
nel cancro, di cytokine-induced depression (sickness behaviour) in cui certamente la neuroimmunomodulazione ha un ruolo dterminante106.
Recentemente il ruolo del polimorfismo genetico del trasportatore della 5HT è stato notevolmente investigato in relazione al problema della depressione, riscontrando dati indicativi del fatto che le persone portatrici dell’allele
short (s/s) sarebbero maggiormente esposte a rischio per lo sviluppo di stati
depressivi secondari ad eventi stressanti rispetto ai portatori dell’allele long
(l/l e l/s). L’unico studio disponibile in letteratura psiconcologica su persone
affette da cancro della mammella non ha tuttavia confermato tale dato, non
avendo riscontrato alcuna differenza tra le diverse tipologie genetiche rispetto ai diversi parametri indagati (depressione, variabili di personalità, distress,
maladaptive coping)107.
Anche per quanto riguarda i disturbi cognitivi secondari ai trattamenti, la
radioterapia dell’encefalo può comportare alterazioni cognitive nel tempo,
mentre la chemioterapia assume un ruolo significativo, in particolare per
alcune molecole (ad esempio methotrexate, nitrosuree, interleuchine e
interferon, citosina arabinoside, carmfour e fludarabina). Rispetto al problema del delirium, sul piano della patogenesi sono coinvolte sia strutture
corticali che sottocorticali (Ascending Reticular Activating System, talamo), come pure diversi neurotrasmettitori (disfunzione del sistema colinergico a cui si associa l’iperfunzione dopaminergica che spiega il ruolo terapeutico dei farmaci antidopaminergici su alcuni sintomi). Diversi sono i
fattori biologici chiamati in causa nel delirium quali il deficit multisensoriale, lo stadio avanzato di malattia, il deficit cognitivo preesistente e l’insufficienza renale, l’abuso di alcool, un basso livello di performance, la
disidratazione, gravi alterazioni elettrolitiche, la malnutrizione, l’uso di
farmaci oppioidi, anticolinergici e neurolettici e i deficit di vitamina B1, la
contemporanea somministrazione di più di tre farmaci psicoattivi e l’uso
del catetere vescicale.
Fattori psicologici
Le modalità con le quali i pazienti affrontano gli eventi stressanti determinati
dalla malattia (stili di coping) rappresentano la base della conseguente risposta affettiva ed emozionale. Tali modalità risultano determinate dalle esperienze di vita del soggetto che modulano lo sviluppo e lo stabilirsi di schemi
interiori di valutazione della realtà e di gestione dello stress. La tendenza a
percepire gli eventi come ineluttabili (external locus of control) si associa a
102
2:2011; 87-114
NÓOς
Fattori interpersonali
CLINICA PSICONCOLOGICA
un maggiore rischio di disagio psichico e di comparsa di quadri clinici tra cui
stati depressivi e ansiosi rispetto alla tendenza a percepire gli eventi come
controllabili, anche solo parzialmente, attraverso un proprio intervento diretto (internal locus of control). La disposizione temperamentale al pessimismo
si è associata a inadeguati meccanismi di reazione psicologica alla diagnosi e
all’intervento chirurgico, con rischio di sviluppo di una sintomatologia
depressiva che tende a permanere a distanza di un anno108. Alcuni elementi
quali la resilienza e l’hardiness risultano inoltre favorenti le capacità di adattamento alla malattia. Atteggiamenti basati sul confronto attivo verso quanto
sta accadendo, sulla ridefinizione dei problemi e sulla valutazione di soluzioni alternative, sulla ricerca di informazioni e sulla spinta a combattere e a
non lasciarsi andare, sono risultate essere, in tutti gli studi eseguiti, le strategie più idonee a proteggere dal rischio di depressione. Anche la storia psicologica individuale, in particolare la presenza di precedenti episodi psicopatologici e un’elevata incidenza di eventi stressanti a carattere di perdita nel
corso della vita o durante il percorso di malattia, si pongono come ulteriori
elementi che facilitano lo sviluppo di depressione109.
