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legislazione minorile
INSEGNAMENTO DI
LEGISLAZIONE MINORILE
LEZIONE IX
“IL PROCEDIMENTO ESECUTIVO NEI CONFRONTI DEI MINORI”
PROF. GIANLUCA GUIDA
Legislazione minorile
Lezione IX
Indice
1 2 Alcuni Istituti innovativi -------------------------------------------------------------------------------- 3 1.1. Il perdono giudiziale--------------------------------------------------------------------------------- 3 1.2. La messa alla prova ---------------------------------------------------------------------------------- 3 1.3. La pronuncia di non luogo a procedere per Irrilevanza del fatto. ------------------------------ 4 Le misure alternative e sostitutive delle pene detentive brevi (la legge Simeoni) ------------ 7 2.1 Le pene sostitutive -------------------------------------------------------------------------------------- 7 3 Le misure alternative alla detenzione.---------------------------------------------------------------- 9 4 Le misure cautelari------------------------------------------------------------------------------------- 15 5 L’ ultrattività della legge penale minorile . Articolo 24 DPR 448/88. ------------------------ 18 6 Le misure di sicurezza --------------------------------------------------------------------------------- 20 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Lezione IX
1 Alcuni Istituti innovativi
1.1.
Il perdono giudiziale
Il perdono giudiziale è un’applicazione diretta del principio di rinuncia dello Stato
all’esercizio del potere punitivo, applicabile a coloro che siano stati ritenuti responsabili di un reato
sanzionato con la pena detentiva non superiore a due anni o a tre milioni di pena pecuniaria.
Presupposto fondamentale è, naturalmente, la prognosinosi favorevole di reinserimento alla luce
della vita anteatta.
Il perdono esplica un effetto estensivo solo sui reati antecedentemente commessi che siano
in vincolo di continuazione con il reato “perdonato”.
La misura non è concedibile per più di una volta.
La dottrina ha evidenziato in questo istituto un contenuto eccessivamente paternalista,
pedagogicamente non idoneo a favorire un processo di responsabilizzazione del minore.
1.2.
La messa alla prova
L’istituto della messa alla prova è tra i più innovativi del nuovo codice di procedura penale
minorile.
Presupposti per l’applicazione della messa alla prova sono:
1.
un giudizio implicito di responsabilità
2.
la prognosi favorevole di reinserimento
3.
l’esistenza di un progetto, elaborato in collaborazione con i servizi della
giustizia, che contenga anche elementi di conciliazione e di mediazione con la vittima del
reato.
La durata della messa alla prova generalmente non potrà superare i 3 anni; la durata minima
e demandata alla determinazione giudiziale.
L’istituto determina una definizione anticipata del procedimento, o meglio possiamo
definirla una fase processuale eventuale ed aperta, idonea a favorire “il superamento stesso delle
ragioni della devianza”.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Lezione IX
Parte della dottrina ha evidenziato la natura pattizia della misura, sottolineando la rilevanza
attribuita al consenso prestato dal minore.
Dibattuta è l’applicabilità dell’istituto della messa alla prova in appello .
Si discute circa la compatibilità dello stesso con situazioni come:
•
l’eventuale contemporanea applicazione di una misura cautelare per altro reato
(incidenza della recidiva)
•
eventuali programmi di protezione per i collaboratori di giustizia
• nei confronti dei minori nomadi o stranieri, senza fissa dimora.
Dibattuta è altresì l’impugnabilità per cassazione.
La misura viene revocata nel caso in cui venga meno il positivo giudizio prognostico a
seguito di violazioni delle prescrizioni imposte.
L’esito positivo della prova determina l’estinzione del reato.
L’esito negativo della prova determina, all’inverso, la riattivazione del procedimento.
Rispetto all’Istituto del perdono giudiziale è stato evidenziato che:
-
mentre il primo presuppone un giudizio esplicito di responsabilità, la messa
alla prova implica un giudizio implicito;
-
mentre la messa alla prova è applicabile solo in presenza di determinati
presupposti, il perdono è applicabile sempre.
-
la sentenza positiva di messa alla prova determina la non iscrizione al
casellario giudiziale.
-
diversa è la valenza pedagogica e psicologica dei due istituti.
1.3.
