La farfalla non vive per cibarsi ed invecchiare, vive solamente per
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La farfalla non vive per cibarsi ed invecchiare, vive solamente per
La farfalla non vive per cibarsi ed invecchiare, vive solamente per amare, e per questo è avvolta in un abito mirabile… Tale significato della farfalla è stato avvertito in tutti i tempi e da tutti i popoli… È un emblema sia dell’effimero, sia di ciò che dura in eterno… È un simbolo dell’anima. Hermann Hesse EDITORIALE Comunità in cammino S iamo tornati da poco dal nostro ritiro di Assisi sul tema: “Il Cammino della Preghiera”. Trecento persone si sono incontrate per essere comunità Comunità del in cammino. I tre giorni che ci hanno Pettirosso uniti ci hanno liberati dalla stanchezza, dalla pesantezza dei problemi quotidiani, ci hanno riempito il cuore e allargata la mente. Il tema portato avanti ci ha fatto meditare sul nostro rapporto con Dio attraverso la preghiera, perché è attraverso essa che noi incontriamo il Signore, lo ascoltiamo, lo tocchiamo, lo seguiamo. Tutti preghiamo, tutti ci rivolgiamo a Dio nel nostro quotidiano: abbiamo sempre richieste da sottoporgli, grazie da chiedergli, intercessioni da portare avanti … questo è certo un modo per metterci in preghiera perché, in qualsiasi modo noi ci rivolgiamo a Lui, significa che lo riconosciamo come Padre, come Creatore Onnipotente che veglia su di noi. Tuttavia, la “preghiera” è un’altra cosa, essa è un cammino di fede, un iniziare i primi passi incerti, per poi camminare spediti e poi correre, volare, attraversare i campi profumati di un Paradiso iniziato in terra che continuerà per sempre nell’eterno di Dio. La preghiera incontrata in questo ritiro è un colloquio tra amici, un perdersi in un amore che dà senso alla vita, un vivere in simbiosi con l’Unico che ci conosce veramente, che ci ha scelto così come siamo, che non pretende nulla da noi e che ci dice: “Venite, riposatevi sul mio cuore, ascoltatene i battiti, sta battendo per voi, ho bisogno del vostro amore, donatemelo tutto e in cambio io vi darò me stesso”. Come non cambiare allora? Come continuare a sentirsi soli, diffidenti, annoiati, tiepidi o depressi? Forse c’è qualcosa che non va nel nostro essere cristiani del cordoglio, della tristezza, del sacrificio o delle lacrime, forse è arrivato il momento di diventare cristiani del sorriso, dell’ascolto, dell’accoglienza e della preghiera: “Essere cristiani così è il carisma che si è dato la nostra Comunità del Pettirosso”. In un precedente editoriale abbiamo parlato della nostra comunità, abbiamo spiegato come è nata e il perché si è scelto questo nome. Lo ripetiamo in breve per chi si avvicina al nostro giornale “ Ciao frate’ ” per la prima volta. La Comunità del Pettirosso si è formata intorno alla persona di padre Renzo, frate francescano, innamorato di Dio. Egli ha il carisma del sorriso gioioso, della risata che coinvolge e risana e sa mettere in cammino verso Cristo Salvatore coloro che, attraversando la sua strada, sono disponibili ad amare gli altri come Gesù ama loro (o almeno ci vogliono provare). Essa si è sviluppata attraverso gli anni senza un nome preciso ed è stata battezzata “Comunità del Pettirosso” il 6 ottobre del 2013, quando è stato dato alle stampe e distribuito il numero zero del nostro giornale. Il “Pettirosso” è il nostro pastore che ha deciso di seguire Cristo grazie a un piccolo pettirosso, appollaiato su un albero innevato a pochi centimetri dal suo capo, ed ha cinguettato per lui trasmettendogli il messaggio d’amore del Signore in un momento di buio spirituale. Molte persone accorrono ad ascoltare la parola di Dio pronunziata dal nostro pastore e, spesso, sono incuriosite dall’amore che unisce gli appartenenti alla nostra comunità e ci chiedono spiegazioni, ci domandano chi siamo, cosa facciamo e come entrarne a fare parte. La risposta è semplice: siamo una comunità di preghiera, di ascolto e di accoglienza. Preghiera che unisce a Dio e intercede per chi è in sofferenza, ascolto per chi si sente solo e ha bisogno di un sorriso o di una parola fraterna, accoglienza nella fede che si fa atto d’amore per chi è in difficoltà. Per farne parte bisogna sapere amare, rispondere all’invito del Signore che ci chiama. Non c’è bisogno di tessere o di biglietti d’invito, basta entrare, pregare, ascoltare, accogliere gli altri come fratelli e poi, se non ci si sente in armonia con essa, non ci sono dimissioni da presentare: si esce portandosi via quel bene che Dio ha donato a chi è passato. Periodico a diffusione interna Diffusione e stampa in proprio Attività editoriale a carattere non commerciale ai sensi previsti dall’art. 4 DPR 16/10/1972 n. 633 e succ. mod. Redazione: Via della Nocetta, 171 Roma Contatti: [email protected] - www.ciaofrate.org Direttore Responsabile: Marisa Grillo Grafica: Patrizia Ruscio Hanno collaborato a questo numero: Di Gennaro Nicola, Vincenzo Belcastro, Gilberto Grossi, Renzo Campetella, Maria Teresa Lo Bianco, Piero Giovinazzo, Claudio Serafini, Federica Agresti, Elena Grillo, Marisa Grillo, Andrea Cauli, Livio Falsetto. In copertina “Vita” di Patrizia Ruscio Aspettiamo i tuoi suggerimenti e le tue idee... Scrivile a [email protected] o lasciale nella cassetta predisposta in chiesa 2 - aprile 2014 LA TERAPIA DEL SORRISO Azzurra e Argento... una favola per tutti N el presentare ai lettori di “Ciao Fraté” la favola da me scritta, la prima parola che sale spontanea alla mia mente è la parola “Amore”. Non è banale presentare il mio libro così perché questo è il sentimento che si respira nella sua lettura. Essa, come tutte le favole, ha per protagonisti degli animali e il suo racconto si conclude con una morale. Gli animali da me scelti sono due tortore particolari, quelle che portano al collo un collare orientale. La loro scelta è stata indotta alla mia fantasia dal loro essersi materializzate davanti al mio sguardo più volte in modo improvviso ed essersi fermate per lungo tempo tanto vicine a me da poterne cogliere a pieno la bellezza. Ho dato loro il nome di Azzurra e Argento per le venature del mantello che le differenziava. La loro storia è inserita nella Palestina antica e racconta il loro incontro con Gesù, il loro rimanerne affascinate e la loro incredibile avventura che le porta a diventare le apostole amiche di Cristo che lo sostengono nei momenti più tragici della sua Passione. Solo due creature, alate, semplici e pure potevano comprendere il linguaggio d’amore di nostro Signore, saperlo ascoltare, parlargli e poi seguirlo ovunque con