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corpo, ritmo, movimento, conoscenza
CORPO, RITMO, MOVIMENTO, CONOSCENZA
Prof. Dr. Emilia Costa Cattedra di Psichiatria Sapienza Università di Roma
UOC Disturbi della Condotta Alimentare Policlinico Umberto I
– www.psichedonna.com
Introduzione
Si può forse parlare di espressività corporea senza prima dire di ciò che rende il
nostro corpo agile, flessuoso, mobile, scattante; cioè senza parlare del ritmo che
anima ogni nostro movimento e senza parlare del movimento come fonte di ogni
nostra conoscenza?
Proviamo quindi ad indagare sulla sanità del corpo prima di farlo ammalare!
Il solo tentare di definire il ritmo dal punto di vista lessicale è un compito
impossibile. La stessa etimologia non porta grande aiuto. Che la voce «ritmo»
venga dal greco rùtmos; e che può derivare da rèin scorrere - è verosimile.
Benveniste dimostra però che i dizionari ci ingannano quando descrivono rutµós;
come quella maniera particolare di fluire che è propria delle onde del mare. In tal
modo, tutto sarebbe semplice. Sfortunatamente, in greco, entrambe le parole non
vengono mai usate in riferimento al mare, ma la parola ritmo apparirebbe nella
filosofia ionica, in particolare in Leucippo e Democrito, assumendo il senso di
«forma», precisamente la «forma nell'istante quale essa è assunta da ciò che è in
movimento, mobile fluido... la forma improvvisata, momentanea, modificabile»
(Benveniste: 1995) Tutto cambia con Platone, che crea un senso nuovo della parola
ritmo. Nei suoi scritti, questo termine caratterizza i movimenti del corpo, che sono
assoggettati ai numeri allo stesso modo dei suoni musicali: «il ritmo è ordine nel
movimento» (Platone, Leggi, 665 a).
«Si potrà quindi parlare del ritmo di una danza, di una andatura, di un canto, di
una dizione, di un lavoro, di tutto ciò che suppone una attività continua, divisa in
elementi sul metro di tempi alternati» (Benveniste:1951). Il concetto di ritmo non
deriverebbe dunque da qualche esperienza della natura, bensì dall'organizzazione
del movimento umano. L'etimologia ci rinvia alla psicologia. E una psicologia del
ritmo deve partire dal ritmo delle attività umane, in ogni fase della nostra vita,
maggiormente nell’infanzia ed adolescenza, periodi fondanti l’equilibrio strutturale
della nostra unità corpo/mente. Dal tempo di Platone a oggi noi ne abbiamo esteso
l'uso a tutti i fenomeni periodici.
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Gli strumenti della scienza, oggi, possono registrare ritmi di alta frequenza, la
nostra memoria può registrare ritmi di bassa frequenza come le fasi del giorno e
della notte o quella delle stagioni.
Esistono ritmi cosmici (mensili, annuali) che hanno una profonda ripercussione
sulla nostra vita biologica e sociale, così come ne hanno una ancor più evidente su
tutti gli organismi viventi, vegetali ed animali.
1. Ritmi biologici (sull'esistenza di una innata tendenza alla ritmicità)
Un ritmo biologico può essere descritto come un sistema oscillante nel quale
eventi identici si producono a intervalli di tempo sensibilmente uguali. Un ritmo è
endogeno solo se si manifesta per un certo tempo a partire dal momento in cui le
condizioni esterne diventano uniformi, cioè se è alimentato dall'organismo.
Il ritmo e la periodicità sono una caratteristica di tutti gli organismi viventi. I
ritmi biologici dei vegetali furono i primi ad attirare l'attenzione. Già nel 1730 lo
svedese Linneo concepì il principio di un orologio basato sull'orario dello sbocciare
dei fiori; a ciascuna ora corrispondeva l'attività di fiori differenti. Non si tardò,
comunque, a trovare esempi di ritmicità anche nell'uomo: i ritmi del polso, della
temperatura, della frequenza cardiaca, della pressione sanguigna, della
respirazione, della attività cerebrale, delle escrezioni urinarie di potassio, sodio,
magnesio, fosforo, delle mitosi, del glucosio, etc. L'aver individuato uno spettro di
frequenze caratteristiche per tante funzioni fisiologiche ha contribuito a criticare il
concetto erroneo, piuttosto comune, che l'omeostasi sia la caratteristica
fondamentale del nostro organismo e che un fittizio «equilibrio» sia condizione
sine qua non per mantenersi in buona salute.
L'omeostasi, ignorando i ritmi (prevedibili!), ignora il fatto che l'organismo
vivente è caratterizzato da un'estrema variabilità. Tanto per citare un esempio tra
tanti, basterà ricordare che ogni giorno (luce e attività), nell'individuo sano, gli
ormoni della corteccia surrenale raggiungono concentrazioni plasmatiche vicine a
quelle del morbo di Cushing, mentre nelle dodici ore successive (buio e riposo) i
valori che si riscontrano sono paragonabili a quelli dell'insufficienza del surrene. La
concezione omeostatica che per lungo tempo a permeato la scienza medica, porta
sistematicamente a ritenere che tutto un insieme di sistemi neuroendocrini operi
nell'organismo in modo da mantenere costanti le concentrazioni delle varie
sostanze nei compartimenti cellulare ed extra cellulare. Nel soggetto sano, la
minima variazione di un costituente dell'ambiente interno, scatenerebbe, cioè, una
serie di processi tesi a correggere sul nascere la perturbazione. In breve, le
«costanti» biologiche non dovrebbero subire variazioni, né in maniera periodica né
in qualsiasi altro modo.
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«Questo meraviglioso sistema di regolazione (l'omeostasi) era invocato in ogni
circostanza con tanto rispetto e fervore che ne abbiamo fatto una specie di
personaggio leggendario: Santa Omeostasi» Per contro, la cronobiologia ha
dimostrato che la vita umana è caratterizzata dal fluire di una serie di eventi
condizionati da influenze esterne e interne. «Dall'interazione tra organismo ed
ambiente esterno scaturiscono i ritmi biologici, cioè le variazioni temporali di
funzioni fisiologiche, che hanno andamento periodico e riproducibile» (HALBERG
E, «Chronobiology», Ann. Rev. Physiol., 1969). A questo punto mi sembra utile
riportare schematicamente un certo numero di nozioni indispensabili per la
comprensione e lo studio dei ritmi biologici.
1) I fenomeni bioperiodici, a tutti i livelli di organizzazione, hanno, salvo rare
eccezioni, carattere ereditario. Come sottolinea Pittendrigh, essi non sono acquisiti
dal singolo individuo a ogni generazione, ma fanno parte, al contrario, del
patrimonio genetico di ogni specie vegetale o animale considerata (Pittendrigh
C.S., Circadian rhythms and the circadian organization of living svstem, Long
Island Biol. Assoc., 1960).
2) Le variazioni ritmiche di un certo numero di fattori ambientali sono capaci di
influenzare i ritmi biologici. Questi fattori ambientali, veri e propri
«sincronizzatori» (Halberg) e «agenti di trascinamento» (Pittendrigh), sono di
natura molto diversa. L'alternanza della luce (L = light) e dell'oscurità (D =
darkness) che segue un periodo di circa 24 ore, è abitualmente uno dei
sincronizzatori più potenti dei ritmi circadiani per i vegetali e per gli animali (oltre
che per l'uomo). Nell'uomo il sincronizzatore più potente sembra essere di natura
socio-ecologica: non è l'ora che segna il nostro orologio, ma la distribuzione del
nostro riposo e della nostra attività durante le 24 ore, legata a degli imperativi
sociali. Un altro fattore, l'assunzione di cibo, può anch'esso diventare un
sincronizzatore importante in certe condizioni sperimentali. Quando l'alimento
viene reso disponibile soltanto durante le ore di riposo si osserva la
desincronizzazione dei ritmi circadiani, nonostante la presenza del sincronizzatore
L/D, che diviene allora secondario. Anche se i sincronizzatori non creano i ritmi,
essi sono tuttavia capaci, in certe circostanze, di modificarne i caratteri.
3) Allo stesso modo le variazioni ritmiche di fattori ambientali, come quelli
metereologici, possono influenzare la tossicità dei farmaci, cosicché uno stesso
farmaco, con lo stesso dosaggio può risultare tossico o benefico persino secondo
l’orario in cui viene dato. Si è visto inoltre, come nel caso dell’anfetamina, che
l’isolamento o l’aggregazione possono influenzare sia la tossicità, sia la letalità dei
farmaci.
4)Un ritmo, se è endogeno, deve mantenersi anche quando si sopprimono quelle
variazioni esterne che costituivano i suoi sincronizzatori (in particolare l'alternarsi
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luminosità-oscurità). Le numerose esperienze in libre course, nelle quali uno o più
uomini vivono in ambienti completamente isolati da luci e rumori del mondo
esterno, hanno dimostrato che questi soggetti generalmente conservano un ritmo
veglia-sonno un po' superiore alle 24 ore. Quando gli uomini sono in gruppo i loro
ritmi circadiani tendono a sincronizzarsi (M. Apfelbaum e coll., «Chronobiology»,
1969).
2. I ritmi motori spontanei: tempo e dondolamento
La prova del tempo motorio spontaneo ideata da Stern consiste nel far eseguire
delle battute con una mano sul tavolo o su un tasto Morse, alla velocità che il
soggetto considera come la più naturale e gradita. Il tempo così determinato viene
chiamato tempo (o ritmo) spontaneo o naturale. Tutte le ricerche sottolineano la
grande variabilità interindividuale di questo tempo, ma dimostrano anche che la
variazione individuale è debole. Numerosi autori hanno pensato all'esistenza di una
relazione tra il ritmo cardiaco e il tempo spontaneo. La ricerca più estensiva
(Tisserand Guilhot, 1949-50) ha trovato una correlazione di + 0,06, cioè nulla, tra il
ritmo motorio spontaneo e la velocità del polso.
I dondolamenti del capo, del tronco, degli arti, sono in primo luogo una forma di
tempo motorio spontaneo. Nel bambino i movimenti di dondolamento si producono
quando è inattivo o al momento di addormentarsi; nell'adolescente o nell'adulto
rappresentano automatismi che sfuggono al controllo volontario; infine,
dondolamenti considerati come stereotipie sono talvolta presenti nel quadro clinico
delle sindromi catatoniche. È accertato che questi dondolamenti si situano entro la
gamma temporale del tempo spontaneo, talvolta con frequenze un po' più lente. Per
questo rallentamento non c'è da stupirsi, visto che la massa muscolare messa in
moto è molto considerevole (tronco, capo intero) rispetto a quella di una mano.
