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La farfalla non vive per cibarsi ed invecchiare, vive solamente per

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La farfalla non vive per cibarsi ed invecchiare, vive solamente per
La farfalla non vive per cibarsi ed invecchiare,
vive solamente per amare,
e per questo è avvolta in un abito mirabile…
Tale significato della farfalla
è stato avvertito in tutti i tempi e da tutti i popoli…
È un emblema sia dell’effimero,
sia di ciò che dura in eterno…
È un simbolo dell’anima.
Hermann Hesse
EDITORIALE
Comunità in cammino
S
iamo tornati da poco dal
nostro ritiro di Assisi sul
tema: “Il Cammino della
Preghiera”. Trecento persone si
sono incontrate per essere comunità
Comunità del
in
cammino. I tre giorni che ci hanno
Pettirosso
uniti ci hanno liberati dalla stanchezza,
dalla pesantezza dei problemi quotidiani, ci hanno
riempito il cuore e allargata la mente.
Il tema portato avanti ci ha fatto meditare sul nostro
rapporto con Dio attraverso la preghiera, perché è attraverso
essa che noi incontriamo il Signore, lo ascoltiamo, lo
tocchiamo, lo seguiamo.
Tutti preghiamo, tutti ci rivolgiamo a Dio nel nostro
quotidiano: abbiamo sempre richieste da sottoporgli, grazie
da chiedergli, intercessioni da portare avanti … questo è
certo un modo per metterci in preghiera perché, in qualsiasi
modo noi ci rivolgiamo a Lui, significa che lo riconosciamo
come Padre, come Creatore Onnipotente che veglia su
di noi. Tuttavia, la “preghiera” è un’altra cosa, essa è un
cammino di fede, un iniziare i primi passi incerti, per poi
camminare spediti e poi correre, volare, attraversare i campi
profumati di un Paradiso iniziato in terra che continuerà per
sempre nell’eterno di Dio.
La preghiera incontrata in questo ritiro è un colloquio
tra amici, un perdersi in un amore che dà senso alla vita, un
vivere in simbiosi con l’Unico che ci conosce veramente,
che ci ha scelto così come siamo, che non pretende nulla
da noi e che ci dice: “Venite, riposatevi sul mio cuore,
ascoltatene i battiti, sta battendo per voi, ho bisogno del
vostro amore, donatemelo tutto e in cambio io vi darò me
stesso”.
Come non cambiare allora? Come continuare a sentirsi
soli, diffidenti, annoiati, tiepidi o depressi? Forse c’è
qualcosa che non va nel nostro essere cristiani del cordoglio,
della tristezza, del sacrificio o delle lacrime, forse è arrivato
il momento di diventare cristiani del sorriso, dell’ascolto,
dell’accoglienza e della preghiera: “Essere cristiani così è
il carisma che si è dato la nostra Comunità del Pettirosso”.
In un precedente editoriale abbiamo parlato della nostra
comunità, abbiamo spiegato come è nata e il perché si
è scelto questo nome. Lo ripetiamo in breve per chi si
avvicina al nostro giornale “ Ciao frate’ ” per la prima volta.
La Comunità del Pettirosso si è formata intorno alla
persona di padre Renzo, frate francescano, innamorato di
Dio. Egli ha il carisma del sorriso gioioso, della risata che
coinvolge e risana e sa mettere in cammino verso Cristo
Salvatore coloro che, attraversando la sua strada, sono
disponibili ad amare gli altri come Gesù ama loro (o almeno
ci vogliono provare).
Essa si è sviluppata attraverso gli anni senza un nome
preciso ed è stata battezzata “Comunità del Pettirosso”
il 6 ottobre del 2013, quando è stato dato alle stampe e
distribuito il numero zero del nostro giornale. Il “Pettirosso”
è il nostro pastore che ha deciso di seguire Cristo grazie
a un piccolo pettirosso, appollaiato su un albero innevato
a pochi centimetri dal suo capo, ed ha cinguettato per lui
trasmettendogli il messaggio d’amore del Signore in un
momento di buio spirituale.
Molte persone accorrono ad ascoltare la parola di Dio
pronunziata dal nostro pastore e, spesso, sono incuriosite
dall’amore che unisce gli appartenenti alla nostra comunità
e ci chiedono spiegazioni, ci domandano chi siamo, cosa
facciamo e come entrarne a fare parte. La risposta è
semplice: siamo una comunità di preghiera, di ascolto e di
accoglienza. Preghiera che unisce a Dio e intercede per chi
è in sofferenza, ascolto per chi si sente solo e ha bisogno di
un sorriso o di una parola fraterna, accoglienza nella fede
che si fa atto d’amore per chi è in difficoltà. Per farne parte
bisogna sapere amare, rispondere all’invito del Signore che
ci chiama. Non c’è bisogno di tessere o di biglietti d’invito,
basta entrare, pregare, ascoltare, accogliere gli altri come
fratelli e poi, se non ci si sente in armonia con essa, non ci
sono dimissioni da presentare: si esce portandosi via quel
bene che Dio ha donato a chi è passato.
Periodico a diffusione interna
Diffusione e stampa in proprio
Attività editoriale a carattere non commerciale ai sensi
previsti dall’art. 4 DPR 16/10/1972 n. 633 e succ. mod.
Redazione: Via della Nocetta, 171 Roma
Contatti: [email protected] - www.ciaofrate.org
Direttore Responsabile: Marisa Grillo
Grafica: Patrizia Ruscio
Hanno collaborato a questo numero: Di Gennaro Nicola,
Vincenzo Belcastro, Gilberto Grossi, Renzo Campetella,
Maria Teresa Lo Bianco, Piero Giovinazzo, Claudio Serafini,
Federica Agresti, Elena Grillo, Marisa Grillo, Andrea Cauli,
Livio Falsetto.
In copertina “Vita” di Patrizia Ruscio
Aspettiamo i tuoi suggerimenti e le tue idee... Scrivile a
[email protected] o lasciale nella cassetta predisposta in chiesa
2
- aprile 2014
LA TERAPIA DEL SORRISO
Azzurra e Argento... una favola per tutti
N
el presentare ai lettori di “Ciao Fraté” la
favola da me scritta, la prima parola che sale
spontanea alla mia mente è la parola “Amore”.
Non è banale presentare il mio libro così perché questo è il
sentimento che si respira nella sua lettura.
Essa, come tutte le favole, ha per protagonisti degli
animali e il suo racconto si conclude con una morale. Gli
animali da me scelti sono due tortore particolari, quelle
che portano al collo un collare orientale. La loro scelta è
stata indotta alla mia fantasia dal loro essersi materializzate
davanti al mio sguardo più volte in modo improvviso
ed essersi fermate per lungo tempo tanto vicine a me da
poterne cogliere a pieno la bellezza. Ho dato loro il nome
di Azzurra e Argento per le venature del mantello che le
differenziava.
La loro storia è inserita nella Palestina
antica e racconta il loro incontro con Gesù, il
loro rimanerne affascinate e la loro incredibile
avventura che le porta a diventare le apostole
amiche di Cristo che lo sostengono nei
momenti più tragici della sua Passione.
Solo due creature, alate,
semplici e pure potevano
comprendere il linguaggio
d’amore di nostro Signore, saperlo
ascoltare, parlargli e poi seguirlo
ovunque con la fede naturale dei
piccoli di Dio.