la fede naturale dei piccoli di Dio. Azzurra e Argento sono due sposi innamorati che covano insieme le uova e allattano entrambi la prole attraverso il liquido lattiginoso che il loro gozzo secerne spontaneo. Azzurra è la più coraggiosa dei due, è la madre coraggio che si butta senza pensare, che si dona tutta perché non ha paura d’amare fino a diventare lei stessa il prototipo dell’amore evangelico. La favola è immersa in una natura rigogliosa che si snoda tra i fiori colorati che profumano i prati, tra le acque del lago, il rumore delle acque dei fiumi, tra gli alberi frondosi e all’ombra delle tamerici. La natura parla attraverso il loro canto e la loro preghiera e affascina il lettore che ne viene avvolto. I sentimenti delle due piccole creature sono quelli che Gesù vorrebbe scorgere nel cuore dell’uomo e danno al lettore il parametro di un individuo felice che vive con la pace in cuore. Una favola che vuole mettere a nudo i sentimen- ti più profondi poteva solo essere scritta in versi. La melodia che si sprigiona dalle sue righe proviene dall’allitterazione, dalle rime nascoste, dalle assonanze che la rendono uno spartito musicale. Nei passaggi cruciali, i versi si addensano in una rima che tambura l’orecchio del lettore e lo fa partecipe della drammaticità del momento. Altro argomento messo in luce è il mistero. Il divino viene solo intuito dalle due tortorelle e alla sua presenza il loro canto s’interrompe e s’interiorizza in una preghiera solo meditata, in un timore reverenziale, in un’unione spirituale con tutto il creato. La favola è narrata in otto quadri introdotti da un acquerello realizzato da Patrizia Ruscio che, con la sua sensibilità pittorica, ne anticipa l’argomento. Il cantico finale introduce la morale della favola: essa consiglia agli umani di entrare in loro stessi e vivere la bellezza del Vangelo di Cristo per diventare i tutori illuminati e attenti dell’intero creato. Maria Teresa Lo Bianco - aprile 2014 3 PERSONAGGI AL CALEIDOSCOPIO Madre Teresa di Calcutta “Per sangue e origine sono albanese. Ho la nazionalità indiana. Sono una religiosa cattolica. Per la mia vocazione, appartengo al mondo intero. Il mio cuore, però, appartiene interamente al Cuore di Gesù.” C on queste poche semplici frasi Madre Teresa di Calcutta, tanto minuta nel fisico quanto un gigante nello Spirito, descrive telegraficamente se stessa nel suo libro autobiografico “La mia vita” dove afferma umilmente: “Io non sono che una piccola matita nelle mani di Dio. È Lui che scrive. È Lui che pensa. È Lui che decide.” Due segreti hanno caratterizzato la vita di Madre Teresa di Calcutta. Il primo riguarda la sua avventura, che non scaturì da un’intuizione personale, ma fu ispirata da Gesù Cristo stesso con il quale dialogò a lungo nel silenzio del cuore. Il secondo riguarda la “notte oscura” che, dopo quelle locuzioni, Madre Teresa sperimentò per il resto della sua vita. Pur sentendosi abbandonata da Dio, ella decise di “amarlo come non era mai stato amato prima”. La sua fede eroica e salda, la sua fedeltà, il coraggio e la gioia durante questo doloroso e prolungato periodo di prova, fanno risaltare ancor più la sua santità. Comprese che la “oscurità” era il “lato spirituale del suo lavoro”, tanto da affermare: “Se mai sarò santa, sarò di sicuro una santa dell’oscurità. Sarò continuamente assente dal Paradiso per accendere la Luce a coloro che, sulla Terra, vivono nell’oscurità”. Nata a Skopje il 26 agosto 1910, Agnes Gonxha Bojaxhiu (la futura Madre Teresa di Calcutta) sentì da giovanissima la chiamata a servire Dio incontrandolo nei poveri. A 18 anni chiese ed ottenne il permesso di partire per l’Irlanda e unirsi alle Suore di Nostra Signora di Loreto e, quando nel 1931 prese i voti religiosi, scelse di chiamarsi Teresa in onore di Santa Teresa di Lisieux, la santa patrona dei missionari. Dopo pochi mesi di noviziato le fu concesso di andare in India dove iniziò a lavorare come insegnante. Presto, però, capì che questo non le bastava: sentiva che servire gli altri era il cuore degli insegnamenti di Gesù. Si ripeteva spesso: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt. 25,40). Il 10 settembre 1946, durante il viaggio in treno da Calcutta a Darjeeling, ai piedi dell’Himalaya, ebbe la chiamata 4 - aprile 2014 nella chiamata per saziare la sete di Gesù servendolo nei più poveri dei poveri. La diffusa povertà di Calcutta ebbe un impatto così profondo su di lei che la portò a fondare, nel 1950, la congregazione delle Missionarie della Carità alle quali insegnava che: “Una missionaria della Carità deve essere una missionaria dell’amore. Deve essere piena di carità dentro l’anima sua e spargere questa carità sulle anime degli altri, che siano cristiani o no”. Sentiva, tuttavia, di non aver fatto abbastanza e nel 1952 aprì la sua prima Casa del Moribondo per permettere alle persone morenti, raccolte per strada e dimenticate da tutti, di morire con dignità curate e amate: era lei stessa, spesso, a curarle in prima persona. Le autorità indiane le misero a disposizione alcuni locali destinati a questo scopo e lei una volta disse: “Abbiamo una casa del Moribondo accanto al tempio della dea Kalì, la divinità del terrore e della distruzione”. Nel 1979 ricevette il Premio Nobel per la Pace. Tra le motivazioni, venne indicato il suo impegno per i più poveri tra i poveri e il suo rispetto per il valore e la dignità di ogni singola persona. Anche se cagionevole di salute, ammise di non dormire più di 3 ore al giorno per poter portare avanti tutte le sue attività e niente riuscì mai a distoglierla dalla missione di servire i poveri e i bisognosi. Morì il 5 settembre 1997 a Calcutta, dove è sepolta presso la sede delle Missionarie della Carità. Sulla sua semplice tomba bianca è stato inciso il verso del Vangelo di Giovanni che dice: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv. 15,12). Il 19 ottobre 2003 fu proclamata beata da Papa Giovanni Paolo secondo. Per ben comprendere la profondità dell’anima di Madre Teresa, riportiamo alcuni suoi pensieri che, insieme al suo insegnamento di vita, ci introducono nel mistero della sua santità. Sulle Missionarie della Carità: “Serviamo Gesù nei poveri. Lo curiamo, lo nutriamo, lo vestiamo, lo visitiamo, lo consoliamo nei poveri, nei reietti, negli ammalati, negli orfani, nei moribondi. […] Tutto quello che facciamo è per Lui ed è Lui che ci dà la forza per farlo. […] Non andiamo mai dalla gente senza pregare. Il Rosario ha costituito e costituisce la nostra forza e la nostra protezione”. Sui suoi collaboratori: “[…] Il collaboratore sceglie una forma di vita che lo porta a vedere Dio in ogni essere umano. Vedendo Dio in ogni persona, iniziando ciascuno da coloro che gli sono più vicini, ci si sente pronti a condividere le sorti di coloro che sono soli, degli ammalati, degli afflitti, dei bisognosi e di coloro che nessuno ama né desidera”. Sulla fede nella Provvidenza: “Il denaro è una cosa di cui non ci preoccupiamo mai. Ci arriva sempre. E’ Dio che ce lo dà. Noi facciamo il Suo lavoro ed Egli ci provvede dei mezzi per compierlo”. Sulla povertà fisica e sulla povertà spirituale: “in primo luogo, vi è la povertà di cose materiali […] la fame vera e propria, ma esiste una fame molto più profonda e sentita. Si tratta della fame d’amore e di quella tremenda solitudine di sentirsi respinti, non amati, di vedersi disprezzati e abbandonati da tutti. […] Questa povertà del Cuore è spesso più difficile da soccorrere e da sanare.