I dondolamenti che si notano in quasi tutti i bambini molto piccoli possono essere
interpretati in primo luogo come la regolazione di una tensione muscolare e, in
effetti, sono più frequenti negli ipertonici motori (Stamback, 1963). Essi
permettono al bambino di acquisire un controllo dei movimenti e lo aiutano a
riconoscere le sensazioni cinestesiche del proprio corpo. Wallon pensa che, in
generale, i dondolamenti del bambino piccolo corrispondano ad un profondo
equilibrio tra le funzioni di relazione, che non sono ancora sviluppate o che sono
represse, e l'attività posturale (Wallon H., Les origines du caractère chez l'enfant,
Paris, 1970). In effetti, i dondolamenti fanno la loro apparizione nei bambini
soprattutto al momento di addormentarsi, quando essi sono privati di relazioni con
il mondo esterno. Le situazioni frustranti (malattie, bambini educati rigidamente,
etc.) li fanno sviluppare. Inoltre i dondolamenti sono frequenti nelle insufficienze
mentali, in cui le capacità di relazione con l'ambiente sono ridotte. Il denominatore
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comune di tutti questi casi è, comunque, la diminuzione della capacità di relazione.
Sembra dunque che il bambino si dedichi ad una attività semplice, autonoma, che
ha per effetto di fornire uno stimolo, ed è noto che in ogni essere umano esiste una
esigenza di eccitazione, che genera una impressione di benessere.
Il dondolamento è quindi sorgente di soddisfazione primaria. L'interpretazione
psicoanalitica sottolinea come queste turbe si presentino spesso in bambini ansiosi,
sofferenti per frustrazioni.
Si avrebbe così una repressione verso autosoddisfazioni più primitive, che alcuni
non esitano a far risalire al periodo fetale, quando il bambino è sotto il dominio
predominante del battito cardiaco.
Le eccitazioni originate dal dondolamento sono per Wallon (ibid.) all'origine di
giochi come l'altalena, le montagne russe, ma anche di molte danze, alcune delle
quali, ancora oggi in alcuni paesi dell’Africa, sono protratte fino alla vertigine o
all'estasi. Vi sarebbe in tal modo una continuità tra il dondolamento e certe forme
di danza e certi giochi.
E’ pertanto molto importante nel processo educativo tener presente e permettere
l’estrinsecazione del tempo motorio spontaneo, senza violentarlo, né coartarlo.
3. Movimento e conoscenza
Senza avvedercene, siamo ritornati per altre vie a Platone ed alla sua
proposizione iniziale: «il ritmo è ordine nel movimento». Infatti, in origine, l'uomo
non dispone che del proprio corpo e della propria voce. Ed è proprio attraverso
movimenti e vocalizzi che il bambino inizia ad interagire nel mondo, a mandare i
primi messaggi di presenza, le prime richieste di attenzione e cura, a cui gli adulti
devono necessariamente dare grande attenzione. Anche perché il bambino
impiega i propri movimenti non solo nell'azione, ma anche per esprimere emozioni:
gioia e tristezza, ansietà ed allegria, che vanno immediatamente ascoltati e
compresi.
Non solo: l'organizzazione neuromuscolare dell'uomo privilegia la ripetizione dei
movimenti identici. L'uomo, quando può contare sulla sua sola forza muscolare,
l'economizza sfruttando le ripetizioni di strutture organizzate. Parecchi lavori
agricoli corrispondono ancora alla descrizione precedente: la semina, il trapiantare
il riso o l'insalata, il malto, etc. Ciò corrisponde al concetto di risparmio energetico,
risparmiare le proprie energie, senza disperderle in cose e movimenti inutili.
Se il bambino non viene compreso nell’espressione delle sue prime esigenze
fondamentali reagirà con richieste sempre più pressanti piangendo troppo e
muovendosi eccessivamente, creandosi quel circolo vizioso di squilibrio
psicomotorio, la cui ripetizione può condurre ai a vari disturbi.
Gli etnologi hanno anche scoperto un'arte della danza presso tutti i popoli, e gli
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psicologi hanno osservato che in tutti i bambini verso i 18 mesi compaiono abbozzi
di danza. Se la danza rappresenta allora, senza dubbio, la prima «arte» nel tempo,
tuttavia sappiamo che essa è fin dall'origine associata al canto, e questo, a sua volta,
è frutto del movimento degli organi della fonazione. Anche i movimenti degli arti
sono d'altronde sorgenti sonore: battute di piedi, battute di mani rinforzate da un
corredo di bracciali o di sonagli, o in seguito ad impatti su strumenti a percussione.
I vocaboli che per primi i greci usarono per descrivere i ritmi testimoniano
dell'intima relazione delle arti temporali con il movimento. Infatti la distinzione
fondamentale era tra arsis e thésis, slancio e appoggio, in relazione, cioè, con la
lotta alternativa di tutti i nostri movimenti contro la pesantezza, a slanci sempre
seguiti da ricadute, da appoggi che danno origine a nuovi slanci. Ciò significa che
noi adulti non dobbiamo assolutamente impedire lo slancio del bambino, ma
semplicemente indirizzarlo con l’esempio al movimento equilibrato.
In conclusione, nel contesto ritmico, non esiste una vera dicotomia tra contesto
verbale e contesto gestuale, in quanto essi non sono mai stati veramente separati.
Per dirla con P. Emmanuel, «Il gesto verbale corrisponde al gesto fisico»
(Emmanuel, Le rythme d Euripide à Debussy, 1926).
In questo senso, il 'gesto-parola' esprime la conoscenza sensibile e intellettiva che
noi abbiamo acquisito, così che noi non siamo solo quello che facciamo (ritmo e
movimento), ma anche quello che diciamo (parola). Ed è solo quando l'Essere
esprime il fare ed il dire all'unisono, senza pericolose scissioni, che si raggiunge la
forza e la pienezza interiore.
4. Significato del movimento nella condotta
Uno studio del movimento non può prescindere da una definizione della
«occasione» a partire dalla quale esso si realizza, in rapporto alla situazione vissuta
dall'organismo e al significato che esso riveste per questo organismo. Per lungo
tempo, nella psicologia della condotta, il riflesso è stato preso come modello
esplicativo del comportamento. Secondo questa concezione, lo stimolo o
eccitazione esterna è il fattore responsabile delle reazioni dell'organismo. Ma le
esperienze dimostrano facilmente che l'organismo non reagisce puntualmente alle
eccitazioni e che organismi diversi posti nella identica situazione spesso reagiscono
differentemente. È risultato dunque necessario introdurre un fattore che spiegasse
questa differente reattività: la motivazione.
La motivazione è la forza che muove gli organismi e che sostiene tutte le
condotte; «La motivazione è lo stato di tensione che mette in movimento
l'organismo fino a quando esso non abbia ridotto questa tensione e ristabilito
l'equilibrio» (Lagranche, «Theorie de la conduit» , Bulletin de Psychologie de la
Sorbonne; 1952).
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Questa analisi, di carattere adattativo, del movimento ci consente di fare una
prima distinzione, considerando come finalità del comportamento quella di
mantenere un certo equilibrio dell'organismo con il suo ambiente (nozione di
omeostasi). Si tratta, cioè, di porre le reazioni motorie in rapporto a certe necessità
di equilibrio, considerando come loro scopo quello di salvaguardare l'integrità
dell'organismo. Senza addentrarci nell'argomento, potremmo distinguere
innanzitutto delle reazioni motorie di tipo difensivo, in rapporto alla protezione
dell'organismo verso le aggressioni (reazione di allarme, di fuga e di aggressione),
da reazioni motorie di carattere appropriativo tendente alla assimilazione di un
oggetto esterno: alimento, partner sessuale, partner sociale. Ma l'esperienza ci
mostra che questi due gruppi di movimenti sono ben lontani dal comprendere tutte
le reazioni motorie. Se poniamo, infatti, come aspetto fondamentale l'equilibrio
dell'organismo con il suo ambiente, allora non tutti gli aspetti del comportamento
possono essere descritti in termine di omeostasi. L'organismo, anche se in
equilibrio immediato con il suo ambiente, non è mai a riposo ed è sempre sede di
una attività.
Questa attività perenne ci viene mostrata nella sua espressione più alta dal
sistema nervoso in quanto, come i più importanti studi di neurofisiologia ci
confermano, la cellula nervosa è un sistema energetico auto-attivo. «I gradienti
metabolici danno origine a correnti elettroniche che, se sono molto forti, producono
una scarica ritmica al loro punto di emergenza. Ogni neurone è così un piccolo
sistema chimico, il cui metabolismo lancia una corrente elettronica ritmica
intrinseca» (R. Gesell, Embriologia del comportamento, 1962). L'accumulazione di
tensione al livello dei neuroni motori rappresenta un vero «bisogno di movimenti»
come, d'altra parte, l'accumulazione di tensione a livello delle strutture percettive si
traduce in un vero «bisogno di informazione». Ecco che movimento e conoscenza
si innescano in un binomio inscindibile che conduce all’equilibrio ed al benessere
quando rispettato ed al malessere quando non rispettato o violentato.
Possiamo dunque distinguere altre due categorie di movimenti:
1) I movimenti non specifici corrispondenti al «bisogno di movimento», che si
esprimono con una motricità che ha unico fine in se stessa.
2) Le condotte esploratrici, che esprimono i bisogni di stimolazione, di
informazione.
Giunti a questo punto, sembrerebbe che ogni movimento abbia uno scopo
preciso. In effetti, se si prendono i soli criteri utilitari per caratterizzare la condotta,
si potrebbe essere tentati di credere che molte reazioni motorie non hanno scopo
alcuno, sono anzi assurde.
Tra le reazioni senza scopo, si possono citare i movimenti che accompagnano le
emozioni: il tamburellare delle dita su un tavolo, che rivela irritazione, il tremore di
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una persona in preda ad una paura intensa, gli stringimenti di spalle, il saltellare
dalla gioia, etc. Se questi movimenti non possono essere messi in rapporto con un
obiettivo utilitario, essi esprimono tuttavia un certo modo di essere della personalità
in quella situazione, sono rivelatori delle emozioni e dei sentimenti che essa prova.
Questi movimenti senza scopo hanno dunque un significato: sono movimenti
espressivi e di essi parlerò in seguito in un apposito paragrafo. Anche questi
tuttavia movimenti fondamentali da conoscere e rispettare.
5. Particolarità del movimento umano
Il carattere umano del movimento si manifesta fin dall'inizio della evoluzione
ontogenetica. Da una parte, le attività motorie sono sempre in rapporto con una
motivazione, perdono il loro carattere «istintivo» e l'esecuzione motoria può
accomodarsi più finemente alla situazione; la plasticità del movimento diventa
notevole e gli schemi motori riducono la loro incidenza.
D'altra parte le motivazioni primarie ed organiche sono modificate dalle influenze
culturali e sociali.
Quanto più ci si eleva nella scala animale tanto più si constata che il sistema
nervoso compie con sempre maggiore finezza ed efficienza le seguenti funzioni:
1) Assicurare il comando della attività neuromotoria in funzione delle afferenze
sensoriali. 2) Contenere «modelli di condotta» e suscitarli in funzione di stimoli
particolari. 3) Analizzare, filtrare e integrare le afferenze sensoriali, per costruire
una rappresentazione del mondo esterno adattata alle manifestazioni specifiche
dell'animale.
Questa terza funzione si sviluppa soprattutto nei mammiferi ed è svolta
principalmente dal neopallium, che acquista una grandissima estensione. Nuove
zone motorie permetteranno di sostituire ai movimenti puramente automatici,
dipendenti dai centri della base del cranio, movimenti molto più appropriati alle
condizioni estremamente «cerebralizzate», che raggiungono il massimo nell'uomo.