La pronuncia di non luogo a procedere per Irrilevanza del
fatto.
Tra le fattispecie riconducibili alla rinuncia dello stato all’esercizio della potestà punitiva,
sul presupposto di una prognosi positiva, quella che ha animato maggiormente
il dibattito
L’irrilevanz
a del fatto
giurisprudenziale e dottrinale è stata la pronuncia di non luogo a procedere per irrilevanza
del fatto.
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L’applicazione dell’istituto presuppone la ricorrenza di quattro presupposti:
¾
la sussumibilità del fatto in una fattispecie astratta di reato
¾
la tenuità del fatto
¾
l’occasionalità
¾
l’incidenza della prosecuzione del procedimento sui processi di crescita del
minore
Il primo dei requisiti indicati è indispensabile, dovendo comunque giustificare l’attivazione
di un procedimento penale che altrimenti, laddove il fatto non avesse valenza penale, non si
giustificherebbe.
La tenuità del fatto deve essere valutata in concreto sia con riguardo alla condotta, che deve
assumere una valenza particolarmente antisociale, sia con riferimento all’evento, che non deve
essere di particolare gravità.
L’Istituto facendo riferimento alla valutazione antisociale del comportamento, introduce nel
nostro ordinamento un principio che è proprio dei paesi di cultura giuridica socialista, ma che ha
avuto una buona diffusione anche in Europa. In effetti il principio in esame, che potrebbe
sintetizzarsi con il broccardo “nulla poena sine periculo sociali”, incide profondamente sulla
concezione formalistica del reato (propria della nostra tradizione giuridica) inserendo un
temperamento in senso materialista, che nel passato era stato ampiamente osteggiato dalla dottrina
in quanto apriva la strada alla discrezionalità del giudice.
La occasionalità da valutare in senso cronologico e psicologico, implica che il fatto sia
espressione di una scelta e di una volontà deviante.
Per quanto attiene all’ultimo dei presupposti, il legislatore ha richiesto che per l’adozione
della misura venga valutato se il procedimento penale pregiudichi l’interesse del minore.
Mentre per il Palomba, questo requisito è una indicazione meramente rafforzativa di un dato
già acquisito (il disvalore pedagogico del processo), il Vaccaro ritiene che il processo potrebbe,
nella sua articolazione, rappresentare un’occasione di crescita per il minore.
L’istituto comunque è stato anche oggetto di dibattito giurisprudenziale, oltre che dottrinale.
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Il Tribunale di Bologna ha evidenziato un aspetto di illegittimità costituzionale, inquanto
contrasterebbe con l’articolo 172 della costituzione, attribuendo al giudice un potere dispositivo
dell’azione penale (altrimenti obbligatoria); e con l’articolo 76 per eccesso di delega, in quanto
introdurrebbe una norma di diritto sostanziale e non processuale.; con l’articolo 3 , in quanto non
applicabile agli adulti.
La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla materia, ha dichiarato la illegittimità
costituzionale della norma perché in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione.
Comunque per quanto attiene alla prima obiezione, è stato rilevato che il particolare
procedimento attivabile, con il quale il P.M. chiede al Gip la sentenza di NLP in realtà si configura
come una modalità di esercizio dell’azione penale; impugnabile in appello o per opposizione.
La norma è poi stata comunque reintrodotta con la legge 123 del 1992.
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2 Le misure alternative e sostitutive delle pene
detentive brevi (la legge Simeoni)
Come si è avuto modo di osservare il DPR. 448/88 persegue, tra l’altro, la finalità di
deflazionare il ricorso alle misure detentive, esprimendo un particolare favore per quelle misure che
per flessibilità propria sono più idonee a sostenere il minore nel superamento della crisi
adolescenziale.
Come sappiamo già il legislatore costituzionale aveva evidenziato la necessità di superare la
natura afflittiva della pena, optando per interventi volti a favorire l’emenda del condannato.
In tale prospettiva si pone la legge 689/81 che ha introdotto nell’ordinamento il sistema delle
pene sostitutive alle pene detentive brevi, sia la legge 395/75 che ha disciplinato le pene alternative
al carcere.