[…] Per poter servire adeguatamente i Poveri dobbiamo comprenderli, e per comprendere la loro povertà dobbiamo provarla. […] Oggi si parla molto dei poveri, ma non si parla ai poveri né li si conosce”. Sui lebbrosi e gli ammalati di AIDS: “La più grande malattia dei giorni nostri non è la lebbra o la tubercolosi, bensì l’esperienza e la sensazione di non sentirsi amati, protetti e di sentirsi, anzi, respinti da tutti”. Sull’Ascolto come cura delle persone sole: “In certe parti […] disponiamo di piccoli gruppi di ascolto. Vanno a casa delle persone, di gente molto comu- ne, si siedono insieme a loro e li lasciano parlare e parlare. Agli anziani […] piace avere qualcuno che li ascolti”. Sulla morte: “La morte è qualcosa di bello. Significa tornare a casa. Com’è naturale, noi ci sentiamo soli di fronte alla persona che ci lascia. Ma il fatto in sé è molto bello: quella persona è tornata a casa, con Dio”. Sulla spiritualità in azione: “La nostra predicazione non consiste in discorsi, ma nel porre in opera l’amore di Cristo e il nostro amore che si converte in atto vivo mediante il nostro servizio reso ai poveri nelle loro necessità”. Sulle apparizioni pubbliche: “Devo dire che, se accetto di recarmi alle varie cerimonie pubbliche, è perché in esse mi viene offerta l’opportunità di parlare di Gesù a gente che, altrimenti, chissà se avrebbe mai la possibilità di sentirne parlare”. Sulla preghiera: “Quanto più riceveremo nell’orazione silenziosa, tanto più potremo distribuire nella nostra vita attiva. […] La preghiera è semplicemente un parlare con Dio. Egli ci parla e noi l’ascoltiamo. Noi parliamo a Lui ed Egli ci ascolta. Un duplice processo di parola e di ascolto”. Sul rispetto delle altre religioni: “[…] Pregammo, in giorni successivi, con le comunità di religione indù, sikh, buddista, zoroastriana, ebraica, anglicana, protestante … Fu una cosa veramente straordinaria”. Sull’Amore e sulla fede in Dio: “Come si può amare Dio che non vediamo se non si ama il prossimo che vediamo e tocchiamo e con il quale viviamo?”. Nicola Di Gennaro - aprile 2014 5 DOPO LA MISTICA... LA MASTICA Le ricette di Pasqua Pastiera napoletana Preparazione del composto: Composto • • Ingredienti: Pasta frolla • gr 500 farina • 3 uova intere • gr 300 di zucchero • gr 200 di strutto impastare senza lavorare troppo (in alternativa usare pasta frolla pronta) • • • • • • gr 100 di latte 1 barattolo di grano precotto (normalmente reperibile al supermercato) gr 600 di zucchero 5 uova intere gr 700 di ricotta di pecora 2 tuorli 1 bustina di vaniglia 1 o 2 fialette di acqua di fiori d’arancio (secondo il gusto) 1. Versare il contenuto del barattolo di grano in un tegame aggiungendo 100 gr di latte e 30 gr di strutto o burro, una buccia grattata di limone. Scaldare per 10 minuti mescolando finché non diventa crema. 2. Frullare 700 gr di ricotta, 600 gr di zucchero, 5 uova intere e 2 tuorli, una bustina di vaniglia, la fialetta di fiori d’arancio. Aggiungere una buccia di limone grattuggiata, 10 gr di cedro a dadini, poi amalgamare tutto con il grano. 3. Distribuire la pasta frolla sulla teglia e versare uniformemente il composto. 4. Cuocere a fuoco moderato per circa un’ora a 180° (non ventilato), fino a colore ambrato. Spegnere il forno e lasciare che l’impasto si ritiri. 5. Al momento di servire spolverare con zucchero a velo. E’ consigliabile preparare tutto il composto un giorno prima e conservarlo in frigo, per far assimilare al composto tutti gli aromi. Elena Grillo ...PECCATI DI GOLA! Torta di cioccolato al latte Ingredienti: • • • • • • 5 uova gr 100 di farina 00 gr 200 di cioccolato al latte gr 150 di zucchero gr 100 di burro 1 cucchiaino di lievito per dolci Procedimento: 1. Fondere cioccolato e burro in un pentolino e lasciare intiepidire. 2. Separare gli albumi dai tuorli e montare questi ultimi con lo zucchero fino ad ottenere un composto gonfio e spumoso. 3. Aggiungere al composto il cioccolato fuso (freddo). 4. Setacciare farina e lievito ed aggiungerli al composto mescolando. 5. Montare a neve gli albumi ed aggiungerli al composto delicatamente. 6. Infarinare ed imburrare una teglia di 24 cm di diametro e cuocete per 30’ a 180’. Mousse al cioccolato fondente... con l’acqua Si, avete letto bene, mousse al cioccolato con l’acqua. Ora vi spiego. Il chimico francese Hervé This, studiando la panna montata, si rese conto che anche la cioccolata poteva subire lo stesso processo, perché contiene grassi e la lecitina di soia che è un emulsionante che viene aggiunto al cioccolato per meglio sciogliere lo zucchero. Basta aggiungere acqua nella giusta proporzione e fare raffreddare per ottenere un meraviglioso composto senza grassi aggiunti. Per 100 gr di cioccolato fondente al 70 % usare 115 gr di acqua. Ghiaccio. 6 - aprile 2014 Procedimento: 1. Fondere a fuoco molto basso il cioccolato in un pentolino con il fondo spesso. 2. Fuso il cioccolato, aggiungere l’acqua tutta in una volta ed emulsionare (girare con cucchiaio o spatola per dolci) per qualche minuto, finché l’acqua non sia completamente unita al cioccolato in modo da permettere alla lecitina presente di agire. 3. Prendere una ciotola capiente, riempirla di ghiaccio, mettere il cioccolato fuso ed emulsionato all’acqua in una ciotola più piccola che metterete sopra quella con il ghiaccio. 