È importante però notare che l'aumento considerevole del volume del cervello
risulta non solo dallo sviluppo delle zone sensoriali e motorie, ma soprattutto
dall'arricchimento delle zone di associazione. Queste zone arrivano a maturazione
per ultime e sono caratterizzate da una plasticità estrema, risultante da una forma di
specializzazione che può essere rimessa in discussione ad ogni momento,
soprattutto nell'individuo giovane. Per questo è fondamentale fornire ai piccoli gli
opportuni stimoli per una adeguata funzione neuromotoria; se i genitori, al
contrario, forniscono stimoli inadeguati o nocivi non possono meravigliarsi perché
il bambino si muove in modo eccessivo e scoordinato.
La maggior parte degli autori ammette attualmente che talune strutture cerebrali
restano non specifiche. «La maggior parte e la più vitale della popolazione
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neuronica resta nelle variabili dell'ambiente. Questa tendenza alla condizione di
giovinezza ontogenetica è dispensata dalla finalità di destino univoco» (Weiss, Le
svystème nerveux vivant, 1960). È appunto questa giovinezza ontogenetica la base
anatomica della notevole plasticità di accomodazione che caratterizza il livello
umano. L'estensione delle zone di associazione (nell'uomo esse rappresentano il
30% della superficie encefalica) e la conservazione della loro plasticità permettono
all'uomo, a differenza degli animali, di sfuggire ai comportamenti stereotipi o
istintivi. Nell'uomo la condotta motoria è indeterminata e resta da inventare.
«Le prassie, sistemi di movimenti coordinati in funzione di un risultato o di una
intenzione, che sono il risultato di una esperienza individuale di comportamento, si
oppongono alle coordinazioni innate e sono tipiche della motricità umana» (Le
Boulch, Verso una scienza del movimento umano, 1975). L'estensione delle zone
di associazione della corteccia rappresenta l'elemento determinante della presa di
coscienza e dello sviluppo dell'intelligenza. Questo strumento superiore di
controllo dota il sistema nervoso umano di un dispositivo capace di operare una
scelta tra le attività da inibire e quelle da compiere. Il comportamento diventa
nell'uomo l'aspetto intenzionale della condotta. In altri termini, nell'essere umano è
il pensiero che dà la sua struttura all’attività motoria stessa.
6. Il movimento come modo di espressione
Come già ho accennato in precedenza, l'uomo dispone del suo corpo non soltanto
per reagire, ma anche per agire ed esprimersi in presenza di situazioni diverse a cui
deve accomodarsi. Infatti, se i movimenti possono essere compresi in rapporto ad
un modo di relazione con un ambiente, essi esprimono tuttavia una certa maniera di
essere della personalità «in situazione» e sono rivelatori delle emozioni e dei
sentimenti che questa prova. Il carattere espressivo del movimento ci conduce
direttamente alla persona e non ad un obiettivo esterno da raggiungere. In questa
ottica esso non è considerato sotto il suo aspetto transitivo, cioè in funzione della
sua efficacia rispetto alla padronanza dell'oggetto, ma come un segno attraverso il
quale traspare una soggettività.
L'uomo vive, quindi si esprime, molto tempo prima che vi sia un linguaggio e
formazioni di parole.
Il linguaggio parlato è una forma di espressione biologica ad un livello già molto
superiore di sviluppo. L'uomo ha anche forme espressive motorie proprie, che non
sono affatto afferrabili con le parole. Correntemente si definisce la mancanza di
parole della musica, o della danza, come una profondissima espressione della
sensibilità, che non si può esprimere con le parole. Lo stesso artista si difende da
ogni tentativo di tradurre il linguaggio espressivo dell'arte dal linguaggio parlato
degli uomini. «Esprimendosi» mediante i propri movimenti gli esseri viventi si
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rivelano come soggetti in relazione ad un mondo di oggetti e di persone senza che
inizialmente vi sia alcuna intenzione o mira cosciente. La prima espressione è una
spontanea manifestazione del dinamismo dell'organismo che vive la sua presenza
nel mondo. La parola «emozione» significa letteralmente «muovere fuori», oppure
«sgorgare», mentre la parola «espressione» significa letteralmente che nell'uomo
qualche cosa preme per uscire e quindi «si muove». L'osservazione al microscopio
di amebe che si muovono sotto l'influenza di piccoli stimoli elettrici rende
inequivocabilmente l'idea del concetto di emozione. «L'emozione in fondo non è
altro che un movimento del plasma. Gli stimoli piacevoli danno origine ad una
"emozione" del protoplasma dal centro alla periferia. Invece gli stimoli spiacevoli
danno origine ad una "emozione", o più correttamente ad una "rimozione" del
protoplasma dalla periferia verso il centro dell'organismo. Queste due correnti
fondamentali della corrente plasmatica biofisica corrispondono ora ai due affetti
fondamentali dell'apparato psichico, cioè al piacere ed alla angoscia» (W Reich,
Analisi del carattere, 1957).
Ma il movimento del corpo dell'uomo si svolge sotto lo sguardo altrui, esso non
esiste che mediante un altro «essere espressivo», che l'accoglie e l'interpreta.
Ma quanto i genitori sono capaci di accogliere ed interpretare il neonato e poi il
bambino nella sua espressività motoria?
L'espressione, allora, non è semplice manifestazione di una soggettività, ma
diventa "espressione per altri». Il corpo, con i suoi movimenti e con i suoi
atteggiamenti, è lo strumento attraverso il quale noi ci mostriamo agli altri; esso
riveste dunque una importanza primordiale nella relazione con le persone, poiché
«ogni manifestazione dell'esistere è sempre sostenuta dal corpo. Ma non vi è
sentimento che non implichi un gesto o una mimica per essere» (Chirpaz, Le corps,
Coll. «Initiation philosophique», 1963).
7. Anteriorità dell'espressione rispetto alla transitività del movimento
La possibilità di esercitare il suo dominio sul mondo è, per l'uomo, il frutto di una
battaglia continua. L'immaturità prolungata del suo sistema nervoso e il ritardo
della attivazione dei suoi centri di associazione lo rendono dipendente dal suo
ambiente, in particolare da quello umano, senza il quale non potrebbe sopravvivere.
L'unità della persona e dei suoi movimenti all'ambiente non costituiscono quindi un
dato, ma si conquistano e non sono mai del tutto realizzati. La «transitività»,
ovvero l'efficacia del movimento volontario, non è la caratteristica prima del
movimento umano. Ma nel periodo in cui questi atti non sono ancora in grado di
dare un'autosufficienza al bambino, questi dispone di un'altra fonte di efficacia, i
primi gesti utili al bambino sono i gesti di espressione. Questi gesti, talvolta
incoercibili, che esprimono i bisogni primari del fanciullo, rappresentano altrettanti
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segni per l'ambiente circostante, del quale essi vorrebbero provocare l'intervento
benefico. «L'efficacia del gesto in un mondo umano passa innanzitutto attraverso il
suo significato espressivo» (Le Boulch, ibid.).
Inizialmente il neonato oscilla tra uno stato di insoddisfazione ed uno di
tranquillità, paralleli alle reazioni toniche vaso-motorie e motorie manifestate.
Si vedono alternarsi, in stato di bisogno, scariche toniche massicce con una
agitazione motoria scoordinata ed a bisogno soddisfatto, un abbassamento del tono
muscolare.
Come è stato sottolineato da Wallon, fin dalla nascita il dialogo del fanciullo con
il mondo si effettua attraverso le relazioni tonico-emotive congiuntamente
all'attività digestiva e respiratoria. «Il fanciullo vive in un circolo tonico chiuso, in
cui predominano le reazioni automatiche e dal quale egli esce mediante scariche
toniche reazionali (movimenti indiscriminati) o fasi di rilassamento relativo
(sonno)» (Durand de Boussingen, La rélaxation, 1961).
Tutta una serie di importanti studi realizzati da Charlotte Buhler, René Spitz e da
Wallon hanno mostrato lo stretto legame esistente, a questo stadio, tra la funzione
tonica e il bisogno e l'importanza delle variazioni del tono come modo di
espressione spontanea delle emozioni primarie. Il tono gioca da una parte un ruolo
preponderante nella presa di coscienza del Sé e della distinzione dell'Io e dell'altro.
D'altra parte, è sulla base di una equilibrazione del tono che si potrà sviluppare la
funzione transitiva del movimento, e quindi l'attività volontaria efficace e
coordinata. In effetti, il fenomeno essenziale di questa prima fase dell'esistenza è la
diminuzione del fondo tonico che si accompagna ad una contemporanea
riequilibrazione. Ciò si manifesta attraverso la cancellazione dei riflessi arcaici, la
diminuzione delle reazioni ipertoniche alle eccitazioni, che permettono una
maggiore precisione nell'attività di orientamento. Queste modificazioni della
motricità del neonato nel senso di una migliore adattabilità dipendono
essenzialmente da due fattori. Da una parte dalla maturazione della corteccia
cerebrale, che si esprime attraverso l'entrata in gioco progressiva del fascio
piramidale che oscura la motricità subcorticale (pallidale), dall'altra dal carattere
favorevole o sfavorevole dell'ambiente umano in cui il bambino vive e che
influenza considerevolmente il suo equilibrio tonico-emozionale. Molto prima che
il bambino sia sensibile all'espressione mimica delle persone che lo circondano,
altri stimoli sociali, come il contatto cutaneo, rappresentato dalle carezze, i baci, la
manipolazione quando lo si accudisce - giocano un ruolo grandissimo nel suo
sviluppo. Di versi autori hanno condotto al riguardo analoghe interessanti
esperienze, prendendo ad esempio due gruppi di bambini separati dalla loro madre
allo svezzamento e nutriti allo stesso modo. Durante i 30-60 giorni successivi,
sessanta minuti al giorno, i bambini di un gruppo venivano presi e accarezzati dagli
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sperimentatori. Tutti erano posti in seguito in situazioni perturbanti, relative a
problemi con la madre e/o la famiglia. Dall'insieme dei dati catamnestici e dalle
risultanze oggettive sembra scaturire una nozione di ordine generale: più l'universo
del piccolo sarà ricco di stimolazioni cutanee, migliori saranno le sue possibilità di
adattamento emotivo alle situazioni nuove. Infatti, rispetto ai bambini che avevano
beneficiato di carezze, i bambini frustrati presentarono, oltre ad una maggiore
timidezza, un notevole rallentamento dello sviluppo ponderale ed osseo e una
minore resistenza allo stress.
E, tornando ai bisogni espressivi del bambino, giova ricordare come l'espressione
emotiva sia innanzitutto un appello spontaneo del bambino al suo ambiente sotto
l'impulso dei suoi bisogni, ma ben presto l'atteggiamento altrui, e particolarmente
l'atteggiamento della madre, avrà un'influenza sul senso delle manifestazioni
espressive, che diventeranno sempre più specifiche.
All'inizio della vita, infatti, riflessi ed emozioni non fanno che brancolare verso il
primo oggetto, il seno materno.
