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Una sfida con i giovani e per i giovani
Una sfida con i giovani e per i giovani Mario Picchi Fondatore del CEIS Centro Italiano di Solidarietà Siamo ormai bombardati quotidianamente dalle cronache televisive che in tempo reale, con tragica insistenza, ci trasmettono le immagini di una guerra nella quale ci sentiamo emotivamente tutti coinvolti. E, insieme ai fatti di sangue, assistiamo quotidianamente alle numerosissime manifestazioni che invocano, sembra quasi inutilmente, la cessazione di ogni conflitto e il ristabilirsi della pace. Tra quanti partecipano a questa universale protesta contro la guerra, i giovani sono sempre più numerosi e, mentre piccole minoranze si scatenano con gesti di gratuita e inutile violenza, la stragrande maggioranza di questi giovani ci accompagna a riflettere sull’autentico significato di una pace che si fonda soprattutto sulla verità, sulla giustizia, sulla libertà e sull’amore. In particolare le giovani generazioni europee, ma non solo loro, sembrano sottolineare una condanna senza condizioni alla accettazione della logica della guerra. Come può un giovane sensibile accettare il fatto che se il mondo riducesse di una piccola parte la spesa in armamenti, interi continenti non morirebbero più di fame, di sete e di malattie? E guardate che non si tratta di situazioni nuove: 40 anni fa Raoul Follereau, grande missionario laico, gridava ai potenti della terra che con i soldi corrispondenti al valore di un solo aereo militare avrebbe eliminato per sempre dall'Africa la piaga della lebbra. Non era una battuta: era la verità. Ma dopo mezzo secolo, si riempiono gli arsenali e si svuotano i granai. Si prosciugano o si inquinano le fonti d'acqua. Non si producono, perché poco redditizi per le multinazionali, quei farmaci che salverebbero facilmente la vita a milioni di uomini, donne e bambini. IL MALESSERE GIOVANILE Oggi più che mai i giovani sono chiamati a essere i protagonisti in uno scenario futuro che si presenta assai problematico. Essere protagonisti significa scrivere le pagine del futuro con una buona dose di coraggio per affrontare l'incertezza, il rischio, l'improbabile, il fallimento. Sono gli stessi giovani ai quali il Santo Padre ha affidato la croce del Giubileo perché potessero portarla in tutti gli angoli della Terra come segno di sicura speranza per un domani migliore. Sono loro le sentinelle del mattino che sentono vivo il desiderio di esprimere sulle strade e sulle piazze il loro rifiuto alla guerra. Fra questi giovani io vivo da tanti anni il mio sacerdozio, in special modo tra quelli che sono più fragili, più sensibili, meno capaci di reagire di fronte alle difficoltà della vita, forse più condizionati, certamente più sofferenti. Sono i giovani del disadattamento, dei comportamenti negativi, dove alcool, droga, psicofarmaci, aids, gioco d'azzardo, anoressia e bulimia, sessualità disordinata e violenta e sfida alla morte sono espressioni generate da un disagio profondo, che denuncia crisi di identità e di rapporti interpersonali, carenza di luoghi positivi di aggregazione e di socializzazione, mancanza di valori e di ideali. Sono giovani che hanno vissuto la loro prima giovinezza tra malessere e insoddisfazione interiore finiti poi nella tossicodipendenza. Sono giovani che non hanno paura di morire e che invece fanno fatica, tanta fatica, a vivere. Ho provato tante volte a chiedermi cosa c'è dietro il mondo di una persona che si droga. Ho cercato risposte che potessero illuminami sul perché a un certo punto, c'è chi prende la propria vita e la getta via, la distrugge, non sa più che farsene. Le risposte che mi sono dato, o che altri mi hanno aiutato a elaborare, sono molteplici. La droga lungo il corso degli anni ha assunto diversi significati. Negli anni '70 la droga è stata vissuta da molti giovani come una bandiera, una forma provocatoria per esprimere la protesta di fronte all'inadeguatezza del sistema sociale. Poi è diventata consumo di massa, espressione di un malessere sempre più diffuso. 