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I Fenomeni periodici - Ritmo Il fenomeno delle oscillazioni pendolari

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I Fenomeni periodici - Ritmo Il fenomeno delle oscillazioni pendolari
I
Fenomeni periodici - Ritmo
Il fenomeno delle oscillazioni pendolari e le sue leggi - Il metronomo
Si dicono periodici quei fenomeni che si ripetono sempre uguali in tempi
uguali.
I fenomeni periodici sono ricorsivi: abbracciano una determinata sequenza di avvenimenti e dopo un intervallo costante di tempo la ripetono per intero da capo, ripassando esattamente dalla posizione iniziale. Anche eventi che
sono soggetti a irregolarità, ritardi o accelerazioni possono rientrare facilmente
nel campo dei fenomeni periodici a patto di concedere un appropriato margine di tolleranza al metro con cui vengono misurati: ne sono esempi il corso delle stagioni oppure il battito cardiaco.
Nei fenomeni periodici si distinguono:
il ciclo
lo svolgersi completo del fenomeno
la frequenza il numero di cicli contenuti in un dato tempo
il periodo
la durata di ogni singolo ciclo
Osservazioni:
- Il ciclo può essere composto da un certo numero difasi distinte, non necessariamente identiche fra loro: aspirazione - compressione - scoppio - scarico, primavera - estate - autunno - inverno e così via.
- Il periodo può essere estremamente breve, come nel caso di applicazioni
relative all'ottica oppure all'elettronica, ma anche enormemente lungo come nel
caso dei moti osservabili attraverso l'astronomia.
- Periodo e frequenza sono inversamente proporzionali fra loro: a periodi
più brevi corrispondono frequenze più alte.
I fenomeni periodici stanno, per così dire, alla base della musica: il suono
stesso è il prodotto di una serie di movimenti ricorsivi. Per comprendere correttamente i fenomeni fisici che appartengono all' ambito della musica è dunque necessario vepere quali sono i meccanismi che determinano e regolano la
periodicità.
5
Ritmo
Il ritmo è un attributo che la mente può associare a un fenomeno
periodico quando è possibile la percezione diretta della sua periodicità.
Il ritmo è un concetto astratto che si forma esclusivamente all'interno della nostra mente: per parlare di ritmo è necessario che un osservatore riesca a
far interagire l'osservazione diretta di ciascun ciclo con la memoria immediata dei precedenti e con lafacoltà di previsione di quelli futuri. La percezione
del ritmo dipende dalla capacità del cervello di identificare con precisione un
arco di tempo, di ritenerlo e di proiettarlo esattamente in avanti. Per ottenere
questo risultato bisogna che il periodo stesso sia compreso entro limiti piuttosto ristretti: la gamma delle frequenze offerte dal metronomo, da 40 a 208 cicli al minuto, può prestarsi bene a definire l'intero ambito a cui viene comunemente riferito questo termine.
Ritmo musicale
Scegliendo di collocare un argomento tanto controverso proprio in apertura del corso di studi, il nostro programma ministeri aIe riflette certamente la passata convinzione secondo cui il ritmo sarebbe una componente, per così dire,
atavica e primordiale della musica. Tradisce la certezza che la formulazione del
ritmo si possa far derivare in maniera semplice, spontanea e magari anche universale dalla elementare periodicità di alcuni eventi come il battito delle mani, il marciare dei piedi o per l'appunto l'oscillazione di un pendolo. Lo studio
delle tradizioni musicali extra-europee ha invece dimostrato quanto sia illusoria questa concezione: in realtà il ritmo musicale è sempre il risultato di una serie estremamente variegata di fattori, combinati fra loro secondo modalità e miscele che sono sempre diverse a seconda delle diverse culture. Basti pensare alla complessità ritmica della musica classica indiana, che i commentatori indigeni fanno risalire direttamente alle intricate combinazioni metriche del verso
sanscrito.
In termini più generali, il programma ministeriale risente dunque di un antico pregiudizio diffuso fra i musicisti occidentali: quello secondo cui la loro
concezione del ritmo sarebbe del tutto elementare o perfino naturale. In realtà
le cose sono assai più complesse, tanto è vero che la natura stessa del ritmo musicale è una questione assai controversa già all'interno della tradizione teorica occidentale; l le diverse opinioni in proposito possono essere raggruppate in
due principali tendenze.
l
Definizioni correttamente formulate sul piano scientifico e definizioni genericamente estetizzanti sono raccolte in Pietro Righini, Studio analitico sul ritmo musicale e sue definizioni
attraverso i secoli, Padova, Zanibon 1972.
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- Una prima tendenza vuole attribuire al ritmo musicale una connotazione,
per cosÌ dire, oggettiva: chi vi aderisce ritiene che il ritmo sia qualcosa che esiste, realmente e tangibilmente, all'interno della musica. L'idea che il ritmo
abbia una natura concreta e verificabile sembra naturalmente accordarsi in
modo assai spontaneo con le più comuni e condivise sensazioni indotte dalla
musica stessa: alcuni generi di danza, ma anche molti passaggi sinfonici o
strumentali o corali, possono sfruttare le dinamiche per marcare gli accenti; nella moderna dance music l'andamento di tutto un pezzo può essere direttamente generato nel modo più meccanico e impersonale da un apparecchio
elettronico. Quando è il momento di provare a spiegare in che cosa consiste concretamente la natura del ritmo musicale, tuttavia, le cose si rivelano più ingarbugliate: gli stessi teorici che si riconoscono in questa comune prospettiva
finiscono per dividersi tra quelli che descrivono il ritmo in forma di una ordinata successione di figure e quelli che lo descrivono in forma di una altrettanto ordinata successione di accenti.
- La tendenza contraria attribuisce invece al ritmo una dimensione esclusivamente psicologica: anche nella musica il ritmo non sarebbe altro che una elaborazione del tutto astratta operata dalla mente. Per chi aderisce a questa ottica qualsiasi tentativo di conferire al ritmo una natura concreta, trasferendolo nella realtà dell' evento sonoro, sarebbe in ultima analisi illegittimo e non investirebbe realmente la sostanza della questione. Il ritmo musicale possiede in effetti anche una forte componente psicologica: per trasformare in musica un
ritmo che esiste soltanto in potenza la nostra mente deve comunque volerlo fare, vale a dire deve operare intenzionalmente alcune associazioni astratte di tipo simbolico. Il nostro cervello è capace di registrare un evento sonoro periodico che in sé sarebbe anche direttamente percepibile e prevedibile, come un
passo cadenzato o il rumore di un macchinario in funzione, senza alcun obbligo
di associarlo in modo consapevole a sensazioni di ordine musicale. Il ritmo musicale possiede dunque una natura sostanzialmente estetica: eventi ritmici che
possono apparire stimolanti per un musicista europeo potrebbero non esserlo
per un suo collega indiano, orientale oppure africano.
Il ritmo musicale in Occidente
Nella Grecia classica il ritmo della musica era generato, vale a dire prodotto
direttamente, dal metro che il poeta attribuiva al testo; non siamo in grado di
farci un'idea di quale fosse l'effetto concreto di questo assunto perché la tradizione musicale di quel periodo è andata del tutto perduta. Una concezione sostanzialmente analoga appartiene come abbiamo detto al sistema classico indiano, dove tuttavia gli schemi ritmici si sono sviluppati in forme assai più
complesse di quelle riferite dagli antichi teorici greci.
Nella tradizione musicale occidentale il concetto di ritmo deriva da una serie di meccanismi logici che sono assai complessi e articolati, ben più di quanto spesso credano gli stessi musicisti che la praticano.
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Fin dalla metà del XIX secolo una scuola di pensiero che ha avuto tra i
suoi maggiori esponenti Hugo Riemann si è posta l'obiettivo di far risalire la
concezione ritmica dell' occidente all' antica concezione greca del metro. Questo
proposito ha portato a definire l'operato del compositore in termini puramente induttivi: chi scrive musica accosterebbe fra loro una serie di piedi metrici,
più o meno contrastanti, fino a costruire complesse successioni che solo a questo punto verrebbero raggruppate in forma di misure. Questa concezione è diffusa ancora oggi nel mondo anglosassone, dove le indicazioni di tempo sono
definite metric structures; ha offerto lo spunto per molti lavori di analisi, tanto dettagliati e articolati quanto complessi sul piano del metodo. 2 Va tuttavia
riconosciuto che i risultati di questa impostazione mancano spesso di naturalezza e sconfinano con facilità nel campo dell' opinabile.
La concezione scolastica tradizionale definisce invece il ritmo in termini deduttivi, vale a dire dà per scontato che il compositore conosca in partenza una
serie di opzioni ritmiche in forma di battute: il suo lungo addestramento, unito a una intensa pratica musicale, gli fornirebbe già la perfetta conoscenza di
questi indispensabili presupposti. In questo caso egli deciderebbe semplicemente
di scegliere uno di questi andamenti e di costruirci sopra la sua musica, prima
ancora di cominciare a pensare alle note o meglio nel momento stesso in cui
la melodia inizia a prendere forma dentro la sua mente.