Durante questa fase di esistenza orale l'impulsività motoria è tutta compresa nel
succhiare o nel mordere, prima relazione che lega il neonato al suo mondo, ed egli
è immerso nell'esperienza originale del piacere. Ma da questo momento tra il
bambino, il seno, le altre parti del corpo materne e le prime percezioni
frammentarie si costituiscono, per dirla con Piaget, delle «reazioni circolari
primarie», che condizionano il comportamento. Contemporaneamente si
sviluppano emozioni condizionate dall'esperienza del piacere e del dolore, della
frustrazione e della gratificazione, della soddisfazione e dell'angoscia.
Poco per volta questa primitiva relazione oggettuale si complica, sotto forma di
schemi intenzionali di «reazioni circolari secondarie», in cui la visione e
l'apprensione, cioè la condotta di esplorazione, tendono a rimpiazzare l'avidità
labiobuccale, mentre gli stimoli sono attivamente ricercati e non solo passivamente
vissuti. A partire da questo stato oggettuale il bambino diventerà estremamente
sensibile ai segnali di approvazione e di diniego espressi dalla madre, avrà infatti
bisogno, per gestire le proprie esperienze motorie, dell'accordo affettivo della
madre, mentre la disapprovazione che questa esprime provoca una forma di ansietà
che determina un ripiegamento su se stesso, cioè in questa fase la madre ha anche il
ruolo di un oggetto rassicurante.
Tutto quanto sopra mi permette di evidenziare quello che volevo comunicare,
cioè la relazione esistente tra sviluppo fisico, affettivo e conoscitivo - intellettivo,
ovvero tra il corpo di carne ed il corpo simbolico, e come il bambino si sviluppa
grazie a questa possibilità di assumere e comprendere una serie inesauribile di
atteggiamenti che permettono lo scambio inter-umano.
Le esperienze vissute dal soggetto nelle sue relazioni con l'ambiente umano,
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secondo il carattere empatico o regressivo di quest'ultimo, hanno una considerevole
influenza sul livello «naturale dell'espressione» ed in particolare sul movimento,
sull'atteggiamento corporeo e sulla gestualità nei suoi rapporti con la personalità
globale.
Vorrei anche sottolineare che l'espressione corporea sarà tanto più disinvolta
quanto più il corpo sarà in armonia con il suo ambiente; il contrario avvenendo nei
bambini disturbati.
7. Movimento e Sistema nervoso Autonomo
Come abbiamo visto, allora, nello sviluppo, l'espressione è anteriore alla attività
transitiva e tutta la motricità nel neonato è fatta delle variazioni toniche legate agli
affetti primari. La relazione con gli altri si esprime sul piano psicologico con
impressioni soggettive di simpatia, di antipatia, sul piano fisiologico con
modificazioni toniche. Tono e psichismo sono dunque legati e rappresentano due
aspetti di una stessa funzione. La concezione di questa unità fondamentale
psicosomatica ci permette di comprendere che non vi è emozione senza una certa
espressione somatica tonica. Le variazioni di tono posturale, e di conseguenza i
movimenti, si trovano dunque in un rapporto di interdipendenza rispetto alle
reazioni psichiche dei conflitti psicologici, dell'ansietà e dell'angoscia del soggetto.
Reich, in particolare, giunge alla nozione di identità funzionale tra gli atteggiamenti
muscolari e caratteriali, suscettibili di influenzarsi o di rimpiazzarsi
reciprocamente: «È all'insaputa del paziente che la sua muscolatura striata è la sede
di spasmi permanenti che costituiscono la sua impalcatura muscolare. La rigidezza
muscolare rappresenta la parte essenziale della rimozione e non il risultato o
l'accompagnamento di questa rimozione».
Forse oggi le conoscenze neurofisiologiche disponibili potrebbero permetterci
non solo di verificare le ipotesi di Reich, ma anche di ampliarle ed approfondirle.
In relazione alla mia esperienza clinica, sembra verosimile la correlazione tra
tono muscolare profondo, emozione profonda e psichismo.
Correlazione in cui gioca un ruolo importante, anche se non ancora ben studiato,
la mediazione del Sistema Nervoso Periferico sia al livello della sezione simpatica
che parasimpatica.
Già nel 1947, Von Euler aveva impostato il ruolo della noradrenalina a livello del
Sistema Nervoso Simpatico, e nel 1962 Falck e Coll ne avevano rilevata la
presenza entro le vescicole sinaptiche, in cui raggiunge valori 300 volte superiori a
quelli riscontrabili in altre sedi neuroniche, e dalle quali viene liberata dall'impulso
nervoso, svolgendo il proprio compito di mediatore in sede encefalica.
È possibile che questi valori superiori, come anche l'influenza mediata sugli
aspetti motori della condotta, giochino un'importante significato funzionale, legato
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a meccanismi non ancora chiariti e probabilmente correlati a un feedback di
maggior o minor «energia» liberata dall'impulso nervoso e disponibile alla
«vitalità».
Analogamente anche l'acetilcolina, pur essendo da anni riconosciuta come
mediatore dell'impulso nervoso a livello della sezione parasimpatica del Sistema
Nervoso Autonomo, è la meno conosciuta dei mediatori encefalici.
Oggi la scienza, attraverso il modello della causalità circolare, è arrivata a
formulare un messaggio di integrazione, recuperando gradualmente il profondo
significato dei rapporti esistenti tra i maggiori apparati che regolano gli equilibri
all'interno dell'organismo e nelle sue relazioni con l'esterno (ambiente naturale ed
ambiente sociale): il Sistema Nervoso Centrale, il Sistema Nervoso Periferico, il
Sistema Endocrino, il Sistema Immunitario, il Sistema Muscolo-Scheletrico.
Sembra allora opportuno ridefinire e valorizzare anche il ruolo del Sistema
Nervoso Periferico, infatti,a mio avviso, anche chiamarlo Periferico o peggio
ancora Autonomo lo connota in chiave di minor rilevanza rispetto agli altri Sistemi,
scotomizzando il fatto che il Sistema Nervoso Periferico innerva la muscolatura
liscia, responsabile degli organi più vitali, nonché della loro ritmicità.
Così, forse, ritmo, movimento e conoscenza potrebbero subire una mediazione
precoce, già intrauterina e/o nei primi mesi di vita attraverso il Sistema Nervoso
Periferico, che avrebbe un ruolo importante sul ritmo, il tono muscolare profondo e
l'emozionalità biologica profonda.
Del resto molte teorie e tecniche orientali ipotizzano e sostengono con
dimostrazioni pratiche di riuscire ad attivare ed influenzare quelle funzioni
abitualmente al di fuori della volontarietà e della coscienza, che sono proprio quelle
governate dal Sistema Nervoso cosiddetto Autonomo.
Come anche gli esercizi del Ciclo inferiore e superiore del Training Autogeno
(T.A.) di Shultz mostrano la stretta correlazione corpo mente e la possibilità di
attivare o riattivare attraverso l’allenamento funzioni e capacità mai attivate o
perdute. Così anche attraverso gli esercizi del TA mediante TAC, RMf ed altre
moderne tecnologie, si può monitorare l’attivazione delle aree cerebrali dei
Neuroni a Specchio, evidenziando ad esempio come queste si attivano soltanto
guardando il movimento anche in assenza di movimento. Mostrando pertanto la
enorme valenza educativa dell’esempio dato dagli adulti ai bambini per imitazione
ed emulazione.
8. La relazione: movimento e conoscenza
Ricordando ciò che Platone sosteneva: «il ritmo è ordine nel movimento», vediamo
che in origine, l'uomo non dispone che del proprio corpo e della propria voce. Ed è
proprio attraverso movimenti e vocalizzi che inizia ad interagire nel mondo, a
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mandare i primi messaggi di presenza, i primi vagiti, le prime richieste di
attenzione e cura. Muove la testa, agita le braccia, prova a sollevarsi sulle gambe,
cammina carponi, finché riesce a sollevarsi in piedi e pian piano a mantenere la
stazione eretta e muovere i primi passi. Questi movimenti, cosidette “condotte
esplorative”, esprimono all’unisono il bisogno di movimento e di conoscenza.
Perché è attraverso il movimento che l’essere umano impara, costruisce ed
arricchisce il proprio mondo interiore ed il proprio patrimonio conoscitivo. Ma
l'essere umano impiega i propri movimenti non solo nell'azione, ma anche, come si
diceva, per esprimere emozioni: gioia e tristezza, ansietà ed allegria, tensione o
rilassamento, benessere o malessere. Così il bambino, passando dai primi
movimenti di base ai vari giochi, alla scuola, allo sport, così l’adolescente passando
dalla scuola, agli amici, al lavoro, agli hobby, così l’adulto passando attraverso la
relazione, il matrimonio, la famiglia, il lavoro, così l’anziano passando attraverso
tutte le esperienze di vita attiva, producono movimento e conoscenza, colorati dalle
emozioni di base e dall’affettività personale, attraverso il giusto equilibrio, la equa
calibrazione personale del patrimonio energetico di base, che non può essere
dispero o esaurito, pena la malattia e la morte.
Quindi, non solo l'organizzazione neuromuscolare dell'uomo, come abbiamo
visto, privilegia la ripetizione dei movimenti identici, ma lui stesso quando può
contare solo sulla sua forza muscolare, l'economizza sfruttando le ripetizioni di
strutture organizzate. Allo stesso modo il gioco del bambino privilegia movimenti
che comportano cambiamento, ma che sono schemi innati di comportamento e
quindi legati a regole precise, in cui ritmo e movimento costituiscono la base per
comprendere sia come le azioni vengono svolte, sia gli obiettivi e le motivazioni
che le sottendono e le guidano. Per il bambino sano il gioco ed ancor più le regole
del gioco sono molto importanti, e lui lo sa bene, e piange quando “i grandi” gli
impediscono il movimento, perché comprende, anche se non ne ha piena
consapevolezza, che gli viene impedita la conoscenza e quindi lo sviluppo delle
proprie abilità psicosociali. Spesso nei bambini disturbati assistiamo a movimenti,
gesti, parole scomposti e disordinati, quindi a perdita di energia. Ma soprattutto non
c’è più ordine nel movimento, non c’è più ritmo! In realtà questi bambini che si
muovono in modo scoordinato non riescono a svilupparsi in modo armonico, in
quanto il binomio movimento/conoscenza, ripeto, è un binomio inscindibile e
giocare senza conoscere è un vagolare disperdendo energie senza guadagno. E
muoversi con rabbia, quando viene impedito il movimento da adulti con regole
troppo rigide o distorte è ancora un ulteriore perdita di energia, con il danno
secondario della rabbia sia espressa che non espressa. Ed è precisamente questo che
crea problemi e disturbi, nel bambino non compreso o maltrattato, facendogli così
sviluppare reazioni, che agli adulti sembrano abnormi, proprio come nel deficit di
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attenzione ed iperattività, o altri disturbi dell’infanzia e dell’adolescenza, ma che
invece sono messaggi di sofferenza e richieste di attenzione e comprensione.