Un’ulteriore variabile è rappresentata dal contesto sociale nel quale il
paziente vive, poiché le modalità con le quali l’individuo percepisce e
affronta gli eventi esistenziali sono influenzate dal supporto che deriva dalle
relazioni interpersonali. Tale supporto comprende la presenza e l’adeguatezza delle funzioni di aiuto emozionale, informativo e materiale che originano
dagli scambi relazionali con figure di riferimento presenti e disponibili a
livello familiare e sociale in senso lato. Sicuramente tra le sorgenti più
importanti di sostegno per una persona colpita da cancro, la famiglia svolge
un ruolo prioritario, ponendosi come prima linea supportiva110. Accanto a
tali figure, il sostegno derivante dall’ambiente sociale (gli amici, i confidenti, il proprio medico) si pone come ulteriore importante fattore di mediazione ed è dimostrato che ricevere un supporto di questo genere fin dalle prime
fasi della malattia, in persone senza fattori di rischio per disturbi psicologici, si associa a esiti psicologici positivi, quali la crescita post-traumatica
(post-traumatic growth) anche a distanza di anni dal cancro111.
Purtroppo non sempre il supporto di cui può usufruire il paziente è adeguato
alle necessità e tale da contrastare gli effetti dirompenti della malattia. In
particolare i problemi legati alla comunicazione della diagnosi e dell’andamento della malattia (“congiura del silenzio”) possono rappresentare un ostacolo, portando il paziente e i familiari a una chiusura verso il mondo esterno
e impedendo che possibili sorgenti di supporto svolgano la loro funzione.
Eventi stressanti multipli, sia antecedenti sia concomitanti alla malattia,
hanno poi un ruolo determinante nel modulare la resistenza o la vulnerabilità
psicologica alla malattia. In una serie di studi estremamente interessanti è
stato suggerito che gravi traumi subiti dai genitori possono essere trasmessi
transgenerazionalmente ai figli esponendoli, in caso di diagnosi di cancro, a
un rischio maggiore di sviluppo di quadri psicopatologici, quali il PTSD.
Tali ricerche si sono concentrate in particolare su donne colpite da cancro
103
104
della mammella, i cui genitori erano reduci dall’esperienza dell’olocausto112,113.
I DISTURBI PSICHICI SECONDARI AL CANCRO
L. GRASSI, M. G. NANNI, R. CARUSO,
S. SABATO, E. ROSSI, B. BIANCOSINO
NÓOς
IL PROBLEMA DEL RICONOSCIMENTO DELLA MORBILITÀ
PSICHIATRICA IN ONCOLOGIA
È evidente che quanto detto, quindi, implica che il personale oncologico
possieda conoscenze di base sulla morbilità psicosociale del paziente, sulle
caratteristiche principali dei sintomi, sulle modalità con cui questi si esprimono e possono essere elicitati e sui possibili fattori di rischio. A questo
proposito, tuttavia, la letteratura indica come solo 25-35% delle persone con
quadri di sofferenza psicologica clinicamente significativa o con franchi
quadri psichiatrici vengano riconosciuti correttamente nei contesti clinici114.
Passik et al.115 hanno registrato come le capacità diagnostiche diminuiscano
paradossalmente proprio quando più severi sono i sintomi depressivi, che
vengono identificati solo nel 13% dei casi. Sembra inoltre che i medici tendano a sovrastimare i sintomi d’ansia in pazienti con cancro clinicamente
non ansiosi o moderatamente ansiosi e a sottostimare i pazienti con livelli
d’ansia maggiore116. Tra i pazienti che gli oncologi valutano come bisognosi di un intervento psicologico, solo la metà presenta in realtà sintomi clinicamente rilevabili, in particolare disturbi depressivi (23%) e d’ansia
(30%)117. È chiaro che se non si esplorano i problemi, raramente questi
emergono o vengono portati spontaneamente dai pazienti. Nell’indagine
condotta da Sharpe et al.118 su oltre 5000 pazienti, di coloro che risultano
affetti da disturbo depressivo maggiore (8%), solo la metà discute le proprie
difficoltà con i propri medici di medicina generale, un terzo assume terapie
antidepressive (e solo una minoranza ristretta di questi a dosi e per tempi
adeguati) e una percentuale ancora più bassa riceve interventi psicologici
dai servizi di salute mentale. Una conferma di quanto riportato riguarda il
parallelo scarso utilizzo dei servizi di psiconcologia – anche quando esistenti –, con invii, da parte del personale oncologico, di solo il 4-5% dei
pazienti seguiti. Questi dati sembrano risultare indipendenti dal contesto
culturale, ritrovandosi in indagini condotte negli Stati Uniti119,120, in Australia121,122 e in Italia123.
