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Un “frammento” di storia locale

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Un “frammento” di storia locale
Un “frammento” di storia locale
Sant’Antonio Abate
Culto, Storia, Tradizione, Folklore
In Montenero di Bisaccia (CB)
A cura
di
Maria Teresa BRACONE
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La devozione a Sant’Antonio Abate, ricevuta dalla mia famiglia di impronta
prettamente agricola, ha sempre rafforzato quel forte legame alle mie radici identitarie
contadine che, orgogliosamente porto dentro. Rivedo le sconfinate distese dei campi
assolati, il verde intenso degli ulivi, gli animali al pascolo, il fiume nella valle illuminato
dal sole da sembrare un lungo “ nastro d’argento !! ”. Sento ancora il profumo delicato
dei fiori di acacia, l’odore dell’erba fresca appena tagliata ! . Ricordo la grande
immagine del santo raffigurato con il libro, con il suo
bastone a forma di Tau,
campanello e porcellino, affissa al muro d’ingresso dell’ampia stalla della mia
masseria in pietra. Ricordo quella sorta di rito propiziatorio che mio padre, fervente
devoto, compiva durante il parto di una mucca o di una cavalla. Ma non voglio
prolungarmi nel raccontare il mio vissuto, il mio passato ! Ritengo utile riportare
qualche dettaglio della vita del santo appreso dai testi consultati. Mi hanno colpito la
sua spiritualità, il suo misticismo, la grande vitalità e la sua forte tempra fisica. E’
morto a 105 anni ! (nel 356) con vista e udito perfetti e tutti i denti sani ! Ha trascorso
la vita in profonda solitudine. E’ vissuto per quindici anni prima in un fortino sul Nilo e
poi su uno scoglio del Mar Rosso, nutrendosi di un carico di pane che gli portavano
ogni sei mesi e di datteri che coglieva sulle palme vicine. Fu un “eremita” il più
cordiale e il più socievole degli uomini, sempre attivo ed operante. Viveva, coltivando
intorno alla sua cella, la terra per sostenersi, dando vita a quella organizzazione
monastica a cui più tardi si ispirò San Benedetto (480 – 543). Tanto il primo cenobio
come il secondo sono a tutt’oggi ancora in piedi, dopo più di milleseicento anni, sono
ancora abitati: è questa una prova della perpetuità della sua opera!
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Nella stesura di questo semplice lavoro ho cercato di riportare notizie raccolte da
alcuni documenti scritti e da testimonianze orali riferite da compaesani anziani,
occasionalmente incrociati nella mia quotidianità e che, per fortuna, conservano
ancora la memoria dei “tempi andati”. Ho tentato di ricostruire, nei limiti della mia
“curiosità emotiva” per la storia locale, l’escursus diacronico delle due Cappelle
dedicate a Sant’Antonio Abate. La prima la più remota con annesso l’ “ospidale” ,
ubicata nel rione Sant’Antune, l’attuale via Massangioli, e l’altra più recente di fine
ottocento situata nella contrada Ponticello al margine del tratturo Centurelle Montesecco.. C’è da dire che la devozione a questo grande santo nel nostro paese
con tutte le implicazioni demo-etno-antropologiche si perde nella notte dei tempi;
vanta origini remote ed è sicuramente legata alla civiltà contadina ed al ciclo della
“madre” terra. E’ sempre vivo nel ricordo dei nostri anziani il canto di questua “lu
Sant’Antune”, intonata da compagnie di amici, itineranti nei vari quartieri in cambio di
un buon bicchiere di vino e di salsicce nuove stagionate e pronte. Proprio questo
senso “corale” di identità profonda devozionale, fatto di riti, di note folcloriche
costituisce, palesemente, quel patrimonio sacro della nostra collettività, radicato e
sedimentato nei secoli; patrimonio che non va dimenticato o svenduto ma che va,
comunque, recuperato, conosciuto, salvaguardato e promosso. La storia della
devozione a questo grande santo si intreccia indubbiamente con quella delle due
Cappelle. Un documento del 1679 “Apprezzo alla terra di Montenero” redatto da
Lorenzo Ruggiero per ordine del consigliere De Luca, testifica l’esistenza della
chiesa di San Antonio Abate nel rione Sant’Antune. La descrizione dell’allora abitato,
come dimostra una probabile ricostruzione della pianta dell’epoca, era la seguente:
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Si può notare come nei pressi delle mura vi erano: il convento del Carmine, la
chiesa con l’ospedale di San Antonio Abate e i tre borghi chiamati: Porta Nuova,
Porta Mancina, San Antonio e le taverne…- La stessa è confermata anche nel
documento scritto “Apprezzo alla terra di Montenero” del 1703, eseguito da
Giustiniano Cefalo e Giuseppe Gallucci; esso così recita “… Uscendo fuori di detta
terra si trova il borgo di San Antonio Abate dove ci sono alcune casette con una
Cappella sotto il titolo di San Antonio, quale è coverta a tetti e vi è un solo altare…. “.
Anche un frammento della fonte scritta datata 1740, concernente l’acquisto del feudo
di Montenero da parte dei D’Avalos (Cesare e poi Andrea) testualmente così riferisce
…. “un’osteria feudale “de ruta” nel luogo detto San Antonio Abate con giardino
alla piazza grande …”- Nel proseguimento della mia ricerca trovo la chiesa elencata
nel catasto onciario 1746 tra i beni degli enti ecclesiastici… “Possiede la chiesa
fuori la torre, con tre stanze per commodo dell’ospidaliere e Peregrinis con un
orticello contiguo a detta chiesa. E’ molto interessante, scorrendo la lettura di
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questo prezioso documento, conoscere tutta la serie dei possedimenti di cui essa
disponeva:

