fata: fuoco acqua terra aria - Parco della Murgia Materana
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fata: fuoco acqua terra aria - Parco della Murgia Materana
FATA: FUOCO ACQUA TERRA ARIA ENERGIA: UN CAMMINO NEI TEMPI, NEI LUOGHI, TRA GLI UOMINI 1 Energia, mostra, allestimento e comunicazione visiva Il progetto Energia è caratterizzato da performance, musica, grafica, recupero e reinterpretazione di tradizioni popolari (orali e materiali), installazioni, arte visiva. Il lavoro è nato dalle ricerche personali di quanti sono coinvolti nell’iniziativa, e da suggestioni letterarie, filosofiche, artistiche, delle quali si riportano frammenti, citazioni, echi. Molte e diverse sono le forze creative coinvolte, e tutte provengono dal nostro territorio. La responsabilità che questo progetto si è assunto, infatti, è la creazione di una relazione forte fra gli artisti, e fra gli artisti e il territorio, invitato ad avere un ruolo attivo, “politico” nei percorsi proposti. Nella prassi relazionale, da cui si prende ispirazione nelle forme e nelle modalità di sperimentazione e attuazione, l’artista si concentra sulle possibilità della persona: i sentimenti, le passioni, i sogni, le motivazioni, i valori, l’etica, l’attività degli individui. L’arte diviene attivazione di processi in grado di interpretare e trasformare i luoghi i tempi gli uomini. L’arte interroga se stessa e gli uomini sulla finalità dell’opera, individua nella relazione una modalità poetica estetica e pratica di condivisione, di approfondimento, di suggestione. Questi pensiamo possano essere gli strumenti con cui leggere la complessità del progetto Energia. (Mauro Bubbico) 2 3 Sosta 1. Il tempo del buio I luoghi della guerra, la vita degli uomini Possono le immagini di guerra contrastare l’orrore? Esiste un antidoto contro l’eterna seduzione esercitata dalla guerra? Susan Sontag in Davanti al dolore degli altri inizia una riflessione sul modo in cui le immagini influenzano la nostra percezione della realtà; si interroga sul significato e sull’uso delle immagini pittoriche o fotografiche, visioni di orrore e crudeltà, tentando una risposta: più di tutto può fare l’arte per la sua peculiarità di essere sintesi e percezione profonda e originale della sensibilità morale dell’artista. Valga per tutti un unico esempio: I disastri della guerra, ottantatré acqueforti che Goya realizzò all’inizio dell’Ottocento raffiguranti le atrocità perpetrate dai soldati di Napoleone nel 1808 in Spagna per soffocare la rivolta contro il dominio francese. La guerra non è uno spettacolo, ogni immagine è accompagnata da una didascalia che non è neutra e informativa, da una data e un luogo, come avviene con la fotografia, ma accentua l’orrore rappresentato, raggiungendo un effetto cumulativo devastante. fanno i buffoni: il primo, con un’enorme ferita allo stomaco, è a cavalcioni del secondo che giace prono e ride di un terzo che, inginocchiato, gli sventola scherzosamente in faccia un lembo di carne. (...). Questi morti mostrano un estremo disinteresse per i vivi: per quelli che hanno loro tolto la vita, per i testimoni – e per noi. Perché mai dovrebbero cercare il nostro sguardo? Che cosa avrebbero da dirci?” (Susan Sontag) Noi che non abbiamo vissuto niente di simile non possiamo capire, non possiamo immaginare quanto è terribile e terrificante la guerra: “Questo è quello che pensano tutti i soldati, e tutti i giornalisti, gli operatori umanitari, gli osservatori indipendenti che sono ripetutamente esposti al fuoco e hanno avuto la fortuna di eludere la morte che ha falciato chi stava loro vicino. E hanno ragione.” (Susan Sontag) La guerra della gente qualsiasi, legata alla terra Mauro Bubbico (foto dell’Associazione dei Caduti e Dispersi in Guerra) Trenta riproduzioni (30x40 cm) di ritratti di soldati caduti in guerra vengono raffrontate con altre 30 immagini di animali, messe in relazione o suggerite dalle prime. I disastri della guerra. Le 83 incisioni di Francis Goya Michele Colonna e Gianfranco Maiullari -16’ (2007) Il video mostra la sequenza di ottantatrè acqueforti di Goya; una