In questa ottica le battute si definiscono a partire da una serie di accenti, che
possono avere
- differente peso
- differente livello
(forti, deboli, mezzoforti)
(principali, secondari, di suddivisione ... );
la divisione in battute delimita semplicemente ciascun ciclo in cui la serie di
questi accenti differenziati si ripete periodicamente.
Dagli accenti principali si ricava la serie dei tempi semplici, distinti in
- tempi binari
- tempi ternari
- tempi quaternari
accenti:
accenti:
accenti:
forte
forte
forte
debole
debole
debole
debole
mezzoforte
debole.
Questa formulazione ha il vantaggio di spiegare il pensiero musicale in
termini nettamente più semplici e accattivanti; è efficace e funzionale sul piano della didattica e corrisponde con sufficiente precisione al modo in cui il musicista stesso sente la propria musica. Se tuttavia, come abbiamo detto, il rit-
2
È spesso ascrivibile a questa tendenza la manualistica prodotta oltre oceano, come per esempio Grosvenor Cooper and Leonard B. Meyer, The Rhythmic Structure oJ Music, university of
Chicago Press 1960. Supporti didattici riferiti a questa concezione hanno ampia diffusione anche sul web.
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mo consiste essenzialmente in una particolare elaborazione mentale, è altrettanto doveroso riconoscere che tutta la concezione ritmica fondata sugli accenti
non ha in realtà nessun tipo di riscontro diretto e oggettivo nell'arte musicale.
Così come la abbiamo descritta, la ritmica accentuativa lascia intendere
che nella pratica musicale alcune note abbiano maggiore peso, e che di conseguenza debbano essere suonate con più forza. Nella realtà le cose non stanno affatto così; sul piano fisico, l'accento gioca un ruolo del tutto marginale nei
meccanismi ritmici della musica occidentale. Neppure un allievo che solfeggia, vale a dire che riproduce il ritmo musicale nella sua forma più elementare, emette veramente una serie di accenti forti o deboli con la voce. Un semplice programma di scrittura può consentire a un computer di eseguire in modo convincente una serenata di Mozart oppure una ouverture sinfonica di
Mendelssohn senza operare alcun controllo delle intensità; perfino nei valzer
popolari o in certa disco-music, dove gli accenti sono effettivamente marcati,
la sottolineatura del ritmo assolve a una funzione che in fin dei conti è esclusivamente timbrica. Nei primi quattro secoli in cui la ritmica occidentale ha portato avanti il proprio sviluppo, vale a dire fino a tutto il Rinascimento, gli strumenti musicali non avevano neppure la possibilità di variare in modo significativo l'intensità del loro suono: questa particolarità si è conservata in alcuni
strumenti ancora oggi in uso come il clavicembalo, l'organo o un comune
flauto dolce. Si può avere una prova diretta del fatto che la musica occidentale non distingue gli accenti in base alle intensità semplicemente aprendo in formato .waw la registrazione di un mottetto di Palestrina, di un concertato di
Bach ma anche di un quartetto di Haydn: si vedrà che non è possibile individuare gli accenti sulla base della schermata. La musica occidentale articola il
ritmo in un modo del tutto diverso, operando in realtà su un piano che ancora
una volta è esclusivamente psicologico.
La misura o battuta stabilisce prima di tutto una periodicità nelle successioni armoniche, vale a dire fa in modo che a intervalli fissi - misurati sul movimento relativo delle figure - il cervello si aspetti un cambio di armonia. Un
accento forte è in realtà solo una probabilità alta di trovare un cambio armonico, un accento debole non è altro che una probabilità più bassa; in corrispondenza degli accenti forti si collocano i movimenti armonici più rilevanti
sul piano della struttura di un intero pezzo, mentre alle altre fasi vengono destinate le sfumature che hanno carattere più transitorio e coloristico. Ad accenti
principali e secondari corrispondono quindi, in realtà, soltanto livelli di probabilità diversi relativi alla mutevolezza delle situazioni armoniche e alla loro importanza per la sintassi complessiva del brano musicale. Le variazioni intenzionali di intensità che il compositore o l'esecutore possono decidere di
mettere in atto possono soltanto riuscire a sottolineare, oppure eventualmente
a contrastare in modo interessante, la concretezza di questa dimensione puramente psicologica.
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Non è dunque un caso che il concetto occidentale di ritmo sia stato elaborato
soltanto a partire dalla metà del XII secolo: sul piano storico, il ritmo è es-
senzialmente una conseguenza diretta e immediata dell'invenzione della
polifonia. Per molti secoli il ritmo continuò a essere inteso semplicemente come un una sorta di tempo primo, senza implicare particolari differenze di articolazione sul piano degli accenti; soltanto a partire dal XVII secolo, con la
progressiva definizione della moderna armonia tonale, cominciarono gradatamente a svilupparsi le strutture più complesse che chiamiamo battute.
Questa novità portò a un rinnovamento assai profondo di tutta la pratica musicale, tanto è vero che nella concezione corrente il Seicento segna proprio il
trapasso dalle cosiddette musiche "antiche" ai diversi repertori della musica
"classica" .
Il ritmo musicale occidentale è dunque, in definitiva, una sorta di immagine mentale creata dal cervello: gli accenti che il musicista può credere di sentire esistono in realtà soltanto dentro la sua mente, e a rigore non hanno nessun bisogno di essere marcati effettivamente nelle parti che vengono suonate. Il ritmo musicale viene percepito, e anche condiviso sul piano del godimento
estetico, esclusivamente sul piano psicologico: se le caratteristiche stilistiche di un repertorio lo consentono, rimane percettibile e apprezzabile anche
in presenza di vistose modificazioni come acce1erandi, ritardandi o sospensioni.
Il ritmo musicale presuppone d'altra parte una certa attività simbolica e
astratta anche in chi ascolta passivamente la musica. Al compositore possono bastare un minimo di accenni, anche del tutto privi di armonia, per far
comprendere e apprezzare il tempo in cui ha scritto il proprio pezzo; questo
può avvenire, tuttavia, soltanto a condizione che il suo pubblico condivida già
in partenza la stessa concezione ritmica. Su scogli come questo vanno normalmente a naufragare quelle teorie che vorrebbero fare della musica una
sorta di linguaggio universale, perché è impossibile cogliere la bellezza di
un brano se non si possiede una profonda confidenza con il codice in base a
cui è stato scritto. Qualsiasi tradizione musicale, antica o moderna, classica
o heavy metal, europea oppure esotica, possiede un certo numero di caratteristiche che costituiscono le sue esclusive chiavi di accesso: fra tutte, il ritmo
può senz' altro essere considerato come una delle più vistose e determinanti.
Metrica
La moderna battuta ha dunque una struttura che, per quanto in forma puramente allusiva, si richiama al ritmo espresso da una serie ben strutturata di
accenti differenti. È tuttavia doveroso sottolineare che in realtà anche l'elemento rivale, il metro, gioca a sua volta un ruolo molto importante nel processo con cui il compositore moderno costruisce il senso della propria musica.
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Si ha un metro quando una serie di valori viene ripetuta continuamente, senza modifiche, all'interno di ciascuna cellula ritmica.
f
ritmo
metri:
j
J
J. )J
d
j
J
d
f
J
j
)J
J.
d
d
f
J
j
d
J
)J
d
f ...
J
j
)J
J
La tradizione classica greca e romana ci ha trasmesso una serie di piedi
metrici elementari, due formati da tre tempi primi e tre da quattro:
giambo
U-
troncheo
-
U
U Ur
dattilo
-
anapesto
U U -
spondeo
ancora oggi, molti dei versi poetici della nostra tradizione lasciano facilmente vedere la loro possibile derivazione lontana dai metri della poesia classica.
Nel mezzo del cammin di nostra vita
Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino
Di pasta simile son tutti quanti
S'ode a destra uno squillo di tromba
giambo
trocheo
dattilo
anapesto
I poeti antichi potevano contare su un gran numero di combinazioni aggiuntive, e se interpretiamo correttamente la testimonianza dei teorici coevi ciascuna veniva fatalmente associata a un ritmo diverso.
Per il compositore moderno le cose non sono tuttavia meno complesse: i metri sono infatti subordinati al ritmo relativamente semplice delle battute, ma in
compenso possono accumularsi fino a un numero virtualmente infinito di possibilità. Rispettando certe regole, un metro poetico può essere ambientato in qualunque tempo e può anche essere tradotto in molte differenti figurazioni musicali; d'altro canto, tuttavia, qualsiasi combinazione di figure possiede in potenza la capacità di essere a sua volta trasformata in un metro sul piano strettamente musicale.
Per ottenere questo risultato è sufficiente che il compositore decida di ripeterla
integralmente in ciascuna battuta successiva.
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II
Produzione del suono - Vibrazione dei corpi sonori
Il suono
Per definire correttamente la natura del suono è necessario percorrere un cammino in parte analogo a quello già esplorato a proposito del ritmo: anche su questo nuovo tema la storia della scienza ha espresso due tendenze opposte, una
che possiamo definire oggettiva e una che rivolge decisamente l'indagine verso l'interno della nostra mente. Fatte salve le giuste esigenze della prima soluzione (anche un albero che cade nel mezzo dellaforestafa rumore, come dicevano gli antichi), la natura del suono deve essere definita prima di tutto all'interno del nostro cervello: il compito sarà assai più semplice di quanto non
lo sia stato a proposito del ritmo perché il fenomeno possiede una dimensione non psicologica ma soltanto fisiologica. Diremo dunque che il suono è la sensazione indotta sull'udito dalla vibrazione di un corpo sonoro.