4. Procedere quindi con uno sbattitore elettrico e montare il tutto, in pochi minuti avrete una mousse perfetta ed assolutamente light! Federica Agresti IL BELLO DEL FAI DA TE Diorami Pasquali: la Passione per Amore L ’entusiasmo popolare ha voluto rappresentare la nascita di Gesù bambino nel presepio, inaugurato da San Francesco nel 1200 e, in modo analogo, esso ha suscitato in diversi artisti l’emozione per la passione di nostro Signore spingendoli a creare commoventi scene plastiche che raffigurano il sacrificio del Salvatore e la sua vittoria sulla morte. Non sappiamo di preciso a quando risalga questa pratica devozionale, ma è certamente successiva a quella che rappresenta la nascita di Gesù, con alcune differenze: mentre il Presepio viene preparato ogni anno, i diorami pasquali sono prevalentemente esposti in grandi santuari e resi disponibili alla venerazione dei fedeli tutto l’anno. Tecnicamente il diorama è la rappresentazione plastica di una particolare scena del Vangelo rappresentata nei minimi particolari che, con l’aiuto di una sapiente illuminazione e di un’appropriata atmosfera sonora, ne fa rivivere l’emozione e la drammaticità. Inoltre, così come la rappresentazione vivente della nascita di Gesù, più aderente all’originaria ispirazione di San Francesco è sempre più diffusa, anche la messa in scena vivente della Passione di Gesù è sempre più frequente. Le immagini più comuni dei diorami pasquali rappresentano l’ultima Cena, il processo e la flagellazione, la Crocifissione, la Sepoltura e la Risurrezione. In questo modo, le pagine drammatiche del Vangelo riprendono forma nelle mani commosse di artisti poveri, spesso sconosciuti, e si snodano davanti ai nostri occhi in scene così ricche di partecipazione da proiettarci nel Mistero. L’itinerario artistico parte da Assisi, per poi scivolare a Collevalenza, Latina, Brindisi e, i più fortunati, possono visitare la splendida chiesa del Belen di Barcellona. Ogni piccolo particolare viene ricreato per dare concretezza alla ricostruzione scenica in maniera tale da farci muovere pochi passi e trovarci immersi nel brusio del Cenacolo, nel silenzio impietrito del Golgota, nello stupore della pietra tombale rovesciata e del sepolcro vuoto: con poca creta Dio ha fatto l’uomo, con pochi personaggi di creta l’uomo getta i semi della memoria. Le stesse vite dei santi sono diventate soggetto della fervente perizia dei maestri presepisti: è il caso delle scene della vita di santa Maria Goretti a Latina. Vorrei segnalare alcuni luoghi che sono assolutamente da visitare: - la chiesa di San Vivaldo, nel comune di Montaione in provincia di Firenze, custodia francescana dal 1400, che conserva splendide scene con personaggi di terracotta policroma - la rappresentazione del Venerdì Santo che si svolge a San Severo a Foggia - i diorami della passione che vengono esposti ogni anno a Pasqua ad Aprilia, in provincia di Latina, - il presepio poliscenico di Saltocchio, in provincia di Lucca, strutturato nel centro di formazione professionale dei padri terziari cappuccini dell’Addolorata. A chiunque fosse interessato l’autore può mettere a disposizione tutte le informazioni per raggiungere e visitare i luoghi descritti. Alcune immagini sono state pubblicate per gentile concessione dell’associazione AIAP Gilberto Grossi - aprile 2014 7 DENTRO E FUORI LE MURA La Basilica di San Sebastiano fuori le mura ...la Nostra Casa S crivere della Basilica di San Sebastiano non è un compito semplice, sono troppi i sentimenti in ballo. Quando Marisa, il nostro direttore, mi ha proposto l’argomento, un treno di emozioni mi ha piacevolmente investito caricandomi di sensazioni: mi veniva affidato l’incarico di parlare della Nostra Casa. Una Casa speciale, perché non è la dimora in cui hai vissuto da bambino, ma il luogo in cui ti sei ritrovato da adulto riscoprendo Lui, stringendoti a centinaia di meravigliosi fratelli. La basilica di San Sebastiano, pertanto, non è semplicemente un edificio sacro ma è la nostra Casa e, come per molti dei primi cristiani di Roma, la prima vera Casa. SOTTERRANEI E CATACOMBA Come alcune delle famose “sette chiese” costantiniane, la nostra basilica nasce presso un luogo di sepoltura, detto ad Catacumbas. Un avvallamento tufaceo presso cui i pagani seppellivano i propri defunti rispettando la legge che, per ragioni igieniche, obbligava a seppellire i propri morti fuori dalla mura cittadine. Il prezioso lavoro degli archeologi, durato circa un secolo, ha permesso di suddividere i sotterranei della basilica in tre livelli: il primo, più basso e più antico, interessato da semplici sepolture pagane; il secondo, caratterizzato da tre ricchi mausolei e alcune unità abitative; il terzo, costituito da una fittissima rete di gallerie di sepoltura e da un luogo (Memoria) molto “speciale” per i cristiani. Nove metri sotto l’attuale pavimento, in corrispondenza del portone della chiesa, si trova, dunque, il secondo livello: la cosiddetta “Piazzuola”. Essa è un’area di sosta per coloro che rendevano omaggio ai propri defunti sepolti 4 metri più giù, all’interno di tre piccoli mausolei pagani. Questo sepolcreto venne utilizzato fino a quando, nel 258, la prima comunità cristiana di Roma lo interrò realizzando un portico, una piccola nicchia e una spaziosa area trapezoidale di sosta, detta triclia o trichila, dove commemorare la Memoria dei due defunti “celebri”: San Pietro e San Paolo. Durante le persecuzioni di Decio e di Valeriano, fu proibito ai cristiani di pregare presso i cimiteri e, quindi, anche presso 8 - aprile 2014 le tombe di Pietro e Paolo al Vaticano e sull’Ostiense; pertanto, la prima comunità decise di traslare le Sacre Reliquie dei Principi degli Apostoli e di collocarle in un luogo che le guardie imperiali non ritenessero “cimitero dei cristiani”: l’area dell’attuale basilica di San Sebastiano. Lì rimasero fino al 313 quando l’imperatore Costantino rese i cristiani liberi di professare la propria fede e costruì per loro “sette Chiese”. Tra esse le basiliche di San Pietro e di San Paolo, dove ricollocò le spoglie dei Santi titolari, e la Basilica Apostolorum, oggi San Sebastiano, con la quale rese merito a quel luogo così permeato di fede e amore in Cristo. La catacomba di San Sebastiano, però, è molto più antica della chiesa. Essa si è sviluppata per tutto il IV secolo ed è, tra l’altro, la prima e più grande catacomba della città. Il suo nome originale “Catacumbas”, venne poi attribuito anche alle catacombe successive. Ma a cosa servivano le catacombe? Erano davvero luoghi in cui i cristiani si rifugiavano durante le persecuzioni? Certamente no. Erano esclusivamente cimiteri sotterranei realizzati su terreni imperiali atti alla sepoltura dei defunti e, tra questi, vi è la fitta rete di gallerie della Catacumbas, oggi San Sebastiano. La dedicazione dell’intero complesso a San Sebastiano risale al IV secolo. Fu