voce femminile fuori campo le commenta, un’altra maschile ne legge le didascalie Tra le immagini fotografiche capaci di spingere ad opporsi attivamente alla guerra: Dread Troop Talk. A Vision After an Ambush of a Red Army Patrol Near Moqor, Afghanistan, Winter 1986 (Soldati morti parlano. Visione dopo un’imboscata a una pattuglia dell’Armata Rossa vicino Moqor, Afghanistan, Inverno 1986) di Jeff Wall (1992). Wall si immagina l’orrore della guerra in una ricostruzione da museo delle cere di tredici soldati russi in pesanti uniformi. Sono come morti resuscitati dopo il massacro, sono immersi in un atmosfera calda, conviviale e cameratesca. “Alcuni sono stravaccati, appoggiati su un gomito, o siedono a chiacchierare, con il cranio scoperchiato e le mani distrutte in bella mostra. Un uomo si china su un altro disteso su di un fianco e come addormentato, forse per incoraggiarlo a mettersi seduto. Tre uomini 4 Perché questi animali non sono all’altezza delle mie aspettative? […] In qualunque maniera guardiate questi animali, anche l’animale è incollato alle sbarre, a meno di un metro da voi, con gli occhi rivolti al pubblico, voi state guardando qualcosa che è stato reso assolutamente marginale, e tutta la concentrazione di cui siete capaci non basterà mai a ridargli centralità. […] Zoo, giocattoli zoomorfi e la massiccia diffusione commerciale di fotografie di animali: tutto ebbe inizio quando gli animali cominciarono ad essere eliminati dalla vita quotidiana. (John Berger) L’impressione che sia una guerra “senza faccia” non è certo dovuta alla mancanza di volti straziati. E’ creata dal fatto che quei volti ci appaiono come elementi di una massa anonima. Così ci vengono presentati. Sono annunciati con dei numeri. [...] Nella nostra civiltà delle immagini le guerre sono state riassunte da alcune fotografie che guardate anche dopo anni ci riportano in Algeria, in Vietnam, in Irlanda [...]. ma nessuna riassume la tragedia irachena. Come se, appunto, quella guerra non avesse “una faccia”. Come se i corpi straziati dalle bombe 5 non avessero una storia. Non meritassero di essere raccontate. Non avessero un nome. (Bernardo Valli, La Repubblica, 08.02.2007) Sono sufficienti queste immagini per stimolare in modo attuale una riflessione sulla guerra, sulla violenza, sulla scomparsa degli animali dal territorio dove le città, le vie di comunicazione, i villaggi turistici hanno completato l’opera iniziata con la Rivoluzione Industriale? Forse sì: le fotografie sono simulacri ma ci costringono a spostare l’attenzione da una massa indistinta di informazioni all’essere umano, da un mondo animale ormai lontano a quegli occhi che osservano noi, che abbiamo interrotto l’intimità e il rispetto con la natura. Le foto dei soldati sono fortemente ritoccate, ci inteneriscono, mettono in mostra visi sfuocati, imbellettati come sul letto di morte, affinché i parenti ne conservino un buon ricordo. Quanti ne avranno ammazzati prima di essere uccisi? Non lo sappiamo, ma sono comunque vittime, i carnefici siedono fra i mandanti della guerra. All’opposto, le foto pulite, nitide, vivide degli animali selvatici quasi ci mettono a disagio, ci intimidiscono con la forza dei colori. Non è nostalgia di una Età dell’oro mai esistita, non è il mito del Buon Selvaggio, ci stiamo chiedendo dove sono gli uomini? Dove sono gli animali? Perché siamo in un momento cruciale per lavorare su una nuova azione culturale. Didascalia a La guerra dei mezzo cresciuti. La guerra va preparata adeguatamente, i cittadini non sono “naturalmente” portati ad aderirvi. Non stupisca: non si sono mai viste mille volpi attaccare insieme un allevamento di pollame, anche in tempi non sospetti. Servono bugie, campagne di disinformazione di massa, blandizie e promesse di green cards, perfino l’arruolamento coatto e la galera per i più ostinati. I cittadini vanno portati in guerra. Per il re o per la patria, per Dio o per l’Onu, per la democrazia o per i diritti umani (…). Il fatto è che le guerre non le hanno mai dichiarate i cittadini o il popolo. Sono sempre state volute, osannate, finanziate, decise