Spesso però non si ha abbastanza consapevolezza che quando nei bambini il
movimento non viene assecondato secondo le disposizioni innate, non è solo il
movimento di un arto o dell’intero copro che viene impedito, o solo lo sviluppo
muscolare, ma è la crescita della conoscenza e quindi la formazione dell’ identità
personale che può rimanere debole, piena di pericolose frammentazioni, scissioni
interiori, che possono portano ad altrettanto pericolose condotte esterne.
Va quindi compreso come lo sviluppo cognitivo dal punto di vista funzionale è
fondamentalmente legato alla percezione, al ritmo ed al movimento ed è governato
dalle stesse regole della natura precise, ripetitive, volte al raggiungimento di una
meta, secondo strategie complesse che dipendono dallo scambio di informazioni e
dalla comunicazione interattiva. Ogni movimento porta ad un’azione ed ogni
azione è rivolta verso un futuro e le sue conseguenze, che a loro volta sono inerenti
e correlate a tutti gli aspetti dello sviluppo cognitivo, che ne determina il controllo.
Ossia il controllo delle azioni è legato alle conoscenze ed alle abilità sociali della
persona, che normalmente vengono attivate e stimolate nell’infanzia dall’ambiente
in cui si vive, in genere dai genitori, poi dalla scuola, dagli amici, dal lavoro.
Come esempio, descriverò una delle ricerche fatte insieme alla mia equipe di
lavoro esaminando con metodologia clinica Bambini e Genitori:
Sono stati esaminati con colloquio clinico e valutazione multiassiale con DSM IV
TR, anche con le scale aggiuntive dei meccanismi di difesa e del funzionamento
sociale e relazionale, 200 famiglie, che avevano portato neonati o bambini a visita
medica presso il reparto di Neonatologia e Pediatria dell’Ospedale San Filippo Neri
di Roma nel decennio 1990/2000. Sono stati valutati la madre, il padre, il bambino
e gli altri figli ove presenti. Le famiglie sono state rivalutate con la stessa
metodologia dopo 3 anni e dopo 6 anni. E’ stato valutato con gli stessi strumenti un
gruppo di controllo di 200 famiglie con figli in età scolare: elementari e medie
inferiori presso gli istituti scolastici di Tivoli e Viterbo. I bambini, malati, come i
bambini sani sono stati esaminati attraverso il test “gioco della sabbia” che
evidenzia rapidità discriminativa, capacità creativa, capacità critica, capacità di
relazione.
I risultati delle indagini cliniche hanno mostrato le caratteristiche generali delle
famiglie esaminate, permettendo di individuare diverse tipologie: famiglia va tutto
bene, famiglia rigida, famiglia poco strutturata, famiglia a conflittualità
dissimulata, famiglia a comunicazione distorta, famiglia a tendenza intrusiva sul
mondo interiore, famiglia collusiva tra genitori e figli, famiglia invischiata.
Tali caratteristiche sembrano incidere sullo sviluppo cognitivo dei figli in misura
diversificata secondo la predisposizione psicogenetica di ognuno, limitandone lo
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sviluppo delle abilità percettive, cognitive e sociali. Infatti il 68% dei bambini
esaminati riportavano riduzione significativa rispetto, al gruppo di controllo, dei
seguenti parametri: lentezza nella capacità percettiva e discriminativa, povertà
ideativa, scarsa abilità critica e di formulazione di giudizi, modesta capacità di
entrare in relazione con gli altri con difficoltà a ricevere e trasmettere informazioni.
Tali discriminanti venivano confermate nel 59% dei controlli a 3 anni e nel 52%
dei controlli a sei anni. I bambini venivano considerati dai genitori “bambini
cattivi” in quanto non rispettavano le regole, spesso erano depressi o eccitati, non
sapevano organizzare le loro azioni nello spazio e nel tempo e verso un risultato
preciso.
In sintesi lo sviluppo cognitivo/affettivo del bambino veniva in misura diversa e
con modalità diverse, ma sempre restrittive della libertà di movimento e
conoscenza, in qualche modo danneggiato dal sistema famiglia. Cioè il sistema
sensomotorio che offre alla nascita un ristretto numero di comportamenti primitivi
istintivi, comunque prospettici e flessibili interagendo con la famiglia attraverso le
esperienze sviluppa movimento e conoscenza individualmente diversificata.
Così anche le abilità geneticamente presenti alla nascita che portano a percepire e
concepire il mondo, ad aver una propria visione del mondo e della vita possono
subire una mediazione precoce attraverso il sistema neurovegetativo che
condiziona l’emozionalità biologica profonda, potendo subire un blocco od una
evoluzione migliorativa o peggiorativa, secondo le prime esperienze con i genitori.
Ciò secondo le moderne teorie potrebbe iniziare anche dall’esperienza intrauterina
del nascituro, secondo le modalità di comportamento della madre ed il rapporto tra
i genitori, portando progressivamente a sviluppano emozioni condizionate dalle
esperienze che man mano costruiscono il nostro cervello ed il suo funzionamento,
benessere, malessere, buon cibo, cattivo cibo, angoscia o soddisfazione. Poco per
volta gli schemi intenzionali, le condotte esplorative e relazionali gradatamente
attraverso la percezione, il movimento e l’azione portano a sviluppare il rapporto
tra la padronanza nel movimento, tra la visione e la propriocezione ed a scoprire le
possibilità delle proprie azioni. Azioni man mano dirette alla conoscenza dello
spazio, degli oggetti nello spazio e delle persone, quindi movimento e conoscenza
per interagire con il mondo esterno e costruire il proprio mondo interiore. Per saper
dove e come muoversi, per entrare in relazione e riconoscere gli altri dalle loro
espressioni, comunicare con loro, percepire e distinguere la meta e la direzione
delle azioni degli altri.
Il bambino diventa gradatamente sempre più sensibile ai segnali di
approvazione/disapprovazione che provengono prima dalla madre, poi dal padre,
dall’intera famiglia, segnali che gli permettono o meno di gestire le proprie
esperienze motorie, secondo l’accordo affettivo degli adulti, che gli danno
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sicurezza e conforto, permettendogli di far crescere il senso dell’autostima, mentre
la disapprovazione e/o l’impedimento può provocare ansietà e comportamenti
reattivi che se ripetuti determinano la chiusura in sé stessi con blocco e/o riduzione
dello sviluppo delle proprie abilità/capacità esplorative, cognitive e sociali. Cioè
sin dalla nascita il bambino ha la tendenza naturale ad interagire con gli altri,
imitando i gesti altrui, muovendosi nello spazio, osservando oggetti, suoni, colori,
fissandoli nella memoria ed incamerandoli in conoscenza nella interazione sociale
per sperimentare la propria capacità d’azione. I segnali di approvazione e di
diniego provenienti non solo dalla madre, ma in seguito anche dal padre e/o parenti
stretti o comunque figura significative, avranno una influenza sempre maggiore
nello sviluppo cognitivo del bambino, sia perché tali figure sono irrinunciabili per
il senso di appartenenza e filiazione di cui il bambino necessita, sia perché
costituiscono il limite anche questo indispensabile ad una crescita sana ed
equilibrata dell’identità di persona contro l’eventuale manipolazione della scuola,
degli amici, dei media. Ma tali segnali possono anche tentare di impedire, rendere
difficile o bloccare la libera espressività delle capacità psicosociali del bambino.
Infatti lo sviluppo del controllo delle azioni e della prospettiva di riuscita è legata
alla motivazione e simultaneamente alla nascita ed allo sviluppo di nuova
conoscenza e nuove modalità di comportamento. Comportamento che riguarda la
postura, la locomozione, la posizione, le modalità del guardare e del controllo
visivo, la forma e l’orientamento degli oggetti, le strategie d’informazione,
comunicazione e di relazione, l’immaginazione e l’orientamento, il mettere insieme
e correlare gli oggetti e la capacità di programmazione e pianificazione, ecc. Se tali
comportamenti non sono “guidati” in modo corretto, cioè se in qualche modo si
inibisce il movimento, l’azione, la conoscenza, si possono avere danni funzionali e
comportamentali come evidenziato dallo screening clinico delle famiglie in esame
nel nostro campione di ricerca. Le esperienze, quindi, vissute dal soggetto nelle sue
relazioni con l’ambiente umano, secondo il carattere empatico o regressivo di
questo, hanno una considerevole influenza sul livello naturale dell’espressione
personale, in particolare sull’atteggiamento corporeo e sulla gestualità nei suoi
rapporti con la personalità globale. Cioè la relazione esistente tra sviluppo
fisico/cognitivo/affettivo, tra il corpo di carne ed il corpo simbolico e lo sviluppo
dell’Io è legata alla possibilità di comprendere una serie inesauribile di
atteggiamenti che permettono lo scambio interumano; e l’espressione corporale
sarà tanto più disinvolta quanto più il corpo sarà in armonia con il suo ambiente.
E’quindi necessario tenere presente che lo stretto collegamento tra i vari sistemi
interni ed esterni dell’organismo, comporta che quando l'organismo soffre in un
sistema, anche gli altri ne risentono e ciò può portare anche a gravi danni, in
quanto, i sistemi di coordinamento ed equilibrio della nostra salute sono sensibili a
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stress differenti e se noi utilizzeremo di più e male uno di questi sistemi, questo
"consumerà” più degli altri e viceversa. Potendo, così, creare un circolo vizioso che
porta non solo ad aumentare i disturbi, ma anche a recidive e cronicizzazioni. Al
contrario dalla complessità delle interazioni e degli stimoli positivi possono invece
nascere nuovi sbocchi comportamentali, nuovo movimento e nuova conoscenza,
processi propulsori di cambiamento e di futuro.
Ed è solo quando l'Essere esprime il fare ed il dire all'unisono, senza pericolose
scissioni, che si raggiunge la forza e la pienezza. Al contrario, quando nei bambini il
movimento non è assecondato secondo le disposizioni innate, le identità sono deboli
piene di pericolose frammentazioni interiori, che portano ad altrettanto pericolose
condotte esterne. In sintesi lo sviluppo cognitivo dal punto di vista funzionale è
fondamentalmente legato alla percezione, al ritmo, al movimento ed alla conoscenza ed
è governato dalle stesse regole della natura precise, ripetitive, volte al raggiungimento di
una meta, secondo strategie complesse che dipendono dallo scambio di informazioni e
dalla comunicazione interattiva. Ogni movimento porta ad un’azione ed ogni azione è
rivolta verso un futuro e le sue conseguenze, che a loro volta sono inerenti e correlate a
tutti gli aspetti dello sviluppo cognitivo, che ne determina il controllo. Ossia il controllo
delle azioni è legato alle conoscenze ed alle abilità sociali della persona, che
normalmente vengono attivate e stimolate nell’infanzia dall’ambiente in cui si vive, in
genere dai genitori, poi dalla scuola, dagli amici, dal lavoro.
Sempre a titolo di esempio riporterò alcune domande che mi sono state poste durante la
Tavola Rotonda tenutasi il 7 Maggio 2009 presso Università degli Studi di Pavia dal
titolo Bambini iperattivi o plusdotati: quali strategie per una crescita equilibrata?
Come si riconoscono un bambino o una bambina plus dotata?