214 tomoli di seminativo

331 piante di olivo

1 orto

2 ciavarri

2 giovenchi

1 bove a metà col massaro Bernardo Gentile assurto a “proprietario.
Poiché la successione dei beni elencati nel catasto risulta piuttosto estesa e
complessa ho ritenuto opportuno riportare il succitato elenco, desunto dal volume
“Note storiche su Montenero di Bisaccia alla luce delle informazioni del catasto
onciario a cura del comune di Montenero di Bisaccia 10 dicembre 2001”
L’Edificio sacro è menzionato anche nelle rivele del catasto, allorquando diventa
proprietà del cardinale Carafa insieme alla parrocchia di San Matteo e alle cappelle
del Santissimo Corpo di Cristo e di San Zenone. Nel 1753 monsignor Giannelli,
vescovo di Termoli, nel verbale redatto in occasione della sua prima visita pastorale,
(18 – 23 ottobre) riferisce, con dovizia di particolari, l’esistenza della Cappella di San
Antonio Abate.
Grazie a questa documentazione, fortunatamente conservata nell’archivio diocesano,
siamo in possesso di conoscenze, informazioni e riferimenti molto preziosi
da un
punto di vista storico circa l’esistenza della chiesa. Nel verbale di questa prima visita,
Giannelli cita anche il ricovero - ospedale annesso alla chiesa con la seguente nota:
“Ecclesiae adhaeret Hospitale, quod tribus constat mansionibus. Eius servitio
est stipendiata quaedam persona; sed qui hospitantur humi jacere debent. Caret
enim lectis aliisque suppellectilibus. Curari igitur debet ut saltem de duobus
lectis provideatur”
Traduzione:
Il ricovero (ospedale) é adiacente alla chiesa si mantiene con la permanenza
della gente. Una persona è pagata per il servizio, coloro che vengono ospitati
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devono dormire per terra. Infatti mancano i letti ed altri suppellettili. Pertanto,
necessita di cure affinché sia provvisto di almeno due letti.
Probabilmente il ricovero - ospedale assolveva a funzione di alloggio per i viandanti in
cammino, era adiacente alla chiesa che era ubicata nei pressi dell’arteria tratturale
Centurelle –Montesecco.
Nello stesso edificio sacro, come si evince dalla relazione vescovile, si radunava la
“Congregazione
dei Morti”, regolarmente
costituita
con decreto
dell’Autorità
Ecclesiastica per il pio ricordo dei defunti, operante con suffragi e celebrazione di
Sante Messe. Era questa una chiara espressione di religiosità, patrimonio sacro di
fede e di costume dell’intera comunità montenerese che all’epoca di Giannelli XVIII
secolo contava solo 1460 abitanti !! ….
La Cappella, probabilmente, è rimasta in vita fino alla metà dell’ottocento ed oltre. A
tal proposito essa trova conferma in alcune puntuali e dettagliate testimonianze
dell’archivio di stato di Campobasso, riferite a trucidazioni, eccidi, esecuzioni e
fucilazioni perpetrati agli inizi del XIX secolo dal fenomeno banditesco, allorquando
l’edificio sacro diventa anche luogo di sepoltura di feroci, violenti e crudeli morti. Ecco
in sintesi quanto testimoniato dai documenti:

1802: recisa dal busto la testa di Emiliano Cocchiaro, esposta al pubblico
dentro una grata di ferro nel muro dirimpetto al palazzo ducale (chiesa
collegiata) e le altre membra appese nei vari luoghi di campagna; il resto del
corpo è stato sepolto nella cappella di sant’Antonio Abate;