dalle classi dominanti (chi ha soldi e potere per intenderci). Poi, ad ammazzare e farsi ammazzare ci hanno sempre mandato i figli dei poveri. Non a caso, tra le truppe dell’esercito USA in Iraq, il cognome più diffuso è Gonzales. (Gino Strada) 6 Sosta 2. Il tempo della luce I luoghi della pace, la vita degli uomini Blocca il tempo! Cinefabrica È un’opera collettiva sul tema della scomparsa del vicinato. Il progetto coinvolgerà il quartiere più problematico di Potenza: Rione Cocuzzo, quartiere dormitorio ed ecomostro costruito in cima ad un colle; è il quartiere simbolo dell’architettura aberrante degli anni ‘70, enormi edifici appoggiati uno sull’altro, senza spazi verdi e luoghi d’incontro per i cittadini. Simbolo di questo rione è un lungo fabbricato di case popolari, ribattezzato “il serpentone”, di circa 300 metri che si adatta al crinale della collina con i suoi 13 piani a far da barriera. A Matera invece verrà coinvolto il borgo rurale sperimentale de La Martella, sorto negli anni ’50, a 7 chilometri da Matera: di concezione Olivettiana, esempio dell’urbanistica più avanzata di quel periodo, ispirata nelle forme strutturali e funzionali dell’architettura scandinava, fu uno dei 3 quartieri creati per trasferire i contadini dai Sassi. Come per le raccolte di beneficenza, le persone saranno chiamate a donare un loro vestito: un sacchetto giallo verrà lasciato nelle cassette postali accompagnato da un volantino-invito: “Bloccare il tempo” è un’opera collettiva a cui sei invitato a partecipare donando un tuo indumento dismesso ed in buono stato: abito, giacca, maglione, pantalone, camicia, gonna, etc., possibilmente completo di gruccia. La raccolta verrà effettuata da un gruppo di collaboratori del Progetto Energia e sarà allestita sotto forma di opera d’arte dal 6 al 26 di ottobre 2007 negli ipogei di piazza San Francesco a Matera. Mettere il sacco in vista e ben chiuso. Didascalia dell’opera La capacità dei vestiti donati dalle famiglie è quella di raccontare storie individuali e collettive. Come Christian Boltansky con le sue opere cerca di ridare voce, attraverso vecchi oggetti e indumenti, a coloro che una volta li hanno posseduti, in questo lavoro i vestiti vengono sottratti al ciclo della merce per essere esposti in una opera collettiva sulla nostalgia del Vicinato. 7 Animali di grano germogliato (gli animali del paradiso) Vito Lospinuso SOSTA 3. Il tempo del consumo spreco I luoghi del non sostenibile, i comportamenti insostenibili appositamente realizzati in terracotta da un giovane ceramista locale, sono ispirati al mondo animale e all’arte effimera barocca dei carri trionfali e delle casse armoniche. I piatti ancora oggi vengono preparati nelle case e portati in chiesa per l’addobbo durante la Settimana Santa. Quattro famiglie di terracotta con grano germogliato, rappresentanti la faina, la pecora, il riccio e l’istrice, ed ognuna formata da 7 elementi, verranno prima esposti negli ipogei, a significare il loro ritorno per riprendersi il territorio da cui un tempo sono stati spodestati, in seguito saranno portati in corteo dai bambini. Market Signs, archeologia dei consumi Mauro Bubbico Disfarsi dei rifiuti significa confonderli con gli elementi della nostra immagine del mondo. Le soluzioni adottate per l’eliminazione dei rifiuti ci riportano ad una concezione mitologica del mondo fondata sui quattro elementi primordiali: terra, acqua, aria e fuoco. Le tecniche adottate per allontanare i rifiuti da noi sono le stesse applicate anticamente al corpo degli estinti accompagnando la separazione con un preciso rituale: si seppellisce o si crema il cadavere e si affidano le ceneri alle correnti dei fiumi e dei mari, oppure le si disperdono nel vento. Terra: i rifiuti sono montagne e non ritornano mai alla terra. L’humus non si avrà mai da prodotti confezionati, articoli usa e getta di plastica, da circuiti elettronici, da additivi e generanti chimici. Aria: frammenti di cielo, nuvole trasportate dal vento. Il cielo degli antichi segnava i confini dell’universo, formato da una serie di sfere cristalline di purezza