Azzurra e Argento sono due sposi innamorati che covano
insieme le uova e allattano entrambi la prole attraverso il
liquido lattiginoso che il loro gozzo secerne spontaneo.
Azzurra è la più coraggiosa dei due, è la madre coraggio
che si butta senza pensare, che si dona tutta perché non
ha paura d’amare fino a diventare lei stessa il prototipo
dell’amore evangelico.
La favola è immersa in una natura rigogliosa che si snoda
tra i fiori colorati che profumano i prati, tra le acque del
lago, il rumore delle acque dei fiumi, tra gli alberi frondosi
e all’ombra delle tamerici. La natura parla attraverso il loro
canto e la loro preghiera e affascina il lettore che ne viene
avvolto.
I sentimenti delle due piccole creature sono quelli che
Gesù vorrebbe scorgere nel cuore dell’uomo e danno al lettore il parametro di un individuo felice che vive con la pace
in cuore.
Una favola che vuole mettere a nudo i sentimen-
ti più profondi poteva solo essere scritta in versi. La melodia che si sprigiona
dalle sue righe proviene dall’allitterazione, dalle rime nascoste, dalle assonanze che la rendono
uno spartito musicale. Nei passaggi cruciali, i versi si addensano in una rima che tambura l’orecchio del lettore e lo
fa partecipe della drammaticità del momento.
Altro argomento messo in luce è il mistero. Il divino
viene solo intuito dalle due tortorelle e alla sua presenza
il loro canto s’interrompe e s’interiorizza in una preghiera
solo meditata, in un timore reverenziale, in un’unione
spirituale con tutto il creato.
La favola è narrata in otto quadri introdotti da un
acquerello
realizzato
da
Patrizia Ruscio che, con la sua
sensibilità pittorica, ne anticipa
l’argomento.
Il cantico finale introduce
la morale della favola: essa
consiglia agli umani di entrare in
loro stessi e vivere la bellezza del
Vangelo di Cristo per diventare
i tutori illuminati e attenti
dell’intero creato.
Maria Teresa Lo Bianco
- aprile 2014
3
PERSONAGGI AL CALEIDOSCOPIO
Madre Teresa di Calcutta
“Per sangue e origine sono albanese. Ho la
nazionalità indiana. Sono una religiosa cattolica. Per la mia vocazione, appartengo al
mondo intero. Il mio cuore, però, appartiene
interamente al Cuore di Gesù.”
C
on queste poche semplici frasi Madre Teresa di
Calcutta, tanto minuta nel fisico quanto un gigante nello Spirito, descrive telegraficamente
se stessa nel suo libro autobiografico “La mia vita” dove
afferma umilmente: “Io non sono che una piccola matita
nelle mani di Dio. È Lui che scrive. È Lui che pensa. È Lui
che decide.”
Due segreti hanno caratterizzato la vita di Madre Teresa di Calcutta. Il primo riguarda la sua avventura, che non
scaturì da un’intuizione personale, ma fu ispirata da Gesù
Cristo stesso con il quale dialogò a lungo nel silenzio del
cuore.
Il secondo riguarda la “notte oscura” che, dopo quelle locuzioni, Madre Teresa sperimentò per il resto della sua vita.
Pur sentendosi abbandonata da Dio, ella decise di “amarlo
come non era mai stato amato prima”. La sua fede eroica
e salda, la sua fedeltà, il coraggio e la gioia durante questo
doloroso e prolungato periodo di prova, fanno risaltare ancor più la sua santità.
Comprese che la “oscurità” era il “lato spirituale del suo
lavoro”, tanto da affermare: “Se mai sarò santa, sarò di sicuro una santa dell’oscurità. Sarò continuamente assente
dal Paradiso per accendere la Luce a coloro che, sulla
Terra, vivono nell’oscurità”.
Nata a Skopje il 26 agosto 1910, Agnes Gonxha Bojaxhiu
(la futura Madre Teresa di Calcutta) sentì da giovanissima
la chiamata a servire Dio incontrandolo nei poveri. A 18
anni chiese ed ottenne il permesso di partire per l’Irlanda
e unirsi alle Suore di Nostra Signora di Loreto e, quando
nel 1931 prese i voti religiosi, scelse di chiamarsi Teresa
in onore di Santa Teresa di Lisieux, la santa patrona dei
missionari.
Dopo pochi mesi di noviziato le fu concesso di andare in
India dove iniziò a lavorare come insegnante. Presto, però,
capì che questo non le bastava: sentiva che servire gli altri
era il cuore degli insegnamenti di Gesù. Si ripeteva spesso:
“In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a
uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a
me” (Mt. 25,40).
Il 10 settembre 1946, durante il viaggio in treno da Calcutta a Darjeeling, ai piedi dell’Himalaya, ebbe la chiamata
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nella chiamata per saziare la
sete di Gesù servendolo nei più
poveri dei poveri.
La diffusa povertà di Calcutta ebbe un impatto così profondo su di lei che la portò a fondare, nel 1950, la congregazione delle Missionarie della Carità alle quali insegnava
che: “Una missionaria della Carità deve essere una missionaria dell’amore. Deve essere piena di carità dentro l’anima sua e spargere questa carità sulle anime degli altri, che
siano cristiani o no”.
Sentiva, tuttavia, di non aver fatto abbastanza e nel 1952
aprì la sua prima Casa del Moribondo per permettere alle
persone morenti, raccolte per strada e dimenticate da tutti,
di morire con dignità curate e amate: era lei stessa, spesso,
a curarle in prima persona. Le autorità indiane le misero a
disposizione alcuni locali destinati a questo scopo e lei una
volta disse: “Abbiamo una casa del Moribondo accanto al
tempio della dea Kalì, la divinità del terrore e della distruzione”.
Nel 1979 ricevette il Premio Nobel per la Pace. Tra le
motivazioni, venne indicato il suo impegno per i più poveri
tra i poveri e il suo rispetto per il valore e la dignità di ogni
singola persona.
Anche se cagionevole di salute, ammise di non dormire
più di 3 ore al giorno per poter portare avanti tutte le sue
attività e niente riuscì mai a distoglierla dalla missione di
servire i poveri e i bisognosi.
Morì il 5 settembre 1997 a Calcutta, dove è sepolta presso la sede delle Missionarie della Carità. Sulla sua semplice
tomba bianca è stato inciso il verso del Vangelo di Giovanni
che dice: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi»
(Gv. 15,12).
Il 19 ottobre 2003 fu proclamata beata da Papa Giovanni
Paolo secondo.
Per ben comprendere la profondità dell’anima di Madre
Teresa, riportiamo alcuni suoi pensieri che, insieme al suo
insegnamento di vita, ci introducono nel mistero della sua
santità.
Sulle Missionarie della Carità: “Serviamo Gesù nei
poveri. Lo curiamo, lo nutriamo, lo vestiamo, lo visitiamo,
lo consoliamo nei poveri, nei reietti, negli ammalati, negli
orfani, nei moribondi. […] Tutto quello che facciamo è per
Lui ed è Lui che ci dà la forza per farlo. […] Non andiamo
mai dalla gente senza pregare. Il Rosario ha costituito e
costituisce la nostra forza e la nostra protezione”.