Un corpo sonoro può trasmettere impulsi differenti a diversi sensi, per
esempio alla vista o al tatto; nessuno di questi stimoli può tuttavia essere definito suono, perché in termini strettamente fisiologici il suono è soltanto quella sensazione che giunge al cervello attraverso il nervo acustico. Alcuni tipi di
vibrazione possono essere trasmessi per via ossea, ma anche in questo caso il
loro segnale viene comunque elaborato dall'area neurale che è connessa e preposta al nervo acustico.
Componenti oggettive del suono
Il suono possiede dunque una natura del tutto psicologica; può tuttavia essere oggetto di indagine da parte della fisica sperimentale perché deriva necessariamente da una certa serie di fenomeni concreti e verificabili. Potremmo
innanzi tutto definire come suono anche la vibrazione del corpo sonoro potenzialmente capace di produrre la sensazione uditiva; questa formulazione è
molto diffusa e ha anche una certa efficacia sul piano convenzionale e discorsivo, anche se in termini rigorosi il suo valore si riduce a ben poco. Una definizione assai più utile e valida è quella che identifica il suono con la perturbazione prodotta nell'aria dalle vibrazioni della sorgente sonora: il suono si
manifesta infatti attraverso una serie di movimenti che si trasmettono attraverso uno spazio rigorosamente non vuoto, interferendo in vari modi con la materia che incontrano lungo il cammino e facendosi da questa ritrasformare in
forme altrettanto varie. Nel caso più normale, gli stimoli sonori non sono altro che una serie di variazioni cicliche della pressione atmosferica (tesi III):
è questa la forma in cui vengono solitamente captati dall' orecchio per essere
elaborati dal cervello e trasformati in suono.
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Vibrazione dei corpi sonori
Le vibrazioni dei corpi sonori sono dovute all'interazione tra l'inerzia, che
opera esattamente nei termini già visti a proposito del pendolo, e una nuova proprietà dei corpi che si chiama elasticità.
L'elasticità è la capacità di un corpo di riprendere una determinata forma, dopo essere stato deformato, quando la forza deformante si riduce o cessa del tutto.
Messo in tensione e poi lasciato a sé stesso, un corpo elastico genera una serie di oscillazioni del tutto simili a quelle del pendolo: la sua tendenza propria
è infatti quella di riprendere velocemente la configurazione che aveva quando
si trovava allo stato di quiete. Nel momento in cui il corpo ritorna nella posizione iniziale, tuttavia, la sua corsa non si può più arrestare: esattamente come
era successo nel caso del pendolo, l'energia cinetica acquisita a causa del suo
stesso movimento porta tutto il sistema a proseguire e a oltrepassare la posizione
desiderata fino a giungere in un punto che in termini ideali è esattamente opposto al precedente. Il movimento riprende allora in senso contrario, replicandosi poi a fasi alterne fino alla completa dissipazione di tutta l'energia iniziale.
Rispetto alle oscillazioni del pendolo, in cui il movimento era prodotto in
ultima analisi dalla forza di gravità, le vibrazioni di un corpo sonoro sono
estremamente più rapide: le particelle interessate dal fenomeno sono di dimensioni assai minori e le forze messe in gioco dall'elasticità sono molto superiori. Nella vibrazione acustica la componente della gravità diviene trascurabile, per cui in linea di principio i corpi sonori sono in grado di vibrare assumendo liberamente qualunque posizione nello spazio.
Vibrazione di una verga elastica
Per fornire un modello fisico alle vibrazioni delle fonti sonore esamineremo il comportamento di una verga di acciaio. Essendo dotata di elasticità una
lamina di acciaio, fissata per una estremità a una morsa, quando viene deformata e quindi abbandonata a sé stessa si mette in vibrazione.
- nel tratto in cui la verga è fissata alla morsa il movimento si
suppone nullo.
- l'elasticità agisce come una forza interna applicata in tutti gli altri punti della verga; il suo effetto è tanto più evidente quanto più
ci si allontana dalla morsa, quindi è massimo sul vertice opposto.
- una verga di maggiore spessore reagisce con più forza rispetto
a una verga di minore spessore, per via della sua maggiore elasticità: produce quindi oscillazioni più veloci.
- le vibrazioni della verga sono isocrone: durante la vibrazione vie27
Strumenti musicali
Per produrre il suono la pratica musicale si serve di:
- oggetti sonori,
- corde tese,
- colonne d'aria contenute in tubi sonori,
- piastre,
- membrane tese;
a queste risorse tradizionali si aggiungono oggi i circuiti elettrici.
Vibrazione degli oggetti sonori
Gli oggetti sonori (idiofoni) sono tutti quegli oggetti che vibrano nella loro totalità. Dal momento che emettono un suono, anche le verghe vibranti possono far parte di questa categoria; lo schema relativo a un solo vincolo sul
vertice rappresenta gli scacciapensieri popolari, quello relativo a un solo vincolo nel centro può rappresentare la vibrazione del diapason se si ripiegano verso l'alto i due rebbi.
Vibrazione delle corde
Le corde possono essere di minugia (budello animale), metallo, nylon, seta e altro ancora; tuttavia possono vibrare e produrre suono soltanto se acquistano elasticità, una qualità che di per sé stesse non possiedono. L'elasticità delle corde si ottiene mediante la tensione: a differenza di quella delle lamine, quindi, l'elasticità delle corde.
- è regolabile a piacere attraverso un meccanismo di trazione;
- agisce come una forza esterna alla corda. Una corda di maggiore
spessore reagisce con più forza rispetto a una corda di minore
spessore, vale a dire oppone una maggiore resistenza e produce
oscillazioni più lente.
Le corde si possono mettere in vibrazione mediante strofinamento, pizzico oppure percossa. Nel primo caso è possibile ottenere un suono continuato, negli altri due si otterrà un graduale decadimento del suono.
Come si vedrà più avanti (ancora tesi V), nella realtà fisica la corda in vibrazione si comporta in maniera piuttosto complessa; ragionando per astrazione, tuttavia, vale a dire supponendo che reagisca nella maniera più elementare possibile, essa assume l'aspetto di un doppio fuso perfettamente
simmetrico e si dispone secondo lo schema nodo - ventre - nodo:
30
N
v
N
I due punti geometrici a cui la corda è vincolata, e in realtà i due ponticelli fra cui è libera di vibrare, costituiscono i nodi della vibrazione; non partecipano in alcun modo ai movimenti della corda. La parte centrale libera, in cui
invece la perturbazione è massima, costituisce il ventre.
Osservazioni:
- Il modello per la vibrazione è fornito da una verga vincolata su entrambi
i vertici.
- La vibrazione può essere per ora definita come trasversale, vale a dire orientata a formare un angolo retto rispetto alla disposizione della corda.
- L'angolo individuato dalle due opposte posizioni ventrali, inferiore e superiore, e da ciascuno dei due nodi costituisce l'ampiezza massima della vibrazione.
- Per raggiungere la massima ampiezza in corrispondenza dei due ventri la
corda deve potersi allungare leggermente; questo è possibile grazie all'elasticità, che opera longitudinalmente nello stesso senso della trazione.
- La vibrazione si svolge idealmente su un solo piano; considerando il moto delle corde si fa abitualmente astrazione dagli eventuali movimenti circolari
di precessione, che pure esistono e che anzi sono spesso evidenti nelle corde
particolarmente lunghe e robuste.
La frequenza del suono emesso dalle corde muta
- in ragione inversa della lunghezza:
raddoppia se si dimezza la lunghezza della corda.
- in ragione inversa del quadrato del diametro:
raddoppia se si assottiglia la corda fino a un quarto.
- in ragione inversa del quadrato della tensione:
raddoppia se si quadruplica la tensione.
- in ragione inversa della radice quadrata della densità:
raddoppia se la densità è ridotta fino a un ottavo.
Per ottenere suoni acuti occorrono corde
Per ottenere suoni gravi occorrono corde
sottili, corte o ben tese;
spesse, lunghe o meno tese.
31
Vibrazione dell'aria in un recipiente
Vedremo fra breve (tesi III) che tutte le vibrazioni si trasmettono attraverso l'aria; l'aria ha tuttavia la capacità di diventare essa stessa un corpo vibrante, vale a dire può essere in grado di produrre direttamente il suono. Questo
si verifica soltanto a condizione che
- l'aria sia contenuta in un tubo, o altro recipiente, relativamente ristretto e
fornito di pareti rigide;
- il recipiente possieda almeno una via di comunicazione con l'aria esterna.
L'aria contenuta nel tubo viene messa in vibrazione introducendo all'interno
una certa quantità di altra aria; è possibile ottenere un suono continuato, ma la
vibrazione si arresterà immediatamente non appena si smette di soffiare.