crescente, che avvolgevano la terra. L’uomo ha perforato quei confini cristallini riversandovi rifiuti. Acqua: il potere purificatore dell’acqua. Ai corsi d’acqua, al mare e agli oceani è da sempre affidato il ruolo di corpo recettore, depuratore di larga parte dei rifiuti prodotti. Fuoco: lingue di fuoco avvolgono e divorano tutto, la combustione dei rifiuti dell’era industriale genera scorie ed emissioni dannose. Il fuoco non trasforma i rifiuti in aria, bensì la inquina. (Guido Viale) 8 9 SOSTA 4. Il tempo del consumo intelligente I luoghi della piacevolezza, il vivere in simbiosi SOSTA 5. Il tempo del rumore I luoghi del caos, il rapporto con i suoni Biodiversità di Roberto Picerno e Silvio Lorusso Loop di Murgia Concerto di Pino Basile con Tommaso Carafiglio Allora, dovunque si andasse, avevamo sempre rami e fronde tra noi e il cielo. L’unica zona di vegetazione più bassa erano i limoneti, ma anche là in mezzo si levavano contorti gli alberi di fico, che più a monte ingombravano tutto il cielo degli orti, con le cupole del pesante loro fogliame, e se non erano fichi erano ciliegi dalle brune fronde, o più teneri cotogni, peschi, mandorli, giovani peri, prodighi susini, e poi sorbi, carrubi, quando non era gelso o un noce annoso. Finiti gli orti, cominciava l’oliveto, grigio-argento, una nuvola che sbiocca a mezza costa. In fondo c’era il paese accatastato, tra il porto in basso e in su la rocca; ed anche lì, tra i tetti, un continuo spuntare di chiome di piante: lecci, platani, anche roveri, una vegetazione più disinteressata e altera che prendeva sfogo – un ordinato sfogo – nella zona dove i nobili avevano costruito le ville e cinto di cancelli i loro parchi. Sopra gli olivi cominciava il bosco. I pini dovevano un tempo aver regnato su tutta la plaga, perché ancora s’infiltravano in lame e ciuffi di bosco giù per i versanti fino sulla spiaggia del mare, e così i larici. Le roveri erano più frequenti e fitte di quel che oggi non sembri, perché furono la prima e più pregiata vittima della scure. Più in su i pini cedevano ai castagni, il bosco saliva la montagna, e non se ne vedevano i confini. Questo era l’universo di linfa entro il quale noi vivevamo, abitanti d’Ombrosa, senza mai accorgercene. (Italo Calvino) Tamburelli, chitarre, loop e cupa cupe Gli strumenti a percussione utilizzati sono quelli comunemente usati da sempre per le sessioni musicali popolari del sud Italia: il Tamburrello e la Cupa cupa. A volte sono adattati e potenziati per esigenze d’esecuzione ma la logica ed il modello di partenza sono quelli rilevati ‘sul campo’: strumenti fatti con materiale povero e di riciclo, più che altro ciò che si ha a disposizione. Alcuni di essi possono essere considerati veri e propri strumenti effimeri. e dall’effimero al discount il passo è breve. Dalla cultura del recupero, all’abitudine del monouso, ma parliamo di musica o di detersivi? Da contraltare la presenza di chitarre, processori ed altre tecnologie, anch’esse molto effimere e da discount. Con la complicità della messa in scena, verranno messe in relazione entità spazio/temporali di diversa natura e provenienza, in una sorta di viaggio nel retrobottega del villaggio sonoro globale. Mamix di Angelica Fojtuch -durata 5’ (2005) Mamix è un video realizzato da Agelica Fojtuch una giovane performer polacca sul tema della maternità. L’opera è ispirata a un ricordo della sua infanzia quando, periodicamente, al ritorno a casa del padre marinaio, le piaceva saltare sulle sue ginocchia e giocare con il suo braccio facendo finta fosse una bambola, una bambola viva e pulsante di sangue vero. È la ricostruzione di un gioco che nel video viene riproposto come desiderio di diventare madre, ma anche come paura di generare un figlio indesiderato o malformato. Àtklés Kovacs Ivo -durata 6’ (2005) Àtlekés è un breve film di animazione realizzato da Kovacs Ivo un giovane artista ungherese. Nascere dal ventre vivo della terra, ripercorrere le liquide architetture amniotiche prima di vedere la luce, respirare l’aria celebrando il liberatorio rito della nascita. 