In
entrambi i casi, l’obiettivo è quello di evitare gli effetti della carcerizzazione sul
condannato, sia intervenendo al momento di promulgazione della sentenza (misure sostitutive) , sia
intervenendo in corso di esecuzione della pena (misure alternative).
2.1 Le pene sostitutive
Come si è detto il sistema delle pene sostitutive è stato introdotto nel 1981 con la legge 689.
Pene
In quella sede il legislatore previde che in luogo delle pene detentive a 1/3/6 mesi sostitutive
poteva optarsi
rispettivamente per l’applicazione degli istituti della pena pecuniaria della libertà controllata e della
semidetenzione.
La misura è applicata dal giudice in sentenza, demandando al magistrato di sorveglianza il
compito di disporre le necessarie prescrizioni con apposita ordinanza. La sola libertà controllata può
essere disposta in sede di conversione della pena pecuniaria insoluta (in alternativa il lavoro
sostitutivo).
Laddove l’applicazione delle misure in esame coincida temporalmente con la esecuzione di
altre misure penali conseguenti a diverso provvedimento di condanna, si applicherà il principio
della prevalenza dell’applicazione dei titoli privativi della libertà e pertanto le pene sostitutive
subiranno una sospensione.
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Altra sospensione, questa volta su richiesta della parte, può essere concessa per moti di
studio, di famiglia o di lavoro. Il regime applicabile è quello delle licenze.
L‘ inosservanza delle prescrizioni, rilevata dagli organi di polizia addetti al controllo,
giustificherà la revoca della misura e l’applicazione , per il residuo, della detenzione.
La funzione deflattiva della misura in esame rispetto alla detenzione è ancor più evidente
alla luce del disposto contenuto nell’articolo 30 del DPR 448/88. La norma richiamata prevede
l’applicazione delle misure in esame con un limite di pena effettiva di due anni; considerando le
attenuanti generiche e le riduzioni che possono seguire dall’applicazione di uno dei riti speciali, si
può ritenere che l’applicazione possa ricomprendere reati con pena edittale anche superiore ai
quattro anni.
L’applicazione delle misure sostitutive ai minori dovrà, comunque, tener conto delle
esigenze personali, di studio e di lavoro del minore.
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3 Le misure alternative alla detenzione.
Altrettanto interessante è l’analisi delle misure alternative alla detenzione ed in particolare
degli istituti giuridici della liberazione condizionale e dell’affidamento in prova ai servizi sociali,
giacchè entrambi si ricollegano al probation inglese.
Il probation è un istituto tipico dei paesi di common law; nasce e si sviluppa negli Stati Uniti
nel XIX secolo come reazione agli effetti negativi prodotti dalle tendenze alla prigionizzazione che,
soprattutto sulla spinta della comunità quacchera, si erano affermate nel paese .
Il probation, che cominciò ad essere applicato proprio ai minori, comportava una rinuncia
dello Stato alla potestà punitiva in funzione di un probabile recupero del reo.
In Europa si sviluppa soprattutto come meccanismo di sospensione della pena prima che
abbia inizio l’esecuzione; attivando al contempo strumenti di sostegno e di controllo.
Esattamente questi caratteri si rinvengono negli istituti richiamati, ed ancor di più
nell’istituto della messa alla prova art. 28 del DPR 448/88 e nella sospensione della pena al fine di
realizzare un trattamento terapeutico ex art. 73 della legge 309/90.
3.1 L’affidamento in prova al servizio sociale
L’affidamento in prova è disciplinato dalla legge 354/75 . La concessione della misura è
subordinata ad un periodo di osservazione in istituto per almeno 1 mese, al termine del quale
l’equipe dell’istituto si pronuncerà per una prognosi tale da ritenere la concessione della misura
idonea alla rieducazione del condannato. Altro requisito è il limite di pena previsto dalla legge.
L’unica preclusione è rappresentata dalle ipotesi in cui il condannato sia in esecuzione di
pena detentiva a seguito di revoca di misura sostitutiva.
L’esito positivo della prova è causa di estinzione della pena e di ogni altro effetto penale.
Per quanto riguarda l’affidamento in prova per l’alcool o tossico dipendente, la domanda
può esser presentata in ogni momento e la concessione è obbligatoria.