11 tossicodipendente, (eroinomane in particolare, è diventato così l'emblema di un disagio esistenziale in continua crescita. Negli anni '90 il fenomeno cambia ancora. Si impiegano nuove sostanze, rispuntano vecchie droghe, cresce la dipendenza dai farmaci. Dilaga la cultura dello sballo. Condizione apparentemente normale e tipico dei giovani, e non solo dei giovani, per uscire dalla noia e dalla monotonia. In questo contesto si accentua il potere della droga che diviene quel male oscuro che sorprende tutti con la rapidità con cui dilaga, trasformandosi in un'autentica epidemia mondiale. In pochi anni invade l’intera società in ogni suo ambiente, senza distinzione fra paesi poveri e ricchi, tra un ceto sociale e l’altro, tra una generazione e l’altra. Tra le tante risposte che ho cercato di darmi una è ricorrente: dietro la droga c'è sempre accentuata una situazione di disagio. Bisogna quindi spostare l'obiettivo dalla droga alla persona per cercare di capirci qualche cosa e avere il coraggio di guardare in faccia la realtà. Ho incontrato soprattutto giovani senza speranza. Disperati. Con un vuoto profondo che pareva incolmabile, incapaci di provvedere all’oggi e di progettare il domani. Soli. Senza nessuno con cui parlare, ricevere affetto, una carezza, un abbraccio. Talvolta è stato molto faticoso dare loro una prima mano per rialzarsi e continuare il loro cammino. Occorreva accettare il sacrificio per raggiungere un obiettivo. Entrare in confidenza con la speranza. Ricominciare a fidarsi degli altri e soprattutto di se stessi. Desiderosi di recuperare il tempo perduto. Capaci di progettare un proprio futuro. Ma la grande maggioranza di loro hanno cambiato stile di vita, hanno messo su famiglia o hanno recuperato un'armonia familiare che sembrava perduta per sempre. Hanno trovato un lavoro o se lo sono inventato. Oggi occupano un posto normale nella società, rispettano le leggi e soprattutto rispettano le loro coscienza, perché finalmente ne hanno una. Hanno riscoperto valori di riferimento e un bisogno di spiritualità, che non significa per tutti una religione, ma vuol dire andare oltre la pura materia, oltre il potere del successo e dell'apparire, essere capaci di intuire qualcosa di trascendente. LA DIVERSITÀ DEI GIOVANI C'è chi, di fronte a queste storie personali, si comporta come il fratello maggiore nella parabola del figliuol prodigo e del padre misericordioso. Stizza, invidia, sussiego. Perché sprecare tanto tempo e tante energie con queste persone? Se lo sono voluto loro! Perché aiutarli a trovare un lavoro? Mio figlio non si è mai drogato e non è mai stato in carcere, eppure è disoccupato! Chi ha avuto un'esperienza di droga, spesso, fa ancora paura. Ma mi sono accorto che a volte tutti i giovani ci fanno paura. La loro diversità esce dai nostri schemi e accettarli significa consentirgli di fare la loro strada e anche di sbagliare. Eppure noi dobbiamo essere al loro fianco, pronti a dire quanto e perché sbagliano. Senza eliminare dal loro orizzonte il sacrificio e la fatica. Senza adularli per accattivarcene le simpatie, senza dar loro ragione se siamo convinti che sbaglino. Senza coprirli nelle loro fughe. Senza rinunciare alla fermezza per la paura di non essere più accettati, di incontrare il loro rifiuto, genitori e insegnanti in prima linea. I giovani non sempre hanno ragione. E hanno bisogno di guide, di punti di riferimento. Ma non possiamo esserlo se prima non siamo autentici con noi stessi, se non ammettiamo i nostri errori, se non viviamo in modo coerente. Quante volte ci siamo ripetuti che i giovani hanno bisogno di adulti autentici, non di adulti perfetti. Di adulti che abbiano un'etica salda, valori certi, amore in famiglia, moralità nei rapporti sociali, onestà nel lavoro. E la nostra società di oggi cosa riesce a offrire loro? Viviamo un tempo in cui abbiamo perduto il senso della gioia, consumiamo cose, piacere, potere. Ma questi sono cibi che non placano la fame e la sete della nostra umanità, anzi le fanno sentire più di prima. Siamo abbagliati da immagini di una realtà frantumata e sofferente, apparenze, ombre e fantasmi senza vita. Quando le abbracci ti ritrovi con le mani vuote, quando ti ci specchi, riflettono i tratti distorti di una bellezza che ci fa paura. La morte, fatta di niente, ha il suo grande fascino, soprattutto tra i giovani. L'abisso del vuoto incanta, anche se alla fine resta solo il dolore e la solitudine. In questo vuoto, pullulano i falsi profeti, gli idoli di carta che attraggono e illudono le folle. Riconoscerli non è difficile: le loro facili promesse durano lo spazio di un mattino. Eppure questa nostra società li accetta perché ha bisogno di illudersi e di ripetersi che tutto va bene. La verità è che siamo spettatori del caos e della confusione: nella politica, nell'economia, nei valori. Il disagio giovanile è solo (espressione di una società stanca di se stessa, di una cultura che ha smarrito i fondamenti del sapere, di una scuola che non sa come e perché