Diversi sono i motivi chiamati in causa per spiegare questo fenomeno (tabella VI). Tra questi, la distorsione con cui la salute mentale e la psichiatria in
genere vengono percepite dalle altre discipline mediche come aree specialistiche che si occupano unicamente delle psicosi, la tendenziale conferma di
ciò da parte delle stesse agenzie di salute mentale portate a considerare le
condizioni “reattive” a eventi esistenziali come di non propria pertinenza, lo
scarso interesse delle amministrazioni sanitarie verso l’area psicosociale in
oncologia e la scarsa preparazione a questo livello. Diverse sono anche le
barriere create ai pazienti, quali la scarsa informazione rispetto all’esistenza
dei servizi di psiconcologia e ai tipi di trattamenti disponibili, i meccanismi
socioculturali che tendono a considerare una debolezza di carattere il non
riuscire a reagire e l’abbattersi, con conseguenti sentimenti di vergogna e
Tabella VI. Ostacoli al riconoscimento del disagio psichico in oncologia.
• Mancanza di abitudine a esprimere le emozioni
• Pudore a rivelare aspetti della propria vita intima
• Timore di essere stigmatizzati come pazienti psichiatrici
• Paura della dipendenza (nel caso di assunzione di terapia psicofarmacologica)
• Timori del giudizio rispetto alle capacità di affrontare gli eventi
• Concentrazione dell’attenzione sul problema medico
2:2011; 87-114
Fattori legati al paziente (e/o alla famiglia)
NÓOς
• Incompletezza del training formativo universitario (di laurea e specialistico) e professionale nell’area psiconcologica
• Pregiudizi verso le discipline psicologiche e psichiatriche (ad es. stigma, scarsa
fiducia)
• Scarsa dimestichezza nel parlare delle emozioni
• Timori di non saper gestire reazioni emotive avverse (ad es. rabbia, disperazione,
angoscia)
• Scarsa fiducia negli interventi psicologici e/o psicofarmacologici
• Convinzione di non competenza nell’intervenire su un’area non-somatica
CLINICA PSICONCOLOGICA
Fattori legati all’operatore
Fattori legati alle istituzioni
• Scarso investimento nell’area psicologico-medica e psichiatrica di consultazione
• Mancanza di conoscenza
- sull’entità della comorbilità psichiatrica in oncologia e nelle patologie somatiche in genere
- sulle conseguenze in termini di riospedalizzazioni, utilizzo dei servizi, tempi di
degenza
• Taglio delle spese e riduzione delle risorse
ritiro da parte di chi avrebbe in realtà bisogno di aiuto e la stigmatizzazione
delle aree psicologiche e psichiatriche come, appunto, pertinenti ai luoghi
della follia.
Routine screening
Una risposta a questo livello è in parte data dalla diffusione delle linee guida
in psiconcologia e, in generale, sulle tematiche psicosociali del cancro, come
è accaduto negli ultimi anni in diversi Paesi in gran parte per l’azione congiunta delle società scientifiche di psiconcologia e dei movimenti di advocacy.
Tra tali linee guida viene indicato, come abbiamo segnalato, il monitoraggio
routinario del disagio psicologico (o distress), come sesto parametro vitale,
in tutti i pazienti e in maniera continua nelle diverse fasi della malattia124-126.