10 11 SOSTA 6. Il tempo dei suoni I luoghi della tranquillità, il piacere dei non rumori Sosta 7. Il tempo della nebbia I luoghi del non respiro, la privazione Macina & Macinino, il mulino neolitico Antonio Nobile e Oleificio Lacertosa Good 50x70. Il progetto che serve alla comunicazione sociale 200 poster sui temi dell’AIDS, violazione dei diritti umani, guerra, sottosviluppo e degrado ambientale. Mostra a cura di Pasquale Volpe con la collaborazione di Tommaso Minnetti e delle Associazioni no-profit Amnesty International, Amref, Emergency, Greenpeace, Lila, si è avvalso dell’endorsment di Icograda, Beda, Adi Lombardia e Aiap. Bastano due pietre per sperimentare il primo sistema per macinare il grano. La farina che fa lievitare il pane è sostanza, Obiettivo primario era quello di evidenziare l’importanza della comunicazione sociale e il suo concreto sostegno, sensibilizzando l’opinione pubblica e chi opera e studia nel settore. I creativi di tutto il mondo sono stati chiamati a ideare dei poster, affrontando cinque problematiche di interesse globale identificate dall’ONU: AIDS, violazione dei diritti umani, guerra, sottosviluppo e degrado ambientale. Dal 10 marzo al 13 maggio 2007, i partecipanti a questa prima edizione di Good 50x70 hanno inviato i propri lavori al sito appositamente ideato per l’iniziativa, proponendo soluzioni alternative in totale libertà, affrontando una o più delle cinque tematiche sociali. I poster pervenuti, 1.659 in tutto, sono stati valutati e selezionati da una giuria composta da designer di fama mondiale: Timo Berry (Finlandia), Yossi Lemel (Israele), Alain Le Quernec (Francia), Luba Lukova (USA), Chaz Maviyane-Davies (Zimbabwe), Armando Milani (Italia), Woody Pirtle (USA), Shigeo Fukuda (Giappone), Massimo Vignelli (USA) e Lourdes Zolezzi (Messico). Duecento le opere scelte dalla giuria: per ogni categoria tematica sonostati individuati dieci vincitori ex-aequo e trenta menzioni speciali. Good 50x70, oltre ad offrire un contenitore di comunicazione gratuita alle associazioni no-profit partecipanti, si propone come un laboratorio nel quale una libera creatività possa misurarsi alla luce dell’esperienza con temi importanti e cruciali, al fine di incidere realmente nella società e diventare motore di cambiamento. Good 50x70 è una mostra itinerante. Good 50x70 è una serie di seminari e workshop. Good 50x70 è un catalogo che raccoglie le 200 opere selezionate. Good 50x70 è un un’asta su ebay. Good 50x70 è Good! www.good50x70.org 12 13 SOSTA 8. Il tempo dell’aria pulita I luoghi del camminare, la libertà del percorrere Costruzione del capanno della “Cortaglia” Museo della Civiltà Contadina di Montescaglioso. Le nuove generazioni sono le generazioni della tecnologia, la generazione dei cinquantenni è stata l’ultima generazione della tecnica. Le nuove generazioni non sono “ladri di frutta, branchi di piccoli vagabondi che assaltano le ciliegie”, né costruiscono capanni sugli alberi come nei fumetti di Tarzan o Black Macigno. La memoria, per essere tramandata, va narrata con la poesia e sperimentata sul campo. In questo evento collettivo, immaginando una improbabile fine del mondo che ha risparmiato solo i bambini, un gruppo di adolescenti, guidati da quattro anziani del Museo della civiltà contadina di Montescaglioso, costruiscono l’Ucciarola, il capanno, ricovero temporaneo dei pastori durante la “Cortaglia” tecnica di stabbiatura (concimazione) del terreno utilizzando gli ovicaprini; durava circa 40 giorni e si effettuava sui campi da destinare alla semina, spostando ogni sera la posizione dei recinti mobili. Il capanno, munito di ruote, successivamente costituirà il centro della “Malaparata” Teatro vagante per le vie cittadine. Robusta corda costruita da crine di cavallo Con crine di cavallo, lunghe al massimo venti centimetri si intreccia una potente corda di venti metri. È l’ennesima magia del massaro. Dal vivo gli animatori del Museo della civiltà contadina di Montescaglioso dimostrano la loro tecnica, fanno la loro magia. il corteo. Tradurre in oggetti reali le visioni fantastiche del passato, utilizzare il corpo per dare