solo allora, infatti, che si iniziò a conoscere la storia di questo giovane milanese, tribuno della corte pretoria di Massimiano, che fu martirizzato dall’imperatore e le cui sacre spoglie apparvero in sogno alla matrona Lucina che, recuperandole, le conservò ad Catacumbas. Da allora il suo sepolcro diventò luogo di culto e la sua Santa figura sempre più venerata e popolare. LA BASILICA La prima basilica sorta presso la Memoria Apostolorum, fu voluta dall’imperatore Costantino che, in memoria di Pietro e Paolo, la titolò Basilica Apostolorum: un edificio a tre navate, ridimensionato nel corso del XVII secolo dal Cardinale Scipione Borghese. Egli ridusse l’ambiente da tre ad una sola navata, fece erigere da Flaminio Ponzio una nuova facciata e ordinò ad Annibale Durante il maestoso soffitto ligneo (1612). Entrando, sulla destra, appare il maestoso Cristo del Bernini, ultimo capolavoro del maestro del barocco romano. Accanto, vi è la Cappella delle Reliquie, costruita da Massimiano I nel 1625, dove, secondo la tradizione, sono conservate parti delle spoglie di Pietro, Paolo, Callisto, Fabiano, Sebastiano, Nereo, Achilleo, San Rocco e la pietra del “Quo Vadis, Domine?”. Di fronte vi è la Cappella di San Sebastiano con l’altare contenente le sue sante spoglie e la statua del Giorgetti. Proseguendo fino all’altare maggiore, sulla destra, si trova la Cappella Albani, eretta da Papa Clemente XI su disegno di Carlo Fontana (1706), con decorazioni dedicate a San Fabiano Papa. In fondo, l’altare maggiore. Qui si concentrano alcuni veri capolavori quali “la Crocifissione” del Tacconi (1614), “San Sebastiano si prepara al martirio” del Sigismondi (1618), i busti di Pietro e Paolo del Cordier (1618) e la meravigliosa Mensa: un sarcofago paleocristiano con due scene cristologiche e una petrina: sulla sinistra l’episodio del ter negabis (il momento in cui Pietro viene arrestato e rinnega per tre volte il Signore), al centro la moltiplicazione dei pani unita alla traditio legis (consegna del messaggio evangelico a Pietro e Paolo) e a destra la resurrezione di Lazzaro. Tutte le domeniche, dunque, camminiamo sui lunghissimi capitoli di una storia densa di significati, di amore, di lacrime, di gioia e di sofferenza: quella dei fratelli che ci hanno preceduti che, con la loro forza d’animo e il loro coraggio, hanno reso grande la Chiesa di Cristo Nostro Signore. Piero Giovinazzo - aprile 2014 9 CURIOSITÀ MEDICHE Forse non tutti sanno che Rubrica di curiosità mediche a cura del Prof. Livio Falsetto medico chirurgo specializzato in Medicina interna, Dietologia e Dermatologia Il formaggio: tanti pregi, pochi difetti Più di 400 tipi diversi in Italia! Chi ama i formaggi non ha che l’imbarazzo della scelta: freschi e stagionati, caprini, vaccini, pecorini, è bene conoscerli per valorizzare al meglio ogni prodotto e trovar loro la giusta collocazione nella dieta alimentare. Latte, caglio, sale. Il formaggio è tutto qui: tre ingredienti soltanto che aprono le porte a una varietà impressionante di sapori, consistenze e aromi. Alcuni sono molli, altri duri; alcuni hanno un gusto piccante, altri sono dolci; ci sono formaggi che hanno la pasta venata di muffe, altri bucherellata, altri ancora, come la mozzarella, si chiamano “a pasta filata” per il modo in cui vengono lavorati. Comunque una cosa è certa: nonostante sia stato chiamato periodicamente sul banco degli imputati da dietologi e nutrizionisti, il formaggio è e rimane un alimento prezioso. 10 - aprile 2014 I Le ragioni dell’accusa e della difesa n effetti, a un primo sguardo superficiale, i numeri sembrerebbero dar ragione ai detrattori del formaggio. Il contenuto medio di grassi nei prodotti caseari è in genere piuttosto elevato (dal 18-19% nei formaggi freschi sino ad oltre il 30% in alcuni stagionati), e non bisogna farsi ingannare dall’aria un po’ “acquosa” e leggera della mozzarella: per esempio 120 grammi di fior di latte forniscono oltre 300 calorie (quasi al 70% provenienti dai grassi). Sarebbe un grave torto, però, limitare le considerazioni sul valore nutritivo del formaggio al suo contenuto di materia grassa. Bilanciandone l’assunzione nella giornata con alimenti meno grassi, è possibile sfruttare al meglio tutti i pregi del formaggio che, c’è da dire, sono davvero tanti. Praticamente presenta, in forma concentrata, tutte le virtù del latte da cui si ottiene: digeribile e completamente assimilabile, il formaggio è ricco di proteine nobili, importanti per la crescita e il ricambio dei tessuti corporei; costituisce una fonte primaria di calcio, presente in perfetto rapporto con il fosforo e in forma facilmente utilizzabile dall’organismo; contiene buone quantità di vitamine A, D e del gruppo B. Inoltre, grazie alla scarsa presenza di lattosio, può essere ben tollerato anche da chi ha qualche problema nel digerire il latte. Sbaglia anche chi evita il formaggio per paura del colesterolo: una normale porzione di grana (60 gr) ne dà circa 65 mg mentre una porzione di gorgonzola (70 gr) ne apporta meno di 50 mg. Non sono davvero molti se si considera che mangiando un etto di coscia di tacchino, cotta e priva della pelle, si ingeriscono 108 mg di colesterolo e che la stessa quantità di filetto di vitello, saltato in padella senza grassi, ne dà quasi 100 mg. Tra l’altro, è dimostrato che il colesterolo assunto con gli alimenti pesa relativamente poco sulla colesterolemia: la maggior parte del colesterolo che circola nel sangue, infatti, viene prodotta dal nostro stesso organismo. Tirando le somme, si vede dunque come il formaggio meriti davvero attenzione non soltanto per il suo gusto eccellente, ma anche per le sue virtù nutritive, basta solo non eccedere… Proteine (g) Grassi (g) Carboidrati (g) Sodio (mg) Potassio (mg) Ferro (mg) Calcio (mg) Fosforo (mg) vit. A (mcg) Colesterolo (mg) Brie Camembert Crescenza Emmentaler Feta Fior di latte Fontina Gorgonzola Grana Gruyère Mascarpone Parmigiano Pecorino Provolone Ricotta di pecora Ricotta di vacca Dr. Livio Falsetto Acqua (g) Composizione nutritiva per 100 g di formaggio I formaggi di capra: più leggeri e più digeribili Ottime quantità di calcio e fosforo (minerali indispensabili per la salute), proteine tra le più pregiate, un buon contenuto di grassi e una presenza comunque ridotta di colesterolo: il profilo nutritivo dei formaggi di capra non differisce molto da quello dei corrispondenti prodotti vaccini o pecorini. Alcune diversità, però, ci sono: particolarmente affine al latte umano nella sua composizione, quello di capra è considerato ideale anche