I bambini plus dotati hanno un quoziente intellettivo superiore alla norma, cioè una
intelligenza che può essere globalmente superiore per tutte le funzioni o superiore per
alcune funzioni: là dove per intelligenza si intende proprio la capacità di utilizzare al
meglio le funzioni della mente. Per cui i bambini superdotati si possono riconoscere
perché hanno una memoria prodigiosa, perché hanno una capacità cognitiva di
apprendere e comprendere più elevata e più rapida, perché hanno una maggior capacità
empatica ed una maggiore sensibilità emotiva o complessità affettiva, perché hanno una
capacità di critica e giudizio sensibilmente elevata rispetto all’età. Tuttavia sono sempre
bambini e non hanno ancora una sufficiente consapevolezza del loro status rispetto a gli
altri bambini e rispetto a gli adulti ed alle regole degli adulti.
Come mai i bambini plusdotati possono essere facilmente bambini iperattivi o con
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tratti patologici del carattere ?
Può succedere che essendo una o più funzioni della mente maggiormente sviluppata
rispetto alle altre si attivi un conflitto interno che porta ad uno squilibrio psico-emotivo
che si manifesta all’esterno con segni o sintomi da disadattamento; oppure perché le
maggiori capacità del bambino non vengono riconosciute, apprezzate e permesse in
famiglia ed a scuola ed anche in questo caso si può attivare un conflitto esterno tra il
bambino ed i genitori o il bambino e qualche insegnante, che può condurre alla
manifestazione di comportamenti disobbedienti o oppositivi o di disattenzione o di
omissione o sintomi di ansia ed irritabilità.
Come può sentirsi in classe uno studente plusdotato? Può farci qualche esempio?
Il sentimento più comune è la noia, relativa al fatto che spesso conosce già le nozioni
impartite dall’insegnante e soprattutto trova poco interessanti e stimolanti per la sua
creatività le modalità con cui la conoscenza viene trasmessa. Può sentirsi anche un pò
mortificato, depresso o umiliato per non essere capito, riconosciuto e valorizzato o
trattato in modo peculiare. In conseguenza può reagire ritirandosi in sé stesso e sembrare
all’esterno poco attento, distratto, sonnolento e scarsamente comunicativo o sviluppare
tratti di ansia ed aggressività, irrequietezza o tratti oppositivi e contradditori.
Come mai in molti paesi vi è stata una vera e propria esplosione di diagnosi di
iperattività?
Probabilmente i motivi sono diversi, di natura socio-culturale, di natura politicoeconomica, di natura personale e psicologica. La società nel suo complesso ci propone
oggi una vita con ritmi troppo rapidi rispetto ai ritmi biologici del corpo e della mente
costruendo falsi idoli ed obiettivi da perseguire, con mancanza di modelli validi di
identificazione ed induzione per contagio ed imitazione tramite immagini TV, film, spot
pubblicitari di aspirazioni personali che superano le reali possibilità. Tutto ciò crea
disagio ed infelicità, e nella debolezza strutturale delle persone la nascita del senso
critico e della capacità di discernimento non si sottraggono a manipolazioni e
massificazioni. Così le multinazionali del farmaco si insinuano nel tentativo di planare
nelle famiglie per sanare le situazioni di infelicità promettendo gioia e serenità con la
pillola ad hoc: il prozac la pillola della felicità, il ritalin la pillola della serenità, lo
strattera la pillola dell’equilibrio, e così via, ogni problema ha la sua pillola per
raggiungere i “paradisi psichici”; come non cedere a simili rapide ed apparentemente
efficaci soluzioni ? Al livello familiare, personale e psicologico, chi non ha i suoi
problemi, famiglie mononucleari, o separate o divorziate o con figli adottati, come
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mettere d’accordo la carriera, la competizione, il lavoro a casa, i figli, il marito, la
moglie, i genitori, il tempo per i propri svaghi. E se poi si ammalano anche i figli, come
la mettiamo, dove lo troviamo il tempo per ascoltarli e curarli?
Ed ecco che la diagnosi di iperattività ci viene incontro, ci solleva dalle nostre
responsabilità, dalla consapevolezza di essere inadempienti, di vivere in modo
superficiale e pressappochista. Anzi più diagnosi ci sono, più si costruisce una malattia,
che la facciano pure i genitori, che la facciano pure gli insegnanti, tanto ci sono i
questionari, quelli possono farli tutti! Forse non c’è più bisogno nemmeno dei medici
nella frenesia di diagnosticare l’iperattività! Bisogna comprendere Che il gioco per il
bambino è tanto importante, quanto il lavoro per gli adulti, l’organizzazione di entrambi
infatti privilegia movimenti che comportano cambiamento ma che, come si diceva,
rappresentano schemi innati di comportamento legati a regole precise, in cui ritmo e
movimento e regola costituiscono la base del gioco e del lavoro. Gioco e lavoro quindi
ci permettono di cogliere le azioni nel loro divenire, di comprendere come vengono
svolte e quali sono gli obiettivi da raggiungere e le motivazioni che le guidano. Per il
bambino sano il gioco ed ancor più le regole del gioco sono molto importanti, e lui lo sa
bene, e piange quando “i grandi” gli impediscono il gioco o il movimento, perché
comprende, anche se non ne ha piena consapevolezza, che gli viene impedita la
conoscenza, quindi lo sviluppo delle proprie capacità. Ma “i grandi” non ascoltano la
richiesta che viene dal pianto del bambino, vogliono solo che smetta di piangere e
rincarano la dose di rimprovero ed il bambino piange di più, entrando in un circolo di
pianto/disapprovazione che aumenta la rabbia del bambino. Spesso nei bambini
disturbati assistiamo proprio a movimenti, gesti, parole scomposti e disordinati, quindi a
perdita di energia; così del resto come avviene nella Psicopatologia dell’adulto; dove
non c’è più ordine nel movimento, nelle azioni, manca il ritmo di base, il giusto
equilibrio! In realtà sia i bambini che gli adolescenti, che gli adulti malati si muovono in
modo scoordinato, non essendo riusciti a svilupparsi in modo armonico, in qualche
modo il binomio movimento/conoscenza è stato scisso, e giocare o lavorare senza
conoscere è un dispendio energetico senza guadagno. Diceva Ghoethe “l’amore, il
lavoro ed il sapere, sono le sorgenti della vita, essi dovrebbero governarla”. In effetti
spezzare questa concatenazione inscindibile: movimento-conoscenza intrisi di affettività
amorosa non può forgiare alcunché, ma solo volgere verso la distruttività mortale.
Da psichiatra, lei ha parlato di psicofarmaci, come di “camicie di forza chimiche”:
perché? Quali sono i rischi di un uso troppo disinvolto di questi prodotti per
“normalizzare” il comportamento dei più piccoli?
Sappiamo oggi che il corretto funzionamento cerebrale dipende da una serie di fattori di
cui il cervello ha bisogno, che incidono sul suo sviluppo anatomico e sul suo assetto
psicofisiologico. Fattori che è bene ricordare, in quanto sono alla base della
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dell’equilibrio emotivo-affettivo e della salute psicofisica oppure del disagio e della
malattia. Il primo fattore riguarda un adeguato apporto alimentare, fondamentale in
quanto determina la crescita della massa cerebrale: aumento del numero delle cellule,
aumento delle loro dimensioni, moltiplicazione delle interconnessioni sinaptiche. Se al
contrario alimentiamo il cervello con psicofarmaci specie nei primi anni di vita,
potremmo avere un danno cerebrale irreversibile che coinvolge strutture diverse secondo
la rapidità di crescita del cervello ed in seguito anche danni funzionali irreversibili.
Inoltre anche danni a distanza sui processi di apprendimento e di sviluppo intellettuale
ed emotivo, nonché sulle spinte motivazionali e l'equilibrio comportamentale. Il secondo
fattore è inerente alle influenze ambientali e cioè al rapporto tra interazioni sociali,
intensità delle afferenze ambientali e strutturazione anatomica e biochimica cerebrale.
Cioè il cervello ha bisogno di un ambiente ricco di stimolazioni positive che fa
aumentare lo spessore corticale delle cellule gliali, migliora l'attività modulatrice
dell'impulso nervoso e le prestazioni comportamentali, mentre un uso inappropriato di
psicofarmaci in un cervello in evoluzione può dare anormalità comportamentali,
irritabilità, aggressività, cefalee, disturbi del sonno etc. Il terzo fattore riguarda le
componenti affettivo-emotive delle relazioni: le esperienze frustranti o gratificanti, il
piacere e la gioia o il dolore e la punizione, le soddisfazioni o le delusioni, il
comportamento imitativo, l'empatia. Se i genitori abdicano alla funzione genitoriale
affettiva che è quella di comprendere e guidare i diversi momenti di crescita del
bambino secondo le sue disposizioni innate, nella speranza che lo psicofarmaco risolva i
loro problemi, disconoscono l'importanza affettiva dell'apprendimento e possono così
condizionare verso possibili patogenesi mentali o psicofisiche.
C’è una strada diversa per educare i più piccoli a gestire le proprie intemperanze e
difficoltà? Può indicare un modello da seguire? E quale è il ruolo di noi adulti in
tutto ciò?
Bisognerebbe iniziare con l’educare gli educatori a diventare genitori ed anche a
diventare insegnanti. Educare all'amore, educare alla sessualità, dare ai bambini, agli
adolescenti la possibilità di sviluppare e costruire una identità di persona ed una identità
sessuale ben strutturate e quindi un identità sana e forte, questo dovrebbe essere il
compito naturale degli educatori del genere umano: i genitori e gli insegnanti. Ma, chi
insegna come diventare genitore, come diventare insegnante, l'arduo compito di
coniugare ed articolare in modo armonico istintività, affettività, razionalità, spiritualità,
teoria e prassi nella pratica dei rispettivi compiti quotidiani? Quanti sanno come si
formano le coscienze e le personalità, l'importanza dell'habitat di crescita? Come si
deve affrontare il grande problema della trasmissione della conoscenza? Quali sono le
dinamiche che sottendono ed influenzano la difficile arte del divenire genitore o
insegnante? Sappiamo appena come le interazioni tra sviluppo fisico e coscienza
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individuale, tra regole personali e valori collettivi e modificazioni dell'ambiente naturale
e culturale promuovono nella società i cambiamenti delle "economie", dei costumi, della
cultura, delle idee: ma come tutto ciò possa essere recepito correttamente e reso attuabile
sul piano della operatività dei comportamenti individuali giornalieri è a tutt'oggi materia
di dibattito e di ricerca. Personalmente, in relazione alla mia esperienza clinicoterapeutica, ritengo che la maggior parte del disagio e della sofferenza psichica, sia
inerente ad una interpretazione personalizzata degli educatori, spesso non oggettiva,
vincolata ad esperienze individuali, che alle volte non permettono di vedere i reali e
naturali bisogni-desideri dei bambini: proprio sul concetto di educazione. In altre parole,
il contesto esperienziale della persona condiziona la sua capacità educativa, riducendone
o ampliandone le possibilità, che a loro volta influiscono sul contesto di attualità,
fornendo prestazioni educative corrette, scorrette, sufficienti, insufficienti, naturali o
distorte. Più ancora, nella società di oggi, improntata all’ incertezza, sorretta dal
pluralismo culturale e dalla molteplicità di modelli di riferimento, dal bisogno di
cambiamento e di valori, costruire indicazioni per diventare educatori abilitati alla
formazione dei bambini e degli adolescenti é un obiettivo da non sottovalutare, e deve
essere supportata da adeguate conoscenze psicobiologiche, psicodinamiche, psicosociali
e relazionali, che rispettino le diversità che derivano dalla storia, che ogni persona si
porta con sé ed incarna, e cioè dalle caratteristiche ereditarie, biologiche, psicologiche,
culturali, sociali, etiche e spirituali, per una miglior conoscenza dell'essere umano, una
comprensione della comunicazione, una chiarezza concettuale e di pensiero che
potrebbero sicuramente meglio guidare gli educatori. Educare viene dal latino ex-ducere,
che significa "tirare fuori", "portare avanti", ossia aiutare il bambino ad orientare le sue
disposizioni innate, e permettergli di svilupparle, assecondando il percorso della natura.