vita alla materia apparentemente inanimata, lasciarci trasformare dalla materia stessa: tutto questo ci conduce all’arte e al senso della creazione. La tradizione ci ha inseguiti nel presente con figure fantasiose, attribuendo a ciascuna di loro un significato, un rimando, che possiamo leggere e tradurre con il linguaggio che ci appartiene. Le fate, abitatrici di boschi, delle grotte, delle rive dei fiumi, venivano considerati esseri ben disposti nei confronti degli esseri umani, che aiutavano nei lavori di casa, di cui proteggevano i tesori. Le streghe, invece, maligne e dall’aspetto caricaturale, attaccavano i bambini e distruggevano la filatura e la tessitura faticosamente lavorate durante il giorno. I fauni, diavoletti, conigli e i monacelli erano spiritelli dispettosi, intrecciavano capelli e davano pizzicotti, lanciavano oggetti di ogni genere senza mai farsi prendere, evitando così di doversi togliere il cappello ed essere obbligati a svelare il luogo dove era nascosto il tesoro. Il gallo, il cavallo e il serpente sono i tre animali più diffusi negli intagli lignei del Materano e sono riconducibili rispettivamente al simbolismo dell’aria, della terra e dell’acqua. Il gallo, in particolare, annunciatore del sole e della luna, che con il suo canto scaccia gli spiriti notturni, è simbolo di fermezza e di vigilanza. Laboratorio teatrale per la costruzione di una Parata di strada Andrea Santantonio, Nadia Casamassima e Rita Felicetti La finalità principale del corteo è quella di riprendersi la strada dalle automobili. Il corteo verrà preparato durante un laboratorio teatrale di tre giornate e sarà concepito come l’insieme di una processione religiosa, una manifestazione politica e una sfilata carnevalesca. Il corteo farà 5 fermate, ad ogni sosta di un quarto d’ora un poeta, su una piccola panca, decanterà con enfasi le sue poesie ad alta voce. Le poesie, stampate su un volantino, verranno regalate al pubblico. Altri personaggi ed oggetti ispirati alla cultura popolare compongono 14 15 SOSTA 9. Il tempo dell’acqua I luoghi del produrre, il senso del valore dei beni Gli orti e le autoproduzioni Per migliorare la qualità della vita occorrono scelte esistenziali, un cambio culturale che da una parte ci porti alla cura dei figli e all’assistenza degli anziani e dall’altra riduca l’uso delle merci che generano un forte impatto ambientale. Occorre, in sostanza, un atteggiamento di sobrietà nei consumi dell’energia e nell’acquisto di merci, in funzione dei bisogni reali e non di quelli indotti. Bisogna favorire le autoproduzioni e lo scambio non commerciale delle merci basato sul dono e la reciprocità. Per molti si tratta di non perdere un comportamento virtuoso ben vivo nelle realtà locali della nostra regione, dove possedere un oliveto e un orto per la soddisfazione dei bisogni essenziali è una prassi consolidata anche nelle giovani generazioni. Autoprodurre frutta e verdura significa riscoprire un sapere e un saper fare dimenticato, conquistare l’indipendenza dalle leggi del mercato. Si può ridurre l’inquinamento dell’aria dovuto al trasporto, la quantità di imballaggi da smaltire, e non si stimola un mercato che per vendere deve accrescere sempre più la produttività a danno dell’ambiente. Se in una famiglia la produzione è maggiore, le eccedenze si donano o si mettono in vendita esponendo la merce su una sedia fuori dalla porta. Il dono e la reciprocità rinforzano i legami tra le persone di una stessa comunità e mantengono vivi i rapporti di vicinato. Compra da me. Gli orti e le autoproduzioni Mauro Bubbico, Michele Colonna e Gianfranco Maiullari -10’ (2007) Il video mostra una serie di sedie poste all’ingresso di case, con ortaggi e frutta in esposizione. L’audio trasmette le voci tipiche dei mercati rionali, i commercianti (le sedie in questo caso) esaltano e bandiscono la loro merce al miglior prezzo, sul fondo il vociare degli acquirenti, frammenti di conversazioni dialettali e rumene. della fabbricazione del pane, dalla semina fino alla distribuzione, e la comunicazione che si instaura così fra uomini molto lontani tra loro