per i bambini grazie alla sua elevatissima digeribilità. Le piccole dimensioni delle particelle di grasso facilitano l’azione dei succhi gastrici e degli enzimi e questa caratteristica del latte di capra si ritrova anche nei formaggi, soprattutto in quelli freschi, decisamente più digeribili degli analoghi vaccini. Infine, un altro pregio di questi prodotti caseari è nella relativa ricchezza di ferro e potassio, entrambi minerali utili all’organismo: il primo per l’ossigenazione del sangue e il secondo per il mantenimento dei giusti livelli di pressione sanguigna. Calorie La leggerezza della ricotta E’ buona, è fresca, piace a tutti ma…non è un formaggio. La ricotta, infatti, non si ottiene dal latte, ma dal siero che rimane dopo che il latte è stato usato per fare il formaggio “vero”. Questo non significa, comunque, che la ricotta sia un cattivo prodotto. Semplicemente, essendo fabbricata con il siero e non direttamente con il latte, la sua composizione è un po’ diversa dai tradizionali formaggi freschi. In media un etto di ricotta fresca di vacca fornisce circa 9 g di proteine, 11 di grassi e dà meno di 150 calorie. Sono valori decisamente bassi, per esempio, di quelli della crescenza, che dà mediamente 16 g di proteine e 23 g di grassi, per un totale di 280 calorie ogni etto. Si tratta di un prodotto piuttosto leggero, quindi, ma ugualmente interessante sotto il profilo nutritivo: la ricotta contiene proteine di ottima qualità, vanta un buon contenuto di calcio e si digerisce molto facilmente. 319 297 281 403 250 253 343 324 384 389 455 387 392 374 157 146 48,6 50,7 58,3 34,6 57,1 58,8 41,1 58,8 32 32,1 44,4 30,4 34 39 74,1 75,7 19,3 20,9 16,1 28,5 15,6 18,7 24,5 19,1 33 30,6 7,6 33,5 25,8 28,1 9,5 8,8 26,9 23,7 23,3 30,6 20,2 19,5 26,9 27,1 28 29 47 28,1 32 28,2 11,5 10,9 0 0 1,9 3,6 1,5 0,7 0,8 1 0 1,5 0,3 0 0,2 0 4,2 3,5 700 650 350 450 1440 200 451 600 700 332 86 600 1800 860 85 78 100 100 110 107 95 145 89 111 120 80 53 102 90 139 98 119 0,8 0,2 0,1 0,3 0,2 0,4 0,3 0,3 0,2 0,5 0,2 0,7 0,6 0,5 0,3 0,4 540 350 557 1145 360 350 870 401 1165 1123 68 1159 607 720 166 295 390 310 285 700 280 350 561 326 692 685 97 678 590 521 153 237 320 283 135 343 226 219 420 287 224 400 430 373 280 390 260 128 98 78 53 122 68 46 116 70 109 110 188 91 112 73 42 57 - aprile 2014 11 BUONE NOTIZIE Sicurezza stradale: arrivano gli Ambasciatori dell’Aci L o scorso anno, l’Automobile Club d’Italia ha avviato il primo progetto formativo in Europa riservato a 3.000 automobilisti stranieri. Anche nel 2014 verranno offerti 1.000 corsi gratuiti di guida sicura agli stranieri che guidano nel nostro Paese che così diffonderanno in famiglia e nelle rispettive comunità nazionali il valore del rispetto del Codice della Strada. Il progetto formativo, denominato “Ambasciatori di Sicurezza Stradale”, patrocinato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e sostenuto da SARA Assicurazioni, nasce sia dal fatto che gli stranieri rischiano il doppio degli italiani sulle strade del nostro Paese ( il 6,4% degli automobilisti italiani è coinvolto in un incidente all’anno mentre per gli stranieri la percentuale sale fino al 13,5%), sia dall’esigenza di coniugare la sicurezza stradale con la necessità di muoversi, elemento fondante della stessa civile convivenza. “L’educazione alla sicurezza stradale e l’integrazione dei popoli sono i due elementi fondamentali - dichiara Ascanio Rozera - Segretario Generale dell’ACI - , ma non meno importante è garantire la sicurezza dei cittadini tutti - italiani e non -, che si muovono in Italia, in automobile o con altri mezzi di trasporto. La sicurezza stradale, infatti, non è una questione di razza o di colore della pelle, ma un obiettivo che l’ACI persegue anche con questo progetto formativo, improntato al valore dell’accoglienza. Nel corso delle lezioni sulla Guida Sicura, infatti, non ci si limita a parlare di regole, statistiche, comportamenti e Codice della Strada ma si cerca di esaminare ed approfondire valori come il rispetto della vita nelle sue varie declinazioni, della famiglia e dell’amicizia”. “Fino ad oggi sono stati oltre 2.800 gli automobilisti stranieri nominati “Ambasciatori di Sicurezza Stradale” – di cui 1.200 soltanto nella Regione Lazio - ha affermato Monika Jakiela, General Manager dell’agenzia DMA – Servizi, coordinatrice dell’iniziativa. Numeri che fanno comprendere quanto questo progetto sia stato recepito ed apprezzato dalle comunità straniere presenti in Italia. Il progetto coinvolge attivamente anche gli Automobile Club provinciali che contribuiscono all’individuazione degli automobilisti da formare nelle 18 giornate previste nell’anno. In ciascuna sessione, 60 ‘allievi’ raggiungono il Centro di Guida Sicura di Vallelunga, alle porte di Roma, con pullman messi a disposizione dall’organizzazione. Presso il Centro ACI-Sara di Vallelunga, per esempio, quest’anno si è svolto un corso di guida sicura riservato all’Università Pontificia Salesiana di Roma. Alla presenza di Mons. Jaroslaw Rochowiak, Segretario Generale dell’Università, vi hanno partecipato 70 automobilisti stranieri: suore, sacerdoti, studenti e professori provenienti da Egitto, Colombia, India, Slovenia, Congo, Nigeria, Messico, Ecuador, Angola, Haiti, Ciad, Romania e Polonia. Per partecipare gratuitamente è necessario compilare l’apposito modulo reperibile su: www.aci.it oppure www.vallelunga.it L’Automobile Club d’Italia, grazie a questo progetto, nel 2013 si è aggiudicato il premio europeo ‘Best Practice Certificate’ istituito dall’EPSA - European Public Sector Award nella categoria ‘progetti europei o nazionali’. Andrea Cauli 12 - aprile 2014 STATO DELL’ARTE DELLA COMUNITÀ A che punto siamo? PROGETTO KOMONO L e difficoltà incontrate da Pierre, come sapete, sono tante. Al momento siamo concentrati sul problema, per noi prioritario, dell’acqua potabile. E’ già stato chiesto un preventivo per la realizzazione di un pozzo. Contemporaneamente abbiamo aperto il fronte energia. Stiamo cercando un gruppo elettrogeno da spedire via mare. Chi è interessato a contribuire alla realizzazione di questi progetti può trovarne i dettagli sul sito www.ciaofrate.org o chiedere informazioni a Maria Teresa che li coordina. INIZIATIVA “DIAMOCI UNA MANO” L a crisi economica ci ha colto tutti impreparati, perché allora non proviamo ad aiutarci? Nella nostra Comunità c’è chi offre lavoro e chi lo cerca: noi possiamo farli incontrare. C’è chi vorrebbe disfarsi di mobili, carrozzine, passeggini, lettini per bambini ecc. e c’è chi ne ha bisogno, noi possiamo metterli