Vibrazione di un foglio rigido
In condizioni normali la vibrazione dell' aria non è mai visibile; i meccanismi
che la determinano possono tuttavia essere messi sotto osservazione ricorrendo a un fenomeno che ha una natura sostanzialmente analoga. Basterà appoggiare un foglio di carta su una superficie piana e tenerlo fermo con la mano da
una sola parte: se si soffia trasversalmente sul bordo libero, con la giusta quantità di energia, il foglio inizierà immediatamente a vibrare. Non proveremo a
descrivere le cause esatte del fenomeno, che in termini rigorosi vanno a sconfinare addirittura nel campo dell'aerodinamica; facendo una grossolana astrazione dalle molte componenti che entrano in gioco possiamo tuttavia dire che
questo si verifica perché interagiscono due tendenze opposte,
- il soffio dell' aria
- il peso del foglio
che tende a sollevare il foglio
che tende a riportarlo a terra.
Ciascuna di queste due tendenze prevale sull' altra, non in via definitiva ma
in una successione di rapidissime fasi alterne: in un istante prevale la portanza generata dal soffio, in quello successivo prevalgono il peso e la relativa rigidità (in questo caso assimilabile all'elasticità) del materiale. L'estremità libera del foglio vibra dunque in modo simile a quanto visto a proposito delle verghe elastiche fissate su un vertice.
Il flusso d'aria interessato dal fenomeno, oltre a fornire l'energia necessaria a innescare la vibrazione stessa, opera alternativamente in due fasi distinte. Sempre ragionando in termini ideali,
- in una fase passa tutto sotto al foglio
- in quella successiva passa tutto al di sopra.
Se si prova a sollevare la mano dal foglio si noterà che la vibrazione si produce ugualmente; il comportamento di un foglio libero è del tutto analogo a quel32
lo del foglio vincolato, ma per il momento è più difficile da descrivere sul piano fisico. Il foglio stesso tenderà a scivolare via per effetto del movimento
dell' aria.
Vibrazione dei tubi sonori
La vibrazione all'interno dei tubi sonori può aver luogo soltanto se si replicano le medesime condizioni osservate a proposito del foglio: il flusso d'aria immesso nel tubo deve poter operare in due fasi distinte, vale a dire
- in una fase deve riuscire a entrare tutto all'interno del tubo,
- in quella successiva deve poter scivolare tutto al di fuori.
Per ottenere questo effetto i tubi sonori sono dotati di una imboccatura,
vale a dire di un dispositivo che consente all' aria entrante di dirigersi alternativamente nelle due direzioni richieste.
L'imboccatura deve quindi necessariamente avere due fori, uno di entrata e uno di uscita, oppure un foro unico ma posizionato in modo da assolvere
entrambe le funzioni. Può essere
- una semplice intaccatura a forma di V;
- una camera chiusa (becco) con uno spigolo tagliente sul fondo;
- un foro rotondo, a volte accompagnato da una guida per le labbra;
- ad ancia semplice, con una linguetta di canna o metallo posizionata in modo da coprire il foro di entrata ma fissata solo sul fondo in modo da poter vibrare come il foglio di carta; a sua volta viene distinta in
• ancia battente se è più grossa del foro (non riesce a entrare all'interno)
• ancia libera se è più piccola del foro (riesce a muoversi fuori e dentro).
- ad ancia doppia, con due ance contrapposte che chiudono frontalmente il foro di entrata e lasciano passare l'aria vibrando in coppia come ance battenti;
- a bocchino, con un imbocco metallico arrotondato che provoca la vibrazione delle labbra dell'esecutore e facilita il controllo del soffio.
L'aria immessa nel tubo provoca una vibrazione che si propaga rapidamente per tutta la lunghezza del corpo sonoro e che nasce dalla continua dilatazione e compressione dell' aria contenuta nel tubo stesso: anche in questo
caso il comportamento della colonna d'aria, di per sé piuttosto complesso (tesi V), può essere utilmente semplificato pensando che l'aria all'interno del tubo reagisca nella maniera più elementare possibile.
33
IV
Qualità del suono: altezza, intensità, timbro
La natura delle vibrazioni sonore, costituita come si è visto da variazioni cicliche della pressione all'interno di un veicolo elastico, è sempre identica a sé
stessa; i suoni che risultano da questo fenomeno non sono tuttavia necessariamente sempre uguali, perché possono variare anche notevolmente alcune delle loro caratteristiche. Per definire un suono bisogna fare riferimento a tre qualità, vale a dire a tre differenti parametri di natura fisica.
Altezza
L'altezza è la qualità che distingue i suoni in gravi e acuti.
Dipende da un solo parametro, vale a dire dalla frequenza delle vibrazioni: 1'altezza dei suoni è data dal numero di vibrazioni che il corpo compie nell'unità di tempo, o in termini ancora più semplici dalla rapidità delle vibrazioni
che si sviluppano in un dato intervallo di tempo. Dal momento che frequenza
e periodo sono inversamente proporzionali, l'altezza è direttamente proporzionale alla frequenza e di conseguenza inversamente proporzionale al periodo delle vibrazioni: raddoppia se il periodo si dimezza.
- L'ottava superiore corrisponde, sempre e in ogni caso, al doppio delle vibrazioni nell'unità di tempo e dunque al doppio della frequenza.
Le variazioni di pressione atmosferica vengono recepite dall' orecchio soltanto se il loro periodo rientra entro certi limiti: non tutte le frequenze sono in
grado di originare i suoni, vale a dire non tutte possono essere percepite attraverso 1'orecchio. L'unità di misura più adatta a identificare il numero relativamente ristretto di frequenze che formano l'oggetto della musica è lo spazio
di un secondo: i suoni si misurano dunque in cicli al secondo. Un certo numero
di cicli in un secondo equivalgono ad uno stesso numero di Hertz, che è l'unità
di misura usata in fisica proprio per rappresentare la frequenza dei suoni: l Hertz
equivale a un ciclo al secondo e rappresenta una forma d'onda, condensata e
rarefatta, che si ripete sempre uguale a ogni secondo. In modo quasi paradossale, la frequenza di l Hz non dà origine ad alcun suono: il nostro orecchio comincia a percepire la sensazione acustica a partire almeno da 16 Hz.
- tra O e 16 Hz si hanno i cosiddetti infrasuoni: non sono percepibili dall'uomo, ma pare vengano avvertiti dagli animali domestici sotto forma di
profondissimi boati allo scatenarsi dei terremoti.
- tra 16 e 20.000 Hz si hanno i suoni veri e propri: le frequenze che si collocano fra questi due estremi costituiscono il cosiddetto campo di udibilità.
- oltre i 20.000 Hz si hanno gli ultrasuoni: le vibrazioni di questo tipo non
57
sono percepibili dall'uomo, ma sono avvertite da animali come i cani (circa
un'ottava in più) e i pipistrelli (oltre due ottave in più). Lo studio degli ultrasuoni si presta a numerose applicazioni sul piano della tecnologia; anche se a
rigore non riguarda più l'arte della musica, questo argomento rimane comunque nel campo di indagine riservato alla fisica acustica.
Il nostro orecchio riesce dunque a cogliere un'estensione di circa dieci ottave, vale a dire circa tre ottave in più (una al grave e due all'acuto) rispetto all'estensione del pianoforte.
do 9 = 16.744,12 Hz
do 6 = 2093,02 Hz
~
• d!l 2
~
àh 4
do 5 = 1046,51 Hz
523,25 Hz
• do 3 {f61:63 Hz
130,8 J Bo:
• do l =65,41 Hz
do -1 = 16,35 Hz
La vibrazione sonora è troppo rapida perché la si possa correggere intervenendo direttamente sul numero delle vibrazioni; l'altezza dei suoni è tuttavia facilmente modificabile se si interviene, di volta in volta ma anche congiuntamente, su qua1cuna delle principali caratteristiche del corpo vibrante.
In termini generali l'altezza si può modificare intervenendo su:
- lunghezza l'ottava superiore corrisponde a metà lunghezza
(una dimensione)
- superficie l'ottava superiore corrisponde a un quarto della superficie
(due dimensioni: metà lunghezza per metà larghezza)
- volume
l'ottava superiore corrisponde a un ottavo del volume
(tre dimensioni: metà lunghezza per metà larghezza per metà
altezza)
Le tre configurazioni considerate sono quindi in rapporto di potenze fra
loro; nel caso delle corde e dei tubi sonori il parametro della lunghezza tende
a rendere trascurabili tutti gli altri. È anche possibile modificare l'altezza di un
suono intervenendo sulla tensione del corpo vibrante: in questo caso l'ottava
superiore corrisponde alla tensione quadrupla.
Sul piano costruttivo l'altezza dei suoni può essere determinata anche da:
- densità
l'ottava superiore corrisponde a un ottavo della densità
- temperatura
- rapidità dell'impulso
- negli aerofoni, come si è detto, anche dalla velocità di ingresso del soffio
oppure dalle dimensioni del foro di insufflazione.