Il DT-PL del NCCN è stato a questo proposito tradotto e validato in molte
lingue e applicato in contesti clinici molto diversi, con verifica della capacità
105
I DISTURBI PSICHICI SECONDARI AL CANCRO
L. GRASSI, M. G. NANNI, R. CARUSO,
S. SABATO, E. ROSSI, B. BIANCOSINO
NÓOς
dello strumento di identificare non solo le condizioni di disagio esistenziale
o spirituale collegate al cancro, ma anche le condizioni di sofferenza psicologica che interferisce con la qualità della vita sia del paziente, sia della sua
famiglia127. In diverse indagini, la specificità, la sensibilità, il valore predittivo positivo e negativo del DT sono stati misurati per identificare il cut-off
più idoneo a cogliere la morbilità psicosociale generale in oncologia (“caseness”). Tale cut-off è generalmente riportato essere di 4 per le forme di
distress moderato e 7 per le forme di distress grave, inclusivo della depressione maggiore128. Due unici studi, condotti rispettivamente da Grassi et
al.129 in Italia e da Thekkumpurath et al.130 in Olanda, hanno confrontato il
DT con un’intervista psichiatrica, confermando la sufficiente validità e attendibilità dello strumento rispetto all’identificazione di quadri clinici diagnosticabili come sindromi affettive secondo l’ICD-10. Accanto al DT-PL esistono
altri strumenti brevi la cui applicazione in senso routinario può cogliere in
maniera forse più precisa rispetto a una scala analogo-visiva (VAS) specifiche forme di disagio, come la depressione. La Hospital Anxiety-Depression
Scale (HADS) e il Brief Symptom Inventory-18 (BSI-18) sono stati molto
usati in oncologia come strumenti di screening per la depressione e l’ansia131,132, dimostrandosi più sensibili e specifici del DT, seppur nella relativa
brevità di compilazione e analisi, resa più semplice in molti centri da sistemi
di software e touch-screen.
Recentemente Thekkumpurath et al.133 hanno verificato, su un’ampia casistica di oltre 4000 pazienti ambulatoriali affetti da cancro, come il Patient
Health Questionnaire (PHQ), breve scala self-report costituita da items corrispondenti ai criteri per la depressione maggiore secondo il DSM-IV, possa
trovare una buona applicabilità in oncologia, per le caratteristiche di specificità e sensibilità della scale stessa (ROC curve 0,94; sensibilità 93%; specificità 81%).
Benché siano presenti diversi limiti nell’impiego di scale di screening, che
risultano non diagnostiche in senso stretto, la confidenza con l’uso regolare
di tali strumenti nei contesti clinici può facilitare, come già detto, il dialogo
medico-paziente (o infermiere-paziente) su temi soggettivi inerenti le aree
emozionali, interpersonali e spirituali frequentemente inesplorate e promuovere una cultura biopsicosociale nei luoghi di cura, con identificazione delle
persone che presentano livelli di sofferenza necessitanti di interventi psiconcologici.
Programmi educazionali e di liaison
Per raggiungere tali obiettivi, è evidente che sono necessari programmi formativi che comprendano il razionale dell’impiego degli strumenti, poiché lo
screening non è che il primo passo di una sequenza più articolata e non coincide necessariamente da solo con un migliore trattamento delle condizioni di
disagio 134. D’altra parte, come verrà meglio approfondito nel prossimo
numero della rivista sul tema degli interventi e della formazione, lo sviluppo
di una cultura psicosociale in oncologia, con quanto ne consegue in termini
di organizzazione delle cure, rappresenta uno dei più significativi obiettivi in
psiconcologia nel contesto oncologico, dalla diagnosi alle fasi di trattamento,
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CLINICA PSICONCOLOGICA
dalla riabilitazione alla lungo-sopravvivenza, dalla ricorrenza di malattia alle
cure palliative. Diversi percorsi, quali training intensivi sulla comunicazione
(operatore-paziente-famiglia e intra-team), inclusa la facilitazione dell’applicazione di strumenti finalizzati al riconoscimento del disagio individuale e
familiare e sulla promozione dell’allargamento dell’ottica alle dimensioni
sociologiche e spirituali nel cancro, sono stati attivati e sottoposti a verifica
di efficacia negli ultimi anni135.