1803 : corpo di Sperantonio D’Alò, ritrovato morto ucciso in campagna, fu
seppellito nella cappella di sant’Antonio Abate;

1807: Gaetano Gentile, ammazzato nei tenimenti di Tavenna è stato sepolto
nella chiesa di sant’Antonio Abate e la di lui testa è stata recisa ed esposta con
graticola sul muro della chiesa Madrice.
Continuando la mia ricerca e non trascurando l’escursus diacronico della chiesa trovo
interessante la relazione dattiloscritta datata 14 maggio 1866, redatta da Domenico
D’Amore, eremita della Madonna di Bisaccia, indirizzata al sacerdote Flaminio
Monaco. Essa dà notizia quanto segue: … “Vi fo conoscere che la campana
l’organo e il coro che copriva il muro di sant’Antonio Abate che cascò la chiesa
e là ci stava chiamato sant’Antuono dalla mia mano, ci stava anche l’Ospedale.
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Sant’Antuono, aveva anche il trappeto, dove è il sig. Angelo Di Vaira, al di sopra
ci era il fondaco del Montefrumentario.” … Quest’ultimo era una struttura benefica
istituita dalla chiesa con la riforma cattolica, anticipava il grano per la semina, con
l’accordo di restituirlo al raccolto a modicissimo interesse. Purtroppo, di questa
cappella non resta più nulla perché col, trascorrere dei secoli il nucleo demico di
“Mons Niger” (Montenero di Bisaccia) si è incrementato, assumendo una nuova
organizzazione urbanistica. Molte case nel rione Sant’Antune hanno occupato l’intero
tracciato tratturale “di antica memoria” sopprimendo, tristemente, la vetusta chiesa. Il
D’Amore sempre nella stessa relazione menziona la cappella di sant’Antonio Abate
quella più recente: … “In riguardo della cappella di sant’Antonio Abate che si
trova sul regio tratturo vi fo conoscere che la detta statua di sant’Antonio Abata
fu fatta a spesa della defunta signora Cleonice Palombo. Per sei anni fui
custode di quella chiesa il quale insieme ai suoi figli piantò il giardino che si
trova presente…”
Indubbiamente l’eremita si riferisce alla cappelletta della contrada “ Ponticello ”,
sempre viva nella memoria di tanti anziani locali.. Qualche rudere è rimasto “forse”
fino agli anni cinquanta per poi scomparire del tutto. La stessa chiesa viene citata
anche da G.B. Masciotta nell’elenco delle chiese di Montenero: …”Essa fu edificata
per lo zelo e, quasi per intero a spese del sacerdote Flaminio Monaco, il cui
nome si riscontra nella serie degli arcipreti locali. Venne aperta al culto nel
1890…”
Sicuramente questa chiesetta “pastorale”, situata presso la rotta transumante,
simboleggiava la presenza di un momento devozionale fortemente sentito dai pastori
in cammino. Di entrambe le cappelle non resta, purtroppo, più nulla. Rimane la piccola
statua del santo commissionata, probabilmente, alla fine dell’Ottocento da Donna
Cleonice Palombo. Attualmente é posizionata nella navata sinistra del Santuario della
Madonna di Bisaccia, sicuramente venerata nell’omonima cappella andata in rovina. A
tutt’oggi nella comunità locale rimangono radicati il culto e la venerazione a questo
grande Santo. Quante storie, quanti aneddoti !! quanti racconti !! , sono sedimentati
nelle pieghe più nascoste della memoria dei nostri anziani !!! …. Ricordano con
nostalgia la grande statua del Santo, la più antica del 1874 ! ! Forse quella riportata
nella relazione dell’eremita D’Amore, commissionata da Michele Di Bello e Deofelice
Di Pietro, fatta da Michele Falcucci. Ricordano la tradizione locale di allevare “lu
purchettalle” di Sant’Antonie, un grazioso maialino, amato da tutti con al collo un
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campanello che girava liberamente per le strade del paese, ricevendo il cibo dalla
comunità e che poi, quando diventava grande e grassottello veniva venduto e il cui
ricavato offerto alla parrocchia. Ricordano la festa di Sant’Antonio Abate come l’inizio
del periodo carnascialesco, caratterizzato da giochi in piazza, balli, maschere e tanta
allegria e spensieratezza. Ricordano le antiche atmosfere, gli odori, i sapori, le
pietanze di quei tempi “andati”. Tutto si riaffaccia nella loro memoria !.
Fortunatamente,
oggi,
un
gruppo
di
giovani
mantiene
viva
la
tradizione
rappresentando in costume la vita del Santo, intonando la canzone di questua, e
rivisitando in chiave ancestrale le gesta dell’Eremita contro le tentazioni del diavolo.
Ben vengano queste rievocazioni di sentita religiosità popolare che sono anche storia
locale !.
LA CAPPELLE DI S. ANTUNE
(poesia di E. Ambrogio Paterno)
Verse lu punticelle
Passate la crucette
Si trove all’angulette
‘na chiesette.
Nen tene chiù lu tette
Li mure so’ cascate
Nisciune je dà rette
Che peccate !
A ecche Sant’Antune
ci-abitave e li bestie
chiamave a lu radune
ih che feste !
E chella prucissione
‘mmezz’a la neve … Die
Morté ‘na tradizione
‘na puisie.
Mintinerese mie,quanne passate
Davante a sta cappelle abbandunate,
m’arraccummanne a vu’ ne je negate
nu pinsire, nu salute, na guardate ! …
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La poesia è ricca di pathos, è la rievocazione nostalgica del poeta montenerese. della
cappella ubicata “verse lu punticelle” Riaffiorano nei versi il ricordo, la tradizione e la
devozione al grande Santo. Montenero è presente con i suoi riti, “ chella pricissione
mmezz’a la neve”, è presente il folklore locale; sono schegge del passato, pregnanti di
genuinità e di toni emotivi che toccano il cuore del nostro illustre concittadino.
Sant’Antonio Abate nella saggezza popolare Montenerese
Sant’Antonie de Jennare,
mitte pane a li massare
Sant’Antonio Abate
metti pane ai massari
Santantuone , n’ora bona
Sant’Antonio (abate), un’ora
buona (si allunga il giorno)
A sant‘Antonie de Jennare,
lu sole allonga nu passe de
vove
A sant’Antonio di Gennaio, il sole
allunga un passo di bue
A sant’Antonio ogni gallina fa
l’uovo
A sant’Antonie ogni galline fa
l’ove
A sant’Antonio maschere e suoni
Che sant’Antuone maschere e
suone
Ringraziamenti
Ringrazio affettuosamente la carissima amica Sig.ra Rita Cuculo, responsabile della
Biblioteca Comunale che, con competenza professionale, pazienza, gentilezza,
cortesia e disponibilità ha esaurito le mie continue richieste, fornendomi testi
indispensabili e utili alla ricerca.
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Esprimo sincera gratitudine ai compaesani anziani che, con spontaneità, semplicità,
passione e tanta nostalgia mi hanno riferito testimonianze puntuali e rilevanti per la
stesura di questo lavoro.
Ancora grazie ! ! a questa memoria collettiva, depositaria di quella oralità popolare
(proverbi, modi di dire, canti, versi dialettali) che conserva nel tempo e diffonde nello
spazio questo patrimonio di cultura locale che sicuramente non è “la cenere del
passato”, ma mantiene viva una fiamma: la “memoria” ! ! …..
Antiche immagini del Santo (1898) conservate con cura e devozione da Maria
De Risio
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Testimonianze Orali