educare, di una famiglia invocata e sempre più assente, di una Chiesa imborghesita, in cui sono troppo pochi i testimoni e gli educatori. Di fronte a tante storie drammatiche, mi sono reso conto di quanto grande possa essere la responsabilità degli adulti in una società, nella quale sempre più spesso sembrano appannarsi gli autentici valori della vita. Grandi cambiamenti sono avvenuti in questi ultimi decenni intorno a noi, che ci obbligano a fare una responsabile riflessione. La fame, la malattia, la solitudine, la violenza, la povertà non sono lontane da noi, ma sono realtà che fanno parte della nostra città, del nostro territorio, della nostra società. Ed è qui che i nostri giovani devono diventare protagonisti, per aiutarci a superare i pregiudizi etnici e razziali, i fondamentalismi religiosi, l'odio, la violenza. È qui che abbiamo bisogno di loro, per vincere la lotta contro la fame, la solitudine, la droga, la diffusione dell'aids. IL RUOLO DEI GIOVANI Abbiamo bisogno dei giovani, della loro creatività, fantasia e poesia per tornare a pensare a una nuova scuola capace di inventare nuovi modi di intendere la cultura. Abbiamo bisogno di loro e dobbiamo dare loro la parola e ascoltarli. Dar loro non solo la sensazione sporadica, ma la certezza continuativa di essere interlocutori importanti nelle scelte politiche, amministrative e sociali, tanto più quando li riguardano da vicino. Trasmettere loro non solo l'impressione, ma la convinzione che quanto dicono e propongono interessa gli adulti, è degno di essere preso in considerazione oppure di essere anche criticato con fermezza e rifiutato con severità ma sempre con spiegazioni e motivazioni ragionevoli. A volte basta solo ascoltarli, fare loro credito, non di soldi ma di fiducia, perché loro stessi trovino l'energia per aprirsi la strada e costruirsi un futuro, per se stessi ma anche per gli altri. Altrimenti, capita che non parlino perché nessuno chiede loro niente. Capita che non diano perché nessuno bussa alla loro porta. Sappiamo che l'orizzonte dei nostri giovani è molto più ampio di quello delle generazioni precedenti. Non me la sento di condividere l'opinione di quanti dicono che ai loro tempi sì che i giovani venivano educati, ai loro tempi sì che si studiava e si imparava, che c'era rispetto per i genitori e per gli anziani e via dicendo. Ogni epoca ha la sua fisionomia e le sue caratteristiche. Oggi i giovani conoscono molte più cose di quanto non ne conoscessero i miei coetanei alla loro età, e forse anche più dei loro genitori quarantenni o cinquantenni. Sono più aggiornati, sanno usare strumenti di ricerca e di conoscenza che noi non immaginavamo neppure lontanamente. Certo, non studiano più come noi enormi volumi, non imparano a memoria lunghe poesie o capitoli di grammatiche. Ma possiamo dire per questo che sono tutti ignoranti? Il fatto è che noi adulti e anziani spesso non conosciamo i nostri giovani, come del resto loro non conoscono noi. E se non si avvicinano a noi è perché non siamo interessanti, non siamo attraenti, non riusciamo a dar loro qualcosa di vitale. Per questo dobbiamo conoscere più da vicino i nostri giovani. Imparare ad ascoltarli, a sentire le loro ragioni, a capirli. Non possiamo presumere di comunicare - e di trasmettere attraverso la comunicazione - se non sappiamo su quali canali ciò e possibile. Per una buona sintonia occorre conoscere chi è davvero il nostro interlocutore. E ciò è possibile se mettiamo al primo posto l’ascolto. Un ascolto attivo, quello caratterizzato da attenzione sincera, partecipazione, empatia. È vero, spesso ascoltiamo ciò che ci dicono i nostri ragazzi, ma non riusciamo ad abituarci ad ascoltare ciò che non ci comunicano con le parole, o quello che non ci dicono perché non ci riescono, ma che invece vorrebbero dirci. Quante volte non ci siamo accorti dei messaggi che ci venivano lanciati con i loro silenzi? C'è un numero infinito di messaggi che a noi sfuggono perché siamo tutti preoccupati di controllare, anziché comprendere. Ma solo ascoltandoli e comprendendoli, solo così possiamo svolgere il nostro compito, che è compito di tutti: quello di stimolare i giovani ad accettare un nuovo impegno, che li vedrà impegnati nei prossimi decenni a rendere più vivibile il mondo, tutto il mondo. La solidarietà non è un'utopia. Sta a tutti noi non spegnere la loro speranza. E lo dico con la convinzione che nasce dall'aver combattuto per una vita affinché i giovani fossero protagonisti. Almeno della propria vita. Come al solito, qualcuno