58
Gli strumenti a corde oppure a membrana devono predeterminare le altezze di ogni singola corda in base all' accordatura, vale a dire devono armonizzare fra loro una serie di differenti lunghezze, tensioni e densità. Quelli che hanno un numero limitato di corde (violini, chitarre, mandolini) agiscono quindi
sulla lunghezza, vale a dire riducono la porzione vibrante tramite la pressione
delle dita; possono operare, entro certi limiti, anche sul piano delle tensioni se
sono muniti di un distorsore.
Gli strumenti a fiato agiscono prima di tutto sul piano della lunghezza della colonna d'aria contenuta al loro interno, ma possono modificarne l'effetto
con accorgimenti assai complessi; quelli a bocchino si adeguano anche alla rapidità dell'impulso fornito dalle labbra dell' esecutore. Tendono a scaldarsi e a
crescere di intonazione quando sono suonati a lungo.
Gli idiofoni si possono differenziare, sempre in fase di costruzione, in base alla loro superficie densità e volume. A volte è possibile intervenire sull'altezza del suono prodotto manipolando opportunamente lo strumento stesso.
Osservazioni:
- L'altezza standard dei suoni, stabilita tramite una convenzione internazionale
a Londra nel 1939, è il la 3 di 440 Hz. Nel corso dei secoli precedenti l'altezza di questo stesso la ha subito molte variazioni, discostandosi di periodo in periodo e spesso anche di città in città. Per le esecuzioni di musica barocca si utilizza oggi un la di 415 Hz, intonato circa un semitono sotto rispetto alla di 440
Hz, perché questo valore risulta essere più adeguato alle caratteristiche costruttive e sonore degli strumenti dell'epoca.
- Man mano che si procede verso 1'acuto la nostra percezione delle altezze diventa imprecisa: come un ciclista lanciato in una folle discesa non riesce
a tenere con i pedali tutti i giri della ruota, così 1'orecchio inizia a perdere la
precisa cognizione delle altezze quando le vibrazioni si fanno troppo rapide.
Questo calo di sensibilità è chiaramente avvertibile già a partire dalle ottave superiori del pianoforte: gli ultimi tasti dello strumento vengono normalmente accordati crescenti per compensare le vibrazioni che sfuggono alla sensibilità
dell' orecchio. 1
1
P. Righini, L'acustica per il musicista, Padova, Zanibon 1970 e successive ristampe, pp. 5052.
59
Intensità
L'intensità è la qualità che distingue i suoni inforti e deboli.
In termini rigorosi l'intensità è data dalla pressione, ossia da una certa forza esercitata su una precisa superficie, che viene trasmessa di molecola in molecola al momento della vibrazione sonora: ancora più a rigore possiamo dire
che è iljlusso medio di energia che, nell'unità di tempo, attraversa una supeTficie
di area unitaria disposta perpendicolarmente alla direzione di propagazione.
L'intensità si misura in watt per metro quadro (w/m 2).
Dal momento che la vibrazione sonora si propaga in forma sferica la quantità totale di pressione prodotta dal corpo vibrante deve distribuirsi su una superficie che cresce come la seconda potenza del raggio, vale a dire assai rapidamente: ne consegue che l'intensità si riduce vistosamente con la distanza.
L'intensità del suono varia in ragione inversa al quadrato della distanza: a
distanza doppia 1'intensità risulta essere quattro volte più debole. Bisogna tuttavia notare che il nostro orecchio mantiene la sua sensibilità anche di fronte
a valori di pressione assai modesti. 2
L'intensità può essere modificata
- alterando l'energia con cui si eccita la fonte sonora, anche se non tutti gli
strumenti concedono in uguale misura questa possibilità a causa delle loro differenti caratteristiche;
- in fase costruttiva, dotando gli strumenti stessi di casse di risonanza (tesi VII). Questa soluzione è d'obbligo per quasi tutti gli strumenti a corde, una
categoria che di per sé produrrebbe sonorità troppo deboli per essere impiegate
nella pratica musicale.
Osservazioni:
- L'utilizzo diretto e consapevole delle intensità a fini espressivi comincia
a comparire nella pratica musicale soltanto intorno al XVII secolo; nei periodi precedenti se ne possono rintracciare solo pochi esempi del tutto episodici.
Gli strumenti musicali medievali e rinascimentali, come si è detto, non erano
costruiti tenendo conto della possibilità di variare espressivamente l'intensità.
- La sensibilità barocca si esprime attraverso bruschi contrasti di sonorità,
come l'alternanza fra soli e tutti oppure la cosiddetta dinamica "a terrazze". L'uso
del crescendo e del diminuendo venne introdotto dall'orchestra di Mannheim
a partire dalla metà del XVIII secolo; segnature ancora più esasperate, come
il pianissimo e ilfortissimo, furono adoperate per la prima volta da Beethoven.
- Nella musica teatrale si cerca talvolta di riprodurre l'effetto della distanza diminuendo volutamente 1'intensità del suono emesso.
2
P. Righini, L'acustica per il musicista, pp. 22-23, 52, 60-61,110.
60
Rappresentazione grafica di un'onda sonora
La vibrazione sonora può essere rappresentata come forma bidimensionale in un grafico x per y, con il tempo riportato in ascissa e i valori di pressione in ordinata: in questo caso l'altezza si traduce nel numero di onde contenute
nell'unità di tempo, mentre l'intensità si traduce nell'ampiezza verticale delle vibrazioni.
- quando 1'onda viene "schiacciata" o "allargata" in senso orizzontale si
ottiene una variazione di frequenza, dunque un cambiamento di altezza;
- quando le stesse modifiche si producono in senso verticale si ottiene invece una variazione di ampiezza, vale a dire un cambiamento di intensità.
In termini ideali i due parametri hanno la possibilità di modificarsi liberamente in modo del tutto indipendente, vale a dire senza interferire l'uno con l'altro.
61
gravi
pp
<O>
ff
acuti
Timbro
Tra tutte le qualità del suono il timbro è quella che viene recepita più facilmente nell' esperienza quotidiana, ma la sua definizione rigorosa sul piano
fisico è una questione assai complessa. In termini elementari il timbro è la
"voce propria" di ciascuno strumento, vale a dire quella qualità che consente
di distinguere un flauto da un violino oppure quella che consente di riconoscere
una persona ascoltandola parlare senza guardarla in faccia.
In tennini elementari si può dire che il timbro dipende dallaforma delle vibrazioni, ma anche questo tipo di definizione è riduttivo rispetto alla complessità del fenomeno.
Il suono puro, come lo abbiamo fin qui descritto, è anch'esso frutto di una
radicale astrazione sul piano fisico. Nelle nostre spiegazioni abbiamo sempre
supposto che l'onda sonora si potesse comportare nella maniera più elementare possibile e potesse avere il profilo d'onda più semplice possibile, vale a dire quello sinusoidale; che ciascun ciclo fosse perfettamente identico agli altri
e che fosse comunque riferibile, in ultima analisi, alla proiezione di un moto
circolare uniforme. Un suono di questo tipo, associato al moto armonico semplice, è in realtà ideale e può essere prodotto esclusivamente in laboratorio o
per via elettronica: i suoni presenti in natura, e a maggior ragione quelli impiegati
nella musica d'arte, presentano invece cicli dal profilo assai più complesso. Si
tratta pur sempre di andamenti periodici, ma la loro fonna d'onda è decisamente
più complessa e "frastagliata".
62
Questo avviene perché ogni suono è sempre la risultante delle varie sovrapposizioni di forme d'onda elementari detteformanti. Nella voce umana la
componente della bocca si miscela con quelle delle fosse nasali, dei seni frontali, della cavità toracica e così via; in un violino il suono emesso dalla corda
viene rinforzato da quello che passa per la tastiera, per le tavole, per il ponticello,
per la cassa armonica e perfino per le vernici che ricoprono lo strumento.
Le diverse formanti che compongono il suono si addizionano letteralmente
fra loro, come tante onde sonore singole, per generare ronda risultante: ogni suono è dunque definito dalla somma matematica di tutte le sue componenti.3 Le
combinazioni possibili sono infinite, ad esempio:
risultante:
risultante:
risultante:
Quello che il nostro orecchio decodifica in forma di timbro è dunque, prima di tutto, la forma assunta dall' onda risultante. Le varie componenti, prese
singolarmente, rimangono normalmente al di sotto della soglia di percezione;
possono tuttavia essere riconosciute come distinte quando il loro apporto è
particolarmente rilevante.
Osservazioni:
- Gli strumenti musicali hanno una possibilità relativamente limitata di modificare il proprio timbro al momento dell' esecuzione; il compositore supplisce a questo potenziale svantaggio grazie all' orchestrazione, vale a dire alla fa-
3
La fisica acustica riferisce questo concetto al teorema di Fourier. Maggiori informazioni sul sito www.vincenzo.schettini.name/dispenselLezione
63
coltà di scegliere strumenti diversi e di farli intervenire in momenti diversi nel
corso del brano musicale.
- La musica romantica ha avuto fra le proprie principali caratteristiche un
particolare gusto per l'uso espressivo dell' orchestrazione; al suo confronto i
repertori precedenti, da quello classico a quello barocco a quelli più antichi,
si dimostrano sempre più indifferenti alla questione man mano che si risale indietro nel tempo. Il che non esclude, naturalmente, una precisa consapevolezza
delle qualità timbriche dei vari strumenti da parte dei musicisti di tutte le epoche.