Per quanto attiene al periodo minimo di osservazione deve considerarsi che nell’eventualità
in cui l’applicazione della misura intervenga mentre il condannato è in stato di libertà dopo aver
scontato un periodo di custodia cautelare in carcere (in applicazione della l.663/86) il periodo di
reinserimento nella società libera può esser considerato una valida opportunità di valutazione.
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3.2 La liberazione condizionale
Tra gli istituti alternativi è il più risalente, infatti era già presente nel codice Zanardelli e poi
nel codice Rocco.
L’applicazione della misura comporta la sospensione della misura detentiva e l’espiazione
del residuo in regime di libertà vigilata sotto il controllo e con il sostegno dei servizi sociali.
Presupposti per l’applicazione sono :
¾
l’avvenuta espiazione di un quantum di pena,
¾
l’adempimento delle obbligazioni pecuniarie contratte,
¾
il ravvedimento del reo (non più il perdono della parte offesa).
Per tutta la durata della misura permane il rapporto di esecuzione e non già uno stato di
quiescenza dello stesso (per questo è considerata una misura alternativa)
Nei confronti del condannato minorenne la misura può essere applicata in qualunque
momento dell’esecuzione ed indipendentemente dalla pena detentiva inflitta.
3.3 La detenzione domiciliare
L’istituto è stato voluto dal legislatore al fine di dare una continuità nell’intervento penale di
quei condannati che fossero stai sottoposti alla misura cautelare degli arresti domiciliari.
Con tale beneficio si è voluto ampliare l'opportunità delle misure alternative, consentendo la
prosecuzione, per quanto possibile, delle attività di cura, di assistenza familiare, di istruzione
professionale, già in corso nella fase della custodia cautelare nella propria abitazione (arresti
domiciliari) anche successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, evitando così la
carcerazione e le relative conseguenze negative.
L'art. 47 ter è stato modificato dalla legge 165 del 1998 che ha ampliato la possibilità di
fruire di questo beneficio.
La misura consiste nell'esecuzione della pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata
dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza e accoglienza.
Requisiti per la concessione della detenzione domiciliare prevista dall'art. 47 ter comma 1 o.p.:
Pena detentiva inflitta, o anche residuo pena, non superiore a quattro anni, nei seguenti casi:
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• donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci con lei
convivente;
• padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui
convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente
impossibilitata a dare assistenza alla prole;
• persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti
contatti con i presidi sanitari territoriali;
• persona di età superiore a sessanta anni, se inabile anche parzialmente;
• persona minore degli anni ventuno per comprovate esigenze di salute, di
studio, di lavoro e di famiglia.
Requisiti per la concessione della detenzione domiciliare prevista dall'art. 47 ter comma 1
bis o.p.:
Pena detentiva inflitta, o anche residuo pena, non superiore ai due anni, quando:
•
non ricorrono i presupposti per l'affidamento in prova al servizio sociale
•
l'applicazione della misura sia idonea ad evitare il pericolo che il condannato
commetta altri reati
•
non si tratti di condannati che hanno commesso i reati di particolare gravità
specificati nell'art. 4 bis o.p.
Se tale misura viene revocata la pena residua non può essere sostituita con altra misura.
Requisiti per la concessione della detenzione domiciliare prevista dall'art. 47 ter comma 1
ter o.p.:
Pena anche superiore ai quattro anni, quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio
o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi dell'artt. 146 e 147 del c.p..
¾
Casi di rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena (art.146 c.p.) qalora ci si
ritrovi nelle ipotesi di:
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donna incinta
donna che ha partorito da meno di sei mesi
persona affetta da infezione da HIV nei casi di incompatibilità con lo stato di detenzione ai
sensi dell'art. 286 bis, del c.p.p.
¾
Casi di rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena (art. 147 c.p.) qualora
ricorrano le ipotesi di:
presentazione di una domanda di grazia
condizione di grave infermità fisica
donna che ha partorito da più di sei mesi, ma da meno di un anno, e non vi è modo di
affidare il figlio ad altri che alla madre.
Il Tribunale di Sorveglianza dispone l'applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo
un termine di durata di tale applicazione, che può essere prorogato.
L'esecuzione della pena prosegue durante l'esecuzione della misura.