Sig. avv. Almerindo SABATINI

Sig. Nicola SACCHETTI

Sig. Nicola DI VAIRA

Sig. Franco MASTRONARDI

Sig.ra Maria MARRAFFINO

Sig. Geometra Mario BARBIERI

Sig. Prof. Giuseppe CALGIONE

Sig.ra Maria SACCHETTI
BIBLIOGRAFIA

Apprezzo alla terra di Montenero di Bisaccia (documento 1679)

Apprezzo alla terra di Montenero di Bisaccia (documento 1703)

Catasto Onciario marzo 1746 a cura del Comune di Montenero di Bisaccia

Note storiche su Montenero di Bisaccia alla luce delle informazioni del Catasto
Onciario a cura del comune di Montenero di Bisaccia 10 dicembre 2001

Mons. Biagio D’Agostino “ Il Molise e Termoli nella prospettiva del 700” Casa
Editrice Adriatica

Mons. Tommaso Giannelli “Delibere 1753” Archivio storico Diocesiano

G. B. Masciotta “Il Molise dalle origini ai nostri giorni” Libro IV Circondario di
Larino

E. A. Paterno “Ricordi storici Molisani”
I secoli XIX e XX in Montenero di
Bisaccia (Ricci – Agnone 1928)

A. Di Pietro e G. De Filippo “ Montenero di Bisaccia “ La storia, i documenti, le
immagini Luciano Editore

Domenico D’Amore “ Relazione 14 maggio 1866 “ archivio parrocchiale

E. A. Paterno dalla raccolta di poesie “Viulette Timituse” Arte della Stampa
Pescara 31/01/1957

Cyril Martindale “Santi” Jaca Book
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