- La voce umana si distingue dagli strumenti per la sua eccezionale capacità di produrre timbri diversi. Questo vantaggio deriva direttamente dalla sua
natura non meccanica ma fisiologica: tra i fattori principali che consentono le
variazioni timbriche si possono citare la mobilità della lingua, articolata in posizione lontana dalla laringe a differenza di quanto accade nelle scimmie antropomorfe, e la varietà di diverse cavità di risonanza offerte dal corpo.
Inviluppo del suono
La definizione di timbro si complica ulteriormente quando si tiene presente che nell'inviluppo complessivo di ciascun suono si possono riconoscere almeno quattro distinte fasi:
- il transitorio di attacco (attack) in cui l'impulso iniziale si trasmette progressivamente a tutto il corpo vibrante;
-1'assestamento (decay) in cui la vibrazione si stabilizza, a volte perdendo
un poco dell'intensità iniziale;
- il regime stabilizzato (sustain) in cui la vibrazione interessa tutto il corpo
vibrante in modo uniforme e regolare;
- il decadimento (release) in cui la vibrazione si smorza fino ad annullarsi
completamente.
Il nostro orecchio decodifica sotto forma di timbro anche queste informazioni, in modo particolare la durata di queste fasi. Quando il transitorio di at64
tacco è particolannente breve l'orecchio avverte un suono di tipo percussivo, come può essere quello di un pianoforte; quando questa fase è più lunga l' orecchio avverte un attacco più dolce come può essere quello che caratterizza uno
strumento ad arco oppure a fiato. Nel suono del pianoforte il transitorio di attacco e 1'assestamento sono seguiti da un lento decadimento, mentre in uno strumento a fiato è possibile mantenere a regime il suono per un tempo più lungo
ma non appena si smette di soffiare il decadimento è quasi immediato. Un sintetizzatore o un programma di gestione del suono possono facilmente mostrare quanto sia importante il ruolo che queste componenti giocano sulla nostra percezione del timbro: con questi strumenti è estremamente semplice trasformare
un timbro in un altro del tutto diverso, ingannando infallibilmente 1'orecchio,
semplicemente allungando o restringendo i tempi delle sue fasi di inviluppo.
pianoforte
violino
flauto
tromba
[
Suono e rumore
All'interno del capitolo relativo al timbro si colloca una importante questione,
quella della distinzione tra suono e rumore.
Su un piano elementare la distinzione tra i due fenomeni è netta e irrevocabile:
il suono è prodotto da impulsi sonori, vale a dire dalle vibrazioni periodiche e
cicliche di un corpo elastico che si muove attorno a una posizione di equilibrio;
il rumore consiste in impulsi che sono sempre acustici ma che sono aperiodici, vale a dire del tutto privi di ricorsività.
Un vaso da fiori che cade a terra frantumandosi, oppure un martello che picchia un colpo su un' asse di legno, producono un rumore in forma di onda impulsiva; ma anche una pesante cassa di legno trascinata su un pavimento ruvido produce un rumore, perché le perturbazioni che trasmette all' aria circostante creano una sensazione continua ma restano del tutto prive di componenti
periodiche.
65
In presenza di una elevata aperiodicità anche la percezione dell'altezza diviene progressivamente più imprecisa fino a confondersi del tutto.
Le cose prendono un aspetto più complicato se si tiene del conto del fatto
che quasi tutti gli eventi acustici sono costituiti dalla somma di un certo numero,
spesso parecchio elevato, diformanti diverse. A loro volta, infatti, le formanti potrebbero essere suoni o rumori: in presenza di formanti periodiche l'onda
risultante sarà comunque periodica e il timbro potrà ancora essere definito
suono; in presenza di formanti aperiodiche l'onda risultante sarà anch'essa
aperiodica e il timbro resterà un rumore.
Partendo da queste premesse, la distinzione tra suono e rumore diviene
sempre più una questione che riguarda direttamente il timbro della fonte sonora:
fin quando si registra una prevalenza di formanti periodiche si continua a parlare di suono, ma man mano che le componenti aperiodiche fanno sentire illoro peso si comincia a sentire l'impressione del rumore. Alcuni timbri utilizzati dall' arte musicale, come le nacchere o la grancassa, possono spingersi fino
a incorporare una componente rumoristica assai rilevante. Le stesse osservazioni
valgono in senso inverso: non è difficile manipolare un rumore fino a farlo assomigliare a un suono. Questo effetto si ottiene semplicemente replicandolo con
una certa frequenza, vale a dire rendendo sempre più rilevante la componente
periodica veicolata dalla corrispondente vibrazione sonora: la detonazione di
un petardo resta un rumore, ma il rombo di un motore a scoppio può essere intonato a qualsiasi frequenza compresa entro la gamma dei suoi giri.
La distinzione tra suono e rumore ricade dunque, in definitiva, su un piano
ancora più mutevole di quello soggettivo: i diversi contesti in cui uno stesso timbro può essere ambientato sono più importanti di qualsiasi impressione isolata. Un violino può apparire sgradevolmente rumoroso di fronte a un consort di
flauti dolci, così come due legnetti percossi possono apparire piacevolmente intonati in un' orchestra da ballo sudamericana; la musica cinese conosce carillon di pietre, opportunamente scelte in base alla loro intonazione, cosÌ come la
più banale delle moderne tastiere elettroniche intona senza preoccupazioni timbri artificiali come "elicottero" e "vetri rotti". Usando un poco di fantasia e di
inventiva, non è difficile eseguire musica del tutto coerente usando un'orchestra composta esclusivamente da assi per lavare oppure da motori a scoppio.
66
Non esiste una unità di misura oggettiva, vale a dire matematica, dei diversi
timbri. Come si è detto, più che il numero delle formanti sono importanti la loro qualità e il rapporto in cui queste si pongono fra loro: le combinazioni possibili sono praticamente infinite. La fisica non può fare altro che definire con
precisione i due estremi tra cui dovrebbe trovare collocazione una ipotetica
"scala dei timbri" riferita ai soli eventi periodici:
- in presenza di zero formanti si ha 1'assenza di suono;
- in presenza di una sola formante si ha il cosiddetto suono puro, oppure suono sinusoidale. Questo timbro può essere ottenuto soltanto grazie all' elettronica: non è difficile trovarne esempi in tanti apparecchi e giocattoli muniti di
suonerie e cicalini, ma per la sua estrema povertà è soggetto a pochissime applicazioni nell' arte musicale.
- all' estremo opposto della scala si colloca un ipotetico timbro composto da
tutte le infinite formanti disponibili, considerate in tutti i timbri disponibili, in
tutte le altezze disponibili e a tutte le intensità disponibili. Questo timbro prende il nome di rumore bianco, in analogia con quanto avviene nel campo dell'ottica dove la luce bianca è il risultato dell'interazione fra tutti i colori disponibili. Anche questo suono è ottenibile soltanto grazie all' elettronica: il
suo effetto è paragonabile a quello prodotto, sia otticamente che acusticamente, dallo schermo di un televisore fuori sintonia.
Nel caso del rumore bianco la "neve" che appare sullo schermo non è concettualmente distante dalla sinusoide che caratterizza 1'estremo opposto della
scala: corrisponde proprio alla forma dell' onda, talmente complessa da risultare indistinguibile per l'occhio. Come si è detto, le analogie con il fenomeno
ottico della luce bianca sono qui particolarmente calzanti.
Questioni pratiche legate alla riproduzione elettronica dei suoni hanno portato i fisici a fissare sulla "scala" alcuni altri punti (rumore rosa, marrone, rosso, blu, viola ... ) collocati in prossimità di questo limite. 4
4
Altri dettagli e una serie di esempi sonori sul sito www.vincenzo.schettini.name/
dispense/Lezione2.pdf.
67
Durata
L'interazione fra le tre qualità permette di definire un suono, ma per poterlo descrivere nella sua realtà oggettiva occorre associare alle tre qualità vere e
proprie un quarto parametro: si tratta della durata, vale a dire della misura di
quanto il suono stesso si protrae nel tempo.
In alcuni casi la durata può salire al rango di una qualità vera e propria: lo
si è visto ad esempio a proposito di alcune questioni che riguardano il timbro.
In suoni molto brevi il transitorio di attacco tenderà a influenzare la percezione timbrica assai più nettamente di quanto farebbe se gli stessi suoni avessero una durata maggiore.
L'arte musicale consiste essenzialmente nella pratica di creare
combinazioni diverse fra i quattro parametri fisici del suono; fra
questi le altezze e le durate ricoprono un ruolo assai più rilevante di quello attribuito ai timbri e alle intensità. A queste combinazioni vengono spesso associati una serie di significati aggiuntivi che possono essere veicolati da elementi come un testo, la
narrazione di una storia oppure i movimenti di una danza.