Anche in Italia, diverse sono le esperienze di modelli formativi con risultati
significativi in termini di possibilità di superare le barriere culturali sulla
comunicazione in oncologia, di soddisfazione dei medici, di miglioramento
della relazione con i pazienti e delle stesse capacità comunicative136-138. Tuttavia, l’obbligatorietà di partecipazione a corsi accreditati e la definizione di
percorsi all’interno delle scuole di specializzazione in oncologia, presente in
altri Paesi – fino all’impossibilità di esercitare la propria attività clinica in
assenza di tali crediti – risulta ancora assente in Italia.
Alcuni strumenti educazionali promossi da società scientifiche hanno inoltre
un ruolo significativo per diffondere la cultura psiconcologica nei servizi e
per favorire la didattica in ogni contesto formativo (ad esempio studenti delle
facoltà mediche e psicologiche, scuole di specializzazione, piani formativi
aziendali rivolti alle diverse figure professionali del settore oncologico e palliativistico). Un esempio è dato dall’on line core-curriculum in psycho-oncology sviluppato dall’International Psycho-Oncology Society (IPOS) e disponibile attualmente in nove lingue diverse (cinese, francese, giapponese,
inglese, italiano, portoghese, spagnolo, tedesco e ungherese) con il coinvolgimento delle società scientifiche nazionali (ad esempio Società Italiana di
Psiconcologia, Società Portoghese di Psiconcolgia, Società Cinese di Psiconcologia) su dieci temi chiave (tabella VII) della psiconcologia clinica
(www.ipos-society.org)139.
Diversi altri programmi di liaison sono stati implementati negli ultimi anni
allo scopo di rendere operative le linee guida di cui abbiamo parlato. Il protocollo Depression Care for People with Cancer (DCPC) è stato ad esempio
designato al fine di integrarsi nei servizi oncologici e sottoposto a verifica
attraverso un modello sperimentale piuttosto interessante (Symptom Management Research Trials – SMaRT). Il progetto prevede la presenza di un care
manager che, attraverso una stretta supervisione da parte di uno psichiatra
con formazione psiconcologica, coordina la gestione del paziente depresso
(counselling, psicofarmacoterapia), mantenendo un collegamento diretto con
il medico di medicina generale e il team oncologico140. In studi recenti il
protocollo ha dimostrato di essere estremamente utile nel ridurre la sintomatologia depressiva in pazienti con cancro, cogliendone rapidamente i sintomi
e garantendo trattamenti ottimali141.
Infine lo sviluppo di servizi dedicati di psiconcologia in moltissimi Paesi è
una realtà diffusa. In Italia un censimento dei servizi di psiconcologia operanti è stato effettuato dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica
(AIOM) e, congiuntamente, dalla Società Italiana di Psico-Oncologia (SIPO)
e dall’Associazione Italiana Malati di Cancro (AIMaC) sotto l’egida dell’Istituto Superiore di Sanità. Il risultato è che esistono oltre cento servizi
all’interno dei diversi Servizi Sanitari Regionali, in genere formati da psico-
107
Tabella VII. I temi dell’On-line Multilingual Core curriculum in Psychooncology
(www.ipos-society.org, ecc.) disponibile in italiano anche sul sito SIPO
(www.siponazionale.it).
I DISTURBI PSICHICI SECONDARI AL CANCRO
L. GRASSI, M. G. NANNI, R. CARUSO,
S. SABATO, E. ROSSI, B. BIANCOSINO
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• Comunicazione e abilità comunicative in oncologia
• Assessment psicosociale in oncologia
• Ansia e disturbi d’ansia nelle persone con cancro
• Depressione e disturbi depressivi nelle persone con cancro
• Linee guida per la gestione del distress in oncologia
• Le cure palliative per lo psiconcologo
• Cancro: una faccenda di famiglia
• Lutto, cordoglio e perdita
• Implicazioni etiche in psiconcologia
• Interventi psicosociali. Evidenze e metodi per il supporto dei malati di cancro
logi e con psichiatri presenti per consultazione, e che le linee guida e i criteri
di accreditamento dei servizi stessi sono ancora non omogenei o inesistenti.