Sui suoi collaboratori: “[…] Il collaboratore sceglie
una forma di vita che lo porta a vedere Dio in ogni essere
umano. Vedendo Dio in ogni persona, iniziando ciascuno
da coloro che gli sono più vicini, ci si sente pronti a condividere le sorti di coloro che sono soli, degli ammalati,
degli afflitti, dei bisognosi e di coloro che nessuno ama né
desidera”.
Sulla fede nella Provvidenza: “Il denaro è una cosa di
cui non ci preoccupiamo mai. Ci arriva sempre. E’ Dio che
ce lo dà. Noi facciamo il Suo lavoro ed Egli ci provvede dei
mezzi per compierlo”.
Sulla povertà fisica e sulla povertà spirituale: “in primo luogo, vi è la povertà di cose materiali […] la fame
vera e propria, ma esiste una fame molto più profonda e
sentita. Si tratta della fame d’amore e di quella tremenda
solitudine di sentirsi respinti, non amati, di vedersi disprezzati e abbandonati da tutti. […] Questa povertà del Cuore è
spesso più difficile da soccorrere e da sanare.[…] Per poter
servire adeguatamente i Poveri dobbiamo comprenderli, e
per comprendere la loro povertà dobbiamo provarla. […]
Oggi si parla molto dei poveri, ma non si parla ai poveri
né li si conosce”.
Sui lebbrosi e gli ammalati di AIDS: “La più grande
malattia dei giorni nostri non è la lebbra o la tubercolosi, bensì l’esperienza e la sensazione di non sentirsi amati,
protetti e di sentirsi, anzi, respinti da tutti”.
Sull’Ascolto come cura delle persone sole: “In certe
parti […] disponiamo di piccoli gruppi di ascolto.
Vanno a casa delle persone, di gente molto comu-
ne, si siedono insieme a loro e li lasciano parlare e parlare.
Agli anziani […] piace avere qualcuno che li ascolti”.
Sulla morte: “La morte è qualcosa di bello. Significa
tornare a casa. Com’è naturale, noi ci sentiamo soli di
fronte alla persona che ci lascia. Ma il fatto in sé è molto
bello: quella persona è tornata a casa, con Dio”.
Sulla spiritualità in azione: “La nostra predicazione
non consiste in discorsi, ma nel porre in opera l’amore di
Cristo e il nostro amore che si converte in atto vivo mediante il nostro servizio reso ai poveri nelle loro necessità”.
Sulle apparizioni pubbliche: “Devo dire che, se accetto di recarmi alle varie cerimonie pubbliche, è perché
in esse mi viene offerta l’opportunità di parlare di Gesù a
gente che, altrimenti, chissà se avrebbe mai la possibilità
di sentirne parlare”.
Sulla preghiera: “Quanto più riceveremo nell’orazione
silenziosa, tanto più potremo distribuire nella nostra vita
attiva. […] La preghiera è semplicemente un parlare con
Dio. Egli ci parla e noi l’ascoltiamo. Noi parliamo a Lui ed
Egli ci ascolta. Un duplice processo di parola e di ascolto”.
Sul rispetto delle altre religioni: “[…] Pregammo, in
giorni successivi, con le comunità di religione indù, sikh,
buddista, zoroastriana, ebraica, anglicana, protestante …
Fu una cosa veramente straordinaria”.
Sull’Amore e sulla fede in Dio: “Come si può amare
Dio che non vediamo se non si ama il prossimo che vediamo e tocchiamo e con il quale viviamo?”.
Nicola Di Gennaro
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DOPO LA MISTICA... LA MASTICA
Le ricette di Pasqua
Pastiera napoletana
Preparazione del composto:
Composto
•
•
Ingredienti:
Pasta frolla
• gr 500 farina
• 3 uova intere
• gr 300 di zucchero
• gr 200 di strutto
impastare senza lavorare
troppo (in alternativa usare
pasta frolla pronta)
•
•
•
•
•
•
gr 100 di latte
1 barattolo di grano precotto
(normalmente reperibile
al supermercato)
gr 600 di zucchero
5 uova intere
gr 700 di ricotta di pecora
2 tuorli
1 bustina di vaniglia
1 o 2 fialette di acqua di fiori
d’arancio
(secondo il gusto)
1. Versare il contenuto del barattolo di grano in un tegame aggiungendo 100 gr di latte e 30 gr di strutto o
burro, una buccia grattata di limone. Scaldare per 10
minuti mescolando finché non diventa crema.
2. Frullare 700 gr di ricotta, 600 gr di zucchero, 5 uova
intere e 2 tuorli, una bustina di vaniglia, la fialetta di
fiori d’arancio. Aggiungere una buccia di limone grattuggiata, 10 gr di cedro a dadini, poi amalgamare tutto
con il grano.
3. Distribuire la pasta frolla sulla teglia e versare uniformemente il composto.
4. Cuocere a fuoco moderato per circa un’ora a 180°
(non ventilato), fino a colore ambrato. Spegnere il forno e lasciare che l’impasto si ritiri.
5. Al momento di servire spolverare con zucchero a velo.
E’ consigliabile preparare tutto il composto un giorno prima e conservarlo in frigo, per far assimilare al composto
tutti gli aromi.
Elena Grillo
...PECCATI DI GOLA!
Torta di cioccolato al latte
Ingredienti:
•
•
•
•
•
•
5 uova
gr 100 di farina 00
gr 200 di cioccolato al latte
gr 150 di zucchero
gr 100 di burro
1 cucchiaino di lievito per dolci
Procedimento:
1. Fondere cioccolato e burro in un pentolino e lasciare intiepidire.
2. Separare gli albumi dai tuorli e montare questi ultimi con lo zucchero fino ad
ottenere un composto gonfio e spumoso.
3. Aggiungere al composto il cioccolato fuso (freddo).
4. Setacciare farina e lievito ed aggiungerli al composto mescolando.
5. Montare a neve gli albumi ed aggiungerli al composto delicatamente.
6. Infarinare ed imburrare una teglia di 24 cm di diametro e cuocete per 30’ a 180’.
Mousse al cioccolato fondente... con l’acqua
Si, avete letto bene, mousse al
cioccolato con l’acqua. Ora vi
spiego.
Il chimico francese Hervé This,
studiando la panna montata, si
rese conto che anche la cioccolata
poteva subire lo stesso processo,
perché contiene grassi e la lecitina di soia che è un emulsionante che viene aggiunto al
cioccolato per meglio sciogliere lo zucchero.
Basta aggiungere acqua nella giusta proporzione e fare
raffreddare per ottenere un meraviglioso composto senza grassi aggiunti. Per 100 gr di cioccolato fondente al
70 % usare 115 gr di acqua. Ghiaccio.
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Procedimento:
1. Fondere a fuoco molto basso il cioccolato in un pentolino con
il fondo spesso.
2. Fuso il cioccolato, aggiungere l’acqua tutta in una volta ed
emulsionare (girare con cucchiaio o spatola per dolci) per
qualche minuto, finché l’acqua non sia completamente unita
al cioccolato in modo da permettere alla lecitina presente di
agire.
3. Prendere una ciotola capiente, riempirla di ghiaccio, mettere
il cioccolato fuso ed emulsionato all’acqua in una ciotola più
piccola che metterete sopra quella con il ghiaccio.
4. Procedere quindi con uno sbattitore elettrico e montare il tutto, in pochi minuti avrete una mousse perfetta ed assolutamente light!