Sappiamo, però, bene che quasi sempre avviene tutto il contrario, in quanto il genitore o
l'insegnante "mettono dentro" e si sentono in dovere e/o credono di sapere quello che il
bambino e l'adolescente deve o non deve sapere, e ciò quasi sempre in relazione ai loro
propri desideri sul figlio, al modo di considerare l'alunno e l'insegnamento, alle proprie
insoddisfazioni, o, peggio ancora, alle proprie ostilità, tenendo, invece, scarsamente
conto degli elementi costitutivi del processo educativo. L'educazione, in realtà, è un
processo, e ciò indica un continuo movimento, condizionato da svariati fattori, che
agiscono sul bambino-adolescente attivando le disposizioni potenziali e permettendo che
si sviluppino in modo tale che questi possa diventare un uomo capace di svolgere nel
modo migliore i propri compiti. In accordo con Rousseau dovremmo considerare
l'educazione come un "processo di libera formazione della personalità": processo che
necessita di una dialettica interiore e che si identifica ed unifica nella relazione
educatore-educando. In questa relazione si compongono e si conciliano quegli opposti
che l'esperienza interiore ed esteriore propone tra regole e libertà, desiderio e volontà,
istinto e razionalità. Inoltre, nel processo educativo vanno considerati i diversi aspetti
23
che riguardano l'imitazione, l'apprendimento per empatia, l'istruzione, la socializzazione,
la cultura. Ed ancora le condizioni dell'apprendimento, gli elementi costitutivi del
fattore apprendimento, i diversi tipi e momenti dell'apprendimento, la disponibilità ad
apprendere, gli elementi di comunicazione nell'istruzione, l'aspetto tutor e la
progettazione. Tutti fattori di cui si dovrebbe avere sufficiente conoscenza e
consapevolezza e che non possono essere disattesi, pena il disagio e la sofferenza. Oggi,
almeno in parte l'educazione viene considerata come formazione, e non solo
trasmissione di nozioni, consensi o divieti, premi o punizioni. Possiamo parlare di
educazione permanente, comprendendo l'importanza della formazione come processo
continuo di sviluppo della personalità e delle relative abilità personali e sociali, e non
solo come formazione tecnica-professionale. In tal senso, se affrontiamo il tema
dell'educazione all'amore ed alla sessualità, non dobbiamo cominciare a parlare di
sessualità, come ancora oggi si fa, ma di psicosessualità e comportamento sessuale.
Sappiamo infatti che la sessualità si presenta complessivamente intrecciata ai vari aspetti
della personalità e dell'Io, che, come è noto, si sviluppa secondo un processo di crescita,
articolato, normalmente, nel tessuto socio-familiare di appartenenza. Cosicché il
comportamento sessuale risulta influenzato dalle disposizioni biologiche, dalla
personalità, dalla esperienza di vita e dalla cultura dominante. Ciò rende necessario
evidenziare sia gli aspetti fisici della sessualità, sia quelli psicologici, sia quelli eticosociali, sia i diversi livelli della totalità dell'amore. E’, inoltre, importante considerare il
soggetto dell'educazione all'amore e alla sessualità: bambino, adolescente, giovane,
adulto, educatore (genitore-insegnante) e la finalità relativa ai diversi soggetti, nonché
alle diverse età della vita. Infatti, la formazione della propria identità nel passaggio
dall'infanzia all'adolescenza, alla maturità, all'anzianità, alla vecchiaia pone richieste
diverse, momenti di crisi e di passaggio per un nuovo assetto della personalità che
devono essere conosciute e valorizzate. Quindi non semplicemente informazione o
educazione ma educazione all'amore intesa come formazione permanente allo sviluppo
delle funzioni dell'Io e dell'integrazione dei vari aspetti della personalità con la finalità
naturale del benessere psicofisico. E’ nel benessere che si cresce per l'amore, che si
attivano le energie creative che la psiche incarna e trasforma.
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Cosa ci può dire dell’Amore, e se ancora esiste, come ricordarlo agli educatori ?
Oggi che non si parla più dell’amore, né si comprende in che cosa esso consiste, forse
potremmo provare a ricordarlo attraverso il mito di Amore e Psiche.
Se guardiamo all'accostamento Amore-Psiche, conviene, cominciare a cercare la
relazione tra benessere della psiche-benessere del corpo e l'amore.
Troviamo che risale a concezioni assai antiche che sono state rappresentate
miticamente nella figura di un fanciullo (Amore) ed in una figura alata (Psiche) e che
ebbero varie espressioni nella letteratura ed interpretazioni dalla psicologia.
Di nuovo, oggi, il mito di "Amore e Psiche" si impone alla nostra riflessione indicando
che Amore non è solo espressione di forze istintuali, fisiologiche, ma anche desiderio di
dare all'altro piacere, dedizione, fiducia, lealtà; capacità di donarsi nel desiderio di fare
piacere all'altro come a se stessi.
Ma il mito ci dice, anche, che questo non basta; per arrivare alle vette più alte
dell'amore, alla vera unione, occorre superare molte prove che "purificano e
perdonano" ed orientano al bene dell'altro, al dare e darsi senza chiedere o aspettarsi
gratificazioni o ricompensa.
Questi tre livelli di amore che i greci indicavano con il nome di Dionisos, Eros ed
Agapé corrispondono abitualmente, in qualche misura, ai diversi momenti evolutivi
della capacità d'amare dell'essere umano, anche se in varia misura possono essere
presenti in ogni epoca della vita.
In Dionisos riconosciamo la sessualità prevalentemente biologica, le spinte pulsionali
che attraggono un sesso verso l'altro prepotentemente. In questo tipo d'amore prevale
l'istintività, la sensazione, la corporeità ed ha abitualmente più forza in età giovanile.
Nell'età adulta, intesa come tappa maturativa piuttosto che come semplice
acquisizione cronologica, sembra prevalere invece l'Eros. In questa dimensione
dell'amore ci si conosce e riconosce attraverso l'altro, ci si rivolge all'altro come
persona diversa da sé a cui si desidera dare qualcosa di sé ed essere allo stesso modo
ricambiati, ed in cui il sentimento, il desiderio di reciprocità, di scambio, di
complementarità sono preponderanti.
Nella maturità l'aspetto più oblativo dell'amore desidera il bene dell'altro,
indipendentemente dalla propria persona e dai propri bisogni-desideri: è l'amore che
trascende, che va al di là della vita, che vuole soltanto il bene dell'amato. E’ la
dedizione più completa, l'amore che tende alla virtù, al bello.
Ma c'è ancora un altro aspetto dell'amore, di maggior complessità, in quanto investe le
profondità dell'inconscio e si rivolge a un soggetto che gradatamente acquista
consapevolezza, che per crescere ha bisogno dell'amore, e che non sa quanto lui stesso
dà nel ricevere amore: il bambino.
Questo tipo d'amore comporta un delicato contatto fisico (è noto come il tatto e
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l'odorato sono i sensi indispensabili nelle prime fasi dello sviluppo umano), la
tenerezza, la gioia, un'affettività empatica.
Questo aspetto dell'amore si distingue dall'Agapé, pur presentando una grossa carica
oblativa, di dedizione, cioè che non chiede ricompensa, in quanto l'altro, il figlio, è un
dono della natura e dà la possibilità al genitore di procreare ed allevare un altro essere
umano; e di sviluppare in se stesso quelle abilità e capacità di amare che comprendono
l'interesse e la curiosità per l'altro: l'accudire e l'educare che sono i capisaldi del
naturale evolversi dell'esistenza.
Questo tipo di amore, allora, che potremmo definire come "Affettività Amorosa" si
raccorda anche con l'Eros nel senso che è un amore che dà e riceve, e col Dionisos nel
senso che la spinta pulsionale affettiva alla procreazione e all'allevamento è fisiologica.
Inoltre, ciascun aspetto dell'amore ha in sé l'armonia che compone e rende visibile la
bellezza: la bellezza del sentire, del vedere, dell'agire, dell'esserci.
Quindi, Affettività Amorosa, Dionisos, Eros, Agapé sono i vari livelli attraverso cui
l'amore umano si rappresenta e che compenetrano ed informano il tessuto relazionale
nelle diverse tappe evolutive del nostro percorso di vita. Solo un’integrazione armonica
di queste diverse componenti dell’amore permette una proficua acquisizione di
competenze funzionali allo svolgimento della funzione genitoriale.
Dopo aver espresso, anche se in modo molto sintetico, il mio pensiero sul concetto di
educazione e di amore, e sulla complessità dello sviluppo della persona umana, ossia
sulle idee portanti su cui dovrebbe articolarsi un percorso di formazione, vorrei delineare
alcuni aspetti più pragmatici per svolgere un adeguata formazione psicosessuale per
educatori.
Ciò in quanto la dimensione psicosessuale rappresenta il cardine dello sviluppo di una
personalità equilibrata e la mancanza di una strutturazione definita in merito espone, alla
possibilità che si attivino dinamiche relazionali confusive nella relazione genitoriale che
possono configurarsi, ad esempio, con inversione dei ruoli nelle dinamiche del “figlio
genitoriale”, o della più problematica dimensione dell’incesto.
Nell’esplorare cos'è la sessualità, le scienze ed i diversi orientamenti culturali
concordano nel definire il nostro sviluppo sessuale secondo tre aspetti principali: fisico,
psicologico, etico-sociale e descrivono la sessualità umana nel suo significato più pieno,
come espressione di interazione, scambio, comunicazione ed amore a tutti i livelli della
persona.
Inoltre, secondo la prospettiva antropologica, in particolare secondo quella di C. LéviStrauss, l'amore e la sessualità, tra turbamenti e conflittualità, tra dedizione e ritrosia
sono, in realtà, molto più grandi di ogni descrizione in quanto hanno radici profonde e
misteriose tra natura e cultura.