Tale situazione implica uno sforzo maggiore per la psichiatria che deve confrontarsi con questi aspetti in maniera più specifica nell’organizzazione dei
suoi dipartimenti.
CONCLUSIONI
Come abbiamo visto in questa review, la valutazione delle diverse espressioni psicopatologiche secondarie al cancro rappresenta una delle aree più
approfondite della psiconcologia clinica. La ricerca finalizzata a comprendere la prevalenza di disturbi psichiatrici ha messo in evidenza dati significativi, dimostrando come il 6-15% dei pazienti presenti quadri depressivi maggiori, il 10-15% disturbi d’ansia, il 20-25% disturbi dell’adattamento, il 1080% (in funzione dello stadio di malattia e dei trattamenti) disturbi psicorganici (disturbi cognitivi e delirium), il 25-40% disturbi della sessualità e
un’ulteriore percentuale compresa tra il 15 e il 30% disturbi legati a dimensioni diverse di sofferenza non colte dal DSM e dall’ICD, quali la demoralizzazione o l’ansia per la salute.
La necessità di monitorare e diagnosticare il disagio emozionale nei diversi
contesti clinici ha portato allo sviluppo di modalità di screening, quali il DT
o altri sistemi multidimensionali, brevi o ultrabrevi che hanno dimostrato
sufficienti caratteristiche di sensibilità e specificità per cogliere le manifestazioni più frequenti di disagio, benché molte aree, quali la sessualità, non
sempre siano coperte dalle interviste più frequentemente impiegate. Nell’ambito delle patologie a marcata componente biologica, è da considerare che
molta letteratura ha centrato l’attenzione su alcuni quadri clinicamente
importanti quali i disturbi cognitivi secondari ai trattamenti (chemo-brain) e
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il delirium, quest’ultimo certamente tra i più importanti problemi da affrontare nell’ambito della medicina palliativa.
L’approccio biopsicosociale in oncologia ha permesso di specificare l’intersecarsi complesso delle variabili biologiche, psicologiche e interpersonali nel
determinismo dei diversi quadri di sofferenza psichica, pur con la necessità
di saper bene bilanciare il ruolo e il peso di ciascuna di queste variabili a
seconda del disturbo o della manifestazione clinica.
La conoscenza dei fattori di rischio per patologie psichiatriche e dell’espressione di queste è certamente un punto principale della formazione, sia delle
figure della salute mentale sia dell’area oncologica e palliativistica, superando le barriere che nella pratica clinica impediscono un’assistenza globale alle
persone colpite da patologie oncologiche. Molti dati hanno messo in evidenza, tuttavia, come il diritto delle persone con cancro a ricevere cure mediche e
psicosociali ottimali è spesso scarsamente perseguito dai servizi per problemi
diversi, tra cui l’organizzazione dei servizi stessi o perché scarsamente orientati in senso psicosociale (dipartimenti di oncologia) o perché scarsamente
orientati alle problematiche delle persone con patologie mediche (dipartimenti di salute mentale). È altrettanto vero, comunque, che lo sviluppo e la diffusione di linee guida psiconcologiche da parte di molte istituzioni e in molti
Paesi stanno rendendo necessario occuparsi in maniera più definita di questi
aspetti. Ciò è stato facilitato anche dalla ricerca psiconcologica che si è estremamente ampliata negli ultimi trent’anni e grazie alla quale molti problemi
della psichiatria – quali i limiti della classificazione diagnostica, dei modelli
di intervento quando declinati in contesti specifici come l’oncologia, dell’organizzazione dei servizi e dei rapporti con le altre discipline mediche – sono
emersi e dovranno essere affrontati rapidamente nell’immediato futuro.
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