Federica Agresti
IL BELLO DEL FAI DA TE
Diorami Pasquali: la Passione per Amore
L
’entusiasmo popolare ha voluto rappresentare la
nascita di Gesù bambino nel presepio, inaugurato
da San Francesco nel 1200 e, in modo analogo,
esso ha suscitato in diversi artisti l’emozione per la passione
di nostro Signore spingendoli a creare commoventi scene
plastiche che raffigurano il sacrificio del Salvatore e la sua
vittoria sulla morte.
Non sappiamo di preciso a quando risalga questa
pratica devozionale, ma è certamente successiva a quella
che rappresenta la nascita di Gesù, con alcune differenze:
mentre il Presepio viene preparato ogni anno, i diorami
pasquali sono prevalentemente esposti in grandi santuari
e resi disponibili alla venerazione dei fedeli tutto l’anno.
Tecnicamente il diorama è la rappresentazione plastica di
una particolare scena del Vangelo rappresentata nei minimi
particolari che, con l’aiuto di una sapiente illuminazione e di
un’appropriata atmosfera sonora, ne fa rivivere l’emozione
e la drammaticità.
Inoltre, così come la rappresentazione
vivente della nascita di Gesù, più
aderente all’originaria ispirazione
di San Francesco è sempre più
diffusa, anche la messa in scena
vivente della Passione di Gesù è
sempre più frequente.
Le immagini più comuni dei
diorami pasquali rappresentano l’ultima Cena, il
processo e la flagellazione, la Crocifissione, la Sepoltura e
la Risurrezione. In questo modo, le pagine drammatiche del
Vangelo riprendono forma nelle mani commosse di artisti
poveri, spesso sconosciuti, e si snodano davanti ai nostri
occhi in scene così ricche di partecipazione da proiettarci
nel Mistero.
L’itinerario artistico parte da Assisi, per poi scivolare a
Collevalenza, Latina, Brindisi e, i più fortunati, possono
visitare la splendida chiesa del Belen di Barcellona.
Ogni piccolo particolare viene ricreato per dare
concretezza alla ricostruzione scenica in maniera
tale da farci muovere pochi passi e
trovarci immersi nel brusio del
Cenacolo, nel silenzio impietrito del
Golgota, nello stupore della pietra
tombale rovesciata e del sepolcro
vuoto: con poca creta Dio ha fatto
l’uomo, con pochi personaggi di creta
l’uomo getta i semi della memoria.
Le stesse vite dei santi sono diventate soggetto della
fervente perizia dei maestri presepisti: è il caso delle scene
della vita di santa Maria Goretti a Latina.
Vorrei segnalare alcuni luoghi che sono assolutamente
da visitare:
- la chiesa di San Vivaldo, nel comune di Montaione in
provincia di Firenze, custodia francescana dal 1400, che
conserva splendide scene con personaggi di terracotta
policroma
- la rappresentazione del Venerdì Santo che si svolge a
San Severo a Foggia
- i diorami della passione che vengono esposti ogni anno
a Pasqua ad Aprilia, in provincia di Latina,
- il presepio poliscenico di Saltocchio, in provincia di
Lucca, strutturato nel centro di formazione professionale
dei padri terziari cappuccini dell’Addolorata.
A chiunque fosse interessato l’autore può mettere a
disposizione tutte le informazioni per raggiungere e
visitare i luoghi descritti.
Alcune immagini sono state
pubblicate per gentile concessione
dell’associazione AIAP
Gilberto Grossi
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DENTRO E FUORI LE MURA
La Basilica di San Sebastiano fuori le mura
...la Nostra Casa
S
crivere della Basilica di San Sebastiano non è un compito semplice, sono troppi i sentimenti in ballo. Quando Marisa, il nostro direttore, mi ha proposto l’argomento, un treno di emozioni mi ha piacevolmente investito caricandomi
di sensazioni: mi veniva affidato l’incarico di parlare della Nostra Casa. Una Casa speciale, perché non è la dimora
in cui hai vissuto da bambino, ma il luogo in cui ti sei ritrovato da adulto riscoprendo Lui, stringendoti a centinaia di meravigliosi fratelli. La basilica di San Sebastiano, pertanto, non è semplicemente un edificio sacro ma è la nostra Casa e,
come per molti dei primi cristiani di Roma, la prima vera Casa.
SOTTERRANEI E CATACOMBA
Come alcune delle famose “sette chiese” costantiniane, la nostra basilica nasce presso un luogo di sepoltura, detto ad Catacumbas. Un avvallamento tufaceo presso cui i pagani seppellivano i propri defunti rispettando la legge che, per ragioni
igieniche, obbligava a seppellire i propri morti fuori dalla mura cittadine.
Il prezioso lavoro degli archeologi, durato circa un secolo, ha permesso di suddividere i sotterranei della basilica in tre
livelli: il primo, più basso e più antico, interessato da semplici sepolture pagane; il secondo, caratterizzato da tre ricchi
mausolei e alcune unità abitative; il terzo, costituito da una fittissima rete di gallerie di sepoltura e da un luogo (Memoria)
molto “speciale” per i cristiani. Nove metri sotto l’attuale pavimento, in corrispondenza del portone della chiesa, si trova,
dunque, il secondo livello: la cosiddetta “Piazzuola”. Essa è un’area di sosta per coloro che rendevano omaggio ai propri
defunti sepolti 4 metri più giù, all’interno di tre piccoli mausolei pagani. Questo sepolcreto venne utilizzato fino a quando,
nel 258, la prima comunità cristiana di Roma lo interrò realizzando un portico, una piccola nicchia e una spaziosa area
trapezoidale di sosta, detta triclia o trichila, dove commemorare la Memoria dei due defunti “celebri”: San Pietro e San
Paolo.
Durante le persecuzioni di Decio e di Valeriano, fu proibito ai cristiani di pregare presso i cimiteri e, quindi, anche presso
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- aprile 2014
le tombe di Pietro e Paolo al Vaticano e sull’Ostiense; pertanto, la prima comunità decise di
traslare le Sacre Reliquie dei Principi degli Apostoli e di collocarle in un luogo che le guardie
imperiali non ritenessero “cimitero dei cristiani”: l’area dell’attuale basilica di San Sebastiano. Lì rimasero fino al 313 quando l’imperatore Costantino rese i cristiani liberi di professare
la propria fede e costruì per loro “sette Chiese”. Tra esse le basiliche di San Pietro e di San
Paolo, dove ricollocò le spoglie dei Santi titolari, e la Basilica Apostolorum, oggi San Sebastiano, con la quale rese merito a quel luogo così permeato di fede e amore in Cristo.
La catacomba di San Sebastiano, però, è molto più antica della chiesa. Essa si è sviluppata
per tutto il IV secolo ed è, tra l’altro, la prima e più grande catacomba della città. Il suo nome
originale “Catacumbas”, venne poi attribuito anche alle catacombe successive.
Ma a cosa servivano le catacombe? Erano davvero luoghi in cui i cristiani si rifugiavano
durante le persecuzioni? Certamente no. Erano esclusivamente cimiteri sotterranei realizzati
su terreni imperiali atti alla sepoltura dei defunti e, tra questi, vi è la fitta rete di gallerie della Catacumbas, oggi San Sebastiano.