Il primo aspetto - lo sviluppo fisico della sessualità umana - dovrebbe portare a
comprendere il valore del corpo come espressione dell'Io, dei nostri impulsi, emozioni,
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pensieri e volontà, il valore del corpo femminile e del corpo maschile e le loro differenze
e complementarità attraverso le tappe di formazione e maturazione, e cioè dal momento
della fecondazione alla gestazione, alla nascita, alla pubertà attraverso i cambiamenti
psicofisici che ne condizionano lo sviluppo.
Bisognerebbe far conoscere il ruolo del genotipo e del fenotipo sessuale per mostrare
l'importanza sia dell'ereditarietà sia dell'ambiente e far comprendere come gli stimoli
provenienti da quest'ultimo siano fondamentali per lo sviluppo del cervello, del numero
delle cellule e delle loro connessioni. Chiarire come sin dalle primissime fasi dello
sviluppo, quindi anche durante la gestazione, i comportamenti degli adulti possono
favorire o limitare o impedire lo sviluppo fenotipico; e per questo è fondamentale che gli
educatori comprendano come gli aspetti sociali ed etici (i motivi che provocano i
comportamenti) modulano lo sviluppo della psicosessualità.
Nelle prime fasi dello sviluppo, subito dopo il parto, l'interazione con l'ambiente
diviene palesemente fondamentale. Alla nascita tutto il corpo si organizza secondo le
prime esperienze della fame e del saziarsi e la percezione e la regolazione motoria sono
strettamente connesse ed interagenti.
In questa fase soggetto ed oggetto non sono ancora differenziati, tuttavia questa prima
esperienza collegata con i due grandi bisogni alimentari e posturali rappresentano le basi
della formazione dell'immagine del corpo e permettono progressivamente al bambino di
moltiplicare le proprie esperienze, fonti di nuovi apprendimenti.
Sin da questo momento tra il bambino e la madre si costituiscono reazioni circolari che
ne condizionano il comportamento. E contemporaneamente si sviluppano emozioni
condizionate dall'esperienza del piacere o del dolore, della frustrazione o della
gratificazione, dell'angoscia o della soddisfazione. Cosi, andando avanti, il corpo si
sviluppa e l'lo cresce grazie a questa possibilità di assumere e comprendere una serie
inesauribile di atteggiamenti che permettono lo scambio interumano.
Dopo i primi tre anni di vita, in cui la relazione con la madre è dominante, comincia a
diventare più importante la relazione paterna che trasmette in genere regole, ordine e
sequenzialità temporale.
Così le esperienze vissute dal soggetto nelle sue relazioni con l'ambiente umano,
secondo il carattere empatico o regressivo di quest'ultimo hanno una considerevole
influenza sul livello naturale dell'espressione ed in particolare sull'atteggiamento
corporeo e la sessualità.
E’ necessario, quindi, ricordare sempre le relazioni esistenti tra sviluppo fisico,
affettivo ed intellettivo, tra il corpo di carne e il corpo simbolico.
La seconda tappa evolutiva che condiziona lo sviluppo psicosessuale e porta alla
maturità e sessualità adulta è l'adolescenza, periodo in cui si definisce e stabilizza la
struttura caratteriale.
Dal punto di vista biologico, soprattutto in questa fase che trasforma il bambino in
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adolescente, si evidenziano la differenziazione sessuale e le spinte pulsionali. Infatti la
secrezione ipotalamica con il suo ritmo stimola la secrezione ipofisaria di gonadotropine
che a loro volta stimolano la secrezione gonadica. Quest'ultima porta, dopo un certo
tempo, a modificazioni morfologiche e trasformazioni corporali in rapporto alla
peculiarità dello sviluppo individuale puberale. L'aumento di volume dei seni, le
modificazioni della vulva, le mestruazioni per la donna; l'aumento di volume dei
testicoli, la crescita dei peli per l'uomo; l'aumento di statura e di peso, come la
distribuzione dell’adipe per entrambi sono relativi all'azione ed agli equilibri ormonali.
Da questo momento, per far comprendere correttamente l'attrazione sessuale occorre
mostrare l'attivazione dell'asse corteccia-ipotalamo-ipofisi-ghiandole sessuali-apparato
genitale. Ossia, far vedere come, nell'incontro con l'altro, il vedere, la prima percezione
dell'altro, stimola la corteccia cerebrale, da cui parte una serie di impulsi che eccitano la
secrezione endocrina e producono una serie di modificazioni nel nostro corpo e nel
nostro comportamento. Inizia così l'attrazione, il corteggiamento, la simpatia, l'amore,
l'unione sessuale.
Per quanto riguarda gli aspetti psichici della sessualità appare chiaro dalla trattazione
precedente come il corpo, gli affetti ed i comportamenti sessuali si formano attraverso le
relazioni umane: nella famiglia, con gli amici, nella scuola, nella società, e sono soggetti
ad un continuo feed-back che regola la scelta dell'oggetto d'amore e gli stessi
atteggiamenti verso la sessualità.
Nell'ottica psicodinamica le tappe di polarizzazione sessuale e di sviluppo dell'Io sono
state descritte dalla psicoanalisi e si caratterizzano secondo l'esperienza orale, anale,
fallica, edipica, che va dalla nascita ai sette anni, a cui segue la fase di latenza delle
pulsioni e degli affetti, che si attiveranno, esprimeranno e stabilizzeranno durante il
corso dell'adolescenza.
Quindi, la sessualità è fisica in quanto i cromosomi sessuali orientano la crescita
sessuata del corpo, del cervello, degli organi genitali verso l'essere femmine o maschi,
ma è anche psicologica, cioè intessuta di relazione e di tutti quei dinamismi psichici che
la sottendono, dall'imitazione all'identificazione, dalla fantasia alla idealizzazione, etc.
Dinamismi attraverso i quali sviluppiamo l'identità, ci accorgiamo delle differenze
maschio-femmina e sentiamo l'attrazione prima verso la mamma, poi verso il papà ed in
seguito verso il sesso opposto.
Se il primo rapporto con l'altro è stato "accogliente" possiamo sviluppare una buona
capacità affettiva, l'attrazione per il corpo, la possibilità di innamorarsi e di amare.
Attraverso i vari passaggi di crescita svilupperemo la fiducia, la stima, la capacità di
iniziativa e di autonomia, la responsabilità.
L'integrazione, poi, dei vari aspetti della personalità porterà a costruire un'identità forte
ed un equilibrio sufficientemente stabile; al desiderio di intimità, alla capacità di donarsi,
ed alla responsabilità di amare.
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Così la sessualità può nascere e svilupparsi nel rispetto di sé, delle qualità, dei valori, di
tutte quelle sfaccettature, complementarietà ed interazioni che compongono la relazione
umana d'amore.
Da piccoli, tuttavia, lo sviluppo della personalità è maggiormente centrato sul corpo,
nell'adolescenza sulle emozioni ed i sentimenti, da adulti sulla razionalità e volontà, la
capacità di scelta e di decisione ed in seguito sui valori e la spiritualità. Ciò comporta
che l'attrazione di un sesso verso l'altro ed i relativi comportamenti amoroso-sessuali
potranno essere differentemente improntati ad aspetti prevalenti della caratterizzazione
personale.
Nel corso della trattazione abbiamo delineato come personalità, sessualità, rapporti
umani, società sono strettamente interagenti e determinanti per la nostra crescita, le
nostre scelte, la nostra libertà, la nostra consapevolezza.
Ma, in realtà, nel quotidiano difficilmente abbiamo educatori maturi e consapevoli,
preparati a trasmetterci la difficile arte di vivere, la difficile arte d'amare e di credere
nella possibilità di migliorare noi stessi e la qualità della vita.
In questo senso, non è sufficiente parlare degli aspetti fisici della sessualità: io sono un
corpo; né degli aspetti psichici: io sono una mente; occorre attivare un livello di
consapevolezza che stimoli una maggior conoscenza del volere e della libertà dalle cui
decisioni dipende l'Ethos.
Non è sufficiente, né veritiero, dare informazioni senza sapere di formare, senza avere la
consapevolezza che ogni parola è un messaggio, e che ogni messaggio indica un
percorso.
Così un Formazione all'amore e alla psicosessualità non può prescindere dal trattare
anche gli aspetti etico-sociali della sessualità.
L'essere umano ha sempre aspirato al benessere psicofisico, al piacere, all'amore,
alla gioia, ma questa tendenza si scontra con un'altra tendenza: al malessere, al
dispiacere, all'odio, alla cattiveria.
Spesso si parla di etiche differenti, ma a saper vedere nella storia, nei diversi paesi e
nell'attualità scopriamo solo due etiche, quella della sopraffazione che conduce ai
disturbi di personalità e della sessualità: sadismo-masochismo, perversioni sessuali,
incesto e strupro, aborti indiscriminati, divorzi consumistici con strumentalizzazione
dei figli, etc.; e quella della considerazione, del rispetto, delle regole, dei diritti
dell'essere umano che porta all'unione, alla sessualità integrata, alla famiglia ed a una
società equilibrata.
Mircea Eliade in Storia delle credenze e delle idee religiose dà un quadro chiaro
dell'etica sottostante i vari costumi sessuali della storia umana e come per etica si
intende un insieme di principi razionali che guidano ed orientano i comportamenti.
Quindi, occorre uscire dall'ignoranza, dal peccato di voler ignorare che vi è una
realtà dell'amore.
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Ammettere con Kierkegaard che il peccato non è una negazione ma una posizione e
deriva dalla corruzione della volontà.
Sapere che, senza norme morali, la ragione smette di ragionare e che, in realtà, è la
norma che ci rende liberi dai condizionamenti, ci aiuta all'introspezione ed alla
responsabilità individuale e ci permette di rifiutare il gregarismo.
E’ il valore che informa il tipo di relazione tra due persone, cioè quando un soggetto
dà valore a tutta la persona dell'altro e viceversa.
Dare valore all'amore significa accettare le regole "dell'attivazione reciproca" di
Erikson: se l'essere umano è stato amato, diventerà capace di amare, di perdonare, di
crescere in un clima di reciprocità affettiva e di sviluppare una sessualità piena a servizio
della vita.
Se i genitori pensano di poter parentificare (rendere simile a se’) il figlio o utilizzarlo
contro il Partner o appropriarsene sbagliano; se gli insegnanti pensano di educare
“mettendo dentro” nozioni senza amore ed interesse sbagliano; se magistrati ed avvocati
pensano di poter Amministrare la Giustizia ed esercitare la Mediazione Familiare senza
conoscere i corretti processi di sviluppo psicofisico dell’essere umano sbagliano; se gli
psichiatri pensano di poter risolvere i problemi dei bambini solo con l’uso di
psicofarmaci sbagliano.
Troppo spesso i figli vengono traditi non solo da separazioni, divorzi, processi civili e
penali, strumentalizzazioni ed assegnazioni incongrue, ma sopratutto dalla mancanza di
lealtà nei loro confronti delle figure significative che dovrebbero occuparsi della loro
crescita psicofisica sana ed equilibrata ed invece non si adoperano, né istruiscono per
predisporre un ambiente naturale e culturale adatto alla formazione dell’Identita’ ed allo
sviluppo della Personalita’ del Bambino e preferiscono, in presenza di problemi, di cui
loro stessi sono protagonisti, affidarlo alla cura degli psicofarmaci.
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