Requisiti per la concessione della detenzione domiciliare prevista dall'art. 656 C.P.P. comma 10:
Pena detentiva non superiore a tre anni, anche se costituente residuo di maggior pena in caso
di soggetto agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire.
Il Pubblico Ministero sospende l'esecuzione dell'ordine di carcerazione e trasmette gli atti senza
ritardo al Tribunale di Sorveglianza affinché provveda senza formalità all'eventuale applicazione
della detenzione domiciliare.
Fino alla decisione del Tribunale di Sorveglianza il condannato rimane agli arresti
domiciliari e il tempo corrispondente è considerato come pena espiata a tutti gli effetti. Agli
adempimenti previsti dall'art. 47 ter o.p. provvede in ogni caso il Magistrato di Sorveglianza.
Con la legge 231 del 1999 che ha introdotto l’art 47 quater, per i soggetti affetti da AIDS
conclamata o da grave deficienza immunitaria o da altra malattia particolarmente grave,
la
concessione della misura alternativa può essere concessa anche oltre i limiti di pena previsti.
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3.4 Limiti alla concessione
I detenuti e gli internati per particolari delitti (416bis e 630 c.p., art. 74 D.P.R.309/90, ecc.)
possono ottenere la detenzione domiciliare solo se collaborano con la giustizia (artt. 4bis e 58ter
o.p.).
I detenuti e gli internati per altri particolari delitti (commessi per finalità di terrorismo, artt. 575,
628 3° c., 629 2° c. c.p., ecc.) possono essere ammessi alla detenzione domiciliare solo se non vi
sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o
eversiva.
Il D.L. 306/92 (convertito dalla L. n° 356 del 1992) ha altresì introdotto altri limiti e divieti relativi
alla concessione delle misure alternative, con l'aggiunta di nuovi commi all'art. 4bis ed all'art.
58quater dell'o. p., per i casi di commissione di un delitto doloso di una certa entità commesso
durante un'evasione, un permesso premio, il lavoro all'esterno o durante una misura alternativa.
La legge 231 del 1999 all'art 5 ha disposto per i soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave
deficienza immunitaria o da altra malattia particolarmente grave, la non applicazione del divieto di
concessione dei benefici previsto per gli internati e coloro che sono detenuti per i reati dell'art.4-bis
della 354/75, fermi restando gli accertamenti previsti dai commi 2, 2bis e tre dello stesso articolo.
3.5 Sospensione e revoca della misura
Il Magistrato di Sorveglianza sospende la detenzione domiciliare e trasmette gli atti al Tribunale di
Sorveglianza nei seguenti casi:
•
quando vengono a cessare i requisiti indispensabili per beneficiare della misura
•
quando il soggetto attua comportamenti, contrari alla legge o alle prescrizioni,
ritenuti incompatibili con la prosecuzione della misura
•
quando il soggetto viene denunciato per violazione dell'art. 385 c.p. (evasione)
•
quando l' ufficio di esecuzione penale esterna o il servizio sociale per i minorenni
informa il Magistrato di Sorveglianza di un nuovo titolo di esecuzione di altra
pena detentiva che fa venir meno le condizioni per una prosecuzione provvisoria
della misura (art. 51 bis o.p.).
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Il Tribunale di Sorveglianza fissa l'udienza per il procedimento di revoca e decide
sull'accoglimento o il rigetto della proposta del Magistrato di Sorveglianza
3.6 La legge Simeone
La materia delle misure alternative è stata interamente rivisitata dalla legge 165/98.
La così detta legge Simeoni si ispira ad alti e condivisi principi di equità sostanziale e
La legge
umanità dilatando i termini e le modalità di applicazione delle misure in esame, con simeone
il fine ultimo di
rendere definitivamente residuale la pena detentiva.
La legge prevede (art 658 cpp) che lo stesso PM nell’emettere l’ordine di esecuzione a pena
detentiva non superiore ai 3/4 anni ne sospenda l’esecuzione. Sarà poi cura del condannato
presentare nel termine di 30 giorni richiesta per le misure alternative al Tribunale di Sorveglianza
che deciderà nei successivi 45 giorni.
La misura non può essere disposta per più di una volta e non può essere concessa ai
condannati per reati di cui all’art. 4bis o.p.