La dedicazione dell’intero complesso a San Sebastiano risale al IV secolo. Fu solo allora, infatti, che si iniziò a conoscere
la storia di questo giovane milanese, tribuno della corte pretoria di Massimiano, che fu martirizzato dall’imperatore e le
cui sacre spoglie apparvero in sogno alla matrona Lucina che, recuperandole, le conservò ad Catacumbas. Da allora il suo
sepolcro diventò luogo di culto e la sua Santa figura sempre più venerata e popolare.
LA BASILICA
La prima basilica sorta presso la Memoria Apostolorum, fu voluta dall’imperatore Costantino che, in memoria di Pietro e Paolo, la titolò Basilica Apostolorum:
un edificio a tre navate, ridimensionato nel corso del
XVII secolo dal Cardinale Scipione Borghese. Egli ridusse l’ambiente da tre ad una sola navata, fece erigere da Flaminio Ponzio una nuova facciata e ordinò ad
Annibale Durante il maestoso soffitto ligneo (1612).
Entrando, sulla destra, appare il maestoso Cristo del
Bernini, ultimo capolavoro del maestro del barocco
romano. Accanto, vi è la Cappella delle Reliquie, costruita da Massimiano I nel 1625, dove, secondo la tradizione, sono conservate parti delle spoglie di Pietro,
Paolo, Callisto, Fabiano, Sebastiano, Nereo, Achilleo,
San Rocco e la pietra del “Quo Vadis, Domine?”. Di
fronte vi è la Cappella di San Sebastiano con l’altare
contenente le sue sante spoglie e la statua del Giorgetti. Proseguendo fino all’altare maggiore, sulla destra, si trova la
Cappella Albani, eretta da Papa Clemente XI su disegno di Carlo Fontana (1706), con decorazioni dedicate a San Fabiano
Papa. In fondo, l’altare maggiore. Qui si concentrano alcuni veri capolavori quali “la Crocifissione” del Tacconi (1614),
“San Sebastiano si prepara al martirio” del Sigismondi (1618), i busti di Pietro e Paolo del Cordier (1618) e la meravigliosa Mensa: un sarcofago paleocristiano con due scene cristologiche e una petrina: sulla sinistra l’episodio del ter negabis
(il momento in cui Pietro viene arrestato e rinnega per tre volte il Signore), al centro la moltiplicazione dei pani unita alla
traditio legis (consegna del messaggio evangelico a Pietro e Paolo) e a destra la resurrezione di Lazzaro.
Tutte le domeniche, dunque, camminiamo sui lunghissimi capitoli di una storia densa di significati, di amore, di lacrime,
di gioia e di sofferenza: quella dei fratelli che ci hanno preceduti che, con la loro forza d’animo e il loro coraggio,
hanno reso grande la Chiesa di Cristo Nostro Signore.
Piero Giovinazzo
- aprile 2014
9
CURIOSITÀ MEDICHE
Forse non tutti sanno che
Rubrica di curiosità mediche a cura del Prof. Livio Falsetto
medico chirurgo specializzato in Medicina interna,
Dietologia e Dermatologia
Il formaggio:
tanti pregi, pochi difetti
Più di 400 tipi diversi in Italia!
Chi ama i formaggi non ha che l’imbarazzo
della scelta: freschi e stagionati, caprini, vaccini,
pecorini, è bene conoscerli per valorizzare al meglio ogni
prodotto e trovar loro la giusta collocazione nella
dieta alimentare.
Latte, caglio, sale.
Il formaggio è tutto qui: tre ingredienti soltanto
che aprono le porte a una varietà
impressionante di sapori, consistenze e aromi.
Alcuni sono molli, altri duri;
alcuni hanno un gusto piccante, altri sono dolci;
ci sono formaggi che hanno la pasta venata di muffe, altri
bucherellata, altri ancora, come la mozzarella,
si chiamano “a pasta filata”
per il modo in cui vengono lavorati.
Comunque una cosa è certa: nonostante sia stato
chiamato periodicamente sul banco degli imputati
da dietologi e nutrizionisti,
il formaggio è e rimane un alimento prezioso.
10
- aprile 2014
I
Le ragioni
dell’accusa
e della difesa
n effetti, a un primo sguardo superficiale, i numeri
sembrerebbero dar ragione ai detrattori del formaggio. Il contenuto medio di grassi nei prodotti caseari è in genere piuttosto elevato (dal 18-19% nei formaggi
freschi sino ad oltre il 30% in alcuni stagionati), e non bisogna farsi ingannare dall’aria un po’ “acquosa” e leggera
della mozzarella: per esempio 120 grammi di fior di latte
forniscono oltre 300 calorie (quasi al 70% provenienti dai
grassi).
Sarebbe un grave torto, però, limitare le considerazioni sul valore nutritivo del formaggio al suo contenuto di
materia grassa. Bilanciandone l’assunzione nella giornata
con alimenti meno grassi, è possibile sfruttare al meglio
tutti i pregi del formaggio che, c’è da dire, sono davvero
tanti. Praticamente presenta, in forma concentrata, tutte le
virtù del latte da cui si ottiene: digeribile e completamente
assimilabile, il formaggio è ricco di proteine nobili, importanti per la crescita e il ricambio dei tessuti corporei; costituisce una fonte primaria di calcio, presente in perfetto
rapporto con il fosforo e in forma facilmente utilizzabile
dall’organismo; contiene buone quantità di vitamine A,
D e del gruppo B. Inoltre, grazie alla scarsa presenza di
lattosio, può essere ben tollerato anche da chi ha qualche
problema nel digerire il latte. Sbaglia anche chi evita il
formaggio per paura del colesterolo: una normale porzione di grana (60 gr) ne dà circa 65 mg mentre una porzione
di gorgonzola (70 gr) ne apporta meno di 50 mg. Non sono
davvero molti se si considera che mangiando un etto di
coscia di tacchino, cotta e priva della pelle, si ingeriscono
108 mg di colesterolo e che la stessa quantità di filetto di
vitello, saltato in padella senza grassi, ne dà quasi 100 mg.
Tra l’altro, è dimostrato che il colesterolo assunto con gli
alimenti pesa relativamente poco sulla colesterolemia: la
maggior parte del colesterolo che circola nel sangue, infatti, viene prodotta dal nostro stesso organismo.
Tirando le somme, si vede dunque come il formaggio
meriti davvero attenzione non soltanto per il suo gusto eccellente, ma anche per le sue virtù nutritive, basta solo non
eccedere…
Proteine (g)
Grassi (g)
Carboidrati (g)
Sodio (mg)
Potassio (mg)
Ferro (mg)
Calcio (mg)
Fosforo (mg)
vit. A (mcg)
Colesterolo (mg)
Brie
Camembert
Crescenza
Emmentaler
Feta
Fior di latte
Fontina
Gorgonzola
Grana
Gruyère
Mascarpone
Parmigiano
Pecorino
Provolone
Ricotta di pecora
Ricotta di vacca
Dr. Livio Falsetto
Acqua (g)
Composizione
nutritiva per 100
g di formaggio
I formaggi di capra: più leggeri e più digeribili
Ottime quantità di calcio e fosforo (minerali indispensabili per la salute), proteine tra le più pregiate, un buon
contenuto di grassi e una presenza comunque ridotta di colesterolo: il profilo nutritivo dei formaggi di capra non differisce molto da quello dei corrispondenti prodotti vaccini
o pecorini. Alcune diversità, però, ci sono: particolarmente
affine al latte umano nella sua composizione, quello di capra è considerato ideale anche per i bambini grazie alla sua
elevatissima digeribilità. Le piccole dimensioni delle particelle di grasso facilitano l’azione dei succhi gastrici e degli
enzimi e questa caratteristica del latte di capra si ritrova anche nei formaggi, soprattutto in quelli freschi, decisamente
più digeribili degli analoghi vaccini. Infine, un altro pregio
di questi prodotti caseari è nella relativa ricchezza di ferro e
potassio, entrambi minerali utili all’organismo: il primo per
l’ossigenazione del sangue e il secondo per il mantenimento dei giusti livelli di pressione sanguigna.