in contatto. Abbiamo dedicato una pagina del nostro sito www.ciaofrate.org a questo scambio. La prima sezione è dedicata al progetto Offro lavoro/Chiedo lavoro e la seconda al progetto Offro in dono/Chiedo in dono. SCATOLA DEI SUGGERIMENTI C ome potrete constare, già in questo numero appaiono diverse firme nuove. Certi di agevolarvi, oltre che la possibilità di contattarci via mail all’indirizzo [email protected], abbiamo pensato di predisporre una cassettina dei suggerimenti, che ogni domenica, durante la Messa delle 12, sarà posizionata su uno dei tavolini dove normalmente vengono messe a disposizione le letture del giorno. Scriveteci per esporci le vostre idee. Farmacia PROVIDENCELAND Possiamo affermare con orgoglio che la Farmacia della Comunità del Pettirosso è una realtà. Stiamo ancora cercando dei locali da dedicare alle diverse attività della Providenceland, ma i farmaci che grazie alla Vostra generosità e a quella di farmacie, cliniche, medici, organizzazioni, varie ecc. ci sono pervenuti, sono stati inseriti in un database, catalogati e sistemati in contenitori provvisori ma agibili grazie alla collaborazione volontaria di un paio di “pettirossine”. Già diverse organizzazioni benefiche ci hanno contattato per averne e tanti ne sono già stati consegnati. Quindi non interrompete questa catena virtuosa. Pet Therapy A metà febbraio sono iniziati i corsi della Pet Therapy riservati alla Comunità del Pettirosso. Sono circa una decina i volontari che si stanno addestrando, insieme ai cani messi a disposizione da Providenceland, a questa particolare attività di supporto alla medicina tradizionale nella cura di malattie fisiche e mentali. A settembre la squadra sarà in possesso dell’attestato e pronta ad iniziare. Si è sparsa la voce e le richieste di collaborazione già cominciano ad arrivare. Un ringraziamento particolare va alla sig.ra Marina Bozzetti che ha provveduto al sostentamento dei volontari con appetitosissimi manicaretti. Poliambulatorio I medici aderenti al network continuano nella loro attività di visita e cura di malati economicamente disagiati. L’infaticabile Luigina è sempre pronta, telefono e penna a alla mano, a prendere appuntamenti e smistare visite. Vi ricordiamo il suo cellulare: 3207535713. Non esitate a segnalare casi meritevoli di aiuto. Marisa Grillo .. padre, se faccio l’amore è peccato?! confessionale Nooh.. figlia mia... ...è un... miracolooooo! cercasi volontari - aprile 2014 13 ESSERE CARITA’ Finalmente!!! In una giornata molto difficile per la popolazione romana colpita da un diluvio d’acqua che ha messo a repentaglio le loro case e, in alcuni casi, le loro persone, numerosi fedeli si sono rifugiati in una chiesa per pregare e cercare protezione. La pioggia non cessava ed era pericoloso tornare a casa. Il sacerdote si è fatto carità e li ha accolti tutti facendo passare loro al sicuro una notte diffcile. Questa notizia è stata data da un giornale di cui non ricordiamo il nome. Uno scrittore l’ha letta e così ha scritto per il nostro giornale: “ Oh Signore com’è bella la tua terra! Aiutaci a scoprirla e ad apprezzarla... La messa è finita...” La messa era finita ed i fedeli, pochi in verità, cominciarono a sciamare affamati verso casa. Ma quel giorno sembrò che dal cielo piovessero chiodi. 14 - aprile 2014 Acqua, acqua a catinelle che, improvvisamente, senza il minimo preavviso, allagò tutto il quartiere, fece straripare il fiume e coprì, infine, ogni cosa con una spessa patina di un pattume limaccioso e puzzolente. Fogna, puzza di fogna. Tutto ne fu sommerso. Telefoni in tilt. Viabilità completamente bloccata e nervi a fior di pelle, ansia che risalì preponderante dalle viscere e sfogò in conati maligni di “francesismi” a dir poco inascoltabili. “Il Signore ci aiuterà” continuava a ripetere instancabile il sacerdote sopraffatto anch’egli da un panico professionale che gli attanagliava lo stomaco. “Come posso aiutarli? Dove andranno a dormire stanotte? Ed i bambini? Come potranno tranquillizzare i bambini?” Tutte queste domande affollavano la povera mente del mite sacerdote. Intanto sul sagrato, posto su un’altura per fortuna, incominciò ad affluire tutta la gente del quartiere che lì accorse, che lì cercò rifugio, che da lui cercava risposte! E già qualche alito maligno cominciava ad aleggiare feroce: “Predica bene e razzola male... e la provvidenza, la misericordia? Abbiamo bisogno d’aiuto che faccia qualcosa!”. Al sacerdote sembrò di trovarsi nelle medesime condizioni di Gesù tra i lebbrosi, assillato da richieste di guarigioni miracolose, da pretese d’aiuto ineludibili e dallo strazio del dover assistere impotente ad una sofferenza montante e perversa. Cosa fare? S’inginocchiò, allora, davanti all’enorme portone sbarrato della chiesa e fece l’unica cosa che sapeva veramente fare: pregò, pregò così intensamente da far grondare sudore ogni singolo suo poro, poi, come sollevato, s’alzò, spalancò il portone i cui battenti si protesero verso il cielo come le braccia misericordiose di un Cristo accogliente e pronto ad esaudire le richieste ed accolse, accolse tutti nella chiesa con un sorriso dolce e sincero: “Venite ..., venite ..., entrate ..., entrate tutti , abbiamo un tetto, di che sfamarvi e per i bambini … per i bambini ci sono anche giochi e qualche dolce”. Il sacerdote, soddisfatto, accolse tutti in chiesa, ma era stanco e mormorò provato tra sé e sé: “Oh Signore come farò ad aiutarli tutti? Ed il futuro ..., il futuro Signore ...? La fede ci aiuterà!”. P.S. Mia modesta interpretazione, forse un po’ fantasiosa, di un fatto realmente accaduto a Roma durante la recente alluvione. Vincenzo Belcastro Le mie Suorine C iò di cui mi accingo a parlare non è altro che amore: il motore di questa nostra vita, quello di cui da millenni il Signore ci omaggia con infinita grandezza. È un linguaggio che non conosce barriere di alcun tipo, non fa caso al colore della pelle, non bada a differenze ideologiche o religiose, ma ci abbraccia tutti con infinita dolcezza. Questo amore, fatto di misericordia, di accoglienza e comprensione è la summa della vita delle suore missionarie della carità di madre Teresa di Calcutta presso cui svolgo il mio volontariato. La prima cosa che mi ha stupito, quando per la prima volta sono entrato nella loro casa di accoglienza, è stata la serenità e l’armonia che si respirava in quel luogo. Non mi hanno colpito le gravi difficoltà materiali e fisiche delle persone accudite dalle suore, non le loro patologie, a volte molto serie, non i disagi morali che tali malattie di solito procurano, né