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4 Le misure cautelari
Sono misure adottate dall’autorità giudiziaria in sede di indagini preliminari o nella fase
processuale e rispondono ad una esigenza di tutela di valori socialmente rilevanti e nei confronti dei
minori sono sempre facoltative.
La legge 332/95 ha profondamente innovato la disciplina della materia in esame
modificando direttamente il regime applicativo inserendo talune garanzie delle libertà individuali e
del diritto di difesa.
Le misure cautelari sono assistite dai principi fondamentali della
•
Tassatività/tipicità
•
Riserva di legge
•
Riserva di giurisdizione /discrezionalità tecnica
•
finalità cautelare.
Possono essere
•
reali (sequestro conservativo e preventivo)
•
Personali (coercitive -detentive e non-)
•
Interdittive
Sono disposte con ordinanza
Le misure cautelari personali non detentive sono misure limitative della libertà personale
diverse dalla custodia cautelare che il giudice, tenuto conto delle esigenze cautelari e dell'esigenza
di non interrompere i processi educativi in atto, può applicare nel corso del procedimento al
minorenne imputabile:
•
prescrizioni,
•
permanenza in casa,
•
collocamento in comunità.
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Il giudice può disporle solo quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena
dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.
Quando è disposta una misura cautelare il minorenne è affidato ai servizi della Giustizia Minorile
affinché svolgano interventi di sostegno e controllo in collaborazione con i Servizi di assistenza
dell'ente locale.
La misura deve essere proporzionata all'entità del fatto e alla sanzione che si ritiene possa essere
irrogata. ( art 19 del D.P.R. 448 del 22 settembre 1988; art. 275 codice procedura penale)
ƒ
Prescrizioni
Il giudice può impartire al minorenne specifiche prescrizioni inerenti attività di studio o di
lavoro o altre attività utili per la sua educazione al fine di non interrompere i processi educativi in
atto; tali obblighi hanno efficacia per due mesi e sono rinnovabili una sola volta, per esigenze
probatorie. Il giudice, nel prendere tale decisione, ascolta l'esercente la potestà genitoriale anche al
fine di coinvolgerlo nell'attività di recupero.
Nel caso di gravi e ripetute violazioni delle prescrizioni, il giudice può disporre la misura della
permanenza in casa. (art. 20 del D.P.R. 448 del 22 settembre 1988)
ƒ
Permanenza in casa
Con il provvedimento che dispone la permanenza in casa il giudice prescrive al soggetto
minorenne di permanere presso l'abitazione familiare o in altro luogo di privata dimora.
Contestualmente può disporre limiti e divieti alla facoltà del minorenne di comunicare con persone
diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono.
Il giudice può anche consentire al minore, con separato provvedimento, di allontanarsi
dall'abitazione per ragioni di studio o lavoro o per svolgere altre attività utili alla sua educazione.
I genitori vigilano sul comportamento del minore consentendo, nel contempo, gli interventi
di sostegno e controllo dei Servizi della Giustizia Minorile e dell'Ente Locale.
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Nel caso di gravi e ripetute violazioni degli obblighi a lui imposti o nel caso di allontanamento
ingiustificato dalla abitazione, il giudice può disporre la misura del collocamento in comunità.
(art.21 del D.P.R. 448 del 22 settembre 1988)
ƒ
Il collocamento in comunità
Con il provvedimento che dispone il collocamento in comunità il giudice ordina che il
minorenne sia affidato ad una comunità pubblica o autorizzata. Contestualmente può imporre
eventuali specifiche prescrizioni inerenti attività di studio o di lavoro o altre attività utili per la sua
educazione, al fine di non interrompere i processi educativi in atto.
Il responsabile della comunità collabora con i Servizi della Giustizia Minorile e dell'Ente Locale.
Nel caso di gravi e ripetute violazioni delle prescrizioni imposte o di allontanamento ingiustificato
dalla comunità, il giudice può imporre la misura della custodia cautelare, per un tempo non
superiore ad un mese, qualora si proceda per un delitto per il quale è prevista la pena della
reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.
(art 22 del D.P.R. 448 del 22 settembre 1988; art 10 D.Lvo 272 del 28 luglio 1989)
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Legislazione minorile
Lezione IX
5 L’ ultrattività della legge penale minorile .
Articolo 24 DPR 448/88.