Calorie
La leggerezza della ricotta
E’ buona, è fresca, piace a tutti ma…non è un formaggio. La ricotta, infatti, non si ottiene dal latte, ma dal siero
che rimane dopo che il latte è stato usato per fare il formaggio
“vero”. Questo non significa,
comunque, che la ricotta sia un
cattivo prodotto. Semplicemente, essendo fabbricata con il siero
e non direttamente con il latte, la sua composizione è un po’
diversa dai tradizionali formaggi freschi. In media un etto
di ricotta fresca di vacca fornisce circa 9 g di proteine, 11 di
grassi e dà meno di 150 calorie.
Sono valori decisamente bassi, per esempio, di quelli
della crescenza, che dà mediamente 16 g di proteine e 23 g
di grassi, per un totale di 280 calorie ogni etto. Si tratta di
un prodotto piuttosto leggero, quindi, ma ugualmente interessante sotto il profilo nutritivo: la ricotta contiene proteine di ottima qualità, vanta un buon contenuto di calcio e si
digerisce molto facilmente.
319
297
281
403
250
253
343
324
384
389
455
387
392
374
157
146
48,6
50,7
58,3
34,6
57,1
58,8
41,1
58,8
32
32,1
44,4
30,4
34
39
74,1
75,7
19,3
20,9
16,1
28,5
15,6
18,7
24,5
19,1
33
30,6
7,6
33,5
25,8
28,1
9,5
8,8
26,9
23,7
23,3
30,6
20,2
19,5
26,9
27,1
28
29
47
28,1
32
28,2
11,5
10,9
0
0
1,9
3,6
1,5
0,7
0,8
1
0
1,5
0,3
0
0,2
0
4,2
3,5
700
650
350
450
1440
200
451
600
700
332
86
600
1800
860
85
78
100
100
110
107
95
145
89
111
120
80
53
102
90
139
98
119
0,8
0,2
0,1
0,3
0,2
0,4
0,3
0,3
0,2
0,5
0,2
0,7
0,6
0,5
0,3
0,4
540
350
557
1145
360
350
870
401
1165
1123
68
1159
607
720
166
295
390
310
285
700
280
350
561
326
692
685
97
678
590
521
153
237
320
283
135
343
226
219
420
287
224
400
430
373
280
390
260
128
98
78
53
122
68
46
116
70
109
110
188
91
112
73
42
57
- aprile 2014
11
BUONE NOTIZIE
Sicurezza stradale: arrivano gli Ambasciatori dell’Aci
L
o
scorso
anno,
l’Automobile
Club
d’Italia ha avviato
il primo progetto formativo
in Europa riservato a 3.000
automobilisti stranieri.
Anche nel 2014 verranno
offerti 1.000 corsi gratuiti di
guida sicura agli stranieri che
guidano nel nostro Paese che
così diffonderanno in famiglia
e nelle rispettive comunità
nazionali il valore del rispetto
del Codice della Strada.
Il progetto formativo, denominato “Ambasciatori di
Sicurezza Stradale”, patrocinato dalla Presidenza del
Consiglio dei Ministri e sostenuto da SARA Assicurazioni,
nasce sia dal fatto che gli stranieri rischiano il doppio
degli italiani sulle strade del nostro Paese ( il 6,4% degli
automobilisti italiani è coinvolto in un incidente all’anno
mentre per gli stranieri la percentuale sale fino al 13,5%),
sia dall’esigenza di coniugare la sicurezza stradale con la
necessità di muoversi, elemento fondante della stessa civile
convivenza.
“L’educazione alla sicurezza stradale e l’integrazione
dei popoli sono i due elementi fondamentali - dichiara
Ascanio Rozera - Segretario Generale dell’ACI - , ma non
meno importante è garantire la sicurezza dei cittadini tutti
- italiani e non -, che si muovono in Italia, in automobile o
con altri mezzi di trasporto. La sicurezza stradale, infatti,
non è una questione di razza o di colore della pelle, ma un
obiettivo che l’ACI persegue anche con questo progetto
formativo, improntato al valore dell’accoglienza.
Nel corso delle lezioni sulla Guida Sicura, infatti, non
ci si limita a parlare di regole, statistiche, comportamenti e
Codice della Strada ma si cerca di esaminare ed approfondire
valori come il rispetto della vita nelle sue varie declinazioni,
della famiglia e dell’amicizia”.
“Fino ad oggi sono stati oltre 2.800 gli automobilisti
stranieri nominati “Ambasciatori di Sicurezza Stradale” –
di cui 1.200 soltanto nella Regione Lazio - ha affermato
Monika Jakiela, General Manager dell’agenzia DMA –
Servizi, coordinatrice dell’iniziativa. Numeri che fanno
comprendere quanto questo progetto sia stato recepito ed
apprezzato dalle comunità straniere presenti in Italia.
Il progetto coinvolge attivamente anche gli Automobile
Club provinciali che contribuiscono all’individuazione
degli automobilisti da formare nelle 18 giornate previste
nell’anno. In ciascuna sessione, 60 ‘allievi’ raggiungono il
Centro di Guida Sicura di Vallelunga, alle porte di Roma,
con pullman messi a disposizione dall’organizzazione.
Presso il Centro ACI-Sara di Vallelunga, per esempio,
quest’anno si è svolto un corso di guida sicura riservato
all’Università Pontificia Salesiana di Roma. Alla presenza
di Mons. Jaroslaw Rochowiak, Segretario Generale
dell’Università, vi hanno partecipato 70 automobilisti
stranieri: suore, sacerdoti, studenti e professori provenienti
da Egitto, Colombia, India, Slovenia, Congo, Nigeria,
Messico, Ecuador, Angola, Haiti, Ciad, Romania e Polonia.
Per partecipare gratuitamente è necessario compilare
l’apposito modulo reperibile su:
www.aci.it oppure www.vallelunga.it
L’Automobile Club d’Italia, grazie a questo progetto, nel
2013 si è aggiudicato il premio europeo ‘Best Practice
Certificate’ istituito dall’EPSA - European Public Sector
Award nella categoria ‘progetti europei o nazionali’.
Andrea Cauli
12
- aprile 2014
STATO DELL’ARTE DELLA COMUNITÀ
A che punto siamo?
PROGETTO KOMONO
L
e difficoltà incontrate da Pierre, come sapete, sono tante. Al momento siamo concentrati sul problema, per noi prioritario,
dell’acqua potabile. E’ già stato chiesto un preventivo per la realizzazione di un pozzo. Contemporaneamente abbiamo
aperto il fronte energia. Stiamo cercando un gruppo elettrogeno da spedire via mare. Chi è interessato a contribuire alla
realizzazione di questi progetti può trovarne i dettagli sul sito www.ciaofrate.org o chiedere informazioni a Maria Teresa
che li coordina.