dirà che è un sogno. Ma noi che siamo sempre ben piantati con i piedi per terra, non permettiamoci mai di spezzare loro le ali. Diceva il cardinale Francis Spellman, arcivescovo di New York, "Beati coloro che credono nei sogni e sono pronti a pagare il prezzo per farli diventare realtà". Io credo che siano i giovani di oggi a realizzare questo sogno di un mondo nuovo con più giustizia, più solidarietà, più pace. E comunque ripeto: "Lasciamoli liberi di sognare!". Il mio invito è rivolto alla famiglia, ai genitori, perché rinuncino a impartire ordini, ma imparino a cercare insieme con i loro figli, partendo dalla condizione dei loro figli che meglio di tutti dovrebbero conoscere, si confrontino con altri sui loro sistemi educativi, si sforzino di creare solidarietà e comprensione. Ma soprattutto il mio invito è rivolto agli educatori, agli insegnanti, perché la scuola diventi una comunità tesa alla crescita e alla formazione della persona, realizzata attraverso lo sforzo e l’impegno comuni. È rivolto ai mass-media, perché smettano di buttare in pasto all'opinione pubblica la "droga", con superficialità, terrorismo e spesso disinformazione, solo per fatti tragici e nelle cosiddette "emergenze": come se poi, la droga, fosse l'unico problema dei giovani di oggi. Non mi stancherò mai di ripetere che la droga non è il problema, ma è soprattutto la manifestazione di un disagio, di un sintomo di una malattia sociale oltre che personale; esprime il dolore e la fatica delresistere, che non è esclusiva del tossicomane, ma è di tutti gli esseri umani. Ed anche ciò sta a indicare che i tossicodipendenti non sono dei "marziani", dei "diversi" dai quali ci dobbiamo difendere perché attentano alla nostra sicurezza, ma donne e uomini come noi. Insieme "con" loro e non "su" loro dobbiamo trovare soluzioni ai problemi che ci circondano, e quindi anche quello della droga, disponibili ad ascoltare le provocazioni che la loro realtà ci trasmette. Senza saperlo, forse, questi giovani, con disperazione e sfiducia lanciano un messaggio a tutti noi perché insieme, con urgenza, offriamo il nostro contributo per recuperare una dimensione, uno stile di vita migliore, e cioè più umano, più libero e più felice. Anche attraverso segni chiari di decadenza e di catastrofe, ci vogliono indicare che sono maturi i tempi, che il deserto può veramente fiorire rigoglioso, che esiste ancora una rivoluzione da operare nonostante il tramonto dei grandi miti e la crisi delle ideologie, ed è la rivoluzione del "quotidiano", che guarda alle piccole cose, si muove a piccole e costanti tappe, fa riemergere prima a conoscere meglio se stesso e quindi il suo vicino, una rivoluzione che cammina lentamente ma fermamente verso la trasformazione della realtà personale, sociale e politica. Noi che ci diciamo cristiani abbiamo un motivo in più per sperare che il mondo di domani si illumini di un'alba nuova. Il vescovo Tonino Bello ci ha lasciato una stupenda pagina che è invito alla speranza: "Non c'è croce che non abbia le sue deposizioni. Non c'è amarezza che non si stemperi in un sorriso. Non c'è peccato che non trovi redenzione. Non c'è sepolcro la cui pietra non sia provvisoria sulla sua imboccatura." Ogni pagina del Vangelo è un forte richiamo a ciascuno di noi perché la nostra vita diventi testimonianza e ci ponga al servizio dei nostri fratelli più fragili. Dobbiamo accettare la sfida del nostro tempo, dobbiamo sapere ribellarci con coraggio e con volontà caparbia per costruire insieme un progetto che abbia la dimensione umana in cui ogni creatura possa tornare a essere padrona della propria esistenza. Il Gesù che sale sulla montagna delle beatitudini e si rivolge alle folle indica come riscoprire il significato della vita, della sofferenza, del servizio, della gratuità, delle disponibilità. Può sembrare utopia, ma è parola e vita che non ci inganna. Nell'uomo, in ogni uomo, vi sono risorse inesplorate, capacità inedite, su cui è possibile far leva per aiutarlo ad affrancarsi dai legami di ogni dipendenza, a superare le paure e le difficoltà e a camminare verso il futuro con serenità. 1 sogni che giacciono nel profondo del nostro cuore aspettano solo il momento opportuno per diventare realtà. Là dove sono crollati i mattoni costruiremo con una nuova pietra, dove si sono spezzate travi costruiremo con un nuovo legname. In cammino, in questo terzo millennio, alla ricerca di un mondo che ritrovi la pace, la giustizia e la solidarietà e non abbia bisogno di droghe. (Convegno Nazionale Fidae, Roma, 2003)