A norma dell’articolo 24 del DPR 448 il giovane che abbia commesso il reato da minorenne,
in esecuzione di una pena presso un servizio minorile permane presso la predetta struttura fino al
compimento massimo dei 21 anni d’età.
La competenza del magistrato di sorveglianza presso il Tribunale per i minori continua fino
al compimento dei 25 anni d’età.
Da tempo è stata prospettata dai servizi la necessità di una revisione dell’automatismo
introdotto dall’articolo 24 DL 272/89.
Negli ultimi anni negli istituti per minori hanno fatto ingresso sempre più frequentemente
giovani in esecuzione di pene per reati commessi ancora minorenni, ma già transitati per strutture
per adulti in esecuzione di pene o di provvedimenti cautelari; o con corposi provvedimenti di
cumulo di pena.
A questi detenuti sono spesso attribuibili una lunga serie di comportamenti posti in essere
contro compagni ed operatori, in alcuni casi sanzionati dal locale Consiglio di Disciplina, in altri
affrontanti nell’ambito del contratto educativo stipulato con il ragazzo.
Spesso, peraltro, l’inserimento di alcuni membri di famiglie appartenti ad organizzazioni
criminali nonché la gravità del reato per il quale questi giovani sono in esecuzione di pena, li
inducono ad assumere atteggiamenti dimostrativi idonei all’affermazione di una
leadership
negativa nel gruppo dei pari e determinano nei giovani stessi personalità fortemente manipolative.
L’intervento educativo che viene attuato, anche in considerazione della estrema gravità dei
reati commessi e del breve residuo pena ancora da scontare presso un I.P.M. per poi essere
necessariamente trasferiti presso una struttura per adulti, si rivela privo di risultati idonei a
strutturare in questi giovani una motivazione adeguata ad uscire da certa cultura delinquenziale,
malgrado il notevole impegno profuso da tutti gli operatori coinvolti.
Pertanto allo scopo di tutelare l’ordinata vita di queste comunità penali, composte per lo più
da minorenni, ed accogliendo quanto già sostenuto nelle circolari dell’U.C.G.M. prot 60525 del 13
04 95 e prot. 388001 del 23 01 91 relative alla materia in argomento, è da più parti auspicata la
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Lezione IX
reintroduzione del criterio previgente che rimetteva alla prerogativa esclusiva del giudice la
valutazione circa la possibilità per il giovane adulto di permanere o meno nel circuito minorile.
In tal senso si era mossa la formulazione dell’art. 15 della riforma Castelli che appare
moderata rispetto alla sua prima stesura laddove prevedeva l’applicabilità anche agli
infradiciottenni, tuttavia appare deficitaria laddove non prevede la costituzione di sezioni
specializzate presso le strutture per adulti
e non richiama esplicitamente i contributi che gli
operatori del trattamento posso offrire a supporto della decisione.
La riforma avrebbe in altro senso potuto osare di più, portando la competenza dei servizi
minorili preposti all’esecuzione a 25 anni ( al pari della competenza del magistrato di sorveglianza)
creando circuiti differenziati per età e tipologia di reati (come auspicato dal Ministro Castelli) ed
accogliendo il pronunciamento in merito del VII Congresso delle Nazioni Unite sulla prevenzione
del crimine ed il trattamento dei delinquenti del 1985 che invitava tutti gli stati membri a dare
maggiore specificità alla categoria dei giovani adulti, differenziandoli sia dai minorenni che dai
maggiorenni, in considerazione della funzione cerniera tra l’adolescenza e l’età adulta che questa
fase svolge.
La stessa commissione per lo studio dei problemi ordinamentali della giustizia minorile,
presieduta da Luigi Fadiga , nella metà degli anni ’90 ha evidenziato come in Italia manchi, a
differenza di quanto avviene in altri paesi europei, una specifica giurisdizione per i giovani adulti,
determinando un "ampio e rigido divario fra le risposte giudiziarie disposte nei confronti dei
minorenni (a volte eccessivamente indulgenziali) e quelle disposte nei confronti degli imputati
appena maggiorenni (a volte eccessivamente repressive)” al quale consegue un pari divario, si può
aggiungere, nelle modalità dell’esecuzione penale.