nello spazio, a partire da un unico elemento: il chicco di grano.» (Manoel de Oliveira) Il film, che è un documento sul pane, sulla sua lavorazione, sulla sua consumazione e sulla sua simbologia, ha un formidabile senso ritmico, quasi musicale. Ma anche qui vi sono dei momenti in cui sembra di tornare al senso di scoperta che caratterizzava il cinema delle origini. Penso ad esempio all’immagine di una signora che impasta il pane in un grande recipiente, noi vediamo le sue braccia lavorare la pasta e ci meravigliamo nello scoprire le traiettorie che fa fare all’impasto; è uno dei momenti più belli del film, proprio perché il cinema riesce a cogliere un gesto, un movimento oggettuale e a rendercelo nella sua unicità; il cinema diventa lezione di sguardo e anche scoperta del mondo (in modo bressoniano). Il cinema come scoperta fenomenica ottenuta attraverso il guardare, quasi meccanismo scientifico, prima che affabulatorio; lo si apprezza allo stesso modo in cui i primi spettatori rimanevano sbalorditi di fronte al movimento delle foglie nel famoso frammento dei Lumière. Il corto di cui stiamo parlando è anche fortemente emozionante ed è un aspetto che è presente sempre nel cinema di de Oliveira. In questo caso, al di là dell’emozione che danno il montaggio e la scoperta dello sguardo, si tratta di un sentire malinconico dato dal fatto che viene mostrata la natura ciclica della raccolta del grano, che nella nostra cultura ha da sempre simboleggiato la nascita e la morte. Così l’ultima inquadratura del film, in cui vediamo un campo di grano solcato dal vento, restituisce un forte senso di mistero e di malinconia nell’immaginare il grano di nuovo pronto al raccolto e al “sacrificio”. [AUTORE????] O pão, documentario sul pane O pão (il pane), Portogallo, 1959, col., 24’, v.o. con sottotitoli italiani. Regia di Manoel de Oliveira «Mi sono servito del pane per affrontare molte cose della realtà portoghese... Ho cercato soprattuto di mostrare il ruolo dell’uomo in ogni tappa 16 17 SOSTA 10. Il non tempo dell’acqua I luoghi dell’inquinamento, la perdita ancestrale SOSTA 11. Il tempo della terra I luoghi dell’estrazione, la dipendenza insostenibile H2Oro – L’acqua, un diritto dell’umanità Compagnia teatrale Itineraria La macchina utile di Antonio Simmarano Mauro Bubbico Da un progetto di Fabrizio De Giovanni e Maria Chiara Di Marco nasce questo spettacolo di teatro-documento per sostenere il diritto all’acqua per tutti, per riflettere sui paradossi e gli sprechi del “Bel Paese”, per passare dalla presa di coscienza a nuovi comportamenti. L’acqua non deve diventare “l’oro blu” del XXI secolo, dopo che il petrolio è stato “l’oro nero” del secolo XX. L’acqua deve invece essere considerata come bene comune, patrimonio dell’umanità. L’accesso all’acqua potabile è un diritto umano e sociale imprescrittibile, che deve essere garantito a tutti gli esseri umani. Perché questo avvenga bisogna sottrarre l’acqua alla logica del mercato e ricollocarla nell’area dei beni comuni, alla cui tavola devono potersi sedere tutti gli abitanti della Terra con pari diritti, comprese le generazioni future. Attraverso una documentazione rigorosa si affrontano i temi della privatizzazione dell’acqua, delle multinazionali, del contratto mondiale dell’acqua, delle guerre dell’acqua e delle dighe, degli sprechi e dei paradossi nella gestione dell’acqua in Italia, del cosa fare noi-qui-ora, della necessità di contrastare e invertire l’indirizzo di mercificazione e privatizzazione. Uno spettacolo per affermare che un altro mondo è possibile, non all’insegna del denaro, ma della dignità umana. La filosofia di vita del mondo contadino è tutta basata sul concetto di riuso. Niente si butta e tutto si riutilizza, in questo modo la vita delle giovani generazioni è assicurata. Potrebbe sembrare un concetto applicabile solo a materiale organico, ma la stessa filosofia di vita viene applicata anche nella costruzione di una macchina agricola. 