INIZIATIVA “DIAMOCI UNA MANO”
L
a crisi economica ci ha colto tutti impreparati, perché allora non proviamo ad aiutarci? Nella nostra Comunità c’è chi
offre lavoro e chi lo cerca: noi possiamo farli incontrare. C’è chi vorrebbe disfarsi di mobili, carrozzine, passeggini,
lettini per bambini ecc. e c’è chi ne ha bisogno, noi possiamo metterli in contatto.
Abbiamo dedicato una pagina del nostro sito www.ciaofrate.org a questo scambio. La prima sezione è dedicata al
progetto Offro lavoro/Chiedo lavoro e la seconda al progetto Offro in dono/Chiedo in dono.
SCATOLA DEI SUGGERIMENTI
C
ome potrete constare, già in questo numero appaiono diverse firme nuove. Certi di agevolarvi, oltre che la possibilità
di contattarci via mail all’indirizzo [email protected], abbiamo pensato di predisporre una cassettina
dei suggerimenti, che ogni domenica, durante la Messa delle 12, sarà posizionata su uno dei tavolini dove normalmente
vengono messe a disposizione le letture del giorno. Scriveteci per esporci le vostre idee.
Farmacia
PROVIDENCELAND
Possiamo affermare con orgoglio che la Farmacia della Comunità del Pettirosso è una realtà. Stiamo ancora cercando
dei locali da dedicare alle diverse attività della Providenceland, ma i farmaci che grazie alla Vostra generosità e a quella
di farmacie, cliniche, medici, organizzazioni, varie ecc. ci sono pervenuti, sono stati inseriti in un database, catalogati e
sistemati in contenitori provvisori ma agibili grazie alla collaborazione volontaria di un paio di “pettirossine”. Già diverse
organizzazioni benefiche ci hanno contattato per averne e tanti ne sono già stati consegnati. Quindi non interrompete
questa catena virtuosa.
Pet Therapy
A metà febbraio sono iniziati i corsi della Pet Therapy riservati alla Comunità del Pettirosso. Sono circa una decina i
volontari che si stanno addestrando, insieme ai cani messi a disposizione da Providenceland, a questa particolare attività
di supporto alla medicina tradizionale nella cura di malattie fisiche e mentali. A settembre la squadra sarà in possesso
dell’attestato e pronta ad iniziare. Si è sparsa la voce e le richieste di collaborazione già cominciano ad arrivare.
Un ringraziamento particolare va alla sig.ra Marina Bozzetti che ha provveduto al sostentamento dei volontari con
appetitosissimi manicaretti.
Poliambulatorio
I medici aderenti al network continuano nella loro attività di visita e cura di malati economicamente disagiati. L’infaticabile
Luigina è sempre pronta, telefono e penna a alla mano, a prendere appuntamenti e smistare visite. Vi ricordiamo il suo
cellulare: 3207535713. Non esitate a segnalare casi meritevoli di aiuto.
Marisa Grillo
.. padre, se faccio
l’amore è peccato?!
confessionale
Nooh.. figlia mia...
...è un... miracolooooo!
cercasi volontari
- aprile 2014
13
ESSERE CARITA’
Finalmente!!!
In una giornata molto difficile
per la popolazione romana colpita
da un diluvio d’acqua che ha messo
a repentaglio le loro case e,
in alcuni casi, le loro persone,
numerosi fedeli si sono rifugiati in una
chiesa per pregare e cercare protezione.
La pioggia non cessava ed era
pericoloso tornare a casa.
Il sacerdote si è fatto carità
e li ha accolti tutti facendo passare loro al
sicuro una notte diffcile.
Questa notizia è stata data da un
giornale di cui
non ricordiamo il nome.
Uno scrittore l’ha letta e così ha scritto per il nostro giornale:
“
Oh Signore com’è bella la tua terra! Aiutaci a
scoprirla e ad apprezzarla... La messa è finita...”
La messa era finita ed i fedeli, pochi in verità,
cominciarono a sciamare affamati verso casa. Ma quel
giorno sembrò che dal cielo piovessero chiodi.
14
- aprile 2014
Acqua, acqua a catinelle che, improvvisamente, senza il
minimo preavviso, allagò tutto il quartiere, fece straripare
il fiume e coprì, infine, ogni cosa con una spessa patina di
un pattume limaccioso e puzzolente.
Fogna, puzza di fogna.
Tutto ne fu sommerso.
Telefoni in tilt.
Viabilità completamente bloccata e nervi a fior di pelle,
ansia che risalì preponderante dalle viscere e sfogò in conati maligni di “francesismi” a dir poco inascoltabili.
“Il Signore ci aiuterà” continuava a ripetere instancabile
il sacerdote sopraffatto anch’egli da un panico professionale che gli attanagliava lo stomaco.
“Come posso aiutarli? Dove andranno a dormire stanotte? Ed i bambini? Come potranno tranquillizzare i bambini?” Tutte queste domande affollavano la povera mente del
mite sacerdote. Intanto sul sagrato, posto su un’altura per
fortuna, incominciò ad affluire tutta la gente del quartiere
che lì accorse, che lì cercò rifugio, che da lui cercava risposte! E già qualche alito maligno cominciava ad aleggiare
feroce: “Predica bene e razzola male... e la provvidenza,
la misericordia? Abbiamo bisogno d’aiuto che faccia qualcosa!”.
Al sacerdote sembrò di trovarsi nelle medesime condizioni di Gesù tra i lebbrosi, assillato da richieste di guarigioni miracolose, da pretese d’aiuto ineludibili e dallo
strazio del dover assistere impotente ad una sofferenza
montante e perversa.
Cosa fare?
S’inginocchiò, allora, davanti all’enorme portone sbarrato della chiesa e fece l’unica cosa che sapeva veramente
fare: pregò, pregò così intensamente da far grondare sudore
ogni singolo suo poro, poi, come sollevato, s’alzò, spalancò il portone i cui battenti si protesero verso il cielo come
le braccia misericordiose di un Cristo accogliente e pronto
ad esaudire le richieste ed accolse, accolse tutti nella chiesa
con un sorriso dolce e sincero: “Venite ..., venite ..., entrate
..., entrate tutti , abbiamo un tetto, di che sfamarvi e per i
bambini … per i bambini ci sono anche giochi e qualche
dolce”.
Il sacerdote, soddisfatto, accolse tutti in chiesa, ma era
stanco e mormorò provato tra sé e sé: “Oh Signore come
farò ad aiutarli tutti? Ed il futuro ..., il futuro Signore ...?
La fede ci aiuterà!”.
P.S. Mia modesta interpretazione, forse un po’ fantasiosa, di un fatto realmente accaduto a Roma durante la recente alluvione.
Vincenzo Belcastro
Le mie Suorine
C
iò di cui mi accingo a parlare non è altro che
amore: il motore di questa nostra vita, quello di
cui da millenni il Signore ci omaggia con infinita grandezza. È un linguaggio che non conosce barriere
di alcun tipo, non fa caso al colore della pelle, non bada
a differenze ideologiche o religiose, ma ci abbraccia tutti
con infinita dolcezza. Questo amore, fatto di misericordia,
di accoglienza e comprensione è la summa della vita delle
suore missionarie della carità di madre Teresa di Calcutta
presso cui svolgo il mio volontariato.