La commissione concludeva proponendo l’attribuzione ai Tribunali per i Minorenni della
competenza esclusiva a giudicare su due categorie distinte di soggetti: minori e giovani adulti.
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Lezione IX
6 Le misure di sicurezza
Il sistema penale minorile
attualmente vigente è denominato a triplo binario: misura
amministrativa – pena – misura di sicurezza.
Presupposto per l’applicazione delle misure di sicurezza è l’accertamento della pericolosità
sociale (presunta solo per gli ultra quattordicenni – recidive/pericolosi/abituali nel caso di reato
impossibile) non per gli infraquattordicenni (infermità psichica/intossicazione/pericolosità sociale).
Per pericolosità si intende la probabilità che il reo commetta un nuovo reato. La misura di
sicurezza ha una funzione di emenda ed è indeterminata nel tempo: E’ sostitutiva o integrativa della
pena. Può essere patrimoniale o personale ( in tal caso può essere detentiva o non).
Sono applicabili ai minorenni autori di reato non imputabili ai sensi degli art. 97 e 98 c.p.
(per non aver compiuto gli anni 14 o per "incapacità di intendere e di volere", cosiddetta
immaturità) e ai minorenni condannati.
Con la sentenza di non luogo a procedere il giudice può applicare, su richiesta del pubblico
ministero, una misura di sicurezza in via provvisoria, se ricorrono le condizioni indicate all'art.224
del c.p.
La richiesta del pubblico ministero di applicare una misura di sicurezza, accolta o respinta
dal giudice, va sempre inviata al Tribunale per i Minorenni.
La misura di sicurezza, applicata in via provvisoria, cessa di avere effetto decorsi 30 giorni
dalla pronuncia del giudice senza che abbia avuto inizio il procedimento davanti al Tribunale per i
Minorenni.
Il Tribunale per i Minorenni procede al giudizio sulla pericolosità sociale e decide con
sentenza sentiti il minorenne, l'esercente la potestà dei genitori, l'eventuale affidatario e i Servizi
minorili della Giustizia e dell'Ente Locale.
Il Magistrato di Sorveglianza per i minorenni del luogo dove la stessa deve essere eseguita
vigila e impartisce disposizioni sull'esecuzione della misura di sicurezza anche attraverso contatti
diretti con il minorenne, l'esercente la potestà dei genitori o chi ne fa le veci e i Servizi della
Giustizia Minorile. Il predetto Magistrato può anche revocare la misura.
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Legislazione minorile
Lezione IX
Quando è disposta una misura di sicurezza il minorenne è affidato ai Servizi della Giustizia
Minorile e dell'Ente Locale affinché svolgano interventi di sostegno e controllo al fine di avviare un
processo di responsabilizzazione dello stesso.
La misura di sicurezza si esegue anche nei confronti di coloro che nel corso dell'esecuzione
abbiano compiuto il diciottesimo ma non il ventunesimo anno di età ai sensi dell’ artt 24 DPR
272/89 (artt. 36 37 38 39 40 del D.P.R. 448 del 22 settembre 1988)
ƒ
Libertà vigilata
Si applica nei confronti di minorenni non imputabili autori di reato ed è eseguita nelle forme
previste dagli artt.20 e 21 del D.P.R. 448/88: " prescrizione " e " permanenza in casa ". L'Autorità di
pubblica sicurezza vigila sull'applicazione della libertà vigilata che non può avere durata inferiore
ad un anno.
E' previsto che il giudice possa prescrivere attività di studio o di lavoro o altre attività utili
per l'educazione del minorenne al fine di non interrompere i processi educativi in atto. (artt 20 e 21
del D.P.R. 448 del 22 settembre 1988)
ƒ
Riformatorio giudiziario
Si applica nei confronti di minorenni non imputabili autori di reato ed è eseguita nelle forme
previste dall'art.22 del D.P.R. 448/88: " collocamento in comunità".
E' previsto che il giudice possa prescrivere attività di studio o di lavoro o altre attività utili
per l'educazione del minorenne al fine di non interrompere i processi educativi in atto. (artt 22 del
D.P.R. 448 del 22 settembre 1988)
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