18 La storia Nel 1985 Antonio Simmarano, agricoltore diretto di Montescaglioso, per praticare l’agricoltura biologica, che gli vietava l’uso di diserbanti chimici per combattere le erbe parassite, inventò la macchina adatta allo scopo, mettendo insieme parti meccaniche di altri veicoli. Lui stesso racconta che nel 1985, dopo cinque anni di lavoro sul prototipo nell’Officina Dipalma, vennero ad assistere alle prove generali docenti e studenti della Facoltà di Agraria di Bari e che nell’occasione fu girato anche un video. Un colorato ombrellone e una grossa ventola sul cofano garantiscono il giusto refrigerio all’autista. Grazie a questo stratagemma Antonio può gestire al meglio le asperità e i dislivelli del terreno tenendo le lame al giusto livello. Guardando il breve documentario sulla macchina all’opera, non risulterà difficile cogliere in tutto questo una straordinaria metafora della nostra vita. L’erba cattiva è sempre riconoscibile, è più alta e fagocita quella buona togliendole la vita. 19 SOSTA 12. Il tempo del vento Il disegno tra cielo e terra, il suono e l’ebbrezza dell’aria pulita Mbeubeus di Simona Risi -durata 19’ (2006) Nella discarica di Mbeubeus, in Senegal, ogni giorno arrivano i rifiuti della città di Dakar. Ci lavorano e vivono più di 2.000 persone, chi recupera, chi vende, chi compra, chi ripara e ricicla e, oltre 300 sono bambini. Sempre più case crescono ai bordi della discarica perché, per molti poveri, il commercio ed il riciclo dei rifiuti è più redditizio che coltivare i campi arsi dalla desertificazione del sahel. Mame Ngor è uno dei 300 bambini che lavora in discarica come recuperatore. Paleoliche I e II di Francesco Cabras e Alberto Molinari -Durata 9’ (2007) storica della rivoluzione industriale; nell’arte questo passaggio si avrà negli anni Venti con le Avanguardie storiche e il Dadaismo in primis che, a un nuovo modo di guardare l’uomo e il mondo, volle accostare nuovi materiali e tecniche per rappresentarlo. Tre nomi si desidera citare: Kurt Switters con i suoi collage di biglietti trovati per strada e gli scarti di oggetti nei cumuli d’immondizia; Marcel Duchamp con Allevamento di polvere e Piero Manzoni con Merda d’artista. Ispirandosi al lavoro dello scultore svizzero Jean Tinguely e alle macchine inutili di Bruno Munari si assemblano e si saldano pezzi di ricambi precedentemente selezionati rovistando dagli sfasciacarrozze locali. Nelle principali piazze della città si possono ammirare alberi segnavento giganteschi semoventi, macchine inutili munite di ruote e meccanismi preposti a trasmettere il movimento, oppure figure zoomorfe, figure somiglianti ad animali, o antropomorfiche, somiglianti a figure umane. Una breve rapsodia ventosa in tre movimenti girata in Saradegna, tre movimentistagioni della giornata: l’incedere, il volo e la tenebra. Pensando a Cervantes e alla fantascienza anni cinquanta. Sinossi II Dall’Alba al tramonto un’altra giornata che soffia a ritmo di valzer, questa in Toscana e con un elemento umano, spettatore al cospetto delle forze della ntaura, ma anche protagonista. Pieter - Jan De Pue durta 20’ (2007) Belgio Due persone si trovano nel cuore di un deserto che un tempo è stato il letto del più grande fiume del mondo; sono cerca di acqua. Energie di Thorsten Fleish -durata 5’ -Germania Segnavento e sculture con pezzi di ricambio figure zoomorfe e antropomorfe Antonio Colonna e Mauro Bubbico I rifiuti e gli oggetti dismessi hanno sempre suscitato l’attenzione di romanzieri, poeti e artisti. Nella letteratura occidentale l’oggetto desueto e non funzionale diventa protagonista a partire dalla svolta 20 21 Bibliografia utile Silvana de Mari, Il drago come realtà, Salani Editore, 2007. Marc Augé, Tra i confini, Bruno Mondadori, 2007. Leonardo Sinisgalli, Civiltà della cronaca, Edizioni Scientifiche Italiane, 2005, a cura di Francesco d’Episcopo. Marc Augé, Nonluoghi, Elèutera, 1993. Lidia Decandia, Anime di luoghi, Franco Angeli / Metodi del Territorio, 2004. Susan Sontag, Davanti al dolore degli altri, Mondadori, 2003. Georges Didi-Huberman, Ninfa Moderna, il Saggiatore, 2002. Georges Didi-Huberman, Immagini malgrado tutto, Raffaello Cortina Editore, 2005. 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