Psico-acustica
La nostra percezione del suono opera tenendo conto simultaneamente di tutte le possibili variabili in gioco: ciascun suono viene infallibilmente associato a una determinata altezza, intensità, timbro e anche durata. Nell'esperienza
quotidiana, entro certi limiti, un ascoltatore riesce a percepire la variazione di
un solo parametro: tenendo conto del contesto in cui il suono si è prodotto il
suo cervello può minimizzare gli effetti secondari e concentrare l'attenzione sul
solo effetto voluto. In questo modo è possibile ricevere l'illusione di un suono che stia variando soltanto in altezza, oppure in intensità, senza modificare
il timbro; oppure che stia variando il timbro senza modificare l'altezza e l' intensità e così via. In termini rigorosi, tuttavia, è molto difficile riuscire a modificare un solo parametro senza modificare di conseguenza anche gli altri
tre:
- a altezze estreme, sia verso il grave che verso l'acuto, la percezione dell'intensità tende ad indebolirsi: si annulla del tutto, come già detto, sotto i 16
oppure oltre i 20.000 Hz. La percezione dell'intensità, e delle sue minime variazioni, è invece ottimale in una zona centrale detta area della parola.
- suoni molto acuti vengono percepiti con un timbro più metallico, perché
molte formanti escono dalla soglia di percettibilità; viceversa, suoni molto
gravi appaiono timbricamente più ricchi e corposi.
- variazioni di timbro portano sempre a minime variazioni di intensità e di
altezza, e così via.
68
v
Il fenomeno dei suoni armonici: sua causa, sua importanza come base della
tonalità e sue applicazioni nel meccanismo sonoro degli strumenti
Nella tesi II la vibrazione sonora è stata descritta nella sua forma più elementare: si è supposto che le corde e le membrane assumessero l'aspetto di un
fuso a due punte, che l'aria nei tubi sonori si comportasse come una unica
grossa molecola o che le piastre vibrassero esattamente secondo gli schemi
semplicistici attribuiti alle verghe elastiche. A questi schemi, in particolare,
sono stati ricondotti tutti i tipi di vibrazione offerti dai corpi sonori: si è sempre supposto che gli unici nodi e gli unici ventri possibili fossero quelli imposti
dalle estremità, o dai punti di sospensione, del corpo sonoro. In realtà la vibrazione, nella sua realtà fisica, assume una forma assai più complessa: oltre
ad articolarsi sui nodi e sui ventri imposti dalle proporzioni del corpo sonoro
dà vita a numerosi altri movimenti parzializzati.
Parzializzazione della vibrazione
- n~lle corde
Nel caso delle corde, iljùso che l'occhio percepisce durante la vibrazione non
è che il risultato di una illusione ottica: nella vibrazione delle corde si generano
molti altri movimenti, troppo veloci perché l'occhio riesca a coglierli. L'aspetto
della corda vibrante potrebbe essere meglio descritto come una serie di fusi
identici e concomitanti, in cui nodi e ventri si susseguono a intervalli costanti.
Questo fenomeno si verifica perché l'equilibrio delle forze che agiscono al
momento delle vibrazione è di gran lunga più stabile se non è concentrato in
un unico ventre: distribuendo la massima perturbazione attraverso numerosi ventri il movimento si mantiene regolare con maggior facilità. Allo stesso modo
i due pedali di una bicicletta e le due pale di una pagaia operano meglio in fase opposta, cosÌ come si nuota in modo più efficiente a stile libero piuttosto che
a delfino; i motori di un aeroplano esprimono meglio la loro maggiore potenza adottando eliche con tre, quattro o più pale piuttosto che aumentando le dimensioni di ogni singola pala. Se ne può avere una facile riprova facendo
oscillare in su e in giù un cavo moderatamente elastico, ad esempio il filo ritorto di un apparecchio telefonico: si forma immediatamente un doppio fuso par70
ziale, in cui il centro della corda rimane perfettamente immobile e i due fusi contrapposti si muovono ciascuno in senso opposto all'altro.
Utilizzando un cavo più lungo è facile produrre un numero maggiore di
nodi e ventri, a partire da tre e più; per contro, un unico fuso disteso lungo l'intera lunghezza della corda (la cosiddetta onda stazionaria) può essere prodotto soltanto a patto di forzare leggermente il movimento.
La vibrazione della corda, che avevamo supposto trasversale (tesi II), è in
realtà il risultato di una serie di movimenti di tipo longitudinale. Poniamo che
la corda riceva un impulso iniziale sotto forma di pizzico o percossa: si formano
immediatamente due onde impulsive lineari contrapposte, ad esempio incavate
verso il basso, che si propagano nei due sensi a partire dal punto iniziale.
Ciascuna delle due onde continuerà a percorrere numerose volte, avanti e indietro, la lunghezza della corda: ogni volta che incontrerà un estremo rimbalzerà infatti all'indietro come fa una pallina di gomma lanciata con forza fra le
due pareti di un corridoio. Il movimento che ne risulta non è tuttavia una semplice riflessione, perché ogni volta che cambia direzione l'onda inverte an~he
la propria fase trasformandosi da incavata a rilevata e viceversa. In questo
modo ciascuna onda percorre la corda viaggiando nelle due fasi opposte, ad
esempio incavata quando si muove verso destra e rilevata quando si muove
verso sinistra: il ciclo complessivo equivale nientemeno che a un moto circolare uniforme orientato in senso antiorario .
.-f\~-------t
c..J-v..-----------I
71
Si è detto che l'impulso iniziale genera in realtà due onde impulsive lineari contrapposte che si muovono in senso opposto: l'altra onda, quella che si è
allontanata verso sinistra, finirà per produrre un moto circolare identico ma orientato in senso orario.
C~'---------I
I------~~
.
Parzializzazione progressiva
Le vibrazioni sonore contano normalmente parecchie centinaia o parecchie
migliaia di cicli al secondo: ne consegue che il progressivo frazionamento di
un corpo vibrante può spingersi ben al di là della nostra capacità di descriverlo.
Le parti aliquote più grandi che suddividono la vibrazione, quelle da una metà
o un terzo o un quarto, costituiscono in realtà soltanto il prodotto di innumerevoli frazionamenti assai più piccoli.
Queste suddivisioni maggiori hanno tuttavia la proprietà di poter essere considerate come entità concrete sul piano acustico anche in presenza di tantissimi nodi intermedi; allo stesso modo la vibrazione che si estende per l'intera lunghezza di un corpo sonoro, e che in termini crudi è soltanto la risultante di tutte le sue parti aliquote, consente al nostro orecchio di udire concretamente il suono che ne viene emesso.
Al di là di tutte le infinitesimali parcellizzazioni, la forma più elementare
possihile assunta dal corpo vibrante rimane quella che si estende per tutta la
sua lunghezza:
- se si esclude la precedente,
- se si esclude la precedente,
- se si esclude la precedente,
- se si esclude la precedente,
diviene quella da due metà
diviene quella da tre terzi
diviene quella da quattro quarti
diviene quella da cinque quinti e così via.
77
Conoscere il numero esatto delle minutissime parzializzazioni di un corpo vibrante diventa quindi una questione secondaria, dal momento che in ogni caso
- il nodo posto esattamente al centro divide la risultante in due,
- i due nodi posti ai due terzi la dividono in tre,
- i tre nodi posti a ogni quarto la dividono in quattro,
- i quattro nodi posti a ogni quinto la dividono in cinque
e così via fino a tutte le possibili suddivisioni consentite dalle caratteristiche fisiche del materiale. Un corpo sonoro può quindi riuscire a produrre contemporaneamente sia gli armonici di ordine pari che quelli di ordine dispari semplicemente suddividendo la propria vibrazione fino ai loro comuni multipli: le
frazioni più grandi possono infatti originarsi a partire da qualsiasi punto nodale,
anche considerando due nodi che nella realtà fisica della vibrazione sono orientati in fase opposta. Una vibrazione costituita dal numero bassissimo di sei
parti aliquote può già consentire la produzione di fusi parziali da una metà e da
un terzo; quella suddivisa in dodici parti produce in più i fusi da un quarto e da
un sesto. Per veder comparire anche quello da un quinto basterebbe portare il
totale al numero, ancora assai modesto, di sessanta suddivisioni.
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Nella vibrazione parzializzata le suddivisioni più minute si producono sempre a partire dagli stessi nodi che delimitano le suddivisioni più larghe: tradotto
in termini matematici, questo significa che ciascuna serie di porzioni aliquote condivide sempre tutti i nodi dei suoi divisori. Procedendo dalle divisioni
maggiori verso quelle più piccole, troveremo dunque che il nodo che identifica la sezione di metà lunghezza è condiviso anche dalla serie dei fusi da un quar-
78
to, un sesto, un ottavo e cosÌ via; procedendo a ritroso troveremo invece che la
serie da un sesto condivide il medesimo nodo centrale ma si sovrappone anche
ai due nodi delle sezioni da un terzo, mentre quella da un ottavo condivide
tutti quelli della serie da un quarto ma non tutti quelli della serie da un sesto e
così via.
l
2
3
4
6
8
12
Suoni armonici
La parzializzazione della vibrazione si produce quindi spontaneamente all'interno di qualsiasi fonte sonora; il nostro occhio non riesce normalmente a
coglierla, ma l'orecchio riesce a registrarne facilmente gli effetti sotto forma
di suoni armonici o almeno sotto forma di variazioni timbriche.