La prima cosa che mi ha stupito, quando per la prima
volta sono entrato nella loro casa di accoglienza, è stata
la serenità e l’armonia che si respirava in quel luogo. Non
mi hanno colpito le gravi difficoltà materiali e fisiche delle
persone accudite dalle suore, non le loro patologie, a volte
molto serie, non i disagi morali che tali malattie di solito
procurano, né la solitudine che aggrava la vita di un essere
umano in queste condizioni disagiate. Quello che mi ha
sorpreso è stata la differenza eclatante di questo luogo rispetto a quelli in cui avevo fatto esperienza di volontariato
precedentemente.
Dalle suore missionarie è tutto spontaneo, non si cerca
l’ammirazione, non si vuole enfatizzare la propria figura,
si fa quel che si sente dentro. Ormai sono quasi due anni
che presto un po’ del mio tempo alla loro causa e ho imparato ad impegnarmi in compiti che non avrei mai pensato di sapere portare a termine: lavori anche duri, pesanti,
difficili come può essere quello di macellare un agnello
intero e vi assicuro che, senza la dovuta esperienza, è una
cosa alquanto sgradevole. Tuttavia, il pensare che il mio
tempo dedicato al volontariato in questo luogo è limitato a
solo tre ore alla settimana e il confrontarlo con il loro che,
tolte le preghiere e i pasti frugali, è dedicato ai sofferenti per l’intera giornata senza soluzione di continuità, mi
commuove al punto da non potere dire: “Io questo non lo
faccio” o solo pensare di non riuscire a farlo.
Il loro sorriso, i loro continui ringraziamenti mi sorprendono. Io mi fermo lì qualche ora e loro mi ringrazia-
no come se avessi donato loro gli ultimi giorni della vita.
“Che Dio ti benedica”, è la loro parola d’ordine qualunque
cosa io faccia; in questa casa c’è Dio con il suo amore profondo per ognuno di noi: si vive, si respira con Gesù. Non
si può fare a meno di sentirsi leggeri come una piuma ogni
volta che si torna a casa e si è sicuri che c’è qualcuno che
ci aiuta a portare il nostro carico di difficoltà.
Io lavoro principalmente in cucina, ma sono molteplici
le attività che si possono svolgere nella casa di accoglienza, per esempio, scaricare e catalogare tutto il materiale
proveniente da semplici privati o da grandi società per il
fabbisogno generale:�����������������������������������������
dagli alimenti, al vestiario, ai prodotti per l’igiene e la salute. È accoglienza a tutto tondo, non
ci si preoccupa solo del mangiare, ci sono anche le camerate da pulire, sistemare, rifare i letti, o magari fare compagnia agli ospiti, anche questo è un lavoro benedetto, stare
insieme a loro e parlargli dallo sport alla religione, eh si,
perché gli ospiti non sono solo Cristiani, vi sono persone
che professano altre religioni. Anche in questo si seguono
gli insegnamenti di Gesù: una persona bisognosa si aiuta
senza distinzione di sorte, la compassione è universale.
Questo è uno degli aspetti che più mi affascina della
mia esperienza presso le suorine, come amo chiamarle io,
a volte sono l’unico italiano, si parlano tutte le lingue, con
netta prevalenza dell’inglese che è la lingua delle sorelle
di Madre Teresa. Si mescolano tante etnie, tanti colori, ma
la differenza è solo apparente perché, come per magia, ci
sentiamo tutti fratelli, tutti figli di un Dio immenso e amorevole.
Sono giunto alla fine di questa piccola testimonianza dedicata a queste persone sante che fanno della loro vita una
missione al servizio dei più poveri fra i poveri, dei malati e
di chi non ha nessuno con cui piangere o ridere. Io voglio
ringraziarle tutte, indistintamente, con tutto il cuore.
Porto nel cuore in modo particolare suor Glorina, una
suora dello Sri Lanka, la cui dolcezza e il cui sorriso hanno
saputo curare molte delle mie ferite interiori.
Claudio Serafini
- aprile 2014
15
UNO DI NOI
Piero Magrì..
I
l volto amico di Piero mi accompagna in ogni momento della giornata ed è per me motivo di grande
serenità e gratitudine.
Posso descrivere la sua persona come l’uomo delle Beatitudini: buono, coerente, sempre animato dall’energia
del bene, capace di accoglienza generosa, lontano da ogni
pregiudizio, profondo nelle intuizioni, semplice nel presentarsi, gigante nel lavoro, umile nel considerarsi, eclettico
nel sapere, disponibile a consigliare e ad aiutare gli altri e
roccia salda nella fede. Questo è l’amico che mi ha camminato accanto per diversi anni e ha fatto parte della nostra
Comunità del Pettirosso.
Di origini siciliane, ne conservava la solarità e la squisitezza dell’accogliere e dell’ospitare. Quando andavo a
trovarlo gli brillavano gli occhi e mi riceveva con quel suo
modo familiare, discreto, educato che fa sentire l’ospite la
persona più gradita al mondo.
Piero è sempre stato un uomo innamorato: amava la vita
e l’attraversava come fosse un’avventura, amava la natura
e se ne inebriava quando aiutava sua moglie Daniela nelle
mostre d’arte o nella pubblicazione dei suoi libri, si deliziava della lettura che considerava fonte di continua ricchezza,
amava il suo lavoro che svolgeva come una missione: il
culmine dell’amore, però, lo ha sempre trovato nella sua
famiglia, in essa ha sperimentato l’àgape di tutte le virtù.
L’incontro con sua moglie Daniela ha reso la sua vita
completa, li ho uniti in matrimonio io il 22 luglio del 2001
e in vita mia non ho mai incontrato coppia più affiatata: due
corpi e un’anima, una testimonianza per tutti.
Laureato in ingegneria elettronica ha ricoperto ruoli
prestigiosi alla SIP (ora Telecom), all’Ospedale Bambino
Gesù di Roma come capo Ripartizione responsabile del
Centro Elaborazione Dati e alla Casa di cura “Sollievo del16
- aprile 2014
la Sofferenza” a San Giovanni Rotondo dove ha offerto
un contributo di esperienza e competenze fondamentale per
l’ammodernamento del sistema informativo aziendale della
struttura.
Le testimonianze che accompagnano il suo ricordo sono
concordi nel descriverlo una persona sempre presente che
ha seminato amore, un uomo speciale con la capacità di ricercare i valori della vita e di viverli con gioia, un individuo
essenziale incapace di superficialità. I suoi collaboratori lo
hanno sempre apprezzato per il suo valore umano e manageriale, per la professionalità con cui svolgeva il suo lavoro
pur senza mai ostentare i talenti che Dio gli aveva dato.
Mi piace ricordare il Pane a doppia lievitazione che impastava con le sue mani e ne faceva dodici panini con il segno della croce di Cristo in rilievo e li portava nella nostra
chiesa per imbandire la tavola dell’Ultima Cena il Giovedì
Santo.
Daniela ha detto durante la Santa Messa con la quale lo
abbiamo salutato: “Piero mi ha insegnato che si può vivere
l’infinito nel nostro quotidiano”, con queste sue parole porto nel mio cuore Piero perché è vivo in Dio e con sant’Agostino dico: “Signore, non ti chiedo perché ce lo hai tolto,
ma ti ringrazio perché ce lo hai dato”.
Padre Renzo Campetella
Piero Magrì
è tornato alla Casa del Padre
il 5 marzo 2014 alle ore 11.
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