la solitudine che aggrava la vita di un essere umano in queste condizioni disagiate. Quello che mi ha sorpreso è stata la differenza eclatante di questo luogo rispetto a quelli in cui avevo fatto esperienza di volontariato precedentemente. Dalle suore missionarie è tutto spontaneo, non si cerca l’ammirazione, non si vuole enfatizzare la propria figura, si fa quel che si sente dentro. Ormai sono quasi due anni che presto un po’ del mio tempo alla loro causa e ho imparato ad impegnarmi in compiti che non avrei mai pensato di sapere portare a termine: lavori anche duri, pesanti, difficili come può essere quello di macellare un agnello intero e vi assicuro che, senza la dovuta esperienza, è una cosa alquanto sgradevole. Tuttavia, il pensare che il mio tempo dedicato al volontariato in questo luogo è limitato a solo tre ore alla settimana e il confrontarlo con il loro che, tolte le preghiere e i pasti frugali, è dedicato ai sofferenti per l’intera giornata senza soluzione di continuità, mi commuove al punto da non potere dire: “Io questo non lo faccio” o solo pensare di non riuscire a farlo. Il loro sorriso, i loro continui ringraziamenti mi sorprendono. Io mi fermo lì qualche ora e loro mi ringrazia- no come se avessi donato loro gli ultimi giorni della vita. “Che Dio ti benedica”, è la loro parola d’ordine qualunque cosa io faccia; in questa casa c’è Dio con il suo amore profondo per ognuno di noi: si vive, si respira con Gesù. Non si può fare a meno di sentirsi leggeri come una piuma ogni volta che si torna a casa e si è sicuri che c’è qualcuno che ci aiuta a portare il nostro carico di difficoltà. Io lavoro principalmente in cucina, ma sono molteplici le attività che si possono svolgere nella casa di accoglienza, per esempio, scaricare e catalogare tutto il materiale proveniente da semplici privati o da grandi società per il fabbisogno generale:����������������������������������������� dagli alimenti, al vestiario, ai prodotti per l’igiene e la salute. È accoglienza a tutto tondo, non ci si preoccupa solo del mangiare, ci sono anche le camerate da pulire, sistemare, rifare i letti, o magari fare compagnia agli ospiti, anche questo è un lavoro benedetto, stare insieme a loro e parlargli dallo sport alla religione, eh si, perché gli ospiti non sono solo Cristiani, vi sono persone che professano altre religioni. Anche in questo si seguono gli insegnamenti di Gesù: una persona bisognosa si aiuta senza distinzione di sorte, la compassione è universale. Questo è uno degli aspetti che più mi affascina della mia esperienza presso le suorine, come amo chiamarle io, a volte sono l’unico italiano, si parlano tutte le lingue, con netta prevalenza dell’inglese che è la lingua delle sorelle di Madre Teresa. Si mescolano tante etnie, tanti colori, ma la differenza è solo apparente perché, come per magia, ci sentiamo tutti fratelli, tutti figli di un Dio immenso e amorevole. Sono giunto alla fine di questa piccola testimonianza dedicata a queste persone sante che fanno della loro vita una missione al servizio dei più poveri fra i poveri, dei malati e di chi non ha nessuno con cui piangere o ridere. Io voglio ringraziarle tutte, indistintamente, con tutto il cuore. Porto nel cuore in modo particolare suor Glorina, una suora dello Sri Lanka, la cui dolcezza e il cui sorriso hanno saputo curare molte delle mie ferite interiori. Claudio Serafini - aprile 2014 15 UNO DI NOI Piero Magrì.. I l volto amico di Piero mi accompagna in ogni momento della giornata ed è per me motivo di grande serenità e gratitudine. Posso descrivere la sua persona come l’uomo delle Beatitudini: buono, coerente, sempre animato dall’energia del bene, capace di accoglienza generosa, lontano da ogni pregiudizio, profondo nelle intuizioni, semplice nel presentarsi, gigante nel lavoro, umile nel considerarsi, eclettico nel sapere, disponibile a consigliare e ad aiutare gli altri e roccia salda nella fede. Questo è l’amico che mi ha camminato accanto per diversi anni e ha fatto parte della nostra Comunità del Pettirosso. Di origini siciliane, ne conservava la solarità e la squisitezza dell’accogliere e dell’ospitare. Quando andavo a trovarlo gli brillavano gli occhi e mi riceveva con quel suo modo familiare, discreto, educato che fa sentire l’ospite la persona più gradita al mondo. Piero è sempre stato un uomo innamorato: amava la vita e l’attraversava come fosse un’avventura, amava la natura e se ne inebriava quando aiutava sua moglie Daniela nelle mostre d’arte o nella pubblicazione dei suoi libri, si deliziava della lettura che considerava fonte di continua ricchezza, amava il suo lavoro che svolgeva come una missione: il culmine dell’amore, però, lo ha sempre trovato nella sua famiglia, in essa ha sperimentato l’àgape di tutte le virtù. L’incontro con sua moglie Daniela ha reso la sua vita completa, li ho uniti in matrimonio io il 22 luglio del 2001 e in vita mia non ho mai incontrato coppia più affiatata: due corpi e un’anima, una testimonianza per tutti. Laureato in ingegneria elettronica ha ricoperto ruoli prestigiosi alla SIP (ora Telecom), all’Ospedale Bambino Gesù di Roma come capo Ripartizione responsabile del Centro Elaborazione Dati e alla Casa di cura “Sollievo del16 - aprile 2014 la Sofferenza” a San Giovanni Rotondo dove ha offerto un contributo di esperienza e competenze fondamentale per l’ammodernamento del sistema informativo aziendale della struttura. Le testimonianze che accompagnano il suo ricordo sono concordi nel descriverlo una persona sempre presente che ha seminato amore, un uomo speciale con la capacità di ricercare i valori della vita e di viverli con gioia, un individuo essenziale incapace di superficialità. I suoi collaboratori lo hanno sempre apprezzato per il suo valore umano e manageriale, per la professionalità con cui svolgeva il suo lavoro pur senza mai ostentare i talenti che Dio gli aveva dato. Mi piace ricordare il Pane a doppia lievitazione che impastava con le sue mani e ne faceva dodici panini con il segno della croce di Cristo in rilievo e li portava nella nostra chiesa per imbandire la tavola dell’Ultima Cena il Giovedì Santo. Daniela ha detto durante la Santa Messa con la quale lo abbiamo salutato: “Piero mi ha insegnato che si può vivere l’infinito nel nostro quotidiano”, con queste sue parole porto nel mio cuore Piero perché è vivo in Dio e con sant’Agostino dico: “Signore, non ti chiedo perché ce lo hai tolto, ma ti ringrazio perché ce lo hai dato”. Padre Renzo Campetella Piero Magrì è tornato alla Casa del Padre il 5 marzo 2014 alle ore 11.