Prendiamo ad esempio la parzializzazione di una corda vibrante: in essa si
producono, come si è detto, una serie contigua di nodi e ventri. Il suono fondamentale emesso dalla corda, vale a dire il suono prodotto dal fuso ideale
compreso tra i due nodi estremi, rimane perfettamente percepibile anche in
presenza dei numerosissimi nodi e ventri intermedi: generalizzando questa osservazione possiamo dire che la corda vibrante emette qualsiasi suono che
sia definito dalle successive divisioni della corda in parti aliquote.
Ricordando che, a parità di altre condizioni, esiste una precisa corrispondenza
fra la lunghezza di una corda e il suono da essa prodotto, è possibile dire che
rispetto al suono fondamentale
- la divisione in due parti genera l'ottava
- la divisione in tre parti genera la tredicesima (ottava più quinta)
- la divisione in quattro parti genera la doppia ottava (ottava più ottava)
e cosÌ via.
79
Questa è dunque la serie completa dei suoni armonici generata dalle prime
sedici parzializzazioni di un corpo vibrante. La serie si distribuisce nello spazio di quattro ottave:
-L.
[!
J J d
.i
•
J
-L.
~.
t
-L.
d l-~..J ~.. ~
c.
lEf
4 a ottava
L'ordine con cui i suoni armonici si producono presenta molte analogie
con 1'operazione di ripiegare su sé stesso, per varie volte, un foglio di carta: partendo dal foglio aperto si ottiene dapprima una piega a metà, quindi una piega a un quarto, una a un ottavo e così via. In ciascuna fase di questo processo
il foglio conserva tutte le piegature che ha già subito e ne aggiunge una nuova esattamente al centro dello spazio residuo. Analogamente, nel caso della serje degli armonici i suoni che compaiono in ciascuna ottava si ripetono identici in quelle successive, ma a ogni passaggio gli intervalli che li separano appaiono divisi in due per effetto della comparsa di un nuovo suono armonico.
- prima ottava:
- seconda ottava:
quinta
- terza ottava:
terza maggiore
quinta
settima minore
- quarta ottava: seconda maggiore e così via fino a settima maggiore
ottava
ottava
ottava
ottava.
In tutte queste divisioni successive lo spazio sonoro viene interrotto ogni volta esattamente a metà; gli intervalli implicati si restringono progressivamente
nelle frazioni più acute, un po' come farebbe una piramide divisa a metà nel senso dell'altezza, perché lo spazio sonoro obbedisce a proporzioni di tipo logaritmico.
- 1'ottava si suddivide in
- la quinta si suddivide in
- la quarta si suddivide in
quinta e quarta
terza maggiore e terza minore
terza minore e seconda maggiore
e così via.
Alcuni fra i suoni armonici (Sik Fa#, La~) risultano essere intonati su frequenze che non corrispondono agli stessi suoni realmente usati nei moderni sistemi di accordatura; sono in realtà calanti se la freccia è rivolta verso il basso e crescenti se la freccia è rivolta verso 1'alto. Per questi motivi vengono
normalmente esclusi dai calcoli matematici che riguardano la serie.
80
Implicazioni matematiche nella serie dei suoni armonici
Gli intervalli che risultano dalla serie degli armonici sono legati da precisi
rapporti proporzionali: per renderli evidenti si attribuisce a ciascun suono della serie un numero d'ordine successivo.
Il numero 1 indicherà il suono fondamentale della serie, vale a dire la vibrazione risultante dal corpo vibrante in tutta la sua lunghezza; gli altri suoni
armonici saranno numerati da 2 a 16.
~
!,. ~.
2
3
4
5
8
7
6
9
lO
&
.
11
12
.
~
13 14 15 16
:e
Il
Come il numero 2 è il doppio del numero l, così gli intervalli che ne risultano si trovano esattamente all' ottava fra loro; lo stesso avviene con il numero 4 nei confronti del 2, e torna a verificarsi con il numero 6 nei confronti del
3 oppure con il numero lO nei confronti del 5. In altre parole, ciascun suono
della serie si trova rispetto agli altri suoni nella stessa proporzione che il pro•
prio numero d'ordine ha col numero d'ordine degli altri suoni.
Le relazioni matematiche che legano fra loro gli intervalli sono normalmente espresse tramite un rapporto, vale a dire tramite una frazione avente
- al numeratore il numero che contraddistingue il suono più acuto
- al denominatore il numero che contraddistingue il suono più grave.
L'intervallo di OTTAVA è sempre espresso da rapporti riconducibili a 2:
1
2,
~,
li,
1
2
4
16
8
ma anche
fi, lO, 12, 14.
3
5
6
7
Sul piano fisico, l'ottava superiore di un dato suono è infatti espressa
- dal doppio delle vibrazioni oppure da metà lunghezza del corpo vibrante; analogamente, l'ottava inferiore è espressa
- dalla metà delle vibrazioni oppure da una lunghezza doppia.
In altre parole, per ottenere i valori numerici relativi all' intervallo di ottava sarà sempre sufficiente moltiplicare oppure dividere i valori iniziali per 2.
81
L'intervallo di QUINTA è sèmpre espresso da rapporti riconducibili a }:
2
}, Q, 12
ma anche
2 e 15.
2 4
8
6
lO
Sul piano fisico, la quinta superiore di un dato suono è infatti espressa
- da una volta e mezza del numero delle vibrazioni oppure da due terzi
della lunghezza; analogamente, la quinta inferiore è espressa
- dai due terzi delle vibrazioni oppure da una lunghezza di una volta e
mezzo.
In altre parole, per ottenere i valori relativi all'intervallo di quinta sarà sempre sufficiente moltiplicare oppure dividere i valori iniziali per J .
2
Nell'antica teoria pitagorica, che si colloca nel quadro dell'antica concezione
pentafonica ereditata dalla tradizione mesopotamica, gli intervalli di ottava e
quinta erano le uniche consonanze ammesse.
Questa classificazione appare in effetti del tutto sensata proprio a causa
delle consuetudini antiche nell'accordatura degli strumenti, in cui gli intervalli erano ricavati per quinte sovrapposte: poiché la quinta del sistema pentafonico era leggermente più larga di quella temperata (tesi VI), i suoni collocati oltre il terzo armonico risultavano insopportabilmente crescenti.
.. Pitagora ne ricavò una propria teoria della consonanza in cui erano gli
stessi numeri sonori 1 2 e 3, posti direttamente a immagine di Dio, a provocare la sensazione di stabilità offerta da questi intervalli.
La serie degli armonici, calcolata sempre a partire dal suono fondamentale o da uno dei suoi multipli, permette di ricavare anche i rapporti relativi
~
- alla TERZA MAGGIORE, con
4
- alla SECONDA MAGGIORE, con
e
lO,
8
ma anche
15;
12
2;
8
- alla SETTIMA MAGGIORE, con
15.
8
All'interno delle prime quattro ottave la serie degli armonici non consente
di raggiungere nessun altro intervallo partendo dalla fondamentale; è tuttavia
possibile identificare gli intervalli che non sono rappresentati usando come
punto di partenza qualcuno fra gli altri suoni che appartengono alla serie.
A partire dall'armonico 3 (la quinta) si possono definire
-la QUARTA
~
3
- la SESTA MAGGIORE
~;
3
82
A partire dall' armonico 5 (la terza maggiore) si possono definire
-la TERZA MINORE
~
5
- la SESTA MINORE
8
5
- la SETTIMA MINORE
2;
5
A partire dall' armonico 15 (la settima maggiore) si può infine definire
- la SECONDA MINORE
16.
15
Effetti acustici della serie armonica
La serie degli armonici viene tradotta dall' orecchio per lo più sotto forma
di timbro, vale a dire come una serie di formanti che si mescolano alla nota fondamentale fino a non essere più avvertibili separatamente; con un po' di attenzione non è tuttavia difficile, ad esempio sul pianoforte, distinguere con
chiarezza almeno le componenti delle prime due ottave. Per le sonorità più
lontane, ad esempio per l'armonico 7, può essere necessario qualche secondo
prima che la vibrazione esaurisca la fase del regime transitorio di attacco"e si
stabilizzi definitivamente.
La serie completa dei suoni armonici può essere ascoltata distintamente in
un laboratorio di fisica grazie ai risuonatori di Helmoltz (tesi VII). Grazie alle moderne tecnologie elettroniche, può anche essere fissata sulla carta in forma di oscillogramma oppure di spettro armonico.
L'apporto dei singoli armonici alla sonorità del suono fondamentale è descritto nei testi di fisica acustica; in termini generali, e anche semplificando un
poco il discorso, è possibile dire che gli armonici pari conferiscono al suono
pienezza e corposità; quelli dispari apportano invece una componente più
aspra, metallica oppure nasale. Dalla particolare mistura fra questi ingredienti si ottiene la qualità definitiva della vibrazione sonora 1•
1
P. Righini, L" acustica per il musicista, p. 44.
83
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